Ad inizio di p.191 della sua Biblioteca Aprosiana dando ascolto a Monsignor Bonifacio per cui Nusquam bene, nisi in Patria Aprosio in qualche modo
tormentato dall'appellativo di Poeta ma nel significato di Polemico, Irrequieto e Ribelle [vantò molti pseudonimi sotto cui scrisse in maschera (vedi)
e due altre denominazioni caratteriali ed etniche oltre quella di "Poeta": vale a dire "il Ventimiglia" (dalla terra natia)
e da giovinetto quella de "Il Filosofo" per il fatto di preferire alla compagnia degli
altri studenti quella dei libri o la solitudine della Prebenda Occidentale del Nervia dove aveva scoperto giacere reperti antichi, romani verisimilmente]
Dopo viaggi e soggiorni diversi -con relative avventure, letterarie e non- caratterizzati da non poche vicissitudini (vedi indice a scorrimento cronologico) tornò in Ventimiglia come scrisse " imaginandosi di ritovare [nella terra natale] maggior quiete " (in vero anche per dar sistemazione alla sua enorme "Libraria" o forse meglio "Wunderkammer" o Camera delle Meraviglie: non convinto o disilluso in merito alle proposte di donazione o assimilazione ricevute anche da sedi e personalità di assoluto prestigio) ma forse aveva dimenticata o voluta dimenticare
- dando troppo ascolto all'esternazione Nusquam bene, nisi in Patria del fidatissimo amico Monsignor Bonifacio-
l' altra espressione proverbiale quanto antitetica per cui "nessuno è profeta in patria" ed infatti di seguito aggiunse
Ma s'ingannò [parlava di se stesso in terza persona nell'opera] , non havendo provato giamai maggior quiete, che in Siena, ed in Venetia ".
La considerazione sopra proposta è qui solo proemiale in merito ad un discorso che sarà via via approfondito e che comportò altri motivi di attrito localistico che peraltro non mancò, nei momenti di maggior sconforto e specialmente per quelli connessi all'erezione ed al potenziamento della "Libraria", fu alla radice di alcune crude considerazioni sul livello culturale che vigeva in Ventimiglia.
Angelico Aprosio era giustamente
orgoglioso di aver messo insieme una grande biblioteca arricchita oltre naturalmente da libri anche presiosissimi da reperti antichi, collezioni varie, raccolte numismatiche, quadri che oggettivamente ne deprimeva la presunta caratura fratesca strutturandola piuttosto classicamente e alla moda del tempo quasi come una "Wunderkammer" [ma forse si è analizzato relativamente questo fatto ed a Ventimiglia la tipologia innovativa della Libraria o "Biblioteca Aprosiana", in onore anche alla cultura del collezionismo antiquario oltre che della biblioteconomia/bibliofilia, per certi versi più prossima ad una "Wunderkammer" o "Camera delle Meraviglie" che ad una convenzionale "Biblioteca Fratesca" poteva contro le aspettative d'entusiasmo ed ammirazione esser ragione di diffidenza, specie in tale contesto, decisamente provinciale e tradizionalista = anche per il fatto che, data la preziosità dei reperti, oltre che la struttura muraria di per se stessa già singolare e da tutti affatto condivisa (vedi), sussisteva l'esigenza difese in essere contro i furti dei libri. che dovevano rispondere ad esigenze peculiari ed inconsuete per una struttura monastica come qui si legge = furti, che può in parte sorprendere, ma che essendo spesso le biblioteche non fratesche autentici reperti di tesori culturali e non solo cartacei
risalivano a tempi antichissimi sì che come qui si vede le stesse Biblioteche dell'Impero di Roma ne erano soggette al punto di organizzare sorveglianze, controlli, sistemi sofisticati di chiusura, precisi regolamenti, anche opportunatamente affissi per estratti
sin a ricorrere all'espediente estremo di cui è illustre documento il Codex Astensis cioè a quello di dotare di lucchetti e catene onde non libri molto importanti non potessero asportati senza procurare loro gravi danni rendendoli o invendibili o palesemente rubati, cioè il principio dei
" Libri Catenati o Libri Incatenati " (vedi qui l'immagine del "Catenato" Codex Astensis.].
