Questo sito dedicato al MAESTRO ELIO LENTINI per vari aspetti nasce qual una filiazione dal più vasto sito di "Cultura-Barocca"...una voce imprevista per un sito che aveva originariamente e volutamente portata storico letteraria.
Prima, un'intrusione quasi inavvertita fu quella sull'apparato archeologico e monumentale di Ventimiglia Romana: cosa che in effetti ci parve quasi dovuta attesi gli interessi aprosiani per la riscoperta seicentesca di "Albintimilium".
Successivamente, in un crescente interesse di contatti culturali italiani e non, ci è venuta una convinzione: perchè trascurare il principio aprosiano che tutti coloro che -dal punto di vista letterario ed artistico, prescindendo dall'epoca e dal tempo, abbiano contribuito ad un'acclarazione della "Libraria Intemelia" e quindi di Ventimiglia quanto del Ponente ligure su un piano sempre meno localistico- possano meritare l'appellativo di "Fautori culturali"?
E così continuando la proposizione del meccanismo aprosiano di amplificazione pubblica dei fenomeni culturali ruotanti attorno alla sua biblioteca -una proposizione che idealmente non teneva conto di tempo e spazio- ci siamo sentiti in obbligo di contribuire al ricordo e forse alla valorizzazione di letterati tanto celebri un tempo quanto ora, per mode ed altre ragioni ancora messi nel dimenticaio, misconosciuti o negletti quali Francesco Pastonchi e soprattutto Antonio Aniante.
La riuscita riflessione pubblica su Antonio Aniante che fu letterato ma anche importante critico d'arte, sodale ed intimo di sommi quali Picasso, Matisse, Chagall ecc., ha però innescata un'ulteriore considerazione....o presa di coscienza...
Per Aprosio la Biblioteca di Ventimiglia non era solo una "Libraria", in maniera forse un po' datata ma non priva di genialità voleva semmai che fossa reputata un "sublime contenitore", un "Museo", una "Galeria", una "Camera delle Meraviglie" in cui interagissero molteplici espressioni d'arte, del passato quanto del presente ed auspicabilmente del futuro...
E così attesa la grande passione aprosiana -al momento ancora abbastanza sottovalutata- per le arti figurative ci siamo ulteriormente chiesti: perchè -atteso che il frate era solito farlo per i suoi amici pittori- non riprendere questa altra sua sua consuetudine, celebrare con la letteratura e la civiltà del suo secolo (e poi dei secoli a venire) anche l'arte, la pittura, la scultura, l'architettura ma anche gli studi d'arte della sua epoca (e poi a venire quelli delle epoche successive)?
Del resto il moderno critico d'arte Antonio Aniante era, per dirla al modo dei secentisti, un bel "Rampino", un aggancio per parlare di ARTISTI MODERNI...
E così, anche sulla scia di vecchi suggerimenti datici da quello spirito brillante ed arguto quanto a volte scomodo e purtroppo oggi abbastanza dimenticato che fu lo scomparso collezionista ventimigliese G.B. Simonetti, ci siamo dati un nuovo traguardo...quello di dedicare questo spazio delle "NEWS" esclusivamente ai FERMENTI D'ARTE...perché puranco per l'ARTE l'agro ventimigliese merita d'essere ascritto tra le "perle della Liguria"...
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Riattivando antichi meccanismi aprosiani, spulciando tra i FAUTORI DI CULTURA E D'ARTE sia moderni che antichi, nella vanità pretestuosa forse d'essere anche noi al pari dell'agostiniano "TROMBE DELL'ALTRUI GLORIE", "Cultura-Barocca" ha innescato una sorta di PONTE TRA PASSATO E PRESENTE proponendo
riflessioni su artisti del '600 legati in qualche modo a Ventimiglia come il "Cavalier Ridolfi" e contestualmente su artisti contemporanei come quel
-tra altre cose sodale di Antonio Aniante critico d'arte ed amico di grandissimi artisti del '900- la cui produzione estetica, forgiata nella fatica, nel talento e nella modestia, ha contribuito di certo ad illustrare culturalmente sia Ventimiglia dove a lungo operò, quanto l'attuale amatissima sua Dolceacqua ed ancora il Ponente ligure tutto...
