A proposito di DONNE RIBELLI agli schemi dell'egemonia maschile
e sessuofoba - come d'altronde si è già visto - non sono certo
da dimenticare le urla ed i silenzi di tante di loro, chiuse nei
conventi contro ogni volontà ed aspirazione: il caso di
Gertrude, della manzoniana Monaca di Monza è infatti solo
l'apice, la sommità di un iceberg inquietante [ed anche
mostruoso, sì mostruoso come - fra mille condanne - ebbe in
qualche modo coraggio di scrivere la veneziana ARCANGELA TARABOTTI, che fu suora
contro la propria volontà, nel suo proibitissimo Inferno
Monacale o come nel '700 avrebbe ribadito, con slancio e ragioni
morali ben diverse da quelle del moderatissimo Manzoni, un
illuminista quale fu Diderot, autore fra l'altro (presentendo e
certo anticipando quella Costituzione Civile del clero del
1792 sancita dalla Rivoluzione e, pur tra formidabili
opposizioni, accolta come una liberazione sia in molti conventi
femminili sia dal clero minore, regolare o secolare che fosse)
di una denuncia spietata, ne La Religiosa, degli abusi storici
contro le donne: i contorni reali del dramma di Virginia di
Leyva e della sua imposta relegazione nel convento di Monza -
donde è poi derivato il celebre episodio manzoniano di Gertrude
nei Promessi Sposi, si possono comunque oggi leggere in
M.MAZZUCCHELLI, La Monaca di Monza, Milano, Dall'Oglio,1961]. Ma per certi versi, visto anche quanto si è poco prima scritto
su di lui, è ancora più sorprendente - se non strabiliante -
che, presso il fondo aprosiano della Biblioteca Universitaria di
Genova, da pagina 398 [linea 2] della mai edita parte II del suo
Scudo di Rinaldo (lavoro che ho tuttavia in gran parte
utilizzato e trascritto nella mia citata monografia del I numero
della "Nuova Serie" dei "Quaderni dell'Aprosiana") si possa
scoprire il modo "nascosto", ma probabilmente sincero e certo
più energico di quello manzoniano, con cui Aprosio affrontò il
tema delle MONACAZIONI FORZATE, problema evidentemente assai più
complesso di quanto si creda e certo temuto dalla Chiesa romana
alla stregua d'un pericoloso "innesco" per ulteriori polemiche e
conseguenti spinte scismatiche. La maniera con cui ANGELICO APROSIO discusse la questione delle MONACAZIONI FORZATE [occorre però dire che la Chiesa Romana, oltre a vigilare e pubblicare TESTI SPECIFICI onde tutelare le fanciulle da COSTRIZIONI AD OPERA DELLE FAMIGLIE, mirava anche a salvaguardare i RELIGIOSI sostenendo la SELEZIONE DI GIOVANI VERAMENTE CONVINTI E PREDISPOSTI all'esperienza del NOVIZIATO] pare più erudita e forse
amaramente sarcastica che fieramente polemica - come invece
"vorrebbe sembrare", - ma comunque dovette rivelarsi bastante ad
attivare le investigazioni del Sant' Ufficio; forse anche per
questa ragione l'opera, che risente spesso e volentieri
dell'atmosfera libertina degli "Incogniti" veneziani (senza
neppure escludere l'"apostata" Brusoni) e dei contatti culturali
- in origine di COLLABORAZIONE EPISTOLARE - con la stessa
Tarabotti, fu abbandonata dal frate intemelio allo stato di
manoscritto. Infatti entro questo vasto lavoro d'erudizione e di
interventi moralistici (ove interagiscono osservazioni
discordanti e non raramente in sorprendente antitesi con la
salda architettura controriformista ed inquisitoriale cui, in
linea almeno formale e di mera precauzionale convenzione,