Comunque, dopo aver rifiutato di
lasciarla in dotazione alla "Libraria" del genovese Convento di S. Maria della Consolazione di Genova
e soprattutto dopo essersi opposto a una
richiesta più che lusinghiera fattagli quella di lasciare la Libraria e la sua dotazione alla Biblioteca Angelica di Roma di cui era custode l'amico Gabriello Foschi che gli avrebbe garantito
un soggiorno gratuito per il resto dell'esistenza in quella sede prestigiosa
si lasciò convincere dall'assunto del Bonifacio di farne una sede in Ventimiglia sulla base del Nusquam bene, nisi in Patria senza sapere che avrebbe dovuto parzialmente ricredersi = infatti, anche per lo spirito che aveva e che non mascherava la consapevolezza della propria fama, Angelico si aspettava
un'accoglienza superiore ed onori superiori che gli permettessero facilmente per esempio di vanificare il divieto, contestato e cui dovette piegarsi, di sistemarla sì nel Convento Agostiniano di Ventimiglia ma senza particolari orpelli e favori e soprattutto
targhe o stemmi che la collegassero, tramite lui, al Casato degli Aprosio: cosa che accettò redigendo ufficialmente una giustificazione di tal ragione
ma in effetti rodendosi per quella che giudicò una mancanza di riguardo provincialistica al suo nome e su cui
nelle erroneamente ritenute disperse Antichità di Ventimiglia, pur non editando l'opera né divulgandone i contenuti manoscritti, vergò come qui si legge parole di fuoco.
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La sua irrequietezza e spontaneità erano un fenomeno caratteriale innegabile (attestato nel dibattito femminismo-antifemminismo -per quanto poi tardivamente rivisitato ed anche coraggiosamente riesaminato - e nella pur tardiva partecipazione alla polemica Marino Stigliani in merito all'Adone) ma principalmente sublimato in altri contesti ed in rapporto ad altre umorali esternazioni come gli aveva procurati nemici potenti e situazioni a rischio in altri luoghi pseudometropolitani = col rischio di denunzie varie e nel contesto di vicende anche intrise di sangue da cui uscì con fatica [ ma nemmeno bisogna dimenticare che Aprosio fu Vicario della Santa Inquisizione per la Diocesi di Ventimiglia dimostrando però discernimento e competenza anche se per
la sua indole certo polemica ma talora anche giustamente intransigente in modo, ancor più ampio di un'attività investigativa che svolse senza eccessi, egli si procurò odii e nemici per la giusta intransigenza di cui diede prova ai tempi della Bolla di Soppressione dei Piccoli Conventi resasi necessaria per frenare gli abusi dei Conventi più poveri soliti utilizzare fuori del lecito la concessione del Diritto d'Asilo Ecclesiastico dietro compenso da parte di criminali giustamente perseguiti
In siffatta evenienza
Aprosio, Vicario Generale della Congregazione Agostiniana Genovese, non scrisse a caso di "tempi torbidi "(p. 287 de la Biblioteca Aprosiana) riferendosi all'emanazione di tale
***********Bolla attesa, atteso oltre quanto detto, la continua elusione delle "Ordinanze Pontificie" sì da rendere necessarie anche da parte sua le Visitazioni***********
sotto la reiterata minaccia di "severe pene" non esclusa la soppressione di determinati Conventi = in particolare -anche se poi risolse il tutto senza farsi intimorire seppur certo creandosi dei nemici- ebbe problemi
con l'allora dipendente dalla Congregazione Genovese Convento Agostiniano "Della Trinità di Viterbo" che come Aprosio stesso scrisse "...gli fece pure gustare nel 1652 più d'un boccone amaro..." (p. 287 de la Biblioteca Aprosiana) ]
Fenomeno caratteriale che, verisimilmente contro le sue stesse aspettative e gli auspici di Monsignor B. Bonifacio non mancò di procurargli problemi con relativi osteggiatori (anche se vi ebbe pure affettuosi sostenitori) anche nel più piccolo centro provinciale, frontaliere e natio dove si "inimicò alcuni che contavano" attesi in particolare gli attacchi di sine cura e "privati interessi" che non lesinò di esprimere a voce e per scritto avverso sia i potenti che gli amministratori pubblici che altresì un buon numero di confratelli e religiosi oltre che di intellettuali laici [e non mancano sull'argomento gli episodi esemplificativi = già non certo diplomatica fu l'asserzione che a Ventimiglia i Poeti non fanno numero p. 258. metà della Biblioteca Aprosiana.
