cultura barocca

Giano Nicio Eritreo (pseud. di G. Vittorio Rossi)
G. B. Baliano (Baliani): trattato Della Pestilenza
Sara Copio Sullam erudita ebrea veneziana
***Suor Lorenza Strozzi: l'esempio dell'assoluta fede in Dio e nell'immortalità dell'anima***
[AMPI STRALCI DEL TESTO DI DIRITTO CANONICO E DI TEOLOGIA PADRE FELICE POTESTA']
- [GIOVANNI MARIO CRESCIMBENI] L'ARCADIA...
- [AUTORI VARI] NOTIZIE STORICHE DEGLI ARCADI MORTI = OPERA QUI INTEGRALMENTE PROPOSTA, CON INDICI VARI, IN FORMA DIGITALE

**************
[Qui sotto Indice dell'attività aprosiana dell'ultimo ventennio e del già inedito Scudo di Rinaldo II: vero e proprio tragitto attraverso la cultura italiana ed europea del XVII secolo]

***APPENDICE CRITICA***
UN MODERNO
SAGGIO TECNICO
PER ANALIZZARE SCIENTIFICAMENTE E CON NOVITA' DI DATI
MOLTEPLICI ASPETTI DELL'

ATTIVITA' APROSIANA DELL'ULTIMO VENTENNIO:
IN FORZA DI UN'
INTRODUZIONE,
DELLO STUDIO DI LETTERE ALL'APROSIO DI VARI PERSONAGGI QUALI
REDI, (vedi anche TRASCRIZIONE COMPLETA DELLE LETTERE)
CARLO ROBERTO DATI E LE SUE OSSERVAZIONI CRITICHE SU "GABRIELLO CHIABRERA"
ALESSANDRO MARCHETTI (NELLE LETTERE ANCHE DUE SUE LIRICHE E L'INCIPIT DELLA SUA TRADUZIONE DI LUCREZIO) ,
LORENZO LEGATI E LA SUA CORRISPONDENZA CON A. APROSIO,
(VEDI IN PARTICOLARE UNA LETTERA EMBLEMATICA DEL 1673 DI LEGATI AD APROSIO)
COSPI,
MALVASIA,
STENONE
ECC.,

E DELL'EDIZIONE CRITICA DI AMPIE SARCINE DE
LO SCUDO DI RINALDO - PARTE II






1 - SONETTO: NELLA MORTE DI NOSTRO SIGNORE GESU' CRISTO / AL PROPRIO CUORE
2 - PRINCIPIO DEL MIO POEMA FILOSOFICO
3 - SONETTO: CONVERSIONE DI PECCATORE A DIO
























1 - LA PINACOTECA DELL'APROSIANA

2 - LA REALIZZAZIONE DEL MUSEO APROSIANO: LA RESISTENZA DEL FRATE TRAGOPOGONO

3 - NUOVI DATI SULL'ICONA OD EMBLEMA DELL'APROSIANA

4 - "FUNZIONE CROMATICO - ENCOMIASTICA DELLA PINACOTECA NELLA SEDE ORIGINARIA DELL'APROSIANA

5 - IL RITRATTO D'APROSIO DI CESARE RIDOLFI: SUA FUNZIONE COMUNICATIVA E SCENOGRAFICA NELLA SEDE ANTICA DELLA BIBLIOTECA

6 - LA BIBLIOTECA APROSIANA COME "MACCHINA" EVOCATRICE DALL'OBLIO DEI SECOLI

7 - LA BIBLIOTECA APROSIANA COME RAMPINO PER SFUGGIRE ALLA DIMENTICANZA


































































INDICE

FRONTESPIZIO
"REGOLARI" : INDICE DELL'ARTICOLO I (TRADUZIONE DAL LATINO)
"REGOLARI": LE COSE CHE DEBBONO E POSSONO FARE OPPURE NON (TRADUZIONE DAL LATINO)
"REGOLARI" : TESTO DELL'ARTICOLO I (TRADUZIONE DAL LATINO)
"REGOLARI": INDICE DELL'ARTICOLO I (TRADUZIONE DAL LATINO)
"REGOLARI" : LE COSE CHE HANNO A CHE FARE CON L'ESENZIONE O MENO DALLA GIURISDIZIONE DEI VESCOVI PER PARTE DEI REGOLARI, CIO' IN CUI I REGOLARI SONO OPPURE NON SOGGETTI ALLA GIURISDIZIONE DEI VESCOVI (TRADUZIONE DAL LATINO)
"REGOLARI": INDICE DELL'ARTICOLO II (TRADUZIONE DAL LATINO)
"REGOLARI": IN MERITO AI REGOLARI RESISI RESPONSABILI DI QUALCHE REATO" (TRADUZIONE DAL LATINO)












































PINACOTECA: la Pinacoteca della Biblioteca Aprosiana fu l'espressione dei tanti contatti culturali che Angelico Aprosio ebbe con artisti e letterati di vario ambiente, LIGURE in particolare ma non soltanto come si evince, a titolo d'esempio, dagli stretti rapporti del frate agostiniano col vicentino Cesare Ridolfi ed il bolognese Negri (per un approfondimento critico sulla Pinacoteca aprosiana vedi comunque questo ARTICOLO
).
Al riguardo del CONTESTO ARTISTICO FIGURATIVO LIGURE si possono poi menzionare quei

PITTORI ED INCISORI GENOVESI

con cui il frate ebbe corrispondenza letteraria ed anche RAPPORTI DI LAVORO [ricordando altresì le curiosità del frate per i FERMENTI ARTISTICI in atto nel Ponente ligure].
Della RACCOLTA DI RITRATTI [in ciò soprattutto consisteva la PINACOTECA dell’Aprosiana] imponente nel ‘600 e ai primi del ‘700 (varie diecine di esemplari di ritratti dei “Fautori” dell’Aprosiana - in gran parte distrutti dai mercenari austriaci di quartiere al convento agostiniano a metà XVIII sec. durante la “guerra di successione al Trono imperiale austriaco"” fra Anglo-Franco-Spagnoli e Austro-Piemontesi di metà '700)], si conserva ormai ben poco: oltre al grande dipinto centrale nella SALA I del “Fondo storico” detto quadro dell’Aprosio che fu opera del pittore vicentino Carlo Ridolfi esistono oggi alla Biblioteca di Ventimiglia altri 9 ritratti non del tutto identificati:
n.1 Ritratto di Placido Reina (di autore imprecisabile del XVII sec.);
n.2 Ritratto di Gio.Nicolò Cavana all’età di 47 anni;
n.3 Ritratto del conte Bernardo Morando;
n.4 Ritratto del patrizio genovese Tommaso Spinola figlio di Giuliano Spinola (di autore non identificabile)
n.5 Ritratto di Giovanni Ventimiglia all’età di anni 38 (autore non identificato ma di scuola siciliana del ‘600, prima metà del secolo);
n.6 Ritratto di Padre Fabiano Fiorato” (agostiniano, architetto, ideatore dell’ampliamento della “Libraria intemelia opera di anonimo, di bottega locale verisimilmente);
n.7 Ritratto di Anonimo (opera di autore non identificato);
n.8 Ritratto di Gian Domenico Cassini (astronomo massimo dopo Galileo, definito anche “Astronomo dei Re” perchè chiamato espressamente all’osservatorio di Parigi da Luigi XIV>autore ignoto);
n. 9 Ritratto di Padre Paoletti (Agostino Paoletti di Montalcino, erudito e predicatore agostiniano> per un approfondimento si veda “II Quaderno dell’Aprosiana-Miscellanea di Studi”> B.DURANTE, Il ritratto aprosiano di Carlo Ridolfi conservato nella Biblioteca intemelia...., passim.







































COPIO SULLAM, Sara. Erudita ebrea veneziana di XVI-XVII secc. (ancora giovane morta a Venezia nel 1641: ove se ne può ancora vedere la tomba nel cimitero ebraico).
Fu amica e corrispondente del letterato genovese ANSALDO CEBA' che cercò senza successo di convertirla al cattolicesimo [LETTERE DI ANSALDO CEBA' SCRITTE A SARRA COPIA... ,per il Pavoni, Genova 1623 = L'opera è qui proposta integralmente digitalizzata per la significanza e l'utilità che le si attribuisce in rapporto all'epoca ed alla sua temperie spirituale ma altresì in rapporto a certi aspetti poco chiari della postazione aprosiana].
Sicuramente alquanto bella, visti i diversi apprezzamenti maschili che ci sono pervenuti, quasi certamente piuttosto autonoma e nel contempo tanto intellettualmente curiosa quanto intelligente la bionda Sara non si trattenne dal provocare la curiosità maschile in più di un’occasione e fu corrispondente oltre che diretta interlocutrice di parecchi letterati veneziani e non.
Curiosamente manca certezza che abbia scritto davvero qualche opera anche se -fra smentite ed affermazioni di eruditi a lei contemporanei- BALDASSARRE BONIFACIO (abate erudito [Crema 1585 - Capodistria 1659], amico e corrispondente di ANGELICO APROSIO [che di lui e della sua polemica con la Sullam (dalle ultime 6 righe di p. 504) parlò nella Biblioteca Aprosiana...] il quale accese con la colta ebrea una polemica teologica scrivendo Dell’immortalità dell’anima, discorso di Baldassarre Bonifaccio alla Signora Sara Copia) le attribuì uno scritto che avrebbe suscitato interminabili disquisizioni vale a dire il MANIFESTO DI SARRA COPIA SULAM HEBREA, nel quale è da lei riprovata, e detestata l’opinione negante l’immortalità dell’anima, falsamente attribuitale dal Sig. Abate Baldassarre Bonifaccio (per il Pinelli, Venezia 1621) operetta conservata nella raccolta ottocentesca del Gamba intitolata Lettere di donne del secolo decimosesto.
La posizione di Sara Copio Sullam era all'epoca estremamente pericolosa atteso l'irrigidimento della Santa Inquisizione avverso non solo i riformati ma gli stessi
EBREI.
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Vedi qui INDICE VOCE CLERICUS DA BIBLIOTECA CANONICA di L. Ferraris.
Ma se è importante analizzare questa voce per intendere la componente umana della CHIESA perimenti è necessario studiarne la valenza quale STRUTTURA MATERIALE ED ISTITUZIONE.
Nel suo celebre "Vocabolario della lingua italiana" parlando di CHIESA / CHIESE Tullio De Mauro dà le seguenti definizioni "chiesa s.f. (FO) - 1a spec. con iniz. maiusc., comunità dei fedeli che professano una delle confessioni cristiane: la C. cattolica apostolica romana; C. protestante, C. anglicana, C. luterana, C. evangelica, C. metodista, C. riformata, C. valdese | estens., comunità spirituale formata da tutti i cristiani: Gesù Cristo fondò la C. - 1b per anton., spec. con iniz. maiusc., la chiesa cattolica, sia come insieme di fedeli sia come struttura organizzata: i beni della C.; libera C. in libero Stato; le preghiere della C. per la pace | comunità di rito particolare all'interno della C. cattolica: C. ambrosiana - 1c estens., circoscrizione territoriale religiosa: parroco, vescovo che governa la propria c. - 2 edificio sacro in cui si svolgono pubblicamente gli atti di culto delle religioni cristiane: andare in c.; una c. romanica, gotica, barocca - 3 il clero, la gerarchia ecclesiastica.
La definizione è esaustiva per quanto concerne un dizionario e tuttavia per avere un'idea delle infinite VALENZE NON SOLO MONUMENTALI E SPIRITUALI MA ANCHE SOCIALI, ASSISTENZIALI, ECONOMICHE, GIURIDICHE - AMMINISTRATIVE (oltre che MILITARI COME NEL CASO DEGLI ORDINI CAVALLERESCHI) che, nel dettaglio, ai tempi dell'Aprosio e del Gandolfo si conferivano a quel PECULIARE EDIFICIO SACRO detto in volgare CHIESA dal latino ECCLESIA pare ancora necessario rifarsi alle minuziosissime considerazioni fatte dal teologo e giurista francescano Lucio Ferraris nella sua
BIBLIOTHECA CANONICA, JURIDICA...
specificatamente alla voce
*********ECCLESIA*********
la cui ampia trattazione è così ripartita:
1 PROLOGO SOTTO TITOLO DELLA VOCE ECCLESIA e quattro articoli sviluppanti tematiche diverse: per la precisione ARTICOLO I / Ecclesia in sensu morali capta quoad ejus esse, & principales notas - ARTICOLO II / Ecclesia quo ad ejus Visibilitatem, Indefectibilitatem, & Infallibilitatem - ARTICOLO III / Ecclesia materialis quo ad ejus aedificationem, dotatione, & reparationem - ARTICOLO IV / Ecclesia quo ad ejus Consecrationem, Execrationem, & Reconciliationem - ARTICOLO V / Varia miscellanea Ecclesiam concernentia.
I PRIMI DUE ARTICOLI sono di contenuto spiccatamente teologico e spirituale: il loro commento sarebbe improprio, e per le capacità di chi scrive e per il contesto di questo lavoro: la loro consultazione, facendosi guidare dai Sommari con cui iniziano può essere giovevole per intendere la spiritualità della chiesa romana e la sua postazione a fronte di altri culti.
Il TERZO ARTICOLO della voce ECCLESIA, il cui titolo, seppur in latino è chiaro ("chiesa materiale cioè chiesa come edificio sacro: ogni cosa che la riguarda in merito alla costruzione, dotazione ed eventuali restauri") non solo è di lampante chiarezza ma (a prescindere in vari punto dalla citazione dell'unità lineare di misura della canna giudicata basilare per valutare la distanza delle 140 canne "generalmente" obbligatoria per segnare il distacco spaziale tra strutture cenobitiche diverse) si rivela di estrema utilità per la conoscenza di ogni particolare della chiesa quale edificio sacro tra XVII e XVIII secolo. I rimandi storici contenuti fanno sì che quanto meno sia utile qui, voce per voce e con opportuna esplicazione dei tanti punti trattati, si offra un moderno
****************INDICE TEMATICO ****************.
Molto interessante risulta pure il QUARTO ARTICOLO il cui titolo sostanzialmente detta "Tutto ciò che riguarda una chiesa in merito alla sua consacrazione, profanazione e purificazione"
: anche in questo caso risulta assai giovevole, per le ragioni addotte in merito all'articolo precedente, proporre voce per voce e con adeguata esplicazione dei punti trattati, un moderno
****************INDICE TEMATICO ****************.
Una miscellanea di molteplici argomenti riveste invece il QUINTO ARTICOLO: molti trattano le priorità durante le celebrazioni, la disposizione e fruizione di sedili, panche e tappeti, i rapporti di precedenza tra autorità religiose e laiche ed in questo caso (molto specifico e formale) l'indice tematico di seguito proposto è stato dimensionato secondo il sommario ideato dal Ferraris: successivamente venendovi trattati argomenti di più spiccato interesse esistenziale e sociale si è provveduto ad organizzare un moderno
****************INDICE TEMATICO ****************.



















PER RIORNARE ALLE SPECIFICHE E MOLTEPLICI VOCI DEI LEMMI DI RICERCA DISPOSTI IN ORDINE ALFABETICO CLICCA SEMPRE QUI

MOLESTIE SESSUALI - PERPETRATORI DI MOLESTIE SESSUALI: a tutela di religiose, maritate e donne di buona reputazione (secondo i parametri di vari capi del II libro degli "Stat. Crim." che emarginano "Meretrici" e "donne di condizione umile", le "perdute", le "ragazze madri"); ancora a primi '700 lo "ZIGNAGO" (P.I,c.35) scrisse:" "Chi leverà l'onore a viva forza a Figlie, Donne maritate, o Vedove sarà condannato di morte, e chi le baccierà, o le farà atti disonesti parimenti per forza, e con violenza, sarà condannato due anni di "Galera", e chi sarà convinto di "Sodomia", sarà condannato a morte".
La discussione sulle MOLESTIE SESSUALI porta inevitabilmente ad affronatre un tema basilare per Chiesa e Stato quello riguardante le perniciose sfaccettature della
**********************LUSSURIA**********************

un argomento secolare su cui molti interpreti si sono affrontati e confrontati: tra questi un posto di rilievo all'epoca aprosiana spetta certo a Felice Potestà autore di questo importante ed esaustivo TESTO DI DIRITTO CANONICO.
Per la scientificità della disposizione tematica e dell'apparato bibliografico [che tratta una marea di voci anche non strettamente religiose per una superiore regolamentazione della vita civile = vedi ad esempio la voce "LUDUS" (GIOCO) e parimenti
TANTE ALTRE VOCI DI VITA CIVILE INTERAGENTE CON QUELLA RELIGIOSA INSERITE IN QUESTO INDICE]
a districarsi compiutamente in questo sterminato campo di indagine più di tutti giova il teologo e giurista francescano (XVII - XVIII secolo) LUCIO FERRARIS che tra innumerevoli altri argomenti (per esempio la complessa realtà della VITA MONASTICA FEMMINILE (MONIALES) analizza con spessore critico nella sua monumentale
BIBLIOTHECA CANONICA....
il tema non solo della
********************LUSSURIA********************
in sè ma anche tutte le specificità connesse alle COLPE LAICHE E RELIGIOSE VARIAMENTE CONNESSE ALLA LUSSURA tra cui il concetto di
DILECTATIO MOROSA
ed in chiave assolutamente negativa il proliferare di
PROSTITUZIONE E/O MERETRICIO.
La LUSSURIA già nel SOMMARIO - PUNTO 2 risulta organicamente trattata e, nell'analisi, suddivisa in SETTE PARTI SOSTANZIALI corrispondenti alle voci Fornicatio, Adulterium, Incestus, Stuprum, Raptus, Sacrilegium & peccatum contra naturam: quest'ultimo viene poi a sua volta suddiviso in Mollitiem, Inordinatum concubitum, Sodomiam & Bestialitatem cui, parallelamente ma stando a sè, viene accostata l' Impuditicitiam.
Per quanto tutte queste colpe e depravazioni vengano poi rianalizzate alle loro specifiche voci la trattazione risulta alquanto esauriente: la discussione sulle sette specie di lussuria inizia propriamente dal PUNTO 5 mentre la discussione del Peccato contro natura e delle sue partizioni si estende dal PUNTO 33. L'Impudicitia risulta invece analizzata a sè, partendo dal PUNTO 71.
L'argomento pare qui meno eclatante ma merita di esser sottilmente analizzato per le questioni particolari e spesso impercettibili, a confronto della morale odierna, che esso comporta.
Il PUNTO 73 affronta quei baci, abbracci, contatti fisici che fatti secondo le costumanze dei luoghi non comportano alcuna condizione di peccato essendo fatto per espressione di amicizia, pace, benevolenza, dovuto ossequio ecc.; al contario il successivo PUNTO 74 disserta di quei baci e contatti fisici compiuti in parti intime comportano la prepetrazione di un peccato mortale.
Addirittura il PUNTO 75 sottolinea come si cada in peccato mortale se i menzionati baci, abbracci, contatti fisici sono compiuti da quanti per età od altri impedimenti non possono concepire ma tendono comunque a raggiungere orgasmo sessuale e ad eccitare gli istinti sessuali.
Dal PUNTO 76 inizia una discussione sul tema sempre attuale di PEDOFILIA E/O PEDERASTIA: in effetti al PUNTO 76 ci si limita ad affermare che non è peccato od al massimo è peccato veniale baciare od abbracciare, magari sentendo intima compiacenza fisica ma non avendo né attivando turpi intenzioni, l'abbracciare od abbracciare per affetto fanciulli d'infantile età.
Al PUNTO 77 si tratta del caso di ancelle o serve che lavando, vestendo, guardando o toccando nelle intimità i fanciulli loro affidati provano una qualche emozione sessuale senza però che sussista o venga messa in atto qualsiasi turpe intenzione.
Delicatissimo è poi il PUNTO 78 ove si esamina una casistica peculiare di relazioni tra esseri umani ed animali: per gli interpreti è peccato veniale contemplare gli animali nell'espletamento della loro attività sessuale in quanto ciò risulta suggerito solo da curiosità e superficialità senza voglia di coinvolgimenti libidinosi e parimenti è peccato veniale accarezzare, blandire, anche toccare nelle parti intime animali come cuccioli e cani a patto di far ciò solo per curiosità e morboso affetto ma giammai per impuro piacere. Si commette invece peccato mortale sollecitare in qualsiasi modo le parti genitali di qualsiasi animali al fine di portarlo - a scopo di impuro piacere personale - all'atto della eiaculazione.
Il PUNTO 81 sostiene che non peccano gravemente quelle persone del medesimo sesso che, trovandosi nude in un bagno o lavacro, per curiosità e gioco si guardano e si toccano vicendevolente anche nelle parti intime magari provando qualche slancio di sensualità ma senza mai mirare alla finalizzazione di un progetto libidinoso o turpe.
Il PUNTO 82 afferma invece che, se la medesima situazione intercorre tra persone di sesso diverso, anche se non si giunge ad alcun rapporto sessuale il peccato è da ritenersi ordinariamente grave comportando pericolo morale di qualche libidinoso consenso e trattandosi pur sempre di etrema indecenza.
Al PUNTO 83 si sostiene che contemplare con una certa curiosità e compiacenza le proprie intimità è solo peccato veniale e che anzi nel caso che qualcuno si tocchi nelle pudenda, magari per porre fine ad un prurito di natura non sessuale, pur essendovi il rischio di una involontaria eiaculazione, non si possa in alcun caso parlare nemmeno di peccato veniale.
Ai PUNTI 84 - 85 si sostiene che in relazione a chi legga argomenti osceni, canti canzoni triviali, assista a commedie di turpe argomento, scrive o legga lettere d'amore zeppe di lascive espressioni ecc. debba parlarsi di peccato mortale qualora chi faccia ciò lo faccia con intenzionale ricerca di turpi piaceri mentre sia da parlare peccato veniale, alimentato da eccessi di curiosità e di voglia di scherzare, nel caso che chi compia tutto ciò non miri a fini vergognosi capaci di portarlo alla rovina spirituale.
Al PUNTO 86 (trattandosi di un argomento variamente affrontato da Angelico Aprosio e da altri suoi contemporanei) viene esplicitata una severità assoluta verso quegli artisti che, peccando mortalmente, realizzano, divulgano e rappresentano canti e libri osceni, laide commedie ed ancora pitture scandalosamente volgari cose tutte quanti capaci di indurre gli spettatori a violare la morale e precipitare nella più grave libidine con estremo pregiudizio della loro anima.
Le danze di cui tratta il PUNTO 87, per quanto non esenti da pericolo morali, di per se stesse non sono malvage a condizioni che comportino solo diletto e giammai gesti sessualmente provocanti: il Ferraris, di rimpetto ad una bibliografia di interpreti e canonisti non sempre in sintonia, precisa, con ulteriori fonti documentarie che allorquando i Sacri Padri hanno ripreso la costumanza delle danze si son sempre riferiti a balli lascivi e turpi oppure a danze sfrenate tenute in tempi interdetti e in luoghi sacri e che i divieti alla pratica delle danze chiaramente sanciti dai Sacri Canoni sono da intendersi rivolti esclusivamente ai Chierici tanto Regolari che Secolari (cosa peraltro insita nel diritto comune sia antico che postridentino).
Al PUNTO 88 si parla di quei coniugi che si concedono a baci, contatti fisici, abbracci particolari, che si vestono in modo lascivamente provocatorio o che ancora ricorrono al turpiloquio onde eccitarsi senza mirare affatto ad un rapporto sessuale naturale finalizzato al concepimento o peggio ancora si lasciano andare al vizio della sodomia: per quanti prepetrano ciò secondo il Ferraris, che riassume interpreti e canonisti, necessariamente si deve parlare di peccato mortale.
Sempre in merito alla vita sessuale dei coniugi viene registrato al PUNTO 89 il tema di quando e come sia lecita la ricerca del piacere sessuale: in rapporto a ciò il Ferraris non risponde nel luogo citato ma rimanda a quanto da lui discusso alla voce DILECTATIO MOROSA e specificatamente dal PUNTO 24 AL PUNTO 26.
Il PUNTO 90 recupera l'argomento di baci, abbracci, tocchi lascivi, uso di turpiloquio tra coniugi interessati all'accoppiamento solo per raggiungere il massimo piacere sessuale senza rispetto delle leggi morali della loro terra e delle leggi divine, sì che tale comportamento viene reputato degno della sanzione di peccato mortale.
Il PUNTO 91 in merito ai giochi amorosi, se peccaminosi o non, dei futuri coniugi prima di un regolare accoppiamento sessuale, viene affrontato dal Ferraris con un nuovo rimando alla voce DELECTATIO MOROSA: precisamente di siffatta voce ai PUNTI DAL 27 AL 29 ed ancora al PUNTO 32.
Nel PUNTO 92 il Ferraris, onde affrontare il tema della vita sessuale delle vedove, ancora si appella alle conclusioni espresse nella voce DELECTATIO MOROSA e specificatamente ai PUNTI 30 - 32.
Interessantissimo in merito alle riflessioni su APROSIO ANTIFEMMINISTA e sulle sue, anche non sempre a proposito, citatissime considerazioni sulla DONNA CHE ACCENTUA LA PROPRIA SENSUALITA' APPELLANDOSI ALLA MODA nella silloge delle Ferraris sempre alla voce LUXURIA risulta il PUNTO 93 = "Se cioè le donne accentuando, con artifici, trucchi e fruizione dell'ultima moda in auge, per libidine e capacità di conquistare gli uomini il proprio fascino siano da ritenere peccaminose.
Di rimpetto ad una casistica anche erotica tanto delicata
il Ferraris non risponde nel luogo citato ma, come suo costume, rimanda il lettore alla consultazione nella sua stessa opera della voce FOEMINA = FEMMINA partendo per la precisione dal PUNTO 14 AL PUNTO 20; si tratta di un elenco serioso in cui molti luoghi trattati ironicamente da Aprosio assumono una giuridica seriosità:
"Pecca mortalmente la donna che indulge nell'ornarsi in modo troppo provocante per far, libidinosamente, conquiste maschili (PUNTO 14), Pecca mortalmente la donna che si imbelletta ed usa la cosmesi per gli stessi turpi scopi (PUNTO 15), Non sempre è in peccato mortale ma semmai veniale la femmina che lievemente si adorni e faccia moderato uso di ciprie in particolari occasioni (PUNTO 16), Per nulla pecca la donna che, avendo rette intenzioni, migliori ornandosi il proprio aspetto purché si attenga agli usi della della patria e del suo stato sociale (PUNTO 17), Non commette alcun peccato la donna che con la cosmesi cerca di correggere qualche suo serio difetto estetico (PUNTO 18), Alla donna è lecito ornarsi senza far uso di tinture e cosmesi per piacere di più a suo marito o per conquistarsi rispetto ad altre donne l'affetto del futuro sposo (PUNTO 19), Mortalmente pecca invece la femmina che si denuda il collo ed espone lascivamente il petto per far libidinose conquiste (PUNTO 20)".





