l'Aprosio cercò di identificarsi), si riscontra un'osservazione
del frate, sicuramente estranea al giudizio cattolico vigente. Proprio nello Scudo di Rinaldo II, Aprosio [forse anche suggestionato dalla narrativa francese sotto la specie, in particolare, di particolari autrici come Maddeleine de Scudery della quale in Italia la produzione fu veicolata dalle traduzioni di Maiolino Bisaccioni (ed al riguardo non può esser passata inosservata all'agostiniano di tale autrice la Clelia" e quanto scrittovi contro le monacazioni coatte)]
sviluppa un discorso coraggioso e interessante, sull'uso e l'abuso delle
MONACAZIONI FORZATE in vigore fra tante famiglie agiate, quasi solo per
salvaguardare i patrimoni, sistemando decorosamente i figli
cadetti: ". . . Come queste [le novizie] vi entrano forzatamente
[nei conventi] per la TIRANNIA PATERNA [non pare casuale -quasi di un ripensamento a fronte di certe postulazioni della defunta "rivale"- che Aprosio riprenda il titolo originario dell'opera della donna che fece tanto scalpore
e che poi, sempre restando una denuncia coraggiosa contro questi
abusi di famiglia, sia stata editata postuma come La Semplicità Ingannata anche se
presto, nel 1660, messa all'Indice dei libri proibiti] in vece
del PARADISO che vi ritrovano le chiamate da Dio, provano un
INFERNO [Inferno monacale fu titolo della più contestata opera
della Tarabotti, pubblicata solo in tempi recentissimi ma ben conosciuta fra gli
eruditi in forma di copie manoscritte e che comunque le costò
una sorta di segregazione forzata nel suo convento veneziano di
S.Anna di Castello] nella vita: e voglia Dio non segua lo stesso
morendo, come che distintamente possano accomodarsi alle
osservanze della Religione. E che ciò sia vero sentasi da uno
squarcio d'una frottola [componimento di origine popolare, di
contenuto estemporaneo e metrica alquanto libera: dopo il '500
venne invece gradualmente stabilizzando la sua metrica in cui
prese a prevalere l'endecasillabo e finì per sviluppare
tematiche sempre più varie, talora anche di argomento basso e
scurrile: vedi.E. BONORA, Dizionario della letteratura
italiana, Milano, Rizzoli, 1977 ,s. v.] di B. Cingoli:
Monacelle incarcerate
Siamo state già molt'anni
Per uscir di tanti affanni
Siamo al secolo ritornate.
Fanciullette semplicette
Pure, et sciocche ne' primi anni
Fummo fatte monacelle
Con lusinghe et inganni
Ci vestiron questi panni
Dipingendo a noi l'inferno
Perche fussimo in eterno
Ne io....[illeggibile]
Spesso a ve[illeggibile] nostre madri
Come fanno ogn'un c'intende
Degli antichi e Santi padri
Già narravan le leggende:
Breve essemplo lega e prende
Un cor puro, e feminile
Perchè è credulo, e gentile
Cosi fummo noi ingannate
Iniqua, o crudel sorte
Fan avversi, amari e tristi.
O feroce, o aspra morte
O terren, che non t'apristi!
Come, madre, acconsentisti
Senza frutto, e con asprezza
Mentre fummo imprigionate.
Nuovamente siam tornate
A le nostre case antiche:
Padri e madri ci han scacciate
Come lor mortal nemiche
Dicon, ch'han troppe fatiche
A dotar l'altre sorelle
Non che lor sian savie e belle
Ma or son piu avventurate.
Se i nostri padri antichi
Per lor colpa, e negligenza
Furon poveri, e mendichi
Faccian lor la penitenza,
che vera è quella sentenza:
Chi fa'l mal sia castigato:
A purgar l'altrui peccato
Qual giustitia ci ha dannate.
Questa Dea, ch'al mondo regna
Cieca, sorda, aspra, e fallace.
