BENITO PEREIRA (vedi: Diccionario Enciclopédico Hispano-Americano, Montaner y Simón Editores, Barcelona 1894 ) fu filosofo e scrittore spagnolo nato a Ruzafa (Valencia) nel 1535 e scomparso a Roma il 6 marzo del 1610 (in effetti, scorrettamente, alcuni biografi o studiosi usano le forme Perera o Pérez ed altri ancora l'esito Pereiro. Egli iniziò la sua carriera di studente universitario a Valenza e quindi, espletati i suoi doveri, nel 1552 entrò a far parte della Compagnia di Gesù. Recatosi in Italia molto tempo trascorse in Sicilia e quindi a Roma ove approfondì i suoi studi filosofici divenendo alla fine docente di Sacra Scrittura presso il Collegio Romano
. Profondo teologo e discreto letterato fu soprattutto un grande fisico ed un eccelso filosofo che, sfruttando le sue incredibili energie fisiche e mentali, a lungo lottò contro il principio d'autorità introdotto dalla tradizione scolastica un po' in tutte le Università.
Egli sempre si propose di valorizzare le qualità della ragione ed i risultati dell'esperienza sì da poter essere accostato ad intellettuali del livello di Luis de Vives e Bacone.Tra le sue opere più significative in merito sono da ricordare il De communibus omnium rerum naturalium principiis et affectionibus. Libri quindecim. Qui plurimum conferunt adeos octo libros Aristotelis qui de physico auditu inscribuntur, intelligendos poi ancora il De magia de observatione somniorum et de divinatione astrologica. Libri tres. Adversus fallaces et superstitiosas artes , opera questa che godette di una significativa traduzione in inglese per opera di Perey Enderbie (1661), con el seguente titolo: Benedic. Pererius. The astrologer abatomised translated by Perci Enderbie (ancora ristampata a Londra nel 1674).
E' tuttavia da ricordare che anche in opere più spiccatamente teologiche Benito Pereira si è ispirato ai valori dell'esperienza e della ragione, al segno di tracciare i confini intercorrenti tra verità di fede e verità di ragione, anche per questo motivo Galileo Galilei ne citò nella sua Lettera del 1615 a Cristina di Lorena Granduchessa di Toscana
un brano estrapolato da un suo volume di Commenti alla Genesi.
Può stupire che Aprosio nel Grillo XXXXV, in pratica "dedicato" agli "errori" di Copernico e di Galileo, non abbia fatto menzione del raziocinio di Pereira che gli era ben noto e di cui, come detto si era valso, in diversi punti dello Scudo di Rinaldo, precisamente alle pagine 8 - 11 - 22 - 29 - 30. Ma tutto questo rientra nei meccanismi aprosiani: in tempi pregressi a rischio di censure inquisitoriali e per altro verso, ai tempi della più tarda Grillaia ormai Vicario dell'Inquisizione il frate intemelio cercava di eludere le argomentazioni troppo problematiche e coinvolgenti, pur mantenendo, occorre dirlo, con "onesta dissimulazione", un suo grado di autonomia.
Grandioso fu poi in particolare, anche per la straordinaria dimostrazione di raziocinio ed autonomia di pensiero (proprio perché scritto in tempi pregni di superstiziosa paura, anche, ma non solo, per il formidabile espansionismo dell'Impero Turco fu un' altra
***********OPERA QUI INTEGRALMENTE DIGITALIZZATA***********,
stranamente oggi meno nota del Pereira, concernente molte cosiderazioni sul volume dell'APOCALISSE di cui pure l'erudito agostiniano di Ventimiglia aveva verisimilmente conoscenza.
Le argomentazioni del Pereira sono coraggiosamente volte alla GIUSTA DEMOLIZIONE CRITICA (peraltro condotta con rigore filologico e concettuale) di quella pericolosisissima equazione
MAOMETTO = ANTICRISTO
(comportante l'idea di una SILENTE MA GIA' INAUGURATA FINE DEL MONDO CONOSCIUTO)
dipendente dal fanatismo di antichi controversisti antiislamici ed in particolare alimentata con enfasi nella città di Genova dalla predicazione di ANNIO DA VITERBO.
Dati i ruoli di religioso e Vicario dell'Inquisizione e data l'indole divenuta sempre più prudente, per Aprosio un cauto silenzio fu forse la scelta preferibile su questo delicato tema dato che certe postulazioni gesuitiche -ispirate alla comprensione e comunque alla ricerca di un dialogo- cominciavano ad esser tacciate di lassismo.
La celebre storia dei due amanti ambientata a Siena durante il passaggio dell’imperatore Sigismondo (1432) fu redatta da Enea Silvio Piccolomini , futuro Pio II , nel 1444: composta sotto forma di lettera indirizzata a Mariano Sozzini, insigne giurista e maestro dell’autore, l’Historia rappresenta un fortunato connubio fra una concezione patetico-amorosa di derivazione boccaccesca e la tradizione dell’ exemplum ("esempio") inserito all’interno di un trattato umanistico. L’Historia fu stampata a Colonia per la prima volta nel 1468 da Ulrich Zell; in seguito fu pubblicata a Roma nel 1476. Tuttavia, l’edizione più conosciuta è senza dubbio quella uscita nel 1483 a Venezia, presso Stagnino. La diffusione della novella fu immediata, grazie all’argomento di carattere amoroso e alla notorietà del pontefice-letterato: trenta sono le edizioni uscite fra il 1483 e il 1500, più di quaranta quelle apparse nel secolo decimosesto. Nel 1551 fu data alle stampe a Basilea l’opera completa di Piccolomini: nell’Epistularum liber è riportata l’Historia de duobus amantibus. L’edizione critica moderna dell’epistolario, curata da R. Wolkan, risale agli inizi del secolo: Der briefwechsel des Eneas Silvius Piccolomini (Privatbriefe, Wien, 1909) contiene altresì le due missive indirizzate rispettivamente a Sigismondo d’Austria e al cancelliere Schlick, poste all’inizio e alla fine dell’Historia. Protagonisti della vicenda sono Lucrezia, gentildonna senese descritta secondo la maniera petrarchesca , ed Eurialo, giovane cavaliere tedesco al seguito dell’imperatore Sigismondo: l’amore nasce tra i due grazie a un incontro casuale, che diventa l’inizio di una passione travolgente e sensuale, nella cui descrizione Piccolomini dà prova di sottile capacità introspettiva. L’impianto retorico della lettera, che prevede passaggi temporali dal passato della narrazione al presente degli interventi dell’autore, si costruisce attraverso una serie di piani stilistici differenziati: al racconto dei fatti relativi al repentino innamoramento dei due, segue infatti uno scambio di lettere fra Lucrezia ed Eurialo che introduce non solo una nuova modalità narrativa, ma anche un ricco campionario di formule di scrittura epistolare amorosa. I tempi della novella sono scanditi secondo i moduli tipici della tradizione che fa capo a Boccaccio : all’interno delle situazioni comiche che segnano l’evolversi della storia si può facilmente reperire il gusto per l’intrigo derivato dalla casistica comica di Plauto e Terenzio .
Alla vicenda tragica dei due amanti descritti da Enea Silvio Piccolomini fa inoltre da controcanto il personaggio di Menelao, marito di Lucrezia, protagonista di una serie di reiterate beffe che introducono l’elemento del riso all’interno di una vicenda imperniata tematicamente sul binomio amore-morte. Si susseguono gli incontri clandestini, culminanti nella decisione della separazione che segna la fine della vicenda: Lucrezia, unica vera eroina tragica della novella, dopo la partenza dell’amante, morirà prostrata dal dolore; Eurialo, personaggio più tiepido nei confronti della passione e decisamente più sensibile ai doveri del proprio stato, sposerà in patria una fanciulla destinatagli dall’imperatore. L’intenzione dell’autore si palesa all’interno di una narrazione che è alto esercizio retorico ed insieme raffinata indagine psicologica: il linguaggio, capace di amalgamare insieme classiche eleganze e concreto senso di realtà, si fa diretto corrispettivo di uno schema perfetto sul quale si regge l’intero scritto. La vicenda dei due amanti è raccontata come un fatto vero: eppure il dato oggettivo viene trasfigurato attraverso i numerosi rimandi letterari che contribuiscono a dare alla novella una patina di esemplarità. L’Historia fu volgarizzata nel 1489 da Alessandro Bracci (Braccio) e fu ristampata più volte... [Paola Cosentino]
Vedi comunque qui dall'SBN:
Pius [papa ; 2.],
Epistole de dui amanti composte dala felice memoria di papa Pio: traducte in vulgare. Cosa noua,
Venezia: Melchiorre Sessa <1.> (Stampate in Venetia : per Merchio Sessa & Piero de Rauani compagni, 1521 adi 4. nouembre)
- 28! c. ; 4o
- Riferimenti: Sander 5674
- Nome del traduttore, Alessandro Braccio, da c. a2r
- Marca dei Sessa (Z598) sul front
- Segn.: a-g4
- Impronta - l-e- n-on uiso CoPe (C) 1521 (R)
- Marca editoriale: In un cerchio sormontato da corona: gatto con topo in bocca. Iniziali MS
- Localizzazioni: Biblioteche della Fondazione Giorgio Cini - Venezia
Pius [papa ; 2.],
Epistole de dui amanti composte dalla felice memoria di papa Pio tradute in vulgar lingua,
Venezia : Giovanni Battista Sessa (Impresso in Venetia : per Io. Bap. Sessa, Adi. 12. zenaro. 1503)
- 1, 27 c. : ill. ; 4o
- Sander vol.2 n. 5667
- Il nome del traduttore Alessandro Braccio, figura nel proemio
- Marca (Gatto) sul front.
- Got. ; rom
- Segn.: a-g4
- Iniziale xil.
- Impronta - neda inEt --ia poco (3) 1503 (A)
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteche della Fondazione Giorgio Cini - Venezia
Pius [papa ; 2.],
Hystoria Pii pape de duobus amantibus. Cum multis epistolis amatoriis,
Venezia : Melchiorre Sessa <1.> (Impressum Venetiis : per Merchiorem Sessam, 1514 die xvii mensis septembris)
- 16 c. ; 4o
- Riferimenti: Sander 5671
- Marche sul front. (Z598) e sul colophon (Z314)
- Sul front.: xilografia
- Segn.: A-D4
- Impronta - s.te ere& i:it dima (C) 1514 (R)
- Marca editoriale: Cerchio con croce di Lorena. Iniziali MS (Z314) -
In un cerchio sormontato da corona: gatto con topo in bocca. Iniziali MS
- Localizzazioni: Biblioteche della Fondazione Giorgio Cini - Venezia
Pius [papa ; 2.],
Proemio di ser Alexandro Braccio al prestantissimo & excellentissimo giouane Lorenzo di Pier francesco de Medici sopra la traductione duna hystoria di due amanti composta dalla felice memoria di papa Pio 2,
(Stampato in Firenze : ad petitione di ser Piero Pacini da Pescia)
- 40 c. : ill. ; 4o
- Riferimenti: Sander 5665
- Per la data di stampa presunta, c. 1500, cfr. IGI n. 7819
- Tit. dall'intitolazione
- Nel titolo il numero 2 e espresso .ii
- Segn.: a-e8
- Impronta - rato nqsi i?e- meto (C) 1500 (Q)
- Localizzazioni: Biblioteche della Fondazione Giorgio Cini - Venezia
La storiografia denomina Commentatori i giuristi dei secc. XIV-XV, poiché il genere letterario del «commento» fu alla base della loro attività scientifica, in prosecuzione e perfezionamento della precedente scuola dei Glossatori .
Essi applicarono il metodo dialettico-scolastico, giovandosi del rifiorire della logica aristotelica. I Commentatori con tale metodo riuscirono ad organizzare un «sistema», detto del Diritto comune , in cui il corpus iuris giustinianeo fu armonizzato con la nuova normativa del diritto canonico e del diritto statutario, per regolare i rapporti della vita del tempo. La spinta rinnovatrice pare essere pervenuta dalla Francia, dalla cosiddetta scuola di Orléans, cioè da Jacques de Révigny e Pierre de Belleperche (Pietro da Bellapertica). Il metodo dei Commentatori fu in seguito criticato dalla scuola dei giuristi culti o umanisti, che al mos italicus volle sostituire il mos gallicus, secondo l'insegnamento di Alciato e Cuiacio.
Il commentatore, giurista Gambiglioni, Angelo
nato ad Arezzo nel 1400 e morto nel 1461. Nel 1418 divenne rettore dell'arte della lana gentile. A Perugia fu vicario (1422) e collaterale del podestà, poi fu egli stesso podestà a Volterra nel medesimo anno. Fu assessore a Città di Castello e a Roma, dove fu luogotenente del senatore di Roma. Morì nel 1461. Sulle varie edizioni il suo nome è latinizzato in varie forme: Angelus de Aretio; Angelus a Gambilionibus Aretinus; Angelus Aretinus; Angelus Gambellio Aretinus; Angelus de Gambilionibus Aretinus; Angelus; Ang. Aretinus; Angelus a Gambilionibus; Ang. de Cambelionibus; Ang. de Cambellionibus
Vedi:
Il diritto e la procedura criminale nel Tractatus de maleficiis di Angelo Gambiglioni / Giorgio Zordan. - Padova : CEDAM, 1976. - IX, 435 p. ; 25 cm. in " Pubblicazioni della Facoltà di giurisprudenza dell'Università di Padova"
Ad Angelo Gambiglioni autore di moltissime opere una fama particolare derivò dal trattato De Maleficiis più volte ristampato e che qui viene specificatamente usato per segnalare alcune glosse relative alle voci stupro - stupro sodomitico - adulterio conseguente a stupro - adulterium, stuprum, nefarium coitum - incesto - lenocinium .
Loewenklau, Johann von (1533-1593) autore tedesco noto col nome latinizzato in Leunclavius, Johannes : fu un erudito poligrafo ma si interessò, oltre che di edizioni di testi classici, di culture e lingue orientali contemporanee, proponendo anche opere attribuite ad autori turchi e persiani.
Delle sue investigazioni sul mondo islamico Angelico Aprosio si interessò soprattutto a pagina 224 del Capitolo 30 del suo edito Scudo di Rinaldo.
Un approfondimento della vita di Johann von Loewenklau alquanto raro ed utile si può leggere nell'opera di Adam, Melchior, Vitae Germanorum philosophorum, qui seculo superiori, et quod excurrit, philosophicis ac humanioribus literis clari floruerunt, Francoforte sul Meno: Impensis Jonae Rosae; [Heidelberg:] Typis Johannis Lacelloti [recte: Lancelotti], Acad. Typogr., 1615. - [15], 526, [8] S. 8°.
Le opere di Johann von Loewenklau rinvenute secondo l'SBN in Italia:
Apomasaris apotelesmata, siue De significatis et euentis insomniorum, ex Indorum, Persarum, Aegyptiorumque disciplina. Depromptus ex Io. Sambuci V.C. bibliotheca liber, Leunclaio interprete, Francofurti : excudebat Andreas Wechelus, 1577 - 16, 405, 11 p. ; 8o - Tit. orig.: Oneirokritikon Opera di incerto autore, attribuita anche ad Achmet, Abu Ma'sar e Ahmed ibn Sirin - Marca sul front. - Cors.; rom. - Segn.: a8a-z8A-C8 - Iniziale xil. - Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale - Firenze - Biblioteca nazionale Braidense - Milano - Biblioteca Estense Universitaria - Modena - Biblioteca del Seminario maggiore - Padova - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma - Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma - Biblioteca Casanatense - Roma
Leunclavius, Johann , Annales sultanorum Othmanidarum a Turcis sua lingua scripti: Hieronymi Beck a Leopoldstorf, Marci fil. studio & diligentia Constantinopoli aduecti 1551, diuo Ferdinando Caes. opt. max D. D. iussuque Caes. a Ioanne Gaudier dicto Spiegel, interprete Turcico Germanice translati. Ioannes Leunclauius nobilis Angriuarius, Latine redditos illustrauit & auxit, vsque ad annum 1588, Francofurdi: Wechel, Andreas Erben & Marne, Claude <1.> & Aubry, Johann <1.>, 1588
Xenophon, Xenophontos Apanta ta sozomena biblia. Xenophontis et imperatoris & philosophi clarissimi omnia, quae extant, opera, Ioanne Leuuenklaio interprete: additis interpretis adnotationibus, graecae linguae studiosis haud parum vtilitatis allaturis: necnon locupletissimo rerum et verborum indice, Basileae: Guarin, Thomas, 1572
Leunclavius, Johann, Annales sultanorum Othmanidarum, a Turcis sua lingua sripti \|!: Hieronymi Beck a Leopoldstorf, Marci fil. studio & diligentia Constantinopoli aduecti 1551, ... a Ioanne Gaudier dicto Spiegel, interprete Turcico Germanice translati. Ioannes leunclauius nobilis Angriuarius, Latine redditos illustrauit & auxit, vsque ad annum 1588. Cum omnium memorabilium, toto opere contentorum, accuratissimi elaborati indicis accessione;, Francofurdi: Wechel, Andreas Erben & Marne, Claude <1.> & Aubry, Johann <1.>, 1596
Chalkondyles, Laonikon <1430-1480 ca.>, Laonikou Chalkokondylou Apodeixis istorion deka. Laonici Chalcocondylae Atheniensis historiarum libri decem. Interprete Conrado Clausero Tigurino. Cum annalibus sultanorum, ex interpretatione Ioannis Leunclauii. Accessit index glossarum Laonici Chalcocondylae, studio & opera Caroli Annibalis Fabroti IC, Parisiis: Imprimerie Royale
Herberstein, Sigmund : von <1486-1566>, Rerum Moscouiticarum commentarij Sigismundi Liberi baronis in Herberstain, Neyperg, & Guettenhag: ... His nunc primum accedunt, scriptum recens de Graecorum fide, quos in omnibus Moscorum natio sequitur: et Commentarius de bellis Moscorum aduersus finitimos, Polonos, Lituanos, Suedos, Liuonios, & alios gestis, ad annum usque 71, scriptus ab Ioanne Leuuenclaio, Basileae: Officina Oporiniana Gemusaeus, Polykarp & Gemusaeus, Hieronymus & Han, Balthasar, 1571
Leunclavius, Johann, Iuris Graeco-Romani tam canonici quam ciuilis tomi duo. Iohannis Leunclauii Amelburni, V. Cl. studio ex variis Europae Asiaeque bibliothecis eruti, Latineque redditi: nunc primum editi cura Marquardi Freheri I. C. cum eiusdem auctario, chronologia iuris ab excessu Iustiniani ad amissam Constantinopolin, & praefatione. ..., Francofurti: Fischer, Peter Erben Wilhelm, Antonius, 1596
Gregorius : Nyssenus
Gregorius : Nyssenus
Manuel : Comnenus
Xenophon, Xenophontos ta *heuriskomena. Xenophontis, philosophi et imperatoris clarissimi, quae extant opera, in duos tomos diuisa: Graece multo quam ante castigatius edita, adiecta etiam ad marginem scripturae discrepantia: Latine tertia nunc cura ita elucubrata, vt noua pene toga prodeant: noua insuper adpendice sic illustrata, vt quamplanissima deinceps eorum lectio sit futura: Opera Ioannis Leunclauii Amelburni. Accesserunt AEmilij Porti, Fr. Port. c. fil. notae; & index Graecus verborum phrasiumque obseruatum digniarum. Additus item in calce alius index rerum & verborum ..., Francofurti: Wechel, Andreas Erben & Marne, Claude <1.> & Aubry, Johann <1.>, 1596
Leunclavius, Johann, Historiae musulmanae Turcorum, de monumentis ipsorum excriptae, libri 18. Opus Io. Leunclauii Amelburni, ... res Osmaneas a Suleimane Schacho, ... Accessere commentarii duo, Libitinarius index Osmanidarum, quo fides historiae gentilicis e thecis, ac titulis eorum funebribus, adstruitur; & Apologeticus alter. Cum onomastico gemino, & indice copioso, Wechel, Andreas Erben & Marne, Claude <1.> & Aubry, Johann <1.>
Balsamon, Theodoros
Manuel : Paleologus
Dio Cassius,
Dionos tou Kassiou ....Romaikon historion ta heuriskomena. Dionis Cassii Cocceiani Historiae Romanae libri 46, partim integri, partim mutili, partim excerpti: Ioannis Leunclauii studio tam acti quam expoliti. ... Notae Leunclauii, quibus Dionia plurima restituntur. Accedunt & R. Stephani, G. Xylandri, Fr. Sylburgii, H. Stephani, F. Vrsini, notae, quibus Dioni infinitis locis qua lux, ... simul accedit. ...
, Hanouiae : typis Wechelianis, apud Claudium Marnium, & haeredes Ioan. Aubrii, 1606
Glycas, Michael,
Tou kyrou Michael Glyka Sikeliotou Biblos chronike. Michaelis Glycae Siculi, annales, a mundi exordio vsque ad obitum Alexii Comneni imper. Quatuor in partes tributi. Philippus Labbe, ... Graecum textum, ex pluribus mss. codicibus primus in lucem edidit: Ioannis Lewnklauii Amelburni interpretationem recensuit, atque emendauit: ...,
Parisiis : e typographia regia, 1660 (Parisiis : in typographia regia, curante Sebastiano Cramoisy, regis ac reginae architypographo, 1659)
Tiraqueau, André dal nome latinizzato in Andreas Tiraquellus
nato nel 1488 e morto nel 1558, ricoprì la carica di Consigliere al Parlamento di Parigi. Scrisse i Commentarii de nobilitate et de iure primigeniorum, la cui prima parte rappresentava un compiuto trattatello sulla nobiltà di sapore enciclopedico e di notevole eleganza stilistica. L’edizione definitiva di quest’opera, rivista dall’autore e munita del privilegio di Enrico II re di Francia, uscì a Lione postuma nel 1559, fu ristampata a Basilea nel 1561, quindi ebbe ulteriori edizioni nel 1589. Nel trentennio compreso tra queste date egli fu maestro e fonte di coloro che, in Italia, si occuparono di questioni attinenti alla nobiltà.
Aprosio si avvale qui della sua opera trattante De legibus connubialibus, & iure maritali in considerevola auge ancora al suo tempo come si evince sondando l'SBN:
Tiraqueau, André, 2: Andreae Tiraquelli ... Ex commentariis in pictonum consuetudines sectio. De legibus connubialibus, & iure maritali, Venetijs: Somasco, Giovanni Battista <1.>, 1588
Tiraqueau, André, Andreae Tiraquelli regii in curia parisiensi senatoris Opera omnia quinque tomis distincta, quorum hic primus continet sectionem ex commentarijs in Pictonum consuetudines, de legibus connubialibus, & iure maritali. ... omnium postrema editione emendati, & diligentissime castigati. Quibus insuper adiecimus Nicolai Vigelii Methodum in libros de vtroque retractu ..., Veronae, Venetiis, 1592
Tiraqueau, André, 2: Andreae Tiraquelli ... Operum tomus secundus, continens Commentaria in L. si vnquam C. De reuoc. don. .., Veronae, 1590
1, Venetiis: Nicolini da Sabbio, Domenico, 1591
Tiraqueau, André, Andreae Tiraquelli ... Opera omnia. Quinque tomis distincta. Quorum hic primus continet sectionem ex commentarijs in Pictonum consuetudines, De legibus connubialibus, & iure maritali, Venetiis Veronae: ConcordiaBocchino, Andrea, 1590-1591
Tiraqueau, André, 3: Andreae Tiraquelli ... Operum tomus tertius continens Commentaria. De vtroque retractu municipali & conuentionali. Cum Nicolai Vigelii methodo. .., Venetiis, Veronae: Dalle Donne, Sebastiano, 1591
Tiraqueau, André, 5: Andreae Tiraquelli, ... Operum tomus quintus. Continens Tractatus nouem quorum elenchum reperies post indicem huius primi tractatus: .., Veronae: Discepolo, Girolamo Dalle Donne, SebastianoBocchino, Andrea, 1590
Tiraqueau, André, 4: Andreae Tiraquelli ... Operum tomus quartus continens Commentaria. De nobilitate & iure primogeniorum ..., Venetiis: Nicolini da Sabbio, Domenico, 1591
Tiraqueau, André, Andreae Tiraquelli ... Ex commentariis in Pictonum consuetudines sectio de legibus connubialibus, et iure maritali, Lugduni: Rouille, Guillaume <1545-1589>, 1574
Tiraqueau, André, Andreae Tiraquelli regij in curia Parisiensi senatoris, Ex commentariis in Pictonum consuetudines, sectio. De legibus connubialibus, et iure maritali. ... Cum copiosissimis, Lugduni, 1569
Tiraqueau, André, Andreae Tiraquelli, ... Ex commentariis in Pictonum consuetudines, sectio, de legibus connubialibus, et iure maritali, quinta hac eademque postrema editione, ab autore ipso diligentissime recognita, & tertia amplius parte locupletata, Basileae: Froben, Hieronymus & Episcopius, Nikolaus <1.>, 1561
Tiraqueau, André, Andreae Tiraquelli regii in curia Parisiensi senatoris Ex commentarijs in Pictonum consuetudines, Sectio. De legibus connubialibus, & iure maritali. Ab ipso authore adeo reformata, totque ac tantis thesauris locupletata, vt non immerito nouum opus censeri debeat, Parisiis: Kerver, Jacques, 1546
Tiraqueau, André, Andreae Tiraquelli ... Ex commentariis in Pictonum consuetudines sectio de legibus connubialibus, & iure maritali, Lugduni: Rouille, Guillaume <1545-1589>, 1581
Tiraqueau, André, Andreae Tiraquelli ... Ex commentariis in Pictonum consuetudines sectio de legibus connubialibus & iure maritali, Lugduni: Rouille, Guillaume <1545-1589>, 1586
Tiraqueau, André, Andreae Tiraquelli ... Ex commentariis in Pictonum consuetudines sectio de legibus connubialibus, & iure maritali, Lugduni: Rouille, Guillaume heritiers, 1616
Tiraqueau, André, Andreae Tiraquelli, ... Ex commentariis in Pictonum consuetudines, sectio de legibus connubialibus, et iure maritali, Venetiis: Nicolini da Sabbio, DomenicoBocchino, Andrea, 1575
Tiraqueau, André, Andreae Tiraquelli ... Ex commentariis in Pictonum consuetudines, sectio, de legibus connubialibus, et iure maritali,, Lugduni: Rouille, Guillaume <1545-1589>, 1560
Chasseneux, Barthélemy : de <1480-1541> Giureconsulto e magistrato francese nato nel 1480 e morto nel 1541 col nome latinizzato in Bartholomeus Cassanaeus; Bartholomaeus a Chasseneus: la fama gli giunse però da una sorta di enciclopedia del mondo intitolata Catalogus Gloriae Mundi di cui l'Aprosio cita un'edizione in Francoforte per i tipi dello stampatore Johannes Saurius non rinvenuta; molto bella è invece l'edizione di Francoforte del 1579 ornata da una splendida tavola di incisioni:
Segue qui l'elenco delle opere di Barthélemy de Chasseneux rinvenute secondo l'SBN:
Chasseneux, Barthélemy : de, Consilia do. Bartholomei de Chasseneuz. Responsorum seu consiliorum opus causidicis omnibus ad dirimendas lites summe vel hoc vnum necessarium a ... Bartholomeo de Chasseneus ... Adiecta sunt etiam summaria precipuas decisiones indicantia, [Lione] Lugduni: Giunta, JacquesMoylin, Jean, 1535
Chasseneux, Barthélemy : de, Bartholomaei Chassenei ... Responsa, seu (si mauis) consilia caussarum patronis, ac disceptatoribus non minus vtilia, quam necessaria. Quae tandem vndique sparsa in velut corpus ab eruditissimo .I.V.D. Hugone Darlay Ledouensi Sequano eius genero redacta sunt. ..., Lugduni Excudebentur Lugduni: Giunta, Jacques heritiers, 1550
Bourgogne
Bourgogne
Chasseneux, Barthélemy : de, Catalogus gloriae mundi D. Bartholomaei Chassanaei Burgundi apud Aquas Sextias in senatu decuriae praesidis ... in quo doctissime simul & copiosissime de dignitatibus, honoribus, praerogatiuis, & excellentia spirituum, hominum, animantium, rerumque caeterarum omnium, quae coelo, mari, terra, infernoque ipso continentur, ita differitur, vt nihil ... praeteritum sit, Geneuae: Albert, Philippe <1.>, 1617
Chasseneux, Barthélemy : de, Consilia d. Bartholomaei a Chasseneo Burgundi iurisconsulti praestantissimi ..., Venetiis: Zenaro, Damiano, 1581
Chasseneux, Barthélemy : de, D. Bartholomaei a Chasseneo... Catalogus gloriae mundi, in quo doctissime simul & copiosissime de dignitatibus, honoribus, praerogativis & excellentiis spirituum, ... ita disseritur, ut nihil de divina majestate, angelorum choris, beatorumque ordinibus: ..., Coloniae: Tournes, Samuel de <1.>, 1692
Bourgogne
Chasseneux, Barthélemy : de, In consuetudines ducatus Burgundiae, fereque totius Galliae commantarii amplissimi, Bartholomaeo Chassenaeo iuris vtriusque dcotore praestantissimo, olim regis apud Heduensis aduocato ... authore. Quos summa fide & quam maxima fieri potuit diligentia illustrauimus, & a mendis quamplurimis repurgauimus, Parisiis: Petit, Oudin, 1552
Chasseneux, Barthélemy : de, Catalogus gloriae mundi, D. Bartholomaei Chassanaei, Burgundi, apud aquas sextias in senatu decuriae praesidis, ... in qua doctissime simul et copiosissime de dignitatibus, honoribus, praerogatiuis, ... diuisum in libros duodecim, Francofurti ad Moenum: Villiers, Thomas deRuland, Johann, 1612
Chasseneux, Barthélemy : de, Catalogus gloriae mundi, d. Bartholomaei Cassanei, Burgundij, ... opus in libros 12. diuisum, quibus omnis humanae gloriae summa breuiter, artificioseque continentur. Nunc vero ita auctum, emendatum, figurisque illustratum, vt caeteras editiones omnes longe superare videatur, Venetiis: Valgrisi, Vincenzo, 1576
Chasseneux, Barthélemy : de, Catalogus gloriae mundi d. Bartholomaei Cassanaei, Burgundi, apud Aquas Sextias in senatu decuriae praesidis, ... In quo multa praeclara de praerogatiuis, praeminentijs maioritate, praestantijs, & excellentijs, continentur, ... Opus ... in 12. libros diuisum
Foresti Fr. Iac. Philippus [scrive nel suo catalogo il Perini], Bergomensis, ex nobili genere comitum loci Soldii, Bergomensis territorii oriundus, an. 1434 natus, historiographus ac theologus validus, in conventu Bergomensi Congregationis Lombardiae an. 1451 die 1 maii a B. Ioanne de Novaria D. Augustini institutum suscepit, ut ipse libro XV sui Supplementi Chronicarum fidus auctor enarrat. In eodem Supplemento edit. 1486, f. 283, item refert se an. 1479 ope divi Nicolai Tolentinatis miraculo a lethalis pestis morbo Brixiae liberatum, cum nulla salutis spes in humano medicamine superesset. Historiae studiis se totum usque ad decrepitam aetatem mancipavit, qua in palestra litterariae reipublicae plurimum profuit. Licet alienissimus viveret ab Ordinis dignitatibus et guberniis, tamen declinare non potuit, quin in aliquibus monasteriorum regiminibus aliquando praeficeretur. Quapropter Prioris gessit munus, non sine utilitate conventuum, Imolae et Forolivii. Eius vero prudentia, et industria in suo Bergomensi coenobio regendo melius effulsere; nam inibi aliqua aedificia utilia excitavit; bibliothecam ampliavit, illustravit, ac numerosis magnique praetii codicibus ditavit; nomenque suum non in lapidibus, sed in religiosorum cordibus insculpsit. Erat enim suavissimis moribus imbutus, in seipso severus, religione pius, et in pervolutandis voluminibus, diurna atque nocturna manu constanter intentus. Satis dum vixit, et in patrio conventu anno 1518 aetatis suae 85 animam exalavit. Haec iuxta nostrum Herrera, T. I, p. 476 et iuxta Gandolphum, p. 197-201, qui tamen eius obitum reponit ad annum 1520 aetatis 86, religionis 69, die 15 iunii. Opera eius sunt:
1. Supplementum Chronicarum (in fine). Perfectum autem opus fuit anno salutis nostrae 1483, III Kal. iulii in civitate Bergomi: mihi vero a nativitate quadragesimo nono. Impressum autem hoc opus in civitate Venetiarum; per Bernardinum de Benaliis Bergomensem eodem anno die 23 augusti, in fol. cum figuris, charact. goth., ff. 180 (sig. A. a-p, A-z, AA.-DD., 11. 54. (Cfr. Hain, n. 2805); idem Brixiae per Boninum de Boninis de Ragusia, 1485 in fol., ff. 21 + 358, 11. 49. Post tabulas, f. 22a legitur: "Ad Magistratum Bergomensem in omnimoda Historia novissime congesta Chronicarum Supplementum appellata" (Hain, n. 2806); idem Venetiis per Bern. de Benaliis, 1486, in fol. (Hain, n. 2807) idem Venetiis per Bernardum Pizum, 1490, die 15 maii, in fol.; (Hain, n. 2808); idem Venetiis, Bernardinus Ricius de Novaria, 1492, in fol. ff. 254 x 12, 1l. 60; (Hain, n. 1809); idem repercussum ac deductum usque ad an. 1503 cum tit.: [pag. 78] Supplementum supplementi chronicarum, Venetiis per Albertinum de Lissona Vercellensem, 1503 die 4 maii, in fol.; idem Venetiis, 1506, fol., p. 440 ad an. 1493 loquitur: "de quatuor permaximis insulis in India extra Orbem nuper inventis"; idem ibidem an. 1513, in fol., Parisiis apud Simon. Colineum anno 1535, in fol. sub hoc tit.: Supplementum Chronicarum omnes fere historias quae ab orbe condito actenus Gestae sunt ineunda admodum brevitate complectens, repurgatum et Bernardini Bindoni, annorum 32 appendice auctum; postremo Venetiis 1547. Statim ac hoc opus prodiit in linguam italicam versum fuit atque editum: In Venetia, 1483 in fol. (Cfr. Argelati, Bibl. dei Volgarizzatori, T. II (1767), p. 123); sub tit.: Chroniche de tutto el mondo. Post tabulam: "Incomenza l'Opera dignissima et preclara chiamata supplemento de le Chroniche, in le quali se tracta in brevità d'ogni historia, comenzando dal principio del mondo fino al presente: compilata et facta per lo excellentissimo et famoso Doctor Messer Frate Iacobo Philippo da Bergamo: de l'ordine de gli Heremitani di Sancto Augustino.... et vulgarizzato per me Francesco C.(iei) Fiorentino, nella nobilissima città di Fiorenza questo anno nel 1483 et finito a 17 de zenaro nel prefato millesimo a laude, honore et exaltatione et gloria de la individua et Sancta Trinitade Padre, Figliuolo et Spirito Sancto.... In fine: Impresso nell'inclita Città di Venetia per me Bernardino Rizo de Novara l'anno de la nostra salute 1491 a di 8 de Octobrio: regnante lo inclito Principe Augustino Barbarico" in fol., (Hain, 2811-2812); item tradotto da M. Francesco Sansovino e continuato fino all'an. 1481, Venetia, 1481; item Venetiis, 1500 in fol. (Hain n. 2810); item in Venetia, 1520; item ibid. 1058 et "vulgarizato et historiato cum la gionta per insino 1524", Venetia, 1524, in fol.; In Venetia 1535, in fol. (Indice Ottoboniano); item: "nuovamente revisto, vulgarizzato secondo il vero testo latino dell'ultima impressione fatta a Parigi. Et appresso l'addittione delle cose più memorabili accadute, o fatte per l'universo Mondo a tutto l'anno 1539. In Venezia per Bernardino Bindoni, 1540, in fol. et alias pluries. Item in lingua hispanica: Suma de los cronicas del mundo traduzido de lengua latina y toscana en esta castillana por Narcis Viñoles. Valencia por Gorge Costilla, 1510 (Brunet, I, 787).