Angelico Aprosio fu amante, oltre che delle lettere, anche dell'arte in genere e specificatamente delle arti figurative e pittoriche come peraltro attestano varie sue osservazioni su artisti liguri del suo e del secolo precedente come Bernardo Strozzi, il Cambiaso, il Paggi, Bernardo Castello, G. B. Carlone, Giovanni Andrea de' Ferrari.
A prova di ciò, presso il Fondo Aprosio della B.U.G. (Biblioteca Universitaria di Genova) si trovano anche , nel vasto epistolario dei corrispondenti dell'erudito frate agostiniano, varie lettere dei più affermati pittori, liguri e non a lui contemporanei: in particolare non son da dimenticare i legami che strinse con artisti non liguri come il Negri od il Ridolfi).
Fra quelli di ambito genovese meritano di essere segnalati Domenico Piola, il Fiasella, detto il Sarzana (che fu corrispondente epistolare di Aprosio), Luciano Borzone (pure corrispondente epistolare di Aprosio), e Gio. Battista Casoni ed il grande quanto sventurato incisore Giovanni Striglioni di Badalucco (IM).
Ad una lettera di quest' ultimo sono allegati due componimenti in dialetto genovese, con i quali il F. Fulgenzio Baldani si rivolge al Fiasella che tarda a terminare il suo ritratto:
A ro Segnò Domenego Fiaxella Ecc.mo Depentò
Me moere a fame comenzè in un dì
e puescia m noeve meixi a me finì.
Voi, quanto vorei stà
a finime, FIAXELLA, de retrà?
Sento che respondei:
In pochi meixi te finì to moere
perche' a te fa morta come to poere:
Ma mi che t 'ho da dà con l'arte mé
Vera immortalité
D'havei poco ciù tempo e ro d'havei.
Voi me di ben: ma pù haverei piaxei
De presto vaghezame in questa teira
Prima che me s'amorte ra candeira

("Al sagnor Domenico Fiasella eccellentissamo pittore. / Mia madre cominciò a farmi un certo giorno / ed in seguito mi compì dopo nove mesi. / Voi Fiasella, quanto tempo volete / impiegare per ritrarmi completamente? / Sento che rispondete: / Tua madre ti finì in pochi mesi / perché ti fece mortale come tuo padre. / Ma io che ho da darti con la mia arte / l'immortalità / ho ben diritto d'aver un po' più di tempo. / Voi parlate bene, ma avrei più piacere / se presto potessi contemplarmi in questa tela / prima che si spenga la candela).
Altro:
0 ti, che miri, attendi:
Questo è un quadro composto da tre grandi:
Domenego FIAXELLA è ro pittò,
Fre Fulgentio dri versi è l'inventò;
E Francesco PISAN
O ra trascritti de so propria man,
Se te digo boxia
Non me mira mae ciù, vatene via

(Fai attenzione tu che guardi: / questo èun, quadro composto da tre grandi: / Domenico Fiasella è il pittore, / Fra Fulgenzio dei versi è l'inventore: / e Francesco Pasano / li ha trascritti di sua mano. / Se ti dico una bugia / non guardarmi mai più, / vattene via).
[Le due liriche sono custodite nella parte inedita (IV) del repertorio La Biblioteca Aprosiana]



















Passerini, Pietro Francesco <1612-1695> giurista e protonotaro apostolico, a lungo corrispondente epistolare di Aprosio, viene citato da Michele Maylender nella sua monumentale Storia delle accademie d'Italia qual nato a Codogno ed Accademico Spiritoso di Piacenza: egli avrebbe dedicato un'opera all'Accademia dei Geniali di Codogno intitolata Echo Genialis Petri Francisci Passerini Phliosophiae, sacrae Theologiae, et J. U. D. Protonotarii apostolici, etc. in Nuptias D. Pauli Caroli Belloni Philosophiae et medicinae doctoris, etc. et Margaritae Bellonae.
Il SBN non comporta tracce, al momento di questo scritto, ma giunge interessante per i dati contenuti la ben più nota pubblicazione: De ecclesiarum reconciliatione tractatus theorico-practicus ex juris canonici sanctionibus, ac moralis doctrinae fundamentis methodice exaratus. Authore Petro Francisco Passerino comite Bilegni, ac excelsi ducalis consilii praeside. Ser.mo Raynutio 2. Farnesio Placentiae, Parmae, &c. duci 6., Parmae, ex typographia Alberti Pazzoni, & Pauli Montii sociorum, 1694. - XXII, 195, [1] p. ; in fol. (32 cm). - Front. stampato in rosso e nero con stemma xilogr. di Ranuccio 2. Farnese, duca di Parma e Piacenza. - Fregi tipogr. - Testo su due col. - reperibile in varie biblioteche italiane.
Egli avrebbe inoltre procurato ad Angelico Aprosio parecchi suoi volumi tuttora custoditi alla C.B.A.: 1 - Pharetratus pharetra factus sive de Sebastiani martyris sagittis Oratio Petri Francisci Passarini ..., Placentiae : apud Ioannem Antonium Ardizzonum, [1647, data dedotta dalla dedica]. - 15 p. ; 4°.
2 - Lex lux ... Praefatio ad tractatum de legibus habita a Petro Francisco Passerino ..., Placentiae : apud Io. Bazachium impress. Camer., 1652. - 24 p. ; 12°.
3 - Hieronymus Hieronomus. Sive Hieronymianorum encomiorum simplex, et centiceps epigraphe, et epitome. Auctore petro Francisco Passerino..., Placentiae : apud Io. Bazachium impress. Camer., 1651. - 48 p. ; 12°.
4 - Alexander Scappus episcopus placentinus sibi ipse ex nomine omen et encomium. Quod Petrus Franciscus Passerinus ... theologus collegiatus, protonotarius apostolicus, S. Inquisitionis consultor ..., Placentiae : apud Ioannem Bazachium Impress. Camer., 1653. - 23 p. ; 4°
5 - Tractatus legalis, et moralis de pollutione ecclesiarum in quo tam variae, ac novae quaestiones, ac difficultates ad utrumque forum spectantes disputantur ..., Placentiae : apud Ioannem Bazachium impressorem cameralem, 1654. - [24], 432 p. ; fol.
6 - Terra caelo augustior sive de Bethlemici praesepii praestantia oratio Petri Francisci Passerini ..., Placentiae : apud Io. Antonium Ardizzonum, [1646]. - 13 p. ; 4°.
7 - Stella sole splendidior. Oratio Petri Franc.i Passerini ..., (Mediolani : ex Typographia Philippi Ghisulphii), [1643]. - [2], 14 p. : 1 ill. ; 4° (Front. inciso. - La data è tratta dalla dedica).
8 - Schedarium liberale, in quo orationes sacro - profanae, praefationes gymnasticae, laureae doctorales, triumphi academici, nodi enodati, lusus metametrici et epistolae variae continentur autore Petro Francisco Passerino ..., Placentiae : in camerali typographia Joannis Bazachij, 1659. - [16], 276, [1] p. : ill. ; 4°




















Mengoli, Pietro <1626-1686>, Anno / Pietro Mengoli, priore di Santa Maddalena, Bologna, 1673 (per errore di stampa nel lavoro è scritto Asino al posto di Anno in merito all'opera di Pietro Mengoli, una delle due che tuttora si costodiscono alla biblioteca Aprosiana di Ventimiglia).
Mengoli, Pietro <1626-1686>, Refrattioni, e parallasse solare del dottor Pietro Mengoli, In Bologna: Benacci, Vittorio erede, 1670
Mengoli, Pietro <1626-1686>, Geometriae speciosae elementa primum de potestatibus, a radice binomia, & residua. Secundum de innumerabilibus numerosis progressionibus. Tertium de quasi proportionibus. Quartum de rationibus logarithmicis. Quintum de proprijs rationum logarithmis. Sextum de innumerabilibus quadraturis. Petri Mengoli .., Bononiae: Ferroni, Giovanni Battista, 1659
Mengoli, Pietro <1626-1686>, Anno di Pietro Mengoli priore di Santa Maddalena, professore di mecaniche, filosofo collegiato, dottor di leggi, In Bologna: Benacci, Vittorio erede, 1673
Mengoli, Pietro <1626-1686>, Circolo a gl'illustrissimi signori march. Alessandro Fachenetti confaloniere di giustitia e signori del Reggimento di Bologna. Dedicato da Pietro Mengoli priore della Maddalena, .., In Bologna: Benacci, Vittorio erede, 1672
Mengoli, Pietro <1626-1686>, Nouae quadraturae arithmeticae, seu de additione fractionum: Petri Mengoli .., Bononiae: Monti, Giacomo, 1650
Mengoli, Pietro <1626-1686>, Via Regia ad mathematicas per arithmeticam algebram speciosam planimetriam ornata maiestate serenissime D. Christinae Reginae Sueciae a Petro Mengolo Bonon. mechanico, Bononiae: Sassi, Clemente Maria, 1655
Mengoli, Pietro <1626-1686>, Arithmetica realis serenissimo et reuerendissimo principi Leopoldo ab Etruria cardinali Medices dicata a Petro Mengolo priore S. Magdalenae mechanico Bonon, Bononiae: Benacci, Vittorio erede, 1675
Mengoli, Pietro <1626-1686>, Speculationi di musica di Pietro Mengoli dottor dell'vna, e l'altra legge, e di filosofia collegiato, .., In Bologna: Benacci erede, 1670

Mengoli, Pietro, Novae quadraturae arithmeticae seu de additione fractionum Petri Mengoli Bononiae : ex typographia Iacobi Montis, 1650 [16], 130, [2] p. ; 4°.
Mengoli, Pietro, Anno di Pietro Mengoli priore di Santa Maddalena, Professore di mecaniche .., In Bologna : per l'herede di Vittorio Benacci, 1673 [16], 280 p. ; 4°.

Del TABACCO, nella smisurata serie dei suoi interessi critici, parlò e scrisse anche Angelico Aprosio. Nel I volume monografico della "Nuova Serie" dei Quaderni dell 'Aprosiana, edito nel 1993, è stato trascritto in gran parte (dalla seconda parte "Dello Scudo di Rinaldo" custodita presso la B.U.G.) il capitolo VIII, "Del Tabacco e dell 'abuso di esso" (dedicato "Al Signor Domenico Panarolo filosofo medico e pubblico professore di Medicina nel Romano Ateneo") ove alla pagina segnata 254 del manoscritto l'Aprosio in merito all'uso del tabacco annota che esso "Da Galeotti passò alle mani dei Birri e di simile canaglia... ridotto in sottilissima polvere cominciò a lasciarsi vedere tra quelle d'uomini dei piu' civili, in tanta moderazione che la quantità... di un fagiuolo indiano era soverchia a pascere i pruriti del naso per il corso di un anno lunare: ora è talmente cresciato l'abuso... che apparendo incapaci le scatolette, non mancano di quelli che se lo pongono nelle tasche a rinfuso... In tutte le città altro non si veggono che cartelli di tabacivendoli, ed in Londra in particolare come riferisce Barnaba de Riicke citato da Henrico de Engelgrave se ne veggono e se ne contano piu' di mille botteghe... ". A pagina 266 del manoscritto 1'Aprosio conclude con durezza: "II tabacco distrugge e malmena in tutto mentre egli fa arrugginire... i nervi immediatamente del cervello e gli rubba ogni argentino candore... Tabaci cerebro valde Inimici"...'
Il TABACCO (altresì citato quale TABACO - TOBACO secondo la forma delle parlate di Haiti da cui ne deriva il fitonimo) fu termine che si prese ad utilizzare sin dal XVI secolo per indicare le foglie di origine sudamericana e caribica che introdusse in Europa per primo nel 1559 Gonçalo Hernàndez di Toledo per incarico del re di Spagna Filippo II.
La diffusione della pianta avvenne però soprattutto ad opera di Jean Nicot de Villemai verso il 1560 nell'ambito della corte di Francesco II e di Caterina de' Medici.
Verso il 1586 nell'Historia generalis plantarum di Jacques Dalechamps la pianta, già citata col fitonimo di herba prioris od herbe du gran Prieur in quanto coltivata a fini medicamentosi dal Gran Priore di Francia della Casa di Lorena, assunse la nuova nominazione di herba nicotiniana a titolo di commemorazione del suo principale divulgatore, appunto Nicot.
Tuttavia le rimase come fitonimo principale quello più antico di TABACCO (peraltro destinato ad essere fissato scientificamente dalla classificazione del Linneo) che i commercianti spagnoli usavano abitualmente sin dai primi tempi e che trasmisero quindi ai mercanti olandesi e quindi ai produttori americani della Virginia.
La diffusione del TABACCO in Italia (per fumo, fiuto ed uso medicamentose) procedette trionfalmente dall'Olanda verso i primi del '600 (1615): nella penisola il porto di arrivo del TABACCO era lo SCALO GRANDUCALE DI LIVORNO (alla stessa maniera di quanto accadeva per il CAFFE').
L'uso divenne tanto comune che l'illuminista Bernardino Ramazzini nella sua opera De Morbis artificum [Modena, 1700, ristampata più volte e di cui esiste una buona traduzione italiana dell'Abate Francesco Chiari, Venezia, Occhi, 1754] scrisse (si cita dalla traduzione): "E' un'invenzione di questo secolo (almeno nella nostra Italia) o un uso vizioso questa polvere dell'erba nicoziana e non v'è cosa più usata, s' dalle donne che dagli uomini e da' fanciulli altresì, in guisa che la compra di esso si ripone fra le spese quotidiane della famiglia" [all'epoca il TABACCO veniva fumato, masticato e fiutato dagli uomini, oltre che fiutato spesso anche fumato dalle donne come terapia contro il mal di denti ed inoltre era frequentemente impiegato contro la stitichezza dei bambini sotto forma di "clisteri di polvere di herba nicotiana": è peraltro poco noto che di siffatte proprietà terapeutiche del tabacco proprio un letterato ligure settecentesco Celestino Massucco compose uno specifico elogio entro un suo poemetto, appunto intitolato Il Tabacco, e tuttora leggibile entro l'antologia letteraria ligure dell'anno 1789 curata dall'erudito e letterato ligure Ambrogio Balbi].
Eppure, a molti parrà sorprendente, la discussione sul tabacco, oggi giustamente di moda per i pericoli cancerogeni che comporta, esisteva già all'epoca si da dar vita ad una fazione di colpevolisti e ad un di innocentisti: certamente non si trattava tanto di riflessioni profilattiche e di medicina avanzata, tutto era incentrato su un uso ed abuso che per alcuni aveva pochissimo se non nulla di pernicioso o sconvenevole mentre ad esempio per la Chiesa romana (invero smpre molto attenta per il pubblico bene a redigere norme in merito a servizi sociali di rilevo come quelli svolti da MEDICI ed OSPEDALI) si era infine dovuti giungere ad una CONDANNA DELL'USO ED ABUSO DEL TABACCO QUALE FORMA DI SCOSTUMANZA COMPORTAMENTALE, MORALE E SOCIALE principio cui nello Scudo di Rinaldo II, seppur tralignado, in qualche modo dovette accodarsi anche l'Aprosio, seppur curiosissimo di tutte le novità e soprattutto assertore di quelle reputate innocue.
Pier delle Ville (Pietro Loi) in un suo utile saggio ha affrontato il problema dell'uso, dell'abuso e delle presunte qualità terapeutiche del TABACCO sulla base del materiale custodito in Ventimiglia nella Biblioteca erettavi dall'erudito del '600 Angelico Aprosio.
La lettura delle pagine di Pier delle Ville, che fu illustre veterinario e valente naturalista, permettono di vivere da vicino il dibattito appassionato che già nel Seicento si accese sulla valenza terapeutica o non del tabacco oltre che sulla moda del fumare, fiutare e masticare i vari preparati della lavorazione delle foglie del tabacco.
Scrive quindi l'autore con la riconosciuta competenza scientifica:
'(pp.1 - 5) Questa pianta, dotata di qualità ornamentali, aveva in origine due varietà: Nicotiana tabacum e Nicotiana rustica, secondo la nomenclatura botanica, distinguibili per il fiore tubolare allungato e dai petali rossicci della prima, e più piccolo e giallino dell' altra; anche le foglie diversificano per grandezza.
La Nicotiana rustica contiene molto più nicotina ed altri veleni, tutti facilmente assorbibili applicando la foglia sulla cute: è peggio della socratica cicuta mortifera, peggio dello shespiriano giusquiamo corruttore, e gli animali evitano di brucarla.
Per allontanare gli alcaloidi tossici, dopo il raccolto le foglie sono fatte appassire all' ombra, e lasciate fermentare prima di subire lavorazioni di vario tipo, per produrre i tabacchi d'uso.
Perché questa pianta, dal 1500 in poi, è entrata nell'abitudine assurda e dannosa del fumo! Il commercio transoceanico portò molti vegetali, nuovi per l' Europa, dalla patata al pomodoro, e caffè, mais , cacao, tabacco: il meno utile si affermò rapidamente nell'uso, mentre la patata destinata a sfamare i popoli potè imporsi relativamente più tardi.
Esistono testi del 1500 e del 1600 che trattano del tabacco, del cacao, e del tè: la Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia conserva diverse opere su questi vegetali.
Innanzi tutto numerosi testi di botanica, ad esempio uno Zenoni, Historia Botanica (Bologna, G. Lorghi, 1675) e un Montalbani, Hortus Botanigrophicus (Bologna, 1660).
Ovidio Montalbani, "philosophus naturalis", rappresenta una classificazione dei vegetali non per caratteri, come nel 1700 farà il Linneo, ma per habitat delle piante, o per incerte somiglianze. Del melo sono elencati come affini, con descrizione, quattordici piante, compresi il melograno ed i limoni. I tassonomisti a cui si riferisce il Montalbani sono cospicui nomi del passato: Dioscoride, Teofrasto, Galeno, Dodona, Bauhinio, Lobelio. L'autore tratta anche di Nicotiana maior, di Hyoshiamus peruvianus, di Datura stramonium. Ma del tabacco specificatamente scrive il medico ravennate Massimo Zavona nell'Abuso del Tabacco nei Nostri Tempi (Bologna 1650) in lingua italiana. Dall'elenco "Nomi'de gl'autori citati nell'opera" si prevede una trattazione erudita piuttosto che strettamente scientifica (Agrippa, Avicenna, Cesalpino... Vucherio). In otto capitoli è considerata l'origine ed il nome del tabacco, della forma e figura... della preparazione.
L'VIII capitolo è intestato: "L'uso d'oggidì del tabacco è un abuso". Nel testo in breve si scopre una contaminazione ascientifica, non sperimentale, con le confuse fantasie del secolo: "Ma se bene tuti che scrivono del tabacco concordano a constituirlo del temperamento caldo discordano nondimeno nel determinare il grado di calore, perché Monarale e Delecampio lo costituiscono caldo e secco nel secondo grado e temperato nelle altre qualità. Cesalpinio lo pone caldo nel primo grado e secco nel terzo... Altri... dicono essere di temperamento freddissimo". Spiegare oggi perché e percome il tabacco fosse caldo o freddo sarebbe sprecare carta, inchiostro e tempo.
Gli autori, qual più qual meno, sono interessati all'uso terapeutico delle foglie, cui vengono attribuite disparate capacità curative, in parte secondo osservazione, in parte secondo la pseudoscienza del secolo fantasioso. Non mancano ricette che ci fanno pensare ad una prima introduzione farmaceutica del tabacco , con successivo sviluppo d'un uso "edonistico". Le ricette hanno l'obbiettivo di esercitare un'azione "calda" in un gran nurnero di malanni "freddi": "A dolori articolari cagionati da materia o causa fredda... giovano lefoglie applicate calde". A parte fantasiose chiacchiere, lo Zavona esprime pareri utili ancor oggi, contro il vizio del fumo: "Fui sempre e sono di parere che il tabacco (adoprato nel modo che oggi si costuma)... si debba piuttosto chiamare abuso... Di questo parere fu Pietro Francesco Frigio Autore Moderno... annovera tra i mezzi di abbreviarsi la vita lo smodato pigliare il tabacco, e dice: A questi tempi è accresciato un uso per il quale molti scioccamente si ammazzano".
Zavona conclude: "Habbisi per ultimo quella considerazione che chi disegnasse trattenersi dal troppo uso, di farlo a poco a poco, non in un subito, perché conforme a Cornelio Celso... ogni mutazione subitanea è pericolosa ". Il buon dottor Zavona aveva individuato la patologia dell'assuefazione alle droghe.
Anche più interessante è l' opera di Giovanni Crisostomo Magen (Magnenus), "Burgundi Luxoniensis Patrici philosophi medici", docente presso l'Università di Pavia, dove pubblicò nel 1648, quattordici "Exercitationes de Tabaco". Nella "Praefactio ad Lectorem" menziona gli autori che sull'argomento lo hanno preceduto:"Everartus Antverpianus (1587), Mathies Lobellius, Johannes Neander, Bremanus Vestfaliensis ( Tabacologiahoc est Tabaci seu Nicotianae eius descriptio, ecc.). Il testo è in lingua latina, con dedica a Filippo IV, ed al regio rappresentante in Italia "Heroi Othoni Caimo". L'autore si chiede: "...laudemne aut vero damnem tabaci usus?... Tum, mi lector, utere non abutere..." e sull'uso del fiutar tabacco: "...felicitatem possimus augurari, dum starnutabis".
Segue un Sillabus, ovvero Indice delle Exercitationes, ovvero Capitoli, che conferiscono un'iniziale organicità scientifica e fanno sperare una metodicità illuministica. Sul nome ci informa: "Apud indigenos americanos vocabulo Pictalet vocatur ut ait Monardels... In Hispaniola Insula Petebecenuc dicitur teste Oviedo..: Ab Novae Franciae Pet nomine... ab Hispanis inditum ab suo natali solo insula scilicet Tabaco". Ovviamente ricorda il nome Nicotiana a Johan Nicotio regis Galliarum Legati in Lusitania anno 1559 ed altri nomi: Herba Reginae... Herba Medicea (da Caterina de' Medici).
Descrive quattro varietà di piante, minutamente, e nel paragrafo 5 dell' Exercitatione Secunda distingue in uno schema le "infima tabaci folia deteriora", quelle sviluppate presso il terreno, le inferiori, e spiega che "...natura teneriora semper magis fovet ".
Il Magen, evidentemente ben informato, colto e riflessivo, permeato di scientifica cautela, sulle virtù terapeutiche del tabacco si esprime negativamente: "Censeo primo tabacum non esse reponendum inter benigna medicamenta... vomitum enim facit... cerebrum turbat", e più avanti, Exercit IV,: "Dico primo usum familiarem tabaci pueris nullo modo convenire...".
La metodicità del testo faceva presagire un criterio scientifico illuministico, da Enciclopedia, ma anche Crisostomo Magen, come Massimo Zavona, pensa che il tabacco per effetto del suo calore secco "somni conciliatione promovet", ed avrebbe una "Relatione et Analogia" di carattere zodiacale "cum Aquario et Marte"...
Il professor Magen propone numerose ricette ed indicazioni con osservazioni critiche: per esempio ad Henricius, che consigliava: "in ore detento" un decotto di tabacco e camomilla per lenire il mal di denti, risponde: "Dentium dolor a causa frigida nullo modo tollitur tabacco".
Ricorda l'avversione per il tabacco di due regnanti: uno è il Tyrannus Ammurathes IV, che per editto vietò "... ne quisquam fumo tabaci uteretur... quia prolis multiplicatione impediebat...".
Sicuro: i suoi sudditi fumavano... come Turchi! L'altro re è "Jacobus Britanniae Regis, odio ergo tabacum... libello scripsisse Misokapnion".
La pericolosità della droga si manifestò specialmente con l'usanza sociale del fumare, del masticare e dell'annusare il tabacco, ed anche di più con la somministrazione di varie preparazioni per finalità farmacoterapiche. In sostanza la nicotina e gli altri alcaloidi della linfa vegetale sono talmente tossici, che tutti i tentativi del passato di introdurli in terapia sono falliti. Infine oggi un estratto nicotinico può essere utilizzato solo in agricoltura a fine parassiticida.
Di Angelico Aprosio esiste un manoscritto, parzialmente pubblicato dal Durante nel I volume monografico di questa Nuova Serie dei Quaderni dell 'Aprosiana edito nel 1993, presso la Biblioteca Universitaria di Genova: si tratta della seconda parte "Dello Scudo di Rinaldo", opera moralistica. Il capitolo VIII, "Del Tabacco e dell 'abuso di esso" e dedicato "Al Signor Domenico Panarolo filosofo medico e pubblico professore di Medicina nel Romano Ateneo". Nella pagina segnata 254 del manoscritto l'Aprosio manifesta notevole disprezzo per l'uso del tabacco, che "Da Galeotti passò alle mani dei Birri e di simile canaglia... ridotto in sottilissima polvere cominciò a lasciarsi vedere tra quelle d'uomini dei piu' civili, in tanta moderazione che la quantità... di un fagiuolo indiano era soverchia a pascere i pruriti del naso per il corso di un anno lunare: ora è talmente cresciato l'abuso... che apparendo incapaci le scatolette, non mancano di quelli che se lo pongono nelle tasche a rinfuso... In tutte le città altro non si veggono che cartelli di tabacivendoli, ed in Londra in particolare come riferisce Barnaba de Riicke citato da Henrico de Engelgrave se ne veggono e se ne contano piu' di mille botteghe... ". A pagina 266 del manoscritto 1'Aprosio conclude con durezza: "II tabacco distrugge e malmena in tutto mentre egli fa arrugginire... i nervi immediatamente del cervello e gli rubba ogni argentino candore... Tabaci cerebro valde Inimici"...'