A chi è madre, a chi madregna
Toglie, e da come a lei piace
A chi guerra, a chi da pace:
Se son piu sorelle l'una
Siede in grembo a la Fortuna
[p.400] L'altra vien da lei scacciata
L'una è sempre in doglia e pianto
L'altra è sempre in gioco, e'n questa
L'una ha vezzo, e'l ricco manto
L'altra il bigio, e'l velo in vista. Ma Dio buono! quando un padre, ed una madre pensano d'arrolare
alla militia di Cristo il figliuolo o la figliuola, pensano
forse di dargli il migliore? Se tra figliuoli ve ne sarà qualche
discolo, sciocco, inetto e non meno salace di Sardanapalo, si
tratta di farlo Frate, o per lo meno Prete. Se la figliuola
sarà con gli occhi strambi, con le spalle incurvate, con gambe
diseguali, difettosa da cap'a piedi si pensa subito di
monacarla. Sovviemmi d'uno il quale haveva un figliuolo maschio
e due figliuole femine da mogli diverse: il maschio dalla prima,
e le femine dalla seconda. Questa desiderosa, che le figliuole
rimanessero di quelle poche facultà che godevano non lassava di
persuadere il marito a voler procurare che'l maschio fusse
ricevuto in qualche Religione. E perché haveva gran dominio
sopra di lui per esser giovane, bella ed egli d'età ad essa dii u
molti anni superiore non s'acquetò per infino a tanto che
l'indusse a trattarne".
Prima di riportare la sarcina aprosiana, rimasta inedita a lungo e scritta per un'opera relativamente tarda come lo Scudo di Rinaldo parte seconda si son avanzate delle ipotesi non peregrine, in particolare citando un qualche ripensamento aprosiano sulla condizione umana, una sorta di riavvicinamento alla Tarabotti, anche la possibile influenza della narrativa femminile francese.
Nulla di tutto ciò è inverosimile ma con un autore quale Aprosio, spesso così restio a rivedere le proprie postulazioni, un discorso siffatto contro le monacazioni forzate può suggerire qualche cautela interpretativa: ed in merito a ciò nulla vieta di pensare che la svolta aprosiana sia connessa alla svolta del Sant'Uffizio innescata dalla diffusione della Instructio.
Adriano Prosperi (cit., p. 404), pur menzionando la necessità di ulteriori indagini a fronte di un auspicabile e sempre più esteso sondaggio sulle carte dei verbali del Sant'Uffizio, non può far a meno di registrare una constatazione percepita con stupore dagli antichi inquisitori: che cioè proprio gli ambienti monastici e frateschi avessero finito con il risultare il principale "luogo d'origine degli inganni e delle simulazioni di presenze diaboliche".
A prova di tale impensabile fenomeno nel seguito delle sue documentate riflessioni Prosperi cita, esemplarmente, il canonista spagnolo Francisco Peña (1540 - 1612) celebre per le molte sue opere ma anche per una revisione del Directorium inquisitorum di Nicolas Eymerich: vedi per esempio
Directorium inquisitorum F. Nicolai Eymerici ordinis praed. Cum commentarijs Francisci Pegnae sacrae theologiae ac iuris vtriusque doctoris... In hac postrema editione iterum emendatum et auctum, et multis litteris apostolicis locupletatum, Romae : In aedibus populi Romani, apud Georgium Ferrarium, 1587.
Presso la Biblioteca Nazionale di Napoli (ms. Branc. I B 7, cc. 51r - 54v) lo studioso segnala l'individuazione di due lettere spedite dal Sant'Uffizio romano ai vescovi di Reggio Emilia e di Piacenza. Nelle missive si possono studiare episodi analoghi: in una due monache del cenobio di S. Tommaso di Reggio Emilia risultano accusate di esser malefiche e d'aver fatto morire, tramite arti demoniache, 14 consorelle, nell'altra lettera si parla del moastero piacentino di San Bernardo ove, per la morte dai connotati indecifrabili di tre monache, era stato istruito un procedimento investigativo che aveva comportato l'interrogatorio di molte monache, ma anco tre exorcisti, dui medici, un chirurgo, et barbiere.
