Non solo la superstite cartografia classica attesta quanto siffatto MONUMENTO, in maniera spettacolare, abbia contribuito a sublimare attraverso i secoli la realizzazione della GIULIA AUGUSTA, la PACE D'AUGUSTO, la sanzione dei CONFINI D'ITALIA e soprattutto la VITTORIA SULLE POPOLAZIONI ALPINE vinte (14-13 a.C.) che disturbavano il processo di romanizzazione e il prosperoso sviluppo di Marsiglia, Nizza, Monaco.
Nella grande epigrafe del mausoleo (soggetto nei secoli a tante trasformazioni sin ad essere eretto in fortilizio) si legge: "All'imperatore Cesare Augusto, figlio del Divo Cesare, Pontefice Massimo, nella quattordicesima acclamazione imperatoria, nella diciasettesima tribunicia potestà, il Senato ed il Popolo Romano [dedicarono] poiché sotto la sua guida e i suoi favori tutte le genti alpine che abitavano dal mare superiore all'inferiore vennero sotto l'imperio del Popolo romano. Le genti alpine vinte sono i Trumplini, i Camuni, i Venosti, i Vennoneti, gli Isarci, i Breuni, i Genauni, i Focunati, le quattro tribù dei Vindelici, i Cosuaneti, i Rucinati, i Licati, i Catenati, gli Ambisonti, i Rugusci, i Suaneti, i Caluconi, i Brisseneti, i Leponzi, gli Uberi, i Nantuati, i Seduni, i Varagri, i Salassi, gli Acitavoni, i Medulli, gli Ucenni, i Caturigi, i Brigiani, i Sogionti, i Broduonti, i Nemaloni, gli Edenati, i Vesubiani, i Veamini, i Galliti, i Triullati, gli Ectini, i Vergunni, gli Egui, i Turi, i Nematuri, gli Oratelli, i Nerusi, i Velauni, i Suetri" (trad.).
La vittoria di Augusto immortalata nel mausoleo della Turbia si estrinsecò contro genti ancora piuttosto primitive (tra costoro quel bellicoso gruppo di Montani detti dai Romani Capillati, cioè "uomini dai lunghi capelli") che abitavano tutta la sezione centrale e occidentale della catena alpina (Plin., nat.hist., III, 20, 136 e C.I.L., V, 7817): anche i Deciati e gli Ossibi avevano disturbato Marsiglia e le sue colonie rendendo necessario l'intervento di Roma nel 154 a.C.> la campagna militare fu condotta positivamente da Flaminio, Marco Popilio Lenate, Lucio Pupio e Quinto Opimio (Polibio, XXXIII, 8, 1 e XXXIII, 9, 7): i Salluvi furono domati nel 122 a.C. da Sestio Calvino ma come i precedenti popoli, fino alla definitiva impresa di Augusto, rimasero sempre poco fidi (Strabone, IV, 1, 5: B. DURANTE-M. DE APOLLONIA, Albintimilium antico municipio romano, Gribaudo [Gribaudo-Paravia], 1988, pp.62-63 e nota 35: un ulteriore consolidamento dei confini occidentali d'Italia si ebbe poi con la relizzazione delle province delle Alpi Marittime, delle Alpi Cozie e delle Pennine).
Il Trofeo, destinato a molte trasformazioni e rifacimenti (divenne anche un fortilizio in tempi relativamente recenti) ai tempi di Augusto dovette rappresentare per i ceti dominanti delle città vicine (tra cui Ventimiglia romana) un modello del trionfante classicismo imperiale, da imitare almeno se non proprio da comprendere: da qui proviene il celebre busto di Druso oggi conservato alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen (v. N. LAMBOGLIA, Il Trofeo di Augusto alla Turbie, Ist. Intern. di Studi Liguri, Bordighera, 1965, pp.27-34.
Il grande complesso, che esteticamente influenzò i frutti migliori del complesso architettonico e del tenore esistenziale dei ceti benestanti di Albintimilium come dei centri vicini conobbe i saccheggi ed il degrado della decadenza e del Medioevo sin ad essere trasformato in FORTE - evidenziato nelle stampe e nella cartografia - sin al punto che ne venne così alterata la splendente, originale struttura classica, da renderne sempre difficile una ricostruzione assolutamente plausibile.
Elaborando il mito in maniera assolutamente personale ed in qualche maniera retorica, lo scrittore e critico d'arte
ANTONIO ANIANTE
a commento delle sue relazioni con alcuni grandi talenti pittorici del '900 con cui aveva avuto grande dimestichezza e spesso intessuto durevole amicizia era solito dire che "...dopo millanta fiate Dei minori e moderni s'erano radunati per l'ampio agro, sito sotto il guardiano di marmo, tra Italia e Francia, eretto da un Dio remoto....".