2. De plurimis claris selectis (sic) que Mulieribus. Opus prope divinum novissime congestum. (In fine): "Opus de claris selectisque plurimis mulieribus a fratre Io. Philippo Bergomense editum explicit: maxima cum diligentia revisum et castigatum per Rev. sacre theologie Magistrum Albertum de Placentia et fratrem Augustinum de Casali maiori eiusdem facultatis Baccalarium ordinis minorum. Ferrariae impressum. Opera et impensa Magistri Laurentij de rubeis de Valentia tertio Kal. maias, anno salutis nostre M.CCCCLXXXXVII [in questo incunabolo del 1497 si trova descritta la vita di Isotta Nogarola] Religioso invictissimoque principe Divo Hercule duce secundo: Ferrariensibus legiptime (sic) imperante in fol., ff. 4 x 172, (A. a-z) charact. goth., 11. 45, cum figuris Xilogr. 171. Beatrici de Aragonia riginae Hungariae et Bohemiae dicatum. (Cfr. Hain, n. 2813). Item Venetiis, 1516, in fol. et Parisiis, Sim. Colinoeus, an. 1525, in fol. (Cfr. Brunet, I, n. 787).
3. Confessionale sive Interrogatorium (italice) S. 1. typ. n. et an. (Venetiis c. 1500) in 8: charat. semi-goth., ff. 38, sign. A-E., 1l. 32. Inc.: "Incomincia qui la degnissima e generalissima confessione" (Cfr. Proctor n. 5673, et Copinger, n. 950. Idem, Venetiis, Benardinus Benalius, s. a. (c. 1500 in 4°, charact. semi-goth., ff. 36, in Bibl. [pag. 79] Civ. Bergomi, n. 11, 19 (2); dicatum: "al suo reverendo padre di religione et pietà et sanctimonia insignio Io. Maria di dominici veneto: Generale benemerito de canonici regolari de sancto Salvatore". Editionem latinam vide apud Hain-Copinger, n.° 2814; Pellechet n.° 2070, et Proctor n.° 4900, nempe Venetiis per Bernardinum Benalium an. 1487, in 4°: ac tandem Antwerpiae, 1516, in 8°.
4. Postilla Catonis (i. e. commentarii in ethicam Catonis) seu speculum regiminis: Post indicem rerum sequuntur versus germanici, ad rationem preceptorum praecedentium compositi. Cod. 3059 (And. 59), in 2°: an. 1470-73, ff. 398, Bibl. Regiae Monacensis.
5. In principio libri Historiarum seu Decadum Marci Antonii Coccii Sabellici editionis Venetae per Andream de Torresanis, 1487; fol.; qui Liber est Senis in nostra Martiniana, habetur vita eiusdem Sabellici, nec non Epistola in laudem Operis ad Senatorem nobilissimum Dominicum Gallianum data in aede D. P. Augustini Lucae 1493 quinto idus fabruarii auctore nostro iacobo Philippo Foresto manu impressoria, et pulchra. (Ita Gandolphus noster 1. c.)
6. In D. Lucam Evangelistam Commentaria scripsisse dicitur (Ita pariter Gandolphus 1. c. Laudatur ab omnibus nostris post Pamphilum et praecipue a Torelli, Saec. Agost., T. VIII, p. 52; a Donato Calvi, Scena lett. degli Scritt. Bergamaschi, 1664, p. 196; Ossinger, Bibl. August., p. 359; Lanteri, Postr Saec. Sex, T. II, p. 79. Inter externos illum laudant, Possevinus in Appar. T.II; Gerardus Io. Vossius De historicis lit., lib. III, p. 662.; Gesner, Bibl., p. 360; Frisius, p. 382; Maraccius, Bibl. Mariana, T. I, p. 638 et alii).
Pubblicazioni di Blondel rinvenute secondo l'SBN nelle biblioteche italiane:
Martinus : von Troppau
Beni, Detteo,
Le cifre celesti suelate dal sig. Detteo Beni discorso astrologico ...,
In Livorno : nella stamperia del Bonfigli per gli eredi del Minaschi, 1653
- [6], 34 p. ; 4
- Segn.: A4 B8 C-D4
- Iniz. orn. e xil.
- Impronta - NEre i,t- e-co teme (3) 1653 (A)
- Localizzazioni: Biblioteca universitaria di Cagliari
Grimaldi, Lorenzo <1623-1696>,
Syluae reuirescentes poeticae iuuentutis voluptates Lauri Entii Vetusti inter Gelatos l'Illustrato. ..,
Bononiae : typis Petri-mariae de Montibus, 1691
- [16], 114, [6] p. ; ill. calcogr., 1 ritr. ; 12o.
- Bianche la prima e l'ultima c.
- Emblema dell'A. a c. E10.
- Laurus Entius Vetustus è pseudionimo di Lorenzo Grimaldi
- Ritr. del dedicatario, Palutius de Alteriis, a c. p3
- Segn.: p8A-E12
- Impronta - t.t* uia, *.a? FlLi (3) 1691 (R)
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale Braidense - Milano
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Carnevale, Antonio <1611-1678>, Gli arcani delle stelle intorno a' piu notabili euenti nelle cose del mondo, per l'anno 1669. Discorso astrologico di d. Antonio Carneuale da Rauenna. ..., In Firenze : : per Francesco Onofri, 1669
Rossi, Angelo
Di T. Oderico si conservano alla C.B.A. le seguenti opere:
Origanus, David [Glatz (Slesia) 1558-1628],
Davidis Origani ... Astrologia naturalis. Siue tractatus de effctibus astrorum absolutissimus ... Opus medicis, agricolis, nautis ...
Massiliae : aereque Io. Baptistae Senij Genuensis, 1645 (Massiliae : aereque Io. Baptistae Senij Genuensis, 1645)
- [36], 454, [2] p. ; 4
- Marca (globo su piedistallo: Fictio magistra veritas) sul front. e isul colophon)
- Segn.: [paragrafo]4 [paragrafo]2 [croce latina]-3[croce latina]4 A-3L4
- Impronta - n-um onr, se5. co*o (3) 1645 (R)
FR
lat
- Localizzazioni: Biblioteca universitaria di Cagliari
- Biblioteca consorziale di Viterbo
Montebruni, Francesco,
Ephemerides nouissimae motuum coelestium Francisci Montebruni I.V.D. patritij Genuensis ad longitudinem inclytae vrbis Bononiae ... Cum Catalogo insigniorum fixarum ad annum 1650. earumque ortu, & occasu pro altitudine Poli grad. 44. Ex Philippi Lansbergi mathematici celeberrimi recentissimis, & exactissimis obseruationibus summo studio supputata ... Pars prima -secunda ...,
- Bononiae : typis Io. Baptistae Ferronij, 1650 (Bononiae : typis Io. Baptistae Ferronij, 1650)
- 2 v. : ill. ; 4
- BN v. 118 col. 57
- I titoli dei singoli volumi variano leggermente
- Il volume primo contiene le Effemeridi dall'anno 1641 al 1650, il volume secondo dall'anno 1651 al 1660
- Marca a c. a1v e sul colophon del secondo volume
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale Braidense - Milano -
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
- Biblioteca nazionale Marciana - Venezia
- Biblioteca consorziale di Viterbo
effemeride (o efemeride, s. f.) =
etimologia = dal lat. ephemeride(m), dal gr. ephìmerís -ídos, comp. di epí, con valore distributivo, e hìméra 'giorno':
1 libro in cui si registravano giorno per giorno gli atti del re -
2 (estens. lett.) diario, cronaca giornaliera | pubblicazione periodica, rivista, spec. di carattere letterario o scientifico -
3 pubblicazione astronomica in cui vengono riportate le tabelle e i grafici che indicano le posizioni degli astri sulla sfera celeste, per ogni anno solare -
4 (ant.) lunario, almanacco
XIV
Calvo, Michele
Gazofilàcio (ma anche gazzofilàccio, gazzofilàzio, gazafilario) era una cassa, formata da un tronco vuoto, in cui erano depositate le offerte dei fedeli del Tempio di Gerusalemme: il termine comunque era altresì usato per indicare un locale, edificato nell'atrio dempre del Tempio, in cui si custodivano i tesori dello stesso e gli oggetti sacri.
Per comprendere la varietà degli interessi culturali aprosiani giunge utile riprendere una lettera, seppur di non facile decrittazione per la grafia e l'usura, del 22 gennaio 1674 scrittagli dal padre inquisitore di Genova il domenicano Tommaso Mazza [su cui vedi la pagina 89 dell'aprosiana Visiera Alzata] custodita alla Biblioteca Universitaria di Genova nel "Fondo Aprosio - Epistolario dei corrispondenti di A." (MS. E V 28, c. 191) in cui si legge:
-STREGA - STREGONE - MAGO - STREGHERIA - STREGONERIA: PER UNA STORIA DELLA S.
Panaroli, Domenico <1587-1657>,Dominici Panaroli Romani Iatrologismi siue Medicae obseruationes quibus additus est in fine Plantarum amphitheatralium catalogus, Romae : typis Dominici Marciani, 1643 - [10], 74 [i.e. 75, 11] p., 1 c. di tav. ripieg. : ill. calcogr. ; 8o. - Segn.: A-F8. Numeri: Impronta - t.i- t,i- m.a- titu (3) 1643 (A).
Noris Fr. Henricus [scrive il Perini sotto nome] Veronensis, S. R. E. Cardinalis, eruditorum in Urbe aeternum decus atque iudex et arbiter rerum chronologicarum, in baptismo Hieronymus, natus est die 29 Augusti 1631 ex patre Alexandro Noris, oriundo ex Hibernia et Matre Catharina Manzoni. Corrigendi itaque sunt Hurter in suo Nom. Litt., T. IV (1910) col. 855, et Tiraboschi in sua Storia della Letteratura italiana, T. VIII (1780), p. 101, qui scripserunt primus, illum ortum duxisse die 19 Augusti, et alter die 1 Septembris. Sed eius vitae notitias praestat transcribere ex Iosepho Lanteri, in Opere Eremi Sacrae Augustinianae, T. I. (1874) p. 259 et seq. Sic itaque ille: "illius familia jam inde ab initio saec. XIII degebat Gandini in pago Bergomensi, unde Veronam se recepit circa an. 1580. Pater vir fuit valde eruditus, qui etiam editis libris praesertim historicis litterariam rempublicam locupletavit. Henricus itaque ingenita quadam atque haereditaria propensione litteris addiscendis proclivis, iam inde a puero ad earum studium sedulo animum adiungere coepit, adeo ut brevi in politiori humanitate mirum profectum fecerit. Postea vero 15 annos natus Ariminum in Romandiolam ad sublimiora studia sub Iesuitarum disciplina excolenda profectus, quippe qui frequens in lectione operum S. P. Augustini versabatur, tantam erga sanctissimum doctorem animo concepit existimationem atque reverentiam ut illius Ordinem omnimode amplecti deliberavit. Accepto itaque ibidem Erem. Augustinensium habitu, Hieronymi cum Henrici nomine commutato, non ita multo post ingenii sui praestantiam, mentisque vastitatem Ordinis Superioribus palam fecit; quare illum Gen. Petrellius Romam vocavit, ut ibidem maiori cum profectu atque commodius studiis, operam daret. Quidquid interim a scholasticis supererat studiis, in sacrae ac profanae historiae, chronologiae et geographiae studium conferebat. Contigit inter haec, ut Romam veniret noster Christianus Lupus Hiprensis, vir illa tempestate plane doctissimus, cui Norisius datus comes et index ad visenda Urbis monumenta, ex tanti viri consuetudine in eiusmodi studiis magis magisque confirmatus est. Hinc Lupus ut suam in iuvenem optimae spei benevolentiam manifestaret suam de christiana contritione epistolam, qua se ab impactis de hoc argumento accusationibus vindicavit, senior iuniori inscripsit. [pag. 21] Testatus est enim, quod cum Romam advenisset, nihil potius sibi accidisse quam "quod te (Norisium alloquitur) clarissimi parentis tui, Onuphrii Panvinii vestigiis insigniter adhaerentem, ideeque non solum scholastica atque dogmatica theologia, sed et profana et sacra antiquitate instructum eximie talem invenerim thesaurum. O quoties primates almae urbis basilicas adeundo de avitis et reipublicae et Ecclesiae illic actis instruebas eruditissime...". Eo tempore Norisius, Baronii annales ad calculum revocare et emendare meditabur; sed eius labores praevertit Pagi. Dicitur a scriptoribus quod quatuordecim diei horas ut plurimum studiis impendebat, qua nimirum assidua applicatione ita reconditissima scientiarum arcana expiscatus fuit ut iure meritoque Maffeius, a Moronio citatus, asserere non dubitavit "che non ha senso chi non ammira le nuove scoperte fatte da questo Cardinale nella storia ecclesiastica, e nella erudizione più scelta". Ipse enim non solum D. Parentis Augustini doctrinam suis doctrinis egregie defendit, verum etiam tum sacram, tum profanam historiam illustravit, antiquitates e tenebris eruit, chronologiam instauravit, calendarium correxit, novamque periodum induxit, quam Norisianam appellant, quaeque, ut ait noster eruditissimus Io. Laurentius Berti, perutilis est ad inveniendum cyclum solarem, novilunia, diemque paschalem. Apud Ordinem studiosam juventutem docuit Romae, Pisauri, Perusiae, atque Patavii, in qua postrema civitate celeberrimam Historiam Pelagianam complevit. Hoc egregium opus, quod universali omnium eruditiorum approbatione exceptum fuit malignantium patuit invidiae qui illud propterea non semel inter prohibitos libros amandare conati sunt. Verum suorum detractorum audaciam atque effrontem procacitatem nullo negotio confregit doctissimus Norisii calamus, adeo ut magis magisque excreverit per totum orbem terrarum illius vastissimae eruditionis fama, atque maioribus in dies dignitatibus a Summis Pontificibus honestatus fuerit. Nec caruit eloquentia pergami, quare in praecipuis Italiae urbibus cum omnium plausu conciones habuit, et Interamnae patriciatu cum tota eius domo nobilitatus fuit. Interfuit capitulo generali anno 1667 Romae celebrato, et omnium consensu disputationum omnium, quae inibi peragebantur, Praesidens fuit nominatus. Interim a Clemente X S. Officii qualificatoris munus obtinuit, et an. 1674 suadente eruditissimo Magliabecchio Cosmas III Magnus Hetruriae Dux Henricum nostrum una simul cum praenominato nostrate viro doctissimo Christiano Lupo, qui tamen adire noluit, Florentiam arcessivit eumque suum theologum constituit, filiique sui Ioannis Gastonis praeceptorem ac demum in Pisana Universitate publicum ecclesiasticae historiae professorem cum annuo stipendio Ducatorum 380 oblata illi praeterea ad Episcopatum Pistoriensem praesentatione, quem tamen honorem constantissime recusavit. Verum celeberrima Christiana Svetiae Regina, quae postquam Regno se abdicaverat Romae degebat quaeque in sua domo quamdam Academiam litterariam constituerat ex qua Arcadum Academia initium sumpsit, illum huic accensuit quamvis absentem. Instavit insuper eadem Regina apud Clementem X et Innocentium XI ut eum Romam invitarent, eiusque opera et sapientia uterentur, sed eiusmodi honorem constanter ille declinavit: instante vero Innocentio XII apud Hetruriae Magnum Ducem, eidem significans se, nisi Norisium obsequaretur, praecepto coacturum, Henricus noster, quamvis invitus, Romam rediit an. 1692, ubi ab eodem Summo Pontifice summis honoribus exceptus fuit, atque custos Bibliothecae Vaticanae, demortuo paulo ante celebre Schelstratio illius bibliothecae primo [pag. 22] custode, constitutus, oblata illi quoque Sacrarii Apostolici praefectura, quam tamen ipse admittere noluit. Ab eodem Summo Pontifice die 12 Decembr. 1695 in Sacrum Purpuratorum Collegium, quamvis reluctans, cooptatus fuit titulo S. Augustini, ac deinde primariis Romae Congregationibus adscriptus, nec non an. 1700, succedens celeberrimo Card. Casanatae, S. R. Ecclesiae Bibliothecarius renuntiatus cum annuo scutatorum 5585 emolumento, uti refert Moronius in suo Dizionario di erud. Storico-Eccl., Vol. 48, p. 104. Fatis concessit Romae die 27 Feb. an. 1704, aetatis suae 73. De illius obitu ita legitur in Reg. 5 Gen. Serani p. 254: "Post fere decem menses laboriosae hydropisis tandem vitam cum morte commutavit E.mus Card. H. Noris nostrae S. Religionis decus et ornamentum inclytum, S. P. Augustini doctrinae defensor acerrimus, litteratorum moecenas amantissimus, apud Principes Christianos apprime carus, atque in Rom. Curia splendoris indelebile monumentum". Citatus vero Hurter in suo Nomenclatore Litt. ita de illo loquitur: "Ingenium ei fuit valde acutum, promptum et acre, memoria tenax, consilium perspicax et prudens, ingenua indoles et facilis; in familiaribus collocutionibus erat mirifice facetus, eiusque consuetudo admodum iucunda. Tanto fervore studio incumbebat ut dicere soleret: hominem, qui in octo saltem horas non posset lectionem meditationemque producere, haud multum posset inter literatos excellere. Saepe quinque immo tres tantum horas somno indulgebat: nulla usus est autumni vacatione, neque se quoquam solatii causa movit ex urbe. Semel tantum quotannis, dum fuit Romae, horae spatio rus divertit, ut Augustinianos vacationum tempore inviseret, et semel Card. Carpegna praeter opinionem in quandam villam ad prandium deductus fuit". Sepultus fuit in nostro S. Augustini templo, et ibidem extat marmoreum eius monumentum cum figura eiusdem ad vivum expressa, ad desteram concivis et confratris sui Onuphrii Panvinii cum apposito analogo epitaphio. Veronenses quoque, scribit Moronius (l. c.) "alzarono a questo gran cardinale nella loro cattedrale un nobile monumento di marmo, come sogliono fare con lodevole intendimento con tutti i concittadini che si segnalarono nelle lettere e nelle scienze. Chi volesse raccogliere le giuste lodi che da gravi scrittori gli furono date, formerebbe un libro". Sed non defuerunt illi inimici atque detractores et "post eius obitum, prosequitur Lanteri (l. c.) supremus Hispaniarum Inquisitor Norisii historiam Pelagianam et dissertationem super V synodo aecumenica in prohibitorum librorum indicem [ma secondo l'ultimo indice pubblicato del 1948 l'unica opera del Noris registrata fra i libri proibiti è il Miles Macedonicus] retulit, quod ubi rescivit eximius totius Ordinis Augustiniani antistes Augustinus Gioia rem totam sapientissimo Pontifici Benedicto XIV commendavit, qui statim pro sua erga Norisium ipsum existimatione hisce sequentibus ad praefatum Hispaniarum Inquisitorem datis littenis defunti Cardinalis patrocinium suscepit: "Etsi, (haec namque inter caetera habet Summi Pontificis epistola quae incipit: "Dum praeterito mense" data Romae apud S. Mariam Maiorem die 31 iulii an. 1748) memorati Norisii opera aliquid Iansenismi, aut Bajanismi redolerent, prout auctor Bibliothecae Iansenisticae immerito automavit, post tot annorum lapsum, in quorum decursu ea summo plausu excepta sunt, nonne prudens oeconomia ecclesiastica exigebat, ut a proscriptione abstineretur quam unusquisque praevidere poterat multa mala esse excitaturam, unitatem Ecclesiae hispanicae esse scissuram, obstrepentibus videlicet, prout unusquisque praevidere poterat, Augustiniani Ordinis alumnis, et ipsorum asseclis, obstrepentibus tot aliis viris doctis in Hispania degentibus, et partium studio non [pag. 23] abreptis, paratisque ad assumendam auctoris defensionem, non incogniti, non gregarii, sed litteratorum sui temporis principis, et eo solo litteraturae ecclesiasticae et profanae merito sacro Cardinalium Collegio adscripti?... Haec procedunt in hypotesi in qua Norisiana opera Baianismum, et Iansenismum redolerent; quid autem dicendum erit, cum ea Baianismi aut Iansenismi nota careant, et carere constet post multiplicatum super eis examen in hac Suprema Inquisitione Romana, cui Summi Pontifices, pro tempore existentes praesunt, quique mox recensita examina suo calculo comprobarunt? Antequam Norisius historiam pelagianam, et dissertationem super quinta synodo typis ederet, rumor insurrexit Bajanismi et Iansenismi, et tunc factum est ut opus extra urbem edendum, theologorum et extraneorum revisorum approbatione munitum, ante editionem ad urbem transmissum fuerit. Novi idcirco revisores in urbe fuerunt deputati, et cum hi nihil mali, aut sanae doctrinae adversans in opere invenissent, auctori datum est ut suo iure uteretur, compositumque typis ederet. Opere edito novae adversus illum excitatae sunt controversiae, eo potissimum sub obtentu, quod ei furtive additae ferebantur nonnullae paginae, quae non erant in opere manuscripto, quae idcirco non fuerant revisorum oculis subiectae. Purgavit se ab hac calumnia Norisius; nulla nota eius operi insita fuit, communisque plausus nedum perseveraverit, sed auctus est. Degebat Norisius Florientiae apud magnum Etruriae ducem, et ecclesiasticae historiae cathedram in Universitate Pisana moderabatur, tanti viri fama cum ad aures Innocentii XII tunc universalem Ecclesiam gubernantis devenisset, ipsumque ad urbem evocasset, ut officio primi custodis Bibliothecae Vaticanae fungeretur, eiusque aemuli bene praevidissent ipsum ad urbem fuisse vocatum, ut inter cardinales mox creandos cooptaretur, pontifici Innocentio XII detulerunt Norisium esse virum doctum, sed malae doctrinae, et libellis in vulgus sparsis repertis accusationibus Iansenianae doctrinae simul insimularunt. Haesit Innocentius, et ne in sacrum cardinalium Collegium admitteret malae aut dubiae doctrinae virum, octo deputavit theologos, qui a partium studio abessent, illisque mandata vere dedit, ut in Norisii opera acrius animadverterent. Theologi mandatis ea qua decet reverentia strenue morem gesserunt; ipsorum sententiae in Congregationae supremae Inquisitionis, suffragantibus etiam cardinalibus eidem adscriptis, perpensae sunt; cumque nihil anathemate vel alia censura dignum in operibus fuerit adinventum, pontifex Innocentius theologorum et cardinalium sensus facto comprobavit; consultorum quippe Inquisitionis Collegio Norisium adscripsit, quod utique non fecisset, si de eius sana doctrina vel minimam habuisset suspicionem; aemuli etsi hoc novo fulmine percussi, nocendi animum nullatenus deposuerunt; sed ne suprernae Inquisitionis iudicium ab ipso pontifice uti vidimus comprobatum directe impugnare viderentur, nonnullos tantum sibi scrupulos adversus Norisii doctrinam iactarunt, quos et sparsis in totum vulgus libellis ediderunt, et tunc iussu pontificis Innocentii quinque eruditissimas dissertationes Norisius elucubravit... In iis celeberrimus auctor universis adversariorum petitionibus occurrit scrupolos iniectos exturbat, evellit, eradicat, et cum iure ac merito, plaudentibus omnibus, ut victor in cardinalium Collegium fuerit ab Innocentio inter cardinales quoque supremae romanae inquisitionis praesidentes relatus est; et in ea sicut et aliis Congregationibus, quibus adscriptus fuit, usque ad obitum strenuam et maxime utilem operam navavit". (Cfr. T. X, Cursus Theologiae completi, col. 1433). Et nunc ecce eius operum catalogus: [pag. 24]
Il pelagianesimo è un movimento ereticale, fondato nei primi secoli del cristianesimo da Pelagio e Celestio. Il movimento fu combattuto da Sant'Agostino e venne condannato nel 431 , nel Concilio di Efeso , ma continuò per un certo periodo ad avere influenza in ambito ecclesiastico.
1. Gli studi furono indubbiamente una delle prime questioni sulle quali l'Ordine agostiniano dovette riflettere, dato che, fin dalla sua origine, molti dei suoi membri erano sacerdoti e si dedicavano all'apostolato pastorale. Dovettero pensare inoltre alla formazione di nuovi candidati. Non è possibile conoscere con una certa precisione la legislazione dell'Ordine sugli studi fino al periodo 1281-90.
Non vi è il minimo dubbio che il card. Riccardo degli Annibaldi dovette lanciare con efficacia l'Ordine in questo campo. L'Ordine apprezzò in maniera particolare coloro che prendevano titoli accademici e li collocò nei posti piú prestigiosi.
Nel 1259 il p. generale Lanfranco da Milano comprò a Parigi una casa per gli studenti, che cominciò a funzionare fin dal 1260 ca. Uno dei primi che vi abitarono fu il grande teologo Egidio Romano, che per qualche tempo fu alla scuola di s. Tommaso d'Aquino. Nel 1285, primo nell'Ordine, Egidio divenne Maestro di Teologia. Egli aveva scritto già diversi libri. La sua fama nell'Ordine era tale, che il capitolo generale di Firenze (1287) lo dichiarò guida degli studenti e degli studiosi dell'Ordine, sia per le opere che già aveva scritto che per quelle che avrebbe preparato in futuro (cf AnalAug 2 [1907-8] 275). Come professore all'università di Parigi, Egidio Romano venne considerato il migliore della sua epoca. Il suo prestigio e il suo influsso aiutarono molto l'Ordine non solo in Francia, ma anche in Inghilterra e in Belgio. L'Ordine gli conferí grandi responsabilità e pose una grande confidenza in lui. Nel 1292 venne eletto priore generale. In seguito scrisse all'Ordine una lettera, nella quale si dice ai provinciali: « Conservate e anzi accrescete con tutta la vostra energia anche gli studi di teologia, poiché conviene che attraverso di essi, insieme con l'osservanza regolare, il nostro Ordine cresca con umiltà > (cf AnalAug, ivi, p. 337). Nel 1295 venne creato arcv. di Bourges da Bonifacio VIII. Morí nel 1316. « La sua produzione letteraria - dice D. Gutiérrez - può essere paragonata per estensione e varietà soltanto con quella dei tre maggiori dottori del secolo d'oro della Scolastica, s. Alberto Magno, s. Tommaso e s. Bonaventura, e per i suoi commenti aristotelici e l'opuscolo De erroribus philosophorum - scritto intorno.al 1270 - il suo nome è l'unico che possa essere messo accanto a quello di s. Alberto Magno e dell'Angelico in tutta la storia dell'aristotelismo cristiano. Infine, Egidio influí per quest'ultimo aspetto anche nella diffusione della scienza con il piú noto dei suoi libri, il De regimine principum - tradotto in breve tempo nelle principali lingue d'Europa, ivi incluso l'ebraico - nel quale esorta i re a moltiplicare nei loro domini i centri di insegnamenti e a procurarsi uomini di scienza che la comunichino ai loro vassalli, « se vogliono meritare il nome di re e non di tiranni » (Anal Aug 33 [1970] 81). Fu inoltre Egidio che compose la preghiera « Anima Christi, sanctifica me », attribuita a scrittori spirituali posteriori.
A partire da Egidio, cresce il numero di coloro che ricevono i gradi accademici. Non è strano questo, dato l'interesse che l'Ordine poneva per le case di formazione, fondando sedi di studi provinciali e generali. Nel 1287-90 venne inserita nelle costituzioni dell'Ordine, parlando del p. generale, la seguente esortazione: « Provveda poi con cura come sia possibile continuare gli Studi (ossia le case di formazione o di studi), nei quali sta il fondamento dell'Ordine, con sollecitudine in tutto l'Ordine, e soprattutto come gli Studi generali possano essere nutriti nel fervore e nell'assiduità dello studio, e coloro che sono atti allo studio nelle singole province dell'Ordine vengano incoraggiati » (c. XL, ed. I. Aràmburu, n° 433, p. 139).