Ma certo più
cruda e di sicuro impopolare fu la cosiderazione sull'imprecisione storico-documentaria dei religiosi e con essa l'asserzione - anche se rivolta ai religiosi in generale e non solo di Ventimiglia- sempre nella Biblioteca Aprosiana p. 61, metà in cui si diceva:
"Non m'è però nuovo, che li PP. quasi tanti Galli di Esopo, poco curandosi di simili gemme (epigrafi, lapidi romane, monumenti ecc.), le sogliono come si fa d'ogn'altra più rozza pietra, mettere a rinfuso nella fabrica d'un muro "
per giungere volendo all'acme polemico quando
anche per qualificare, ai dotti amici lontani non privi di sarcasmo, la sede scelta per la "Libraria" senza demotivarla a ragione della lontananza e della poca reputazione del luogo d'erezione cioè Ventimiglia -all'epoca ritenuta zona dal clima insalubre- l'Aprosio volendo esentare il luogo da disdicevole reputazione connaturata ad un per lui falso terema dell'insalubrità dell'aria ed invece semmai -sempre a suo giudizio- in gran parte contraddetta dalla purezza delle acque, dei pesci fluviali e non oltre che del celeberrimo vino "Moscatellino" certo poco consona all' idea classicheggiante dell' Otium Negotiosum che associa all'esistenza bucolica la gratificazione del quieto lavoro erudito e poetico
si lasciò andare ad una serie di osservazioni contro la sine cura di tutti popolani e non (in la Biblioteca Aprosiana, p. 37 dal basso e seguenti precisando che da troppi "...Si contamina l'aria dalle essalationi, da' vapori, ds fumi, da caligini, da fetori di acque morte, da serpi infraciditi, e da cadaveri, o sian carogne... [di animali]...]) ma annotò, finendo con l'attirarsi l'avversione ("politicamente e socialmente" cosa più perigliosa) semmai di qualche potente scrivendo che a tal degrado ambientale (per quanto potessero risultare oggettive le responsabilità degli umili ma ignoranti e privi di potere decisionale ) =
".....potrebbero porger rimedio li Capitani, li Commissarii, o Governatori, che si appellino: li Sindici, o siano Consoli della Città: e lo farebbero, se fussero così zelanti del publico, quanto del proprio interesse..... ".
Con il tempo prese ad usare qualche volta una prudenza che non gli era solita ma, giustamente anche per la diversa indole oltre che per le indubbie qualità, esultò in forza dell'arrivo d'uno spirito a lui tanto simile qual fu il futuro discepolo Domenico Antonio Gandolfo: il quale, futuro Concionator degli Agostiniani possedeva però una capacità innata alla diplomazia e in più di una occasione indusse l'irascibile Maestro ad avvalersi, anche nello spicciolo delle osservazioni comuni e correnti,
di quanto a suo tempo aveva imparato e di approfondire certe camaleontiche capacità espressive già elaborate ed esperite nei contatti col Minozzi di usare alla maniera epocale espressioni adeguate -come affettazione e onesta dissimulazione (vedi sotto)- alla bisogna se non addirittura immediatamente non recepibili e/o decrittabili all'unisono quanto sostanziali per quanti ne sapessero fruire l'essenza e decifrare i messaggio quando necessario non di rado rifugiandosi in quelle scritture ermetiche e da pochi decifrabili che proprio con il Minozzi aveva studiate.
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L'analisi dei limiti aprosiani, delle delusioni e delle "rinascite sociali" legate alle estrosità di un carattere indubbiamente raro per quanto talentuoso si può in qualche maniera estrapolare da un
inedito del frate cioè Le Antichità di Ventimiglia dato per disperso iniziato quasi con certezza da giovane studente quando era soprannominato "il Filosofo" ed andava a cercare reperti e documenti sulla propria terra =
opera in realtà ricostruibile in buona parte per l'uso parcellizzato e occasionale che ne fece Angelico attraverso lo scorrere degli anni.