Hendrik (Henricus - Heinricus) Engelgrave nato il 29 luglio 1610 ad Anversa - morto l'8 marzo 1670 nella stessa città: gesuita, agiografo, erudito studioso di emblematica la cui fama per certi aspetti è dedicata alla veridicità ed umportanza da lui attribuita alla profezia sui papi o profezia di Malachia: di lui alla C.B.A. si conserva Lux evangelica sub velum sacrorum emblematum recondita in anni dominicas, selecta historia et morali doctrina varie adumbrata per Henricum Engelgrave .., Coloniae : prostant apud Jacobum à Meurs, 1655-1659 4 v. : ill. ; 12°.
Altre opere indicate in altre biblioteche dal SBN sono:
Engelgrave, Hendrik, Coelum empyreum non vanis & fictis constellationum monstris belluatum, sed diuum domus, domini Jesu Christi, eiusque illibatae Virginis Matris Mariae ... nec non sacrarum religionum, patriarcharum, aliorumque tutelarium, praeclaris factis ... splendide illustratum ... Per R. P. Henricum Engelgrave ..., Coloniae Amsterdam: Roy, Gabriel : De, 1669
Engelgrave, Hendrik, Caeleste pantheon sive Caelum nouum in festa et gesta sanctorum totius anni, morali doctrina varie illustratum, per r.p. Henricum Engelgrave, societatis Iesu theologum, Coloniae Agrippinae: apud Ioannem Busaeum bibliopolam: Busaeus, Ioannes, 1658
Engelgrave, Hendrik, Caelum Empyreum, non vanis & fictis constellationum monstris belluatum, sed divum domus, Domini Iesu Christi, eiusque illibatae Virginis Matris Mariae, sanctorum apostolorum, martyrum, confessorum virginum, nec non sacrarum religionum, patriarcharum, aliorumque tutelarium, praeclaris factis, ac raris virtutibus, velut tot lucidissimis stellis in perpetuas aeternitates micantibus, splendide illustratum; omnibus Verbi Dei ecclesiastis, ad honestos mores, et divinos amores auditorum animis inserendos, morali doctrina, sacra ac profana..., Coloniae Agrippinae - 1668-1670
Engelgrave, Hendrik, Caeleste Pantheon, sive Caelum novum, in festa et gesta Sanctorum totius anni, morali doctrina, ac profana historia varie illustratum, per R.P. Henricum Engelgrave ... Pars prima -posterior , Coloniae Agrippinae: Collen, Thomas von Erben & Huisch, Joseph, 1727
Engelgrave, Hendrik, Caeleste Pantheon, seu Caelum noum, in festa et gesta sanctorum totius anni. Morali doctrina, ac profana historia varia illustratum per R. P. Henricum Engelgrave ... Pars prima (-posterior), Coloniae Agrippinae: Busaeus, Ioannes, 1671
Engelgrave, Hendrik, Caeleste pantheon, sive caelum novum, in festa et gesta sanctorum totius anni. Morali doctrina, ac profana historia varie illustratum per r.p. Henricum Engelgrave ... In hac sexta editione ab ipsomet auctore recognitum, correctum, auctum, novae insuper in nova festa materiae suggesta. Pars prima -posterior, Coloniae Agrippinae: Demen, Hermann <1665-1710>, 1690
Engelgrave, Hendrik, Caelum empyreum, non vanis & fictis constellationum monstris belluatum; sed divorum domus, domini Jesu Christi, ejusque illibatae virginis matris Mariae ... splendide illustratum ... Per r.p. Henricum Engelgrave ... Pars 1., 2. cum indicibus copiosissimis, Coloniae Agrippinae: Demen, Hermann <1665-1710>, 1690
Engelgrave, Hendrik, Caelum empyreum non vanis et fictis constellationum monstris belluatum, sed divum domus, Domini Iesu Christi, eiusque illibatae Virginis matris Mariae, sanctorum apostolorum, martyrum, confessorum, virginum, nec non sacrarum religionum, ... splendide illustratum; omnibus Verbi Dei ecclesiastis ... sacra ec profana historia lucubratum per R.P. Henricum Engelgrave, Societatis Iesu theologum. Pars prima- secunda, Coloniae Agrippinae: Busaeus, Ioannes, 1668-1670















Da questo settecentesco testo enciclopedico di L. Ferraris analizza che cosa si intenda per BULLA CRUCIATAE ossia "BOLLA DELLA CROCIATA" e visualizza gli INDICI: scorri una STORIA DELLA BOLLA DELLA CROCIATA e visualizza un ESEMPLARE DI "BOLLA DELLA CROCIATA".




































Giovanni Andrea Moniglia (a volte anche scritto Moneglia) nato a Firenze nel 1624 ed ivi scomparso nel 1700 fu medico e docente presso l'Università di Pisa e compose diversi trattati scientifici tra cui abbastanza celebre fu il De aquae usu medico in febribus, Firenze, per il Vangelisti, 1684.
A fianco degli studi professionali si occupò però, alla moda del tempo, anche di letteratura ed in particolare di teatro divenendo poi membro dell'Accademia della Crusca.
Tra le sue numerose composizioni si possono ascrivere il dramma civile Il conte di Cutro, Firenze, Vangelisti, 1682, drammi in musica quali Giocasta Regina d'Armenia (Ibid. 1682) ed Enea in Italia (Venezia, per il Nicolini, 1677), i libretti Ercole in Tebe, Firenze, All'Insegna della Stella, 1651), l'Hipermestra, Firenze, Stamperia di S.A.S., 1658, la commedia messa in musica da J. Melani intitolata Il potestà di Colognole, Firenze, per il Bonardi, 1657.
Presso l'intemelia biblioteca aprosiana si trovano tre sue opere:
1 - Ercole in Tebe festa teatrale rappresentata in Firenze per le reali nozze de' Serenissimi sposi Cosimo terzo principe di Toscana e Margherita Aloisa principessa d'Orleans, [Giovanni Andrea Moniglia]. - Impressione seconda. - In Fiorenza
2 - Risposte del Dottor Gio. Andrea Moneglia alle repliche voarcadumiche del Sig. dottore Innocenzio Valentini In Firenze : alle scale di Badia, 1663. - 116 p. ; 4°.
3 - Tacere et amare, dramma civile musicale rappresentato nell'Accademia degl'Infuocati ..., In Firenze : nella stamp. di S.A.S. per il Vangelisti e Matini, 1674. - 70 p. ; 8°: modernamente vien scritto che il nome dell'autore, Giovanni Andrea Moniglia, è ricavato dal National Union Catalogue della British Library.
Questa opera (qui INTEGRALMENTE PROPOSTA DIGITALIZZATA) quale autonoma pubblicazione la si studia anche nella raccolta postuma Delle poesie drammatiche (parte prima, Vangelisti, Firenze, 1689; parte seconda, Bindi, Firenze, 1690).
Occorre dire che Angelico Aprosio, pur, ai suoi tempi, risultando anonima dai testimoni a stampa, ne aveva attribuita la paternità al Moniglia come lui stesso scrive nella Visiera Alzata precisamente alle pagine 61 - 62.






























OFFICII NOSTRI
I doveri del nostro Ufficio non solo Ci impongono l’impegno di rispettare scrupolosamente e di dar corso alle Leggi dei Sacri Canoni e alle Costituzioni dei Romani Pontefici Nostri Predecessori, nella interpretazione delle quali nessun dubbio o ambiguità è dato riscontrare; ma anche Ci richiedono di provvedere ad amputare e rimuovere, pubblicando opportune dichiarazioni, una nascente messe di dubbi circa alcune di quelle leggi.
1. E invero il Nostro Predecessore Papa Gregorio XIV di felice memoria, avendo presente la provvida sanzione del Diritto Canonico, per la quale appunto, sotto il titolo De homicidio volontario, vel casuali cap. I, era stato rinnovato l’antico precetto della Legge dettata da Dio nell’Esodo: Se alcuno intenzionalmente e proditoriamente avrà ucciso il suo prossimo, lo trascinerai via dal mio Altare e lo manderai a morte, attraverso la Sua Costituzione, edita nell’anno dell’Incarnazione del Signore 1591, il 24 maggio, che comincia: "Cum alias", decretò che non si doveva affatto accordare l’immunità Ecclesiastica a coloro che avessero ucciso in modo proditorio il loro prossimo e che si fossero poi rifugiati nelle Chiese e nei luoghi sacri. Inoltre anche il Papa Benedetto XIII Nostro Predecessore, di venerata memoria, che ha accresciuto il Nostro prestigio, ha pubblicato, nell’anno della Incarnazione del Signore 1725, il giorno 8 giugno, una Costituzione che comincia con Ex quo divina che escluse e respinse dal beneficio dell’immunità Ecclesiastica non solo coloro che avessero compiuto in modo proditorio (come detto sopra) un omicidio, ma anche gli uccisori del loro prossimo con premeditata decisione. Infine il recente Predecessore Nostro Clemente Papa XII, di santa memoria, nella sua Costituzione che comincia con In supremo justitiae solio, pubblicata nell’anno della Incarnazione del Signore 1734, il 1° gennaio, volle e decretò che del beneficio della predetta immunità per nulla godessero coloro che in una rissa avessero compiuto un omicidio, purché l’omicidio non fosse stato accidentale o conseguente alla propria difesa.
2. Inoltre gli stessi Predecessori già ricordati, Benedetto e Clemente, a quei delitti che erano compresi nel Diritto Canonico e nella Costituzione Gregoriana, ne aggiunsero parecchi altri; stabilirono che chi li avesse commessi sarebbe stato escluso dal predetto diritto d’asilo e dalla facoltà di rifugiarsi presso le Chiese e i luoghi sacri e religiosi; soppressero, con dichiarazioni e definizioni, varie questioni e controversie sollevate da Dottori interpreti del predetto Diritto e delle Costituzioni Apostoliche che trattano della immunità locale, come si può desumere dallo spirito di quelle stesse Costituzioni e anche da una delle nostre Istituzioni che pubblicammo quando reggevamo la Chiesa arcivescovile di Bologna (per l’istruzione di quel popolo affidato alla Nostra sollecitudine) e che è stampata nel secondo tomo delle Edizioni Italiche n. 21, mentre nella edizione latina portano il numero 61.
3. Oltre a ciò, si stabilisce come possa una Curia Ecclesiastica, nel caso di un delitto in tal modo contemplato, procedere alla cattura del delinquente dal luogo immune e trasferirlo alle proprie carceri, avendo il nominato Predecessore Benedetto stabilito che, circa la qualità del delitto in questione e della persona incriminata, vi fosse un congruo numero di quegli indizi che solitamente vengono reputati sufficienti a decretare la cattura. Per essere poi legalmente in grado di rimettere e consegnare il prigioniero ai Ministri e ai Funzionari della Curia Secolare, Benedetto aveva decretato che dal processo informativo istruito contro lo stesso prigioniero dovevano risultare indizi che conforme alle norme del diritto si chiamano ultra torturam; successivamente l’altro Predecessore Clemente XII più ampiamente dichiarò che quante volte risultasse al giudice Ecclesiastico, dagli indizi raccolti non oltre la tortura ma soltanto attraverso la tortura, che il delitto contemplato era stato commesso dal prigioniero, egli stesso poteva rimettere e consegnare il prigioniero alla Curia secolare. D’altronde gli stessi Predecessori non vollero che per alcun verso fosse sminuita l’Autorità Ecclesiastica in ragione di quanto detto, né che fosse colta occasione alcuna di ledere la giustizia. Piuttosto stabilirono che mai si potesse procedere alla cattura di tali delinquenti in luogo immune senza l’autorizzazione del Vescovo e senza l’intervento di persona Ecclesiastica incaricata dallo stesso Vescovo; e che mai si potesse affidare e consegnare gli stessi prigionieri (anche quando concorrano i predetti indizi) ai Funzionari della Curia secolare, se non in forza di quella legge (da rispettare sotto minaccia di gravissime censure) per cui devono essere restituiti alla Chiesa o al Luogo immune gli stessi prigionieri, fino a quando non siano chiariti e confutati tali indizi nel corso del processo.
4. Poiché quelle norme che dal ricordato Predecessore Clemente furono aggiunte alle sanzioni del comune diritto e delle Costituzioni Gregoriane e Benedettine, non si estendevano affatto oltre i confini dei Domini temporali della Sede Apostolica, ci parve opportuno estenderle anche alle altre regioni, i cui Principi ne facessero richiesta. Pertanto nei Concordati che furono stipulati sia nell’anno 1741 col carissimo in Cristo figlio Nostro Carlo, illustre Re delle Due Sicilie, sia, nell’anno seguente 1742, con l’altro parimenti carissimo in Cristo figlio Nostro Carlo Emanuele, illustre Re di Sardegna, concedemmo che nei Domini degli stessi Re avessero vigore le premesse disposizioni e le altre contenute nella predetta lettera di Clemente; di poi estendemmo ed ampliammo i Concordati anche ad altri Domini di Principi che ne facevano richiesta, pubblicando una specifica lettera (di cui un esempio è dato vedere nel primo Tomo del Nostro Bullario, Constitut. 88), che comincia: Alias felicis.
5. Invero, poiché tutte queste misure adottate dai predetti Nostri Predecessori e da Noi stessi non bastarono a togliere di mezzo o a prevenire completamente tutte le questioni che di solito insorgono nei Tribunali sia circa la natura degli omicidi da considerare in relazione ai prigionieri, sia circa il modo di applicare le predette Costituzioni nei vari casi di tali omicidi e di altri delitti dei prigionieri, giudicammo che Ci fosse riservato questo ulteriore compito, di non tollerare che in nessun modo rimanessero inerti, di fronte alle difficoltà e ai dubbi, le regole d’intervento in tali questioni, con le quali molto spesso è necessario soppesare e condurre a termine gli atti processuali sia dei Giudici Ecclesiastici, sia Secolari.
Pertanto, dopo aver soppesato prontamente ogni questione e aver udito non pochi Venerabili Fratelli Nostri Cardinali di Santa Romana Chiesa e altri autorevoli uomini e periti in Diritto Canonico ed esperti in processi criminali, per Nostra decisione e per quella pienezza di Autorità Apostolica che esercitiamo, decretammo di dichiarare il pensiero Nostro e dei Nostri Predecessori e di porre di nuovo alcune questioni nel seguente modo.
6. E in primo luogo, mentre nella ricordata Costituzione del Predecessore Gregorio che comincia con Cum alias si enumerano quei delitti che devono essere considerati esclusi dal beneficio della immunità Ecclesiastica e si fa menzione solamente dei delinquenti Laici, e solo di essi ha anche parlato l’altro Predecessore Benedetto nella sopracitata Costituzione che comincia con Ex quo Divina, piacque al lodato Predecessore Clemente XII estendere ed ampliare la sua Costituzione che comincia In supremo Justitiae solio anche agli Ecclesiastici di ogni grado e ordine che hanno perpetrato un omicidio con volontà premeditata, in modo che essi, in ogni caso, non possano godere della immunità Ecclesiastica; purché tuttavia il processo per l’omicidio da loro commesso sia riconosciuto dal loro giudice Ecclesiastico competente e da questo i colpevoli, se furono riconosciuti tali prima della pena del sangue, siano puniti dopo aver prestato degna attenzione alle prescrizioni dei Sacri Canoni.
7. Inoltre, poiché fu avanzato il dubbio se entro questo ampliamento ed estensione del Predecessore Clemente siano compresi anche gli insegnanti degli Ordini Regolari e gli alunni, Noi, per togliere ogni dubbio in materia, decidemmo e dichiarammo che saranno da includervi tutti e ciascuno di qualunque Ordine, Congregazione, Compagnia e Istituto regolare, tanto i Professi in tali Sodalizi quanto gli aggregati di qualunque modo, di qualunque grado e condizione fossero, anche se insigniti di qualche privilegio degli stessi Ordini o di qualunque altra espressa e distinta menzione personale e dei loro Ordini: siano compresi nella censura della presente e delle precedenti Costituzioni. Se accadesse mai (Dio non voglia) che qualcuno avesse perpetrato un omicidio premeditato, dovrà essere escluso dal beneficio della Immunità Ecclesiastica, secondo il dettato delle stesse Costituzioni di Benedetto e di Clemente.
8. E poiché il ricordato Predecessore Clemente, con speciale decreto pubblicato nel giorno 5 ottobre dell’anno 1736, dichiarò espressamente che anche le donne che avessero commesso qualche delitto di tal fatta (da doversi considerare fra quelli esclusi dal beneficio della Immunità locale in conformità delle disposizioni già dette) dovevano essere giudicate con diritto pari a quello degli uomini e che nel disposto della sua Lettera che comincia In supremo Justitiae solio devono essere comprese assolutamente in modo equo, Noi, secondo lo spirito di questa Nostra Costituzione, approviamo e confermiamo la predetta dichiarazione e aggiungiamo ad essa l’intatta forza di una legge inviolabile, secondo la quale occorre essere giudicati nei casi che si presentano. Decidiamo del pari e confermiamo, in base al disposto dello stesso Clemente e di questa Nostra Costituzione, che anche i soldati siano compresi in tutte e per tutte le disposizioni, né si può favorirli o attribuire ad essi, in tal materia, alcun privilegio militare.
9. Inoltre, poiché nella predetta Costituzione del Predecessore Clemente sono esclusi dal beneficio della predetta Immunità tutti e ciascuno, tanto Laici che Ecclesiastici, inquisiti e processati, perseguiti in contumacia e condannati per causa e in occasione di un omicidio, anche commesso nel corso di una rissa, con le armi o sia con arnesi idonei per loro natura ad uccidere, purché l’omicidio non sia stato causale o dovuto alla propria difesa, spesso avvenne di discutere se si debba considerare escluso dal beneficio d’Immunità locale colui che non accidentalmente o per legittima difesa in una rissa commise un omicidio o con un bastone o con un sasso che, beninteso, non sono armi, se così si possono definire, e comunque non sono di solito considerate armi per loro natura idonee ad uccidere, Noi dunque, nel chiarire un tal dubbio, stabilimmo che qualunque omicida, sia uomo sia donna, sia Laico sia Ecclesiastico secolare o regolare di qualsivoglia Ordine che anche con un bastone o con un sasso abbia ucciso il suo prossimo, non può affatto godere del diritto di asilo ecclesiastico, quando sia accertato dalle circostanze del delitto che il suo atto, anche se compiuto in una rissa non per accidente o per necessaria autodifesa, fu commesso per odio e con intenzione e volontà di nuocere. Questa Nostra definizione è conforme alla Legge Divina che si trova nel Libro dei Numeri, dove, designati i luoghi d’asilo per coloro che involontariamente avessero effuso il sangue del prossimo, così si prosegue: Se alcuno avrà ferito di spada e il ferito ne morirà, sarà reo di omicidio ed egli stesso dovrà morire. Se avrà lanciato una pietra e il colpo avrà ucciso, sia punito allo stesso modo. Se chi è percosso da un bastone morirà, sarà vendicato col sangue del picchiatore. Il parente dell’ucciso ucciderà l’omicida; non appena sarà catturato, lo uccida. Se un tale per odio avrà colpito un uomo o in un agguato gli avrà lanciato qualcosa o, come nemico, lo abbia percosso di mano e lo abbia ucciso, il picchiatore sarà reo di omicidio; il parente dell’ucciso, non appena avrà trovato l’uccisore, lo sgozzerà. Che se poi per caso e senza odio e inimicizia avrà compiuto alcuno di quegli omicidi e ciò sia stato provato al cospetto del popolo e fra il colpevole e il vicino di sangue la questione sia dibattuta, l’innocente sarà sottratto alla mano vendicatrice e per sentenza sarà ricondotto nella città nella quale si era rifugiato e quivi rimarrà finché il Grande Sacerdote, che fu unto dall’Olio Santo, non morirà (Nm 35,16-25).
10. Accade poi negli omicidi (ciò che non ha luogo negli altri delitti denunciati) che chi sia stato percosso o colpito non muoia all’istante ma che piuttosto sopravviva per qualche ora o qualche giorno. Frattanto il picchiatore, rifugiandosi in una Chiesa o in altro luogo immune, gode del diritto d’asilo di cui non può essere privato come omicida finché chi è stato percosso da lui rimane fra i vivi; mentre da quello stesso luogo immune egli non tralascia di spiare con ansia la vita del ferito, se capisce che questi potrà vivere a lungo, in nessun modo si allontana dal rifugio raggiunto; quando poi viene a sapere che quegli ha perso la vita in seguito alla ferita infertagli, presa la fuga eludendo la sorveglianza dei magistrati, in buon punto provvede a se stesso e si sottrae alle meritate pene. Poiché da coloro che sono preposti all’amministrazione della giustizia a Noi fu detto che un tale fatto accade spesso, e certo non senza grave danno della pubblica tranquillità per la speranza d’impunità che i facinorosi concepiscono, convinti di poter evadere nel medesimo modo, gli stessi magistrati ci hanno chiesto di rimuovere con gli opportuni rimedi della Nostra previdenza un male di tal fatta.
11. Perciò Noi, per consiglio dei predetti Nostri Fratelli e di altri saggi, con la presente lettera giudichiamo e decidiamo che, quando un violento si rifugi in una Chiesa o in altro Sacro o Religioso luogo, se i chirurghi chiamati ad esaminare la ferita avranno riferito essere presente un grave pericolo di vita, allora sia consegnato alle carceri il violento, dopo averlo strappato dal luogo immune, rispettando le procedure; e che in forza di questa legge, egli sia restituito alla Chiesa, qualora il ferito sopravviva oltre il tempo stabilito dalle leggi e per di più subisca le stesse pene alle quali (nelle ricordate Lettere di Benedetto e di Clemente) sono sottoposti coloro che rifiutano di restituire il delinquente loro affidato in base a indizi sufficienti per torturarlo dopo che il delinquente avrà chiarito gli indizi in sua difesa
. 12. E invero nella citata Costituzione del Predecessore Gregorio circa la facoltà di chiedere l’estradizione dei delinquenti da luogo immune nei casi previsti, fu stabilito che tale facoltà appartenga solo ai Vescovi e agli altri Prelati superiori ai Vescovi e non già agli altri inferiori ai Vescovi, anche se gli altri sono Ordinari o di Nessuna Diocesi. Cosicché, verificandosi il caso delittuoso in luogo escluso e non sottoposto ad alcuna Diocesi, allora tale affare sia affidato al più vicino Vescovo, come fu confermato anche dall’altro Nostro Predecessore Benedetto nella sopracitata sua Costituzione; la stessa norma Noi pure approviamo e confermiamo ai sensi della presente Lettera. Ma poiché su tale argomento furono a Noi riportate non poche lagnanze che certe Curie Ecclesiastiche avanzarono a nome dei Funzionari della Curia Secolare, e convennero di rinviare la cattura dei delinquenti, nei casi contemplati, più a lungo del lecito, Noi con ogni premura e impegno persuadiamo e con riguardo ordiniamo che gli stessi Venerabili Fratelli Vescovi e gli altri superiori Presuli delle Chiese facciano in modo di rimuovere ogni occasione di querele per questo genere di questioni, e ogni volta che si tratti di delinquenti nei casi previsti, non ricusino di raccogliere gli opportuni indizi contro di essi; e se ammettono che quegli indizi, richiesti conforme alle premesse, sono veramente sufficienti, quanto prima decidano di trarre fuori gli stessi delinquenti dal luogo immune, affinché siano detenuti o nelle carceri episcopali in nome della Chiesa, o siano trasferiti con le debite cautele alle carceri della Curia Laicale, ove saranno ristretti in nome della stessa Chiesa. Infatti non si può invocare l’obbligo dello zelo Ecclesiastico nell’impedire il corso della giustizia, prescritto dalle Costituzioni Apostoliche contro i facinorosi, ma piuttosto nell’affermare e sostenere l’immunità della Chiesa e di tutti gli altri luoghi Ecclesiastici e i diritti personali, quando accada che siano infrante e violate le prescrizioni delle sacre leggi. Quando tuttavia riteniamo che tali indugi intervengano soprattutto se i predetti acclarati delitti sono perpetrati non nelle Città ma in Diocesi, in luoghi remoti dalla sede della Curia Ecclesiastica, per questo motivo Noi tramite questa stessa Lettera concediamo facoltà e comunichiamo ai predetti Vescovi e agli altri Superiori Prelati che ogni volta che saranno interpellati circa casi di tal genere da parte della Curia laicale, potranno affidare ai loro Vicari foranei o alle altre persone ecclesiastiche da deputare a tale funzione da parte degli stessi superiori, l’incarico di raccogliere gli indizi giuridicamente necessari per la cattura, affinché, esaminati appunto tali indizi, gli stessi Superiori, conforme al diritto, siano al più presto idonei alla cattura dei delinquenti.
13. E certamente tutte queste disposizioni che fin qui annunciammo, definimmo e prescrivemmo sia in questa Nostra Urbe, sia a Bologna, Ferrara, Benevento e in tutte le altre città, terre e luoghi direttamente o indirettamente soggetti a Noi e alla Santa Romana Chiesa e che richiedono una speciale e distinta menzione, e nelle Curie Ecclesiastiche e Secolari dei quali luoghi, anche Baronali, come anche in altri Regni, Province e Possedimenti ai quali le citate Costituzioni dei Nostri Predecessori, sia con particolari concessioni (come sopra è detto), sia per mezzo di Concordati furono estese e ampliate (fin dove appunto si distinguano convenientemente, ma in armonia con gli stessi Concordati, dai quali in nessun modo intendiamo derogare), vogliamo che siano rispettate in ogni caso e decidemmo che abbiano perpetuo fondamento e che raggiungano e ottengano i loro dovuti effetti in tutti i singoli Domini, Regni e Luoghi, tanto dai Giudici delle Curie Ecclesiastiche che Secolari, dai Magistrati, dai Funzionari, dai Ministri e da tutti coloro i quali hanno e avranno competenza pro tempore in materia.
14. Ciò che nelle citate Costituzioni dei Nostri Predecessori, sotto minaccia di gravissime pene, fu vietato, e cioè che né le Curie Secolari né i loro Magistrati, Giudici e Funzionari catturino, portino via dalle Chiese, dai Monasteri e dai luoghi sacri o imprigionino, anche nei casi previsti, un delinquente senza l’intervento dell’Autorità Ecclesiastica, o che osino o presumano di giungere in qualche modo a dichiarare che dai predetti prelevati sono stati commessi crimini previsti nelle Costituzioni degli stessi Predecessori (mentre questa facoltà, come si è detto, è riconosciuta appartenere ai soli Vescovi), Noi con sentimento, autorità e insistenza confermiamo e ordiniamo anche ad essi, e a tutti coloro ai quali questa funzione compete e competerà in avvenire, di rispettare le presenti norme sempre, senza eccezione. Abbiamo deciso e sancito che chi agirà in senso contrario e i trasgressori debbano incorrere in quelle stesse pene che sono state indicate nelle predette Costituzioni, ritenendo che si debbano considerare fra i trasgressori anche coloro che, disprezzando l’Autorità Ecclesiastica e le Sanzioni canoniche, trascurano il prescritto ricorso ai Superiori Ecclesiastici, presumono di poter assediare i Luoghi immuni e vietano che siano portati alimenti a coloro che si proteggono in un Sacro rifugio, o altrimenti li costringono a darsi in potere della Curia Secolare. Noi infatti decidiamo e dichiariamo che coloro che hanno osato tanto, sia che fuggano da delitti accertati, sia che si trovino inquisiti di altri non accertati, incorrano in tutte e nelle singole pene e censure previste contro chi viola l’Immunità Ecclesiastica secondo il diritto e le pene annunciate e prescritte nelle predette Costituzioni Apostoliche. Certo non ignoriamo che anche in altri tempi ricorrevano spesso azioni violente, ma insieme sappiamo che dalla Chiesa furono sempre condannate e proscritte; e ciò dimostrano a sufficienza quegli Statuti che furono raccolti in parecchi Concili Provinciali, allo scadere del decimoterzo e decimoquarto secolo della Chiesa. Ivi infatti sono ricordati gli assedi delle Chiese, la sottrazione degli alimenti e gli altri espedienti per i quali coloro che si erano rifugiati nelle Chiese erano costretti alla resa; tutti quelli che avranno osato tentare tali azioni, saranno feriti dalla spada dell’anatema. E Noi dunque che non possiamo né vogliamo abbandonare lo spirito della Chiesa tante volte apertamente manifestato circa le questioni predette e dai Nostri Predecessori costantemente rispettato, fedeli in tutto a tale spirito, giudichiamo e dichiariamo che tutti e i singoli che abbiano osato usare violenza in tal modo contro coloro che si trovano sotto la tutela dell’Immunità Ecclesiastica, oltre alle altre pene e censure prescritte e sancite e da applicare senza altra dichiarazione contro quelli che violano la stessa immunità, come si è detto, saranno privati e considerati indegni di ogni beneficio e privilegio del rifugio e dell’asilo Ecclesiastico, tanto presso le Chiese e i luoghi immuni da loro così violati, quanto presso le altre Chiese e i Luoghi Sacri e Religiosi e saranno da giudicare alla stessa stregua di tutti coloro che fanno violenza sui rifugiati o li catturano di forza e li portano via dalla Chiesa o da altro luogo immune; il lodato Predecessore Benedetto XIII, nella sua citata Costituzione, dichiarò invero che "essi non potranno né dovranno mai godere non solo della immunità della Chiesa che hanno violato, ma anche di ciascuna altra Chiesa". E Noi giudicammo che anche i predetti siano da ascrivere nel numero dei violenti.
15. Infine poiché, come abbiamo appreso, tra le Curie del nostro Dominio Temporale e di non pochi Domini confinanti, è invalsa una certa consuetudine, per cui coloro che abbiano commesso delitti di una certa specie nell’uno o nell’altro di tali Domini e si siano rifugiati entro i confini dell’altro, siano catturati nella Curia vicina a quel Dominio in cui fu commesso il delitto e consegnati alla stessa Curia. E quando, come a Noi fu riferito, accada talvolta di frapporre indugio in tali trasferimenti, per il fatto che quei delinquenti si erano messi al sicuro nelle terre verso cui erano fuggiti, sotto la tutela di una Chiesa o di alcun altro Luogo immune, allora Noi, volendo opportunamente congiungere le ragioni della Immunità Ecclesiastica con la retta amministrazione della Giustizia e con la tranquillità dello Stato, deliberammo e ordinammo che se tali fuggitivi avranno commesso un delitto di quelli che sono compresi nelle predette Costituzioni Apostoliche e nel Dominio temporale della Chiesa Romana, si raccolgano e si accumulino gli indizi (richiesti per procedere alla cattura) da parte del Vescovo Diocesano o da quello più vicino a quel luogo ove fu commesso il delitto. Quegli indizi, poi, senza indugio siano trasmessi al Vescovo dell’altro luogo in cui il delinquente trovò asilo, affinché con la sua autorità e con l’intervento di persona Ecclesiastica si possa procedere alla sua estradizione dal Luogo immune. Con lo stesso criterio si deve procedere se nei predetti Domini di altri Principi, nei quali vige la consuetudine della citata consegna, viene commesso un delitto di tale specie: ciò, sia in forza delle Costituzioni Gregoriana e Benedettina, sia a motivo del Concordato con la Sede Apostolica, sia per estensione di altra Costituzione di Clemente XII richiamata espressamente dalla Sede Apostolica.
Vogliamo e ordiniamo che il Vescovo, al quale la materia compete in forza del luogo in cui il delitto fu commesso, provveda a che siano raccolti gli accennati indizi necessari per la cattura, e li trasmetta al Vescovo dello Stato Ecclesiastico nel cui territorio il reo del delitto scelse l’asilo, affinché, con l’autorità di questo Antistite, fatti salvi i principi da rispettare, il delinquente possa essere estradato dal luogo del rifugio e, se così esige la norma, essere consegnato alla Curia esterna che ne fece richiesta.
Vogliamo tuttavia che in ognuno dei casi predetti, nei quali si tratti soltanto dei delitti descritti più sopra, siano osservate rigorosamente le leggi e le procedure sia delle Costituzioni di Clemente sia dei Concordati, sia ovviamente quando il delinquente sia ristretto nelle carceri in nome della Chiesa, sia anche quando, solamente da parte dei Vescovi, sia espresso un giudizio negativo finché da tutti gli altri Giudici Ecclesiastici si dichiari (in base agli indizi, come si è detto, sufficienti alla tortura) se il delitto, di cui si tratta, debba essere annoverato tra quelli descritti o meno; e infine, anche nel caso che si riferisce all’obbligo di restituire il reo sulla scorta delle citate Costituzioni, fino a quando costui nel corso del processo non avrà emendato e attenuato gli indizi che sono contro di lui.
16. Vogliamo infine che la presente Lettera e i suoi contenuti abbiano potere e forza di perpetua validità e i suoi integri e pieni effetti nei luoghi e nei Domini predetti e, con particolare riguardo, in qualsiasi luogo e popolo; che sia rispettata da tutti e dai singoli ai quali è rivolta e in ogni caso si rivolgerà anche in futuro secondo le circostanze, sotto la minaccia delle pene e delle censure previste, in cui devono tosto incorrere i trasgressori; e così, e non altrimenti, come nelle premesse, decretiamo che sia applicata da tutti i Giudici Ordinari e Delegati, anche dai Cardinali della Santa Chiesa Romana, anche dai Legati de latere, da tutte le Congregazioni dei Cardinali e dai Nunzi della Sede Apostolica, nonché dalle Curie secolari, dai Magistrati, e da chiunque altro sia o sarà investito di qualsivoglia carica o potere, anche se degno di particolare nota e menzione, e da quanti, in qualsiasi altro modo, abbiano facoltà e autorità di giudicare e di interpretare; e sia nullo e inefficace il giudizio che, da chicchessia o da qualsiasi autorità, scientemente o per ignoranza espresso, indicherà di operare diversamente.
17. Nonostante le premesse e tutte le altre Costituzioni Apostoliche, le Regole e le Ordinazioni e ogni Legge Ecclesiastica o Secolare, gli editti, gli scritti, gli usi e le consuetudini anche immemorabili; i privilegi, gl’indulti, le facoltà, le persone d’ogni sorta degne di speciale menzione e illustri per quale e quanta vuoi sublime carica e autorità, e anche oberate di qualsivogliano urgentissime cause, o gli Ordini di Regolari, anche di Mendicanti, di Militari e anche di San Giovanni Gerosolimitano, o di Monaci, o le Congregazioni di Chierici Regolari, le Società e gl’Istituti, anche della Compagnia di Gesù, e tutti gli altri che vanno sotto qualunque forma e denominazione, e con qualunque clausola e decreto, anche affini per obiettivi e per pienezza di potere, concessi concistorialmente o in qualunque modo contrario a quanto premesso, anche se più volte confermati e rinnovati: A tutti questi ed ai singoli – i concetti, la forma e le finalità dei quali, anche se impliciti e riservati, con la presente Lettera s’intendono pienamente espressi – Noi, da questo ufficio, con piena conoscenza e potestà, ai sensi di quanto premesso, deroghiamo; e vogliamo sia derogato, respinta ogni eccezione contraria. Se ad alcuni, tutti assieme o separatamente, sia stato concesso da questa stessa Sede che in nessun caso, o al di fuori di certi casi, e per cause diverse, non possano essere scomunicati, sospesi o interdetti, se non per Lettere della stessa Sede, i medesimi facciano piena e motivata menzione di tale Indulto, parola per parola.
18. Affinché, poi, la presente Lettera e il suo contenuto siano recati a conoscenza di tutti, e affinché nessuno osi allegare l’ignoranza della materia, vogliamo che la Lettera sia pubblicata alle porte della Chiesa di San Giovanni in Laterano, della Basilica del Principe degli Apostoli dell’Urbe, della Cancelleria Apostolica, della Curia Generale Innocenziana e negli altri soliti e consueti luoghi dell’Urbe, per mezzo dei Nostri Cursori, come è di costume; vogliamo che copie di essa siano affisse, in modo che così pubblicate e affisse, tutti e ciascuno – cui essa è rivolta e sarà rivolta in futuro – ne dispongano, come se a ciascuno di essi fosse comunicata e notificata personalmente; vogliamo anche che le copie di essa, anche a stampa, purché sottoscritte di pugno da un pubblico Notaio e munite del sigillo di persona dotata di dignità Ecclesiastica, abbiano in ogni luogo la stessa fiducia che si avrebbe per la presente Lettera se fosse esibita e mostrata in originale.
19. Pertanto a nessuno sia lecito violare questa pagina delle Nostre dichiarazioni, definizioni, ordinazioni, affermazioni, proibizioni, mandati, decreti e volontà, od opporsi ad essa con atto temerario. Se qualcuno poi avrà osato tanto, incorrerà nell’indignazione di Dio Onnipotente e dei Beati Pietro e Paolo suoi Apostoli.
Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, nell’anno 1749 dell’Incarnazione del Signore, il 15 marzo, anno decimo del Nostro Pontificato.



























