Una lirica esemplificativa della scarna, ma forse non del tutto nota produzione poetica aprosiana, si ricava da un volume custodito presso l'Aprosiana intemelia:
Poesie de'signori Accademici Infecondi di Roma. Dedicate all'eminentiss. e reuerendiss. sig. il signor cardinal Felice Rospigliosi, protettore dell'Accademia, Venetia : per Nicolo Pezzana, 1678 - 16, 391, 1 p. : antip. calcogr. ; 12o - Antip. sottoscritta da Tommaso Cardano - Segn.: *8A-Q\1"R4 - Impronta - o,al 7370 i.i. ChPi (3) 1678 (R) - Altre localizzazioni: Biblioteca comunale dell'Archiginnasio - Bologna - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma - Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma - Biblioteca Querini Stampalia - Venezia
A volte si crede di esser riusciti ad incastellare entro un sistema compiuto la poligrafia aprosiana ma presto si viene disillusi dalla scoperta di nuovo materiale, edito e non.
In questo caso, nell'immagine proposta, è riprodotto un SONETTO che l'Aprosio consegnò alle stampe per una RACCOLTA POETICA degli ACCADEMICI INFECONDI sulla morte di EMILIA ADORNI RAGGI. ma il SONETTO per quanto non costituisca niente di eccezionale rimanda agli altri, forse molti, di cui si è persa traccia e che sono racchiusi entro altre sillogi delle ulteriori ACCADEMIE cui il frate fu ascritto o che frequentò quale gradito ospite.
Ed altri sonetti aprosiani raccolse poi nei suoi Fiori Poetici il discepolo dell'Aprosio, l'amato Domenico Antonio Gandolfo.
Come detto APROSIO aveva scoperta, od approfondita con l'aiuto fondamentale del toscano PIER FRANCESCO MINOZZI
e comunque in sintonia con le costumanze epocali l'abilità dello
SCRIVERE IN MASCHERA e quindi assieme ADESPOTE E/O ANONIME COMPOSIZIONI ALFANUMERICHE, l'ENIGMISTICA, la CRITTOGRAFIA, la GEMATRIA, l'EMBLEMATICA, la stessa discussa STEGANOGRAFIA DEL TRITEMIO ecc. ecc..
L'aprosiano scrivere in maschera non era un variegato susseguirsi di di giochi poetici od eruditi ma un sistema di trasmissione di messaggi da decodificare: lo si è visto in più punti.
Per chi si valeva così sottilmente di tal gioco, naturalmente, era poi facile partendo da queste elevate competenze crearsi un'infinità di PSEUDONIMI che gli permettessero di scrivere senza essere svelato, appunto "in maschera",
sì da non patire perigliose reazioni da parte di privati cittadini o soprattutto istituzioni specialmente per pesonalità come appunto quella del frate ventimigliese da tempo osservato e giudicato con un certo sospetto quale poeta nel senso di spirito bizzarro con imprevedibili e talora discutibili curiosità culturali.
Ed ecco l'enigmatico Cornelio Aspasio Antivigilmi della Biblioteca Aprosiana, l'anagramma puro di "Angelico Aprosio Ventimiglia" sotto le cui spoglie viene creato l'alter ego del frate, il discepolo od amico che ne descrive gesta ed opere: ma sono altresì noti lo Scipio Glareano de L'Occhiale Stritolato, il Masoto Galistoni de Il Vaglio Critico, il Carlo Galistoni de Il Buratto, il Sapricio Saprici della Sferza Poetica e dei due Veratro, l'Oldauro Scioppio de Le Bellezze della Belisa, lo Scipio Glareano de lo Scudo di Rinaldo e della Grillaia, il Gio Pietro Villani de la Visiera Alzata, il Paolo Genari di Scio de Le Vigilie del Capricorno .
Si può notare che, fatta eccezione per il Cornelio Aspasio Antivigilmi mediamente Aprosio si valse quasi sempre degli stessi pseudonimi per opere di identica tipologia: polemiche, bibliografiche, erudite, di critica letteraria =
Si può al limite notare -ma è argomento che si riprenderà di seguito in connessione ai necessari approfondimenti sull'elaborazione dello pseudonimo CORNELIO ASPASIO ANTIVIGILMI- che l'erudito agostiniano usò lo stesso suo nome secolare Ludovico Aprosio per scritti esclusivamente tecnico-filologici come Della patria di Aulo Persio Flacco e le Le ore pomeridiane dal cui I libro fu peraltro "cavata" la dissertazione su Persio.