Lavoro particolare per vari aspetti [forse ancor meglio intitolabile Fuimus Troes ("Fummo come i Troiani, dispersi e sepolti sotto la sabbia") trattando principalmente delle "Antichità di Ventimiglia Romana" = ma poi rispetto a questo titolo convenzionalmente dato -di cui Fuimus Troes potrebbe esser stato asseqnato quale sotto o sovratitolo significante, data anche la convergenza di quasi omonimia con l'opera di G. G. Lanteri -per una costumanza culturale provinciale panitaliana, tuttora spesso ancora in essere, in qualche maniera reputato nume culturale storigrafico locale- dai cui contenuti Aprosio voleva giustamente distinguersi)] in cui peraltro mai si cita l'espressione celiana
che divenne parte del simbolo della città vale a dire
Civitas ad Arma iit [ semmai sottolineando a pro delle sue archeologiche scoperte giovanili (vedi dal testo digitalizzato) di vari manufatti romani -monete in particolare ma non solo- nella vasta area prebendale di Nervia di Ventimiglia entro ruderi ed edifici romani fatti riaffiorare anche dalle tracimazioni non rare del fiume/torrente Nervia l'ambiguo quanto celebre ed interessante quanto mai abbastanza studiato giudizio del geografo greco Strabone Urbs Ingens est Albion Intemelium ... "Albintimilium è una città grande" ].
Indubbiamente lavoro difficile per Aprosio da scrivere Le Antichità di Ventimiglia -al punto da venir lasciato manoscritto anche se disseminato per sarcine in opere varie ed in vari casi editate- e per altri altrettanto difficile da ricomporre ma in cui stavano tante verità, stoltamente se non invidiosamente all'epoca ignorate alla stregua di favole, ma poi rivalutate al segno che tempo dopo l'archeologo G. Rossi si trovò nella necessità di definire Aprosio il primo, vero scopritore della topografia del nucleo demico di Albintimilium].
Opera dalle intuizioni e dalle scoperte straordinarie proprio di un giovinetto solitario detto, per celia forse più che ammirazione, "il Filosofo" il quale ai giochi dei compagni antepose i sogni sul passato ricostruibile e risultato quindi interrotto anche per umana disillusione dallo stesso giovinetto divenuto erudito, celebre al suo tempo come "il Ventimiglia", e che pure non esperimentò, come ambito, il motto "Nusquam bene nisi in Patria" = ma anche opera innovativa quanto coraggiosa per le postulazioni e presumibilmente troppo moderna per la temperie epocale, scritto comunque in qualche modo rivoluzionario ed ancor più (che nella dimensionalità e specificità storiografica, concernente uno spazio superiore a quello del territorio del Capitanato e forse più identificabile con l'areale della Diocesi Intemelia in qualche maniera calco del "Municipio Romano di Albintimilium = a titolo d'esempio vale la pena di uno stralcio, per altre ragioni e piccola parte, recuperato e stampato su Bordighera a p. 43 della "Biblioteca Aprosiana") procedendo la disanima dalla frontiera dell'epoca all'area del confine diocesano della Lissia- rivoluzionario per l'importanza conferita a fianco di un sempre più razionale collezionismo sia antiquario che investigativo
per la crescente utilizzazione delle così dette scienze sussidiarie, tra cui un ruolo egemonico prese subito -a fronte d'una certa sine cura italica e fratesca-
la scuola tedesca
anche se purtoppo
assieme a tanti libri e manoscrtti di grande valore, il materiale antiquario, raccolto da Aprosio in Ventimiglia Romana ma anche nei suoi viaggi, e quindi conservato, a corredo della Biblioteca Aprosiana, in apposite collezioni è andato disperso attraverso le molteplici vicissitudini della grande crisi di "Libraria" e "Convento" :
partendo dalla settecentesca battaglia detta di S. Agostino durante la guerra di Successione al Trono Imperiale d'Austria
per giungere alle dicutibili operazioni di spoliazione culturale per legge imposte ai tempi di Napoleone I