Ma ELIO LENTINI è, come detto, solo il RAMPINO, l'aggancio tra passato e presente...il punto iniziale di una serie di RIFLESSIONI SULLE ARTI FIGURATIVE DEL PASSATO QUANTO DEL PRESENTE...un aggancio che potrà esser potenziato dagli auspicati contributi su altri personaggi, magari forniti da altri studiosi ed esperti la cui collaborazione sarà certo gradita...come in qualche modo già si evince qui dai COLLEGAMENTI ad ALTRI SITI ANCHE DI RILEVANTE VALENZA ARTISTICA (tra cui certo spicca la prestigiosa FONDAZIONE POMPEO MARIANI che peraltro custodisce varie opere del Maestro Lentini) ma tutti comunque destinati ad essere degli irrinunciabili interlocutori e punti di riferimento...
Parlando di
ELIO LENTINI
e contestualmente della sua
***ARTE***
si ha comunque spesso l'impressione di qualche manchevolezza, di informazioni non date...specie in merito ad un artista prestigioso ma che spesso ha cercato il crepuscolo per
liberarsi dalle fatue contingenze e dal presenzialismo e che soprattutto -uomo certo poco barocco e sicuramente controcorrente- non ha mai fatto vanto delle sue poliedriche quanto importanti conoscenze nel mondo dell'arte.
Non è nemmeno, come tanti, un ferreo custode della sua bibliografia sì da ostentarla, come si usa, in molteplici occasioni...abbiamo persino dovuto estorcergli il riconoscimento dell'"Ambrogino d'oro 2008": e d'altre affermazioni di rilievo ancora si è dimenticato (o ha voluto dimenticarsi?).
E tutto ciò al punto che giunge improbo ricostruirne tutte le tappe culturali, i pubblici e privati apprezzamenti, la partecipazione ad incontri d'arte anche di rilevante portata.
Dopo che si son allestiti un convegno ed una personale dello scultore (cui sopra si fa riferimento e che certo concorrono con il materiale iconografico e documentario a dimensionarne l'arte e soprattutto l'evoluzione estetica) Elio un bel giorno è giunto alla propria personale in Dolceacqua, con la sua aria (ci perdoni l'ossumoro) di "vecchio fanciullo", sventolando quello che sembrava un foglio tra tanti, un banale ritaglio di qualche rivista scaturito dall'oblio di una scrivania o di un polveroso cassetto.
Non era proprio così: e ci venne il destro di rimproverarlo...ma come fare innanzi al suo innocente quanto naturale modo d'essere!
Non era affatto così...e -ci si ripete- come rimediare se non riproporre qui, nell'ipotesi d'un tardivo rimedio, quanto di lui FU SCRITTO IN TRE LINGUE SULL'"ARCHIVIO STORICO INTERNAZIONALE DELLE ARTI FIGURATIVE" in occasione di una mostra alla VILLE DE STRASBOURG - GALERIE, MAISON D'ART ALSACIENNE - MUSEE D'ART MODERNE.
Già l'ELENCO DELLE PERSONALI E COLLETTIVE, DEI PREMI, DELLA STESSA BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE nel contesto di siffatta pubblicazione degli anni '70 del secolo scorso travalicava per quantità le notizie da noi date di recente sui riconoscimenti e le esposizioni dell'artista.
Ma che fare! in merito al poeta scultore del REALISMO MAGICO, che piega i metalli e li induce a svelare arcane emozioni di cui compartecipare, l'onnicomprensione sarà impossibile, forse...
Come un Druido nascosto nella sua natura, fuggiasco innanzi ai progressi di civiltà e religioni che non conosce o non vuole conoscere, ELIO LENTINI corre, realmente e in senso metafisico, entro quella sua particolarissima natura, che oscilla continuamente tra reale ed onirico, trascinando con sè i segreti di un'arte che probabilmente non svelerà mai.