Nel capitolo generale celebrato nel 1324 a Montpellier (Francia), si comanda con parole ammirevoli di conservare le biblioteche come un tesoro: « Poiché la nostra Religione per la promozione, lo stato e l'onore non possiede un tesoro piú caro dei libri adatti per lo studio, definiamo e ordiniamo che tutti i libri appartenenti alla libreria comune di ciascun convento vengano conservati senza alcuna sottrazione » (AnalAug 3 [1909-10] 468).
Casanate, Girolamo
nacque a Napoli il 13 febbr. 1620 da Mattia e Giovanna Dalmau.
Cats, Jacob <1577-1660>, Faces Augustae, sive Poematia, quibus illustriores Nuptiae, a nobili & illustri viro, D. Jacobo Catsio, ... antehac Belgicis versibus conscriptae, jam a Caspare Barlaeo & Cornelio Boyo Latino carmine celebrantur. Ad serenissimama principem Elizabetham .., Dordraci : sumptibus Matthiae Havii, & typis Henrici Essaei, 1643 - [64], 272, 149, [3], 32, 198, [2] p. : ill., 1 ritr. ; 8o.- Marca (Allegoria di Dordrecht : Virgo Drodacena libros non liberos pariens) sul front. - Ritr. della principessa Elisabetta sottoscritto da Crispin Queboren - Segn.: p2*8-3*84*6A-R8, 2A-I8I4, 3A-B8, 4A-M8N4. - Impronta - u,s, p-u- n*da QuEx (3) 1643 (R) - Paese di pubblicazione: NL - Lingua di pubblicazione: latino - Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Su questo straordinario personaggio più "parlato" che analizzato criticamente -seguendo di poco le riflessioni di Mario Pozzi- scrive bene Paola Rocchi ne La Letteratura Italiana - Gli Autori 2. p. 1129 dell'Einaudi editrice: "Manzoli" [ma alcuni scrivono anche Manzolli]"Pier Angelo (detto anche MARCELLO PALINGENIO STELLATO) (Stellata [Ferrara] 1500/1503 - ivi 1543). Di umili origini, svolse professione di medico a Rimini nel 1530 e pare fosse stato in precedenza a Roma, durante il pontificato di Leone X (1513 - 21).
Oltre la medicina, lo attrassero le scienze occulte, l'astronomia, l'astrologia, nonché l'etica e la metafisica, come risulta dall'opera da lui pubblicata sotto lo pseudonimo di Marcello Palingenio Stellato col titolo di Zodiacus vitae; de hominibus vita studio ac moribus aptime instituendis (B. Vitale, Venezia, s. d. [ma 1535/36]) e dedicata a Ercole II d'Este" [leggi qui la Dedica]". Si tratta di un poema didascalico, scritto tra 1520 e 1534, in cui s'avvertono echi lucreziani e suggestioni panteistiche mutuate dal naturalismo filosofico del sec. XVI" [comunque mosso da uno straordinario anelito di conoscenza che si riscontra continuamente esplicitato sotto la simbologia dei dodici segni zodiacali che nominano i diversi canti: basti qui leggere l'incipit del lavoro cioè del canto dedicato all'Ariete]". Il poema, in 12 canti, conobbe numerose ristampe, per lo più in paesi d'area protestante (la prima" [sotto citata ed utilizzata]" fu a Basilea nel 1537) e persino una riduzione in versi liberi ad opera di Bartolomeo Burchelati (col titolo di PANTOLOGIA)"[questa osservazione -documentata da recenti indagini ed assente nella recensione di M. Pozzi- è importante perchè comporta un interesse per Paligenio Stellato da parte dell'erudito Bartolomeo Burchelati che a sua volta suscitò gli interessi di A. Aprosio] "ma incorse nella censura nel 1558 per la presenza in esso delle tematiche dell'occultismo e delle teorie epicuree e pitagoriche.
E' arduo dire chi si lo scrittore di nome dannato cui allude A. Aprosio. Per quanto possa sembrar discutibile si potrebbe pensare a Giraldi, Lilio Gregorio (od a qualche influenza esercitata dal suo magistero) e specificatamente all'opera qui sotto elencata anche perchè nel syntagma 4 si legge una sarcina alquanto simile a quella riportata dal frate intemelio e che detta: Cybele ergo Saturni uxor a gentibus existimata (de qua tamen uariae traduntur opiniones, quae suis locis hoc toto capite referentur) dicta est Cybele, a monte Phrygiae, ut Stephanus scribit: ut Strabo, a loco: ut Suidas, a montibus: ut uero Festus et Seruius apò tou kußesthai ten kephalèn, id est a capitis rotatione, quod proprium fuerat eius deae sacerdotum, qui per furorem motu capitis comam rotantes, ululatu futura praenunciabant. Hinc Lucanus: Crinemque rotantes Sanguinei populis ulularunt tristia Galli. tametsi in uulgatis Festi codicibus, dictam legamus apò tou kùßou, quam lectionem et ex doctis plerique secuti sunt. quin et eadem ratione kußos, id est cubus, ei ab antiquis dicabatur. Addit Seruius in tertio, Alios dicere Cybelum sacerdotem eius deae primum fuisse, et ab eo Cybelem dictam....". Non ho reperito sufficenti testimoni per chiarire l'espressione aprosiana sullo scrittore di nome dannato che non sembrerebbe ravvisarsi in quanto scritto da Antonio Palingenio Stellato, autore dannato, che comunque con Lilio Gregorio Giraldi, con i suoi amici Calcagnini e Ricci ebbe in comune il riparo della corte estense di Ercole II e soprattutto la protezione di Renata di Francia e dei suoi salotti letterari di matrice calvinista.
Baerle, Kaspar : van <1584-1648>, Anti-Puteanus, sive politico-catholicus, Stateram Puteani inducias expendentis alia Statera expendens. ... Cosmopoli - 1633
Cornelio Boyo, olandese, erudito, di professione avvocato (detto anche il Vecchio per distinguerlo da un erudito posteriore, ancora meno noto, chiamato Cornelio Boyo il Giovane) stando alla bio-bibliografia su di lui reperita ([P.G. Witsen Geysbeek, Biographisch anthologisch en critisch woordenboek der Nederduitsche dichters (1821) -
F. Jos. van den Branden - J.G. Frederiks, Biographisch woordenboek der Noord- en Zuidnederlandsche letterkunde (1888-1891) ] sarebbe il nome latinizzato di Cornelis Boey
nato nel 1611 a Zierikzee e morto il 2 febbraio 1665 a Den Haag: egli deve la sua "notorietà", attualmente alquanto compromessa dal tempo e dalla limitata qualità artistica, oltre che dal fatto di esser stato uno dei tanti corrispondenti di Kaspar van Baerle come si vede alle pagine 705. 741. 837 della raccolta epistolare di
Kaspar van Baerle in cui sono molte ricche notizie sui tempi del suo lungo soggiorno in Brasile e nel Nuovo Mondo, alla sua attività di erudito, compartecipe alla realizzazione di opere d'autori più celebri (come nel caso di Cats, Jacob) ed editore di opere d' altri autori ancora prematuratamente scomparsi come Petrus van der Straten.
Petrus van der Straten
nato nel 1616 a Goes
e morto il 27 ottobre 1640 a Den Haag, autore olandese neolatinista noto con il nome latinizzato di
Petrus Stratenus: di lui Aprosio cita un volume che tuttora appartiene alla Biblioteca Aprosiana e da cui ha estrapolato le composizioni poetiche del Boyo:
Venus Zeelanda et alia ejus poëmata -
C. Boyus I.C. collegit et edidit,
Den Haag, Theodorus Maire, 1641
di cui si possono menzionare questi esempi delle pp. 89-91:
Dalla lettera di Giamblico a Macedonio: Tutti gli esseri esistono in forza dell'uno, e infatti anche ciò che è in modo primario dapprincipio si produce a partire dall'Uno, ma eminentemente le cause totali in forza dell'Uno ricevono il potere di produrre e in virtù di un unico intreccio sono tenute unite e risalgono tutte insieme al principio dei molti, presussistendo. In base a questo ragionamento, dunque, anche la molteplicità delle cause naturali, che sono costituite di molteplici specie e di molte parti e dipendono da più principi, dipende da un'unica causa totale; tutte le cause si intrecciano l'una con l'altra in virtù di un unico legame e la connessione delle molte cause rimonta a un'unica forza causale, la più comprensiva. Dunque questa unica concatenazione non è formata alla rinfusa a partire dal molteplice, né realizza l'unità che acquista consistenza a partire dall'intreccio, né si trova dispersa negli esseri individuali; piuttosto è in virtù di un unico intreccio causale, superiore e antecedente agli esseri individuali, che questa unica concatenazione compie tutte le cose e le lega insieme in sé e le riconduce a sé secondo l'unicità formale. Si deve dunque definire il fato un ordine unico che comprende in sé insieme tutti gli ordini".
Socinianesimo: nome latinizzato sotto cui sono comunemente noti due membri della famiglia senese dei Sozzini, Lelio e Fausto, i quali hanno dato il loro nome al movimento antitrinitario del socinianesimo.
Panteismo
dal gr. pàn , tutto , e Theòs , Dio : il termine fu coniato sul principio del sec. XVIII dal filosofo inglese J. Fay nella sua risposta al libro di J. Toland sul socinianesimo.
Paolo Antonio Foscarini (Montalto Uffugo 1565 - Cosenza 1616):
padre carmelitano, fu professore a Napoli e a Messina. Nel 1615 pubblicò la Lettera sopra l'opinione de' Pittagorici e del Copernico, con la quale intese mostrare come la rotazione e la rivoluzione della Terra non contraddicessero le Sacre Scritture: cui poi rispose con sua missiva il potente Cardinal Bellarmino Il 5 marzo 1616, con lo stesso decreto di sospensione "donec corrigantur" del De revolutionibus orbium coelestium di Copernico, l'opera venne condannata e proibita dalla Sacra Congregazione dell'Indice.
Il Servizio Bibliotecario nazionale indica:
Alla C.B.A. di Giuseppe Castiglione scomparso nel 1616 si conservano:
Thomas Farnaby (o Farnabie dal nome mediamente latinizzato in Farnabius , C. 1575 - 12 giugno
Tito Lucrezio Caro poeta e filosofo romano (forse Roma ca. 96 - ivi ca. 53 a. C.).
Le notizie della tradizione sulla vita di Lucrezio Caro si condensano nel breve cenno di S. Girolamo, che parlando degli avvenimenti dell'anno 96 a. C. scrive nel Chronicon : «Nasce il poeta T. Lucrezio, che poi condotto alla pazzia da un filtro amoroso, dopo aver scritto alcuni libri negli intervalli della follia, libri emendati poi da Cicerone, si uccise nel quarantaquattresimo anno di vita». Le date di nascita e di morte, 96-53 a. C., sembrano confermate da una testimonianza di Donato, sebbene sussistano altre testimonianze che potrebbero far spostare di poco la datazione.
Seneca , Lucio Anneo o il Vecchio o il Retore Retore e storico (Córdoba ca. 60 a. C. - ca.40 d. C.).
Nato da ricca famiglia equestre, dopo il 43 a. C. venne a Roma dove compì i suoi studi e dove rimase per quasi tutta la vita. Ebbe vivissimo interesse per la cultura e in particolare per l'eloquenza. Fu fervido ammiratore di Cicerone (che tuttavia non conobbe personalmente) e si legò di amicizia con molti dei maggiori oratori dei suoi tempi. Scrisse delle Historiae, che purtroppo non ci sono pervenute, salvo scarsi frammenti. Esse narravano gli avvenimenti verificatisi fra l'inizio delle guerre civili e gli ultimi anni della sua vita. La storia di Roma vi era divisa in cinque periodi, per analogia con le cinque età dell'uomo: infanzia, puerizia, adolescenza, giovinezza e vecchiaia (che era ormai l'età in cui vivevano l'autore e i suoi contemporanei).
Blondel, David, De Ioanna papissa: sive famosae quaestionis, an foemina ulla inter Leonem 4., & Benedictum 3., romanos pontifices, media sederit, anakrisis. Auctore Davide Blondello .. ..., Amsteledami: Blaeu, Joan <1. ; 1632-1673>, 1657
Blondel, David, Genealogiae Francicae plenior assertio. Vindiciarum Hispanicarum, novorum luminum, lampadum historicarum et commentorum libellis, Lotharingia masculina, Alsatia vindicata, stemma Austriacum, de pace cum Francis ineunda consilium, de ampulla Remensi disquisitio, & Tenneurius expensus, a Joanne Jacobo Chiffletio inscriptis, ... omnimoda eversio. Auctore Davide Blondello. Tomus primus - 2., Amstelaedami: Blaeu, Joan <1. ; 1632-1673>, 1654
Blondel, David, De formulae regnante Christo In veterum monumentis vsu, iustas pro Regibus maximis Philippo 1 & 2, summaque Regum omnium potestate, vindicias complexa diatribe. Auctore D. Blondello, Amstelodami: Blaeu, Joan <1. ; 1632-1673>, 1646
Grotius, Hugo, Hugo Grotius De imperio summarum potestatum circa sacra. Cui accedunt D. Blondellus. De jure plebis in regimine ecclesiastico; et De officio magistratus christiani, alius autoris opusculum, Francofurti, 1690
Blondel, David, Trattato del ivs e dei dritti Hereditarij del Signor Dvca della Tremoglia, sopra il Regno di Napoli. Libro gia stampato in lingua Francese, In Parigi: Des Hayes, Pierre, 1648
Blondel, David, Familier esclaircissement de la question si une femme a este assise au Siege Papal de Rome entre Leon 4., & Benoist 3. Par David Blondel, A Amsterdam: Blaeu, Joan <1. ; 1632-1673>, 1649
Dissertationes selectae criticae de Poetis Graecis & Latinis, nempe Jac. Palmerii Kritikon epicheirema pro Lucano contra Virgilium ex Scriniis J. Berkelii, A. F. Rapini Comparatio Homeri & Virgilii e Gallico in Latinum translata. D. Blondelli Comparatio Pindari & Horatii. Jac. Tollii Poetarum Latinorum cum Graecis Comparationes ... Omnes simul Janus Berkelius, Abr. Fil, Lugduni in Batavis: Boutesteyn, Cornelis <1679-1712>, 1707
Blondel, David, De la primaute en l'eglise: traitte ou sont confrontees, auec la response du serenissime roy de la grand' Bretagne, les Annales du card. Baronius, les controuerses du cardinal Bellarmin, la replique du card. Du Perron, &c. Par D. Blondel. Auec les indices necessaires, A Geneue: Chouet, Jacques <3. ; 1607-1653>, 1641
Pearson, John, Vindici Epistolarum S. Ignatii. Autore Joanne Pearson presbytero. Accesserunt Isaaci Vossii epistolae duae adversus David Blondellum ..., Cantabrigiae prostant Londini: Wells, William & Scott, RobertHayes, John, 1672
Blondel, David, Pseudo-Isidorus et Turrianus Vapulantes: seu editio et censura noua epistolarum omnium, ... Isidorus cognomento mercator supposuit, Franciscus Turrianus Iesuita, ... Recensuit, notis illustrauit, bono ecclesiae dicauit, David Blondellus Catalaunensis, Geneuae: Chouet, Pierre <2.>, 1628
Grotius, Hugo, H. Grotii De imperio summarum potestatum circa sacra commentarius postumus, Hagae-Comitis: Vlacq, Adriaen, 1652
Aubertin, Edme <1595-1652>, De eucharistiae, siue Coena dominicae sacramento libri tres primum ex Scripturis, & ratione peritus. Secundus ex Patribus sex priorum aerae Christianae saeculorum depromptus. Tertius, quomodo & quibus gradibus primaeva de hoc sacramento fides ad errores hodiernos, ... demonstrat. Contra praecipuos adversariarum partium scriptores. ... Authore Edmundo Albertino apud Parisienses qui Carentoni Synaxes suas habent verbi Dei ministro, Daventriae: Columbus, Johannes, 1654
Grotius, Hugo, De imperio summarum potestatum circa sacra. Cui accedunt D. Blondellus De iure plebis in regimine ecclesiastico. et De officio magistratus Christiani alius opusculum / Hugo Grotius, Francoforte sul Meno, anno 1690
Daille, Jean <1594-1670>, Joannis Dallaei De jejuniis, et quadragesima. Liber, Daventriae: Columbus, Johannes, 1654
Blondel, David, Trattato del ius e dei diritti hereditarij del signor duca della Tremoglia, sopra il Regno di Napoli, senza nome, [ca. 1648]
Blondel, David, Des sibylles celebrees tant par l'antiquite' payenne que par les saincts peres, discous traittant des noms & du nombre des sibylles, de leurs conditions, de la forme & matiere de leurs ver, Se vendent a Charenton: Perier, Louis veuve & Perier, N., 1649
Chifflet, Johann Jacob
Blondel, David, Traite historique, de la primaute en l'Eglise au quel les Annales ecclesiastiques du cardinal Baronius, les Controuerses du cardinal Bellarmin, la replique du Card. Du Perron & autres, sont confrontees auec la Response du serenissime Roy de La Grande Bretagne. Par D. Blondel. Auec les indices necessaires, 1641, Chouet, Jacques <3. ; 1607-1653>
Blondel, David, Familier esclaircissement de la question si une femme a este assise au Siege Papal de Rome entre Leon 4. & Benoist 3. Par David Blondel, A Amsterdam: Blaeu, Joan <1. ; 1632-1673>, 1647
Blondel, David, Apologia pro sententia Hieronymi de episcopis et presbyteris, autore Davide Blondello, Amsteledami: Blaeu, Joan <1. ; 1632-1673>, 1646
Blondel, David, Epistolarum decretalium, quae vetustissimis pontificibus Romanis hactenus tribuuntur examen, aduersus Isidori Mercatoris sigmenta: ubi simul ostenditur ex quibus centonibus eae consutae confecta fuerint, per D.B.C, Geneuae: Chouet, Pierre <2.>, 1635
Becmann, Christian, Sylloge, an hostia sit verus, cibarius, et synonymos dictus panis: a fra t. Roseae Crucis donata Iohanni Conrado Rhumelio et Martino Piello vtrique medico: per de Pega, Hanoviae: Wechel, Andreas Erben & Aubry, Daniel & Aubry, David & Schleich, Clemens, 1618
Becmann, Christian, Christiani Becmani Bornensis Exercitationes theologicae. In quibus de argumentis pro vera deitate Christi servatoris nostri contra Fausti Socini, Valentini Smalcii, Christophori Ostorodi, Iohannis Crellii ... Nec non de multis aliis, quae passim intercurrunt, scitu dignis thematibus, ... agitur, Amstelodami: Jansson, Jan <1. ; 1608-1665>, 1644
Becmann, Christian, Christiani Becmani Bornensis Schediasma philologicum: Apologia pro eodem: De usu logices: Exegesis psalmi 91.: Orationes et dissertationes: poemata et epistolae. Partim antehac non edita, partim vero melius iam edita, Hanoviae - 1619
Becmann, Christian, Christiani Becmani Pro schedismate philologico contra antischediasma apologeticus. In quo ... quaedam grammatices uberius declarantur Anno 1613. mense Julio , Wittebergae: Helwig, Paul Meisner, Wolfgang, 1614
Becmann, Christian, Orationes tres metricae 1. De magis, Matth.2. 2. De ieiunijs & sobrietate. 3. De cognatione artis & lauri. Recitatae Lipsiae M. Christiano Becmano Bornensi ... , Lipsiae: Beyer, Johann ErbenAm Ende, Valentin, 1605
Becmann, Christian, Christiani Becmani Bornensis De originibus Latinae linguae: quibus passim alia multa, philologiae propria, pro meliori vocum ac rerum cognitione, inserta. Editio innovata, Wittenberg: Helwig, Paul, 1613
Becmann, Christian, Christiani Becmani Bornensis Manuductio ad Latinam linguam: nec non De originibus Latinae linguae: quibus passim alia multa philologiae propria, pro meliori vocum ac rerum cognitione inserta sunt. Ambo nunc quintum & quidem multo auctius, sed & melius atque correctius, edita, Francofurti & Lipsiae: Ellinger, Johann Heinrich, 1672
Oltre che dall'effettiva importanza del lavoro la "celebrità" gli venne da esssere se non con certezza l'inventore sicuramente il divulgatore della leggenda della Papessa Giovanna una dibattuta questione che ancora nel XVII secolo, quando, mentre proprio il protestante David Blondel ne frantumò con rigore la veridicità, il cattolicissimo Angelico Aprosio nel capitolo XVI del suo edito Scudo di Rinaldo andava cimentandosi in chiave erudita con le postulazioni favorevoli all'ipotesi di questa deviazione nella storia del papato addotte dal riformato teologo e latinista Becmann, Christian, apportatore peraltro di una congerie di ipotesi a lui favorevoli anche di prestigiosi autori.
Va comunque da menzionare che la polemica aprosiana non fu tanto innescata dalla matrice antifemminista della sua ideologia, ma dall'esigenza di annichilire una affermazione dei riformata atta ad evidenziare alcuni storici momenti di corruzione del passato.
Un secolo dopo l'Aprosio, intervenne poi una voce assolutamente prestigiosa sull'argomento, quella di Ludovico Antonio Muratori che nella celebre In Scriptores Rerum Italicarum Praefatio annotò :"(trad.)...Accenno di passta che io ho visto nella Biblioteca Ambrosiana la cronica di Martin Polono, qui ricordata in tre manoscritti. Il primo quasi in tutto si accorda con le edizioni di Basilea del 1559 e di Anversa del 1574 ed ivi s'incontra la favolosa menzione della papessa Giovanna. Negli altri due codici, anch'essi assai antichi, nessuna traccia di questa favola stantia. Uno di essi conduce il racconto fino al papa Clemente IV, come lo stesso autore aveva promesso nella prefazione, non fino a Giovanni XXI come hanno le stampe. Nell'altro la narrazione è protratta fino ad Onorio IV. Né la differenza di contenuto e di forma è trascurabile, in modo che non demeriterebbe della repubblica letteraria chi, esaminati questi manoscritti, curasse una nuova edizione di Martin Polono".
Grimaldi, Lorenzo <1623-1696>,
Discorso astrologico delle mutationi de' tempi, e d'altri accidenti dell'annob 1650. Di Lorenzo Grimaldi all'illustriss. ... monsig. Santa Croce vicelegato di Bologna
, In Bologna : per gli HH. del Dozza, 1650
- 7, [1], 69, [3] p. : 1 emblema ; 4.
- Emblema (Bussola: Ne movear moveor) sul front.
- Segn.: 4A-I4
- Impronta - s-o- i,se ,em. bufa (3) 1650 (R)
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Grimaldi, Lorenzo <1623-1696>,
Discorso astrologico delle mutationi de' tempi, e d'altri accidenti dell'anno 1651. Di Lorenzo Grimaldi all'altezza serenissima del signor duca di Modana,
In Bologna : per gli HH. del Dozza, 1651
- [8], 72 p. : 1 emblema ; 4.
- Emblema (bussola: Ne movear moveor) sul front.
- Segn.: A-K4
- Impronta - o,al ua3. iono tese (3) 1651 (R)
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Grimaldi, Lorenzo <1623-1696>,
Discorso astrologico delle mutationi de tempi, e d'altri accidenti dell'anno bisestile 1652. Di Lorenzo Grimaldi all'eminentiss. ... card. Colonna,
In Bologna : per gli HH. del Dozza, 1652
- [8], 55, [1] p. : 1 emblema ; 4.
- Emblema (bussola: Ne movear moveor) sul front.
- Segn.: pA4, A-G4
- Impronta - i-ta i-ne e-l- Luqu (3) 1652 (A)
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Carnevale, Antonio <1611-1678>, Gli arcani delle stelle intorno a i piu notabili euenti nelle cose del mondo, per l'anno bisestile 1652. Discorso astrologico di D. Antonio Carneuale di Rauenna. ..., In Bologna: Zenero, Carlo, 1652
Carnevale, Antonio <1611-1678>, Gli arcani delle stelle intorno a' piu' notabili euenti nelle cose del mondo per l'anno bisestile 1664. Discorso astrologico di d. Antonio Carneuale da Rauenna. ..., In Firenze: Onofri, Francesco, 1664
Carnevale, Antonio <1611-1678>, Gli arcani delle stelle intorno a' piu' notabili euenti nelle cose del mondo, per l'anno 1674. Discorso astrologico di d. Antonio Carneuali da Rauenna. ..., In Firenze: Onofri, Francesco, 1674
Carnevale, Antonio <1611-1678>, Gli arcani delle stelle intorno a' piu' notabili euenti nelle cose del mondo per l'anno bisestile 1676. Discorso astrologico di d. Antonio Carneuali da Rauenna. ..., In Firenze: Onofri, Francesco, 1676
Carnevale, Antonio <1611-1678>, Gli arcani delle stelle intorno a i piu notabili euenti nelle cose del mondo per l'anno 1653. Discorso astrologico di D. Antonio Carneuale da Rauenna, In Bologna: Zenero, Carlo, 1652
Carnevale, Antonio <1611-1678>, Gli arcani delle stelle intorno a' piu notabili euenti nelle cose del mondo per l'anno 1655. Discorso astrologico di D. Antonio Carnouale da Rauenna. All'illustriss. .. Francesco Bibboni ... , In Firenze: Onofri, Francesco, 1655
Carnevale, Antonio <1611-1678>, Gli arcani delle stelle intorno a i piu notabili eventi nelle cose del mondo per l'anno 1654 ..., Firenze, 1654
Carnevale, Antonio <1611-1678>, Gli arcani delle stelle intorno a' piu notabili euenti nelle cose del mondo. Per l'anno 1679. Discorso astrologico di d. Antonio Carneuali da Rauenna. ..., In Venetia: Hertz, Giovanni Giacomo, 1679
Carnevale, Antonio <1611-1678>, Gli arcani delle stelle intorno a' piu' notabili euenti nelle cose del mondo. Per l'anno bisestile 1680. Discorso astrologico raccolto da framenti di d. Antonio Carneuali da Rauenna. Da Francinio Bersasci. ..., In Venetia: Hertz, Giovanni Giacomo, 1680
Carnevale, Antonio <1611-1678>, Gli arcani delle stelle, intorno a i piu notabili euenti nelle cose del mondo per l'anno 1650. Discorso astrologico del P.D. Antonio Carneuale della Congregazione del Buon Giesu di Rauenna. All\'eminentiss. e reuerendiss. principe il sig. cardinal Cybo della prouincia di Romagna, & Essarcato di Rauenna de latere legato, In Bologna: Zenero, Carlo, 1650
Carnevale, Antonio <1611-1678>, Gli arcani delle stelle intorno a'piu notabili euenti nelle cose del mondo per l'anno 1675. Discorso astrologico di D. Antonio Carneuali da Rauenna. Consecrati all\'illustrissimo, ... signor marchese Guido Rangoni ..., In Venetia: Miloco, Benedetto
Carnevale, Antonio <1611-1678>, Gli arcani delle stelle intorno a'piu notabili euenti nelle cose del mondo. Per l'anno bisestile 1676. Discorso astrologico di D. Antonio Carneuali da Rauenna. Consecrati all'illustrissimo, ... signor Giorgio Priuli, dell\'illustriss. ... Aluise Priuli procurator, figlio, In Venetia: Miloco, Benedetto
Carnevale, Antonio <1611-1678>, Gli arcani delle stelle intorno a' piu notabili euenti nelle cose del mondo, per l'anno bisestile 1656. Discorso astrologico di D. Antonio Carneuale da Rauenna. Alla maesta serenissima di Cristina regina di Suezia, &c, In Firenze: Onofri, Francesco, 1656
Carnevale, Antonio <1611-1678>, Gli arcani delle stelle intorno a' piu notabili euenti nelle cose del mondo, per l'anno 1657. Discorso astrologico di D. Antonio Carneuale da Rauenna. All'eminentissimo e reuerendissimo card. Ottauio Acquauiua d'Aragona, della prouincia di Romagna, & esarcato di Rauenna de latere legato, In Firenze: Onofri, Francesco, 1657
Carnevale, Antonio <1611-1678>, Gli arcani delle stelle Intorno a' più notabili euenti nelle cose del mondo. per l'anno 1677 discorso astrologico di D. Antonio Carnevali da Ravenna. Consecrati al Molto illustre, & Eccellentissimo Signore Gio. Alvise Antonii, In Venetia: Hertz, 1677
Carnevale, Antonio <1611-1678>, Gli arcani delle stelle intorno a' piu notabili euenti nelle cose del mondo per l'anno 1661. Discorso astrologico di d. Antonio Carnevale da Ravenna. ..., In Firenze: Onofri, Francesco, 1661
Carnevale, Antonio <1611-1678>, Gli arcani delle stelle intorno a' piu notabili euenti nelle cose del mondo, per l'anno 1658. Discorso astrologico di D. Antonio Carneuale da Rauenna. All'eminentissimo, ... card. Antonio Barberini, In Firenze: Onofri, Francesco, 1658
Carnevale, Antonio <1611-1678>, Gli arcani delle stelle intorno a' piu notabili euenti nelle cose del mondo per l'anno 1662. Discorso astrologico di d. Antonio Carneuale da Ravenna. ..., In Firenze: Onofri, Francesco, 1662
Carnevale, Antonio <1611-1678>, Gli arcani delle stelle intorno a' piu' notabili euenti nelle cose del mondo, per l'anno 1671. Discorso astrologico di d. Antonio Carneuali da Rauenna. ..., In Firenze: Onofri, Francesco, 1671
1 Il ligure risvegliato predittioni o congietture fisiche, e morali sopra il corso de pianeti dell'anno astronomico 1649. di Thomaso Oderigo .., [1648] 79 p. : ill.
I futuri contingenti congetture naturali sopra l'influenze dell'anno 1650. di Tomaso Oderico .. In Milano : appresso Lodovico Monza stampatore alla piazza de mercanti 44 p. : ill. ; 4°.
Il libro celeste letto da Tomaso Oderico gentilhuomo genovese per ritrovare le significationi de gl'eventi dell'anno 1657. .., In Genova : nella stamperia di Benedetto Guasco, 1657 55 p. ; 4°.
Discorsi meteorologici et astrologici sopra la cometa apparsa nel fine dell'anno milleseicento cinquantadue all'Illustriss. Signor Francesco Maria Spinola ... di Tomaso Oderico .., In Genova : nella stamperia di Benedetto Guasco, 1654 [6], 52 p. ; 4°.
Della causa seconda de' presenti mali contagiosi di Tomaso Oderico .. In Genova : nella stamperia di Benedetto Guasco, 1656 10, [2] p. ; 4°.
Il perfetto giusdicente. Dialoghi morali di Tomaso Oderico .., In Genova : per Pier Giovanni Calenzani, 1646 144 p. ; 8°.
Origanus, David <1558-1628>,
Nouae motuum coelestium ephemerides Brandenburgicae, annorum 60, incipientes ab anno 1595 & desinentes in annum 1655, ... variis diversarum nationum calendariis accomodatae, cum introductione hac pleniore, ... Autore Dauide Origano Glacense Silesio ..
- Francofurti cis Viadrum : typis Ioannis Eichornij apud Davidem Reichardum, 1609 (Francoforte s.O] : imprimebat sumtibus autoris Francofurti ad Viadrum Joannes Eichorn, 1609)
- [108], 790, [2] p. ; 2o.
- Cornice e iniziali xil.