senza nemmeno dimenticare sullo stesso tema l'abbandono per l'allontanamento dei frati e gli "acquisti" di molti privati collezionisti registrati anche da vari autori ottocenteschi:
per giungere infine ai non meno perniciosi eventi della II Guerra Mondiale
Dell'aprosiano lavoro delle Antichità di Ventimiglia (conserviamo qui per praticità la intitolazione di prassi) si darà
************contezza globale a stampa per intiero e non per sarcine narrative al momento opportuno e fatte le debite ricostruzioni critiche************
essendo stato, per le motivazioni qui più volte segnalate ma ancora qui seppur variamante riproposte, smembrato in settori l'insieme del manoscritto dal corpo unico sì da venir editato per piccole parti disposte però in sezioni anche tematicamente diverse di più opere (se non addirittura della medesima), ora lasciato per settori inedito entro il vasto materiale manoscritto aprosiano in fascicoli altrimenti intitolati e soprattutto ancora, in parecchie circostanze, redatto in crittografia da A. Aprosio viste distinte motivazioni tra cui una certa sua preoccupazione attesa l'aleggiante, in apparenza sussurrata ma in effetti rancorosa freddezza quale risposta alle critiche, giuste, da Angelico mosse avverso gli storici ufficiali di Ventimiglia in qualche modo capeggiati da G. G. Lanteri ed altresì vagliate alcune opposizioni pregresse, ed in essere, variamente patite da Aprosio per le sue iniziative culturali quanto tenuto conto, anche in dipendenza del suo carattere polemico ed intellettualmente altezzoso, di alcune accidiose reazioni variamente esternate da confratelli ed altri religiosi anche aizzanti a suo danno parte della popolazione (argomento assai pericoloso dato il momento storico = mutatis mutandis Aprosio lo stornò non senza qualche forzatura ma coerentemente in linea logica e pubblicistica -nulla dando alle stampe in maniera esplicitamente polemica ed aggressiva su un tema sì delicato ma verisimilmente facendo intendere, divulgando o pubblicamente esprimendo oralmente il suo parere- avvalendosi comunque anche per l'inedito di un procedere prossimo se non proprio simile a quello dell'Accetto sostenendo che la Biblioteca -oggetto delle proteste
per supposto sperpero di denaro pubblico ma Prima Pubblica in Liguria la eresse " anche " a pro dei popolani onde (risultando in essere l'acceso e lungo contenzioso tra cittadini e villici per una scissione amministrativa tra Ventimiglia e quella che di fatto per sanzione della Repubblica di Genova sarebbe divenuta la Magnifica Comunità degli Otto Luoghi)
servisse a tutti specie ai poveri, essendo "pubblica", sì da fruire gratuitamente della consultazione senza assumere costosi
patrocinatori, causidici ed avvocati dei testi giuridici in essa conservati per questa ma anche altre ragioni nelle cause contro privati, istituzioni, Chiesa.
Affettazione ed Onesta Dissimulazione erano un modo epocale di scrivere ed agire: ma in caso di dettagli più pepati si ricorreva facimente all' iconologia come in questo caso a riguardo della Suora "femminista" Arcangela Tarabotti (in cui reciprocamente compaiono tracce di come cripticamente i due si offesero: con fantasiosa e abbastanza volgare prevalenza aprosiana) o come detto a composizioni alfanumeriche (come in merito all'Emblema dell'Aprosiana) se non alla crittografia come ancora nel citato caso di parti delle Antichità di Ventimiglia
= crittoscrittura di cui sopra si propone nella grafia aprosiana la correlazione fra segni convenzionali e lettere reali di riferimento. Tutto ciò per dare idea della innovativa prudenziale cura aprosiana ai fini della segnalazione di concetti ed idee specifiche spesso sfuggite dalla penna (vedi da metà p. 258 della Biblioteca Aprosiana una considerazione sugli eruditi di Ventimiglia) ma che talora era meglio rinchiudere nello scrigno dei segreti cui potessero accedere "Fautori" però opportunatamente iniziati,
si vede un'ipotesi di soluzioni grafiche atte a sostituire i segni linguistici convenzionali.