Eppure non parliamo di un orso, di un misantropo isolato dal tutto, d'un geloso e goloso gestore del proprio talento: LENTINI è, per natura, gentile, disponibile, aperto ai contatti umani...ma è uomo che pospone sempre la pubblica proiezione del proprio ego a pro di una gioia di vivere che si identifica in una sublime capacità sia di sentire le interferenze intercorrenti tra individualità e panteismo, quanto di rifletterle in maniera sempre originale per via d'una mediazione estetica.
Genuino ed involontariamente enigmatico, questo artista di cristallina e nobilissima umanità (quanto, però, giammai propenso alla vita di cenacolo e di congrega) a volte deve esser lasciato parlare in totale autonomia e lo si deve ascoltare con attenzione estrema per intuirne estetica e saggezza...oppure bisogna leggerne con attenzione le tante pagine di pensose meditazioni: nella speranza mai certa comunque di esorcizzarne alcuni segreti del pensiero, dell'arte e della vita, cioè di quel metamorfico genotesto che sta alla radice della sua proiezione artistica.
Tra le tante cose scritte sul Maestro Elio Lentini (tra cui anche un'acuta osservazione del compianto Giorgio I Principe di Seborga) ci è sembrato giovevole, in questo momento quasi epocale del suo riaffacciarsi sul palcoscenico delle manifestazioni artistiche che contano davvero, proporre uno scritto dello stesso Elio Lentini e precisamente questo interessantissimo e manoscritto stralcio autobiografico di ricordi, che molto ed acutamente si sofferma su un periodo particolare e per certi versi straordinario della "Storia intellettuale di Ventimiglia":
"...Negli anni '60 - '70 lo scrittore Aniante, apprezzando il mio modo di essere e riconoscendomi -sempre gliene sarò grato- notevoli potenzialità artistiche mi prese sotto una sorta di amicale protezione ed anche a guisa di formazione cultrale mi condusse attraverso una sorta di "Grand Tour", quasi in un "pellegrinaggio laico" a visitare ( o venerare?) quei tragitti d'arte e storia in qualche modo sospesi tra Italia e Francia
dove lui aveva intimamente frequentato tanti grandissimi dell'arte novecentesca quali Matisse, André Gide, Cocteau, Picasso ed altri ancora.
Contestualmente, quasi volesse proporsi per una mia -diciamo- "educazione sentimentale e culturale", ogni cosa fece onde pormi a contatto coi più significativi fermenti intellettuali del tempo: con vivezza rammento tuttora quel raffinato intellettuale, seppur scrittore di poche per quanto pregnanti pagine, che fu Giacomo Fernando Natta, la cui amicizia cercò ad ogni modo di guadagnarmi.
Ricordo in particolare il giorno in cui lo presentò in Bordighera al Palazzo del Parco, quando un Aniante sorprendentemente accalorato pronunciò parole di contestazione avverso alcune personalità per la mancanza di un degno riconoscimento mai conferito al letterato.
In quel tempo avevo poco più di 25 anni: lo scrittore Comisso, in quel periodo, frequentava sia San Remo che Bordighera e l'Aniante più volte mi invitò in occasione dei loro incontri, sempre contraddistinti da quei raffinati interscambi intellettuali che raramente ho poi riscontrato in altri contesti.
Come detto Aniante si adoprava nel farmi conoscere molteplici personalità dell'arte, e non solo figurativa ma anche letteraria, giudicando questt'ultima non meno necessaria delle qualità tecniche al fine di sostenere la mia creatività: apprezzava tra tanti il sofisticato poeta Renzo Laurano che più volte mi fece frequentare -con indubbio profitto intellettuale- sia a San Remo che nella sua abitazione-ritiro a Latte di Ventimiglia ("Villa i Pini").