Ma queste lettere costituivano solo l'espressione di un fenomeno esteso: sempre Adriano Prosperi registra quanto dal Sant'Uffizio si scrisse al vescovo piacentino riprendendo quanto parimenti spedito all'episcopo di Reggio: "La Santità di Nostro Signore, havendo inteso il parere di questa sacra Congregatione del Santo Officio, ha ordinato che si significhi a V. S. che la materia de' maleficij in sé è fallace et altrettanto pericolosa quanto dannosa, sì nella verificatione de' maleficii come nel trovar l'autori di essi".
E sono grossomodo le stesse parole con cui il cardinal Mellino si rivolse nel 1624, trattando di stregoneria e spedendogli l'Instructio, al vescovo di Lodi.
Nell'epistola al vescovo di Reggio Emilia compariva però anche altro, non si citava l'Instructio ma si parlava apertamente di un procedimento mal gestito: "E' rincresciuto molto che siano state interrogate sopra diverse cose de' quali non vi erano inditii, e suggestivamente"; non si approvava l'uso della tortura ("et avanti di confessar li sia stata comminata la tortura") a ragion della quale eran stati fatti i nomi d'altre monache partecipanti ad un sabba: "...di più si siano essaminate monache le quali si pretendino spiritate et altre nominate dall'istesse due pretese ree d'esser state viste ne' ridotti del demonio, il che non si sole attendere rispetto alli complici, potendo ciò haver origine da illusioni causate dal Demonio patre et autore delle bugie"
Gli "Statuti Criminali di Genova" affrontano con rigore (visti
anche gli accordi in qualche modo - per quanto non sempre
equilibrato - intercorrenti fra Stato e Chiesa, fra giudici
laici ed Inquisitori del Santo Uffizio) il "problema" delle
suore o comunque delle donne relegate a tempo determinato, di
propria scelta o per volontà di famiglia, nei monasteri. Nel
libro II degli "Statuti" al capo III si sanzionano per esempio
la condanna capitale per chi abbia rapporti sessuali in convento
con una suora, multe da 300 a 600 lire, in casi di recidività,
per chi entri in convento senza autorizzazione ecclesiastica ed
al capo IV si minaccia ancora il supplizio estremo per chi
rapisca dal convento suore consenzienti o no. LaVITA NEI CONVENTI FEMMINILI era controllata da leggi severissime, principalmente garantite dall'istituto della CLAUSURA, a tutela del distacco totale delle SUORE dalle presunte TENTAZIONI MONDANE.
Molto si scrisse sull'argomento ma per l'enciclopedica peculiarità si può qui proporre la BIBLIOTHECA CANONICA... del giurista e teologo francescano Lucio Ferraris che ai primi del '700 trattò in vari punti della sua monumentale silloge il tema: per una esemplificazione basta comunque rimandare chi legge alla consultazione della voce CONVENTUS e specificatamente dell'ARTICOLO III APPUNTO CONCERNENTE I CONVENTI DI CLAUSURA.
Ma per un approfondimento decisamente esaustivo, benché amplissimo e non sempre di facile decrittazione data anche la specificità della terminologia, di questo autore resta, per i ricercatori, pressoché essenziale affrontare dalla stessa opera di Lucio Ferraris la smisurata voce **********************MONIALES (MONACHE)**********************.
Con il sostegno di un poderoso apparato critico e bibliografico Lucio Ferraris praticamente affronta tutti gli argomenti concernenti la VITA CLAUSTRALE DELLE MONACHE con peculiare attenzione al periodo compreso tra XII e XVIII secolo.