ufficio divino loc. s. m. lit.: 1 preghiera liturgica composta di salmi, inni, brani delle sacre scritture e patristici, che viene recitata ogni giorno in ore canoniche dai preti secolari e dai religiosi consacrati: dire, recitare, cantare l'u. divino - 2 estens., libro o breviario che contiene tali testi



























PASTORALIS OFFICII
1. La sollecitudine del Nostro dovere pastorale, affidato a Noi, anche se immeritevoli, per volere di Dio, Ci ammonisce innanzitutto di dare l’apostolico assenso ai voti dei Principi Cattolici a che non sia tolto niente all’immunità ecclesiale, e contemporaneamente si provveda alla tranquillità pubblica. Dunque, da parte del Nostro carissimo figlio in Cristo Carlo Emanuele, illustre Re di Sardegna, a Noi fu esposto che più volte allo stesso re Carlo Emanuele da parte di persone temporaneamente trovantisi nel Regno di Sardegna come Pro-re e da altri ministri, sono pervenuti lamenti a causa dei frequenti omicidi ed altri gravi delitti che in tutto questo Regno sempre più spesso vengono compiuti. Ad essi contribuiscono molto la facilità ed il vantaggio in forza dei quali delinquenti e uomini facinorosi, dopo aver commesso gravi crimini e delitti, per evitare la dovuta pena si rifugiano nelle Chiese ed in altri luoghi immuni esistenti in ogni parte del sopraddetto Regno, benché alcuni dei luoghi immuni e di tali Chiese non siano tenuti nella dovuta venerazione, né siano custoditi. Perciò il medesimo re Carlo Emanuele per eliminare e troncare totalmente obbrobrio sì pernicioso e detestabile, desidera grandemente che con la Nostra benevolenza apostolica Ci degniamo dichiarare quali siano i crimini e i delitti a seguito dei quali i rei ed i delinquenti contro la pubblica tranquillità e sicurezza, per non sfuggire alla pena a causa dei crimini commessi, non possano avere asilo ecclesiastico, in quanto anche d’ora in poi non godono affatto d’immunità ecclesiastica.
2. Di qui deriva che Noi, non meno per il compito impostoci per volere di Dio dalla sollecitudine apostolica quanto per il desiderio che abbiamo di curare la tranquillità pubblica, dopo quella matura riflessione che abbiamo avuto nelle precedenti deliberazioni, seguendo gli esempi degli altri Romani Pontefici, Nostri Predecessori, i quali, di più o di meno, secondo la necessità dei luoghi e la situazione dei tempi, applicarono il loro spirito per combattere la perversità degli uomini e provvedere alla tranquillità pubblica, limitarono il beneficio dell’immunità ecclesiastica, vogliamo aderire favorevolmente, per quanto possiamo nel Signore, alle pie domande del medesimo re Carlo Emanuele. Con Motu-proprio, e anche con Nostra sicura conoscenza e pienezza di potestà Apostolica, dichiariamo, stabiliamo e decidiamo che nel Regno di Sardegna non devono affatto avere asilo ecclesiastico i rei e colpevoli dei crimini sotto indicati, cioè: "primo". Quelli, che avranno commesso omicidio, eccettuato che si tratti di omicidio casuale, e a propria difesa con temperamento di tutela incolpabile; "secondo". Gli incendiari, cioè coloro che con dolo e di fatto metteranno, o faranno metter fuoco, o che consapevolmente daranno aiuto, e consiglio a chi mettesse fuoco a qualunque Chiesa, Luogo Sacro, o Religioso o a qualunque Casa abitabile sia tanto in Città, e Luoghi abitati, quanto fuori di essi; come altresì a Tuguri costruiti a guisa di casa soliti ad abitarsi da Contadini, o Pastori, o sopra gli Armenti, o le Greggi; a Vigne, Seminati, Oliveti, Selve, e qualunque altro Podere alberato, coltivato, e fruttifero; "terzo". Coloro, che faranno assassinare, o che per commissione data loro, assassineranno, o che ai suddetti scellerati danno aiuto, o consiglio, quantunque non ne sia seguita la morte; purché però si sia giunti al fatto proprio, cioè alla violenza, e sia sopraggiunta una ferita; "quarto". I Grassatori, e Ladri di strade pubbliche, e vicinali, anche per la prima volta, che commettessero un tale delitto, ancorché senza alcuna Offesa del Derubato. 3. Di immunità ecclesiastica invece non devono affatto godere: "Le Chiese rurali esistenti fuori delle Città, e Luoghi abitati, nelle quali non si conserva il Venerabile, eccettuate le Parrocchie, e le Chiese filiali delle medesime, nelle quali si esercita la cura delle Anime, con dichiarazione, che tanto rispetto alle suddette Chiese rurali riservate, quanto a riguardo di tutte altre Chiese, che sono in Città, e altri Luoghi abitati, non debba il beneficio dell’Asilo distendersi, quanto all’esteriore, ad altro, che all’Atrio, quando sia circondato di mura, o Portici, Scale, e Porte, tanto anteriori, che laterali, ed alla facciata anteriore solamente. Le Cappelle, e gli Oratori esistenti nelle Case de’ Particolari, e Magnati, quantunque abbiano privilegio di Cappelle pubbliche, e l’adito in strada pubblica; così parimenti tutte le Cappelle delle Fortezze, e Castelli chiusi, ancorché si conservi in esse il Santissimo Sacramento. I campanili separati dalle Chiese, e dalle muraglie di esse. Le Chiese dirute ed abbandonate, o tenute in stato indecente, quando non siano necessarie, o utili al servizio, e cultura spirituale dei Popoli, previa però la profanazione di esse, quali Noi ingiungiamo strettamente ai Vescovi e Ordinari di fare nel più breve tempo, che loro sia possibile. Gli Orti, e Giardini, e altri Luoghi di Chiese, e di qualsiasi altra Casa Religiosa, i quali non siano circondati da muraglie, e non sono compresi nella Clausura. Le Botteghe, e le Case attaccate alle muraglie delle Chiese, e dei Monasteri, o di qualsivoglia altra Casa Religiosa, quantunque abbiano interna comunicazione con le medesime, purché non siano comprese nella clausura. Le Case, nelle quali abitano i Sacerdoti, o altri Ecclesiastici, ancorché abbiano l’ingresso nella Chiesa, eccettuatone però le Case, ove abitano i Parroci, ed altri Ecclesiastici destinati alla cura, e custodia della Chiesa, purché bensì tali Case si abitino da essi stessi, e non da altri, le quali avendo l’immediata comunicazione interiore con la stessa Chiesa, godranno del Sacro Asilo, nonostante abbiano la porta con l’uscita in strada pubblica".
4. Affinché queste Nostre sopraddette disposizioni raggiungano il loro effetto, imponiamo ed ordiniamo con la presente Lettera a Voi, Fratelli Arcivescovi e Vescovi, che ognuno di Voi nelle sue rispettive città e in qualsiasi terra, paese e castello delle rispettive diocesi assegni ai rei e ai criminali che si trovano nelle chiese e nei luoghi immuni il tempo congruo, secondo il Vostro giudizio, e si affiggano i pubblici manifesti ed avvisi, informandoli che in avvenire, secondo la Nostra presente Disposizione, in alcune chiese e luoghi sopraddetti non debbano assolutamente godere dell’immunità ecclesiastica coloro che si trovano presentemente accusati di crimini commessi, e ordiniate che di lì siano trasferiti effettivamente nelle chiese e nei luoghi immuni da Noi voluti, dopo aver dichiarata, o se si preferisce implorata, ed ottenuta precedentemente, a loro vantaggio, la necessaria sicurezza dal braccio secolare.
5. Stabiliamo che questo presente documento sia sempre saldo, valido ed efficace, e che raggiunga il suo pieno ed integro compimento, anche nel futuro, ed ottenga a quelli ai quali interessa e per qualsiasi tempo interesserà, di essere pienamente osservato, da parte loro, rispettivamente inviolabilmente. Così, come nelle premesse, per qualunque giudice ordinario e delegato, anche per gli uditori delle Cause del Palazzo Apostolico e i Nunzi della Sede Apostolica, sia tolta loro e a ciascuno di loro qualsiasi facoltà ed autorità di giudicare e di interpretare, e se capitasse loro di dover giudicare o stabilire diversamente, ciò sia vano ed irrito, se fatto da chiunque o con qualsiasi autorità, consapevolmente oppure inconsciamente.
A questo Nostro Documento non si opponga nessuna costituzione o disposizione apostolica che vi fosse contraria né qualsiasi altro contrario documento. Vogliamo inoltre che le copie di questa lettera, trascritte o anche stampate, firmate da qualche notaio pubblico e munite con il sigillo di una persona costituita in dignità ecclesiastica, abbiano esattamente la stessa credibilità come se fosse esibito oppure presentato questo stesso Documento originale.
Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, sotto l’anello del Pescatore, il 21 marzo 1759, nel primo anno del Nostro Pontificato.



























Importanza della "BIBLIOTHECA CANONICA" di P. L. Ferraris per questa ma anche ALTRE VOCI
DIOCESI (ARCIVESCOVADI - EPISCOPATI):
EPISCOPATO SECONDO LA "BIBLIOTHECA CANONICA" DI L. FERRARIS: CON ELENCO DI TUTTI GLI EPISCOPATI IN ITALIA, IN EUROPA E NEL "RESTANTE MONDO CONOSCIUTO" AL XVIII SECOLO = VEDI QUI IN DETTAGLIO EPISCOPATI IN FRANCIA - EPISCOPATI IN SPAGNA - EPISCOPATI IN GERMANIA (84) - EPISCOPATI IN INGHILTERRA (91) - EPISCOPATI IN SCOZIA (93) - EPISCOPATI IN IRLANDA ("HIBERNIA")(95) - EPISCOPATI IN "KAGENIA" (PARTE DELL'IRLANDA) (96) - EPISCOPATI IN "MOMOXIA" (PARTE DELL'IRLANDA) (96) - EPISCOPATI IN "CONNACIA" (PARTE DELL'IRLANDA) (98) - EPISCOPATI IN BOEMIA (99) - EPISCOPATI IN DANIMARCA (100) - EPISCOPATI IN SVEZIA - EPISCOPATO DI "UPSALA" (101) - EPISCOPATI IN ALTRE PARTI D'EUROPA, ANCHE SOGGETTE A DOMINAZIONI NON CRISTIANO-CATTOLICHE: MOLDAVIA, VALACCHIA, SERBIA, BULGARIA. DIPENDENZE D'AUSTRIA, DALMAZIA - GRECIA E ISOLE, "MOSCOVIA", "RUSSIA BIANCA", UNGHERIA - POLONIA, STORICHE DIPENDENZE COLONIALI PORTOGHESI IN AFRICA E NON, ECC. ECC (102 [SIC = "TEXTUS ERRAVIT CUM NUMERO" 120] - 125) - EPISCOPATI NELLE INDIE ORIENTALI (COLONIE PORTOGHESI - GIAPPONE - IMPERO DELLA CINA = 126) - EPISCOPATI NELLE INDIE OCCIDENTALI ("NUOVO MONDO - AMERICA - AMERICHE = 126 - 132) - EPISCOPATI NELLE ISOLE FILIPPINE (133) - EPISCOPATI DI "SAN SALVADOR" - "OLINDA DE PERNAMBUCO" - "SAN SEBASTIANO DE RIO DE JANIERO" - "SAN LUIS DE EL MARAHAM" (134) - EPISCOPATI IN "BRASILIA" ([135]) - EPISCOPATI IN "FRANCIA NUOVA" (QUEBEC)([135]) - EPISCOPATI IN BELGIO "FIANDRA" (136) - EPISCOPATI IN BELGIO "SPAGNOLO"(136) - EPISCOPATI IN BELGIO "GALLICO"(137) - EPISCOPATI IN UTRECHT - OLANDA - ZELANDA - FRISIA (138) - ["ADDENDA"]
INDICE
- FRONTESPIZIO DELL'OPERA E DEL TOMO DI RIFERIMENTO
- ARTICOLO : FESTA - FESTIVITAS
- SOMMARIUM
- ELENCO DELLE FESTE E FESTIVITA' RELIGIOSE
- DECRETO DEL 23 MARZO 1630 DI URBANO VIII SULLA SCELTA DEI SANTI PATRONI
- BREVE DEL 23 MARZO 1630 DI INNOCENZO X SUL DIVIETO PER I PRINCIPI LAICI DI INDIRE FESTIVITA' RELIGIOSE
- EPISTOLA ENCICLICA DI CLEMENTE XI SULLE FESTIVITA' RELIGIOSE DELL'11 GENNAIO 1719
- EPISTOLA ENCICLICA DI CLEMENTE XI SULLE FESTIVITA' RELIGIOSE DEL 4 GENNAIO 1720
- EDITTO "PER L'OSSERVANZA DELLE FESTE" DI BENEDETTO XIII DELL'8 FEBBRAIO 1727 (CITTA' DI ROMA - TESTO IN ITALIANO)
- [ " ...CIO' CHE SI TOLLERA..." IN MERITO ALL'EDITTO: ELENCO DETTAGLIATO DI LAVORATORI, COMMERCIANTI, ARTIGIANI, ARTISTI, PROFESSIONISTI ECC....E RELATIVE DISPENSE ]
- POSSIBILI LICENZE PER LAVORARE DURANTE LE FESTIVITA' RELIGIOSE
- POSSIBILI PENE PER I LAICI CHE VIOLINO LA SACRALITA' DELLE FESTE
- FESTE - FESTIVITA' ALL'INTERNO DELLE SINGOLE DICOCESI
- CATALOGO DE' VESCOVI E DIOCESI CHE FINORA CIOE' FINO ALL'ANNO 1748 HANNO RICERCATA ED ESEGUITA LA FACOLTA DI SMINUIRE LE FESTE DI PRECETTO...PER POTERE ATTENDERE ALLE OPERE SERVILI
- SULLA FESTIVITA' DELL'ANNUNCIAZIONE
- SULLA FESTIVITA' DEL SANTISSIMO CORPO DI CRISTO
- SULLA FESTIVITA' DELL'IMMACOLATA CONCEZIONE
- "COSE" VARIE DA SEGUIRSI IN OCCASIONE DELLE FESTIVITA'
- PRESUNTE ECCEZIONI NON LECITE
- DE NUNDINIS
- ORDINI REGOLARI E FESTA DEL FONDATORE DEL RELATIVO ORDINE
- FESTE EBRAICHE - FESTE SECONDO L'ANTICA LEGGE
- RIFORMA DELLE FESTE DELL'ANTICA LEGGE SECONDO LA SANTA CHIESA ROMANA
- PRO SANCTIFICATIONE FESTORUM
































Mnesiteo è uno degli eruditi citati nei Deipnosophisti da Ateneo il compilatore qui menzionato da A. Aprosio sulla base del volume:
Athenaeus : Naucratita, Athenaei Dipnosophistarum siue Coenae sapientum libri 15. Natale De Comitibus Veneto nunc primum e Graeca in Latinam linguam uertente. Compluribus ex manuscriptis antiquissimis exemplaribus additis: quae in Graece hactenus impressis uoluminibus non reperiebantur. ... , Venetiis : apud Andream Arriuabenum ad signum Putei, 1556 - 12, 288, 12 p. ; 2o - Marca (Z981) sul front. - Cors. ; gr. ; rom. - Segn.: \ast!6A-2A6,"2A6 - Iniziali e fregi xil - Impronta - i.ia s.ra s.i? tule (3) 1556 (R) - Marca editoriale: Samaritana al pozzo offre da bere a Gesu. Citta sullo sfondo. Motto: Quicunque biberit ex hac aqua, non sitiet in aeternum.
Conti, Natale, sopra menzionato alla latina Natale De Comitibus, nacque a Milano nel 1520, studiò a Venezia e fu precettore di Francesco Panigarola, compose per Cosimo de’ Medici un poemetto in esametri sulle Ore del giorno e compilò la traduzione di alcuni classici tra cui appunto Athenaei Dipnosophistarum siue Coenae sapientum libri 15.
Le Mythologiae sono però la sua opera più conosciuta che contò numerose riedizioni: dopo la prima, edita da Manuzio nel 1551 e ristampata ancora ai tempi del Conti nel 1568 con dedica a Carlo IX re di Francia e nel 1581 con chiose di Geoffroy Linoicer: alla C.B.A. di Ventimiglia si custodiscono le Natalis Comitis Mythologiae, sive Explicationis fabularum, libri decem: in quibus omnia prope naturalis & moralis philosophiae dogmata contenta fuisse demonstratur ..., Coloniae Allobrogum: Crespin, Samuel, 1612).
Sebbene poco sia noto della vita dell’autore le dediche costanti a Carlo IX farebbero supporre un suo soggiorno in Francia ove l’opera ebbe immediata e duratura fortuna (la prima traduzione in francese è del 1604), già nell’ambiente della Pleiade (ritroviamo così gli dei di Conti ad esempio nell’entrata trionfale di Carlo IX a Parigi del 1572 e nell’incoronazione di Elisabetta d’Austria dello stesso anno). Rispetto ai mitografi contemporanei Conti, pur utilizzando fonti analoghe, si dimostra più attento alla letteratura greca degli epigrammi, agli idilli e all’ekphrasis e predilige un tipo di narrazione del mito più legato a modelli letterari che puramente filologici o divulgativi. Nell’introduzione infatti dedica un lungo paragrafo al significato delle favole antiche, al loro metodo di composizione, agli artifici della retorica ispirandosi al noto motivo dell’ut pictura poesis. Anche all’interno del libro, a differenza di Giraldi e Cartari, abbondano spiegazioni allegoriche dei miti condotte secondo i tre metodi indagati da Seznec: l’esegesi storica, morale e fisica, con sfumature neoplatoniche più accentuate rispetto a quelle riportate dai suoi colleghi [Caterina Volpi].

