Ma Aprosio fu anche autore di SONETTI come quello SOPRA PROPOSTO per il quale usò il suo nome religioso seguito dal soprannome "P(adre) Angelico Aprosio Ventimiglia".
E tuttavia nella Biblioteca Aprosiana... a p. 175, verso la fine, compare un altro pseudonimo, cioè Aliprando Goesio che come poi si verifica a p. 705 (indice) dello stesso repertorio, per stessa aprosiana ammissione, è definito "...N(ome) F(ittizio) dell'A(utore)...".
Ed a questo punto vien anche da chiedersi quanti minimi scritti aprosiani siano finiti sotto questo o simili pseudonimi (sostanzialmente anagrammi impuri; nel caso "Aliprando Goesio" = "D. Aprosio Angelico") e siano magari sfuggiti ai ricercatori: "nomi finti" soprattutto utilizzati in occasione di liriche da raccogliere in miscellanee o di brevi scritti accademici o nomi registrati in discussioni non privi di sale e per questo poco usati e rimasti indecifrati, nell'ottica del secolo e comunque nella costumanza aprosiana di dire mascherando talora i veri pensieri e la stessa identità (almeno per i non addetti ai lavori e i sicuramente amici!).
La seicentesca volontà di procedere in maschera fu così radicata che per molti anni ed in qualche caso mai i GRANDI REPERTORI BIBLIOGRAFICI DI OPERE ANONIME E/O PSEUDONIME hanno svelato chi si celasse sotto PSEUDONIMO: in merito ad APROSIO, che pure ne utilizzò un'opera in una sua polemica antidonnesca, un caso emblematico resta quello di
*********ERNANDO TIVEGA alias ANDREA GENUZIO*********
la cui identità fu probabilmente nota all'agostiniano molti anni dopo averne culturalmente fruito!
Nel contesto dello studio oltre che della Libraria Aprosiana e conseguentemente del suo omonimo fondatore non restio a trovar scampo o soluzione a problemi distinti nel campo di crittografia e pseudonimia o più estesamente ancora dello scrivere in maschera (progettazione già esperita, anche in forza di varie modulazioni espressive, già in opere pregresse non escluse le inedite ma non irreperebili né irricostruibili Antichità di Ventimiglia)
acquisisce però un senso particolare ed in effetti quasi tutto da svelare, anche perché assai poco studiato, il motivo della scelta per quello che in definitiva sentiva esser il suo capolavoro vale a dire il repertorio biblioteconomico de La Biblioteca Aprosiana... del 1673, qui integralmente digitalizzato, reso ipertestuale e studiato criticamente il fatto che abbia scelto la strada inconsueta di redigerlo per via d'una narrazone in terza persona seppur sotto la "figura" di
un anagramma puro del suo nome vale dire lo pseudonimo di
CORNELIO ASPASIO ANTIVIGILMI
Nel campo specifico della Biblioteca Aprosiana il repertorio economico in parte edito, in parte manoscritto ma incompiuto
analizzando l' Indice particolareggiato (vedi) della qui digitalizzata e ipertestualizzata parte edita del 1673, a fronte della vastissima mole del materiale
raccolto da Aprosio sfugge mediamente la qui del pari proposta in linea multimediale Occasione dello Scrivere/Al Sig. Lorenzo Legati Dottor medico Cremonese, figliulo di Apolline, ed allievo delle Muse la cui analisi attenta permette di
decifrare il senso vero dello pseudonimo scelto da Aprosio vale a dire quello di Cornelio Aspasio Antivigilmi (pseudonimo ricavato dall'anagramma puro dell'autore integrato dal nome del luogo natio divenuto suo epiteto ufficiale) interagente però con una particolare sfasatura scrittoria in terza persona che si potrebbe accostare alla pubblicazione di Torquato Accetto ovvero il Della Dissimulazione Honesta
sì da suggerire di primo acchito, pur mascherandone l'essenza nello pseudonimo usato, che non Aprosio sia stato autore della grande silloge ma un suo dicepolo o "Fautore" resosi disponibile ad assemblare un lavoro immenso, cosa oramai improba per un uomo di 64 anni afflitto da vari problemi di salute (leggi qui da riga 6 dall'alto di pag. 20 del repertorio biblioteconomico) AJUTANTE VIGOROSO che quale CORNELIO ASPASIO ANTIVIGILMI suggerisce l'idea di rivolgere NELL'OCCASIONE DELLO SCRIVERE cui appartiene la precedente indicazione di pag.20, a LORENZO LEGATI CURATORE DEL REPERTORIO BIBLIOTECONOMICO LA CUI MORTE SARA' con la SCOMPARSA NEL 1675 DEL MECENATE D'APROSIO G. N.CAVANA CAUSA DELLA MANCATA STAMPA DELL'INTIERA OPERA, TANTO AMBITA SA VARI STUDIOSI TRA CUI GIOVA QUI RICORDARE LODOVICO SCOTO.