In quel periodo soprattutto ascoltavo con avida curiosità: avevo innanzi a me un mondo ricco di sensazioni ed esperienze, sentivo che al momento il mio compito principale era quello di percepire appieno le esperienze di altri, di tanti intellettuali ricchi di cultura quanto di sensibilità. Per me si trattava di un periodo assolutamente fruttuoso in quanto la maggior parte delle persone si accostavano alla mia arte per la sua carica emozionale ed innovativa. Contestualmente, a differenza di quanto accaduto ad altri, non provavo alcuna insofferenza per i consigli e i suggerimenti:
parecchi furono coloro che mi spronarono a ricercare nella fantasia un mondo diverso da trasferire poi nella rappresentazione materiale...e nessuno, forse per il mio stesso carattere, mi giunse sgradevole o fastidioso...riuscivo a percepire l'impressione che come nessun libro per quanto modesto sia inutile così nessun consiglio, dato in buona fede, debba esser disdegnato a priori e senza pensamenti critici!
E così ritengo che se oggi ho realizzato una peculiare modulazione nell'esecuzione quanto nella raffigurazione estetica, cio' sia da collegare alla forza creativa che sento in me, alla tecnica che possiedo ma parimenti alle interferenze culturali di cui son stato partecipe...
Interferenze che si son prolungate nel tempo, travalicando decisamente quegli anni: e qui non si possono certo dimenticare i momenti un po' irreali e quasi platonici di quella sorta d'Accademia dell'Ideale, estranea ad ogni associazionismo istituzionale, che avrebbe trasformato a Ventimiglia, in Via Turati, il Bar Irene in una fucina di intelligenze tra cui primeggiava quella, apparentemente sorniona ma in effetti straordinariamente creativa quanto magica nel percepire il balenio della natura, del poeta di San Biagio della Cima, Francesco Biamonti.
So che tanti validi autori si stanno contendendo il "premio Letterario Città di Ventimiglia" ed allora, tra me e me penso: se vi fosse qualcuno capace di narrare di quei momenti, delle discussioni interminabili, di Biamonti che stava diventando una specie di vate per il pittore Morlotti, peraltro pupillo di quella sorta di burbero benefico che in effetti fu G. B. Simonetti, degli altri collezionisti, degli artisti, dei filosofi che sognavano sulle ali delle utopie di Adorno e Marcuse...e contestualmente dei tanti amori che fiorivano, e poi svanivano come un passero impaurito nel crepuscolo.
Magie di un tempo sospeso tra illusioni, speranze ed attese non sempre destinate a fruttificare...
Ma un tempo giusto per vivere, parlare, credere, sognare, respirare...!!!
Ed anche in quel periodo io più che esprimermi, per quanto già piuttosto noto, amavo maggiormente ascoltare ed apprendere...magari sentire qualche dolce poesia -che purtroppo più non rammento- di Simonide od ancora il verso dolente e crude d'Archiloco per "Neobule la bella dai neri capelli" decantato da qualche classicista, come si diceva dai benpensanti che giammai mancano in qualsiasi tempo, "da Bar Irene"...
Ma non eravamo sempre così sofisticati...od indolenti o poetici: una volta mi ricordo che, dopo una gran mangiata, ci mettemmo a parlare di gastronomia e che da quella odierna giungemmo a chiederci come avessero mangiato i "nostri antenati, quegli intemeli romani che stavano nella città morta a Nervia: qualcuno tirò fuori un libro sgualcito...dicendo: 'eh se si valorizzasse quanto vien fuori dagli scavi...per il turismo magari! sai di posti nuovi di lavoro!. Guardate qui, ad "Albintimilium" c'era chi usava la forchetta, che per molti si ritiene apparsa solo dal tardo medioevo... ed osservate invece qui che razza di forchetta'.
L'oggetto era in effetti straordinario, prezioso, balzava luccicante dalle pagine ingiallite...qualcuno prese a dissertare su tecniche e metalli ed io ero tra i più attenti atteso il mio lavoro; ...ci riportò in terra proprio Biamonti con uno di quelli che definivo i suoi "risvegli da gatto"... sporgendosi in maniera quasi indolente dalla sedia in cui pareva sprofondato, fissò a lungo l'immagine -che certo conosceva, ma che voleva dar l'impressione di soppesare- e poi sbottò, sottovoce, anche se concettualmente il suo dire parve uno schiaffo all'erudizione ostentata da qualcuno,: 'Beh...vedete il mondo non cambia mai! Trilussa dice che se per statistica ogni italiano mangia un pollo, e ciò non è vero!, allora vuol dire che c'è chi non mangia nulla e chi si ciba del doppio!...e così ai tempi di Roma v'era gente come il proprietario di questo arnese che se la spassava e tanti altri che si dovevano arrangiare con le dita...sempre fatti politici, di chi gode e di chi patisce...!".