MORSIUS, Joachim pensatore, latinista e poligrafo tedesco, esperto soprattuto in teosofia.
Vide la luce ad Amburgo il 3 Gennaio 1593 e si spense a Schleswig nel 1644. Dal 1610 frequentò l'Università di studiandovi Teologia ma contestualmente dedicandosi agli studi umanistici e di alchimia.
Peregrnò come studente e poi come insegnante per varie università germaniche, poi anche in Danimarca, Svezia ed in Inghilterra: i suoi studi esoterici divennero sempre più approfonditi e soprattutto si interessò della setta dei Rosacroce impegnandosi in pubblicazioni di teosofia sotto lo pseudonimo di Anastasius Philaretus Cosmopolita.
Da questa sua esperienza derivò l'opera destinata ad una certa celebrità intitolata
Anastasii Philareti Cosmopolitae Epistola Sapientissimae Fratrum Roseae Crucis Societati remissa.
Secondo il Servizio Bibliotecario Nazionale in Italia di lui e/o per lui si conservano le seguenti opere:
Anonymou eisagoge anatomike. Cum interpretatione doctissima, excellentissimi philosophi ac medici Petri Laurembergi ...Nunc primum in lucem edita auspiciis ac sumptibus Ioachimi Morsi Lugduni-Batauorum, 1618 - [8], 86, [2] p. ; 4 - Marca sul front. - Segn.: (.)4 A-L4 - Impronta - umre s.us r.n* **** (3) 1618 (R) - Lingua di pubblicazione: grc., lat. - - Localizzazioni: Biblioteca APICE - Archivi della parola, dell'immagine e della comunicazione editoriale - dell'Università degli studi di Milano
Scaliger, Joseph Juste <1540-1609>, Iosephi Scaligeri Loci cuiusdam Galeni difficillimi explicatio doctissima, nunc primum in lucem edita, ex musaeo Ioachimi Morsi, Lugduni Batavorum : excudebat Iacobus Marci, 1619 - Descrizione fisica: 8 p. ; 4o - Note Generali: Marca sul front. - Segn.: A4 - Impronta - s,x- o-m, *-em usm. (C) 1619 (R) - Paese di pubblicazione: NL - Lingua di pubblicazione: lat, grc - Localizzazioni: MI0185 - Biblioteca nazionale Braidense - Milano
Scaliger, Joseph Juste <1540-1609>, Iosephi Scaligeri De arte critica diatriba, nunc primum in lucem edita, ex musaeo Ioachimi Morsi, Lugduni Batavorum : excudebat Iacobus Marci, 1619 -: 7, [1] c. ; 4o - Marca sul front. - Segn.: A4 - Impronta - t.s, s,m, eme- e-m: (C) 1619 (R) - Paese di pubblicazione: NL - Lingua di pubblicazione: lat, grc. - Localizzazioni: Biblioteca nazionale Braidense - Milano
Casaubon, Isaac <1559-1614>, Isaaci Casauboni Epistola ad virum nobilissimum de pyrseias modo antiquo. Edita ex musaeo Joachimi Morsii, Rostochii : typis Mauritii Saxonis - [4] c. ; 4o - Data di pubbl. presunta: ca. 1620, ricavata da repertorio elettronico VD17 - Front. in cornice - Fregi e iniz. xilogr. - Segn.: A4 - Ultima c. bianca - Impronta - i-ua t,e. i-n- o-aq (C) 1620 (Q) - Paese di pubblicazione: DE - Lingua di pubblicazione: lat, grc. - Localizzazioni: Biblioteca nazionale Braidense - Milano
Morsius, Joachim, Speculum consiliorum Hispanicorum in quo regis Hispaniarum machinationes variae contra Evangelicos pro nova monarchia fundanda, a diversis authoribus, tanquam in tabella repraesentantur: productum in luce a J.M. ..., Lugduni typis exscriptum, 1626 - 8, 143, 1 p. ; 4 - Segn.: A-T4 - Iniziali e fregi xil. - Impronta - isse i-t. taea usmo (3) 1626 (A) - Paese di pubblicazione: FR Lingua di pubblicazione: lat. - Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Antonii Florebelli Mutinensis Panegyricus Carolo 5. Rom. imperatori dictus, ad superiorum temporum illustrationem, editus ex bibliotheca Ioachimi Morsi, Lugduni Batavorum : excudebat Iacobus Marci, 1619 - 4, 20 p. ; 4 - Segn.: *"A-B4C" - Emblema dell'Accademia di Leida sul front. - Impronta - R.C. umud u-ue none (3) 1619 (R) - Paese di pubblicazione: NL - Lingua di pubblicazione: lat. Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Tra le varie altre opere alla cui relaizzazione Jacob Morsius diede il proprio contributo si ricordano: Cornelii Drebbelii ... De quinta essentia tractatus / ed. cura Joachimi Morsii. Accedit ejusdem Epistola ad sapientissimum Britanniae monarcham Jacobum de perpetui mobilis inventione [Hamburg?], 1621. - [44] S. (lat.). 8o.
Amplissimi viri Franconis Duyckii Comparatio elegans venatoris et amatoris / ed. ex museo Ioachimi Morsii. Adiungitur Epigrammation in Cupidinem Arantem & elogium eiusdem / a Iano Dovsa conscriptum, Lugduni Batavorum : excudebat Iacobvs Marci, 1619. - 8 S. (lat.). 4o.
Iosephi Scaligeri De arte critica diatriba / nunc primum in lucem ed. ex musæo Ioachimi Morsii, Lugduni Batavorum : excudebat Iacobus Marci, 1619. - 7 S. (lat.). 4o
Reverendissimi et Illvstrissimi Cardinalis Baronii Epistola ad Sacram Regiam Catholicam Maiestatem de monarchia Sicvla / ed. ex museo Ioachimi Morsii, Lugduni Batavorum : excudebat Iacobvs Marci, 1619. - [6] S. (lat.). 4o.
Ivlii Cæsaris Scaligeri Epistolia dvo lectv dignissima / nunc primum ed. cura ac diligentia Ioachimi Morsii, Lugduni Batavorum : excudebat Iacobvs Marci, 1619. - 16 c. (lat.). 4o.
Iosephi Scaligeri Loci cvivsdam Galeni difficillimi explicatio doctissima / nunc primum in lucem ed. ex musæo Ioachimi Morsii, Lugduni Batavorum : excudebat Iacobvs Marci, 1619. - 8 c. (lat.). 4o
Medici Londinensis eximii Epistola de viri celeberrimi Isaaci Casavboni morbi mortisqve cavsa / ed. ex museo Joachimi Morsii, Lugduni Batavorum : excudebat Iacobvs Marci, 1619. - [3] c. (lat.). 4o
V. Cl. Pavli Mervlae Oratio posthuma de natura Reip. Batavicae : ex auctoris schedis descripta / Ioachimvs Morsivs vulgavit, Lugduni Batavorum : typis Iacobi Marci, 1618. - [32] p. (lat.). 4o.




















Si tratta del medico, naturalista e filosofo danese Fuiren, Heinrich (1614-1659) di cui una sorta di biografia si può leggere in Witte, Henning, Memoriae medicorum nostri seculi clarissimorum renovatae decas prima (- secunda) Königsberg, Frankfurt: Hallervord, 1676. - 185 [i.e. 285] S. 8°
. Compì un affascinante viaggio culturale attraverso l'Italia, raggiunse o sfiorò mete e centri ben conosciuti da Aprosio con cui entrò in contatto, soggiornò a Padova, Bologna, Firenze, Napoli ecc, dove entrò in contatto con personaggi illustri tra cui eruditi e scienziati del del calibro di Fortunio Liceti, di Ulisse Aldrovandi, Marco Aurelio Severino, Pietro Zacchia, Pietro Servio.
Di lui fu redatta un' orazione funebre da T. Bartholin altro corrispondente dell'Aprosio.
Nelle biblioteche italiane se ne conservano le seguenti opere (Fuiren, Thomas fu il fratello di Heinrich):
Fuiren, Thomas, Rariora musaei Henrici Fuiren medicinae doctoris quae academia regiae Hafniensi legavit, publici iuris facta a Thoma Fuiren, Hafniae : imprimebat Matthias Godicchenius, 1663 - [13] c. ; 4o - Marca sul front - fregi e iniz. xilogr - Segn.: A-C4 D4 (-D2) - Impronta - a.o. *.a. a.a. CoCo (C) 1633 (R) - Paese di pubblicazione: Danimarca - Lingua di pubblicazione: latino - Localizzazioni: Biblioteca nazionale Braidense - Milano
Fuiren, Heinrich (1614-1659), Henrici Fuiren Dani Praelectiones Basileenses De ascite consensu & autoritate gratiosissimi collegii medici, pro summis in medicina privilegiis rite obtinendis mense Septembri habitae Basileae : typis Georgi Deckeri, acad. typogr., 1645 - 96 p. ; 8o - Fregi e iniz. xilogr - Segn.: A-F8 - Impronta - S.N. b-r, e-i- aumo (3) 1645 (A) - Paese di pubblicazione: Svizzera Lingua di pubblicazione: latino - Localizzazioni: Biblioteca nazionale Braidense - Milano
Fuiren, Heinrich (1614-1659), Bibliotheca medica Henrici Fuiren medicinae doctoris experientissimi, quam Patriae Academiae legavit, Hafniae : typis Viduae Petri Hakij, 1659 - 134 p. ; 40. - Impronta - a-is 5.um i.i. 2.1. (3) 1659 (R) - Paese di pubblicazione: Danimarca - Lingua di pubblicazione: latino - Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale - Firenze

ORATIO In obitum Meritissimi Viri, HENRICI FUIREN, Medic. Doctoris, et in Regia Acad. Hafniensi Professoris Publ. Dicta Hafniae VII. Cal. Iun. An. M. DC. LIX. a THOMA BARTHOLINO. Inusitatum candoris virtutisque omnis exemplum nobis orbique subreptum in HENRICO FUIRENIO, Clariss. [page 194] Medicinae utriusque Doctore, deploramus, cui iusta persoluturi, dolendum ne in publica magis calamitate, quam privato amici luctu iure dubitamus. Aestimanti enim utriusque iacturae, pacis et amicitiae, fortunae et virtutis conditionem, illa potior occurrit, cuius damnum est irreparabile, quaeque meliora exemkpla mortalium animis im pressit. Aestuantis quidem belli exempla detestamur, quibus veluti pilae hinc inde varia fortuna, sed dura semper, iactamur, milleque miseri involvimur ruinis, caelo infenso et superis iratis in nostri perniciem coniurantibus, quum ubique prostent miseriarum argumenta, et velut victimae homines passim immolentur, ut patriam tandem in patria quaeramus, et alia opus sit infelicitate ad istam tuendam infelicitatem. Malorum omnium in bello sumam contraxit DEUS scelerum vindex, quia nostra scelera vindictam merebantur, et suppliciis nostris acerbae Numinis irae litandum erat, quae tanto urgent premuntque vehementius, quo sunt iustiora: Sed tamen, quia pacis tantum causa ex Platonis sententia suscipiendum, mediis bellorum fluctibus haud dubia spe erigimur, quod pace postliminio nobis restituenda, aliquando sit terminandum, quodque vitiis cessit, virtute possit revocari. Quis vero integros illos mores reducet, antiquam constantiam et candidam mentem, quibus cum FUIRENIO ivimus nuper exsequias? Vellem nobis blandiri, si possem, si saeculi iniquitas pateretur. Prona iam mihi in peius fides. Mala multa patimur, sed maiora vel experiemur vel merebimur, quia exulat candor, proscripta ex animis recti verique voluntas, in DEUM hominesque amor, et quicquid denique beatos nos reddit et felices, laudare malumus quam imitari. Bellorum finem praevidemus, sed numquam vitiorum, quae insanabilia, quia ferro exasperantur. Nos igitur publicis his aerumnis irretiti, quibus se subtraxit praescia futurorum FUIRENII mens, tantum virum privatim, sed publico quoque nomine grata in beatos manes recordatione deflemus, quod vitae taedio inter maxima mala existimaverit vivere, morique maluerit natus divinâ, quam didicer at arre, mortales servare, quam inter vivos quottidiana funera intueri, et perversos mores. Utinam eo amico diutius frui licuisset, ut tantarum virtutum commercio publicis facilius incommodis sufficeremus, quibus tanto urgentius premimur, quo acerbior est doloris magnitudine amici memoria. Ego tot annorum itinerum studiorumque comes, [page 195] sanguinis vinculo, sed maiori amicitiae veritatisque iure obstrictus, committere nolui, ut beati FUIRENII et in publicum et in me merita, totque illustres virtutes, quibus velut gemmis vita eius insigni fulgore coruscavit, alta oblivione sacri vatis defectu sopirentur. Pauca ex multis libabo, quia cuncta paucis pagellis comprehendere, nec mea tenuitas nec fecunda bnis exemplis FUIRENII vita patitur, in qua sola beatissimae vitae habuimus compendium. Plura tamen dicturus sum, quam voto conceperam. Enimvero, quod si ipsum redivivum quottidie intueri, et velut in speculo non fictam virtutum maximarum speciem admirari in superstite liceret, iucundius opera hac supersederem. Nunc quia nobis fata Virum inviderunt, pene dixerim, virtutem omnem ex mortalium contubernio cum illo abduxerunt, in hoc erimus facundi, ut prae multitudine excellentium virtutum vel minima dicantur. Nota narrabo, a primis tyrocinii annis consuetudine mihi perspecta, quorum fidem non commendabo Lectoribus, quibus vel FUIRENII virtus, vel nostra fama innotuit, ego insuetus mentiri, ille nec mentientes ferre.
Sicco pede praeclaros FUIRENII natales praeterirem, nisi et hi inter virtutis argumenta essent, quibus inflammati posteri, ad gloriam concitatiori cursu grassantur. Non terrae filius fuit noster, sed ex familia Asclepiadea satus, Patre Medico consummato, sed extra saeculi fastum D. Georgio Fuirenio, Botanico et Chymico nulli secundo, Matre vero Matrona incomparabii Margareta Finchia, summi Medici D. Thomae Finchii, Avi nostri, filia lectissima. Dies erat XXVIII. formosissimi Maii, quarto decimo saeculi currentis anno, quo lucem primam vidit beatus FUIRENIUS, et primam parentibus laudatissimis, Avoque Paterno tum adhuc superstiti, Spectatissimo Viro Henrico Fuirenio Seniori, spem et exspectationem concitavit, quam cum aetate egregia pueruli indoles indies exauxit confirmavitque. Eluxere enim in prima aetate haud obscura indicia, quibus et se tantis parentibus dignum assereret, et sequuturae vitae praeclarum initium faceret. Abutroque Avo, rarissimo et venerando senum pari, gravitatem primis annis didicit a Patre Doctissimo literarum semina, a Matre, qua nihil inter feminas sanctius, cum ipso lacte pietatem, probitatem caeloque dignas virtutes ceteras imbibit, ex omnibus compositos mores et vitae integritatem, quam semper servavit, [page 196] laudabili aemulatione expressit animo et concepit. Haustis domi a severis magistris studiorum fundamentis, altius postea aliis se neutiquam immersit, quibus ad ornatum potius quam utilitatem eruditi utuntur, sed quum artem longam, vitam perbrevem ex Coo intelligeret, statim patriae Academiae initiatus, initia meditabatur artis ad quam naturae quadam propensione, et parentum exemplo ferebatur. Tantum tamen aliis indulsit, ut linguis Latina et Graeca scientiisque Philosophicis, inprimis Mathesi, esset abunde ad eruditionem Medicam instructus. Et haec et illa acriter ursit auspiciis beati Parentis nostri, in cuius familia per tempus vixit, moxque morienti adstitit, et fideli operâ Magni Avi sui Thomae Finchii cuius convictu postea et eruditione quottidie utebatur, denique consiliis D. Olai Wormii Affinis et M. lacobi Finchii Avunculi, plurimum adiutus, quorum omnium ductu tantum profecit, ut capacior animus per latiorem orbis campum esset explicandus. Itaque Soram cum Parente nostro et fratre seniore Bartolo Bartholino concessit, ut D. Ioachimo Bursero Celebri Florae Amasio, familiarius innotesceret. Numquam eo fuit animo, quo multorum stultitia pervenit, quibus patrise bona sordent, et externa quaecumque singulari se fuco adornant. Famam et eruditionem magnorum Medicorum, qui ea tempestate in patria nostra eminuerunt, Finchii, Wormii, Arnisaei, Fabricii, Burseri, Laurenbergii, Fossii, Pascasii, Sperlingii, Severini, Laelii, aliorumque, suspexit semper et ad imitandum serio, nec infelici successu elegit. Insigni Parente suo praemature orbatus, ab aliis hausit scientiam, qua ad stuporem domi ille abundabat, filioque eandem insevisset, si mors non intervenisset, magnis inimica conatibus. Posteaquam Sorae Clarissimo Burseri succo victitasset propter Epidemiam luem, quae patriam depopulabatur, et Excessum Parentis nostri Caspari Bartholini, ad suos reversus alios soles meditabatur, quibus ulterius inclaresceret virtus domi spectata. Belgium primo adiit, et in florentissima Leidens. Academia, vicinisque bonarum literarum emporiis, quatuor annorum decursu universum Medicinae studium absolvit. Cadaverum sectionibus apud Adrianum Falcoburgium, nitidum Prosectorem, vacavit, Botanico sub Adolfo Vorstio Florae genio et Polyhistore excoluit, crebrisque excursionibus inquilinas Bataviae plantas collegit, Praxin auspiciis Ottonis Heurnii et Evvaldi Screvelii exorsus, [page 197], Nosodochium frequentavit, et duce Ioanne Walaeo medico subacti iudicii singula ac curatiori cura percurrit. Subinde Amstelodami summos in arte secandi et medendi Magistros Nicolaum Tulpium et Zacutum Lusitanum audivit invisitque. Franekerae nonnumquam studia sua Menelao Winshemio notae famae Medico, submisit. Traiectiquoque ad Rhenum, cuius sollenni inaugurationi interfuit, henrico Regio, Reimere, aliisque rarae doctrinae Professoribus innotuit. Enchysae denique Paludani Musaeum, Naturae illud theatrum, curiosis oculis perlustavit. Ubique hoc egit, ne locatae operae temporisque paeniteret, ab omnibus quos eruditio Medica evexit, mutuatus est, quod arti suae sciret profutu rum, et ubique modestiae, candoris et insignis doctrinae famam post se reliquit. Maturus deinde eruditione et iudicio ad Gallos abiit, cultissimam gentem, ut officiosam linguam amplioremque doctrinae proventum sibi compararet, Lutetiae in scholis Medicorum discendi cupidus frequens visebatur, in Theatro Anatomico Medicorum et Chirurgorum assiduus erat Dissectorum spectator, privatoque cultro extra animalium evolvit, in Nosocomiis instructissimis variorum morborum historias vidit et curationes, sub Davisonio Chymico Clarissimo arcana naturae ignis artificio sollicitavit et invenit, Hortum Regium variis plantis sub Dn. de la Brosse magnifice nuper instructum, amore Florae saepicule ingrediebatur, et quicquid denique ad artis suae perfectionem ubique in urbe vastissima extabat sine taedio viarum aut sumptuum avidissimo animo venabatur. Reliquas Galliae Provincias eadem sollicitudine percurrit, non tam videndi studio, quod plurimis sufficit, quam ut naturae varietatem in elegantissimo imperio, et doctorum de singulis iudicia exquireret. Bone DEUS! quam turpiter hic alii se dare solent, qui terras oberrant, veluti pecora, luxum peregrinum tantum sectantur et ad suos referunt, neglectis praeclaris gentium institutis, sola vitia, habitum peregrinum, et peregrinos morbos pro usu patrio mercantur. Rectius domi manerent illi, et focum patrium instruerent. Oceanum, ad quam sanctius vivitur, suis moribus inficiunt, et dum alienos errores imitantur, propriae poenae misere succumbunt. Noster FUIRENIUS ubique incorruptos mores servavit. Vitia aliorum vidit multa, sed correxit et exsecratus est, omniaque praeclara amplexus didicit in peregrinatione servare modum. [page 198] Peccant enim et illi, qui nimis curiosâ diligentia per omnia vagantur quaeque multi scire debent, soli volunt. Non omnia mens humana capit, et omnium intervenire secretis in peregrinatione periculosum. Id per universam vitam FUIRENIUS egit, ut sine ulla Polyhistoris ambitione, sola illa sectaretur modestissime, quae maxime facerent ad Medicae artis complementum. Pluribus illam temperantiam optaremus, qui universum ingenio suo metiuntur, et intra diligentiae suae ambitum constringunt. fastidientis stomachi est, omnia Apicii fercula degustare, quae inquinant corpus, non alunt. Ut ciborum, ita et doctrinae suus est modus. Nimia eruditio onerat, moderata prodest. Hinc, dum omnia nonnumquam nimia sciendi aviditate sectamur, quae necessaria sunt vel negligimus vel non assequimur. Late patet Medicinae campus, per quem decursurus, caveat, ne vel nimiis sarcinis oneri succumbat, vel serius tardiusque iter aggrediatur. Antiqui amplitudinem artis emendaturi, ut singulis pares essent, singulas partium affectiones suis Medicis assignarunt. Nostro saeculo omnium particularum salus uni Medico incumbit, qui vix partibus suis ex voto aegrorum defungetur, si per varia Criticorum, Historicorum, antiquariorum, Philosophorum, Politicorum, ICtorum, Theologorum studia nimio temporis discpendio et audaci temeritate fuerit divagatus. In immensum quoque crevit Medicorum inter nostros scientia. Anatomes, Botanices et Chymiae amplitudo, et novorum morborum infelix ortus, potiorem hominis aetatem solitariasque curas requirit.
Itaque accuratum FUIRENIUS cum studiis calculum subduxit, et nglectis in itinere quisquiliis seriora Medicorum apprehendit. Quo animo ab itinere suscepto ad Montem Pelium deflexit, illustre illud Medicorum domicilium, ubi copiosius per campos suas opes Flora et ornamenta spargit, et in urbis horto luxuriat. Gratâ praesentiâ Fr. Ranchini et R. Bellevali Medicorum in orbe notorum favorem ibidem meruit, et Catellanum celebrem Compositionis Alkermes Dispensatorem convenit.
Marsilia Genoam vectus, per Liburnum, Pisas, Florentiam, et Bononniam, Patavium appulit, quam studiorum optatissimam sedem sex annorum spatio sibi delegit. In familia Ioannis Rhodii Polyhistoris et Medici, maximo Rei publicae Literariae damno non ita pridem defuncti, ex cuius familiaritate quottidiana tantum discere potuit, quantum frustra [page 199] alibi passimque per orbem quaesivisset, cum fratre Thoma Fuirenio, Viro Eruditissimo, naturae artisque Medicae abditis nocturna diurnaque industria se immersit. Ingentes conatus iuvit Ioannis Veslingii in dissecandis cadaveribus dexteritas, et in Creticis Plantis facundia, quem etiam ad BALDI MONTES amicum comitabatur; Magna Veslingii erat fama, et maior eloquentia, quam accurara manus comitabatur. Quum duraturo ad omnem memoriam operi Anatomicas figuras per caelatorem ex vivis cadaveribus exprimendas adiungeret, praeter FUIRENIUM nostrum, Me et Leonicenum admisit neminem. Eodem Ioanne Leoniceno, artis perito, praeeunte,homines animaliaque privata manu FUIRENIUS evisceravit, et artificiosas venarum, arteriarum et nervorum, magna cura ex unius hominis cadavere exsectorum, tabellas stupendo opere exstruxit patriae Academiae destinatas. Chirurigicas operationes apud Petrum de Marchettis, unicum Aquapendentis discipulum superstitem, manu promptum et consilio, accurate perdidicit. Chymiam cum I. Zvvelsero, domestico tum nostro, iam bene de Re Pharmaceuticâ merito, recoluit. Consultationibus gravissimorum medicorum Benedicti de Benedictis, Io. Dom. Salae, Benedicti Silvatici, Io. Veslingii, Fr. Frigimelicae, aliorumque, subcisivas horas impendit, et perpetuus Exercitatiss. Medici Io. Dom. Salae laudati erat comes, cuius favore et incredibili humanitate ad omnes aegros cum illo admittebamur. Referebat ad Diarium singulorum aegrotorum affectiones, causas morborum, signa, curandi Methodum, remediorum formulas a Sene nostro praescriptas, denique eventum, qua exercitatione nihil ad recte feliciterque medendum utilius, quum frustra in universalibus scientia nostra occupetur, nisi in Caio vel Titio exerceatur. Bibliothecae interim illustris Nationis Germanicae cum laude praefuit, resque eiusdem rantâ prudentiâ, Consiliarii titulo, administravit, ut omnium applausum memerit, et supremum in Gymnasio patavino magistratum obtinuisset, si a modestia eius id impetrare potuissemus Ceterum gloriae contemptor maluit honores mereri, quam accipere, et quamquam civili abundaret prudentia, eruditioneque Medica excelleret, numquam tamen vel inde laudem, vel hinc lucrum ambivit. Sibi maluit privatim vivere et cum sapientia habitare quam publicae omnium se invidiae exponere. Felicius degunt, qui hac animi moderatio~ne vitam quietam sine [page 200] ambitu ducunt, vere illi vivunt, nec spiritum ab aliis precario trahunt. Honroes declinare quos meremur, magnae opus est prudentiae, maioris tamen se ipsum prudenter sine fastu gerere, et sua felicitate contentum sibi ipsi imperare. FUIRENIUS noster sibi oblatum honorem Naturae artique Medicae detulit, dum spretis aliorum superbis curis, honorumque blandimentis unius veri utilisque investigationi sese unicum addixit, ut sciret penitius naturae procus, quid sinu interiori condiderit natura, quid amasiis suis aperuerit, quid de naturae vitiis et morborum incantamentis vel usus probaverit, vel maiores tradiderint. Utrumque in prolixo itinere quaesivit et invenit. Maiorum iuniorumque Medicorum placita ex editis monumentis investigabit, quae tantâ curâ tantoque delectu passim in itinere et patriae redditus congessit, ut paucae in orbe medico huic Bibliothecae conferri possint. Naturae varietatem et insolitos morborum casus sedulâ inter itinerum molestias invenit exercitatione. hac mente animatus, quum diutius moram utilem Patavii traxisset, reliquas Italiae urbes data oportunitate perlustravit. Venetiis Caecilei Folii Anatomici et aliorum conatus publico dedicatos expendit. Bononiae, Fortunii Liceti, Philosophi tum eminentis, postea primi in Gymnasio Patavino, Sala defuncto, Professoris medici amicitiae se insinuavit. Ibidem opera Barth. Ambrosini in Musaeum Aldrovandinum admissus Naturam variam venerabatur. Florentiae Magni Ducis Etruriae officinam Chymicam et alia visu digna invisit: In urbium Reginâ Româ benevole ab Equite Illustri Cassiano a Putes, naturae et antiquitatis promocondo exceptus, eruditos P. Athanasii Kircheri, utiles Pauli Zacchiae, et curiosos Petri Servii labores admirabatur. Neapoli Chirurgorum Principem Marcum Aurelium Severinum, hospitem olim nostrum sibi demeruit. inde Vesuvii vidit ignes, thermas Puteolanas, fontes Tiburtinos, et quicquid rarum aliisque terris invisum florentissim a Italia exteris solet monstrare. Omnium singulari amore tenebatur et de natura sollicitus, visis imperati Neapolitani et Calceolarii Veronensis naturae thesauris, ipse collegit quicquid hinc inde illustre spectantium oculos animosque exsatiat. Digna profecto severis ingeniis diligentia, unde pressius naturam velut nudam et sine velo intuemur. Ludunt illi operam, qui Naturam inter Sophistarum tricas et disputationum contentiones quaerunt. [page 201] Monstrari debent haec, non disputari, et sexcentis Sophistarum distinctionibus ne culicem aestare mediâ profligaveris. Peffime se prostituunt multi, qui pleno ore de plantis certant, de animalibus disserunt, de Metallis commentantur, de natura Rerum litigant, et si ad rem ventum fuerit praeter olus et asinos norunt nihil, quia in cerebro naturam formant, et ingenii acumine constringunt. Inspicienda ipsa Natura est ut in telligatur, et sensibus in vestiganda, quae sensibus capiuntur. Ingredere Musaeum FUIRENII, quicumque Philosophi nomen inanibus altercationibus ambis, ut Philosophus egrediaris, discasqueve, quod ignoras, aliud esse naturam nosse aliud rationem. Videbis ibi artificiosas offium humanorum omnis aetatis compages, nervorum venarumque speciosas tabellas, metallorum genera, mineralia, terrarum varietates, gummata, lapides suis classibus per species distinctos, animalia peregrina, monstrosos pisces, serpentum exuvias, lacertos squamosos, insecta variegata, miras concharum facies et infinita alia naturae ludentis miracula, ex quibus ad publicum commodum et solidam eruditionem plus erues, quam ex mille libris, aut bis mille disputationibus. Hisce in itinere accurate conquisitis domique postea digestis, animum verâ Naturae cognitione imbuit FUIRENIUS et per omnem vitam insigni voluptate pavit. Hoc Medicae doctrinae thesauro, usu rerum praeclararum, selectissimorum librorum et universae naturae copiâ instructus, velut amplis spoliis, relictâ Italiâ per parmam, Placentiam, Mantuam, Mediolanum, perque Alpes invios cum fratre Theodoro Fuiren, illibato illo pectore, Helvetos salutavit masculam et cordatam gentem, inprimis Basileae, laude medentium clarae, videndi desiderio tenebatur. Summa humanitate Medicinae Proceres, Emanuel Stupanus, Io. Iacobus a Brunn, Io. Casp. Bauhinus, Felix Platerus Iunior, iunctos nos exceperunt, utriusque Parentis memoriâ et amicitiâ. Passus est hic FUIRENIUS noster se exorari, et a se tandem difficillime obtmuit, ut antequam patrios reviseret lares, exantlatorum laborum solidae eruditionis Medicae testimonium, sollenni ritu publice exambiret. Ab omni fastu semper fuit alienissimus, doctusque maluit esse, quam videri. Ne tamen praeter maiorum consuetudinem sibi diffidere videretur, hoc mecum elegit Brabeuterium, in quo utriusque Parentes, Avi et affines lauream Medicinae supremam reportarunt, ubi cum [page 202] delectu ingeniorum honores digni conferuntur. Igitur Patres Basileenses, iusti humanique candidatorum censores, audita in privato examine FUIRENII in Re Medica eruditione, ad publicas Lectiones admiserunt, quas disputationis vicarias,urgente pectoris necessitate, data optione elegit. Hydropem Asciten triduanis praelectionibus in medicorum Collegio eo eruditae caveae applausu absolvit, ut qui publicam alioquin lucem de industria declinaverat, suasu tamen Clarissimorum Virorum typis Basileensibus posterorum memoriae commiserit. Ita publico consensu Doctoralem mittam diribitore Celeberrimo Bauhino in eadem mecum Cathedra iure meritissimo Pridie Idus Octobr. M DCC XLV. obtinuit. Gratulabar impense mihi, quod in partem praemiorum admitterer, qui eruditione rerum. que usu libenter illi et ex merito cedebam. Sensimus et aliud Doctorum Rauracorum beneficium, quod in Collegium Medicorum adoptati Principibus illis Achivis permisceremur. Quaecumque FUIRENIO hic et ubique consignabantur virtutum laudumque documenta, minora meritis censebantur. Laudari ab omnibus virtus, satis tamen a nemine aestimari poterat. Aegre hinc divulsus, per Solodurum, Bernam, Lausannam, Genevam, Lugdunum et Aureliam, tandem Lutetiam rediit, difficillimis itineribus hibernis, ubi lustraris revisisque quae digna videbantur, intimiusque cognitis quae ex usu existimavit, magnam Britanniam magnorum ingeniorum feracem meditabatur. Temporum vero iniuria et bellorum civilium tempestate saeviente, in Belgium regressus, amicis veteri necessitudine coniunctis Vorstio, Walaeo, et consanguineo Andrea Bickero, Consule Amstelodamensi et Foederatarum Provinciarum Ordine Illustri, officiose valere iussis, ad reditum in patriam se mecum composuit. Comite Petro Charisio, cognato nostro honorando, per Frisiam utramque, Groningam, Bremam, et Cimbriam ad desideratam Matrem et Amicos, ad patriam urbem post decem et trium annorum iter, animo ad rectas spes sublevato properavit. Ingenti doctrinarum et experientiae supellectile onustus, privatos suos lares redux composuit, sibique vixit et amicis. Molestus nemini, omnibus gratus morum integritate et vitae innocentia ad exemplum stupendae. Bibliothecam magno passim studio et sumptu collectam erexit, omnium aetatum Medicis instructissimam, et in suas classes ordinesque disposuit, ut [page 203] non tam propriis quam amicorum usibus inserviret. Nullum enim ex commodo huius thesauri usu exclusitm, nec canis ad praesepe excubabat. Ipse necessarios per vies et temporum indulgentiam revolvit perlegitque, ut hausta foris Medicinae arcana, continuis domi lucubrationibus perficeret. Consulebatur in dubiis rerum eventibus, et librorum usuram omnibus literatis amice concessit, sed Medicis, Sicut enim reliqua studia arti suae postposuit, ita nec ullum in Bibliotheca patiebatur librum, qui vel Medicam rem vel Naturalem historiam non complecteretur, Logicorum, Grammaticorum, et Criticorum farraginem aversatus. Hoc unum in vita quieta studiose curavit, neinutili aliarum rerum vel lectione vel possessione seria interrumperet, et utilia obfuscaret. Ita enim vita potuit aequali et uno tenore procedere, quam alii propositis diversissimis scindunt. Curas seriores horti urbani cultura interpunxit, Dioscoridis, Theopharasti, Clusii, Bauhinorum studia aemulatus. Rariores plantas et exoticas curiose collegit, et quotannis conservavit. Et ut corporis falleret imbecillitatem levaretque, subinde aestivis mensibus in praedio Eberrodiano cum Varrone, Columella, Palladio et Constantino Caesare rusticabatur. Numerosam aegrorum multitudinem numquam ambivit, commissorum tamen sibi curam habuit diligentem, Quamquam enim ad intima Medicinae admissus in artis operibus esset exercitatus, non conceffit tamen corpusculi valetudo pluribus vacare. Rogatus nulli operam suam denegavit. Quos angusta res domi premebat, et consilio et ope subvenit. Nec publicis rei publicae muneribus inhiavit, quaeque in aliis venerabatur, neglexit ipse, non contemptu sed necessario valetudinis praetextu. Publicam illam servitutem magnae fortunae declinavit, ubi nihil ex arbitrio nostro nobis licet, sed saepius opprimit invidia virtutes. Optima cum lare suo secreto ratio constabat, quem legendo et meditando splendide ornavit, secuique ea egit, per quae posteris profuit. Magnificam a se exstructam in fundo paterno domum. Democriti speluncam esse volut et naturae collegium, mutis Bibliothecae Doctoribus refertum, Musaeo raris Naturae operibus mirandum, hieme exoticis plantis virescens. avibus personans, semper variis experimentis occupatum, amicorum denique quos constanu et incorrupta fide dilexit, einditis colloquiis saepiffime illustre. Sobrietate [page 204] vitam fragilem temperabat, sine libra, sed non sine modo vivens. Parce prandebat, primo semper ferculo parabilis cibi contentus, ne animo nebulas et corpor pravorum humorum materiam offerret. Inter causas malorum nostrorum est, quod vivimus ad exempla, non ratione ducimur, sed con suetudine. Ille vero egregio suo exemplo sine exemplo contentus, luxum omnem detestabatur. Legis Oppiae abrogationem truci magis quam Porcius olim Cato oratione inhibuit, nec unquam vehementius excanduit, quam ob consuetam in conviviis et vestibus patriae profusam licentiam. Ceteroquim mitissimo erat ingenio, nullos laedere, sed nec laedentes ferre. Famae popularis contemptor. ita se tamen gessit, ut maximâ famâ inter omnes maximos et medioxumos dignus esset. Numquam silentio involvenda FUIRENII merita, aeterna sit beneficiorum illius apud cives nostros memoria, quod in Academiae ornamentum et civium utilitatem publico testamento instructiffimam Medicam Bibliothecam dedicarit, publicis omnium usibus inservituram, salariumque illus exauxerit, qui Bibliothecae curam est habiturus. Legatum satis aestimari a nemine potest, nisi a sapiente, cui notum est, quanti res tanta sit taxanda. Praeivit olim Petrus Albertius Academiae nostrae Rector, et summa prudentia apud Maiores spectatur, qui librariam suam supellectilem Academiae primus consecravit. Crevit numerus clementiâ Augustiss. Regis Divi CHRISTIANI IV. Quibus symbolam contulit Andreas Lymvicus meritissimus in Acad. Medicinae Doctor. Maiorum liberalitatem in immensum auxit incomparabi. lis Episcopus Selandiae. Casp. Erasmi Brochmannus, cuius nulla aetas delebit apud nos memoriam. FUIRENII vero Bibliotheca, quam non Apollinis, sicut olim Augusti aevo, sed SS. Trinitatis templo consignavit moribundus, ut ex divinis ingeniorum monumentis. surgens mortalium gloria et salus in DEI T. O. M. tutela esset; primam inter Medicos laudem meretur, quos ingenti librorum rarissimorum numero solus instruit. Quidquid ab antiquis Graecis, Romanis et Arabibus praeclari in chartas relatum fuit, quid. quid medii aevi Scriptores de re Medica commentati sunt, quidquid denique diligens sequentium saeculorum industria vel noviinvenit, vel ex antiquis invenit, stabilivit confirmavitque FUIRENIUS collegit, et aeternis studiosorum usibus destinavit. Nec in historia Naturali quiddam [page 205] desiderari voluit, quod hactenus quidem sub incude venit, et aere pretioque comparari potuit. Defectum publici iuvandi prompritudine supplevit frater Thomas Fuirenius, cui idcirco immortales gratiae debentur, quod in omnium saeculorum cogitationes admittamur, nec ullo p???ne Medico nobis sit interdictum. Ne vero naturam ex libris solis venaremur, inaestimabili liberalitate ex Musaeo addidit secretissima Naturae miracula et ostenta, quibus colligendis domi forisque desudavit, sumptus que necessarios suppeditavit, quibus et indies excrescercnt, noborum ac cessione, et Medicorum Collegium commodius hoc loco hospitaretur. Videmur iam ubique, dum in Musaeo Academico versamur, provida FUIRENII cura locupletato, quod terrarum omnium et aquarum, animalium hominumque portenta claudit. Quae fusa oratione libri adumbrarunt, hic oculis obversantur, quaeque illi coniecturâ investigarunt, nos palpamus, et cum rerum natura in consortium omnis naturae pariter incedimus. Habet hic quo se Medicus exerceat, quod tyrones discant, quod admirentur omnes, quo nomine tibi, FUIRENI beate, patria universa obstrictam et debendi ream se profitetur. Haec erunt vitutis tuae tropaea, haec publica monumenta, quibus nomen aeternitati apud nos posterosque consecrasti. Nec minus illi Res publica nostra Medica debet, quod in Dispensatorio Hafniensi conficiendo praeclaram cum ceteris Medicis operam contulerit, calssesque ipsi sorte divina oblatas cum laude absolverit. Mirum dictu quanta alacritate ad publicum bonum promovendum excubaverit. Quicquid egit, serio egit, praeclaro quodam perficiendi impetu. Sententiam in Collegio Medico rogatus, paucis sed quibus pondus inerat, rerum momenta expendit. Numquam verborum quaesivit lenocinia, nec sermones sesamo aut papavere adspersit, sine fuco et fallaciis, sine pompa ulla simplici oratione mentem cordate aperuit. Et quod in illo excelluit, candore omnes mortales superavit, et se ipsum. Plebeia illa exolevit virtus, et ad rus plurimorum calculis ableganda. Felicius tamen singulorum se fata explicarent, si intra domesticos urbis parietes admitteretur. Neminem ille fallere, et fallentes ocisse. Cor in fronte gerebat, et pectus apertum, nullis dolis consutum aut fucatum, omnibus patebat. Nullius unquam famae insidiabatur. Submisit se omnibus, tumque se maximum inter amicos existimavit, quum [page 206] minimum de se ipso sentiret, nihil sibi, cuncta aliis indulgens. Infra modestiam cetera, quibus gloriari poterat, reputabat. Animo invictus, damna iniquae sanitatis Spartana nobilitate concoxit, nec ullis cessit voluptatibus, ut etiam castis amoribus licitisque numquam ab otio sapientis et animi tranquillitate, cui sacramentum dixit, potuerit dimoveri. Maium, nativitatis mensem, perpetuo coluit, quo Romani uxores non ducebant. Noluit libertatem suam incerto Venereo, et, si male ceciderit, impotentiae muliebri subicere, quae subinde domi devicta, in foro quoque, ut ille ait, obteritur et calcatur. Amavit Hippocratem, non uxorem Hippocratis, quae semper quo modeste coerceretur opus habebat. Amore interim divinae pulchritudinis rerumque a DEO creaturarum unice captus, non damnavit coniugia, sed aliis reliquit, posteritatem suam in libris superfuturam ratus, memoriamque, quam tanti tamen non putavit, inter amicos et inculpatae virtutis gloriam apud omnes duraturam.' Secum habitare et vivere, DEO servite et amicis, inter maxima felicitatis dona numerabat. Fortunae am. pliffimae bona, pro suis non computans, quia peritura, cum iis patiebatur quos vel bona mens commendabat, vel socia papertas urgebat. Bene precantur alumni, viduae, Nosodochia, quibus in vitae subsidium aliquot mille Coronatis prospexit. Optime de Deo ipso meritus cuius Ecclesiis ex suo patrimonio, ne migraturo hinc oneri esset, devote legavit signati argenti summam, velut donarium sacris aris suspendendum. Ita officia cum amicis, hona cum egenis, utrumque cum Deo divisit, nihil pro suo venditans, nisi infractam vitiis mentem, recti conscientiam et animi constantiam, quam inter peregrinationum taedia, inter languidi corpusculi iniurias, inter saeculi fatiscentis perversitatem, semper servavit integram. Hac animi beatitudine et virtutum satellitio; peritura omnia neglexit, frequensque cum Deo immortali commercium exercuit. Primus in templo visebatur et ultimus, et Numinis praecepta non ore tantum, sed, quod divinum, vita expressit. Immortalia quottidie meditabatur, et ad aeternitatem se tacite composuit. Minabatur a teneris unguiculis corpusculi imbecillitas, casu an ab interna origine, in vitales partes, respiranonis difficultatem, quae per complures annos pectori compresso inimica, crescente aetate, sed decrescentibus viribus, asthma molestum excitavit. Inclementiores hiemes binae, [page 207] patriae exitiosae, pectori quoque illius tam fuerunt molestae, ut arctatis animae meatibus vix spiritum libere duceret, quo tandem in patriae urbis obsidione et publica calamitate, auctis iniuriarum asthmatisque causis, sensim intercepto, anni currentis initio, aetatis vero XLV, inter mortales desiit esse mortalis. Nos tibi, beatissime FUIRENI, felicitatem, qua cum Patre et Fratre Theodoro, heu quondam nostris, in caelo frueris, non invidemus, sed nostram infelicitatem deploramus, et tui memoriam colimus. Manent in animis nostris admirandae dotes, inusitatae virtutes, in publicum merita, incredibilis tuns in nos amor, et desiderium testamur. Virtutis omnis in Te vidimus exemplum, nec sequi possumus. Ignosce quaeso, beatissima anima, quod parcius tua, nec pro dignitate fatis expresserim, Vita tota, modestia fuit, nec laudari Te aequo animo es passus, et dum omnia animo complector, sub singulis haeret lingua, tuis colloquiis afsueta Quia vero pietatis meae extare volut monumentum, si in singulis penna defecit, universa condonabis, et dolori iusto tribues, quicquid meritis tuis decessit. Nos interim dum inter aeterna fidera fulges, malis innumeris, quae effugisti, succumbimus, saeculi iniquitate, quam superasti, premimur, et fato, quod sprevisti, debemus ludibrium. Ego et hoc nomine infelicior, quod inter extrema tua ultimum Vale forte absenti non dixeris, quem in itineribus habuisti comitem, in studiis socium, in amicitia parem, ub que fratrem. DIXI.
DED. FUIRENIO In Urbis obsidione defuncto.
Dum Patriae obsessos cingunt infensa penates,
Signa, per insolitas exitiosa vias,
Non potuit clausos urbis perferre recessus
Assuetus caelo liberiore frui
. Mutat mente domos, urbisque et pectoris orbem
Deserit, auxilio Numinis alta petens.
Sic licet hostiles includant moenia turmae,
Claudere nulla animos vis inimica potest.
De eodem circa anni initium denato.
Iratus vitiis perituro infensior aevo,
Fastidit nostros connumerare dies.
[page 208] Anni principium nobis fecêre Calende,
Olli cui spirant saecula finu orant.
TH. BARTHOLINUS. D.
EPITAPHIUM.
VIATOR. QUI. TRANSIS. HENRICUM. FUIREN. FAMILIAE. DECUS. SOLATIUM. AEGRORUM. NOBISCUM. DEPLORA. LACHRYMIS. QUI. LONGIS. ANNORUM. PEREGRINATIONUS. ANIMO. SEMPER. QUIETUS. VITA. EXPRESSIT. QUOD. FAMAE. FUSA. NOLUIT. ELOQUI. CLARUS. ERUDITIONE. QUAM. OCCULTAVIT, MODESTIA QUUM. NIHIL. OSTENTARET. OMNIA. POSSEDIT. VIR TUTEM. SOLAM. DISSIMULARE. NESCIUS. ET CANDOREM. DUM PATRIAE. DUM. AMICIS. DUM. EGENIS. VIXIT. QUI. PER. ILLUM. SEMPER. VIVUNT. DUM. MORITUR. PER. NATURAM. PER. MERITA. VIVIT. PER. DEUM. QUEM. COLUIT. CUM. DEO. VIVIT. IN. AETERNITATE. VIXIT. HACTENUS. INTER. MORTALES. ANN. XLIV. MENS. VII. DIE. X. PERPETUA. APUD. PLURES. FAMA SUPERSTES. ABI. VIATOR. ET. MORTUO. LEGEM. QUAE. VIVO. GRAVIS. PRECARE. TERRAM. POS. D. Th. BARTH. [page 209]
SCRIPTA.
De ascite: Basileae 1645. in 8.
Catalogus Bibliothecae Henrici Fuiren, editus a Fratre Thoma Fuiren: Hafniae 1660 in 4.
Rariora Musaei Henrici Fuiren ab eodem edita: ibid. 1663. in 4.






