ANGELICO APROSIO
ANCHE SE CERCA DI MASCHERARSI PER EVITARE CRITICHE DI AUTORI DIMENTICATI
MA ANCHE DI
PERSONE CON CUI NON SI TROVA O NON SI E' TROVATO IN BUONI RAPPORTI E CHE CITA FRUENDO DI PSEUDONIMI SE NON PER VIA DI ALLUSIONI
OPPURE OPERE E PERSONAGGI CUI, PER VARIE RAGIONI SENZA FARNE NOME FA CENNO PER VIA DI ABILI GIUOCHI RETORICI
PER TANTI SEGNALI NON RIESCE AD EVITARE D'EVIDENZIARSI
SOTTO LO
PSEUDONIMO ANAGRAMMA PURO DI "CORNELIO ASPASIO ANTIVIGILMI"
PUR QUASI ABIURANDO ALLE TANTE SUE OPERE SCRIVENDO
ANCORCHE QUESTA SIA LA PRIMA FIATA CHE' L MIO NOME COMPARISCA IN STAMPA(I-III RIGA)
nel contesto delle riflessioni sull'enigmatico Ajutante si legge
MA SON RIMASTO DELUSO: E PER HAVER MANDATO IL LIBRO IL QUALE M'USCI' TUMULTUARIAMENTE DALLA PENNA SENZA RILEGGERLO, SONO SCORSI GLI ERRORI CHE SI VEGGONO APPRESSO, DA CORREGGERSI IN CONFORMITA' (SECONDO L'ERRATA-CORRIGE)
e proprio entro il brano
A CHI CORTESE E NON TOTALMENTE AMUSO LEGGERA' QUESTA SCONCIATURA,CHE TERMINA CON L'ACCENNO ALLA PROPRIA DELUSIONE E CONSEGUENTEMENTE CON L'"ERRATA CORRIGE"[ DA LEGGERE CLICCANDO SU QUESTO COLLEGAMENTO ]
, rilascia una riflessione critica avverso ERRORI DI COMPOSITORI, PROTI E TIPOGRAFI, che a ben vedere costituisce una personale traccia, esistenziale e vissuta, di
CORNELIO ASPASIO ANTIVIGILMI in cui è peraltro facile veder celarsi l'anagramma puro di
ANGELICO APROSIO VINTIMILIA tramite il recupero di un'esperienza veneziana, quale un marchio di correlazione tra il PERSONAGGIO PARLANTE E L'ERRATA CORRIGE DEL REPERTORIO BIBLIOTECONOMICO DEL 1673, da metà p. 105 ove
tratta delle esperienze esistenziali e culturali dell'agostiniano ventimigliese in merito ai tempi in cui a Venezia instaura profonda amicizia con lo stampatore Jacopo Sarzina nella cui tipografia impara l'arte della composizione a piombo menzionando la sua relazione con i Compositori (parte iniziale di pagina 106)
.
Ancora ai tempi e pur dopo la pubblicazione del repertorio economico de la Biblioteca Aprosiana del 1673 come si evince da questa lettera del 1674 al Grande Inquisitore di Genova T. Mazza Aprosio
andava ricoprendo la carica di Vicario dell'Inquisizione (vedine la corrispondenza) per la Diocesi di Ventimiglia e tra i vari compiti come si legge in una lettera del 12 dicembre 1673 dall'agostiniano spedita ad Antonio Magliabechi egli tra l'altro doveva rispettare conservava il compito di affiggere (o piuttosto far affiggere) in pubblico nei luoghi della Diocesi deputati a ciò gli elenchi dei libri proibiti via via inseriti nell'Indice (vedi Antonia Ida Fontana, L'epistolario di Angelico Aprosio con Antonio Magliabechi, dattiloscritto custodito presso la Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia, p. 111, n. 76).