Filosofia spicciola, di parole che ho recuperato con qualche fatica e un po' fantasia oltre che l'aiuto di altri presenti alla discussione, ma filosofia acre...che spesso lasciava il segno e faceva meditare: più di tutto ora in effetti rammento soprattutto, alla stregua di cornice ad una qualche filosofica demotivazione, il silenzio che seguì quella saggia constatazione del futuro scrittore sull' amara ripetitività delle sorti umane!
Adesso qualche volta -assediato dai ricordi che sempre più con pochi riesco a condividere- mi domando...chi si rammenta nell'oggi (epoca di associazioni, circoli, comitati ecc.) di quel luminescente periodo di intellettuale estemporaneità...e di discussioni importanti elaborate magari come queste su qualche casualità? Dapprima scuoto tra me e me la testa, sconsolato o nostalgico nemmeno lo so...ma poi recupero il dubbio e lo annullo...io, noi lo ricordiamo! -questo solo conta- e talora vi abbiamo talora intessuto al di sopra, quale basamento ideologico di scelte ed esperienze, le nostre stesse vite!
Ma sto tergiversando...è tardi, la vista mi si offusca e la penna non segue la ridda di pensieri e ricordi...ancora una volta stavo dimenticandomi...io l'ascoltatore, il registratore appassionato d'insegnamenti altrui!
Mi riferisco a due, per me, straordinarie figure femminili.
Si tratta di Simone, consorte di Aniante, e della mia amata moglie Yvette, tutte e due francesine ricche di sensazioni e bontà d'animo, che sempre ci seguirono, illuminandoci con la loro grazia innata.
Vorrei qui rammentare soprattutto la dolce Yvette che era già pittrice di talento e che motivò in maniera decisa la mia prima esperienza artistica, che, occorre dirlo, fu pittorica...e tuttora, pur nella mia più importante ed attuale attività di scultore ed incisore, debbo riconoscere
quanto Le sia debitore in merito alla luminosità dei colori, per un'esperienza acquisita dipingendo con Lei!
Se il fruitore che analizza oggi le mie opere vi coglie significative espressioni di luce e riflessi di scuola francese, sappia dunque che a Lei debbo questa potenzialità espressiva...
Non mi son mai ritenuto un individuo astratto dalla comunità, forse posso parere vivere nel mio mondo ma, e lo so bene!, alla costruzione estetica ed anche filosofica di questo stesso mondo, magico o reale che sia, hanno contribuito tante persone, molte delle quali purtroppo non sono più tra noi, ma che hanno lasciato una traccia indelebile in me, quasi che per certi versi io,
umile coagulo di poliedriche capacità, creando un'opera d'arte vi proietti i riflessi, oltre che delle mie qualità, delle competenze di quanti mi vollero bene e che con il loro insegnamento mi resero capace di destreggiarmi in maniera credo originale nel sempre complicato contesto estetico dell'arte e della scultura in dettaglio..."
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Un giudizio su Elio Lentini ed i fermenti culturali (1960 - '70) a Bordighera "città d'arte" nel prezioso ricordo di un
significativo critico d'arte: Giorgio I Principe di Seborga (Giorgio Carbone).
" Conosco Elio Lentini
da anni, tanti da trasformare il tempo trascorso in un mondo lontano dai luoghi e dalla realtà del Ponente Ligure e più specificatamente della Provincia di Imperia in cui entrambi ancora operiamo
e viviamo.