- Cors. ; rom
- Segn.: (a)-(i)6A-3V6
- Impronta - p.um m:ca e.e- rev. (3) 1609 (A)
-Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca nazionale centrale - Firenze
- Biblioteca dell'Osservatorio astronomico di Roma. Sede di Roma
- Biblioteca nazionale universitaria - Torino
- Biblioteca comunale dell'Archiginnasio - Bologna - BO - 1 esemplare mutilo in fine dopo la p. 780, front. lacerato non completamente leggibile
Guldin, Paul <1577-1643>,
Refutatio elenchi calendarii gregoriani a Setho Caluisio conscripti, et opera Dauidis Origani editi ... Accessit, praeter digressionem qua Josephi Scaligeri de aequinoctiorum anticipatione diatriba discutitur, liber quintus de ratione ac praxi calendarii ecclesiastici Christianorum et computi Hebraeorum, ad serenissimum principem Maximilianum archiducem Austriae etc. / Auctore Paulo Guldin, Societate Iesu,
Mainz : ex officina typographica Ioannis Albini, 1616
- 18, 584, 58 p. ; 4? (24 cm)
- Segue, con proprio front. e stesse note tip., Pauli Guldin ... Ad refutationem Caluisiani elenchi calendarii gregoriani Paralipomena siue Annotationes
- Per le intestaz. cfr. British Library General Catalogue ..., Catalogue giniral ... Paris
- Ex libris C
- Localizzazioni: Biblioteca dell'Opera pia collegio Nazareno - Roma
Origanus, David <1558-1628>,
Annorum priorum 30 incipientium ab anno Christi 1595, & desinentium in annum 1624, ephemerides Brandeburgicae coelestium motuum et temporum; summa diligentia in luminaribus calculo duplici Tychonico & Prutenico, in reliquis planetis Prutenico seu Copernicaeo elaboratae, a Davide Origano ..,
Typis exscripsit Ioannes Eichorn, apud Davidem Reichardum bibliopolam Stetinensem, 1609 (Imprimebat sumtibus [|] autoris Francofurti ad Viadrum : Joannes Eichorn, 1609)
- 2 v. : ill. ; 4o.
- Colophon dal vol. 1.
- Cornice xil. sui front
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale - Firenze
- Biblioteca nazionale Braidense - Milano
- Biblioteca Estense Universitaria - Modena
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino
Calvisius, Sethus
Montebruni, Francesco,
Ephemerides nouissimae motuum coelestium Francisci Montebruni i.v.d. patritij Geneuensis ad longitudinem inclytae vrbis Bononiae ab anno 1640. ad anno 1645. ... Praemissis etiam nonnullis ad constructionem coelestis figurae necessariis. ...,
Bononiae : typis Io. Baptistae Ferronij, 1640
- 12, 32, 151, 1 p., 1 c. di tav. : ill. ; 4o
- Stemma cardinalizio sul front.
- Front. e testo inquadrati
- Iniz. xil.
- Segn.: [croce!6 A-K8 L88
- Impronta - o.ne t.e, M.e. 2323 (3) 1640 (R)
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale - Firenze
- Biblioteca comunale Giosue' Carducci - Citta' di Castello - PG
Montebruni, Francesco,
Ephemerides nouissimae motuum coelestium Francisci Montebruni ... ad longitudinem inclytae vrbis Bononiae ab anno 1646 ad annum 1660. Ex Philippi Lansbergi mathematici celeberrimi recentissimis, & exactissimis obseruationibus summo studio supputatae. Addito etiam tractatu de stellis fixis, una cum earum longitudine, ac latitudine ad annum 1650 ...
, Bononiae : typis Io. Baptistae Ferronij, 1645 (Bononiae : typis Io. Baptistae Ferronij, 1645)
- 12, 479, 6 p. : ill. ; 4
- Marca a c. a6v e M7v, altra a c. S6v
- Segn.: a6, A-2G8 2H"
- Impronta - a-i- e.o- 0.26 ++++ (3) 1645 (R)
- Marca editoriale: Sotto un albero di palma Ercole uccide l'Idra dalle sette teste con la clava.Torcia e spada ai suoi piedi. Motto: Invidia virtute superatur (Z492)
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale - Firenze - FI
- Biblioteca di lettere e filosofia dell'Universita' degli studi di Firenze
- Biblioteca comunale Giosue' Carducci - Citta' di Castello - PG
- Biblioteca comunale Alessandro Cialdi - Civitavecchia - RM
- Biblioteca dell'Osservatorio astronomico di Roma. Sede di Roma
A MADAMA CRISTINA DI LORENA GRANDUCHESSA DI TOSCANA
(1615)
Io scopersi pochi anni a dietro, come ben sa l'Altezza Vostra Serenissima, molti particolari nel cielo, stati invisibili sino a questa età; li quali, sì per la novità, sì per alcune conseguenze che da essi dependono, contrarianti ad alcune proposizioni naturali comunemente ricevute dalle scuole de i filosofi, mi eccitorno contro non piccol numero di tali professori; quasi che io di mia mano avessi tali cose collocate in cielo, per intorbidar la natura e le scienze. E scordatisi in certo modo che la moltitudine de' veri concorre all'investigazione, accrescimento e stabilimento delle discipline, e non alla diminuzione o destruzione, e dimostrandosi nell'istesso tempo più affezionati alle proprie opinioni che alle vere, scorsero a negare e far prova d'annullare quelle novità, delle quali il senso istesso, quando avessero voluto con attenzione riguardarle, gli averebbe potuti render sicuri; e per questo produssero varie cose, ed alcune scritture pubblicarono ripiene di vani discorsi, e, quel che fu più grave errore, sparse di attestazioni delle Sacre Scritture, tolte da luoghi non bene da loro intesi e lontano dal proposito addotti: nel quale errore forse non sarebbono incorsi, se avessero avvertito un utilissimo documento che ci dà S. Agostino intorno all'andar con riguardo nel determinar resolutamente sopra le cose oscure e difficili ad esser comprese per via del solo discorso; mentre, parlando pur di certa conclusione naturale attenente a i corpi celesti, scrive così: "Nunc autem, servata semper moderatione piae gravitatis, nihil credere de re obscura temere debemus, ne forte quod postea veritas patefecerit, quamvis libris sanctis, sive Testamenti Veteris sive Novi, nullo modo esse possit adversum, tamen propter amorem nostri errori oderimus.".
È accaduto poi che il tempo è andato successivamente scoprendo a tutti le verità prima da me additate, e con la verità del fatto la diversità degli animi tra quelli che schiettamente e senz'altro livore non ammettevano per veri tali scoprimenti, e quegli che all'incredulità aggiugnevano qualche effetto alterato: onde, sì come i più intendenti della scienza astronomica e della naturale restarono persuasi al mio primo avviso, così si sono andati quietando di grado in grado gli altri tutti che non venivano mantenuti in negativa o in dubbio da altro che dall'inaspettata novità e dal non aver avuta occasione di vederne sensate esperienze; ma quelli che, oltre all'amor del primo errore, non saprei qual altro loro immaginato interesse gli rende non bene affetti non tanto verso le cose quanto verso l'autore, quelle, non le potendo più negare, cuoprono sotto un continuo silenzio, e divertendo il pensiero ad altre fantasie, inacerbiti più che prima da quello onde gli altri si sono addolciti e quietati, tentano di progiudicarmi con altri modi. De' quali io veramente non farei maggiore stima di quel che mi abbia fatto dell'altre contraddizioni, delle quali mi risi sempre, sicuro dell'esito che doveva avere 'l negozio, s'io non vedessi che le nuove calunnie e persecuzioni non terminano nella molta o poca dottrina, nella quale io scarsamente pretendo, ma si estendono a tentar di offendermi con macchie che devono essere e sono da me più aborrite che la morte, né devo contentarmi che le sieno conosciute per ingiuste da quelli solamente che conoscono me e loro, ma da ogn'altra persona ancora. Persistendo dunque nel primo loro instituto di voler con ogni immaginabil maniera atterrar me e le cose mie, sapendo come io ne' miei studii di astronomia e di filosofia tengo, circa alla costituzione delle parti del mondo, che il Sole, senza mutar luogo, resti situato nel centro delle conversioni de gli orbi celesti, e che la Terra, convertibile in se stessa, se gli muova intorno; e di più sentendo che tal posizione vo confermando non solo col reprovar le ragioni di Tolommeo e d'Aristotile, ma col produrne molte in contrario, ed in particolare alcune attenenti ad effetti naturali, le cause de' quali forse in altro modo non si possono assegnare, ed altre astronomiche, dependenti da molti rincontri de' nuovi scoprimenti celesti, li quali apertamente confutano il sistema Tolemaico e mirabilmente con quest'altra posizione si accordano e la confermano; e forse confusi per la conosciuta verità d'altre proposizioni da me affermate, diverse dalle comuni; e però diffidando ormai di difesa, mentre restassero nel campo filosofico; si son risoluti a tentar di fare scudo alle fallacie de' lor discorsi col manto di simulata religione e con l'autorità delle Scritture Sacre, applicate da loro, con poca intelligenza, alla confutazione di argioni né intese né sentite.
E prima, hanno per lor medesimi cercato di spargere concetto nell'universale, che tali proposizioni sieno contro alle Sacre Lettere, ed in conseguenza dannande ed eretiche; di poi, scorgendo quanto per lo più l'inclinazione dell'umana natura sia più pronta ad abbracciar quell'imprese dalle quali il prossimo ne venga, ben che, ingiustamente, oppresso, che quelle ond'egli ne riceva giusto sollevamento, non gli è stato difficile il trovare chi per tale, cio è per dannada ed eretica, l'abbia con insolita confidenza predicata sin da i pulpiti, con poco pietoso e men considerato aggravio non solo di questa dottrina e di chi la segue, ma di tutte le matematiche e de' matematici insieme; quindi, venuti in maggior confidenza, e vanamente sperando che quel seme, che prima fondò radice nella mente loro non sincera, possa diffonder suoi rami ed alzargli verso il cielo, vanno mormorando tra 'l popolo che per tale ella sarà in breve dichiarata dall'autorità suprema. E conoscendo che tal dichiarazione spianterebbe non sol queste due conclusioni, ma renderebbe dannande tutte l'altre osservazioni e proposizioni astronomiche e naturali, che con esse hanno corrispondenza e necessaria connessione, per agevolarsi il negozio cercano, per quanto possono, di far apparir questa opinione, almanco appresso all'universale, come nuova e mia particolare, dissimulando di sapere che Niccolò Copernico fu suo autore e più presto innovatore e confermatore, uomo non solamente cattolico, ma sacerdote e canonico, e tanto stimato, che, trattandosi nel Concilio lateranense, sotto Leon X, della emendazion del calendario ecclesiastico, egli fu chiamato a Roma sin dall'ultime parti di Germania per questa riforma, la quale allora rimase imperfetta solo perché non si aveva ancora esatta cognizione della giusta misura dell'anno e del mese lunare: onde a lui fu dato carico dal Vescovo Semproniense, allora soprintendente a ques'impresa, di cercar con replicati studi e fatiche di venire in maggior lume e certezza di essi movimenti celesti; ond'egli, con fatiche veramente atlantiche e col suo mirabil ingegno, rimessosi a tale studio, si avanzò tanto in queste scienze, e a tale esattezza ridusse la notizia de' periodi de' movimenti celesti, che si guadagnò il titolo di sommo astronomo, e conforme alla sua dottrina non solamente si è poi regolato il calendario, ma si fabbricorno le tavole di tutti i movimenti de' pianeti: ed avendo egli ridotta tal dottrina in sei libri, la pubblicò al mondo a i prieghi del Cardinal Capuano e del Vescovo Culmense; e come quello che si era rimesso con tante fatiche a questa impresa d'ordine del Sommo Pontificio, al suo successore, ciò è a Paolo III, dedicò il suo libro delle Revoluzioni Celesti, il qual, stampato pur allora, è stato ricevuto da Santa Chiesa, letto e studiato per tutto il mondo, senza che mai si sia presa pur minima ombra di scrupolo nella sua dottrina. La quale ora mentre si va scoprendo quanto ella sia ben fondata sopra ben manifeste esperienze e necessarie dimostrazioni, non mancano persone che, non avendo pur mai veduto tal libro, procurano il premio delle tante fatiche al suo autore con la nota di farlo dichiarare eretico; e questo solamente per sodisfare ad un lor particolare sdegno, concepito senza ragione contro di un altro, che non ha più interesse col Copernico che l'approvar la sua dottrina.
Ora, per queste false note che costoro tanto ingiustamente cercano di addossarmi, ho stimato necessario per mia giustificazione appresso l'universale, del cui giudizio e concetto, in materia di religione e di reputazione, devo far grandissima stima, discorrer circa a quei particolari che costoro vanno producendo per detestare ed abolire questa opinione, ed in somma per dichiararla non pur falsa, ma eretica, facendosi sempre scudo di un simulato zelo di religione e volendo pur interessare le Scritture Sacre e farle in certo modo ministre de' loro non sinceri proponimenti, col voler, di più, s'io non erro, contro l'intenzion di quelle e de' Santi Padri, estendere, per non dir abusare, la loro autorità, sì che anco in conclusioni pure naturali e non de Fide, si deve lasciar totalmente il senso e le ragioni dimostrative per qualche luogo della Scrittura, che tal volta sotto le apparenti parole potrà contenere sentimento diverso. Dove spero di dimostrar, con quanto più pio e religioso zelo procedo io, che non fanno loro, mentre propongo non che non si danni questo libro, ma che non si danni, come vorrebbono essi, senza intenderlo, ascoltarlo, né pur vederlo, e massime sendo autore che non mai tratta di cose attenenti a religione o a fede, né con ragioni dependenti in modo alcuno da autorità di Scritture Sacre, dove egli possa malamente averle interpretate, ma sempre se ne sta su conclusioni naturali, attenenti a i moti celesti, trattate con astronomiche e geometriche dimostrazioni, fondate prima sopra sensate esperienze ed accuratissime osservazioni. Non che egli non avesse posto cura a i luoghi delle Sacre Lettere; ma perché benissimo intendeva, che sendo tal sua dottrina dimostrata, non poteva contrariare alle Scritture intese perfettamente: e però nel fine della dedicatoria, parlando del Sommo Pontefice, dice così: "Si fortasse erunt mataeologi, qui, cum omnium mathematum ignari sint, tamen de illis iudicium assumunt, propter aliquem locum Scripturae, male ad suum propositum detortum, ausi fuerint hoc meum institutum repraehendere ac insectari, illos nihil moror, adeo ut etiam illorum iudicium tanquam temerarium contemnam. Non enim obscurum est, Lactantium, celebrem alioqui scriptorem, sed mathematicum parum, admodum pueriliter de forma Terrae loqui, cum deridet eos qui Terram globi formam habere prodiderunt. Itaque non debet mirum videri studiosis, si qui tales nos etiam ridebunt. Mathemata mathematicis scribuntur, quibus et hi nostri labores (si me non fallit opinio) videbuntur etiam Republicae Ecclesiasticae conducere aliquid, cuius principatum Tua Sanctitas nunc tenet."
E di questo genere si scorge esser questi che s'ingegnano di persuadere che tale autore si danni, senza pur vederlo; e per persuadere che ciò non solamente sia lecito, ma ben fatto, vanno producendo alcune autorità della Scrittura e de' sacri teologi e de' Concilii; le quali sì come da me son reverite e tenute di suprema autorità, sì che somma temerità stimerei esser quella di chi volesse contradirgli mentre vengono conforme all'instituto di Santa Chiesa adoperate, così credo che non sia errore il parlar mentre si può dubitare che alcuno voglia, per qualche suo interesse, produrle e servirsene diversamente da quello che è nella santissima intenzione di Santa Chiesa; però protestandomi (e anco credo che la sincerità mia si farà per se stessa manifesta) che io intendo non solamente di sottopormi a rimuover liberamente quegli errori ne' quali per mia ignoranza potessi in questa scrittura incorrere in materie attenenti a religione, ma mi dichiaro ancora non voler nell'istesse materie ingaggiar lite con nissuno, ancor che fossero punti disputabili: perché il mio fine non tende ad altro, se non che, se in queste considerazioni, remote dalla mia professione propria, tra gli errori che ci potessero essere dentro, ci è qualcosa atta ad eccitar altri a qualche avvertimento utile per Santa Chiesa, circa 'l determinar sopra 'l sistema Copernicano, ella sia presa e fattone quel capitale che parrà a' superiori; se no, sia pure stracciata ed abbruciata la mia scrittura, ch'io non intendo o pretendo di guadagnarne frutto alcuno che non fusse pio e cattolico. E di più, ben che molte delle cose che io noto le abbia sentite con i proprii orecchi, liberamente ammetto e concedo a chi l'ha dette che dette non l'abbia, se così gli piace, confessando poter essere ch'io abbia frainteso; e però quando rispondo non sia detto per loro, ma per chi avesse quella opinione.
Il motivo, dunque, che loro producono per condennar l'opinione della mobilità della Terra e stabilità del Sole, è, che leggendosi nelle Sacre lettere, in molti luoghi, che il Sole si muove e che la Terra sta ferma, né potendo la Scrittura mai mentire o errare, ne séguita per necessaria conseguenza che erronea e dannanda sia la sentenza di chi volesse asserire, il Sole esser per se stesso immobile, e mobile la Terra.
Sopra questa ragione parmi primieramente da considerare, essere e santissimamente detto e prudentissimamente stabilito, non poter mai la Sacra Scrittura mentire, tutta volta che si sia penetrato il suo vero sentimento; il qual non credo che si possa negare essere molte volte recondito e molto diverso da quello che suona il puro significato delle parole. Dal che ne séguita, che qualunque volta alcuno, nell'esporla, volesse fermarsi sempre nel nudo suono literale, potrebbe, errando esso, far apparir nelle Scritture non solo contradizioni e proposizioni remote dal vero, ma gravi eresie e bestemmie ancora: poi che sarebbe necessario dare a Iddio e piedi e mani e occhi, non meno affetti corporali ed umani, come d'ira, di pentimento, d'odio, ed anco tal volta la dimenticanza delle cose passate e l'ignoranza delle future; le quali proposizioni, sì come, dettante lo Spirito Santo, furono in tal guisa profferite da gli scrittori sacri per accomodarsi alla capacità del vulgo assai rozzo e indisciplinato, così per quelli che meritano d'esser separati dalla plebe è necessario che i saggi espositori ne produchino i veri sensi, e n'additino le ragioni particolari per che e' siano sotto cotali parole profferiti: ed è questa dottrina così trita e specificata appresso tutti i teologi, che superfluo sarebbe il produrne attestazione alcuna.
Di qui mi par di poter assai ragionevolmente dedurre, che la medesima Sacra Scrittura, qualunque volta gli è occorso di pronunziare alcuna conclusione naturale, e massime delle più recondite e difficili ad esser capite, ella non abbia pretermesso questo medesimo avviso, per non aggiugnere confusione nelle menti di quel medesimo popolo e renderlo più contumace contro a i dogmi di più alto misterio. Perché se, come si è detto e chiaramente si scorge, per il solo rispetto d'accomodarsi alla capacità popolare non si è la Scrittura astenuta di adombrare principalissimi pronunziati, attribuendo sino all'istesso Iddio condizioni lontanissime e contrarie alla sua essenza, chi vorrà asseverantemente sostenere che l'istessa Scrittura, posto da banda cotal rispetto, nel parlare anco incidentemente di Terra, d'acqua, di Sole o d'altra creatura, abbia eletto di contenersi con tutto rigore dentro a i puri e ristretti significati delle parole? E massime nel pronunziar di esse creature cose non punto concernenti al primario instituto delle medesime Sacre Lettere, ciò è al culto divino ed alla salute dell'anime, e cose grandemente remote dalla apprensione del vulgo.
Stante, dunque, ciò, mi par che nelle dispute di problemi naturali non si dovrebbe cominciare dalle autorità di luoghi delle Scritture, ma dalle sensate esperienze e dalle dimostrazioni necessarie: perché, procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima essecutrice de gli ordini di Dio; ed essendo, di più, convenuto nelle Scritture, per accomodarsi all'intendimento dell'universale, dir molte cose diverse, in aspetto e quanto al nudo significato delle parole, dal vero assoluto; ma, all'incontro, essendo la natura inesorabile ed immutabile, e mai non trascendente i termini delle leggi impostegli, come quella che nulla cura che le sue recondite ragioni e modi d'operare sieno o non sieno esposti alla capacità degli uomini; pare che quello degli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone dinanzi a gli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio, non che condennato, per luoghi della Scrittura che avessero nelle parole diverso sembiante; poi che non ogni detto della Scrittura è legato a obblighi così severi com'ogni effetto di natura, né meno eccelentemente ci si scuopre Iddio negli effetti di natura che ne' sacri detti delle Scritture: il che volse per avventura intender Tertulliano in quelle parole: "Nos definimus, Deum primo natura cognoscendum, deinde doctrina recognoscendum: natura, ex operibus; doctrina, ex praedicationibus."
Ma non per questo voglio inferire, non doversi aver somma considerazione de i luoghi delle Scritture Sacre; anzi, venuti in certezza di alcune conclusioni naturali, doviamo servircene per mezi accomodatissimi alla vera esposizione di esse Scritture ed all'investigazione di quei sensi che in loro necessariamente si contengono, come verissime e concordi con le verità dimostrate. Stimerei per questo che l'autorità delle Sacre Lettere avesse avuto la mira a persuadere principalmente a gli uomini quegli articoli e proposizioni, che, superando ogni umano discorso, non potevano per altra scienza né per altro mezzo farcisi credibili, che per la bocca dell'istesso Spirito Santo: di più, che ancora in quelle proposizioni che non sono de Fide l'autorità delle medesime Sacre Lettere deva esser anteposta all'autorità di tutte le Scritture umane, scritte non con metodo dimostrativo, ma o con pura narrazione o anco con probabili ragioni, direi doversi reputar tanto convenevole e necessario, quanto l'istessa divina sapienza supera ogni umano giudizio e coniettura. Ma che quell'istesso Dio che ci ha dotati di sensi, di discorso e d'intelletto, abbia voluto, posponendo l'uso di questi, darci con altro mezo le notizie che per quelli possiamo conseguire, sì che anco in quelle conclusioni naturali, che o dalle sensate esperienze o dalle necessarie dimostrazioni ci vengono esposte innanzi a gli occhi e all'intelletto, doviamo negare il senso e la ragione, non credo che sia necessario il crederlo, e massime in quelle scienze delle quali una minima particella solamente, ed anco in conclusioni divise, se ne legge nella Scrittura; quale appunto è l'astronomia, di cui ve n'è così piccola parte, che non vi si trovano né pur nominati i pianeti, eccetto il Sole e la Luna, e duna o due volte solamente, Venere, sotto nome di Lucifero. Però se gli scrittori sacri avessero avuto pensiero di persuadere al popolo le disposizioni e movimenti de' corpi celesti, e che in conseguenza dovessimo noi ancora dalle Sacre Scritture apprender tal notizia, non ne avrebbon, per mio credere, trattato così poco, che è come niente in comparazione delle infinite conclusioni ammirande che in tale scienza si contengono e si dimostrano. Anzi, che non solamente gli autori delle Sacre Letter non abbino preteso d'insegnarci le costituzioni e movimenti de' cieli e delle stelle, e loro figure, grandezze e distanze, ma che a bello studio, ben che tutte queste cose fussero a loro notissime, se ne sieno astenuti, è opinione di santissimi e dottissimi Padri: ed in sant'Agostino si leggono le seguenti parole: "Quaeri etiam solet, quae forma et figura caeli esse credenda sit secundum Scripturas nostras: multi enim multum disputant de iis rebus, quas maiore prudentia nostri authores omiserunt, ad beatam vitam non profuturas discentibus, et occupantes (quod peius est) multum prolixa et rebus salubribus impedenda temporum spatia. Quid enim ad me pertinet, ultram caelum, sicut sphera, undique concludat Terram, in media mundi mole libratam, an eam ex una parte desuper, velut discus, operiat? Sed quia de fide agitur Scripturarum, propter illam causam quam non semel commemoravi, ne scilicet quisquam, eloquia divina non intelligens, cum de his rebus tale aliquid vel invenerit in libris nostris vel ex illis audierit quod perceptis assertionibus adversari videatur, nullo modo eis caetera utilia monentibus vel narrantibus vel pronunciantibus credat; breviter dicendum est, de figura caeli hoc scisse authores nostros quod veritas habet, sed Spiritum Dei, qui per ipsos loquebatur, noluisse ista docere homines, nulli saluti profutura."
E pur l'istesso disprezzo avuto da' medesimi scrittori sacri nel determinar quello che si deva credere di tali accidenti de' corpi celesti ci vien nel seguente cap. 10 replicato dal medesimo Sant'Agostino, nella quistione, se si deva stimare che 'l cielo si muova o pure stia fermo, scrivendo così: "De motu etiam caeli nonnulli fratres quaestionem movent, utrum stets an moveatur: quia si movetur, inquiunt, quomodo firmamentum est? Si autem stat, quomodo sydera, quae in ipso fixa creduntur, ab oriente usque ad occidentem circumeunt, septentrionalibus breviores gyros iuxta cardinem peragentibus, ut caelum, si est alius nobis occultus cardo ex alio vertice, sicut sphera, si autem nullus alius cardo est, veluti discus, rotari videatur? Quibus respondeo, multum subtilibus et laboriosis ista perquiri, ut vere percipiatrur utrum ita an non ita sit; quibus ineundis atque tractandis nec mihi iam tempus est, nec illis esse debet quos ad salutem suam et Sanctae Ecclesiae necessariam utilitatem cupimus informari."
Dalle quali cose descendendo più al nostro particolare, ne séguita per necessaria conseguenza, che non avendo voluto lo Spirito Santo insegnarci se il cielo si muova o stia fermo, né la sua figura sia in forma di sfera o di disco o distesa in piano, né se la Terra sia contenuta nel centro di esso o da una banda, non avrà manco avuto intenzione di renderci certi di altre conclusioni dell'istesso genere, e collegate in maniera con le pur ora nominate, che senza la determinazion di esse non se ne può asserire questa o quella parte; quali sono il determinar del moto e della quiete di essa Terra e del Sole.
E se l'istesso Spirito Santo a bello studio ha pretermesso d'insegnarci simili proposizioni, come nulla attenenti alla sua intenzione, ciò è alla nostra salute, come si potrà adesso affermare, che il tener di esse questa parte, e non quella, sia tanto necessario che l'una sia de Fide, e l'altra erronea? Potrà, dunque essere un'opinione eretica, e nulla concernente alla salute dell'anime? o potrà dirsi, aver lo Spirito Santo voluto non insegnarci cosa concernente alla salute? Io qui direi che quello che intesi da persona ecclesiastica costituita in eminentissimo grado, ciò è l'intenzione delle Spirito Santo essere d'insegnarci come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo.
Ma torniamo a considerare, quanto nelle conclusioni naturali si devono stimar le dimostrazioni necessarie e le sensate esperienze, e di quanta autorità le abbino reputate i dotti e i santi teologici; da i quali, tra cent'altre attestazioni, abbiamo le seguenti: "Illud etiam diligenter cavendum et omnino fugiendum est, ne in tractanda Mosis doctrina quidquam affirmate et asseveranter sentiamus et dicamus, quod repugnet manifestis experimentis et rationibus philosopiae vel aliarum disciplinarum: namque, cum verum omne semper cum vero congruat, non potest veritas Sacrarum Literarum veris rationibus et experimentis humanarum doctrinarum esse contraria". Ed appresso sant'Agostino si legge: "Si manifestae certaeque rationi velut Santarum Scripturarum obiicitur authoritas, non intelligit qui hoc facit; et non Scripturae sensum, ad quem penetrare non potuit, sed suum potius, obiicit veritati; nec quod in ea, sed in ipso, velut pro ea, invenit, opponit."
Stante questo, ed essendo, come si è detto, che due verità non possono contrariarsi, è officio de' saggi espositori affaticarsi per penetrare i veri sensi de' luoghi sacri, che indubitabilmente saranno concordanti con quelle conclusioni naturali, delle quali il senso manifesto e le dimostrazioni necessarie ci avessero prima resi certi e sicuri. Anzi, essendo, come si è detto, che le Scritture per l'addotte cagioni ammettono in molti luoghi esposizioni lontane dal significato delle parole, e, di più, non potendo noi con certezza asserire che tutti gl'interpreti parlino inspirati divinamente, poi che, se così fusse, niuna diversità sarebbe tra di loro circa i sensi de' medesimi luoghi, crederei che fusse molto prudentemente fatto se non si permettesse ad alcuno impegnare i luoghi della Scrittura ed in certo modo obligargli a dover sostener per vere queste o quelle conclusioni naturali, delle quali una volta il senso e le ragioni dimostrative e necessarie ci potessero manifestare il contrario. E chi vuol por termine alli umani ingegni? Chi vorrà asserire, già essersi veduto e saputo tutto quello che è al mondo di sensibile e di scibile? Forse quelli che in altre occasioni confesseranno (e con gran verità) che ea quae scimus sunt minima pars eorum quae ignoramus? Anzi pure, se noi abbiamo dalla bocca dell'istesso Spirito Santo, che Deus tradidit mundum disputationi eorum, ut non inveniat homo opus quod operatus est Deus ab initio ad finem, non si dovrà, per mio parere, contradicendo a tal sentenza, precluder la strada al libero filosofare circa le cose del mondo e della natura, quasi che elleno sien di già state con certezza ritrovate e palesate tute. Né si dovrebbe stimar temerità il non si quietare nelle opinioni già state quasi comuni, né dovrebb'esser chi prendesse a sdegno se alcuno non aderisce in dispute naturali a quell'opinione che piace loro, e massime intorno a problemi stati già migliaia d'anni controversi tra filosofi grandissimi, quale è la stabilità del sole e mobilità della Terra: opinione tenuta da Pittagora, e da tutta la sua setta, e da Eraclide Pontico, il quale fu dell'istessa opinione, da Filolao maestro di Platone, e dall'istesso Platone, come riferisce Aristotile, e del quale scrive Plutarco nella vita di Numa, che esso Platone già fatto vecchio diceva, assurdissima cosa essere il tenere altramente. L'istesso fu creduto da Aristarco Samio, come abbiamo appresso Archimede, da Seleuco matematico, da Niceta filosofo, referente Cicerone, e da molti altri, e finalmente ampliata e con molte osservazioni e dimostrazioni confermata da Niccolò Copernico. E Seneca, eminentissimo filosofo, nel libro De cometis ci avvertisce, doversi con grandissima diligenza cercar di venire in certezza, se sia il cielo o la Terra in cui risegga la diurna conversione.
E per questo, oltre agli articoli concernenti alla salute ed allo stabilimento della Fede, contro la fermezza de' quali non è pericolo alcuno che possa insurgere mai dottrina valida ed efficace, non saria forse se non saggio ed util consiglio il non ne aggregar altri senza necessità: e se così è, disordine veramente sarebbe l'aggiugnergli a richiesta di persone, le quali, oltre che noi ignoriamo se parlino inspirate da celeste virtù, chiaramente vediamo che in esse si potrebbe desiderare quella intelligenza che sarebbe necessaria prima a capire, e poi a redarguire, le dimostrazioni con le quali le acutissime scienze procedono nel confermare simili conclusioni. Ma più direi, quando mi fusse lecito produrre il mio parere, che forse più converrebbe al decoro ed alla maestà di esse Sacre Lettere il provvedere che non ogni leggiero e vulgare scrittore potesse, per autorizzar sue composizioni, bene spesso fondate sopra vane fantasie, spargervi luoghi della Scrittura Santa, interpetrati, o più presto stiracchiati, in sensi tanto remoti dall'intenzione retta di essa Scrittura, quanto vicini alla derisione di coloro che non senza qualche ostentazione se ne vanno adornando. Esempli di tale abuso se ne potrebbono addur molti: ma voglio che mi bastino due, non remoti da queste materie astronomiche. L'uno de' quali sieno le scritture che furon pubblicate contro a i pianeti Medicei, ultimamente da me scoperti, contro la cui esistenza furono opposti molti luoghi della Sacra Scrittura: ora che i pianeti si fanno veder da tutto il mondo, sentirei volentieri con quali nuove interpretazioni vien da quei medesimi oppositori esposta la Scrittura, e scusata la lor semplicità. L'altro esempio sia di quello che pur nuovamente ha stampato contro a gli astronomi e filosofi, che la Luna non altramente riceve lume dal Sole, ma è per se stessa splendida; la qual immaginazione conferma in ultimo, o, per meglio dire, si persuade di confermare, con varii luoghi della Scrittura, li quali gli par che non si potessero salvare, quando la sua opinione non fusse vera e necessaria. Tutta via, che la Luna sia per se stessa tenebrosa, è non men chiaro che lo splendor del Sole.