Nel '600 un uomo di 64 anni non poteva certo godere, mediamente, ne' della fisicità né della salute di un contemporaneo nostro attese le condizioni della medicina e delle patologie contro cui non esisteva rimedio = malori oggi facilmente rissolvibili con i moderni farmaci potevano portare a complicazioni molto serie. Il mecenate dell'Aprosiana Giovanni Niccolò Cavana in due lettere prese qui ad esempio (recuperate da altro lavoro di L. Tosin vale a dire Lettere ad Angelico Aprosio (1665 - 1675) / Giovanni Nicolò Cavana, Firenze, Firenze University Press, 2013, pp. 49 - 50, n. 30 e 31), e datate rispettivamente "di Genova, 14 agosto 1667" e "di Genova 4 settembre 1667" fa cenno ad un periodo di cattiva salute dell'Aprosio: tuttavia i dati più esplicativi si ricavano da altre lettere e precisamente da
una missiva (7 ottobre 1673)
del Predicatore domenicano Pio Mazza (tra il 1674 e il 1679 in B.U.G. 11 sue lettere scritti all'Aprosio e qui riprodotte multimedializzate)
missiva che parla espressamente di una
"sincope da affatticamento" che durante la messa fece prostrare Aprosio sull'altare della chiesa di N. S. della Consolazione o di S. Agostino in Ventimiglia.
Non è dato sapere quanto rapidamente ma
Aprosio dovette riprendersi abbastanza bene e fruttuosamente lavorare sin alla sua morte nel 1681 anche se per lui l'aiuto, quasi richiesto nella lettera al Legati, giunse nel 1678, oltremodo gradito, sotto la veste del discepolo Domenico Antonio Gandolfo.
E' noto un certo esistenziale
incupimento che colpì Aprosio in età matura ed avanzata per vari motivi e non ultimi i tragici eventi connessi all'apocalittica epidemia di Peste del 1656 con le relative conseguenze connesse a varie riflessioni sulla brevità della vita,
ma i pensieri malinconici e qualche rimpianto giammai frenarono la sua voglia di scrivere, corrispondere e curare la biblioteca.
Quando il Cavana gli scrisse le sue preoccupate lettere sulla salute Aprosio aveva in effetti 60 anni e pare fuor di dubbio che il suo intelletto rimase vivace ancora a lungo certo ben oltre il 1673 quando editò la I parte del repertorio della Biblioteca Aprosiana -stampata quindi ai suoi 66 anni- (compresa magari anche la redazione di parecchie parti rimaste inedite): senza dimenticare le integrazioni e le modifiche che andava apportando alla Seconda Parte dello Scudo di Rinaldo data da alcuni ancora per inedita ma in realtà per buona sua parte pubblicata da chi scrive queste note ed inoltre l'operosità connessa per la stampa della Maschera Scoperta di cui aveva allestito un secondo manoscritto non privo di modifiche e della sezione inedita del repertorio biblioteconomico.
Fatto sta che nell'ideazione piuttosto originale del citato pseudonimo CORNELIO ASPASIO ANTIVIGILMI risiedevano di fatto sia aprosiane progettazioni sia cautelative di cui aveva appreso la necessità per via di eserienze personali e di cui vale ora la pena di dissertare pur se l'allusione all'età relativamente avanzata, agli acciacchi e all'esigenza di un coadiutore poteva risultare un'integrazione ulteriore a giustificazione della comparsa di imprevedibili e impreviste mancanze nella stesura dell'opera sia in merito ai possibili errori di stampa (A chi cortese, e non totalmente Amuso leggerà questa Sconciatura) -invero freneticamente ma non senza ulteriori dimenticanze data la mole dell'opera tentati d' esser risolti in un Errata Corrige- che soprattutto, oltre che dei contenuti, per la carenza di citazione di qualche "Fautore" che ancor più per la spesa ed il lavoro ancora da compiere per la mancata pubblicazione di altra parte del lavoro che per la stesura globale in effetti mai espletata (mancano i nomi dalla N alla Z)
l' abate dei minori conventuali Ludovico Scoto ( studiato con perizia e passione da Gian Luigi Bruzzone nei suoi studi dedicati in gran parte a religiosi, specie corrispondenti di Aprosio ascritto tra i FAUTORI DELL'APROSIANA come pure tra i CORRISPONDENTI DI APROSIO a pag 44, riga 15 dall'alto ben doveva sapere per esempio che Cornelio Aspasio Antivigilmi era Angelico Aprosio e in tre sue lettere chiedeva notizie sulla procedura della stampa di quanto non editato come scrisse
da Genova, il 22 dicembre 1674 ove in uno stralcio epistolare annotò e quindi in un'altra da
Bologna, 5 agosto 1679 ed ancora in ulteriore lettera da
Roma, 28 febbraio 1680 .