La sua trattazione, corredatissima di documenti si svolge per veri e propri SETTORI: che specificatamente corrispondono nell'opera all'
ARTICOLO I ["TUTTO QUANTO CONCERNE L'EDUCAZIONE, IL NOVIZIATO E LA PROFESSIONE DELLE FANCIULLE CHE ASPIRANO A FARSI MONACHE" (TRAD. LIBERA DAL LATINO)], all' ARTICOLO II ["TUTTO QUANTO CONCERNE AL NUMERO, LA DOTE, LA SITUAZIONE ECONOMICA ED IL LIVELLO DELLE MONACHE" (TRAD. LIBERA DAL LATINO)], all'ARTICOLO III ["SULLA CLAUSURA DELLE MONACHE" (TRAD. LIBERA DAL LATINO)], all' ARTICOLO IV ["TUTTO QUANTO RIGUARDA LA FREQUENTAZIONE DEI MONASTERI E LA CONVERSAZIONE DELLE MONACHE CON I POSSIBILI VISITATORI" (TRAD. LIBERA DAL LATINO)], all' ARTICOLO V ["TUTTO QUANTO RIGUARDA LE RELAZIONI POSSIBILI DELLE MONACHE CON I LORO CONFESSORI TANTO ORDINARI CHE STRAORDINARI" (TRAD. LIBERA DAL LATINO)] sin al conclusivo ARTICOLO VI ["MISCELLANEA DI ARGOMENTI ALTROVE NON TRATTATI ADEGUATAMENTE IN MERITO ALLA VITA CLAUSTRALE DELLE MONACHE" (TRAD. LIBERA DAL LATINO)].
L'argomento della CLAUSURA e comunque di una rigida sorveglianza sulle religiose era così profondamente sentito che, a prescindere da quanto scritto nel già ampio ed esauriente articolo menzionato, Lucio Ferraris ritornò variamente nella stessa opera sulla questione; da argomenti esplicitamente basilari come per esempio quelli concernenti le qualità della reggente di un convento femminile (sempre dalla sua opera vedi qui la voce ABBATISSA = BADESSA) a questioni, solo apparentemente irrilevanti ma di un peso superiore a quello che oggi si può pensare) come per esempio a riguardo delle FENESTRAE (FINESTRE) che nei CONVENTI FEMMINILI dovevano costruirsi, come facilmente si evince dalla lettura della voce relativa, anche con CRITERI PARTICOLARISSIMI sì che le suore non potessero contemplare il mondo esterno.
L'insofferenza a questa forma di prigionia associata all'avvento di nuove idee e di un indubbio progresso civile portarono non molti anni dopo l'edizione del Ferraris ad una vera e propria lotta per la SOPPRESSIONE DELLA CLAUSURA, lotta che ottenne poi facile successo in forza dei postulati dell'illuministica RIVOLUZIONE FRANCESE E QUINDI DEL GOVERNO NAPOLEONICO.
Nei CONVENTI DI CLAUSURA sostanzialmente esercitavano un ruolo egemone le suore che, per accordi di
famiglia e leggi del maggiorasco o maggiorascato, vi si
relegavano provenendo dai ceti nobiliari e patrizi, senza alcuna
vocazione (a monacazioni forzate e coinvolgimenti sentimentali
di suore in fatti delittuosi non si manca di far cenno negli
Statuti di Genova alla rubrica Dei rapimenti del lib.II o "Delle
Pene"). Nelle case religiose le donne plebee erano in genere
obbligate a lavori di fatica nonostante le ordinanze dei
vescovi contro queste discriminazioni. I conventi (come ancora
si evince dalle rubriche degli "Statuti Criminali di Genova")
costituivano un contenitore della popolazione femminile
eccedente: da un lato vi si attuava una pianificazione della
distribuzione sociale delle donne, isolandovi quelle che
avrebbero potuto costituire "un gruppo a rischio", non
facilmente controllabile dalla famiglia patriarcale, d'altro
canto - fatto positivo non auspicato dall'egemonia laica
ecclesiastica, maschile e maschilista - i conventi
rappresentavano l'unica struttura socio-culturale in grado di
formare le donne sui parametri intellettuali in auge e dar loro
(come appunto nel caso della Tarabotti) le capacità culturali di
confermare i valori costituiti od al contrario di contestarli
con acutezza di interventi. Dopo il Concilio di Trento, visto che le norme degli "Statuti
Criminali" di ogni Stato, se avevano qualche forza contro i
profanatori della vita nei conventi, ben poca energia
possedevano contro la connivenza di tante religiose scontente o
fatte tali dal principio delle monacazioni forzate, si giunse ad
un inasprimento delle pene contro tutte le Suore variamente
colpevoli, anche di reati comuni, commessi internamente al
convento e quindi giudicabili dall'autorità della Chiesa per
effetto dei principi giuridici dell'immunità e del foro
ecclesiastici.