Quindi resta manifesto che tali autori, per non aver penetrato i veri sensi della Scrittura, l'avrebbono, quando la loro autorità fosse di gran momento, posta in obligo di dover costringere altrui a tener per vere, conclusioni repugnanti alle ragioni manifeste ed al senso: abuso che Deus avertat che andasse pigliando piede o autorità, perché bisognerebbe vietar in breve tempo tutte le scienze speculative; perché, essendo per natura il numero degli uomini poco atti ad intendere perfettamente le Scritture Sacre e l'altre scienze maggiore assai del numero degl'intelligenti, quelli, scorrendo superficialmente le Scritture, si arrogherebbono autorità di poter decretare sopra tutte le questioni della natura, in vigore di qualche parola mal intesa da loro ed in altro proposito prodotta dagli scrittori sacri: né potrebbe il piccol numero degl'intendenti reprimer il furioso torrente di quelli, i quali troverebbono tanti più seguaci, quanto il potersi far reputar sapienti senza studio e senza fatica è più soave che il consumarsi senza riposo intorno alle discipline laboriosissime. Però grazie infinite doviamo render a Dio benedetto, il quale per sua benignità ci spoglia di questo timore, mentre spoglia d'autorità simil sorte di persone, riponendo il consultare, risolvere e decretare sopra determinazioni tanto importanti nella somma sapienza e bontà di prudentissimi padri e nella suprema autorità di quelli, che, scorti dallo Spirito Sabnto non possono se non santamente ordinare, permettendo che della leggerezza di quelli altri non sia fatto stima. Questa sorte d'uomini, per mio credere, son quelli contro i quali, non senza ragione, si riscaldano i gravi e santi scrittori, e de i quali in particolare scrive San Girolamo: "Hanc" (intendendo della Scrittura Sacra) "garrula anus, hanc delirus senex, hanc sophista verbosus, hanc universi praesumunt, lacerant, docent antequam discant. Alii, adducto supercilio, grandia verba trutinantes, inter mulierculas de Sacris Literis philosophantur; alii discunt, proh pudor, a faeminis quod viros doceant, et, ne parum hoc sit, quadam facilitate verborum, imo audacia, edisserunt aliis quod ipsi non intelligunt. Taceo de mei similibus, qui, si forte ad Scriputras Sanctas post seculares literas venerint, et sermone composito aurem populi mulserint, quidquid dixerint, hoc legem Dei putant, nec scire dignantur quid Prophetae quid Apostoli senserint, sed ad sensum suum incongrua aptant testimonia; quasi grande sit, et non vitiosissimum docendi genus, depravare sententias, et ad voluntatem suam Scripturam trahere repugnantem."
Io non voglio metter nel numero di simili scrittori secolari alcuni teologi, riputati da me per uomini di profonda dottrina e di santissimi costumi, e per ciò tenuti in grande stima e venerazione; ma non posso già negare di non rimaner con qualche scrupolo, ed in conseguenza con desiderio che mi fusse rimosso, mentre sento che essi pretendono di poter costringere altri, con l'autorità della Scrittura, a seguire in dispute naturali quella opinione che pare a loro che più consuoni con i luoghi di quella, stimandosi insieme di non essere in obbligo di solvere le ragioni o esperienze in contrario. In esplicazione e confirmazione del qual lor parere, dicono che essendo la teologia regina di tutte le scienze, non deve in conto alcuno abbassarsi per accomodarsi a' dogmi dell'altre men degne ed a lei inferiori, ma sì ben l'altre devono riferirsi ad essa, come a suprema imperatrice, e mutare ed alterar le lor conclusioni conforme alli statuti e decreti teologicali: e più aggiungono che quando nell'inferiore scienza si avesse alcuna conlusione per sicura, in vigor di dimostrazioni o di esperienze, alla quale si trovassi nella Scrittura altra conclusione repugnante, devono gli stessi professori di quella scienza procurar per se medesimi di quella scienza procurare per se medesimi di scioglier le lor dimostrazioni e scoprir le fallacie delle proprie esperienze, senza ricorrere a i teologi e scritturali; non convenendo, come si è detto, alla dignità della teologia abbassarsi all'investigazione delle fallacie delle scienze soggette, ma solo bastando a lei il determinargli la verità della conclusione, con l'assoluta autorità e con la sicurezza di non poter errare. Le conclusioni poi naturali nelle quali dicon essi che noi doviamo fermarci sopra la Scrittura, senza glosarla o interpretarla in sensi diversi dalle parole, dicono essere quelle delle quali la Scrittura parla sempre nel medesimo modo, e i Santi Padri tutti nel medesimo sentimento le ricevono ed espongono. Ora intorno a queste determinazioni mi accascano da considerare alcuni particolari, li quali proporrò per esserne reso cauto da chi più di me intende di queste materie, al giudizio de' quali io sempre mi sottopongo.
E prima, dubiterei che potesse cader qualche poco di equivocazione, mentre che non si distinguessero le preminenze per le quali la sacra teologia è degna del titolo di regina. Imperò che ella potrebbe esser tale, o vero perché quello che da tutte l'altre scienze viene insegnato, si trovasse compreso e dimostrato in lei, ma con mezi più eccellenti e con più sublime dottrina, nel modo che, per essempio, le regole del misurare i campi e del conteggiare molto più eminentemente si contengono nell'aritmetica e geometria d'Euclide, che nelle pratiche degli agrimensori e de' computisti; o vero perché il suggetto, intorno al quale si occupa la teologia, superasse di dignità tutti gli altri suggetti che son materia dell'altre scienze, ed anco perché i suoi insegnamenti procedessero con mezi più sublimi. Che alla teologia convenga il titolo e la autorità regia nella prima maniera, non credo che poss'essere affermato per vero da quei teologi che avranno qualche pratica nell'altre scienze; de' quali nissuno crederò io che dirà che molto più eccellente ed esattamente si contenga la geometria, la astronomia, la musica e la medicina ne' libri sacri, che in Archimede, in Tolommeo, in Boezio ed in Galeno. Però pare che la regia sopreminenza se gli deva nella seconda maniera, ciò è per l'altezza del suggetto, e per l'ammirabil insegnamento delle divine revelazioni in quelle conclusioni che per altri mezi non potevano dagli uomini esser comprese e che sommamente concernono all'acquisto dell'eterna beatitudine. Ora, se la teologia, occupandosi nell'altissime contemplazioni divine e risedendo per dignità nel trono regio, per lo che ella è fatta di somma autorità, non discende alle più basse ed umili speculazioni delle inferiori scienze, anzi, come di sopra si è dichiarato, quelle non cura, come non concernenti alla beatitudine, non dovrebbono i ministri e i professori di quella arrogarsi autorità di decretare nelle professioni non essercitate né studiate da loro; perché questo sarebbe come se un principe assoluto, conoscendo di poter liberamente comandare e farsi ubbidire, volesse, non essendo egli né medico né architetto, che si medicasse e fabbricasse a modo suo, con grave pericolo della vita de' miseri infermi, e manifesta rovina degli edifizi.
Il comandar poi a gli stessi professori d'astronomia, che procurino per lor medesimi di cautelarsi contro alle proprie osservazioni e dimostrazioni, come quelle che non possino esser altro che fallacie e sofismi, è un comandargli cosa più che impossibile a farsi; perché non solamente se gli comanda che non vegghino quel che e' veggono e che non intendino quel che gl'intendono, ma che, cercando, trovino il contrario di quello che gli vien per le mani. Però, prima che far questo, bisognerebbe che fusse lor mostrato il modo di far che le potenze dell'anima si comandassero l'una all'altra, e le inferiori alle superiori, sì che l'immaginativa e la volontà potessero e volessero credere il contrario di quel che l'intelletto intende (parlo sempre delle proposizioni pure naturali e che non sono de Fide, e non delle sopranaturali e de Fide). Io vorrei pregar questi prudentissimi Padri, che volessero con ogni diligenza considerare la differenza che è tra le dottrine opinabili e le dimostrative; acciò, rappresentandosi bene avanti la mente con qual forza stringhino le necessarie illazioni, si accertassero maggiormente come non è in potestà de' professori delle scienze demostrative il mutar l'opinioni a voglia loro, applicandosi ora a questa ed ora a quella, e che gran differenza è tra il comandare a un matematico o a un filosofo e 'l disporre un mercante o un legista, e che non con, l'istessa facilità si possono mutare le conclusioni dimostrate circa le cose della natura e del cielo, che le opinioni circa a quello che sia lecito o no in un contratto, in un censo, in un cambio. Tal differenza è stata benissimo conosciuta da i Padri dottissimi e santi, come l'aver loro posto grande studio in confutar molti argumenti, o, per meglio dire, molte fallacie filosofiche ci manifesta, e come espressamente si legge appresso alcuni di loro; ed in patrticolare aviamo in sant'Agostino le seguenti parole: "Hoc indubitanter tenendum est, ut quicquid sapientes huius mundi de natura rerum veraciter demonstrare potuerint, ostendamus nostris Literis non esse contrarium; quicquid autem illi in suis voluminibus contrarium Sacris Literis docent, sine ulla dubitatione credamus id falsissimum esse, et, quoquomodo possumus, etiam ostendamus; atque ita teneamus fidem Domini nostri, in quo sunt absconditi omnes theasuri sapientae, ut neque falsae philosophiae loquacitate seducamur, neque simulatae religionis superstitione terreamur."
Dalle quali parole mi par che si cavi questa dottrina, cioè che nei libri de' sapienti di questo mondo si contenghino alcune cose della natura dimostrate veracemente, ed altre semplicemente insegnate; e che, quanto alle prime, sia ofizio de' saggi teologi mostrare che le non son contrarie alle Sacre Scritture; quanto all'altre, insegnate ma non necessariamente dimostrate, se vi sarà cosa contraria alle Sacre Lettere, si deve stimare che sia indubitatamente falsa, e tale in ogni possibil modo si deve dimostrare. Se, dunque, le conclusioni naturali, dimostrate veracemente, non si hanno a posporre a i luoghi della Scrittura, ma sì ben dichiarare come tali luoghi non contrariano ad esse conclusioni, adunque bisogna, prima che condannare una proposizion naturale, mostrar ch'ella non sia dimostrata necessariamente: e questo devon fare non quelli che la tengon per vera, ma quelli che la stiman falsa; e ciò par molto ragionevole e conforme alla natura; ciò è che molto più facilmente sien per trovar le fallacie in un discorso quelli che lo stiman falso, che quelli che lo reputan vero e concludente; anzi in questo particolare accadrà che i seguaci di questa opinione, quanto più andran rivolgendo le carte, esaminando le ragioni, replicando l'osservazione e riscontrando l'esperienze, tanto più si confermino in questa credenza. E l'Altezza Vostra sa quel che occorse al matematico passato dello Studio di Pisa, che messosi nella sua vecchiezza a vedere la dottrina del Copernico con speranza di poter fondatamente confutarla (poi che in tanto la reputava falsa, in quanto non l'aveva mai veduta), gli avvenne, che non prima restò capace de' suoi fondamenti, progressi e dimostrazioni, che ei si trovò persuaso, e d'impugnatore ne divenne saldissimo mantenitore. Potrei anco nominargli altri matematici, i quali, mossi da gli ultimi miei scoprimenti, hanno confessato esser necessario mutare la già concepita costituzione del mondo, non potendo in conto alcuno più sussistere.
Se per rimuover dal mondo questa opinione e dottrina batasse il serrar la bocca ad un solo, come forse si persuadono quelli che, misurando i giudizi degli altri co 'l loro proprio, gli par impossibile che tal opinione abbia a sussistere e trovar seguaci, questo sarebbe facilissimo a farsi; ma il negozio cammina altramente; perché, per eseguire una tal determinazione, sarebbe necessario proibir non solo il libro del Copernico e gli scritti degli altri autori che seguono l'istessa dottrina, ma bisognerebbe interdire tutta la scienza d'astronomia intiera, e più, vietar a gli uomini guardare verso il cielo, acciò non vedessero Marte e Venere or vicinissimi alla terra or remotissimi con tanta differenza che questa si scorge 40 volte, e quello fa 60, maggior una volta che l'altra, ed acciò che la medesima Venere non si scorgesse or rotonda or falcata con sottilissime corna, e molte altre sensate osservazioni, che in modo alcuno non si possono adattare al sistema Tolemaico, ma son saldissimi argumenti del Copernicano. Ma il proibire il Copernico, ora che per molte nuove osservazioni e per l'applicazione di molti literati alla sua lettura si va di giorno in giorno scoprendo più vera la sua posizione e ferma la sua dottrina, avendol'ammesso per tanti anni mentre egli era men seguito e confermato, parrebbe, a mio giudizio, un contravvenire alla verità, e cercar tanto più di occultarla e supprimerla, quanto più ella si dimostra palese e chiara. Il non abolire interamente tutto il libro, ma solamente dannar per erronea questa particolar proposizione, sarebbe, s'io non m'inganno, detrimento maggior per l'anime, lasciandogli occasione di veder provata una proposizione, la qual fusse poi peccato il crederla. Il proibir tutta la scienza, che altro sarebbe che un reprovar cento luoghi delle Sacre Lettere, i quali ci insegnano come la gloria e la grandezza del sommo Iddio mirabilmente si scorge in tutte le sue fatture, e divinamente si legge nell'aperto libro del cielo? Né sia chi creda che la lettura degli altissimi concetti, che sono scritti in quelle carte, finisca nel solo veder lo splendor del Sole e delle stelle e 'l lor nascere ed ascondersi, che è il termine sin dove penetrano gli occhi dei bruti e del vulgo; ma vi son dentro misteri tantro profondi e concetti tanto sublimi, che le vigilie, le fatiche e gli studi di cento e cento acutissimi ingegni non gli hanno ancora interamente penetrati con l'investigazioni continuate per migliaia e migliaia d'anni. E credino pure gli idioti che, sì come quello che gli occhi loro comprendono nel riguardar l'aspetto esterno d'un corpo umano è piccolissima cosa in comparazione de gli ammirandi artifizi che in esso ritrova un esquisito e diligentissimo anatomista e filosofo, mentre va investigando l'uso di tanti muscoli, tendini, nervi ed ossi, esaminando gli offizi del cuore e de gli altri membri principali, ricercando le sedi delle facultà vitali, osservando le maravigliose strutture de gli strumenti de' sensi, e, senza finir mai di stupirsi e di appagarsi, contemplando i ricetti dell'immaginazione, della memoria e del discorso; così quello che 'l puro senso della vista rappresenta, è come nulla in proporzion de' l'alte meraviglie che, mercé delle lunghe ed accurate osservazioni, l'ingegno degl'intelligenti scorge nel cielo. E questo è quanto mi occorre considerare circa a questo particolare.
Quanto poi a quello che soggiungono, che quelle proposizioni naturali delle quali la Scrittura pronunzia sempre l'istesso e che i Padri tutti concordemente nell'istesso senso ricevono, debbino esser intese conforme al nudo significato delle parole, senza glose e interpretazioni, e ricevute e tenute per verissime, e che in conseguenza, per esser tale la mobilità del Sole e la stabilità della Terra, sia de Fide il tenerle per vere, ed erronea l'opinion contraria; mi occorre di considerar, prima, che delle proposizioni naturali alcune sono delle quali, con ogni umana specolazione e discorso, solo se ne può conseguire più presto qualche probabile opinione e verisimil coniettura, che una sicura e dimostrata scienza, come, per esempio, se le stelle sieno animate; altre sono, delle quali o si ha, o si può credere fermamente che aver si possa, con esperienze, con lunghe osservazioni e con necessarie dimostrazioni, indubitata certezza, quale è, se la Terra e 'l Sole si muovino o no, se la Terra sia sferica o no. Quanto alle prime, io non dubito punto che dove gli umani discorsi non possono arrivare, e che di esse per conseguenza non si può avere scienza, ma solamente opinione e fede, piamente convenga conformarsi assolutamente col puro senso della Scrittura. Ma quanto alle altre, io crederei, come di sopra si è detto, che prima fosse d'accertarsi del fatto, il quale ci scorgerebbe al ritrovamento de' veri sensi delle Scritture, li quali assolutamente si troverebbero concordi col fatto dimostrato, ben che le parole nel primo aspetto sonassero altramente; poi che due veri non possono mai contrariarsi. E questa mi par dottrina tanto retta e sicura, quanto io la trovo scritta puntualmente in sant'Agostino, il quale, parlando a punto della figura del cielo e quale essa si deve credere essere, poi che pare che quel che ne affermano gli astronomi sia contrario alla Scrittura, stimandola quegli rotonda, e chiamandola la scrittura distesa come una pelle, determina che niente si ha da curar che la Scrittura contrarii a gli astronomi, ma credere alla sua autorità, se quello che loro dicono sarà falso e fondato solamente sopra conietture dell'infirmità umana; ma se quello che loro affermano fosse provato con ragioni indubitabili, non dice questo Santo Padre che si comandi a gli astronomi che lor medesimi, solvendo le lor dimostrazioni, dichiarino la lor conclusione per falsa, ma dice che si deve mostrare che quello che è detto nella Scrittura della pelle, non è contario a quelle vere dimostrazioni. Ecco le sue parole: "Sed ait aliquis: Quomodo non est contrarium iis qui figuram spherae caelo tribuunt, quod scriptum est in libris nostris, Qui extendit caelum sicut pellem? Sit sane contarium, si falsum est quod illi dicunt; hoc enim verum est, quod divina dicit authoritas, potius quam illud quod humana infirmitas coniicit. Sed si forte illud talibus illi documentis probare potuerint, ut dubitari inde non debeat, demonstrandum est, hoc quod apud nos est de pelle dictum, veris illis rationibus non esse contrarium." Segue poi di ammonirci che noi non doviamo esser meno osservanti in concordare un luogo della Scrittura con una proposizione naturale dimostrata, che con un altro luogo della Scrittura che sonasse il contrario. Anzi mi par degna d'esser ammirata ed immitata la circuspezzione di questo Santo, il quale anco nelle conclusioni oscure, e delle quali si può esser sicuri che non se ne possa avere scienza per dimostrazioni umane, va molto riservato nel determinar quello che si deva credere, come si vede da quello che egli scrive nel fine del 2° libro De Genesi ad literam, parlando se le stelle sieno da credersi animate: "Quod licet in praesenti facile non possit conpraehendi, arbitror tamen, in processu tractandarum Scripturarum opportuniora loca posse occurrere, ubi nobis de hac re secundum sanctae authoritatis literas, etsi non ostendere certum aliquid, tamen credere, licebit. Nunc autem, servata semper moderatione piae gravitatis, nihil credere de re obscura temere debemus, ne forte quod postea veritas patefecerit, quamvis libris sanctis, sive Testamenti Veteris sive Novi, nullo modo esse possit adversum, tamen propter amorem nostri erroris oderimus."
Di qui e da altri luoghi parmi, s'io non m'inganno, la intenzione de' Santi Padri esser, che nelle quistioni naturali e che non son de Fide prima si deva considerar se elle sono indubitabilmente dimostrate o con esperienze sensate conosciute, o vero se una tal cognizione e dimostrazione aver si possa: la quale ottenendosi, ed essendo ella ancora dono di Dio, si deve applicare all'investigazione de' veri sensi delle Sacre Lettere in quei luoghi che in apparenza mostrassero di sonar diversamente; i quali indubitatamente saranno penetrati da' sapienti teologi, insieme con le ragioni per che lo Spirito Santo gli abbia volsuti tal volta, per nostro essercizio o per altra a me recondita ragione, velare sotto parole di significato diverso.
Quanto all'altro punto, riguardando noi al primario scopo di esse Sacre Lettere, non crederei che l'aver loro sempre parlato nell'istesso senso avesse a perturbar questa regola; perché, se occorrendo alla Scrittura, per accomodarsi alla capacità del vulgo, pronunziare una volta una proposizione con parole di sentimento diverso dalla essenza di essa proposizione; perché non dovrà ella aver osservato l'istesso, per l'istesso rispetto, quante volte gli occorreva la medesima cosa? Anzi mi pare che 'l fare altramente averebbe cresciuta la confusione, e scemata la credulità nel popolo. Che poi della quiete o movimento del Sole e della Terra fosse necessario, per accomodarsi alla capacità popolare, asserirne quello che suonan le parole della Scrittura, l'esperienza ce lo mostra chiaro: poi che anco all'età nostra popolo assai men rozo vien mantenuto nell'istessa opinione da ragioni che, ben ponderate ed essaminate, si troveranno esser frivolissime, ed esperienze o in tutto false o totalmente fuori del caso; né si può pur tentar di rimuoverlo, non sendo capace delle ragioni contrarie, dependenti da troppo esquisite osservazioni e sottili dimostrazioni, appoggiate sopra astrazioni, che ad esser concepite richieggon troppo gagliarda imaginativa. Per lo che, quando bene appresso i sapienti fusse più che certa e dimostrata la stabilità del Sole e 'l moto della Terra, bisognerebbe ad ogni modo, per mantenersi il credito appresso il numerosissimo volgo, proferire il contrario; poi che de i mille uomini vulgari che venghino interrogati sopra questi particolari, forse non se ne troverà uno solo, che non risponda, parergli, e così creder per fermo, che 'l Sole si muova e che la Terra stia ferma. Ma non però deve alcun prendere questo comunissimo assenso popolare per argumento della verità di quel che viene asserito; perché se noi interrogheremo gli stessi uomini delle cause e motivi per i quali e' credono in quella maniera, ed, all'incontro, ascolteremo quali esperienze e dimostrazioni induchino quegli altri pochi a creder il contrario, troveremo questi esser persuasi da saldissime ragioni, e quelli da semplicissime apparenze e rincontri vani e ridicoli.
Che dunque fosse necessario attribuire al Sole il moto, e la quiete alla Terra, per non confonder la poca capacità del vulgo e renderlo renitente e contumace nel prestar fede a gli articoli principali e che sono assolutamente de Fide, è assai manifesto: e se così era necessario a farsi, non è punto da meravigliarsi che così sia stato con somma prudenza esseguito nelle divine Scritture. Ma più dirò, che non solamente il rispetto dell'incapacità del Vulgo, ma la corrente opinione di quei tempi, fece che gli scrittori sacri nelle cose non necessarie alla beatitudine più si accomodorno all'uso ricevuto che alla essenza del fatto. Di che parlando san Girolamo scrive: "Quasi non multa in Scripturis Sanctis dicantur iuxta opinionem illius temporis quo gesta referuntur, et non iuxta quod rei veritas continebat." Ed altrove il medesimo Santo: "Consuetudinis, Scripturarum est, ut opinionem multarum rerum sic narret Historicus, quomodo eo tempore ab omnibus credebatur." E san Tommaso in Iob, al cap. 27, sopra le parole "Qui extendit aquilonem super vacuum, et appendit Terram super nihilum", nota che la Scrittura chiama vacuo e niente lo spazio che abbraccia e circonda la Terra, e che noi sappiamo non esser vòto, ma ripieno d'aria: nulla dimeno, dice egli che la Scrittura, per accomodarsi alla credenza del vulgo, che pensa che in tale spazio non sia nulla, lo chiama vacuo e niente. Ecco le parole di san Tommaso: "Quod de superiori hemisphaerio caeli nihil nobis apparet. nisi saptium äere plenum, quod vulgares homines reputant vacuum: loquitur enim secundum extimationem vulgarium hominum, pro ut est mos in Sacra Scriptura." Ora da questo luogo mi pare che assai chiaramente argumentar si possa, che la Scrittura Sacra, per il medesimo rispetto, abbia avuto più gran cagione di chiamare il Sole mobile e la Terra stabile. Perché, se noi tenteremo la capacità degli uomini vulgari, gli troveremo molto più inetti a restar persuasi della stabilità del Sole e mobilità della Terra, che dell'esser lo spazio, che ci circonda, ripieno d'aria: adunque, se gli autori sacri in questo punto, che non aveva tanta difficoltà appresso la capacità del vulgo ad esser persuaso, nulla dimeno si sono astenuti dal tentare di persuaderglielo, non dovrà parere se non molto ragionevole che in altre proposizioni molto più recondite abbino osservato il medesimo stile.
Anzi, conoscendo l'istesso Copernico qual forza abbia nella nostra fantasia un'invecchiata consuetudine ed un modo di concepir le cose già sin dall'infanzia fattoci familiare, per non accrescer confusione e difficoltà nella nostra astrazione, dopo aver prima dimostrato che i movimenti li quali a noi appariscono esser del sole o del firmamento son veramente della Terra, nel venir poi a ridurgli in tavole ed all'applicargli all'uso, gli va nominando per del Sole e del cielo superiore a i pianeti, chiamando nascere e tramontar del sole, delle stelle, mutazioni nell'obliquità dello zodiaco e variazione ne' punti degli equinozii, movimento medio, anomalia e prostaferesi del Sole, ed altre cose tali, quelle che son veramente della Terra. Ma perché, sendo noi congiunti con lei, ed in conseguenza a parte d'ogni suo movimento, non gli possiamo immediate riconoscere in lei, ma ci convien far di lei relazione a i corpi celesti ne' quali ci appariscono, però gli nominiamo come fatti là dove fatti ci rassembrano. Quindi si noti quanto sia ben fatto l'accomodarsi al nostro più consueto modo d'intendere.
Che poi la comun concordia de' Padri, nel ricever una proposizione naturale dalla Scrittura nel medesimo senso tutti, debba autenticarla in maniera che divenga de Fide il tenerla per tale, crederei che ciò si dovesse al più intender di quelle conclusioni solamente, le quali fussero da essi Padri state discusse e ventilate con assoluta diligenza e disputate per l'una e per l'altra parte, accordandosi poi tutti a reprovar quella e tener questa. Ma la mobilità della Terra e stabilità del Sole non son di questo genere, con ciò sia che tale opinione fosse in quei tempi totalmente sepolta e remota dalle quistioni delle scuole, e non considerata, non che seguita, da veruno: onde si può credere che né pur cascasse concetto a' Padri di disputarla, avendo i luoghi della Scritture, la lor opinione, e l'assenso de gli uomini tutti, concordi nell'istesso parere, senza che si sentisse la contradizione di alcuno. Non basta dunque il dir che i Padri tutti ammettono la stabilità della Terra, etc., adunque il tenerla è de Fide; ma bisogna provar che gli abbino condennato l'opinione contraria; imperò che io potrò sempre dire, che il non avere avuta loro occasione di farvi sopra reflessione e discuterla, ha fatto che l'hanno lasciata ed ammessa solo come corrente, ma non già come resoluta e stabilita. E ciò mi par di poter dir con assai ferma ragione: imperò che o i Padri fecero reflessione sopra questa conclusione come controversa, o no: se no, adunque niente ci potettero, né anco in mente loro, determinare, né deve la loro non curanza mettere in obligo noi a ricevere quei precetti che essi non hanno, né pur con l'intenzione, imposti: ma se ci fecero applicazione e considerazione, già l'averebbono dannata se l'avessero giudicata per erronea; il che non si trova che essi abbino fatto. Anzi, dopo che alcuni teologi l'hanno cominciata a considerare, si vede che non l'hanno stimata erronea, come si legge ne i Comentari di Didaco a Stunica sopra Iob, al c. 9, v. 6, sopra le parole "Qui commovet Terram de loco suo" etc: dove lungamente discorre sopra la posizione Copernicana, e conclude, la mobilità della Terra non esser contro alla Scrittura.
Oltre che io averei qualche dubbio circa la verità di tal determinazione, ciò è se sia vero che la Chiesa obblighi a tenere come de Fide simili conclusioni naturali, insignite solamente di una concorde interpretazione di tutti i Padri: e dubito che poss'essere che quelli che stimano in questa maniera, possin aver desiderato d'ampliar a favor della propria opinione il decreto de' Concilii, il quale non veggo che in questo proposito proibisca altro se non lo stravolger in sensi contrarii a quel di Santa Chiesa o del comun consenso de' Padri quei luoghi solamente che sono de Fide, o attenenti a i costumi, concernenti all'edificazione della dottrina cristiana: e così parla il Concilio Tridentino alla Sessione IV. Ma la mobilità o stabilità della Terra o del Sole non son de Fide né contro a i costumi, né vi è chi voglia scontorcere luoghi della Scrittura per contrariare a Santa Chiesa o a i Padri: anzi chi ha scritta questa dottrina non si è mai servito di luoghi sacri, acciò resti sempre nell'autorità di gravi e sapienti teologi l'interpretar detti luoghi conforme al vero sentimento. E quanto i decreti de' Concilii si conformino co' santi Padri in questi particolari, può esser assai manifesto: poi che tantum abest che si risolvino a ricever per de Fide simili conclusioni naturali o a reprovar come erronee le contrarie opinioni che, più presto avendo riguardo alla primaria intenzione di Santa Chiesa, reputano inutile l'occuparsi in cercar di venir in certezza di quelle. Senta l'Altezza Vostra Serenissima quello che risponde sant'Agostino a quei fratelli che muovono la quistione, se sia vero che il cielo si muova o pure stia fermo: "His respondeo, multum subtilis et laboriosis rationibus ista perquiri, ut vere percipiatur utrum ita an non ita sit: quibus ineundis atque tractandis nech mihi iam tempus est, nec illis esse debet quos ad salutem suam et Sanctae Ecclesiae necessarium utilitatem cupimus informari."
Ma quando pure anco nelle proposizioni naturali, da luoghi della Scrittura esposti concordemente nel medesimo senso da tutti i Padri si avesse a prendere la resoluzione di condennarle o ammetterle, non però veggo che questa regola avesse luogo nel nostro caso, avvenga che sopra i medesimi luoghi si leggono de' Padri diverse esposizioni: dicendo Dionisio Areopagita, che non il Sole, ma il primo mobile, si fermò; l'istesso stima sant'Agostino, ciò è che si fermassero tutti i corpi celesti; e dell'istessa opinione è l'Abulense. Ma più, tra gli autori Ebrei, a i quali applaude Ioseffo, alcuni hanno stimato che veramente il Sole non si fermasse, ma che così apparve mediante la brevità del tempo nel quale gl'Isdraeliti dettero la sconfitta a' nemici. Così, del miracolo al tempo di Ezechia, Paulo Burgense stima non essere stato fatto nel Sole, ma nell'orivuolo. Ma che in effetto sia necessario glosare e interpretare le parole del testo di Iosuè, qualunque si ponga la costituzione del mondo, dimostrerò più a basso.