Gli pseudonimi costituiscono solo una parte relativa dello " Scrivere In Maschera " in qualsiasi epoca in cui
la libera espressione del pensiero può costituire dei problemi di fronte alle diverse autorità censorie e per di più "Scrivere in Maschera" può giudicarsi una forma possibilistica
per alternare la propria vita tra due apparenti realtà, concreta l'una e fittizia l'altra, donde la pseudo-equazione La Maschera e il Volto = Una Maschera per godere, una per uccidere, una per vivere senza incorrere per trascuratezza od errore di proti e compositori in qualche critica potenzialmente degenerabile in inimicizia:ed Aprosio così attento ad esser preciso, ne convengo col Bruzzone, ne aveva un esempio già sotto gli occhi ove tra le liriche inneggianti al suo repertorio biblioteconomico compare un FRACNHI in luogo dell'esatto GIULIO ANTONIO FRANCHI = Aprosio temeva questi errori e rivolgendosi al pubblico scrisse A PROLUSIONE DELL'ERRATA - CORRIGE =A CHI CORTESE E NON TOTALMENTE AMUSO LEGGERA' QUESTA SCONCIATURA sì da parlare poi degli errori come detto di proti e compositor, sin a scrivere MA SON RIMASTO DELUSO: E PER HAVER MANDATO IL LIBRO IL QUALE M'USCI' TUMULTUARIAMENTE DALLA PENNA SENZA RILEGGERLO, SONO SCORSI GLI ERRORI CHE SI VEGGONO APPRESSO, DA CORREGGERSI IN CONFORMITA', sì che il pur fittizio ricorso ad un Ajutante che si assuma le responsabilita' come scritto nella pagina (261 riga VIII dal basso) risuona come una non banale excusatio non petita, comprensibile per gli esperti, ma in qualche modo atta quale giustificazione per i lettori meno sofisticati = del resto un trattato scoperto e reso celebre dall'oblio da Benedetto Croce
nella sua semplicità riassume questa esigenza di vivere tra l'essere e l'apparire, si tratta del Della Dissimulazione Honesta di Torquato Accetto =UTILE IN MOLTI CASI E COME QUI SI LEGGE PURE PER LO SCRIVERE D'APROSIO PER AFFRONTARE TEMI DISDICEVOLI ALLA MORALE CORRENTE, DEL RESTO LA PRUDENZA PSEUDONIMICA DI APROSIO SI ESPLICITA AVVERSO PERSONAGGI A LUI OSTILI MA DI UN CERTO RILIEVO DI CUI POTEVA ESSER PERIGLIOSO CERTIFICARE NOME E COGNOME COME IN PRIMIS IL TRAGOPOGONO OSTILE ALL'EREZIONE DELLA BIBLIOTECA (P191, RIGA VI DAL BASSO) E POI NELLO SCUDO DI RINALDO II IL FRATE DETTO ANCHE PER LA SUA AVARIZIA CREMATOFILO OPPOSITORE DELLA NUOVA ARTE FIGURATIVA E ARCHITETTONICA DEL BAROCCO CALDEGGIATA DAL MANDRASCO E DA F. FIORATO IN MERITO AL "CASO DI UN EDIFICIO SACRO DI CAMPOROSSO" , ED ANCHE I RELIGIOSI DI CUI APROSIO NON POTEVA NON CONOSCERE I NOMI, DETTI GALLI DI ESOPO APERTAMENTE CRITICATI PER LA POCA CURA DEL VENTIMIGLIESE PATRIMONIO ARCHEOLOGICO ( prudenza esplicata pure citando Giovanni Girolamo Lanteri, che fruiva di gran reputazione tra i ventimigliesi e di cui altrove scrisse, ma con cui non concordava su vari aspetti della topografia di Ventimiglia Romana in merito alla circostanza in cui lo rimproverò, senza nominarlo, di aver mal informato su una colonna miliare romana che sarebbe stata presente presso il convento agostiniano di Ventimiglia
(tramite Teofilo Rainaldi cui il Lanteri comunicava le sue osservazioni storico-archeologiche per l'Italia Sacra dell'Ughelli) proprio FERDINANDO UGHELLI nella stesura della monumentale ITALIA SACRA).