Erano gli anni in cui a Bordighera si viveva un'atmosfera diversa e dove l'odore salmastro, costante nei pescatori, si univa al profumo dolciastro lasciato dai forestieri" [N.d.R.= non bisogna dimenticare l'appellativo storico di Bordighera quale "Città più inglese d'Italia"] " dove il sentore un po' acre, emanato dai contadini e dagli operai, si fondeva
con l'aroma compassato che permane negli abiti degli scrittori e dei poeti, dissimile ma non discorde dal classico aroma che stagnava sulle tute dei marmisti e degli scultori, come l'odoramento dei coloranti restava nel vestiario usato dai pittori, così come quello del talco impregnava i vestitini degli infanti e le gonne materne sulle quali i bimbi consuetudinariamente
sedevano, nei bar più affollati.
Coloro che in quegli anni abitavano, soggiornavano, si ritrovavano a Bordighera respiravano l'ossigeno delle colline, l'azoto della campagna, lo iodio del mare e l'atmosfera artistica e umana amalgamata perfettamente con l'ambiente frugale dei nativi del luogo " [N.d.R. = l'autore si riferisce non solo all'amatissima Seborga quanto
a tutto lo straordinario triangolo che da Vallecrosia corre sin a Bordighera risalendo fin a Perinaldo con tutto il suo incredibile fascino di vita che si sublima sia nelle quasi fiabesche dei luoghi pregni di civiltà millenaria che corre dal sistema grangitico benedettino all'esperienza laica dei "macieri" o muri a secco quanto nella luminosità pittorica dei quadri di Monet]
Dopo le due guerre mondiali, che hanno lasciate miracolosamente intatte, o parzialmente efficienti le inventive e le opere inglesi, tedesche, francesi e di casa Savoia, attuate a fine ottocento e nel primo novecento, e dopo una stasi esistenziale evolutiva durata quasi mezzo secolo,
quell'insieme di odori e profumi diversi che era diventato l'aroma costante respirato da tutti, soprattutto nei Ritrovi della città, aveva trasformato la stasi pubblica, dei Bordigotti e non, in un grande collage politico, variopinto, attivo stravagante e piacevole, che era stato creato dalle idee di
pochi accettate e seguite da tanti, non sempre conforme, più volte azzardato nei toni e nei sovrapposti colori poco accademici, ma valido nei risultati e di grande effetto artistico, economico e culturale.
Nell'ambito dell'accademia del pittore Giuseppe Balbo era nato, negli anni 50 il "Premio Cinque Bettole" che aveva ridato vitalità alla Città Alta, l'antica e bella Bordighera, chiamata "La Maddalena", facendola diventare un notevole punto d'incontro di famosi letterati e artisti italiani, e di artisti provenienti dalla Costa Azzurra.
Il libraio Cesare Perfetto, chiamato Cesarino, nella libreria del quale già si riunivano gli artisti e i letterati locali e il quale meditava da tempo di istituire un Premio internazionale da assegnare ai Vignettisti onde prolungare ed ampliare il successo ed i consensi ottenuti dal "premio Cinque Bettole", aveva negli anni '60 inaugurato il "Salone dell'Umorismo", che ha trasformato e rivitalizzato anche i Ritrovi della Città Bassa, divisa dalla Città Alta dalla sola e signorile Via Romana, e che ha regalato a Bordighera l'ambito riconoscimento internazionale di "Città d'Arte".
Con la successiva apertura del Festival del Cinema Umoristico Cesarino Perfetto ha poi conseguito per la "Città dell'Arte" il riconoscimento internazionale del mondo cinematografico.
Quel successo raggiunto e attivato attraverso l'appoggio politico e amministrativo di alcuni uomini di lungimiranza, quali il Dott. Giribaldi-Laurenti, Coromines e Allavena, oltre al considerevole afflusso di noti poeti, scrittori, scultori, pittori, vignettisti e attori, aveva incentivato considerevolmente l'economico afflusso turistico, attirando l'interesse e la curiosità di chi segue, attornia, o viene attorniato dall'ambiente dello spettacolo.