Ma finalmente, concedendo a questi signori più di quello che comandano, ciò è di sottoscrivere interamente al parere de' sapienti teologi, ciò è che tal particolar disquisizione non si trova essere stata fatta da i Padri antichi, potrà esser fatta da i sapienti della nostra età, li quali, ascoltate prima l'esperienze, l'osservazioni, le ragioni e le dimostrazioni de' filosofi ed astronomi per l'una e per l'altra parte, poi che la controversia è di problemi naturali e di dilemmi necessarii ed impossibili ad essere altramente che in una delle due maniere controverse, potranno con assai sicurezza determinar quello che le divine ispirazioni gli detteranno. Ma che senza ventilare e discutere minutissimamente tutte le ragioni dell'una e dell'altra parte, e che senza venire in certezza del fatto si sia per prendere una tanta resoluzione, non è da sperarsi da quelli che non si curerebbono d'arrisicar la maestà e dignità delle Sacre Lettere per sostentamento della reputazione di lor vane immaginazioni, né da temersi da quelli che non ricercano altro se non che si vadia con somma attenzione ponderando quali sieno i fondamenti di questa dottrina, e questo solo per zelo stantissimo del vero e delle Sacre Lettere, e della maestà. dignità ed autorità nella quale ogni cristiano deve procurare che esse sieno mantenute. La quale dignità chi non vede con quanto maggior zelo vien desiderata e procurata da quelli che, sottoponendosi onninamente a Santa Chiesa, domandano non che si proibisca questa o quella opinione, ma solamente di poter mettere in considerazione cose onde ella maggiormente si assicuri nell'elezione più sicura, che da quelli che, abbagliati da proprio interesse o sollevati da maligne suggestioni, predicano che ella fulmini senz'altro la spada, poi che ella ha potestà di farlo, non considerando che non tutto quel che si può fare è sempre utile che si faccia? Di questo parere non son già stati i Padri santissimi: anzi, conoscendo di quanto progiudizio e quanto contro al primario instituto della Chiesa Cattolica sarebbe il volere da' luoghi della Scrittura definire conclusioni naturali, delle quali, o con esperienze o con dimostrazioni necessarie, si potrebbe in qualche tempo dimostrare il contrario di quel che suonan le nude parole, sono andati non solamente circospettissimi, ma hanno, per ammaestramento degli altri, lasciati i seguenti precetti: "In rebus obscuris atque a nostri oculis remotissimis, si qua inde scripta, etiam divina, legerimus, quae possint, salva fide qua imbuimur, aliis atque aliis parere sententiis, in ullam earum nos praecipiti affirmatione ita proiiciamus, ut, si forte diligentius discussa veritas eam recte labefactaverit, corruamus; non pro sententia divinarum Scripturarum, sed pro nostra ita dimicantes, ut eam velimus Scripturarum esse, quae nostra est, com potius eam, quae Scripturarum est, nostram esse velle debeamus." Soggiugne poco di sotto, per ammaestrarci come nissuna proposizione può esser contro la Fede se prima non è dimostrata esser falsa, dicendo: "Tamdiu non est contra Fidem, donec veritate certissima refellatur: quod si factum fuerit, non hoc habebat divina Scriptura, sed hoc senserat humana ignorantia." Dal che si vede come falsi sarebbono i sentimenti che noi dessimo a' luoghi della Scrittura, ogni volta che non concordassero con le verità dimostrate: e però devesi con l'aiuto del vero dimostrato cercar il senso sicuro della Scrittura, e non, conforme al nudo suono delle parole, che sembrasse vero alla debolezza nostra, volere in certo modo sforzar la natura e negare l'esperienze e le dimostrazioni necessarie.
Ma noti di più, l'Altezza Vostra, con quante circospezzioni cammina questo santissimo uomo prima che risolversi ad affermare alcuna interpretazione della Scrittura per certa e talmente sicura che non si abbia da temere di poter incontrare qualche difficoltà che ci apporti disturbo, che, non contento che alcun senso della Scrittura concordi con alcuna dimostrazione, soggiugne: "Si autem hoc verum esse certa ratio demonstraverit, adhuc incertum erit, utrum hoc in illis verbis sanctorum librorum scriptor sentiri voluerit, an aliquid aliud non minus verum: quod si caetera contextio sermonis non hoc eum voluisse probaverit, non ideo falsum erit aliud quod ipse intelligi voluit, sed et verum et quod utlis cognoscatur." Ma quello che accresce la meraviglia circa la circospezzione dìcon la quale questo autore cammina, è che, non si assicurando su 'l vedere che e le ragioni dimostrative e quelle che suonano le parole della Scrittura ed il resto della testura precedente e susseguente cospirino nella medesima intenzione, aggiugne le seguenti parole: "Si autem contextio Scripturae, hoc voluisse intelligi scriptorem non repugnaverit, adhuc restabit quaerere, utrum et aliud non potuerit"; né si risolvendo ad accettar questo senso o escluder quello, anzi non gli parendo di potersi stimar mai cautelato a sufficienza, séguita: "Quod si et aliud potuisse invenerimus, incertum erit, quidnam eorum ille voluerit; aut utrumque voluisse, non inconvenienter creditur, si utrique sententiae certa circumstantia suffragatur." E finalmente, quasi volendo render ragione di questo suo instituto, col mostrarci a quali pericoli esporrebbono sé e le Scritture e la Chiesa quelli che, riguardando più al mantenimento d'un suo errore che alla dignità della Scrittura, vorrebbono estender l'autorità di quella oltre a i termini che ella stessa si prescrive, soggiugne le seguenti parole, che per sé sole doverebbono bastare a reprimere e moderare la soverchia licenza che tal uno pretende di potersi pigliare: "Plerumque enim accidit, ut aliquid de Terra, de caelo,de caeteris huius munda elementis, de moti et conversione vel etiam magnitude et intervallis siderum, de certi defectibus Solis et Lunae, de circuitibus annorum et temporum, de naturis animalium, fruticum, lapidum, atque huiusmodi caeteris, etiam non Christianus ita noverit, ut certissima ratione vel experientia teneat. Turpe autem est nimis et perniciosum ac maxime cavendum, ut Christianum de his rebus quasi secundum Christianas Literas loquentem ita delirare quilibet infidelis audiat, ut, quemadmodum diciur, toto caelo errare conspiciens, risum tenere vix possit; et non tam molestum est quod errans homo derideretur, sed quod authores nostri ab eis qui forsi sunt talia sensisse creduntur, et, cum magno exitio eorum de quorum salute stagimus, tamquam indoct repraehenduntur atque respuuntur. Cum enim quemquam de numero Christianorum ea in re quam ipsi optime norunt errare depraehenderint, et vanam sententiam suam de nostris libris asserent, quo pacto illis libris credituri sunt de resurrectione mortuorum et de spe vitae aeternae regnoque caelorum, quando de his rebus quas iam experiri vel indubitatis rationibus percipere potuerunt, fallaciter putaverint esse conscriptos?" Quanto poi restino offesi i Padri veramente saggi e prudenti da questi tali che, per sostener proposizioni da loro non capite, vanno in certo modo impegnando i luoghi delle Scritture, riducendosi poi ad accrescere il primo errore col produrr'altri luoghi meno intesi de' primi, esplica il medesimo Santo con le parole che seguono: "Quid enim molestiae tristiaeque ingerant prudentibus fratribus temerarii praesumptores, satis dici non potest, cum si quando de prava et falsa opinione sua repraehendi et convinci cœperint ab eis qui nostrorum librorum authoritate non tenentur, ad defendendum id quod levissima temeritate et apertissima falsitate dixerunt, eosdem libros sanctos unde id probent, proferre conantur; vel etiam memoriter, quae ad testimonium valere arbitrantur, multa inde verba pronunciant, non intelligentes neque quae loquuntur neque de quibus affirmant."
Del numero di questi parmi che sieno costoro, che non volendo o non potendo intendere le dimostrazioni ed esperienze con le quali l'autore ed i seguaci di questa posizione la confermano, attendono pure a portare innanzi le Scritture, non si accorgendo che quante più ne producono e quanto più persiston in affermar quelle esser chiarissime e non ammetter altri sensi che quelli che essi gli danno, di tanto maggior progiudizio sarebbono alla dignità di quelle (quando il lor giudizio fosse di molta autorità), se poi la verità conosciuta manifestamente in contrario arrecasse qualche confusione, al meno in quelli che son separati da Santa Chiesa, de' quali pur ella è zelantissima e madre desiderosa di ridurgli nel suo grembo. Vegga dunque l'Altezza Vostra quanto disordinatamente procedono quelli che, nelle dispute naturali, nella prima fronte costituiscono per loro argomenti luoghi della Scrittura, e ben spesso malamente da loro intesi.
Ma se questi tali veramente stimano e interamente credono d'avere il vero sentimento di un tal luogo particolare della Scrittura, bisogna, per necessaria conseguenza, che si tenghino anco sicuri d'aver in mano l'assoluta verità di quella conclusione naturale che intendono di disputare, e che insieme conoschino d'aver grandissimo vantaggio sopra l'avversario, a cui tocca a difender la parte falsa; essendo che quello che sostiene il vero, può aver molte esperienze sensate e molte dimostrazioni necessarie per la parte sua, mentre che l'avversario non può valersi d'altro che d'ingannevoli apparenze, di paralogismi e di fallacie. Ora se loro, contenendosi dentro a i termini naturali e non producendo altre armi che le filosofiche, sanno ad ogni modo d'esser tanto superiori all'avversario, perché, nel venir poi al congresso, por subito mano ad un'arme inevitabile e tremenda, per atterrire con la sola vista il loro avversario? Ma, se io devo dir il vero, credo che essi sieno i primi atterriti, e che, sentendosi inabili a potere star forti contro alli assalti dell'avversario, tentino di trovar modo di non se lo lasciar accostare, vietandogli l'uso del discorso che la Divina Bontà gli ha conceduto, ed abusando dell'autorità giustissima della Sacra Scrittura che, ben intesa e usata, non può mai, conforme alla comun sentenza de' teologi, oppugnar le manifeste esperienze o le necessarie dimostrazioni. Ma che questi tali rifugghino alle Scritture per coprir la loro impossibilità di capire, non che di solvere, le ragioni contrarie, dovrebbe, s'io non m'inganno, essergli di nessun profitto, non essendo mai sin qui stata cotal opinione dannata da Santa Chiesa. Però, quando volessero procedere con sincerità, doverebbono o, tacendo, confessarsi inabili a poter trattar di simili materie, o vero prima considerare che non è nella potestà loro né di altri che del Sommo Pontefice o de' sacri Concilii il dichiarare una proposizione per erronea, ma che bene sta nell'arbitrio loro il disputar della sua falsità; dipoi, intendendo come è impossibile che alcuna proposizione sia insieme vera ed eretica, dovrebbono occuparsi di quella parte che più aspetta a loro, ciò è in dimostrar la falsità di quella; la quale come avessero scoperta, o non occorrerebbe più il proibirla, perché nessuno la seguirebbe, o il proibirla sarebbe sicuro e senza pericolo di scandalo alcuno.
Però applichinsi prima questi tali a redarguire le ragioni del Copernico e di altri, e lascino il condennarla poi per erronea ed eretica a chi ciò si appartiene; ma non sperino già d'esser per trovare nei circuspetti e sapientissimi Padri e nell'assoluta sapienza di Quel che non può errare, quelle repentine resoluzioni nelle quali essi talora si lascerebbono precipitare da qualche loro affetto o interesse particolare; perché sopra queste ed altre simili proposizioni, che non sono direttamente de Fide, non è chi dubiti che il Sommo Pontefice ritien sempre assoluta potestà di ammetterle o di condennarle; ma non è già in poter di creatura alcuna il farle esser vere o false, diversamente da quel che elleno per sua natura e de facto si trovano essere. Però par che miglior consiglio sia l'assicurarsi prima della necessaria ed immutabil verità del fatto, sopra la quale nissuno ha imperio, che, senza tal sicurezza, col dannare una parte spogliarsi dell'autorità e libertà di poter sempre eleggere, riducendo sotto necessità quelle determinazioni che di presente sono indifferenti e libere e riposte nell'arbitrio dell'autorità suprema. Ed in somma, se non è possibile che una conclusione sia dichiarata eretica mentre si dubita che ella poss'esser vera, vana doverà esser la fatica di quelli che pretendono di dannar la mobilità della Terra e la stabilità del Sole, se prima non la dimostrano essere impossibile e falsa.
Resta finalmente che consideriamo, quanto sia vero che il luogo di Giosuè si possa prendere senza alterare il puro significato delle parole, e come possa essere che, obedendo il Sole al comandamento di Giosuè, che fu che egli si fermasse, ne potesse da ciò seguire che il giorno per molto spazio si prolungasse.
La qual cosa, stante i movimenti celesti conforme alla costituzione Tolemaica, non può in modo alcuno avvenire: perché, facendosi il movimento del Sole per l'eclittica secondo l'ordine de' segni, il quale è da occidente verso oriente, ciò è contrario al movimento del primo mobile da oriente in occidente, che è quello che fa il giorno e la notte, chiara cosa è che, cessando il Sole dal suo vero e proprio movimento, il giorno si farebbe più corto, e non più lungo, e che all'incontro il modo dell'allungarlo sarebbe l'affrettare il suo movimento; in tanto che, per fare che il Sole restasse sopra l'orizonte per qualche tempo in un istesso luogo, senza declinar verso l'occidente, converrebbe accelerare il suo movimento tanto che pareggiasse quel del primo mobile, che sarebbe un accelerarlo circa trecento sessanta volte più del consueto. Quando dunque Iosuè avesse avuto intenzione che le sue parole fossero prese nel loro puro e propriissimo significato, averebbe detto al Sole ch'egli accelerasse il suo movimento, tanto che il ratto del primo mobile non lo portasse all'occaso; ma perchè le sue parole erano ascoltate da gente che forse non aveva altra cognizione de' movimenti celesti che di questo massimo e comunissimo da levante a ponente, accomodandosi alla capacità loro, e non avendo intenzione d'insegnargli la costituzione delle sfere, ma solo che comprendessero la grandezza del miracolo fatto nell'allungamento del giorno, parlò conforme all'intendimento loro.
Forse questa considerazione mosse prima Dionisio Areopagita a dire che in questo miracolo si fermò il primo mobile, e fermandosi questo, in conseguenza si fermoron tutte le sfere celesti: della quale opinione è l'istesso sant'Agostino, e l'Abulense diffusamente la conferma. Anzi, che l'intenzione dell'istesso Iosuè fusse che si fermasse tutto il sistema delle celesti sfere, si comprende dal comandamento fatto ancora alla Luna, ben che essa non avesse che fare nell'allungamento del giorno; e sotto il precetto fatto ad essa Luna s'intendono gli orbi de gli altri pianeti, taciuti in questo luogo come in tutto il resto delle Sacre Scritture, delle quali non è stata mai intenzione d'insegnarci le scienze astronomiche.
Parmi dunque, s'io non m'inganno, che assai chiaramente si scorga che, posto il sistema Tolemaico, sia necessario interpretar le parole con qualche sentimento diverso dal loro puro significato: la quale interpretazione, ammonito dagli utilissimi documenti di sant'Agostino, non direi esser necessariamente questa, sì che altra forse migliore e più accomodata non potesse sovvenire ad alcun altro. Ma se forse questo medesimo, più conforme a quanto leggiamo in Giosuè, si potesse intendere nel sistema Copernicano, con l'aggiunta di un'altra osservazione, nuovamente da me dimostrata nel corpo solare, voglio per ultimo mettere in considerazione; parlando sempre con quei medesimi riserbi di non esser talmente affezionato alle cose mie, che io voglia anteporle a quelle degli altri, e creder che di migliori e più conformi all'intenzione delle Sacre Lettere non se ne possino addurre.
Posto dunque, prima, che nel miracolo di Iosuè si fermasse tutto 'l sistema delle conversioni celesti, conforme al parere de' sopra nominati autori, e questo acciò che, fermatone una sola, non si confondesser tutte le costituzioni e s'introducesse senza necessità perturbamento in tutto 'l corso della natura, vengo nel secondo luogo a considerare come il corpo solare, ben che stabile nell'istesso luogo, si rivolge però in se stesso, facendo un'intera conversione in un mese in circa, sì come concludentemente mi par d'aver dimostrato nelle mie Lettere delle Macchie Solari: il qual movimento vegghiamo sensatamente esser, nella parte superior del globo, inclinato verso il mezo giorno, e quindi, verso la parte inferiore, piegarsi verso aquilone, nell'istesso modo appunto che si fanno i rivolgimenti di tutti gli orbi de' pianeti. Terzo, riguardando noi alla nobiltà del Sole, ed essendo egli fonte di luce, dal qual pur, com'io necessariamente dimostro, non solamente la Luna e la Terra, ma tutti gli altri pianeti, nell'istesso modo per se stessi tenebrosi, vengono illuminati., non credo che sarà lontano dal ben filosofare il dir che egli, come ministro massimo della natura e in certo modo anima e cuore del mondo, infonde a gli altri corpi che lo circondano non solo la luce, ma il moto ancora, co 'l rigirarsi in se medesimo; sì che, nell'istesso modo che, cessando 'l moto del cuore nell'animale, cesserebbono tutti gli altri movimenti delle sue membra, così, cessando la conversion del Sole, si fermerebbono le conversioni di tutti i pianeti. E come che della mirabil forza ed energia del Sole io potessi produrne gli assensi di molti gravi scrittori, voglio che basti un luogo solo del Beato Dionisio Areopagita nel libro De divinis nominibus; il quale del Sole scrive così: "Lux etiam colligit convertitque ad se omnia, quae videntur, quae moventur, quae illustrantur, quae calescunt, et uno nomine ea quae ab eius splendore continentur. Itaque Sol Ilios dicitur, quod omnia congreget colligatque dispersa." E poco più a basso scrive dell'istesso Sole: "Si enim Sol hic, quem videmus, eorum quae sub sensum cadunt essentias et qualitates, quamquam multae sint ac dissimiles, tamen ipse, qui unus est aequabiliterque lumen fundit, renovat, alit, tuetur, perficit, dividit, coniungit, fovet, fœcunda reddit, auget, mutat, firmat, edit, movet, vitaliaque facit omnia, et unaquaeque rea huis universitatis, pro captu suo, unius atque eiusdem Solis est particeps, causasque multorum, quae participant, in se aequabiliter anticipatas habet; certe maiore ratione" etc. Essendo, dunque, il Sole e fonte di luce e principio de' movimenti, volendo Iddio che al comandamento di Iosuè restasse per molte ore nel medesimo stato immobilmente tutto 'l sistema mondano, bastò fermare il Sole, alla cui quiete fermatesi tutte l'altre conversioni, restarono e la Terra e la luna e 'l Sole nella medesima costituzione, e tutti gli altri pianeti insieme; né per tutto quel tempo declinò 'l giorno verso la notte, ma miracolosamente si prolungò: ed in questa maniera col fermare il Sole, senza alterar punto o confondere gli altri aspetti e scambievoli costituzioni delle stelle, si potette allungare il giorno in terra, conforme esquisitamente al senso literale del sacro testo.
Ma quello di che, s'io non m'inganno, si deve far non piccola stima, è che con questa costituzione Copernicana si ha il senso literale apertissimo e facilissimo d'un altro particolare che si legge nel medesimo miracolo; il quale è, che il Sole si fermò nel mezo del cielo. Sopra 'l qual passo gravi teologi muovono difficoltà: poi che par molto probabile che quando Giosuè domandò l'allungamento del giorno, il Sole fusse vicino al tramontare, e non al meridiano; perché quando fusse stato nel meridiano, essendo allora intorno al solstizio estivo, e però i giorni lunghissimi, non par verisimile che fusse necessario pregar l'allungamento del giorno per conseguir vittoria in un conflitto, potendo benissimo bastare per ciò lo spazio di sette ore e più di giorno che rimanevano ancora. Dal che mossi gravissimi teologi, hanno veramente tenuto che 'l Sole fusse vicino all'occaso; e così par che suonino anco le parole, dicendosi: Ferma, Sole, fermati; ché se fosse stato nel meridiano, o non occorreva ricercare il miracolo, o sarebbe bastato pregar solo qualche ritardamento. Di questa opinione è il Caietano, alla quale sottoscrive il Magaglianes, confermandola con dire che Iosuè aveva quell'istesso giorno fatte tant'altre cose avanti il comandamento del sole, che impossibile era che fussero spedite in mezo giorno: onde si riducono ad interpretar le parole in medio caeli veramente con qualche durezza, dicendo che l'importano l'istesso che il dire che il Sole si fermò essendo nel nostro emisferio, ciò è sopra l'orizonte. Ma tal durezza ed ogn'altra, s'io non erro, sfuggirem noi, collocando, conforme al sistema Copernicano, il Sole nel mezo, ciò è nel centro degli orbi celesti e delle conversione de' pianeti, sì come è necessarissimo di porvelo; perché, ponendo qualsivoglia ora del giorno, o la meridiana, o altra quanto ne piace vicina alla sera, il giorno fu allungato e fermate tutte le conversioni celesti col fermarsi il Sole nel mezo del cielo, ciò è nel centro di esso cielo, dove egli risiede: senso tanto più accomodato alla lettera, oltre a quel che si è detto, quanto che, quando anco si volesse affermare la quiete del Sole essersi fatta nell'ora del mezo giorno, il parlar proprio sarebbe stato il dire che stetit in meridie, vel in meridiano circulo, e non in medio caeli, poi che di un corpo sferico, quale è il cielo, il mezo è veramente e solamente il centro.
Quanto poi ad altri luoghi della Scrittura, che paiono contrariare a questa posizione, io non ho dubbio che quando ella fusse conosciuta per vera e dimostrata, quei medesimi teologi che, mentre la reputan falsa, stimano tali luoghi incapaci di esposizioni concordanti con quella, ne troverebbono interpretazioni molto ben congruenti, e massime quando all'intelligenza delle Sacre Lettere aggiugnessero qualche cognizione delle scienze astronomiche: e come di presente, mentre la stimano falsa, gli par d'incontrar, nel leggere le Scritture, solamente luoghi ad essa repugnanti, quando si avessero formato altro concetto, ne incontrerebbero per avventura altrettanti di concordi; e forse giudicherebbono che Santa Chiesa molto acconciamente narrasse che Iddio colloca il Sole nel centro del cielo e che quindi, col rigirarlo in se stesso a guisa d'una ruota, contribuisce agli ordinati corsi alla Luna ed all'altre stelle erranti, mentre ella canta:
Caeli Deus sanctissime,
qui lucidum centrum poli
candore pingis igneo,
augens decoro lumine;
quarto die qui flammeam
solis rotam constituens,
lunae ministras ordinem,
vagosque cursus siderum
Potrebbono dire, il nome di firmamento convenirsi molto bene ad literam alla sfera stellata ed a tutto quello che è sopra le conversioni de' pianeti, che, secondo questa disposizione, è totalmente fermo ed immobile. Così, movendosi la Terra circolarmente, s'intenderebbono i suoi poli dove si legge: "Nec dum terrat fecerat, et flumina et cardines orbis Terrae"; i quali cardini paiono indarno attribuiti al globo terrestre, se egli sopra non se gli deve raggirare.
Pereira, Benito, Benedicti Pererij Valentini e Societate Iesu. Centum octoginta tres disputationes selectissimae super libro Apocalypsis beati Ioannis Apostoli. Quibus adiectae sunt ab eodem auctore viginti tres disputationes, aduersus eos qui putarunt, Maometem Saracenorum legislatorem fuisse verum illum Antichristum, ..., Venetiis : apud Antonium Leonardum, 1607 - [24], 424 [i.e. 430], [2] p. ; 4o - Cfr. Sommervogel, Bibliotheque de la Compagnie de Jesus v. 6 col. 505-506 - Marca (O30) sul front Segn.: pi greco4 *4 **4 A-2A8 2B4 2C-2D8 2E4 - Omesse nella numerazione le p. 33-38 - Ultima c. bianca -Front. in rosso e nero - A c. 2C1r inizia con proprio front. con stemma dei Gesuiti: Benedicti Pererii Valentini, e Societate Iesu. Liber trium et viginti disputationum. Aduersus Ioannem Annium Viterbiensem ... - Impronta - uma- 97s. a-m, Dere (3) 1607 (R) Marca editoriale: Chiesa Cattolica: donna con triregno con rami frondosi, corone sul grembo, benedice con dx, tiene con sx cornucopia ... Cornice fig. Motto: hinc religio vera - Localizzazioni: Biblioteca comunale Planettiana - Jesi - AN - Biblioteca nazionale Sagarriga Visconti-Volpi - Bari - Biblioteca statale del Monumento nazionale di Casamari - Veroli - FR - Biblioteca Ludovico Jacobilli del Seminario vescovile - Foligno - PG - Biblioteca comunale Augusta - Perugia - - Biblioteca del venerabile Eremo di Fonte Avellana - Serra Sant'Abbondio - PU - Biblioteca della Fondazione Marco Besso - Roma - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma - Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma - Biblioteca dell'Istituto di filosofia San Tommaso d'Aquino - Chieri - Biblioteca nazionale Marciana - Venezia
Pereira, Benito, Benedicti Pererii ... Aduersus fallaces et superstitiosas artes, id est, De magia, de obseruationes somniorum, &, de diuinatione astrologia libri tres, Ingolstadii: Sartorius, David, 1591
Pereira, Benito, Benedicti Pererii ... Aduersus fallaces & superstitiosas artes, id est, de magia, de obseruatione somniorum, &, de diuinatione astrologica. libri tres, Venetiis: Ciotti, Giovanni Battista, 1592
Pereira, Benito, Benedicti Pererij ... Aduersus fallaces & superstitiosas artes. Id est, De magia, de obseruatione somniorum, & de diuinatione astrologica. Libri tres, Lugduni: Giunta, 1592
Pereira, Benito, De magia, de obseruatione somniorum, et de diuinatione astrologica, libri tres. Aduersus fallaces, et superstitiosas artes. Auctore Benedicto Pererio ... Accesserunt indices duo, primus est capitum, & disputationum. Alter rerum verborumque copiosus, Coloniae Agrippinae: Gymnich, Johann <4. ; 1597-1634>, 1598
Pereira, Benito, Benedicti Pererii ... De communibus omnium rerum naturalium principijs & affectionibus, libri quindecim. Qui plurimum conferunt, ad eos octo libros Aristotelis, qui De physico, Romae: Tramezzino, Venturino Zanetti, Francesco & Tosi, Bartolomeo, 1576
Pereira, Benito, Benedicti Pererii ... De communibus omnium rerum naturalium principijs & affectionibus, libri 15. Qui plurimum conferunt ad eos octo libros Aristotelis, qui de physico auditu inscribuntur, intelligendos. Adiecti sunt huic operi tres indices .., Venetiis: Muschio, Andrea, 1591
Pereira, Benito, Benedicti Pererii ... De communibus omnium rerum naturalium principijs & affectionibus libri quindecim. Qui plurimum conferunt, ad eos octo libros Aristotelis, qui de physico auditu inscribuntur, intelligendos. Adiecti sunt huic operi tres indices, vnus capitum singulorum librorum; alter quaestionum; tertius rerum, Romae: Tornieri, Giacomo & Bericchia, Giacomo Gardane, Alessandro & Coattino, FrancescoTornieri, Giacomo & Donangeli, Bernardino, 1585
Pereira, Benito, Benedicti Pererii ... De communibus omnium rerum naturalium principijs & affectionibus, libri 15. Qui plurimum conferunt ad eos octo libros Aristotelis, qui De physico audito inscribuntur, intelligendos. Adiecti sunt huic operi tres indices, .., Venetiis [Bernardo Basa]: Muschio, AndreaBasa, Bernardo, 1586
Pereira, Benito, Benedicti Pererij Valentini ... Commentariorum in Danielem prophetam libri sexdecim. Adiecti sunt quatuor indices, ..., Romae: Stamperia del Popolo Romano Ferrari, Giorgio, 1587
Pereira, Benito, R. P. Benedicti Pererii Valentini e Societate Iesu, Commentariorum et disputationum in Genesim, tomi quatuor. Continentes historiam Mosis ab exordio mundi, vsque ab obitum SS. patriarcharum Iacobi & Iosephi; id est, explicationem totius primi & praecipui Sacr. Script. libri, qui, Genesis, vulgo inscribitur. ..., Moguntiae: Hierat, AntonAlbin, Johann, 1612
Pereira, Benito, Benedicti Pererij ... De communibus omnium rerum naturalium principijs & affectionibus, libri 15. Qui plurimum conferunt ad eos octo libros Aristotelis, qui de physico auditu inscribuntur, intelligendos. Adiecti sunt huic operi tres indices ..., Omnia vero in hac postrema editione denuo sunt diligentius recognita, & emendata., Venetijs: Polo, Girolamo, 1609
Pereira, Benito, Benedicti Pererij Valentini e Societate Iesu, Tomus primus. Selectarum disputationum in Sacram Scripturam: continens centum et triginta septem disputationes super libro Exodi, Venetijs: Misserini, NiccoloSocieta veneta, 1601
Pereira, Benito, 3: Benedicti Pererij Valentini, e societate Iesu: Tertius tomus commentariorum in Genesim. Super historia centum annorum, quam de sanctissimo patriarcha Abraham scripsit Moses, a capite duodecimo, vsque ad vigesimum quintum. Continent hic tertius tomus, praeter copiosam verborum & sententiarum Mosis expositionem, amplius nonaginta principales disputationes, ad exactiorem atque vberiorem eiusdem historiae tractatum & cognitionem pertinentes, Lugduni, 1596
Pereira, Benito, Benedicti Pererii Valentini e' Societate Iesu, Primus tomus selectarum disputationum in sacram scripturam. Continens super libro Exodi centum triginta septem disputationum in sacram scripturam. Continens super libro Exodi centum triginta septem disputationes, Lugduni: Cardon, Horace <1.>, 1602