Nel caso di Religiose o Monache ree di gravi colpe come "i
ladronecci, i tradimenti, gli spergiuri e l'impudicizie", oltre
a varie penitenze, successive alla "confessione ed al
pentimento" od al "castigo segreto" comminabile per sentenza
delle autorità ecclesiastiche, non era più concessa l'espulsione
dal convento ma veniva imposta una serie di segregazioni (come
ricorda ancora una volta il citatissimo episodio manzoniano
della Monaca di Monza) alla maniera che scrisse PAOLO RICHIEDEI
[Regola data dal Padre S.Agostino alle Monache..., per il
Rizzardi, in Brescia, 1687], p.172:"[in antico era consuetudine
che] se convinta (rea confessa) una (suora) Delinquente, e
punita secondo le qualità del delitto, s'ostinasse maggiormente
in quello (delitto), e non volesse obbedire, ricusando la
penitenza a lei ingiunta, come incorregibile, e contumace
(recidiva), resti priva del commun consorzio e compagnia
dell'altre e quand'ella volontariamente non si risolvesse di
lasciare il Monistero, sia scacciata a forza da quello...[ma
attualmente contro questa usanza] per decreto nondimeno espresso
dalla Sacra Congregazione sopra i Regolari (frati e monache),
dato sotto li 27 di Maggio 1603, resta ora totalmente interdetto
non volendo per ogni modo che per qualunque grave delitto possa
scacciarsi dal Monistero Religiosa alcuna professa, mentre ciò
apporterebbe non poco scandalo e darebbe facilmente occasione a
qualche Monaca inquieta e contumace, la quale avesse avversione
e ripugnanza alla vita claustrale e religiosa di far ogni male,
per mettere in necessità i Superiori di scacciarla e rimetterla
al Secolo (alla vita laica del mondo). Il che farebbe a lei bel
giuoco, riportando essa da ciò in vece di castigo ogni piena
libertà di godersi il Mondo di nuovo e d'andar all'Inferno per
quella strada, che sarebbe di suo maggior aggradimento e
sodisfazione. Cosa [aggiunge l'autore] che non deve nè può dubitamente farsi, ne
meno in virtù del jus commune (diritto comune)...il quale
concede bensì che possa levarsi una Monaca scandalosa e
incorregibile da un Monistero poco osservante (dal regolamento
interno abbastanza permissivo) e relegarsi in pena in un altro
d'esatta e rigorosa osservanza (praticamente imprigionandola a
vita o tempo determinato, anche "murata" con un "forame" per
ricevere cibo e liberarsi della varia sporcizia, in una cella di
reclusione in un Monastero di rigida disciplina o "Monastero di
correzione"), ma non già di restituirla a Parenti o rimetterla
al Mondo (libera nella società) che sarebbe un perderla...non
dovrà dunque alcuna per qual si voglia eccesso o delitto enorme,
quand'anche fosse incorregibile...scacciarsi dal Monistero ma
punirsi e castigarsi...anche con la carcere formale nel
Monistero medesimo (come nel caso della Monaca di Monza) o
sequestrarsi almeno dal consorzio dell'altre, dovendosi aver da
tutte come scommunicata...chi non vuol la manna, sostenga la
verga, e chi ricusa d'emendarsi con le dolcezze, s'emendi sotto
la sferza. Così deve farsi, afferma su questa stessa
considerazione anche San Gregorio Papa, e deve farsi non tanto
per correggere un solo, quanto per emendar molti in quel
solo...". Tutte queste considerazioni non sono affatto casuali e inducono
davvero a riflettere come la Donna, nella gran parte dei casi,
durante l'età intermedia fosse poco più di un oggetto, da
trattare alla stregua di una cosa e da eludere in vari casi,
estraniandola dal consorzio civile, come una diversità in grado
di diventare una mostruosità (magari per qualche diabolica
"convenzione") ogni qualvolta tendesse ad eludere i meccanismi