Vissuto nel II-III secolo d.C., Ateneo, nato a Naucrati in Egitto da famiglia greca, si trasferí nella Roma imperiale per insegnare la lingua e la cultura greca ai rampolli delle famiglie di notabili. La sua enciclopedica cultura ci ha permesso di venire in possesso, attraverso il capolavoro I Deipnosofisti, di centinaia di frammenti di commedia e lirica greca altrimenti destinati all'oblio. I Deipnosofisti rappresentano la monumentale raccolta di una brillante conversazione conviviale tra dotti commensali [Mauro Emiliano, grammatico, Alceide d'Alessandria, musico, Amebeus, suonatore d'arpa e cantante, Arrian, grammatico, Teodoro il Cinico, detto Cynulcus, filosofo, Dafno di Efeso, fisico, Democrito di Nicomedia, filosofo, Dionisocle, fisico, Galeno di Pergamo, fisico, Publio Livio Laurense, ufficiale pontificio romano, Leonida di Elis, grammatico, Magnus, un Romano, Masurio, giurista poeta e musico, Mirtilo di Tessaglia, grammatico, Palomede l'Eleatico, lessicografo Filadelfo Ptolemaeusi, filosofo, Plutarco d'Alessandria, grammatico, Pontiano di Nicomedia, filosofo, Rufino di Nicea, fisico, Ulpiano di Tiro, giurista ed ufficiale Romano, Varus, grammatico, Zoilus, grammatico] occasione e pretesto per impensabili divagazioni che offrono la piú ampia raccolta di notizie sulla vita, i costumi, la cultura del mondo antico, trasmessa dalle letterature greca e latina. Giorgio Pasquali definí quest'opera la fonte piú ricca per la conoscenza della cultura greca. I I Deipnosofisti rappresentano il punto di arrivo di una tradizione letteraria che nel Simposio di Platone vanta il suo modello insigne. Nei 15 libri dell'opera, Ateneo riferisce a un amico le conversazioni che hanno luogo, nel corso di un ipotetico quanto interminabile convito, fra una trentina di commensali, rappresentanti dei piú disparati rami del sapere. Di qui un poliedrico, affascinante caleidoscopio di notizie rare, aneddoti, arguzie, peculiarità di ogni genere: una miniera di curiosità di estremo interesse e ineguagliabile importanza, anche e soprattutto per le innumerevoli citazioni di autori antichi. Eloquenti le cifre: quasi 1.500 frammenti, di piú o meno ampio respiro, di storici, grammatici, filosofi, musici, ma non meno di poeti, specialmente comici, dei quali si menzionano piú di mille drammi (in gran parte perduti) per un totale di oltre 10.000 versi [Ateneo: I Deipnosofisti. I dotti a banchetto, Prima traduzione italiana commentata su progetto di Luciano Canfora, introduzione di Christian Jacob. Voll. I-IV, Roma: Salerno Ed. 2001. CXXIV, 2050 p., 16 inserti fotografici f.t. [voll. I-III]; 774 p., 8 tavole f.t.]
Aprosio, fra le versioni latine al suo tempo consultabili, dovette compulsare, oltre ad un'edizione curata da Natale Conti
, la sottostante elencata opera del XVII secolo:
Athenaeus : Naucratita, Athenaiou Deipnosophiston biblia pentekaideka. Athenaei Deipnosophistarum libri quindecim. Cum Iacobi Dalechampii Cadomensis, Latina versione: necnon eiusdem adnotationibus & emendationibus, ad operis calcem reiectis. Editio postrema iuxta Isaaci Casauboni recensionem ..., Lugduni : sumptibus Ioannis Antonii Huguetan, & Marci Antonii Rauaud, 1657 - 52, 812, 48 p. ; 2o. - Marca (Sfera armillare in cornice fiancheggiata da Tolomeo e Euclide. Motto: Universitatis rerum ut pulvis in manu Iehovae), calcogr. sul front. - Front. stampato in rosso e nero - Le pp.733-736 erroneamente numerate 737-740 - Segn.: a6 2*-3*6 4*-5*4 A-3M6 3N4 3O-4C6.


























Giovanni Battista Baliano (scritto anche Baliani, Genova, 1582 - Genova, 1666), patrizio e funzionario della Repubblica di Genova fu matematico e fisico noto per i suoi studi di meccanica e di astronomia esercitò anche servizi pubblici di amministrazione e polizia: per esempio fu governatore di Savona dal 1647 al 1649 e fu capitano degli arcieri della Repubblica di Genova.
Il suo entusiasmo nei confronti dell’empirismo e dell’esperimento lo inserì nel vasto movimento antiscolastico degli scienziati più aggiornati, e lo avvicinò a Galileo, con il quale ebbe una stretta corrispondenza dal 1613, tramite una presentazione del Salviati, il quale definiva Baliano “uno che si ride di Aristotile e di tutti i peripatetici” e che “a molte cose mi ha date le istesse ragioni che ho intese da lei”.
Il carteggio durò fino alla morte dello scienziato pisano, e fino al 1638 rimane l’unico documento dell’operosità scientifica del genovese. Del 1614 è la prima lettera significativa, in cui Baliano ipotizza un’influenza delle macchie solari sul clima, afferma di preferire –a differenza del suo corrispondente - il sistema del mondo proposto da Tycho Brahe a quello copernicano, mostra di aver intuito le diverse proprietà spaziali del ghiaccio rispetto all’acqua –contro le ipotesi di Stevin, Froidmont e Mersenne- e soprattutto annuncia di aver per primo dimostrato tramite esperimento la conversione dell’energia in calore.
Il Baliano riuscì a cuocere un pezzo di carne con il calore sviluppato dall’attrito tra due parti metalliche, una ferma e l’altra in veloce rotazione.
Nel 1615 Baliano andò a Firenze a conoscere di persona Galileo, e degli stessi anni è la trattativa da parte dello scienziato pisano con il Cesi per iscrivere il genovese all’Accademia dei Lincei. Nel 1630 è di attualità a livello europeo il problema della pressione atmosferica, e il Baliano ebbe anche l’incarico di eseguire scandagli -con tecniche da lui escogitate- per accertare il grado di insabbiamento del porto di Genova nelle cui acque arrivavano i detriti portati dai torrenti Bisagno e Polcevera; cfr. G. FAINA, Ingegneria portuale genovese del Seicento, Firenze, 1968, capitolo IX, pp. 170-191. Su G.B. Baliano, si veda E. GRILLO, a.v. Baliani Giovanni Battista, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, 1960, V, pp. 553-557, e relativa bibliografia; S.DOLDI, Scienza e tecnica in Liguria dal Settecento all’Ottocento, Genova, 1984, pp. 36-42, 54-55; A. NATUCCI, Giovanni Battista Baliano, letterato e scienziato genovese del secolo XVII, in “Atti dell’Accademia Ligure di Scienze e Lettere”, XVII (1960),pp. 13-27. La sua opera principale, ha per titolo De motu naturali gravium, fluidorum et solidorum e fu pubblicata nel 1646, poco prima dei Discorsi intorno a due nuove scienze di Galileo Galilei. In questo lavoro pubblicò la legge del moto accelerato dei gravi ed operò corretta distinzione tra fra massa e peso.
Si occupò inoltre dello studio delle maree sostenendo la spiegazione proposta da Galileo che attribuiva le maree al moto della Terra, nonostante la difficoltà che essa incontrava nella deduzione degli andamenti osservati delle maree. Baliani propose di fare dipendere gli andamenti mensili delle maree, cioè le loro correlazioni con il moto della Luna intorno alla Terra, ipotizzando, abbastanza correttamente, un moto della Terra intorno alla Luna.
Questi suoi argomenti furono però pubblicati solo da Giovanni Battista Riccioli nel suo Almagestum novum nel 1651 e successivamente vennero ripresi nel 1666 da John Wallis che, più correttamente, per la spiegazione delle maree ricorse al moto della Terra intorno al baricentro di Terra e Luna (questioni tutte che poi vennero riprese e perfezionate da Isaac Newton).
La restante produzione scientifica di Baliano è meno importante: ma conserva importanza, specie a fronte dei trattati correnti all'epoca zeppi di considerazioni superstiziose, il primo capitolo del Trattato della pestilenza, ove si adducono pensieri nuovi in più materie (I edizione in Savona 1647 per i tipi di G.T.Rossi: qui ci si avvale di una ristampa con ampliamenti del 1653) in cui lo scienziato, alla ricerca delle cause della diffusione del morbo, esamina il corpo umano e il suo funzionamento, la costituzione dei corpi naturali ed organizza una peculiare visione complessiva dell'ambiente fisico, incentrata sulla teoria del lume cioè del calore fondamentale per la sopravvivenza del mondo: era una teoria che aveva già sostenuta nel corso della sua corrispondenza con il gesuita Gio. Luigi Confalonieri, che di lui era decisamente più favorevole all' antiaristotelismo, propendendo dimostrando propensione per una visione prossima all'atomismo.
I circoli culturali genovesi parteciparono abbastanza attivamente a queste vicende fin dal momento della pubblicazione nel 1638 della prima edizione del De motu gravium, favorendo la sua stessa diffusione.
“Qui –scriveva il Vezzani al Rocca nel 1639- ha incontrato non poca lode dai professori di tale scienza”; allo stesso modo però si registravano anche voci discordanti, dovute ai sospetti riguardo al “debito” nei confronti di Galileo, sospetti che lo stesso Baliano aveva cercato di fugare diffondendo il più possibile il suo trattato e raccogliendo numerosi pareri di esperti. Vedi anche C. COSTANTINI, Baliani e i Gesuiti, Firenze, 1969, pp. 54-69, L. RUSSO, Flussi e riflussi - Indagine sull'origine di una teoria scientifica, Feltrinelli, 2003, pp. 114-117 e soprattutto A. LAVAGGI, Attività e propensioni scientifiche in Liguria nei secoli XVI E XVII, in "Balbisei. Ricerche Storiche Genovesi", n. 1 (2004) di cui è totalmente debitore questo inquadramento del Baliani/Baliano.





