Pereira, Benito, Benedicti Pererii Valentini, e' Societate Iesu, Secundus tomus selectarum disputationum in Sacram Scripturam, continens centum octoginta octo disputationes super epistolam beati Pauli ad Romanos, quam accuratissime fieri potuit ab ipso auctore denuo recognitus, illustratus, & emendatus, Lugduni: Cardon, Horace <1.>, 1610
Pereira, Benito, Benedicti Pererii Valentini, e' Societate Iesu. Tertius tomus selectarum disputationum in Sacram Scripturam. Continens centum octoginta tres disputationes super libro Apocalypsis B. Ioannis Apostoli. Adiectus est huic tertio tomo liber eiusdem auctoris viginti trium disputationum, aduersus eos qui putauerunt, Maometem Saracenorum legislatorem fuisse verum illum antichristum, de quo non pauca Daniel, & Ioannes in Apocalypsi praedixerunt; pluraque a patribus memoriae tradita sunt, Lugduni: Cardon, Horace <1.>, 1615
Pereira, Benito, Benedicti Pererii Valentini, e' Societate Iesu, Quartus tomus selectarum disputationum in sacram Scripturam: qui est prior tomus disputationum in Euangelium B. Ioannis super nouem primis eius Euangelij capitibus, du, Lugduni: Cardon, Horace <1.>, 1608
Pereira, Benito, Benedicti Pererii Valentini, e' Societate Iesu, Quintus tomus selectarum disputationum in sacram Scripturam: qui est secundus tomus disputationum in Euangelium B. Ioannis, continens centum quadraginta quatuor disputationes, Lugduni: Cardon, Horace <1.>, 1610
Pereira, Benito, Benedicti Pererii Valentini, e' Societate Iesu. Tertius tomus selectarum disputationum in Sacram Scripturam, continens centum ooctoginta tres disputationes super libro Apocalypsis B. Ioannis Apostoli. Adiectus est huic tertio tomo liber eiusdem auctoris viginti trium disputationum, aduersus eos qui putauerunt, Maometem Saracenorum legislatorem fuisse verum illum antichristum, de quo non pauca Daniel, & Ioannes in Apocalypsi praedixerunt; pluraque a patribus memoriae tradita sunt, Lugduni: Cardon, Horace <1.>, 1606
Pereira, Benito, Benedicti Pererii Valentini, e Societate Iesu, Primus tomus selectarum disputationum in Sacram Scripturam, continens super libro Exodi centum triginta septem disputationes, Lugduni: Cardon, Horace <1.>, 1607
Pereira, Benito, Benedicti Pererii Valentini, e' Societate Iesu, Secundus tomus selectarum disputationum in Sacram Scripturam, continens centum octoginta octo disputationes super epistola beati Pauli ad Romanos. Quam accuratissime fieri potuit ab ipso authore denuo recognitus, illustratus, & emendatus, Lugduni: Cardon, Horace <1.>, 1604
Pereira, Benito, R.P. Benedicti Pererii Valentini, e Societate Iesu. Commentariorum, et disputationum in Genesim, tomi quatuor. Continentes historiam Mosis ab exordio mundi, vsque ad obitum SS. Patriarcharum Iacobi, & Iosephi; idest explicationem totius primi & praecipui Sacrae Scripturae libri, qui, Genesis, vulgo inscribitur ... Adiecti sunt vniuerso operi deseruientes, indices quatuor .., Venetiis, Deuchino, Evangelista <1593-1631>, 1607
Pereira, Benito, 2: Tomus secundus. Continens nouem libros circa historiam Mosis, de diluuio, Arca Noe, aedificatione Turris Babel, confusione linguarum, alijsque vsque ad vocationem Abrahae: idest a capite quinto, vsque ad duodecimum, Venetiis: Deuchino, Evangelista <1593-1631>, 1607
Pereira, Benito, 3: Tomus tertius. Super historiam centum annorum, quam de Sanctissimo Patriarcha Abraham scripsit Moses, a capite duodecimo, vsque ad vigesimum quintum. Continet hic tertius tomus praeter copiosam verborum, & sententiarum Mosis expositionem, amplius nonaginta principales disputationes ..., Venetiis: Deuchino, Evangelista <1593-1631>, 1607
Pereira, Benito, 4: Tomus quartus. A capite vigesimo quinto, vsque ad quinquagesimum, & finem libri. Hic porro quartus tomus, praeter copiosam verborum, & sententiarum Myosis expositionem, continet centum & vndecim principales disputationes, VenetiisVenetiis: Deuchino, Evangelista <1593-1631>, 1607
Pereira, Benito, Benedicti Pererii Valentini e Societate Iesu Commentariorum in Danielem prophetam, libri sexdecim. Adiecti sunt quatuor indices, vnus quaestionum; alter eorum quae pertinent ad doctrinam moralem, & vsum concionantium; tertius locorum sacrae scripturae: quartus generalis, & alphabeticus: quorum duo posteriores in hac secunda editione copiosiores plenioresue facti sunt. Accesserunt etiam ad marginem plurimi auctorum loci, qui in priori editione desiderabantur, Lugduni: Giunta, 1588
Pereira, Benito, 2: Benedicti Pererii Valentini, e Societate Iesu: Commentariorum et disputationum in Genesim, tomus secundus. Continens nouem libros circa Historiam Mosis, De diluuio, Arca Noe, Aedificatione Turris Babel, Confusione linguarum, aliisque vsque ad Vocationem Abrahae: id est, a capite quinto, vsque ad duodecimum. Adiectus est praeterea huic tomo, liber eiusdem auctoris de Benedictionibus duodecim Patriarcharum, Lugduni, 1593
Pereira, Benito, Benedicti Pererii Valentini ... Prior (-quartus] tomus commentariorum et disputationum in Genesim: continens historiam Mosis ab exordio mundi vsque ad noeticum diluuium, septem libris axplanatam. Adiecti sunt quattuor indices, vnus quaestionum, alter eorum quae pertinent ad doctrinam moralem, & vsum concio, Lugduni: Libraire des Giunta, 1594-1600
Pereira, Benito, 2: Benedicti Pererij Valentini, e societate Iesu: Commentariorum et disputationum in Genesim, tomus secundus. Continens nouem libros circa historiam Mosis, de diluuio, arca Noe, aedificatione turris Babel, confusione linguarum, aliisque vsque ad vocationem Abrahae: id est, a capite quinto, vsque ad duodecimum. Adiectus est praeterea huic tomo, liber eiusdem auctoris de benedictionibus duodecim patriarcharum, Lugduni, 1593
Pereira, Benito, Benedicti Pererij Valentini e Societate Iesu. Commentariorum in Danielem prophetam. Libri sexdecim. Adiecti sunt quatuor indices, vnus quaestionum, alter eorum quae pertinent ad doctrinam moralem, & vsum concionantium: tertius locorum sacrae Scripturae: quartus generalis. Accesserunt etiam ad marginem plurimi auctorum loci, qui in priori editione desiderabantur, Antuerpiae: Bellere, Pierre <1. ; 1562-1600>, 1594
Pereira, Benito, R.P. Benedicti Pererij Valentini e Societate Iesu, Opera theologica quotquot extant omnia. Nunc primum in Germania ornatius & emendatius coniunctim in lucem edita. Accedunt indices locupletissimi. Elenchum operum inueiet lector pagina sequenti, Coloniae Agrippinae: Hierat, Anton, 1620
Pereira, Benito, Benedicti Pererii Valentini ... Prior (-quartus) tomus commentariorum et disputationum in genesim: continens historiam Mosis ab exordio mundi usquae ad Noeticum diluuium ... Adiecti sunt quatuor indices vnus quaestionum, alter .., Lugduni: Cardon, Horace <1.>, 1599-1602
Pereira, Benito, 2: Commentariorum et disputationum in genesim, tomus secundus. Continens nouem libros circa historiam Mosis, de diluuio ... Adiectus est praeterea huic tomo, liber eiusdem auctoris de benedictionibus duodecim patriarcharum, Lugduni, 1602
Pereira, Benito, 3: Tomus tertius, commentariorum in genesim. Super historia centum annorum, quam de sanctissimo patriarcha Abraham scripsit Moses ... Continet hic tertius tomus, praeter copiosam verborum et sententiarum Mosis expositionem .., Lugduni, 1601
Pereira, Benito, 4: Tomus quartus commentariorum in librum genesis. A capite vigesimo quinto, vsque ad quinquagesimum; & finem libri .., Lugduniex typographia Claudij Morillon: Cardon, Horace <1.>Morillon, Claude, 1600
Pereira, Benito, Benedicti Pererii Valentini ... Commentariorum & disputationum in Genesim: continens historiam Mosis ab exordio mundi usque ad Noeticum diluuium, septem libris explanatam. Adiectis sunt quattuor indices; .., Romae: Ferrari, Giorgio, 1589
Pereira, Benito, Benedicti Pererii Valentini ... Commentariorum in Danielem prophetam libri sexdecim. Adiecti sunt quatuor indices ... Opus recens summo studio recognitum ..., Lugduni: Cardon, Horace <1.>, 1602
Pereira, Benito, Benedicti Pererii Valentini e Societate Iesu Commentariorum in Danielem prophetam libri sexdecim. Adiecti sunt quatuor indices, ... quorum duo posteriores in hac secunda editione copiosiores, plenioresve facti sunt. Accesserunt etiam ad marginem plurimi auctorum loci, qui in priori editione desiderabantur, Lugduni: Giunta, 1591
Pereira, Benito, Benedicti Pererii Societatis Iesu, De Communibus omnium rerum naturalium principijs & affectionibus, libri 15. Qui plurimum conferunt ad eos Octo libros Aristotelis, qui de physico auditu inscribuntur, intelligendos. Adiecti sunt huic operi tres indices, unus capitum singulorum librorum, alter quaestionum, tertius rerum. Omnia vero in hac postrema editione denuo sunt diligentius recognita, et emendata, Venetiis: Giuliani, Giovanni Antonio, 1618
Pereira, Benito, Benedicti Pererii Valentini e Societate Iesu ... Prior -quartus tomus commentariorum & disputationum in Genesim: ... Romae : ex typographia Aloysij Zannetti, 1589 - 1598
Pereira, Benito, 2: Benedicti Pererij ... Commentariorum et disputationum in Genesim tomus secundus continens nouem libros circa historiam Mosis de diluuio, Arca Noe, aedificatione turris Babel; Confusione linguarum, alijsque vsque ad Vocationem Abrahae, id est, a capite quinto vsque ad duodecimum. Adiectus est praeterea huic tomo, liber eiusdem auctoris de benedictionibus duodecim Patriarcharum, Romae: Zannetti, Luigi, 1592
Pereira, Benito, 3: Benedicti Pererij ... Tertius tomus Commentariorum in Genesim. Super historia centum annorum, quam de sanctissimo patriarcha Abraham scripsit Moses, a capite duodecimo, vsque ad vigesimum quintum. Continet hic tertius tomus, praeter copiosam verborum et sententiarum Mosis expositionem, amplius nonaginta principales disputationes, ad exactiorem atque vberiorem eiusdem historiae tractatum & cognitionem pertinentes, Romae: Stamperia Vaticana, 1595
Pereira, Benito, 4: Benedicti Pererii Valentini ... Quartus tomus Commentariorum in librum Genesis. A capite vigesimo quinto vsque ad quinquagesimum, & finem libri. Hic porro quartus tomus, praeter copiosam verborum, & sententiarum Moysis expositionem, continet centum & vndecim principales disputationes, Romae: Zannetti, Luigi Franzini, Giovanni Antonio & Franzini, Girolamo eredi, 1599
Pereira, Benito, Benedicti Pererii ... De communibus omnium rerum naturalium principiis & affectionibus, libri quindecim. Qui plurimum conferunt, ad eos octo libros Aristotelis, qui de physico auditu inscribuntur, intelligendos. Adiecti sunt huic operi, tres, Parisiis: Brumen, Thomas, 1579
Pereira, Benito, Elucidarium sacrae theologiae moralis et juris utriusque : exponens universum idioma, id est proprietatem sermonis theologici, canonici, & civilis ... authore ... Benedicto Pereyra .., Venetiis: Combi, Sebastiano
Pereira, Benito, R.P. Benedicti Pererii Valentini, e Societate Iesu. Commentariorum, et disputationum in Genesim, tomi quatuor. Continentes historiam Mosis ab exordio mundi, vsque ad obitum SS. Patriarcharum Iacobi, & Iosephi; idest explicationem totius primi & praecipui Sacr. Scriptur. libri, qui, Genesis, vulgo inscribitur ... Adiecti sunt vniuerso operi deseruientes, indices quatuor .., Coloniae Agrippinae: Hierat, Anton, 1606-1605
Pereira, Benito, Benedicti Pereij Valentini e societate Iesu Prior [-quartus] tomus commentariorum et disputationum in Genesim: continens historiam Mosis ab exordio mundi vsque ad diluuium, septem libris explanatam. Adiecti sunt quattuor indices, vnus quaestionum, alter eorum quae pertinent ad doctrinam moralem, & vsum concionantium, tertius locorum Sacrae Scripturae, quartus generalis & alphabeticus, Lugduni: Giunta, 1590-1598
Pereira, Benito, Benedicti Pererii Valentini e Societate Iesu Commentariorum in Danielem prophetam libri sexdecim. Adiecti sunt quatuor indices, ... quorum duo posteriores in hac secunda editione copiosiores, plenioresve facti sunt. Accesserunt etiam ad marginem plurimi auctorum loci, qui in priori editione desiderabantur, Lugduni: Giunta, 1591
Pereira, Benito, Benedicti Pererii Valentini e Societate Iesu Aduersus fallaces & superstitiosas artes, id est, De magia, de obseruatione somniorum, & de diuinatione astrologica. Libri tres. .., Lugduni: Cardon, Horace <1.>, 1603
Pereira, Benito, Benedicti Pererij Valentini, e Societate Iesu Primus -secundus tomus selectarum disputationum in Sacram Scripturam, Ingolstadij: ex typographia Adami Sartorij: Sartorius, Adam, 1601-1603
Pereira, Benito, 2: Benedicti Pererij Valentini, e Societate Iesu Secundus tomus selectarum diputationum in Sacram Scripturam, continens centum octoginta octo disputationes super epistola beati Pauli ad Romanos, Ingolstadij: ex typographia Adami Sartorij, 1603
Pereira, Benito, Benedicti Pererij societatis Iesu: De communibus omnium rerum naturalium principijs & affectionibus, libri quindecim. ..., Coloniae: Zetzner, Lazarus Erben, 1618
Pereira, Benito, Benedicti Pererii Valentini, e' societate Jesu Tertius tomus selectarum disputationum in Sacram Scripturam, continens centum octoginta octo disputationes super Epistolam beati Pauli ad Romanos, quam accuratissime fieri potuit ab ipso auctore denuo recognitus, illustratus & emendatus, Lugduni: Cardon, Horace <1.>, 1610
Pereira, Benito, 1: Benedicti Pererii Valentini ... Primus tomus selectarum disputationum in Sacram Scripturam, continens super libro Exodi centum triginta septem disputationes, Sartorius, Adam, 1601
Pereira, Benito, Benedicti Pererii societatis Iesu De communibus omnium rerum naturalim principiis & affectionibus, libri quindecim. Qui plurium conferuntur ad eos, octo libros Aristotelis, qui de physico auditu inscribitur intelligendos. Adiecti sunt huic operi, tres, Lugduni: Porta, Sib. a, 1585
Pereira, Benito, 3: Benedicti Pererii Valentini ... Terius tomus commentariorum in Genesim super historia centum annorum, quam de sanctissimo patriarca Abraham scripsit Moses, a capite duodecimo ... Continet hic tertius tomus, praeter copiosam verborum & sententiarum Mosis expositionem, amplius nonaginta principales disputationem ..., Lugduni: Libraire des Giunta, 1596
-CONFESSARE - CONFESSIONE NEL DIRITTO LAICO INTERMEDIO
-CONFESSIONE (IMPORTANZA GIURIDICA DELLA)
-CONFESSIONE: ESSENZA GIURIDICA DELLA C. NEL DIRITTO INTERMEDIO LAICO ED ECCLESIASTICO
-CONFESSIONE: CONFESSIONE COATTA NEL DIRITTO INTERMEDIO
CONFESSIONE IN MATERIA DI INQUISIZIONE ECCLESIASTICA: SUOI CARATTERI PER ESSERE VERIDICA E LEGALE)
-CONFESSIONE RELIGIOSA IN CRIMINI DI ERESIA E STREGONERIA: CARATTERI GIURIDICI DELLA CONFESSIONE
-CONFESSORE - CONFESSORI (CONFESSIONE ECCLESIASTICA)
CONFESSORE: SUOI OBBLIGHI IN CASO DI MALEFICIO ACCERTATO
- Localizzazioni: Biblioteca statale del Monumento nazionale di Casamari - Veroli - FR
Ai trionfi del molto reuer. padre D. Fausto Zerboni Barnabita, predicator celeberrimo nel duomo di Bologna
Pubblicazione: In Bologna : presso Gio. Battista Ferroni, 1641 - autore Zerboni , Fausto
- 8!, 67, 3! p. : antip. calcogr. ; 4o
- Segn.: P4 A-G4 H6 ch1
- La c. ch1 contiene 2 sonetti, rispettivamente di Girolamo Alle e Carlo Modroni
- Antip. calcogr. incisa da Andrea Salmincio
- Impronta - unhe s.t, t.o- QuFe (3) 1641 (R)
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Zerboni, Fausto,
Ragionamento della sacre stimate di S. Francesco fatto in Roma dal M.R.P. Fausto Zerboni barnabita fra l'ottaua sollenne di quella festa, nella medesima chiesa, ou'era esposto in picciola ampolla il sangue bollente dell'istesso santo,
In Roma : appresso Francesco Caualli, 1641
- 23, 1 p. ; 4
- Segn.: A
- Fregio xilogr. sul front.
- Iniziale xilogr
- Impronta - elg- i-to laso riso (3) 1641 (R)
- Localizzazioni: Biblioteca pubblica e casa della cultura - Fondazione Achille Marazza - Borgomanero - NO
Il termine ha poi assunto significati per estensione; come quello di cassetta per raccogliere offerte a fini di culto o di beneficenza o come quelli di Tesoro pubblico, erario, tesoro privato, patrimonio, ricchezza = ha origine dalla voce dotta tardo latina gazophilacium derivata dal grecismo gazophulàkion originatasi dal termine gazophulàx - akos a sua volta originatosi dalla fusione del termine greco proveniente da voce persiana gàza con la parola greca phùlax -akos = guardia custode = il termine fu poi esteso per indicare alcuni libri nel senso equivalente al latino di Thesaurus o raccolta di opere soprattutto lessicografiche o di carattere "enciclopedico" come nel caso di questo esemplare (vedi sotto voce BATTAGLIA, VI).
"[Molto Reverendo Padre in Cristo?] Illustrissimo mio Signore sempre Osservandissimo
Essendomi convenuto stare alcuni giorni fora alla nostra Badia per assistere a certe fabriche ivi ordinate, nel ritorno trovo sul mio tavolino il gradito regalo del suo libro, da me avidamente saggiato [?], non l'havendo all'ora potuto divorare [?] per l'incommodo della lettura essendo slegato lo fei portare dal libraro per la legatura, e comandatomi di novo portarmi alla Badia, e questa mattina ritornato [----] mi trovo regalato d'una sua cortessima lettera, ove leggo l'eroica sua applicatione ad arricchire di libri la sua Biblioteca Aprosiana, forse non inferiore, o solo tanto quanto è il poco [---] de' nomi, alla Biblioteca Ambrosiana. Se il Padre Macedo [ per cui il Mazza aveva palese simpatia attesi gli scritti del Macedo a lui favorevoli]l'havesse aggratiata di tutti i suoi libri, n'hvrebbe potuto di essi solo empire un'armadio, tre' ne hà stampati in Verona quest'anno passato. Ma adesso hà un litiggio col nostro Padre Noris [---]".
Il Mazza allude ad una severa polemica (in dettaglio sull'eresia pelagiana e semipelagiana
-[ BOLLA PAPALE DI INNOCENZO VIII SUL RICONOSCIMENTO DELLA STREGONERIA: TESTO INTEGRALE LATINO DELLA SUMMIS DESIDERANTES ]
-STREGA - STREGONE - ALLE ORIGINI DELLA S.: LE COMPAGNE DI DIANA
-STREGA - STREGONE: STREGA E STREGHE NEL GIUDIZIO DEL MALLEUS MALEFICARUM (XV SECOLO): LE STREGHE SUPREME
-STREGA ANTROPOFAGA: STREGHE MANGIATRICI DI BAMBINI
-STREGA INDOVINA: SIBILLA/SIBILLE - PITONESSA/PITONESSE - PIZIA/PIZIE
-STREGA - STREGHE: CACCIA ALLE S. DELLA MAGISTRATURA LAICA A GENOVA E NEL RESTO D'EUROPA
STREGA - STREGHE: VOLUMI, LIBRI E TESTI GIURIDICI SULLA STREGONERIA E LA CACCIA ALLE STREGHE
-[STREGHE - MAGHI - ALCHIMISTI: IPOTESI DI COLLEGAMENTI DIABOLICI]
-STREGA - STREGHE: TECNICHE VARIE DI DIFESA CONTRO STREGHE E MAGHI
-[STREGA OSTETRICA - STREGHE OSTETRICHE]
-STREGA - STREGHE : TECNICHE VARIE DI RICONOSCIMENTO INQUISITORIALE DI STREGHE - MAGHI
-STREGA - STREGHE: INDIZIO DI MAGIA - INDIZIO DI STREGONERIA - INDIZI DI PRATICHE OCCULTE
-[UN TIPO DI SCARPA FRA I POSSIBILI INDIZI DI STREGONERIA NEL XVII SECOLO!]
-"STREGA, STREGHE E STREGONERIA": IL DRAMMATICO PROCESSO DI TRIORA (LE STREGHE DI TRIORA)
-[I - CONTRADDIZIONI DEL DIRITTO INTERMEDIO NEL PROCEDIMENTO AVVERSO LE STREGHE DI TRIORA: IL GOVERNO DI GENOVA ARROGA A SE' OGNI AZIONE DI LEGGE]
-[II - CONTRADDIZIONI DEL DIRITTO INTERMEDIO NEL PROCEDIMENTO AVVERSO LE STREGHE DI TRIORA: L'INQUISITORE ECCLESIASTICO DI GENOVA ARROGA A SE' OGNI AZIONE DI LEGGE]
-[III - CONTRADDIZIONI DEL DIRITTO INTERMEDIO NEL PROCEDIMENTO AVVERSO LE STREGHE DI TRIORA: URTO IDEOLOGICO E CORPORATIVO NEL CONTESTO DELLA VICENDA TRA MEDICINA ALLOPATICA E MEDICINA SPAGIRICA]
-[IV - CONTRADDIZIONI DEL DIRITTO INTERMEDIO NEL PROCEDIMENTO AVVERSO LE STREGHE DI TRIORA: GOVERNO GENOVESE ED INQUISITORE ECCLESIASTICO DI GENOVA RAGGIUNGONO UNA CONCILIAZIONE DI COMPETENZE CON IL CONSCORSO DEL SACRO PALAZZO ROMANO ALLO SCOPO D'EVITARE CONFLITTI GIURISDIZIONALI]
-["STREGA, STREGHE E STREGONERIA": IL CASO DI GIOVANNETTA OZENDA DI BAIARDO]
-["STREGA, STREGHE E STREGONERIA": IL PROCEDIMENTO CONTRO GIOVANNI RODI DI MONTALTO]
-"STREGA, STREGHE E STREGONERIA": STREGHE E STREGONERIA NEL TERRITORIO INTEMELIO [IL CASO DI "PEIRINETTA RAIBAUDO DI CASTELLAR"]
-"STREGA, STREGHE E STREGONERIA": ALTRI PROCEDIMENTI PER STREGHE, MAGHI E STREGONERIA NEL PONENTE LIGURE
-UNA SUPPOSTA STREGA OSTETRICA DI VALLEBONA NEL XVII SECOLO
-[ "STREGA, STREGHE E STREGONERIA": PROCEDIMENTI PER STREGONERIA FRA XV E XVI SECOLO NEL BASSO PIEMONTE ]
-"STREGA, STREGHE E STREGONERIA": IPOTESI SU TRACCE DI CULTURA SCIAMANICA NEL PONENTE LIGURE
-["STREGA, STREGHE E STREGONERIA": PROCEDIMENTI PER STREGONERIA FRA X E XVI SECOLO NEL BASSO PIEMONTE]
-STREGHE DI LOUDUN
-STREGA "DI PIPERNO": LA BOLLA SUMMIS DESIDERANTES" DI INNOCENZO VIII ( 5/XII/1484)
-STREGHE - STREGONERIA: CONCETTO DI STREGONERIA - ELEMENTI STORICI
-STREGHE (STREGONERIA - MAGIA): ARTIFICI E INCANTESIMI VARI
-STREGHE (STREGONERIA - MAGIA): UNGUENTO DELLE STREGHE ED ALTRI FILTRI
-STREGHE (STREGONERIA - MAGIA): STREGONERIA TEMPESTARIA
-STREGHE (STREGONERIA - MAGIA): RIMEDI LECITI E ILLECITI
Il libro è forse quello che per certi aspetti maggiormente coinvolse l'Aprosio che vedeva interagire in esso i suoi interessi scientifici e medici quanto la sua passione per l'antiquaria: si tratta infatti del primo volume che dimostra come la storia del Colosseo si può studiare anche attraverso le piante.
Proprio il medico Domenico Panaroli (Panarolo), parimenti appassionato di antiquaria quanto di astrologia condusse ( in un tempo in cui il monumento era abitato dai romani ed era un rifugio d'elezione per i ladri) la prima ricerca scientifica sulle piante del Colosseo nel 1643 riassumendone gli esiti in questo volume che ha molti connotati in comune con le metodiche e le investigazioni dei Settala . Nel corso dell'Ottocento, vi furono altre tre ricerche e una nel 1951. Ultima e certamente più oculata quella portata avanti nel 2001 da alcuni ricercatori dell'Università di Roma 3 guidati da Giulia Caneva, che hanno pubblicato il loro lavoro sulla rivista "International Biodeterioration and Biodegradation". L'articolo spiega come è cambiata nel tempo la flora presente nel Colosseo e come questo fornisca informazioni utili non solo sulla storia di Roma, ma anche sui cambiamenti climatici.
Stando alle conclusioni della moderna indagine sembra non
esistere altro sito al mondo che abbia un simile record di dati sulla flora, come anche spiega il botanico Jim Dickson dell'Università di Glasgow . In totale la lista contiene 684 specie: il picco si ebbe nel 1855 con 420, mentre oggi ce ne sono 242. Di queste, 200 sono state registrate in tutte le ricerche effettuate. I ricercatori romani hanno anche trovato una certa diffusione di specie esotiche, ma soprattutto una certa tendenza allo sviluppo di specie che preferiscono i climi più secchi e caldi. Questo è dovuto in parte al fatto che il Colosseo non si trova più ai limiti estremi della città, ma nel suo cuore. D'altro canto, questo fenomeno riflette anche i recenti cambiamenti climatici.
[4 marzo 2003
Redazione Lanci, Agenzia ZadiG-Roma ]
1. Historia Pelagiana, et Dissertatio de Synodo V Oecumenica, in qua Origenis a Theodori Mopsuesteni pelagiani erroris auctorum iuxta damnatio exponitur et Aquileiense schisma describitur; additis Vindiciis Augustinianis pro libris a S. Doctore contra Pelagianos ac Semipelagianos scriptis. Patavii, typis Frambotti, 1673 in fol.; item Lipsiae 1677, in. fol. Huic operi, ut vidimus, plurimi adversati sunt, nempe Franciscus Macedo, Ord. Min., antea Iesuita, libro H. Noris dogmatistes Augustino iniurius, prohibito die 22 iunii 1676, qui prodiit sub nomine Fulg. Risbrochii Poloni; I. Hardouin. S. J., sub nomine doctoris Sorbonici, libro, cui tit. Scrupoli orti ex 1. R. P. Henr. Noris qui inscribitur Historia Pelagiana; at romani hujus I. censores prohib., 7 sept. 1695; R. P. Ioan. Guidiccioli Ord. Min. Obs., libro: Propositiones parallelae Mich. Baji et H. de Noris, Francofurti, 1676, in 12; Bruno Neusser O. M. in Germania, acri calamo omnia Norisii dicta expendit, praesertim quasdam eius propositiones in Vindiciis Augustinianis et signanter thesim de virtutibus infidelium, quam existimat nimis aperte favere Iansenismo; Em. Navarro O. S. B. in Hispania, quaedam Quesnelli erroribus faventia in eodem opere sibi visus est reperire. (Cfr. praelaud. Hurter; Niceron, Mem. des Homm. Ill., T. XXXI, p. 314. Werner, Franz Suarez, I, 295; Reusch, II, 611; Clericus, Bibl. cloisie, I, 13; I des Savans, XXIV, 430; XXXI, 3, 20; Acta Erud., Lipsiae, 1696, p. 508-18 et alios). Norisius interim suo acerrimo ingenio in iis universis adversariorum famosis libellis, calumniis ac petitionibus occurrit, personas detrahit, accusationes confringit, scrupolos exturbat, evellit, eradicat sequentibus libris et opusculis:
2. Adventoria Amicissimo ac doctissimo viro P. Francisco Macedo in Patavina Academia Ethices interpreti. In qua de inscriptione libri S. Augustini de Gratia Christi. Albiniae, Pinianae et Melaniae disseritur a F. Henrico Noris Veronensi Augustiniano.
In Academia Pisana Eclesiasticae Historiae professore. Florentiae, 1674 in 4°.
3. Miles Macedonicus Plautino sale perfrictus opera Annibalis Corradini Veronensis. Sic isti solent superbi subdomari - Plautus in Asinaria, III, 3, 112 - Altdorfii Noricorum, typis Io. Henrici Schennerstaedt in 4, De hoc opuscolo tamen haec habet Tiraboschi, l. c.: "In questa (editione Veronensi omnium operum eiusdem Norisii) però non vedesi l'opuscolo a lui attribuito comunemente, e intitolato: Miles, o Thraso, Macedonicus ecc.; e gli Editori l'hanno ommesso, perchè il Noris protestò sempre di non esserne l'Autore, come essi provan co' passi di alcune lettere da lui scritte al Magliabecchi. Il qual argomento se sia di tanta forza, com' essi pensano, lascierò che altri il decida".
4. Responsiones P. Francisci Macedi Professoris Patavini, Veneti civis etc. adversus Propositiones parallelas F. Io. a Giudicciolo collectae ab Annibale Riccio Veneto (Fr. Henr. Noris) Sacrae Theologiae Bacc.us. Venetiis typis Alexandri Pezzanae, 1676 in 4.
5. Confutatio Palinodiae sub nomine P. Henrici Noris publicatae, in 4.
6. Responsa P. Francisci Macedi Minoritae Lusitani, Magistri Conimbricensis, Lectoris sui Ordinis Iubilati, Professoris publici Patavini, Ex Lectoris Regii, Madriti, Pontificii Romae in alma Sapientia, et in Collegio de Propaganda Fide, Ex qualificatoris S. Officii Romani, Concionatoris et Consiliarii Regis Christianissimi et Serenissimi Lusitaniae Regis Historiographi latini, Veneti civis et XXXXVII librorum editorum, maiorum, minorum et aliorum libellorum Mss. Auctoris etc. adversus gerras germanas Germanitatum Cornelii Iansenii et Henrici Noris, [pag. 25] collecta ab Annibale Ricio (Henr. Niris) Veneto Sacrae Theol. Bacc. Venetiis, Typis Alexandri Pezzanae, 1677 in fol.
7. Confutatio Pseudoepistolae sub nomine Henrici Noris per dolum publicatae. De iis opusculis haec leguntur in notis manuscriptis celeberrimi Antonii Magliabecchi quae sunt in Bibl. Vaticana, in Cod. Vat. Borg. 50, f. 113, nempe quod praedicta opuscula sint "assolutamente del P. Noris" et quod de eodem "non ve ne sono assolutamente se non i sopradetti, i quali sono tutti suoi, e stampati qua (nempe Florentiae), benchè alcuni apparisca che sieno impressi altrove. Ne furono però stampati pochissimi esemplari per dispensar subito".
8. Ad Antonium Magliabecchium Florent. V. I. D. in Notas Ioannis Carnerii ad Inscriptiones Epistolarum Synodalium 90 et 92 inter Augustinianas, censura Fr. Henrici Noris Veron. August. Sereniss. Magni Hetruriae ducis Theol. et in Pisana Acad. Historiae Eccles. Professoris. Florentiae ex typ. Hippoliti de Nave, 1674 in 4, ac reimpressa Lovanii et Patavii.
9. Somnia quinquaginta Fr. Macedo in itenerario S. Augustini post Baptismum Mediolano Romam ad Ioan. Mabillon. Edita sub Pseudon. Fulgentii Fossei, Lugduni, Bat. 1681, in 4, pp. 66.
10-11. Historica dissertatio de uno ex Trinitate in carne passo. Accedunt Historiae Pelagianae Henrici Noris Augustiniani ab anonymi scrupulis Vindiciae. Romae, Franc. de Rubeis et Franc. M. Acsamitek, 1695 in fol. Prodiit etiam Venetiis an. 1696, in 4.
12. Apologia monachorum Scythiae ab anonymi scrupulis vindicata.
13. Responsio ad appendicem auctoris scrupulorum;
14. Iansenianis erroris calumnia sublata. Prodierunt haec ultimae quinque dissertationes Romae, an. 1696 simul compactae, et Lovanii an. 1702 una cum historia Pelagiana, sicut Vìndiciae Augustinianae quibus Sancti Doctoris scripta adversus Pelagionos ac Semipelagionos asseruntur. Patavii, an. 1708 in fol.
15. Duplex dissertatio de duobus nummis Diocletiani et Licinii. Florentiae, Navesii, 1675, vol. in 4. Item Patavii 1676 in fol. cum auctario chronologico de Votis decennalibus imperatorum ac Taesarum.
16. Cenotaphia Pisana Caii et Lucii Caesarum, dissertationibus illustrata; Coloniae Obsequentis Iuliae Pisanae origo, vetusti magistratus et Sacerdotum collegia; Caesaris utriusque vita, gesta et annuae eorumdem inferiae exponuntur, ac aurea utriusque Cenotaphii Latinitas demonstratur, parergon de annis Regni Herodis, de praesidibus Syriae ac Romanis in Asia provinciis. Venetiis. Balleonius, 1681 cum icon. ac tab. Item Pisis, Giovanelli, 1764, vol. 2 in 4. In cod. 882 (271) Bibl. Communalis Veronensis cc. 47 asservantur eiusdem Norisii Observationes in Cenotaphia Pisana.
17. Epistola consularis in qua collegia LXX consolum ab anno christ. epochae XXIX imp. Tiberi Augusti decimo quinto usque ad annum CCXXIX imp. Alexandri Severi octavum in vulgatis fastis... descripta corriguntur, supplentur ac illustrantur. Bononiae, 1683 in 4.