In breve, le fantasiose idee un po' stravaganti scaturite da pochi ma accettate e seguite da tanti, erano riuscite in quegli anni ad unire il dilettevole all'utile dell'intera Comunità bordigotta e delle Comunità circostanti, le quali traevano grande sussistenza dalla floricoltura e per le quali è stata creata la "Festa della mamma", istituita a Bordighera (chiamata anche Città dei Fiori) con il supporto dell'allora Sindaco Zaccari, eletto Senatore della Repubblica Italiana.
Ricordando gli avvenimenti di quegli anni e i momenti più salienti di quelle riunioni, rivedo gli atteggiamenti e i distinti comportamenti delle persone più attive, i loro volti, e soprattutto lo sguardo dei letterqati presenti: quellon attento del poeta Laurano, quello sornione di Giacomo Natta, quello ansioso di Guido Seborga, quello vivace di Fernanda Pivano [reputata dall'onnipresente scrittore e critico Antonio Aniante - uso ospitarla nella sua celebre villa "I Pini" di Latte frazione di Ventimiglia, vera fucina di incontri culturali- una autentica forza della natura, ispiratrice di dibattiti ed iniziative], quello vago ma pensieroso di Francesco Biamonti (che è lo sguardo di colui che ti ascolta ma vede altrove) e quello audace ma non meno svagato di Marino Magliani, come è lo sguardo degli abitanti della val Prino.
Ben diverso era, invece, lo sguardo solitamente vagante e pensoso dei pittori, dei disegnatori e degli scultori, dai quali però si distinguevano, nel modo in cui ti penetravano fissandoti acutamente quando venivano contrariati, il disegnatore Enzo Maiolino (insegnante di professione), il pittore Truzzi (seguace e sostenitore della "linea Morlotti") e il pittore e scultore di immagini e figure cementificate Marcello Cammi (amante della danza, muratore di professione e nell'Arte).
Se escludiamo il Caposcuola del gruppo Giuseppe Balbo (il non più giovane Maestro e allievo di pittori insigni), la benestante Bea di Vigliano e il grande astrattista Gian Antonio Porcheddu (insigne consumatore di pipe marchiate e di bevande alcoliche), i restanti pittori, per altro alcuni giovanissimi, dell'allora Accademia bordigotta di cui facevano parte Sergio Gagliolo, Pagnini, Raimondo alias Barbadirame, Ciacio Biancheri, Franco Franzoni, Ercole Lorenzi ed Elio Lentini (le opere dei quali godono oggi del riconoscimento dei critici d'Arte e dell'interesse del pubblico), in quegli anni non beneficiavano
ancora dell'apporto pittorico: Elio Lentini portava negli abiti usati l'odore ed il profumo d'un cinquecentesco laboratorio.
Dalla lavorativa esperienza professionale, dalla scuola accademica di Giuseppe Balbo, dalle discussioni e dagli incontri e scontri fatti con i noti disegnatori, scultori e pittori che hanno partecipato al "premio Cinque Bettole" e al Salone dell'Umorismo, Elio Lentini ha costruto, maggiorato e maturato, nel tempo, quel naturale impulso artistico che lo ha portato all'attuale raffinatezza scultore e pittorica, espressa e trasmessa attraverso le lastre in acciaio o in rame.
Operare nel mondo dell'Arte non è uno svago, né la tentata evasione mentale da proprio ambiente, ma è ricercare, comparare ed anche soffrire.
L' Arte non cresce per caso [scrive ancora qui Giorgio Carbone] ma ognuno la costruisce con gli insegnamenti ricevuti e cercati, con la conoscenza e con le esperienze, prima vissute e poi tralasciate, indi riprese, elaborate e rielaborate: come succede con i testardi rapporti della propria esistenza.
Oggi, per me, riportare la memoria alle vicende di quegli anni in cui ho incontrato e conosciuto Elio Lentini con quell'attivo piccolo gruppo di Artisti spesso riuniti nel bar Giglio di Bordighera, è simile al rammentare una favola, rimasta impressa e fondamentale nel periodo dell'infanzia, e ricordarla con nostalgia.
E ciò che stupisce il mio pensiero, ancora una volta, è invece il constatare che quelle vicende hanno costituito per tutti una vissuta, normale realtà ".
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