Dalla settecentesca Bibliotheca canonica... di Padre Lucio Ferraris si propone qui la voce FOEMINA (DONNA) e si segnalano in particolare alcuni punti evidenziati dall'autore, e da lui poi assai specificatamente trattati, nei diversi paragrafi della trattazione:
- DONNA E SUOI LIMITATI RUOLI NELLA VITA ECCLESIASTICA (1)
- CHE LA DONNA NON DEVE INDOSSARE ABITI MASCHILI ANCHE SE DIVERSA SARA' LA COLPA SE FARA' CIO' PER BURLA OD IN TEMPO DI CARNEVALE O LO FARA' PER RAGIONI PIU' INTIME E/O PROVOCANTI (13)
- CHE LA DONNA NON USI O PEGGIO ANCORA NON FACCIA ABUSO DI COSMESI, COSMETICI E VESTI PREZIOSE PER AUMENTARE LA PROPRIA SENSUALITA' E FAR CONQUISTE AMOROSE ILLECITE (14)
- NON E' PROIBITO ALLA DONNA MASCHERARE PER VIA COSMETICA DIFETTI FISICI, SPECIE SE DERIVANTI DA MALATTIE DETURPANTI QUALI LA SIFILIDE (18)
- ALLA DONNA E' CONCESSO AVER CURA DI SE' ED INDOSSARE ABITI ELEGANTI PER PIACERE AL PROPRIO MARITO OD A CHI TALE LECITAMENTE DIVENTERA': MA NON DOVRA' FAR USO DI COSMETICI E TINTURE (19)
- CHE LA DONNA NON DEVE ESPORRE LE PROPRIE NUDITA' ONDE PROVOCARE IN ALTRI ILLECITA ATTRAZIONE SESSUALE (20)
- CHE LA DONNA NON DEVE ACCONDISCENDERE AGLI SGUARDI DI CHI SAPPIA PROVARE PER LEI INVERECONDO DESIDERIO SENSUALE (21)
- CHE LA DONNA PER QUANTO POSSIBILE ALLE SUE FORZE DEVE OPPORSI A PECCAMINOSI CONTATTI FISICI -IN SEGRETO OD IN PUBBLICO- PER PARTE DI CHICCHESIA (27)
- CHE LA DONNA NON DEVE ACCETTAR DONI DA PARTE DI CHI SAPPIA PROVARE ILLECITA ATTRAZIONE VERSO DI LEI (31)




















Benito Pereira (vedi: Diccionario Enciclopédico Hispano-Americano, Montaner y Simón Editores, Barcelona 1894 )fu filosofo e scrittore spagnolo nato a Ruzafa (Valencia) nel 1535 e scomparso a Roma il 6 marzo del 1610 (in effetti, scorrettamente, alcuni biografi o studiosi usano le forme Perera o Pérez ed altri ancora l'esito Pereiro. Egli iniziò la sua carriera di studente universitario a Valenza e quindi, espletati i suoi doveri, nel 1552 entrò a far parte della Compagnia di Gesù. Recatosi in Italia molto tempo trascorse in Sicilia e quindi a Roma ove approfondì i suoi studi filosofici divenendo alla fine docente di Sacra Scrittura presso il Collegio Romano . Profondo teologo e discreto letterato fu soprattutto un grande fisico ed un eccelso filosofo che, sfruttando le sue incredibili energie fisiche e mentali, a lungo lottò contro il principio d'autorità introdotto dalla tradizione scolastica un po' in tutte le Università.
Egli sempre si propose di valorizzare le qualità dela ragione ed i risultati dell'esperienza sì da poter essere accostato ad intellettuali del livello di Luis de Vives e Bacone.Tra le sue opere più significative in merito sono da ricordare il De communibus omnium rerum naturalium principiis et affectionibus. Libri quindecim. Qui plurimum conferunt adeos octo libros Aristotelis qui de physico auditu inscribuntur, intelligendos poi ancora il De magia de observatione somniorum et de divinatione astrologica. Libri tres. Adversus fallaces et superstitiosas artes , opera questa che godette di una significativa traduzione in inglese per opera di Perey Enderbie(1661), con il seguente titolo: Benedic. Pererius. The astrologer abatomised translated by Perci Enderbie (ancora ristampata a Londra nel 1674).
E' tuttavia da ricordare che anche in opere più spiccatamente teologiche Benito Pereira si è ispirato ai valori dell'esperienza e della ragione, al segno di tracciare i confini intercorrenti tra verità di fede e verità di ragione, anche per questo motivo Galileo Galilei ne citò nella sua Lettera del 1615 a Cristina di Lorena Granduchessa di Toscana un brano estrapolato da un suo volume di Commenti alla Genesi.
Può stupire che Aprosio nel Grillo XXXXV, in pratica "dedicato" agli "errori" di Copernico e di Galileo, non abbia fatto menzione del raziocinio di Pereira che gli era ben noto e di cui, come detto si era valso, in diversi punti dello Scudo di Rinaldo, precisamente alle pagine 8 - 11 - 22 - 29 - 30. Ma tutto questo rientra nei meccanismi aprosiani: in tempi pregressi a rischio di censure inquisitoriali e per altro verso, ai tempi della più tarda Grillaia ormai Vicario dell'Inquisizione il frate intemelio cercava di eludere le argomentazioni troppo problematiche e coinvolgenti, pur mantenendo, occorre dirlo, con "onesta dissimulazione", un suo grado di autonomia.
Anche di un altro lavoro, meno noto del Pereira, concernente molte cosiderazioni sul volume dell'Apocalisse l'erudito agostiniano aveva verisimilmente conoscenza. Le argomentazioni del Pereira sull'infattibiltà di un'equazione Maometto = Anticristo sono ineccepibili anche per un moderno lettore ma il pericolo poteva essere sempre in agguato, specie data la peculiarità dei tempi e la posizione di tanti controversisti favorevoli a siffatta equivalenza: dati i ruoli e l'indole per Aprosio un cauto silenzio fu forse la scelta preferibile dato che certe postulazioni gesuitiche cominciavano ad esser tacciate di lassismo.
























TARABOTTI, Arcangela,
suora, al secolo Elena Cassandra (Venezia 1604 - ivi 1652). Di famiglia nobile, per le severe leggi del maggiorascato, soffrendo di una malformazione fisica che la rendeva leggermente zoppicante, tale comunque da renderne improbabile un "matrimonio di interesse", venne obbligata dal padre Stefano ad entrare all'età di tredici anni nel convento veneziano di S.Anna di Castello ove passò tutta la vita.
Le imposizioni della famiglia e le esperienze degli anni giovanili (1620-’29) le ispirarono tra l’altro il volume polemico, scritto a soli vent'anni, intitolato la Tirannia Paterna destinato però ad esser pubblicato postumo e con il titolo de La Semplicità Ingannata [(sotto pseudonimo di Galerana Baritotti) edito da Sambix, a Leida, secondo alcuni nel 1651 secondo altri studiosi nel 1654]: l'opera, qui proposta informatizzata e in formato di ipertesto, che costituiva un atto d'accusa contro l'uso delle monacazioni forzate, venne comunque posta all’Indice dei Libri Proibiti (ancora nel XX ed ultimo Indice dei Libri proibiti del 1948 risultava censurata ancora tale opera)
La sua seconda opera, presumibilmente del 1650, intitolata L'Inferno Monacale, non venne pubblicata: il manoscritto originale andò perduto anche se ne esiste una trascrizione, presumibilmente settecentesca, nella collezione privata di Alvise Giustiniani (Venezia, Codice Giustiniani II 132 = 44).
L'opera però doveva esser corsa fra i dotti alla maniera usuale dell'epoca e dovette suscitare notevoli, maschiliste, avversioni atteso quanto vi era riportato; cosa che oggi si può riscontrare vista l'edizione critica fattane da Francesca Medioli, L'inferno monacale di Arcangela Tarabotti, Torino, 1990.
Già la dedicatoria comportava riflessioni sicuramente provocatorie e culturalmente d'avanguardia e fu alla radice di quella sorta di reclusione forzata nel Convento di S. Anna di Castello a Venezia che la donna patì nell'ultimo periodo della sua vita:
A quei padri e parenti che forzano le figlie a monacarsi
In gratia, non mi burlate se io, con penna di candida colomba, quasi funesto corvo v'auguro nel vostro Inferno i precipici etterni: sovengavi che, ne' primi tempi, Iddio benedetto mandava li angioli dal Cielo e suoi più cari servi della Terra ad annonciar agli huomeni perversi i giusti Suoi furori. Io, più che Angela in quanto al nome e serva indegna di Sua Divina Maestà, inspirata da Lui con mottivi di pura verità, vi predico i fulmini del Suo sdegno. Non ridete per ché io sia femina per ché anco le Sibille predissero la morte di Christo e Cassandra, se ben tenuta forsenata dal populo, previde e con detti veridici esclamò e pianse per le strade la destruzione delle troiane mure. [...] Vi dedico dunque quel'Inferno a cui perpetuamente condanate le vostre visere, per preludio di quello che dovete goder etterno [..]
.




















L'aprosiana postulazione filantropica sull'erezione della Biblioteca a Ventimiglia per uso dei poveri onde fruire di libri giuridici per farne uso in caso di liti legali senza spendere nulla per i costosi avvocati un senso probabilmente, alla fine come si è lasciato intravedere, finì per averlo, anche se è arduo provare che ad essa solo sia da addebitare il fatto che l'APROSIANA divenne la PRIMA BIBLIOTECA PUBBLICA DELLA LIGURIA.
In effetti se Aprosio voleva dar sostanza a quella sua affermazione e tramite essa trovare sostegno ed approvazione per l'EREZIONE DELLA LIBRARIA si trovava indubbiamente nella necessità di APRIRLA ALLA PUBBLICA UTENZA: cosa che avvenne previo la
SALVAGUARDIA DI UN BREVE PAPALE DI INNOCENZO X DEL 1653
[che verisimilmente Aprosio andò personalmente a Roma a sollecitare o ricevere come si può dedurre da quanto scrive a p. 545 del suo repertorio] e la cui
TRADUZIONE
permette di evincere ulteriori dati interessanti sulla biblioteca.
Il breve pontificio, che è un documento contenente atti e disposizioni del papa, meno solenne della bolla, a maggior sua divulgazione, oltre che affisso nei locali della biblioteca intemelia, venne fatto stampare da Aprosio da p. 188 del suo repertorio La Biblioteca Aprosiana....
Per oggettività scientifica bisogna tuttavia precisare che siffatta iniziativa, da alcuni moderni autori estemporanei attribuita all'indefesso amore aprosiano per i suoi libri e la sua biblioteca non costituiva affatto un'eccezione ma semmai una cautelativa contro un abuso difficile da combattere e precisamente quello di depredare le biblioteche fratesche dei loro volumi: tutto ciò era peraltro giustificato oltre che dal casuale interesse di qualche singolo dall'affermarsi vieppiù del collezionismo antiquario compresa la piaga del furto su committenza.
Nella BIBLIOTHECA CANONICA, JURIDICA... di L. Ferraris oltre ad un'ampia dissertazione sui LIBRI PROIBITI si riscontra una più breve voce riservata ai LIBRI in quanto tali, con le indicazioni necessarie delle norme da rispettare per autori e tipografi: oltre a questo si legge di seguito un documentato PARAGRAFO CONCERNENTE LA SALVAGUARDIA DAL FURTO DEI LIBRI CONSERVATI NELLE BIBLIOTECHE DEGLI ORDINI REGOLARI: l'autore si premunisce addirittura di proporre vari esempi dei brevi e delle bolle papali via via prodotti in ragione di ciò: il caso aprosiano non si trova elencato (del resto l'autore stesso precisa di voler proporre una scelta esemplificazione).
Tuttavia il breve emesso a favore della Biblioteca Aprosiana (a dimostrazione che non si trattava di documenti stesi secondo un metodo standardizzato ma vagliando le dotazioni attestate delle varie raccolte librarie) ha molti punti in comune con quello datato 24 settembre 1658 ed emesso da Alessandro VII per la Biblioteca di San Martino degli agostiniani eremitani di Segni: in questo caso oltre che al furto di libri e manoscritti si parla anche di quello di quadri e d'anticaglie quasi al modo che risulta nel "breve aprosiano" [parimenti con l'indicazione di libri, manoscritti, monete, toreumata cioè bassorilievi, opere d'arte, vasi cesellati, anche d'oro o d'argento (oltre che scansie od armadi per libri = foruli e tabulae cioè "tavoli per la lettura")] rilasciato da Innocenzo X predecessore di Alessandro VII.




















Il Papa Innocenzo X (1644-1655), nel già innescato progetto di riforma della vita claustrale, ritenendo di dover abolire i piccoli conventi in Italia, emanò il 17 dicembre 1649 la costituzione apostolica Inter cetera [SIC!], con la quale ordinava a tutti i frati di redigere un elenco completo dei beni mobili e immobili dei conventi, con le relative entrate e uscite. Con la costituzione Instaurandae regularis disciplinae, emanata ancora da Innocenzo X, in data 15 ottobre 1652, la soppressione dei piccoli conventi diventava effettiva ed ovunque trasmessa sotto forma di bolla papale. In essa si specificavano anche le motivazioni: "i piccoli conventi, ormai in numero considerevole, non beneficiavano di sufficienti elemosine e quindi di risorse per una vita autosufficente e decorosa": una completa cronistoria dell'annosa vicenda è svolta dal francescano Lucio Ferraris nella sua Bibliotheca Canonica... dal teologo francescano Lucio Ferraris da cui si riproducono qui i documenti.
Studiando in maniera superficiale la vita dell'Aprosio vien da pensare che, trattandosi il suo di un inciso, con la Instaurandae regularis disciplinae, il problema dei "piccoli e poveri conventi" sia stato definitivamente risolto: ma la cosa non è così semplice e, implicitamente nel suo inciso, lo stesso Aprosio denunciò la complessita del problema parlando affatto a caso di tempi torbidi.
Dalla menzionata Bibliotheca Canonica..., leggendo la voce Vita Communis dopo la solita, e successiva al Sommario, prolusione testuale si leggono la continua necessità di "regolamentare la vita degli Ordini Regolari sia maschili che femminili" (Paragrafo 5), il richiamo a tutta la normativa connessa alle varie riforme: compresi gli interventi basilari di Clemente VIII ed Innocenzo X ed infine il "Decreto della Sacra Congregazione deputata dal Santissimo Nostro Signore Papa Innocenzo XII sulla disciplina dei Regolari ed edito per sanzione dello stesso Santissimo Nostro Signore" cui segue una sanzione del paragrafo 14 che denuncia come sia disatteso spesso il pregresso "Decreto sopra la disciplina Regolare".
La data di questa "sanzione" è del 23 febbraio 1717 mentre la "bolla di soppressione dei piccoli e non autosufficienti conventi" risale al 1652: un lasso di tempo estremamente lungo nel cui contesto le diverse posizioni e le conseguenti postulazioni finivano spesso per trasformarsi in interminabili contese fatte di appelli e ricorsi.
Verisimilmente Aprosio, vicario generale della congregazione agostiniana genovese, non scrisse a caso di tempi torbidi riferendosi all'emanazione della Bolla di soppressione dei piccoli conventi attesa la continua elusione delle "Ordinanze Pontificie" sì da rendere necessaria la reiterata minaccia di "severe pene" successive evidentemente, dato il cauto procedere della Chiesa romana, a vari tipi di investigazioni nei conventi o, come più estesamente suol dirsi, sempre recuperando da una voce della Bibliotheca Canonica di L. Ferraris , di supervisioni ovvero
*********VISITAZIONI*********
affidate ai diversi "Superiori Regolari".
Aprosio, eletto proprio nel 1652 "Vicario Generale della Congregazione Agostiniana Genovese della Consolazione" si trovò immischiato nell'estrema confusione generata dalla "soppressione dei piccoli conventi": ma per quanto da lui stesso possiamo apprendere fu obbligato ad affrontare altri problemi specie in merito al convento agostiniano di Viterbo appunto dipendente dalla Congregazione momentaneamente posta sotto la sua suprema giurisdizione.
Dato il periodo di tensione è da credere che l'erudito agostiniano intemelio si sia trovato nella necessità di procedere anche ad opere di supervisione visitazione sì da correggere l'insorgere di varie problematiche.
Il lavoro non era semplice ed assieme ad una buona dose di autorità comportava obbligatoriamente competenze precise nell'ambito del diritto canonico.
Poco se non nulla sappiamo di quanto dovette affrontare il Ventimiglia ma non corre dubbio che la sua carica dovette percorrere vie travagliate e non esenti da rischi.
Ogni VISITAZIONE necessitava infatti di atteggiamenti di estrema prudenza nel contesto del suo espletamento: essa poteva esser svolta, nel caso del CLERO REGOLARE, in forza di una specifica titolatura e mirando ad obbiettivi ben precisi ma oltre a ciò Aprosio doveva anche muoversi nel contesto di una generale turbolenza dovuta alle decisioni pontificie del 1652.
La citata voce VISITAZIONE è comunque di estremo interesse anche per vedere come i "VISITATORI", nella loro opera di CONTROLLO SUI VARI ASPETTI DEL CLERO, dovevano seguire precisi e rigorosi criteri; si vedano le voci: VISITARE - VISITAZIONE - CANCELLARIUS - CAPITOLO E CANONICI - PARROCO - VICARIO FORANEO - CLERO - PRESBITERO - MONACHE - EREMITA - REGOLARI (FRATI - MONACI) - CHIESA - FUNERALI - RELIQUIE - INDULGENZE - IMMAGINI SACRE - BATTESIMO - CONFERMAZIONE (CRESIMA) - EUCARESTIA - PENITENZA - "OLIO DEGLI INFERMI" - MATRIMONIO - MESSA - PII LEGATI - DOTTRINA CRISTIANA = vedi anche - CLERO REGOLARE SOGGETTO A VISITAZIONE EPISCOPALE - DELLE MONACHE SOGGETTE A VISITAZIONE EPISCOPALE.
E tutto nella tribolazione di un animo pronto ad intraprendere polemiche letterarie o marilistiche ma non ancora avvezzo a dipanarsi nel mare magnum di norme ferree supportate da un complesso apparato burocratico.
In questo contesto, non sempre chiaro, giova precisare che per Costituzione apostolica (in latino Constitutio apostolica) si intende l'appellativo usato per alcuni documenti papali particolarmente importanti riguardanti un insegnamento definitivo o disposizioni di rilievo.
La parola "costituzione" come detto viene dal latino constitutio e fu termine già utilizzato per indicare le leggi più importanti promulgate dall'Imperatore romano: tale lessema venne poi mantenuto a riguardo dei documenti della Chiesa cattolica e tutto ciò in dipendenza della stretta correlazione fra pregresso diritto romano e diritto canonico.
Per loro natura e allorquando hanno carattere generico. le Costituzioni apostoliche sono dirette a tutti i fedeli sotto forma di Bolle pontificie. Quando al contrario si vuole esprimere qualcosa di particolarmente specifico, fermo restando il tipo di trasmissione, si usano le espressioni: a - "Costituzione dogmatica" (per esempio la Lumen Gentium e la Dei Verbum del Concilio Vaticano II) - b - "Costituzione pastorale" (la Gaudium et Spes dello stesso concilio).
Una BOLLA PONTIFICIA, o BOLLA PAPALE è una comunicazione scritta dalla Cancelleria Pontificia emessa con il sigillo del Papa. Il termine deriva dal latino bulla che fa riferimento all'aspetto del sigillo. Non esiste una esatta distinzione tra le Bolle e altre forme di comunicazione papale, quali la lettera pontificia. I ricercatori moderni hanno retroattivamente usato il termine “bolla” per descrivere ogni tipo di elaborato documento papale emanato in forma di decreto o privilegio (solenne o semplice), e nel caso di altri documenti meno elaborati emanati sotto forma di lettera. Nel linguaggio popolare, il termine è usato per ogni tipo di di documento papale che contenga un sigillo metallico.
Sono state usate come minimo sin dal VI secolo, anche se il termine non venne usato se non a metà del XIII secolo, originariamente come mezzi di comunicazione di natura pubblica per solo uso interno e per registrare promemoria pontifici di natura non ufficiale. Nel XV secolo il termine divenne di uso ufficiale, allorché uno degli uffici della cancelleria papale venne denominato "registro delle bolle" (in latino: registrum bullarum).
Il testo della bolla poteva iniziare con un solo rigo redatto a grandi lettere (litterae elongatae). In esso sono in genere contenuti tre elementi: il nome del papa (senza il numerale: quindi Pius e non Pius IX), il titolo del papa, episcopus (vescovo) seguito dalla formula humilitatis che suona servus servorum Dei (servo dei servi di Dio").
La prima frase (l’incipit), spesso una citazione biblica, in tempi recenti ha spesso indicato il documento stesso (per esempio Rerum novarum).
Il corpo del testo non aveva alcun formato speciale e spesso aveva un’impostazione molto semplice.
La parte conclusiva conteneva in genere una datatio in cui venivano indicati il luogo in cui il documento era stato scritto, il giorno, il mese e l’anno del pontificato del papa. Seguivano le firme ed infine il sigillo.
Il papa, per le bolle più solenni, usava firmare (almeno in parte) il documento di proprio pugno: in questo caso allora veniva usata la formula Ego [nome] Catholicae Ecclesiae Episcopus ("Io, [nome] Vescovo della Chiesa Cattolica"). Alla firma del papa in questo caso seguivano alcuni segni di corroborazione (rota e benevalete), le firme dei testimoni e poi in ultimo il sigillo. Attualmente, un membro della Curia Romana firma il documento a nome del Santo Padre, in genere il Cardinal Segretario di Stato.
La caratteristica peculiare della bolla era il sigillo metallico, la bulla il cui termine è poi passato ad indicare l'intero documento. Il sigillo era generalmente di piombo, ma in occasioni molto solenni veniva usato l’oro.
Il sigillo rappresentava i fondatori della Chiesa di Roma, gli apostoli Pietro e Paolo, identificati dalle lettere Sanctus PAulus e Sanctus PEtrus. Il nome del papa che emanava la bolla veniva scritto nel retro.
Il sigillo veniva applicato al documento o mediante cordicelle di canapa (nel caso si trattasse di lettere di giustizia ed esecutorie) oppure seta rossa e gialla (nel caso di lettere di grazia) annodate attraverso piccole aperture nel documento stesso.
Fin dal tardo XVIII secolo il sigillo di piombo è stato sostituito da un timbro di inchiostro rosso dei Santi Pietro e Paolo con il nome del papa regnante circondante l’immagine, anche se lettere molto formali, quali per esempio la bolla di Giovanni XXIII che convocava il Concilio Vaticano II, ancora portano il sigillo di piombo.
Si sono conservate bolle papali in forma originale solo posteriori all’XI secolo, quando avvenne la transizione dal fragile papiro alle più durature pergamene. Non è stata rinvenuta integra in originale nessuna bolla precedente l'819 d.C., ma si sono conservati alcuni sigilli originali di piombo risalenti al VI secolo.
In termini di contenuti, la BOLLA è semplicemente il FORMATO in cui si presenta un DECRETO PAPALE; può contenere qualsiasi argomento, ed infatti molte così erano e sono, inclusi decreti statutari, nomine di vescovi, dispense, scomuniche, COSTITUZIONI APOSTOLICHE, canonizzazioni e convocazioni.
La bolla era il formato di lettera esclusivo del Vaticano fino al XIV secolo, quando cominciò ad apparire il breve apostolico, il meno formale modo di comunicazione papale che era autenticato da uno stampo di cera (attualmente uno stampo di inchiostro rosso) raffigurante l’anello del pescatore. Non vi è mai stata una distinzione esatta tra la bolla ed il breve, oggigiorno però la maggior parte delle lettere, incluse le encicliche papali, sono emanate come brevi.
Attualmente, la bolla è l’unica comunicazione scritta in cui il papa si definisce episcopus servus servorum Dei; per esempio, papa Benedetto XVI, quando emana un decreto in forma di bolla, inizia il documento con Benedictus, Episcopus, Servus Servorum Dei.
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LA VISIERA ALZATA. ECATOSTE DI SCRITTORI CHE VAGHI D'ANDAR IN MASCHERA FUOR DEL TEMPO DI CARNEVALE SONO SCOPERTI DA GIO PIETRO GIACOMO VILLANI SENESE, INFECONDO E GENIALE...PASSATEMPO CANICOLARE / PENTECOSTE DI ALTRI SCRITTORI CHE ANDANDO IN MASCHERA FUOR DEL TEMPO DEL CARNEVALE SONO SCOPERTI DA GIO GIACOMO VILLANI SENESE, ACCADEMICO ANSIOSO E INFECONDO (CONTINUAZIONE DELLA VIERA ALZATA)
PER AGEVOLARE LA CONSULTAZIONE SI PUO' ANCHE VISUALIZZARE QUI L'
"INDICE PARTICOLAREGGIATO DI VISIERA ALZATA E PENTECOSTE"
La Visiera Alzata è un catalogo in ordine alfabetico per “nomi disvelati” degli pseudonimi utilizzati da vari autori, ad altri critici e bibliofili sfuggiti, onde segretamente redigere opere di varia natura: si rivela un utile contributo per spiegare gli autori con pseudonimi (a volte di buon livello) d’opere altrimenti di non chiara decifrazione> fu lungo lavoro quello d’Aprosio (condotto prima che in quest’opera per via di lettere, relazioni, parziali scritti su altre sue opere) al fine di indagare tra pseudonimi ed autori di plagi, lavoro che peraltro non mancò di procurargli apprezzamenti ma anche stizzite rimostranze. L’operetta non fu pubblicata dall’Aprosio ma uscì postuma solo grazie all’intervento di Antonio Magliabechi e di D.A.Gandolfo che la editarono con qualche utile aggiustamento: ad essa, rispettando la titolatura data a queste sue opere nei manoscritti da Aprosio, fu fatta seguire nello stesso volume l’omologa Pentecoste) Segue: Pentecoste di altri scrittori che andando in maschera fuor del tempo di Carnevale son scoperti da Gio.Pietro Giacomo Villani senese, accademico Ansioso e Infecondo..., (Pentecoste> continuazione della Viziera Alzata, opera postuma curata ed aggiornata su un cannovaccio aprosiano da A. Magliabechi, bibliotecario mediceo di Firenze, quasi certamente in cooperazione con D.A.Gandolfo successore d’Aprosio alla direzione della biblioteca di Ventimiglia.
APROSIO aveva scoperta, od approfondita con l'aiuto fondamentale di PIER FRANCESCO MINOZZI, l'ENIGMISTICA, la CRITTOGRAFIA e l'EMBLEMATICA.
Non si trattava solo di giochi poetici od eruditi ma di un sistema di trasmissione di messaggi da decodificare: lo si è visto in più punti.
Per chi si valeva così sottilmente di tal gioco, naturalmente, era poi facile partendo da queste elevate competenze crearsi un'infinità di PSEUDONIMI che gli permettessero di scrivere senza essere svelato, restando "in maschera" come allora si diceva, anche per non patire ritorsioni nocive da possibili rivali.
Ed ecco l'enigmatico Cornelio Aspasio Antivigilmi della Biblioteca Aprosiana, l'anagramma puro di "Angelico Aprosio Ventimiglia" sotto le cui spoglie viene creato l'alter ego del frate, il discepolo od amico che ne descrive gesta ed opere: ma sono altresì noti lo Scipio Glareano de L'Occhiale Stritolato, il Masoto Galistoni de Il Vaglio Critico, il Carlo Galistoni de Il Buratto, il Sapricio Saprici della Sferza Poetica e dei due Veratro, l'Oldauro Scioppio de Le Bellezze della Belisa, lo Scipio Glareano de lo Scudo di Rinaldo e della Grillaia, il Gio Pietro Villani de la Visiera Alzata, il Paolo Genari di Scio de Le Vigilie del Capricorno (con la Pentecoste) .
Si può notare che, fatta eccezione per il Cornelio Aspasio Antivigilmi mediamente Aprosio si valse quasi sempre degli stessi pseudonimi per opere di identica tipologia: polemiche, bibliografiche, erudite, di critica letteraria.
Si può al limite notare che usò lo stesso suo nome secolare Ludovico Aprosio per scritti esclusivamente tecnico-filologici come Della patria di Aulo Persio Flacco e le Le ore pomeridiane dal cui I libro fu peraltro "cavata" la dissertazione su Persio.
Ma Aprosio fu anche autore di SONETTI come quello SOPRA PROPOSTO per il quale usò il suo nome religioso seguito dal soprannome "P(adre) Angelico Aprosio Ventimiglia".
E tuttavia nella Biblioteca Aprosiana... a p. 175, verso la fine, compare un altro pseudonimo, cioè Aliprando Goesio che come poi si verifica a p. 705 (indice) dello stesso repertorio, per stessa aprosiana ammissione, è definito
"...N(ome) F(ittizio) dell'A(utore)...".
Ed a questo punto vien anche da chiedersi quanti minimi scritti aprosiani siano finiti sotto questo o simili pseudonimi (sostanzialmente anagrammi impuri; nel caso "Aliprando Goesio" = "D. Aprosio Angelico") e siano magari sfuggiti ai ricercatori: "nomi finti" soprattutto utilizzati in occasione di liriche da raccogliere in miscellanee o di brevi scritti accademici o nomi registrati in discussioni non privi di sale e per questo poco usati e rimasti indecifrati, nell'ottica del secolo e comunque nella costumanza aprosiana di dire mascherando talora i veri pensieri e la stessa identità (almeno per i non addetti ai lavori e i sicuramente amici!)
La seicentesca volontà di procedere in maschera fu così radicata che per molti anni ed in qualche caso mai i GRANDI REPERTORI BIBLIOGRAFICI DI OPERE ANONIME E/O PSEUDONIME hanno svelato chi si celasse sotto PSEUDONIMO: in merito ad APROSIO, che pure ne utilizzò un'opera in una sua polemica antidonnesca, un caso emblematico resta quello di
*********ERNANDO TIVEGA alias ANDREA GENUZIO*********
la cui identità fu probabilmente nota all'agostiniano molti anni dopo averne culturalmente fruito! All'Aprosio Lorenzo Crasso scrisse in una lettera del 12 dicembre 1660: "Per le mani del signor Giuseppe Battista riceverà le notizie del marchese di Villa e del Fontanella, e per quel poco che tocca al nome fittizio od anagrammatico di ERNANDO TIVEGA questo è ANDREA GENUZIO, autor del Diosino".
Per esteso il titolo dell'opera, praticamente introvabile (un esemplare segnato A 45 2 18 presso la Biblioteca degli Oratoriani di Napoli) è SATIRA,/& ANTISATIRA/ Contro gli abbigliamenti de gli huomini, e delle donne./ D' ERNANDO TIVEGA/ Gentil'huomo Napoletano./ Al Molto Illustre Sig./ D. FRANCESCO/ PISANO CARRAFA./[fregio]/ IN NAPOLI/ Nella Stampa Regia, 1640 (Lo stampatore è da ravvisare in EGIDIO LONGO dal 1620 circa erede della tipografia paterna e dal 1631 fatto "stampatore regio" (vedi L. Giustiniani, Saggio storico-critico sulla tipografia del Regno di Napoli, Napoli, Orsini, 1793, p. 177).
Sull'edizione critica di quest'opera vedi Andrea Genuzio, Satira ed antisatira, a c. di G. de Miranda, Minima, 58, Salerno editrice, Roma, 1997.
Del Genuzio l'opera più rilevante resta comunque il romanzo Del re' Diosino d'Andrea Genutio Gentlhuomo Napolitano ... All'Illustriss. Sig. mio ... Francesco Vernier ..., In Venetia : per Domenico Miloco, 1673 Descrizione fisica 562, [2] p. ; 12o

