Gli "dei" cui faceva cenno soprattutto in questo libro erano quei celebri artisti, in qualche modo simboleggiati da Matisse e Picasso che andarono a cercare, ottenendoli, nuovi stimoli per la propria arte nella bella Francia sud-occidentale, tra il sole della Provenza e la luminosità delle Alpi Marittime: ed in particolare Picasso nelle "memorie di Francia...(pp. 35 - 40)" vien descritto da Aniante quale un novello Vulcano od Efesto estenuato ma infervorato nel suo lavoro attorno alle fornaci (vedi "PICASSO TRA FERRO E FUOCO NELLA FUCINA DI VALLAURIS") ed, in qualche modo e non senza qualche eccesso di amicale retorica, dallo struggente ricordo dello scrittore catanese posto quasi a capo di una olimpica brigata d'altri
divini artefici
(Renoir, Chagall, Léger, Biot, Braque)
in tali contrade tutti giunti a ritemprarsi e nuovamente creare e, creando, "a beatificarle" agli occhi del mondo.
Il Dio remoto cui fece cenno, con una certa licenza storica non sussistendo alcuna sua divinizzazione in vita, fu invece l
'IMPERATORE OTTAVIANO AUGUSTO che, nel contesto del suo progetto di PACE UNIVERSALE, curò di strutturare in maniera durevole i confini occidentali d'Italia e che, per simboleggiare tale progetto, intervenuto vittoriosamente contro molte genti alpine, lo immortalò nel TROFEO DELLA TURBIA il mastodonte che, con qualche effetto cromatico e qualche licenza poetica, Aniante identificava in un guardiano di marmo e da cui si propone qui un
VIAGGIO DI IMMAGINI E RIFLESSIONI CRITICHE PER LA PROVENZA, LE ALPI MARITTIME E L'ITALIA.
Il Municipio di Albintimilium fu ascritto alla IX regio augustea (Liguria e Piemonte subpadano): esso si stendeva sino al Trofeo della Turbia e, rispettando le partizioni geografiche, raggiungeva il colle di Tenda (abbracciando i bacini del Roia e del Nervia per poi estendersi verso Sanremo e Taggia ma ritirandosi, verisimilmente, verso costa sin nell'area di Ospedaletti.
In virtù di siffatta configurazione il Municipio intemelio finì col risultare l'ultimo amministrativamente italico nonostante il CONFINE D'ITALIA fosse al FIUME VARO (come si credette a lungo, anche per il DOMINIO DI GENOVA, da cartografi moderni, specie se stranieri e imbevuti di letture dei geografi classici): apprendiamo infatti dall'opera geografica di STRABONE (IV, 1, 3) e dal computo delle pietre miliari della Giulia Augusta che fino al FIUME VARO avevano una numerazione progressiva dal miliarium aureum o "miliario iniziale donde tutte le strade si numeravano" sito a Roma mentre oltre il VARO i miliari si calcolavano progressivamente da Fréjus.
Politicamente italiane erano quindi Nizza e Monaco ma, come ancora precisò Strabone, erano amministrate dall'episcopo di Marsiglia città cui Roma riconobbe antichi previlegi. Il corridoio tra la Turbia ed il Varo fu invece incluso nella Provincia delle Alpi Marittime con capitale Cemenelum che, governata da un prefetto, poi procuratore, di nomina imperiale, svolse il duplice scopo di fungere da cuscinetto strategico tra Gallie ed Italia e di romanizzare le popolazioni da poco vinte.
A questo punto ben si intende che il Trofeo augusteo della Turbia dovette essere più di un simbolo di vittoria: esso delimitava giuridicamente l'Italia e faceva del complesso municipale di Albintimilium un centro limitaneo del tutto italico presso il quale, autentico nodo di traffico stradale e marinaro, si pagava la Quadragesima Galliarum o "dogana di passaggio dall'Italia alle Gallie".
Nizza e Monaco, politicamente italiche, non lo erano invece dal lato amministrativo ed il restante territorio tra la Turbia ed il Varo costituiva in pratica una zona anomala o di passaggio tra Italia e Gallie.
Anche per questo è giusto parlare di un'antica tradizione frontaliera di Ventimiglia: non è peraltro un caso che il territorio della Diocesi intemelia (in qualche modo "calco" della giurisdizione municipale romana: Albintimilium...cit., p.52 e nota) ad onta di interpretazioni discutibili, sia stata, come la moderna indagine storica ha provato, una sorta di "isola di transizione" in cui si smorzava decisamente la strutturazione diocesana italica e vi prendeva corpo, quasi anticipando il valico d'una frontiera politica e culturale, una progettazione di tipo "gallicano".