Come si è scritto sopra Aprosio per molteplici ragioni , non esluso l'arrivo di Domenico Antonio Gandolfo, ma anche per una maggiore qualità di autocontrollarsi appresa con il tempo e le esperienze negative esperite si era andato adeguando, salvo impreviste levate di capo legate al carattere, a comportamenti, poi recepiti pienamente, di "affettazione ed onesta dissimulazione", non evitando altresì il ricorso alle forme di comunicazione più criptiche di cui si è appena prima dissertato = un attestato di questo comportamento -per quanto ondivago data la menzionata indole- lo troviamo proprio in uno scritto, già inedito, in cui, avendo occasione di dedicare il capitolo IX della II parte rimasta inedita dello Scudo di Rinaldo, al nobile siciliano ma di ascendenze intemelie Giovanni Ventimiglia peraltro da lui apprezzato esponente del'Accademismo Meridionale e del pari da lui già difeso nel contesto di un dibattito filologico acceso del patrizio con il misterioso letterato di Messina Antonino Merello Mora su cui si son di recente fatte acquisizioni rilevanti e di cui qui si propone -a titolo documentario- la digitalizzazione di un'opera chiave di cui al mondo è noto questo solo esemplare intitolato Arcadio Liberato. Nel contesto della citata dedica qui proposta del capitolo XI dello Scudo di Rinaldo II e già inedito è fuor di dubbio come Aprosio abbia saputo far ricorso all'onesta dissimulazione segnalando all'interlocutore lo storico ufficiale di Ventimiglia -ma senza evidenziarne i palesi limiti- ed anzi citandone i difetti poi venuti alla luce -anche in relazione ad altri difetti documentari a scapito dell'Italia Sacra dell'Ughelli- con la prudenza dell'affettazione, senza far nomi ma facendoli intendere menzionando le sviste che da altri sarebbero state accostate palesemente al nome
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Angelico Aprosio era sicuramente un umorale ed un polemico oltre che probabilmente un vanesio come tanti eruditi del suo tempo ma contestualmente era anche un "semplice" -cosa che spesso si coniuga con un'indole ribelle ai formalismi quando si possono evitare- cosa che per certi aspetti può accostarsi seppur variamente all'appellativo datogli di "poeta" = la sinergia od il sincretismo di queste due postazioni [fortificate dalla convinzione dell'autorità in "Patria" conferitagli dalla sua reale rinomanza e fama epocale (cose indubbie e garantite dal gran numero di ammiratori ed assidui corrispondenti)] a suo giudizio, avventato e semplicistico, avrebbero dovuto costituire un palinschermo. Un antemurale magari cedevole talora a fronte di quelli che lui riteneva autenticamente potenti e con cui aveva dovuto anche inghiottire "bocconi amari" ma quasi certamente efficace in un contesto più provinciale dove, credeva lui, avrebbe forse potuto presentarsi come una sorta di "Veggente Autorevole".
Ma le cose non stavano e non stanno e mai staranno così = che si tratti del "Mondo Grande" o del "Mondo Piccolo", ritualità sociale e storia vogliono spesso che i valori già sanciti sian prioritari e che i "nuovi arrivati", per quanto prestigiosi, debbano seguire una trafila dettata da cnsuetudini e consolidati ritmi di vita sociale. In tutto ciò risiede una ineluttabilità che Aprosio, come detto dall'alto di una fama che però a Ventimiglia aveva avuto echi relativi ed in ambienti settoriali della cultura e della religione, finì colpevolmente per ignorare lasciandosi andare ad una serie di esternazioni anche non prive di fondamento ma giammai mitigate dagli estri dell'onesta dissimulazione e dell'affettazione, in definitiva della diplomazia spicciola sì da rimanerne di seguito demoralizzato e scosso al punto di scrivere note di delusione.
L'arrivo del maggiormente realistico e diplomatico suo discepolo Domenico Antonio Gandolfo gli fu più giovevole di quanto si creda e -a prescindere dai dialoghi di cui sapremo sempre poco anche se qualche traccia rimane come nell'abbastanza sorprendente consiglio aprosiano dato al giovinetto e cioè di non far lasciti, come nei suoi desideri, alla "Libraria"- colui che sarebbe divenuto illustre per vari motivi ed addirittura a Roma ove fu trasferito in seguito e che si meritò l'appellativo di Concionator o Predicatore dell'Ordine Agostiniano seppe dare utili consigli al Maestro, non ultimo quello di non astrarsi come fatto dalla vita sociale ma, utilizzando vari mezzi dall'affettazione alla crittografia, di dare a quanto divulgato, verbalmente o per iscritto, una veste quantomeno meno aggressiva se non auspicabilmente più diplomatica, anche a costo di "relegare nel cassetto" le esternazioni più pepate in attesa di quietare i proprio umori e nel caso dar loro, in seguito, una caratura più consona al pragmatismo sociale.