Come quando"il Ventimiglia" riprodusse una sarcina dell'opera di Lorenzo Lippi Il Malmantile racquistato 3 anni prima della stampa e giammai colui che gliela procurò (non sappiamo se con una copia manoscritta dell'intiera opera anche se certamente si può dire che da quanto Aprosio scrisse a pagina 527 riga 16 dall'alto doveva quantomeno avere a disposizione l'intiero Cantare VIII che coerentemente ai contenuti definì "Le Ninfe") ma che Angelico non citò espressamente, nella porzione di testo antecedente alla riproduzione della sarcina poetica, se non per via di una perifrasi scrivendo essendone stato favorito da soggetto, nella Bibliotheca della cui mente sono più libri, che non hanno veduto in un secolo le Fiere di Francoforte e di Lipsia...: da pag. 527 riga 13 dal basso).
Con gli anni e l'esperienza Aprosio, spirito polemico e fin troppo franco nel dire e nel fare, imparò quanto fosse necessario ricorrere a questi travestimenti linguistici ed espressivi oltre che comportamentali in siffatta esua epoca e il contesto libertino di Venezia fu una palestra vitale di apprendimento = i "pericoli di violazione della legge" del resto erano ovunque e si evidenziavano sia sotto forma di Legge Ecclesiastica oramai mediamente gestita dal Sant'Uffizio che di Leggi dei vari Stati.
Naturalmente i rischi maggiori si incontravano nello scrivere o divulgare idee ereticali (come per la Chiesa) o a riguardo degli Stati nel farsi promotore di propagande sovversive o addirittura attivare quelle sovversioni.
In conformità di questo giova precisare che contestualmente al "reato" di "Lesa Maestà di Stato e Chiesa" in siffatta epoca un crimine gravissimo passabbile di esecuzione capitale rientrava nel "principio di destabilizzazione dello statu quo del potere istituzionale" cosa che faceva ascrivere tra i criminali più pericolosi [i così detti Figliastri di Dio = fatto che a livello ammonitore e catartico avallava a parere dei giusdicenti l'orripilanza degli "Spettacoli di Giustizia") i
Blasfemi e bestemmiatori quanto ancora coloro che Omosessuali, sodomiti, transessuali, lesbiche, tribadi ecc. potessero, col loro comportamento, incrinare le fondamenta istituzionali mettendone in discussioni l'irrinunciabilità.
Il discorso è forse ancora più complesso di quanto si può qui proporre e per cui pare necessario visualizzare anche le voci qui concernenti il Diritto dell'Età Intermedia quanto ancora quelle connesse alla persecuzione di Streghe, Maghi, Negromanti ecc. ecc..
La variabile temuta da tutti e quindi sostanziata nell'anonimato spesso usato a fianco della pseudonimia dipendeva anche dal fatto che aveva credito nell'epoca la Denunzia Anonima dell'Urna Lignea (spesso detta anche Bocca della Verità") che, vagliata dalle competenti autorità delle Leggi in essere poteva determinare -anche se innocenti- l'inchiesta e la temutissima applicazione della Tortura sia di Stato che di Chiesa.
Alla radice di questo il timore era compagno di quanti avessero nemici -cosa difficile da evitare spesso anche senza saperlo- : ed in questo possiamo innestare una realtà che apparentemente potrebbe sembrare oggi fuor di logica ovvero sia la paura della Tarabotti per le lettere e gli scritti in possesso di un Aprosio che le aveva voltato le spalle dopo un'iniziale amicizia ed in cui Lei, addirittura una Suora, aveva scritto contro le Monacazioni Forzate sia il discredito da Lei scagliato sul frate (sempre meglio attaccare che subire un possibile preventivo attacco)
definendolo, per farlo giudicare "Poeta" ma come detto e poi qui rbadito nel senso di inattendibile oltre che di estroso e poco affidabile già conferitogli da altri, "....predicatore delle glorie del vino, confessore dei bugiardi e mecenate degli ubriachi....".
L'anonimato di questi scritti era di fatto un pleonasmo dacché i nomi mai detti nel contesto che contava eran noti: ma la prudenza mai era troppa a fronte della potenzialità che le allusioni fossero troppo esplicite ed anche Aprosio quando molto dopo, morta la Suora, nella Bibloteca Aprosiana l'accusò di dire o quantomeno aver detto e scritto (usando qui un eufemismo) delle vere e proprie stronzate (elaborando l'icona del Flitner Hic merdam cribrando movet) usò come si vede delle cautelative, avvalendosi di espressioni e testi non facilmente trovabili e decodificabili.