nei cui confini era stato delineato lo spazio, molto limitato,
concesso alla sua azione sociale, qualunque fosse il suo ceto ed
il suo ruolo pubblico: ogni ricerca di autonomia poteva essere condannata con una sorta di BANDO dal nucleo della famiglia, qualsiasi rapporto sessuale che fosse stato frutto di un vero sentimento d'amore era spesso mascherato, in quanto non conveniente alle strategia del casato o dei genitori, come azione turpe, se non diabolica, da reprimere senza esitazione e con severità estrema
Come detto la donna era sempre, per radicata convenzione
dell'alto Medioevo, vittima potenziale del MALE, preferibile
bersaglio del Maligno, fragile "oggetto" della casa, anello
debole delle istituzioni e della morale: la sua relegazione
socio-economica era di per sé la risultanza di un sistema
condizionante eppure ogni volta, ed in qualsiasi tempo, siffatta
relegazione poteva esser sovraccaricata dalla forza di rinnovate
istanze reazionarie, non escluse quelle energie culturali di
retroguardia che, sulla soglia degli estremismi, fossero
addirittura in grado di giudicarla non solo "vittima
predestinata" della "Bestia" o Mostro od Uomo Nero che fosse, ma
di ritenerla capace essa stessa, per magia o colpevole
disposizione morale, di risultare connivente della Bestia stessa
e "genitrice" di colpevoli, incomprensibili mostruosità.
"Rivolta" contro le "Monacazioni forzate
"E anche noi saremo madri..." suggerisce l'IMMAGINE DI UNA SUORA CHE SI TOGLIE L'ABITO CLAUSTRALE dipinta nel 1792 da Jean-Jeacques Lequeu sotto gli effetti anticlericali della Rivoluzione francese: l'immagine, polemica e sensuale della suora che, lascivamente si scopre il seno alludendo esplicitamente alla sua femminile, costituì un vero manifesto della Costituzione Civile del Clero successiva agli eventi rivoluzionari francesi: nel gesto, indubbiamente provocatorio, par liberarsi tutta la rabbia femminile contro la barbara usanza delle Monacazioni Forzate.
Tuttavia, benchè la Chiesa stessa avesse tentato di arginare l'abuso delle M. forzate e nonostante gli scritti polemici contro tale abuso di vari intellettuali come Leopardi e Carrer, l'usanza in tutta Italia, e soprattutto nel Meridione (per non dividere fra eredi il patrimonio di famiglia e contemporaneamente controllare rigidamente la condizione sociale del sesso femminile) sopravvisse a lungo anche violando le ottocentesche proibizioni legislative degli Stati (per il Nord dell'Italia e quindi anche per il territorio della Repubblica di Genova furono importanti i dettami del moderno Codice Napoleonico) o delle Province italiane di Stati stranieri (Gazzetta Ufficiale di Milano del 29 giugno 1853).
La scrittrice veneta Caterina Percoto, scrivendo a Giovanni Verga una lettera il 2 marzo 1872 in merito al suo romanzo Storia di una Capinera (che è poi storia di una Monacazione forzata ottocentesca nel catanese maturata su personali conoscenze del narratore siciliano), tenne a precisare che "...la sua bella Capinera...tocca con tanto cuore, una delle più dolorose piaghe che affliggono nel mio sesso la nostra società. Qui nel Veneto, grazie al codice Napoleone, è sparita da un pezzo la trista consuetudine di sacrificare alla vita monastica le povere nostre giovinette; ma dura tuttavia il barbaro costume di educare le donne alla clausura..."(CATTANEO, p.110).
i testi di questo sito sono stati scritti dal Prof. Bartolomeo Durante
Si precisa inoltre in particolare che questo lavoro non è a scopo commerciale ma di divulgazione culturale e per uso documentario - Professor Bartolomeo Durante