Un quesito che può sembrare effimero ma che ha una sua valenza anche culturale risiede nel fatto se Aprosio sia stato un buongustaio (opsophagos alla greca) e se questa sua eventuale postazione esistenziale abbia o non influenzato il suo modus vivendi et operandi.
In effetti i primi dati che possediamo concernono semmai il disgusto per certi cibi e per una'alimentazione impropria: scorrendo, in ordine cronologico, la sua
Biblioteca Aprosiana
cogliamo alcuni segnali di un certo rilievo.
Durante un viaggio in Toscana si registrano le rimostranze per un'ospitalità sgradita in una locanda ed ancor più per il vitto sgradevolissimo cui si era dovuto abituare allorché viaggio per la Dalmazia fermandosi a Lesina.
Benché nel continuum delle sue narrazioni si dichiari frugale si intende che sempre che la sua frugalità era intesa nel senso di un vitto sano associato ad un ambiente decoroso e ad una frequentazione di commensali degni di stima.
Insomma Aprosio era palesemente teorico di una interpretazione classica del convito, laddove non si vivesse solo per il mangiare ma dove un desinare qualitativamente nobile interagisse sempre con la nobiltà del luogo e delle dissertazioni tra commensali.
Scorrendo ancora la Biblioteca Aprosiana si riscontra un passo peculiare laddove l'erudito intemelio cita quale suo punto di riferimento per le idelaità della vita alimentare laddove viene citata la Michaelis Havemanni Amusium sive Cynosura studiosorum, luculente monstrans, quomodo sint explorandi; laudabili diaeta conservandi; a morborum adsultu vindicandi; ... in calidis votis habent...Editio aucta et innovata in definitiva un'opera di varia erudizione ad uso degli eruditi e della salvaguardia dei loro studi redatta dal tedesco Michael Havemann, vissuto tra il 1597 ed il 1672, in cui, qual ideale comportamento gastronomico dei dotti, si consiglia (I, 9, p. 78) di seguire un esempio propositivo socratico che suggerisce per lo star bene ed il ben pensare un'alimentazione parca, sana e semplice atteso che "il ventre grasso non genera sottile sentimento".
L'affermazione, per quanto condivisibile e sostanzialmente rispettata da Aprosio nell'arco della sua vita, contraddice però alcuni aspetti del sue essere e vivere in contesto sociale, anche semplicemente leggendo quanto egli scrive sui pregi del vino prodotto nell'agro intemelio ed ancora delle trote del fiume Roja: tutto ciò resta comunque regolato da un invito alla gradevolezza ed alla misura che si riscontra indirettamente, sempre nel repertorio biblioteconomico stampato nel 1673 laddova a pagina 35 il frate riflette sulla negatività di tutte le forme di abuso come il tracannare, cioè il bere a dismisura, il vino.
Una peculiare notazione di pagina 59 del menzionato repertorio ci suggerisce però come il vero mentore del comportamento conviviale aprosiano, al di là degli stessi autori siciliani, sia stato il greco Ateneo di Naucrati nella maniera ben s'intende dell'ideologia conviviale espressa nei Depnosofisti ovvero Sofisti a banchetto in cui garbatezza od acutezza nel dire interagiscono con la pregevolezza di bevande ed alimenti.
Anzi: la prossimità comportamentale di Aprosio rispetto ad Ateneo si può riscontrare proprio nella dissertazione riservata alla citata potenzialità gastronomia della sua Ventimiglia.
Aprosio qualifica la città ligure per la qualità dell'acqua, del vino e dei pesci: non cita altri prodotti né alimenti di uso forse più comune o popolare, proprio appunto di una dieta frugale.
Nel libro VII de I Deipnosofisti, nella splendida citata traduzione italiana della casa editrice Salerno, si legge questo emblematico brano:
[4]" Molti erano i pesci già serviti, ed altri ancora venivano via via preparati al momento, di grandezza e varietà inusitate. Mirtilo a questo punto osservò: - E'giusto, amici, che, il pesce, tra tutte quelle pietanze di accompagnamento che vanno sotto il nome di òpson, proprio per il suo gusto ricercato, meriti di essere chiamato lui solo così, da quelli che vanno pazzi per questo cibo. Noi, del resto, non chiamiamo certo buongustai quelli che mangiano carne bovina, come Eracle, che
'dopo le carni dei buoi, passò ai fichi freschi'
e neppure chi è ghiotto di fichi, come fu il filosofo Platone, stando a quello che dice Fanocrito nell'opera intitolata 'Eudosso'. Lo stesso autore racconta, tra l'altro, che Arcesilao era ghiotto d'uva. Chiamiamo invece buongustai quelli che si aggirano per i mercati del pesce
'[...].
Opson originariamente aveva la valenza di 'companatico' da accompagnarsi al pane (sitos): successivamente acquisì il prevalente significato di pesce (vedi anche Plutarco, Questioni conviviali, IV 4 2 667f - 668a). Ne derivò un termine Opsophagos di una certa estensione semantica sì da poter oscillare tra goloso e buongustaio passando per gli stadi intermedi di ghiottone e goloso di pesce (non si dimentichi peraltro la forma opsopoiòs = "cuoco" con tutte le convergenze che ha con il verbale opsopoìeo = "preparo vivande").
Nella situazione del libro VII, 4 dell'opera di Ateneo comunque opsophagòs equivale chiaramente al concetto di buongustaio e buongustaio, ma in questa maniera classicheggiante propria dei romani dotti e raffinati, grandi amatori dell'alimentazione a base ittica.
E del resto in merito a questa specifica postulazione di buongustaio od opsophagòs, avanzata in merito al tenore alimentare aprosiano, vale una lettera tardiva di Jacopo lapi (Aprosio oramai risiede stabilmente in Ventimiglia) laddove leggesi :" Mi sovviene che nella sua lettera ella mi dava avviso di come se ne stava costà per queste montagne del Genovesato mangiando di buone trote e bevendo alla nostra salute, al ché Le rispondo con un magnifico: Buon pro le faccia" [Epistolario, lettera del 30 aprile 1662].
Opsopoeus, Vincentius è il nome sotto pesudonimo classico (il nome proprio si è conservato, il "cognome" è un grecismo nel significato di "cuoco, facitore di prelibatezze alimentari") di Vinzenz Heidecker poeta latino tedesco dall'imprecisabile data di nascita morto nel 1539. E' noto che studiò a Wittemberg e dal 1524 Lipsia godendo dell'amicizia di Melantone e del Camerarius: di formazione classica fu docente di varia umanità esercitando ad Ansbach, dove esercitò anche l'incarico di Rettore.
Studioso di autori greci e romani quali Polibio, Luciano, Omero ed Ovidio raggiunse soprendente celebrità epocale con il De Arte Bibendi (Norinberga 1536) una sorta di "elogio del vino" che interagisce con il culto dei banchetti dei classici e dei piaceri della tavola da buongustai magari intessuta coi diletti di un'arguta compagnia conviviale che comporta una decisa riprovazione di tutti i comportamenti estremi e volgari, propri di ubriaconi e d avvinazzati.
Stando alla pubblicazione del 1642 (L'Occhiale Stritolato ) in cui Aprosio ne riproduce un'ampia sarcina (in definitiva l'invocazione a Bacco) si ricava che l'erudito intemelio può aver attinto solo alle prime tre delle edizioni qui registrate dalle investigazioni dell'SBN: sempre che di altra edizione (l'opera godeva di una certa diffusione anche in Italia) recuperata in ambito veneto ed in un contesto privato di cui può essersi perduta memoria e/o traccia:
Opsopoeus, Vincentius, De arte bibendi libri tres, autore Vincentio Obsopoeo. D. Sebastiani Hamaxurgi apud fontes salutares frumentatoris, hexastichon, (Norimbergae : apud Ioh. Petreium, 1536) - [50] c. ; 4o. - Iniziali xil. - Rom. ; gr. - Segn.: a-l4 m6 - Impronta - s.t. m.r, o.i, QuPo (C) 1536 (R) - Paese di pubblicazione: DE - Lingua di pubblicazione: lat. - Localizzazioni: Biblioteca internazionale La Vigna - Vicenza - Biblioteca nazionale centrale - Firenze
Opsopoeus, Vincentius, De arte bibendi libri tres, autore Vincentio Obsopoeo... Denuo ab autore recognitum, & plus quam sexcentis versibus locupletatum (Norimbergae : apud Ioh. Petreium, 1537) - [54] c. ; 4o - Segn.: a6 b-n4 - Impronta - *.** umed s.s: CuCu (C) 1537 (R) - Paese di pubblicazione: DE - Lingua di pubblicazione: lat, grc. - Localizzazioni: Biblioteca nazionale Braidense - Milano
Opsopoeus, Vincentius, De arte bibendi libri tres, autore Vincentio Obsopoeo Germano. Quibus adiunximus De arte iocandi libros quatuor, Matthiae Delij Hamburgensis, cum luculenta in eosdem praefatione ... , Francoforti ad Moenum, 1578 (Impressum Francoforti ad Moenum : ex officina haeredum Christiani Egenolphi : impensis Adami Loniceri, Ioannis Cnipij Andronici secundi, doctorum, & Pauli Steinmeyers, 1587) - [104] c. ; 8o - Cors. ; gr.; rom. - Segn.: A-F8 G-H4 I-O8 - Contiene: De arte iocandi libri 4. scripti carmine a Mattheo Delio .. Numeri: Impronta - *;*, o-ua s.um SuIn (C) 1578 (A) - Nomi: Opsopoeus, Vincentius - Delius, Matthaeus <1523-1544> - [Editore] Egenolff, Christian Erben - [Editore] Lonicer, Adam & Cnipius, Johannes &Steinmeiers, Paulus - - [Pubblicato con] De arte iocandi libri 4. scripti carmine a Mattheo Delio Hamburgense ..., - Paese di pubblicazione: DE - Lingua di pubblicazione: lat, grc. - Localizzazioni: Biblioteca universitaria di Bologna
Opsopoeus, Vincentius, Vinc. Obsopoeus De arte bibendi lib. quatuor, et arte iocandi lib. quatuor, accedunt Artis amandi, dansandi, practica item meretricum fides; aliaque facta , Lugd. Batav. : ex typographia rediviva, 1648 - 2 pt. ([8], 280; 190, [2] p.) ; 120. - Note Generali: Pt. 2: Variorum auctorum Practica artis amandi, et declamationes Philip. Beroaldi, contenta sequens pagina indicabit, - Paese di pubblicazione: NL - Lingua di pubblicazione: lat. - Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale - Firenze
Opsopoeus, Vincentius, De arte bibendi lib. quatuor / Vinc. Obsopoeus. Et Arte jocandi lib. quatuor, accedunt artis amandi, dansandi, practica item meretricum fides: aliaque faceta Lugd. Batav. : ex typographia rediviva, 1658 - 2 pt. ([8], 135 [i.e. 143, 1]; 280 p.) ; 12o. - Note Generali: Per la sottoscrizione (Abraham Commelinus) cfr.: J.A. Gruys & C. de Wolf, Thesaurus 1473-1800 Nederlandse boekdrukkers ... Dutch printers a - De arte jocandi, di Matthaeus Delius inizia con occhietto a c. C12 r - Il nome dell'A. in testa al front. - Marca (la Verita) sul front. d'insieme - Marche (Leone : haec libertatis ergo) sui front. interni - Segue con proprio front., a c. I1r. della pt.2.: Antonius Arena provincialis, de bragardissima villa de Soleriis, ad suos compagnones .. - Tit. della pt. 2.: Variorum auctorum practica artis amandi, et declamationes Philip. Beroaldi - Impronta - e-n- reus atu- nava (3) 1648 (R) - Impronta - isr- s.x, t.us HiSy (3) 1648 (R) - Opsopoeus, Vincentius - Delius, Matthaeus <1523-1544> - Arene, Antoine - [Editore] Commelinus, Abraham - - [Pubblicato con] Variorum auctorum practica artis amandi, et declamationes Philip. Beroaldi ... - Paese di pubblicazione: NL - Lingua di pubblicazione: lat. - Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale - Firenze - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma - Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
Opsopoeus, Vincentius, De arte bibendi / Vincentius Obsopoeus. Theses inaugurales de virginibus. Bonus mulier, sive De mulieribus vel uxoribus. Accedunt & alii tractatus, lectu jucundissimi, multisve moralibus ad mores seculi nostri accommodati, illustrati & adornati. Quorum seriem sequens pagina indicat , Amstelaedami : apud Joannem Pauli, 1737 - [4], 452 p. ; 12 - Il nome dell'autore della prima opera precede il tit. - Gli autori delle altre due opere sono: Junonius Parthenophilus e Catharina Florida Paphiensis (seconda opera) e Conradus Trentacinquius (terza opera) - Front. stampato in rosso e nero - Segn.: pigreco2 A-S12 T10 - Contiene opere di vari autori - Impronta - 4389 t.is t.re UrSi (3) 1737 (R) - Nomi: Parthenophilus, Junonius - Paphiensis, Catharina Florida - Trentacinquius, Conradus - Obsopoeus, Vinzenz - [Editore] Pauli, Johannes - [Pubblicato con] Theses inaugurales de virginibus - [Pubblicato con]Bonus mulier, sive Centuria juridica practica quaestionum illustrium: de mulieribus vel uxoribus - Paese di pubblicazione: NL - Lingua di pubblicazione: lat, ger. - Localizzazioni: Biblioteca APICE - Archivi della parola, dell'immagine e della comunicazione editoriale - dell'Università degli studi di Milano

























PER UNA ESATTA COMPRENSIONE DELLA "LIGURIA LETTERARIA" AI TEMPI DELL'APROSIO VEDI QUI: DIGITALIZZAZIONE INTEGRALE CON "INDICI MODERNI" DELL'OPERA DEL SOPRANI:
"LI SCRITTORI DELLA LIGURIA E PARTICOLARMENTE DELLA MARITTIMA"































***APPENDICE CRITICA***
UN MODERNO
SAGGIO TECNICO
PER ANALIZZARE SCIENTIFICAMENTE E CON NOVITA' DI DATI
MOLTEPLICI ASPETTI DELL'

ATTIVITA' APROSIANA DELL'ULTIMO VENTENNIO:
IN FORZA DI UN'
INTRODUZIONE,
DELLO STUDIO DI LETTERE ALL'APROSIO DI VARI PERSONAGGI QUALI
REDI, (vedi anche TRASCRIZIONE COMPLETA DELLE LETTERE)
CARLO ROBERTO DATI E LE SUE OSSERVAZIONI CRITICHE SU "GABRIELLO CHIABRERA"
ALESSANDRO MARCHETTI (NELLE LETTERE ANCHE DUE SUE LIRICHE E L'INCIPIT DELLA SUA TRADUZIONE DI LUCREZIO) ,
LORENZO LEGATI E LA SUA CORRISPONDENZA CON A. APROSIO,
(VEDI IN PARTICOLARE UNA LETTERA EMBLEMATICA DEL 1673 DI LEGATI AD APROSIO)
COSPI,
MALVASIA,
STENONE
ECC.,

E DELL'EDIZIONE CRITICA DI AMPIE SARCINE DE
LO SCUDO DI RINALDO - PARTE II















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1 - SONETTO: NELLA MORTE DI NOSTRO SIGNORE GESU' CRISTO / AL PROPRIO CUORE
2 - PRINCIPIO DEL MIO POEMA FILOSOFICO
3 - SONETTO: CONVERSIONE DI PECCATORE A DIO
























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Sulle annate del 2005 e del 2006 della rivista "Aprosiana" (da me diretta sino al 2007) Gian Piero Maragoni ha editato (in due parti) un lunghissimo saggio intitolato "Per l'edizione dell'Eudemia di Giano Nicio Eritreo...": si tratta di un lavoro di grande profondità e straordinaria erudizione, anche utile per la profusione di indicazioni bibliografiche. Tuttavia per questo contesto, cioè in merito alla "Pinacotheca", prescindendo dal saggio forse troppo severo avverso l'erudito del seicento di B. Croce ("La Pinacotheca dell'Eritreo" in Id., "Nuovi Saggi sulla Letteratura Italiana del seicento", Bari, Laterza, 1931, pp. 124 - 125) bastano sostanzialmente i riferimenti bibliografici di Luigi Gerboni, "Un umanista nel seicento. Giano Nicio Eritreo. Studio Biografico critico", Città di Castello, Lapi, 1899 e di Maria Luisa Doglio, "Rossi, Gian Vittorio, detto Giano Nicio Eritreo" in "Dizionario critico della Letteratura Italiana". Seconda Edizione. Torino, UTET, 1986, vol. IV, p. 35, col. 2. Semplice ed esaustivo, per le finalità qui volute [che consistono sostanzialmente nella proposizione elettronica integrale della PINACOTHECA (strumento magari poco scientifico e pieno di notizie stravaganti: ma in parecchi casi ancora piuttosto utile quanto poco studiato e da confrontare con altre fonti)] risulta comunque quanto ha scritto Paola Rocchi, nella "Letteratura Italiana" diretta da Alberto Asor Rosa (Einaudi, Torino, varie date), entro il tomo "Gli Autori, Dizionario Biobibliografico, Indici". La studiosa (p.1538, col. I) scrive: "Rossi, Gian Vittorio (Roma 1577 - ivi 1647). Nobile R. (pseud. Janus Nicius Erytraeus) studiò presso i Gesuiti per poi laurearsi in diritto. Lavorò al servizio del cardinale Andrea Peretti per diciotto anni. Esordì come letterato in seno all'Accademia degli Umoristi, ma poi i suoi interessi si concentrarono nello studio delle Sacre Scritture, come testimoniano, tra gli altri, i volumi di "Dialogi", usciti a più riprese (1642 - 1645); le raccolte di "Homiliae in Evangelia Domini" e di "Exempla virtutum et vitiorum" (entrambe postume); le orazioni e le "Epistolae ad diversos" e le "Epistolae ad Tyrrhenum". In un diverso spazio si collocano l'"Eudemia" in otto libri (Stamperia Elzeviriana, Leida 1637) sorta di "romanzo" allegorico-satirico in cui R. fustigò i costumi romani del tempo e la Pinacotheca imaginum illustrium [...] virorum in 3 voll., notevole repertorio comprendente 300 biografie di contemporanei. La produzione in volgare, esigua e in parte perduta, consta di rime sparse e drammi sacri. Tutte le opere furono edite in Amsterdam, tra 1645 e 1649".
A. Aprosio aveva interesse per l' Eritreo che riteneva depositario di parecchie notizie inedite: in merito giova qui rammentare che nello "Scudo di Rinaldo II" entro il capitolo X registrò una "Canzone...di anonimo autore... su un religioso punito dal Tribunale ecclesiastico per gravi responsabilità morali e penali e che sempre dell'Eritreo fece onorevole menzione anche nella parte rimasta inedita della "Biblioteca Aprosiana".



















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LA QUESTIONE DEGLI EBREI - LA QUESTIONE EBRAICA



















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RACCOLTE POETICHE E SCRITTI VARI RARI
1 -
"RIME VARIE IN OCCASIONE DEGLI SPONSALI DEL SIG. CARLANTONIO GAETANO GUIDICIONI...E DELLA SIGNORA MARCHESA LIVIA ZAPPI NOBILE IMOLESE..., IN BOLOGNA, PER COSTANTINO PISARRI ALL'INSEGNA DI S. MICHELE, 1730































Il tema della pittura lecita e non: partecipazione aprosiana ad un dibattito epocale










































Torreblanca Villalpando, Francisco (nato a Cordova, morto nel 1645) , Iuris spiritualis practicabilium libri 15. Ex lege domini, siue reuelatis a Deo, per sacram scripturam, vel in communi ecclesiae, vel in particulari hominum. Autore d. Francisco Torreblanca Villalpando, Cordubensi, ..., Cordubae: Cea Tesa, Salvador : de, 1635
Torreblanca Villalpando, Francisco, D.D. Francisci Torreblanca Cordubensis, ... Epitome delictorum, sive De magia in qua aperta vel occulta invocatio demonis intervenit, Lugduni: Huguetan, Jean Antoine <2> & C., 1678
Torreblanca y Villalpando, Francisco : de,
Daemonologia siue De magia naturali, daemoniaca, licita & illicita, deq; aperta & occulta, interuentione & inuocatione daemonis libri quatuor. Lib. 1. Tractatur de magia diuinatrice. Lib. 2. De magia operatrice. Lib. 3. De punitione huius criminis in foro exteriori & iuridico. Lib. 4. De punitione interiori animae vidilicet, & officio confessariorum. Auctore Don Francisco Torreblanca Villalpando Cordubensi .., Moguntiae, 1623 [1 esemplare dell'opera in C.B.A.)
Torreblanca Villalpando, Francisco, Epitomes delictorum in quibus aperta, vel oculta inuocatio daemonis interuenit, libri 4 ... Authore licentiato don Francisco Torreblanca Villalpando .., Hispali: Rodriguez Gamarra, Ildephonsus & De Lira, Francisco, 1618
Torreblanca y Villalpando, Francisco : de, D.D. Francisci Torreblanca Cordubensis, ... Epitome delictorum, siue De magia: in qua aperta vel occulta inuocatio daemonis intervenit, Lugduni: Huguetan, Jean Antoine <2. ; 1649-1680>, 1678












































MATRIMONIO> nell’età intermedia il MATRIMONIO RIPARATORE si addice solo a borghesi e popolari.
Per i ceti aristocratici la donna, paradossalmente ma solo in apparenza, è meno fortunata, trattandosi quasi sempre di MATRIMONI D’INTERESSE
concertati dai padri di famiglia per cui il ruolo delle donne nobili sposate era ben CODIFICATO.
Tra tanti casi, basti citare quello del conte Francesco Tassis fu Flaminio di Bergamo, suddito della Repubblica di Venezia, reo d’aver indotto [per passione d’amore] la Nobildonna Giustiniana Gussoni ...destinata con contratto stabilito, e sottoscritto, al matrimonio di Sposo Patrizio [altro nobile, cui era stata promessa con atto notarile avente vigore di legge]...(a) concertare occultamente la via d’una rea, scandalosa, ingiuriosissima fuga...[descritta con precisione maniacale: gli amanti si servono di una gondola a quattro remi, poi d’altre barche e quindi di un calesso per uscire dal Paese].
La condanna contro il Tassis è durissima [senza possibili forme di riparazione] ...avendo (egli) commesso scientemente, dolosamente, temeriamente, deliberatamente, pensatamente... tal (crimine).
La sentenza ed il bando dell’Eccelso Consiglio di Dieci contemplano contro il Tassis: degradazione per la discendenza dai titoli nobiliari, bando dello stesso dallo Stato, taglio della testa se assicurato alla giustizia - poi si indicano le taglie per chi agevoli o compia la cattura e condanne accessorie come l’annullamento d’eventuale contratto di nozze del Tassis e la demolizione di tutte le sue case (Plaquette di pp.8, cm.21 x 15, stampata in Venezia per S.Antonio e Almorò Pinelli il 18 Gennaio 1731).