Per questo, contestualmente alla pseudonimia, Aprosio su cui l'appellativo in senso decettivo di "Poeta" dovette pesare come un macigno per tutta la vita (e le motivazioni qui sotto elencate in XII settori non mancavano) -fermo restando alla maniera citata il graduale abbandono del polemismo e lo smussamento apportato ai lati più taglienti del suo carattere- ricorse sempre più alla
crittografia di cui il Tosin ci offre un esempio, ma che non costituisce un'eccezione anche a fronte oltre che della fama d'Aprosio, dei suoi scontri in Ventimiglia stessa con confratelli e potenti vari dell'interesse del frate per i libri proibiti e dannati aggirato solo parzialmente con l'ambita nomina a Vicario della Santa Inquisizione.
Gli anni del resto passavano, gli
acciacchi comparivano e ad Aprosio ferma restando la voglia di pubblicare il repertorio della Biblioteca Aprosiana tutto poteva essere utile, dall'informarsi per via crittografica a scrivere in metalinguismo a trasferire ad un immaginario, plausibile aiutante e via discorrendo quelle sviste e dimenticanze.
All'epoca, forgiata talora sulle radici di altezzose convinzioni ed albagie ben ramificate, potevano far di un amico e corrispondente un rivale indomito magari col rischio di perdere se non inimicarsi un "Fautore" o "Sostenitore" specie di caratura tanto importante da poter essere cosa che si rivelerà sempre più ardua come dopo la scomparsa del Cavana esperimentarà Aprosio stesso (e del resto andando a vedere lo scontro Tarabotti-Aprosio derivò proprio dall'alterazione di un originario rapporto di collaborazione se non di amicizia) un vero e proprio moderno "Mecenate" alla stregua del nobile genovese: senza il cui contributo, anche economico, non è detto che Aprosio avrebbe potuto realizzare nel modo fatto la "Libraria" di Ventimiglia con il relativo corollario di opere sue e di tanti altri.
Ed in nome di una scoperta necessità di quegli equilibrismi comportamentali che rimandano al Della Dissimulazione Honesta di Torquato Accetto è proprio nella basilare Occasione dello Scrivere in merito al repertorio della Biblioteca Aprosiana che si avvalorano certe scelte metalinguistiche interagendo con già esperite prove di crittografia e pseudonimia ed a titolo proemiale quanto esemplificativo si evidenzia
subito come a condizione di soddisfare un'esplicita richiesta del proprio Mecenate G. N. Cavana nel favorire il da questi prediletto e sovvenzionato sillogista di letterati liguri R. Soprani a scapito
del Giustiniani impegnato a scrivere quasi contemporaneamente un'opera consimile che compare -pur mancando concordia tra gli interpreti- nella dissertazione sul satirico romano Aulo Persio Flacco l'indicazione (erronea) d'esser costui -alla maniera approfondita dal Soprani. nato in Liguria, nel Tigullio anziché come di fatto a Volterra. Nel testo si cita Gasparo Massa -alla cui opera è allegata quella aprosiana- e per il quale la patria di Persio sarebbe da identificarsi nella Liguria di Levante pur in forza di una lettura abbastanza "libera" degli antichi geografi in merito alla Liguria Maritima.
Se si legge con attenzione "Cornelio Aspasio Antivigilmi" (vedi) -anche per uniformarsi alle variabili sul tema e non contraddire altrui opinioni pur soddisfacendo la richiesta del Cavana parla di Aprosio come di terza persona e fallibile ancorché non di cattivo genio....[ma capace di prendere in tale scritto] un altro granchio (pag. 2) = naturalmente Cornelio Aspasio Antivigilmi (essendo Aprosio stesso e mirando a correggere pregressi suoi errori) attutisce certe critiche insistendo soprattutto sull'essersi prestato a redigere o comunque "aiutare il Ventimiglia" per considerazione di quell'età del frate che può esser causa di sbadataggini ed errori imprevisti e così nel repertorio della Biblioteca Aprosiana a pagina 20 si legge=
"Dissi, che F. Angelico spensieratamente s'havesse lassato uscir di bocca, che egli fusse per iscrivere la Biblioteca Aprosiana; perché in verità era per succedere di questa, come di altre promesse da lui fatte, nelle quali per l'età molto inoltrata di 64 anni sia impossibile possa faticare: se io, mosso di lui a compassione, (e perché non mi pareva dovessero restare negletti i nomi di coloro, da quali è stato favorito, che pur furono e sono miei amici, e confinati in quattro angoli della Libraria) non havessi presa risoluzione di porgergli quell'aiuto che da' suoi confratelli può ben sì sospirare, ma non ricevere: con indurmi a pubblicarla in sua vece: se non tale, quale da lei si fusse pouta formare: almeno quale può aspettarsi da uno, che non ha altro di buono nello scrivere, che un'ardentissimo desidero di faticare a beneficio degli amici, e per utilità del genere humano".