Aprosio, sia per le esperienze vissute sia per l'età ma forse soprattutto per questi consigli, vi si adeguò, anche nel caso di affrontare temi pregressi, apparentemente sepolti, ma senza mai davvero sapere se potesse sussistere qualche permaloso sostenitore di antichi nemici. Per esempio nella circostanza di cui ora si va a parlare Angelico non usò segni convenzionali di cui si sia reperita attestazione ma, a dimostrazione che le polemiche aprosiane non dovettero mancare di pepe nemmeno "in patria" e che forse era meglio non rinvangare antichi scontri lasciando come detto "nel cassetto le discussioni" (del resto prima di stampare al frate era sempre concesso anche in rapporto all' Imprimatur -mai semplice da ottenere per le molteplici autorità ecclesiastiche che vi avevano competenza- il tempo di cassare e/o sopprimere per usarle nascostamente parti a rischio) se ne rimase quieto affidando alla penna e poi al silenzio il ricordo di vechie e sgradevoli storie che avrebbero però potuto riaccendere sopiti focolai.
Ritornando ai suggerimenti gandolfiani, ad una crescente quiete esistenziale d'Aprosio giunge alla fine emblematica un'esperienza locale in cui si fa riferimento al dibattito, peraltro a suo tempo acceso, inserito nella II parte dello Scudo di Rinaldo già inedita relativa al qui riprodotto urto ideologico ma anche legale tra gli amici aprosiani
l'architetto ingegnere Francesco Marvado Candrasco e il dotto sacerdote di Dolceacqua Giovanni Battista Maccario (o Macario) ed
il conservatore religioso detto da Aprosio Tragopogono, "Animale" ed anche "Cramatofilo" e "Filocremato" in merito alla realizzazione della Chiesa del Suffragio nella villa di Camporosso = anche qui parti pepate che non avrebbero forse ottenuta l'autorizzazione alla stampa dalla Censura Ecclesiastica non mancano qui e in casi ulteriori, come per esempio quando Angelico si sbilancia troppo apertamente contro l' avarizia di parecchi religiosi , quando affronta la vicenda drammatica d' un Religioso punito dal Sant'Uffizio per aver violato il voto di celibato ecclesiastico e, cosa davvero sorprendente dopo certe sue esternazioni giovanili alquanto conformiste, l'improvviso cambio ideologico di rotta in merito alle Monacazioni Forzate = costumanza che definisce barbara, ad esclusivo tornaconto delle famiglie e a danno di fanciulle per nulla votate alla vita spirituale: ma sono questi solo esempi assunti a caso fra molte altre tematiche non prive di insita pericolosità agli occhi della Censura (basta qui scorrerne un indice modernamente allestito) e comunque il problema non si pose -per le citate molteplici ragioni di cui si è parlato e che, anche su altrui consiglio, avevano finalmente edotto l'Aprosio in direzione della cautela e della silente prudenza- essendo come detto sopra rimasta inedita l'opera sin a tempi abbastanza recenti).
[Prima di entrar nel merito delle crittoscritture val la pena di una chiosa = nonostante il carattere indocile Aprosio finì per divenire una figura istituzionale ai fini anche della sua Biblioteca comunque ammirata e tale da attrarre personaggi illustri a Ventimiglia ed occorre riconoscere che dopo la morte il suo funerale risultò davvero sontuoso ma verosimilmente in ciò ebbe gran peso il suo amato discepolo Domenico Antonio Gandolfo che al tempo era Priore e nuovo bibliotecario: il quale oltre a curare meticolosamente e personalmente i funerali del Maestro si sforzò -riqualificandone i meriti ed attirando varie simpatie su se stesso e la Biblioteca Aprosiana- di assemblare attorno alla Libraria ventimigliese i dispersi intellettuali non solo di Ventimiglia ma di tutto l'areale senza escludere la Francia e il Basso Piemonte]
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In merito alle scritture cifrate od ai giuochi paralinguistici le procedure aprosiane risultano elaborate nel contesto della epocale tradizione per la
CRITTOGRAFIA il cui fulcro all'epoca - giudicato proprio di vari settori non esclusa la Magia- era la "STEGANOGRAFIA DEL TRITEMIO".
Si tratta di codici di comunicazione e linguaggi cifrati anche a sostegno della documentazione da gestire sia in