Continuando nella lettura del testo, pur risultando evidente in campo letterario la stesura aprosiana, è da dire che specie in loco cioè a Ventimiglia l'ipotesi di un lavoro ormai troppo gravoso per "il Ventimiglia" poteva avere una sua valenza decettiva nell'aumentare l'entropia sul giudizio di certe ipotesi attesi anche due fatti inconfutabili vale a dire l'età di Aprosio e i suoi acciacchi quanto quella ricerca di un collaboratore per la gestione della "Libraria" che all'atto delle documentazioni si concretizzò poi con l'arrivo di Domenico Antonio Gandolfo = sulla base di tutto ciò -in un contesto abbastanza inesperto di metalinguismi ed alchimie espressive- era possibile tutto come il suo contrario...di maniera per esempio che a Cornelio Aspasio Antivigilmi si poteva dare una qualche identità, anche solo quale suggeritore di idee, in merito ad almeno, fra altri, due fatti basilari come le critiche reiterate nello stesso testo con maggior vigore avverso i religiosi ed ancor più contro i potenti locali, e nel particolare sia gli amministratori locali che i supervisori di Genova e contestualmente l'affermazione di una funzione filantropica dell'erezione della Biblioteca.
In definitiva si potrebbe affermare che Aprosio, operando sulla scia verosimilmente del monsavinese Pier Franceso Minozzi neppure però ignorando -probabilmente su una linea originariamente indicatagli da questi- le alchimie linguistiche connesse ad una
letteratura spesso sospesa tra iconologia, enigmistica, supposta oracolistica, eccentricità estrema come nel caso di molteplici autori qui elencati e discussi.
Di maniera che certe comunicazioni paiono addirittura strutturate in un contesto di parole potenti (alla maniera poi ben esplicata da Padre Serio) per quanto mai malefiche ed altresì gioco di specchi (in qualche maniera addirittura ripreso da Aprosio nella strutturazione architettonica e cromatica della Libraria di Ventimiglia) quanto da lui detto e scritto par originariamente suggerito da altra persona scagionando "il Ventimiglia" da perigliose rimostranze.
Sed abundare iuvat ed Aprosio sa bene che per quanto, certo abbastanza poco da compatriata, attesti scarsa predisposizione dei Ventimigliesi -a suo dire- per le lettere e quindi per i loro possibili funambolismi da saper decrittare non ignora che le sue Antichità di Ventimiglia e comunque le sue più varie postulazioni -per quanto mascherate- non a tutti risulterebbero probabilmente astruse e che quantomeno G. G. Lanteri sarebbe forse in grado di costituire un avversario da non sottovalutare più per le locali conoscenze che per l'effettivo valore = di maniera che, in ultima analisi, per dire, senza esser localmente inteso, il suo pensiero, travalicando pure quanto vergato nella Biblioteca Aprosiana ricorre apertamente al campo dei codici segreti e delle criptoscritture, mediamente indecrittabili salvo il possesso di qualche chiave di lettura.
"Il Ventimiglia" opera così nel poliedrico contesto di uno sperimentalismo comunicativo da molti altri elaborato come si vede qui a riguardo dello Scudo di Rinaldo I ove però il "Vaticinio Aritmetico del Gigante" informa i lettori che l'inizio della stampa risale in effetti al 1646 e comunque sancito da tutta una letteratura di codici segreti di comunicazione non esente come nel caso della Steganografia del Tritemio da accuse di connivenza con il magico - per oggirare ogni ostacolo e scrivere argomenti delicati, indecifrabili per chi non ne possieda come appena detto la chiave di decrittazione, si avvale dell'uso della "messaggistica segreta" ovvero della scrittura in codice =
e per esempio alcuni stralci delle
Antichità di Ventimiglia (opera non del tutto propriamente reputata persa) comportanti qualche riflessione più polemica e perigliosa per il frate vengono da lui redatte come forme di note -nel caso entro il manoscritto dello