18. Epistola consularis secunda. Ms. in cod. 881, Bibl. Comm. Veron. aucthogr. cc. 211.
19. Annus et epochae Syro-Macedonum in vetustis urbium Syriae, Nummis praesertim Mediceis expositae: additis fastis consularibus Anonymi omnium optimis, e codice Ms. Bibliothecae Caesarae, cum dissertatione de Cyclo Paschali Ravennate annorum XCV. Florentiae, typis Ser. M. D. 1689, in fol. cum figuris, et ibidem an. 1691 in 4. In Bibl. Comm. Veronensi in Cod. 850 (1460) [pag. 26] chart. cc. 160 asservatur ms. auth. eiusdem Henrici Noris: Libro che tratta delle divisioni dell'anno e delle epoche che secondo li Macedoni et altre successive Nazioni Asiatiche antiche, con la dichiaratione delli progressi, stati e mutationi loro, terminato in Fiorenza l'anno 1687 regnante il Ser.mo Gran Duca Cosmo III. (Cfr. Biadego, Catal. dei Mss. della Bib. Com. di Verona, 1892, p. 407). Ex hoc libro videtur primam intentionem Norisii fuisse Opus praec. italice edendi.
20. De cruce stationali. Romae, 1694, in 8 cum quinque tabulis.
21. Istoria delle Investiture delle dignità ecclesiastiche, con dugento e quattro lettere dello stesso autore in materie diverse e di erudizione. (Edita post Auctoris mortem). Mantova, 1741 in fol. Hoc ingens volumen efformat Tomum V eiusdem Norisii omnium operarum quae collecta prodierunt Veronae, an. 1729-1732, Tom. IV in fol. Ex iis Tomus II continet opera theologica, seu historiam Pelagianam cum aliis scriptis, quae ad eam referuntur; Tom. II opera chronologica; Tom. III varia; Tomo IV continentur eius vita, a nostrate P. Hieronymo Augustino Zazzeri conscripta, et opera posthuma (de quibus scriptis posthumis Cfr. I, de Savans XLVII, 167-180) ut Historia Donatistarum ex eius schedis excerpta, in ordinem digesta et suppleta cum appendice; de sportularum origine et usu tum apud Romanos, tum apud christianos antiquos, de agapitis et salmujariis; de tractoriis; de sanctitate Siricii papae (Romae 1688) ep. IX, etc. Haec omnia prodierunt opera et studio fratrum Petri et Hieronymi Ballerini. Opera vero omnia Theologica a laudatis P. et H. Ballerini illustrata novo ordine digesta a P. I. L. Berti Erem. S. Aug. prodierunt etiam Bassani, 1769-1776, 3 vol. in fol., sicut in thesauro Theologico Venetiis, 1762, Vol. 13 in 4.
22. Lettere familiari del Cardinale F. Enrico de Noris al P. M.ro Fr. Diodato Nuzzi Agostiniano auctographae n. 124. Adduntur quatuor Epistolae eruditae, propria quoque Norisii manu ad Patres Thomam Bouges et Guillelmum Bonjour Augustinianos datae. Extant in Bibl. Angelica Romae in cod. 911 (R. 3-22) in 4, ff. 252, quarum maximam partem vulgavit, satis mendose et animo ostili; Leo G. Pelissier, in Studi e documenti di Storia e diritto, to. XI, Romae, typis Vaticanis, 1890 p. 45 et seorsim sub tit: Le Cardinal Henri de Noris et sa corrispondance. Aliae duo epistolae eiusdem Noris, I.a ad Guillelmi Bonjour d. Romae 10 mart. 1693 super celebratione Paschatis, et altera ad Thomam Bouges, missa Tolosam d. Romae 3 dec. 1692, de quibusdum antiquitatibus hebraicis, sunt in cod. 49, ff. 361 et 366 eiusdem Bibl. Angelicae. Florentiae in Bibl. Nationali, Cod. II, IV, 559 (Magl. Cl. VIII n. 294), in 4, saec. XVII, ff. 277 asservantur aliae eiusdem Norisii Epistolae ad Antonium Magliabecchi, d. a die 25 febr. 1673 ad diem 12 iunii 1700 (nonnullae absque die inscriptionis), cc. 1-261, nec non ad P. Pompeum Ant. Gandolfi una simul cum Magliabecchi, ad P. Paulum Mariani, ad dominum Mezzabarba, ad P. Antonium Pacini et ad P. Christianum Lupo (cc. 262-277). Viennae in Austria in Bibl. Palatina, n. 6492 (Fon. 309) ch. XVII, ff. 322, asservantur mss. Lettere originali del P. Enrico Noris di poi Cardinale al conte Francesco Mezzabarba-Birago, Milanese, la maggior parte in proposito del suo Occone accresciuto con altre cose, quarum epistolarum italicarum prima data est: Firenze, 8 Gennaio 1680 et ultima: Roma, 26 Maggio 1693.
Aliae quoque Litterae eiusdem Norisii ad eumdem Magliabecchium ab an. 1673, ad an. 1695 sunt in Cod. II, IV, 560 (Magl. Cl. VIII, n. 1346) in 4, saec. XVII, ff. 55 [pag. 27] eiusdem Bibl. Nationali Florentiae. Litterae 78 autographae ciusdem Norisii ad Dominicum Iosephum Magnavacca a die 8 jan. 1680 ad diem 30 dec. 1702 extant in Bibl. Universitatis Bononiensis, cod. 1419 (2421, cc. 156; aliae eiusdem litterae sunt in Bibl. Universitatis Pisanae, cod. 94; et aliae 40 ad Abatem Raphaelem Fabretti, d. a die 16 dec. 1681 ad diem 28 febr. 1690 extant Pisauri in Bibl. Oliveriana, Cod. 428, cc. 149-220; F. 128 asservatur etiam: Lettera di F. Tomasso Simeone da Monteleone Agostiniano al Card. Henr. Noris da Bologna 29 sett. 1685 sicut inter. cc. 1-21 habentur litterae et reponsa praedicti Fabretti. Tandem per quantum scio, una epistola eiusdem Norisii ad Franciscum Semini asservatur in Bibl. Comm. Cortonensi, Cod. 574 (674).
23. Eiusdem Noris quaedam Adversaria, praesertim philosophica, satis ordinata, Romae conscripta an. 1652 asservatur Romae in Bibl. Angelica in cod. 1020, ff. 106; cod. 179, f. 85; cod. 183, quo ff. 1- 102 habentur. a) Metodo per ritrovare i Noviluni e Pleniluni per via della Ottoeteride descritta. b) Scriptum ad Cycli defectum corrigendum et veram Lunae aetatem designandam. c) Tabula Longitudinis et Latitudinis Urbium insigniorum, cum horis ac minutis addendis aut subtrahendis a meridiano Lutetiae et alia astronomica. Alia Adversaria notae et vota sunt in cod. 184 eiusdem Bibl.: Parenesis ad Virum Cl. Joannem Harduinum in Cod. 891, ff. 124-151, et alia quae sunt in Bibl. Vaticana.
(Praeter recensiti Cfr. etiam Franc. Bianchini, T. I, p. 129: Vite degli Arcadi Illustri scriptae ac editae a Crescimbeni; Angel. Fabroni, Vitae virorum illustr. Ital., T. VI, p. 8; Maffei in sua Verona illustrata; Ossinger in sua Bibl. Aug., p. 631; Alia Norisii Vita quae servatur Florentiae in Biblioth. Nation. in Cod. II, X, 36, et in Bibl. Ricardiana in cod. R. II, adest: Relazione della morte del Cardinale Noris; Ballerini (fratres Petr. et Hieronymus) Vita Norisii praemissa eiusdem Norisii operibus, Veronae 1729-1741; Cardella Laur., Memorie storiche dei Cardinali della Santa Romana Chiesa, Roma, 1793, T. VIII, pp. 46-50; Cipolla Carol., Appunti sul Card. Enrico Nonis: due mss. Corsiniani in "Nuovo Archivio Veneto", n. s. 7, 1904; Ceracchini, Fasti Teologali dell'Università Fiorentina, Firenze, 1738, Fedeli Car. Noris e Maffi in Conferenze e Prose varie, Siena, 1911; Museum Mazzucchellianum, seu numismata virorum doctrina praestantium quae apud Io. M. Mazzucchellium servantur, Venetiis, 1763; Kochler F. D., Rècréation numismatique, 13.e partie, p. 265; Wiggers G. F., Darstellung des Augustinismus, Berlin, 1821-33 in 2.a parte continet historiam controversiarum quae agitatae fuerunt circa Norisianum opus; "historia Pelagiana"; Riccardi, Bibl. Matematica italiana, Modena, 1870, col. 203; omnes Nostrates et omnes aliis scriptores illius temporis et posteriores).
Pelagio nacque, intorno al 354, in Inghilterra . Giunse a Roma verso il 384. Era un uomo di grande talento, oratore, scrittore ed esegeta molto apprezato, rimase "dottore laico e indipendente". Suo scopo era di reagire contro una religione superficiale, quella dei pagani convertiti in massa al cristianesimo. Pelagio era soprattutto un moralista severo e intransigente, predicava infatti:
il distacco dalle ricchezze,
la povertà e la castità.
Combatté con forza qualunque rilassamento, insistendo sull'esistenza dell'Inferno e del Paradiso .
Negli ambienti romani, in cui sopravviveva lo stoicismo , il pelagianesimo attecchì facilmente. Pelagio predicò liberamente in Italia fino al 410. Ma in quegli anni, i Visigoti , guidate da Alarico , si diffusero attraverso il nord nell'Italia, e presto raggiunsero Roma, che fu saccheggiata. Pelagio e l'avvocato Celestio, il suo più eminente discepolo, si rifugiarono in Africa . Pelagio, poi, si recò in Palestina dove ricevette un'accoglienza abbastanza favorevole, mentre Celestio fu oggetto di critiche e opposizioni. Nel 411, al Concilio di Cartagine , furono condannate le dottrine di Celestio, che fu scomunicato. Fece appello a Roma, ma invece di recarsi dal papa , fuggì a Efeso dove fu ordinato prete .
Secondo, però, gli "ortodossi" (sia cattolici che ortodossi odierni) il pelagianesimo indicava alle anime un ideale di santità troppo elevato, concentrato soprattutto sulla volontà individuale, sulla libertà umana. Gli "ortodossi", infatti, considerando l'uomo libero, ma dopo il peccato, incapace di vivere appieno i doni di Dio. Il pelagianesimo, a differenza dei cattolici, negava il peccato originale. Era impossibile che l'anima creata da Dio fosse caricata di un peccato non commesso. I pelagiani si rifiutavano di ammettere che il battesimo dei bambini. Nel battesimo degli adulti, il battesimo cancellerebbe i peccati commessi in precedenza, lo stesso non si può dire che avvenga per i bambini. Il battesimo degli infanti non avrebbe altro scopo che quello di aprire loro il "regno dei cieli". I bambini morti senza battesimo andrebbero in paradiso , ma non nel "regno dei cieli", che è soltanto una parte di esso.
Il pelagianesimo, comunque, prediligeva l'attitudine della libertà umana a scegliere a suo arbitrio fra il bene e il male e ad adempiere, con le proprie forze, la legge divina.
In Africa, Sant'Agostino continuò la lotta contro le sue dottrine. Scrisse molti libri ed espresse la dottrina fatta propria dalla Chiesa cattolica :
esistenza del peccato originale;
necessità del battesimo per la salvezza;
azione della grazia per la salvezza.
Il pelagianesimo, in oriente, fu, in un primo momento, dichiarato ortodosso nel concilio di Gerusalemme e in quello di Diospolis nel 415, in Africa, invece, fu condannato. Il papa Zosimo , in un primo momento favorevole ai pelagiani, nel 418, con l'enciclica intitolala Epistola tractoria condannò definitivamente il pelagianesimo. Vi furono tuttavia diciotto vescovi italiani, il più noto dei quali fu Giuliano di Eclano , che rifiutarono di sottoscrivere la dottrina definita dal papa, ma furono vigorosamente contrastati, e il pelagianesimo scomparve con discreta rapidità.
In epoca moderna, il pelagianesimo è stato visto come una dottrina liberale , idonea, cioè, ad esaltare l'autonomia e la libertà del singolo rispetto all'autorità della gerarchia ecclesiastica. In molti, infatti hanno visto l'opposizione al pelagianesimo come il tentativo della gerarchia di mantenere il proprio ruolo di mediazione tra Dio e gli uomini. Alcuni, però evidenziano come i luterani ed i protestanti in genere, pur avendo escluso il ruolo di mediazione del clero, attribuiscono un ruolo decisivo alla "predestinazione" ed alla "grazia".
Secondo Pelagio, gli uomini possono con la propria volontà (libero arbitrio ), aiutata dalle preghiere e dalle opere buone, evitare il peccato e giungere alla salvezza eterna, senza intervento della grazia divina. Per Pelagio esiste la grazia della creazione, gratia qua creati sumus, della rivelazione, della legge, dei miracoli di Cristo e del suo esempio, della sua dottrina salvifica, non quella preveniente, definita da Agostino ispirazione d’amore, affinché facciamo con santo amore quel che abbiamo conosciuto, che Dio concederebbe a pochi, secondo una volontà imperscrutabile come condizione necessaria per la salvezza. Per Pelagio, l’uomo, essere libero, può decidere di peccare o meno; non ammette dipendenza da Dio per ottenere la virtù perché libero e autonomo è stato creato da Dio stesso che, alla fine della vita, premia o punisce il buono o cattivo uso fatto dall’uomo della propria libertà.
Per Pelagio non esiste la predestinazione , concezione di Agostino che considera l’umanità una sola massa dannata e che comporta una grave aporia nella dottrina cristiana, perché la predestinazione annullerebbe la libertà della volontà umana, e dunque la volontà tutta intera, dovendo questa essere libera per definizione. Esiste in Dio prescienza, non predestinazione, conoscenza, non decisione. Anche Scoto Eriugena , 450 anni dopo, negherà la predestinazione divina, sostenendo che in Dio non esiste il prima e il dopo e dunque egli conosce ma non prae - destina.
Pelagio nega la trasmissione a tutta l’umanità del peccato di Adamo che era, secondo lui, mortale anche prima di commettere peccato; ciascuno è responsabile delle proprie azioni, non di quelle degli altri. Il battesimo degli adulti rimette i peccati da questi commessi ma i bambini appena nati non vengono battezzati in remissionem peccatorum che non possono aver commesso. All’obiezione che era antica l’usanza di battezzare i bambini, afferma che il battesimo è l’espressione dell’accoglimento nella comunità cristiana; senza battesimo ottengono comunque la vita eterna e col battesimo, anche il Regno dei Cieli, l’incorporazione in Cristo.
I priori generali da Egidio in poi vengono eletti in buon numero tra i grandi studiosi e autori di importanti opere teologiche o filosofiche. Celebri sono i pp. Alessandro da S. Elpidio (1312-26), Guglielmo da Cremona (1326-42), Tommaso da Strasburgo (1345-57 ), Gregorio da Rimini (1357-8 ), Ugolino da Orvieto (1368-71), Bonaventura da Padova (1377-8), Agostino Favaroni da Roma (1419-31), Guglielmo Becchi da Firenze (1460-70), Egidio da Viterbo (1507-18), Gerolamo Seripando (1539-51), Taddeo da Perugia (1570-81), Fulgenzio Bellelli (1726-33 ), ecc.
È stato scritto talvolta che già dai sec. XIII-XIV si registrò una grande tendenza nell'Ordine contro gli studi. Tale affermazione è priva di fondamento. Sono stati indicati come rappresentanti di tale tendenza il b. Simone da Cascia e l'inglese Guglielmo Flete. In realtà, questi autori non furono mai contro gli studi. Ciò che essi condannavano erano le ambizioni legate ai gradi accademici, la perdita di tempo in sottigliezze scolastiche e il culto che credevano reso in forma eccessiva alla filosofia scolastica. Essi furono anzi studiosi esemplari. L'atteggiamento del b. Simone da Cascia appare ben chiaro in una lettera del 21.4.1342, scritta al giovane agostiniano Bartolomeo da Settimo di Pisa in occasione della sua professione: « Cerca la dottrina sana, evita le vanità. Dedicati con fede allo studio delle cose divine, praticale con amore, leggi la storia del Verbo Incarnato. Leggi con grande attenzione le lettere apostoliche. Ti darà infatti il Signore intelligenza per queste cose. Dedica il tuo tempo di sollievo alle scritture agiografiche. Nutri la tua anima piú con le discipline cristifere e apostoliche che con quelle aristoteliche. La disciplina di Cristo ti ammaestri. La sua disciplina ti diriga a lui fine di tutti » (N. Mattioli, Il beato Simone Fidati da Cascia... e i suoi scritti editi e inediti, Roma 1898, p. 349). Guglielmo Flete scrive al provinciale d'Inghilterra: « Ordinate inoltre ai priori che nessun fratello rimanga ozioso; coloro che non sono adatti alla predicazione o allo studio, facciano con le mani qualche buon lavoro » (AnalAug 18 [1941-2] 320). Senza dubbio è ammirevole vedere come questi due e altri autori agostiniani che seguivano sotto vari aspetti le tendenze degli Spirituali sappiano raccogliere i punti e gli aspetti positivi senza cadere in sottigliezze contro l'obbedienza e l'autorità.
I principali centri di formazione erano gli « Studia generalia Ordinis ». Il primo fu quello già citato di Parigi, che restò il principale almeno fino al sec. XVII; altri studi importanti vennero fondati a Bologna, Padova, lo « studium curiac », Firenze, Cambridge, Oxford.
2. 1 periodi nei quali si può suddividere la storia dell'Ordine per quel che si riferisce agli studi sono i medesimi che abbiamo indicato parlando della espansione dell'Ordine. a) Nel primo, che va fino al 1357, oltre a quelli già citati come priori generali famosi per le loro pubblicazioni, debbono essere ricordati Giacomo da Viterbo, discepolo di Egidio Romano e uno dei suoi successori sulla cattedra universitaria di Parigi. È particolarmente importante il suo De regimine christiano, scritto intorno al 1301-2, che viene considerato il primo trattato De Ecclesia. Esso s'inserisce nella serie di scritti che vennero fatti dagli A. nella prima parte del sec. XIV sulle relazioni tra la Chiesa e lo Stato. Già verso il 1301, Egidio Romano aveva scritto la non meno conosciuta De ecclesiastica potestate. Egidio esercitò un influsso grandissimo sull'Unam sanctam di Bonifacio VIII. A questi due si aggiunge, con non minore importanza, Agostino da Ancona (+1328), con la sua grande opera Summa de potestate ecclesiastica, che viene considerato il primo trattato De Romano Ponti f ice. Egidio e Giacomo difendono i diritti di papa Bonifacio VIII contro Filippo il Bello, re di Francia; Agostino d'Ancona, quelli di Giovanni XXII contro Ludovico il Bavaro. Poco dopo, interviene Guglielmo da Cremona (+1356) con la sua Reprobatio sex errorum sive de auctoritate apostolica. È stato detto che questi autori difendono una teocrazia oltranzista; si può dire, senza volerli giudicare esenti da taluni eccessi, che, esaminata attentamente la loro dottrina e considerata l'importanza che concedono alla grazia, la loro posizione si mantenga abbastanza nel giusto.
Tra i pp. generali conviene evidenziare come teologi anche Tommaso da Strasburgo (+1357) e Gregorio da Rimini (+1358): quali superiori, uno conclude la prima epoca e l'altro apre la seconda, però in quanto teologi appartengono entrambi alla prima. Tommaso da Strasburgo esercitò un grande influsso con il suo prezioso commento In quattuor libros Sententiarum, « conservato in molti manoscritti e in varie edizioni, nel quale ci lasciò il corso teologico piú completo, piú uniforme e piú apprezzato di quanti produsse la scuola agostiniana prima di Gianlorenzo Berti (+ 1766) » (D. Gutiérrez, AnalAug33 [1970] 97s). Gregorio da Rimini fu forse l'agostiniano che fino ad allora seguí piú da vicino s. Agostino per la teologia; una delle sue opere migliori è il commento Super primum et secundum Sententiarum. Solo attraverso un grave disconoscimento della sua dottrina egli è stato qualificato come tortor infantium, poiché avrebbe condannato alle pene eterne i bambini che muoiono senza il battesimo: niente di ciò; Gregorio espone le due sentenze e non si pronuncia per nessuna delle due. È, stato detto che egli fu « antesignanus nominalistarum » (antesignano dei nominalisti): non si riscontra alcun nominalismo in lui; anzi, i suoi stessi contemporanei lo ritennero contrario ai nominalisti. « La verità è che egli è uno dei grandi teologi del secolo XIV, e se gli si vuole attribuire la gloria piú appropriata, Gregorio è uno dei migliori conoscitori di s. Agostino di ogni tempo » (D.A. Trapp, Gregorio de Rímini y el nominalismo, in August 4 [1964] 5).
Com'è noto, in questo periodo, gli autori erano allo stesso tempo quasi sempre filosofi e teologi. Tuttavia, occorre indicare come filosofo soprattutto l'agostiniano spagnolo Alfonso Vargas da Toledo (+1366). Egli è una grande personalità per diversi motivi: fu uno dei migliori collaboratori del card. Egidio de Albornoz nel governo dello Stato pontificio; divenne arcv. di Siviglia. Su di lui valga il giudizio che ne dà il gesuita p. Urraburu: « Tanto nel suo trattato de Anima come nei suoi commenti sul I libro delle Sentenze, si manifesta una intelligenza superiore e desta invidia il suo stile sobrio, ordinato, vigoroso e piú chiaro dell'acqua. Se avessi potuto vedere il suo trattato de Anima mentre stavo scrivendo la Psicologia, piú di una volta lo avrei citato elogiandolo. Se Dio vorrà che possa redigere la storia della filosofia, vi si potrà sottolineare questo scrittore che è tanto meritevole ed è un vero peccato che egli sia cosí sconosciuto » (Ciud Dios 177 [1964] 224).
La stessa cosa avviene per gli autori di vita spirituale. Tuttavia, forse tre dei rappresentanti piú caratteristici di questa epoca sono Enrico da Friemar (+1340), uno dei migliori rappresentanti della mistica tedesca medievale; il b. Simone da Cascia (+1348) e il p. Ermanno da Schildesche (+1357). Le opere del b. Simone, L'ordine della vita cristiana e il De gestis Domini Salvatoris, hanno esercitato un grande influsso sulla spiritualità, rilevabile particolarmente in s. Caterina da Siena e in molti altri autori. Ermanno da Schildesche lasciò una chiara e profonda conoscenza della vita spirituale soprattutto nel Claustrurn animac. È interessante sottolineare che egli, in contrasto con la tesi di s. Tommaso d'Aquino, sostiene che il voto specifico della vita religiosa è il voto di castità.
b) Il periodo 1357-1539 è invece un periodo di decadenza. Esso tuttavia comincia molto bene, poiché sono ancora viventi diversi dei grandi teo. logi e altri scritti del periodo anteriore, alcuni dei quali abbiamo piú sopra ricordato. Durante questo periodo e già negli ultimi anni dell'anteriore, abbonda la corsa ai titoli o gradi proprio per ambizione e vanità e onde godere di certi privilegi che in gran parte avrebbero dovuto essere eliminati, in quanto erano in contrasto con la vita fraterna agostiniana.
Durante il periodo 1350-80, furono tanti i teologi usciti dalle file agostiniane, che, secondo Hurter (Nomenclator litterarites, IV, Innsbruck 1892, p. 507), sembra che debba essere riconosciuto appunto all'Ordine agostiniano il primo posto. Francesco di Biancozzo de' Nerli, agostiniano, fu il primo che conseguí il dottorato nella facoltà teologica di Firenze. Nell'organizzazione dell'università teologica di Bologna, inaugurata il 2.6.1364, esercitò un grande influsso l'agostiniano Ugolino da Orvieto (+1374): fu lui il principale redattore degli statuti della nuova facoltà, e fissò il suo indirizzo scientifico. Con lui collaborò il p. Bonaventura da Padova, il quale, già cardinale, fu uno dei tre incaricati da Urbano VI di riformare o adattare i primi statuti per altre università italiane. Ugualmente agli statuti della medesima facoltà nell'università di Vienna prestò la propria collaborazione l'agostiniano Leonardo da Carinzia, che appare tra i firmatari del 1380. Uno dei primi professori dell'università di Praga fu il p. Nicola da Laun. Merita di essere citato pure Stefano d'Ungheria, professore a Gran, vesc. di Nytria e arcv. di Kalocsa (1350-82). Prima di lui, l'Ordine aveva già avuto un grande professore ungherese, il p. Alessandro d'Ungheria. Data la levatura di entrambi, è stato possibile affermare che, nei primi tempi del sec. XIV, furono gli A. i principali rappresentanti della teologia in Ungheria. Gyso da Colonia e Nicola da Neuss presero parte alla fondazione della facoltà di teologia nell'università di Colonia, in cui furono professori.
Gli A. proseguirono per molto tempo l'insegnamento nei centri universitari che abbiamo citati per il periodo precedente ed ebbero buoni professori universitari in Spagna: Bernardo Oliver (+1348), Martino da Córdoba e Jaime Pérez da Valenza (+1490).
Altri teologi meritevoli di nota in questo periodo sono: Giovanni Clencot (+1375), Giovanni Hiltalinger da Basilea (+1392), i cui commenti alle Sentenze sono una vera enciclopedia teologica, Tommaso Winterton (+1392), Roberto Hardeby (+1398), Giovanni Zaccaria (+1428), Paolo Veneto (+1429), grande filosofo, Agostino Favaroni da Roma, forse il principale teologo, Bartolomeo Arnoldo da Ussigen (+ 1532), che scrisse con brillantezza contro Lutero e seguaci, Egidio Canisio da Viterbo (+1532), che divenne generale dell'Ordine e cardinale ed esercitò un grande influsso nel Concilio -> Lateranense V, sul quale provocò una profonda impressione il suo discorso in cui pronunciò la frase famosa: « Homines per sacra immutari fas est, non sacra per homines: è necessario che gli uomini vengano riformati dalla religione e non la religione dagli uomini». Dionisio Vàzquez (+1539) fu il primo professore di Sacra Scrittura nell'università di orientamento umanista di Alcalà (Madrid): egli era molto esperto in filologia e patrologia.
Già nell'ultima parte del periodo precedente, era sorta tra gli A. italiani una forte corrente umanistica. Essi furono forse i frati maggiormente amici di Petrarca, sulla cui vita influirono non poco, come pure sul Boccaccio. Quest'ultimo s'imbatté nell'agostiniano Martino da Signa (+1387), suo confessore e padre spirituale, che lo portò a una morte degna. Fu tale la gratitudine del Boccaccio verso di lui, che lo lasciò erede della propria biblioteca ed esecutore delle sue ultime . volontà. Tra gli amici di Petrarca, e umanisti essi stessi, occupano un posto speciale Dionigi da Borgo San Sepolcro (+1342), Bartolomeo da Urbi.. no (+ 1350), autore del celebre Milleloquium S. Augustini, già iniziato da Agostino d'Ancona, Giovanni Cocci (+1364), Luigi Marsili (+1394), animatore del gruppo umanistico di Firenze, e il già citato p. generale dell'Ordine e card. Bonaventura da Padova, che pronunciò l'elogio funebre al funerale del Petrarca.
Altri umanisti insigni di questo periodo furono l'italiano Andrea Biglia (+ca 1435), il francese Giacomo Legrand (1-1414-5) e Ambrogio Calepino (+1511), che divenne immortale con il suo Dictionarium septem linguarum, che ha fatto si che in diverse lingue il suo cognome di « Calepino » sia divenuto sinonimo di « dizionario ».
c) Con l'inizio del periodo successivo 1539-1785, viene avviato un particolare sforzo di rinnovamento degli studi, grazie all'energia e all'attività dinamica del grande p. generale Gerolamo Seripando ( t 1563), il quale fu inoltre uno dei maggiori teologi ed esegeti che l'Ordine agostiniano abbia posseduto; oggi, è indubitato che egli fosse il migliore teologo del Concilio di Trento,. Nel corso del suo generalato (1539-51) emanò ottime disposizioni relative agli studi e li promosse egli stesso personalmente in occasione delle visite che fece alle province d'Italia, Francia, Spagna e Portogallo durante gli anni 1539-42, raccomandando con insistenza che si seguissero gli autori della scuola agostiniana, specialmente Egidio Romano. La sua opera venne proseguita in maniera particolare dal suo eminente discepolo Taddeo da Perugia, che fu generale dell'Ordine durante gli anni 1570-81.
Considerevole influsso esercitò l'Ordine all'università di Salamanca, nella quale ebbe allo stesso tempo fino a quattro professori. Quando venne fondata la prima università di America in Messico (1553), ebbe un notevole ascendente l'agostiniano Alonso de la Vera Cruz, che ne può molto facilmente venir considerato il fondatore intellettualea lui venne affidata la cattedra di esegesi biblica. Morto nel 1584, fu sua la prima opera di filosofia pubblicata in America. In questo tempo, gli A. fondarono in America alcune università: una a Quito (1586) e un'altra a Bogotà (1694). Una specie di collegio universitario fu quello di s.Ildefonso di Lima. In Spagna, nelle isole Canarie, venne fondata l'università de La Laguna (1744).
Tra i teologi principali, oltre a quelli già ricordati, vi sono: Giovanni Hoffmeister (+1547), Cristoforo da Padova (+1569), Lorenzo de Villavicencio (+1583), Gaspare da Casale (+1584), Luigi de León (+ 1591), uno dei migliori teologi spagnoli ed eccellente esperto di Sacra Scrittura: speciale ricordo merita la sua opera I nomi di Cristo; Pietro de Aragón (+1592), Giovanni de Guevara (+1600), il portoghese Egidio della Presentazione (+1626), Agostino - Antolínez ( t 1626), Basilio Ponce de León (+1629), che esercitò un influsso dominante nella formulazione della dottrina sulla grazia nella scuola agostiniana; Bartolomeo de los Ríos (+1652), il teologo della schiavitú mariana; Agostino Gibbon (+1676), Cristiano Wolf (o Lupo: +1681), Enrico Noris (+1704), Enrico Nicola Gavardi (+1715), Bernardo Desiderant (+1725), Pietro Manso (1-1736), Fulgenzio Bellelli (+1742), Gianlorenzo Berti (+1766), Enrico Flórez (+1773), Giordano Simon (+1776), ecc. Tra i filosofi merita un ricordo particolare il p. Diego de Zúniga (+1599 ca); M. Solana ha detto di lui: « Fra Diego de Zuniga può essere chiamato il Vives della Scolastica spagnola alla fine del secolo XVI » (Historia de la Filosofia espanola, III, Madrid 1941, p. 221-60).
Abbondante è il numero di coloro che si dedicarono in maniera particolare alla spiritualità: s. Tommaso da Villanova (' 1555), il suo discepolo il b. Alonso de Orozco (+1591), Luigi Montoya (+1569), il portoghese Sebastiano Toscano (+1580 ca), Tommaso di Gesú o Andrada (+ 1582), Giovanni Nicola Chiesa ( t 1782), ecc. Emerse nella trattazione di questioni liturgiche G. M. Cavalieri (+1757).
d) Il periodo 1785-1880 è caratterizzato, invece, da una grande decadenza, benché non mancassero neppure in esso grandi teologi e scrittori di altri temi e anche professori universitari. Conviene citare: l'orientalista Antonio Agostino Giorgi (+1797), Michelangelo Marcelli (+ 1804), J.F. Sidro Villarroig (+1816), Engelberto Klúpfel (+1811), ecc.
e) Il periodo che inizia con il 1881 ha molto promosso gli studi. In Spagna influí grandemente il p. Tommaso Càmara, in seguito vescovo di Salamanca e uno dei migliori promotori degli studi nella Chiesa spagnola; morí nel 1904. Tra i suoi discepoli vi fu il p. Onorato del Val (+1910); eminente patrologo fu il p. Antonio Casamassa (+1955), ecc. Come filosofo merita di essere citato il p. Marcellino Arnaiz (1-1930), discepolo del card. Mercier. Meritano anche una menzione speciale i teologi e orientalisti card. Agostino Ciasca (+1902) e A. Palmieri (+1927). Buon patrologo e storico fu il p. Angelo C. Vega (+1972).
Nei primi tempi di questo periodo, lo studio fu avviato principalmente verso le scienze non ecclesiastiche. Vennero fondati molti collegi. Le stesse università proprie dell'Ordine, quella di Villanova negli Stati Uniti, quella di Villanueva a Cuba e quella di Iloilo nelle Filippine, ne hanno conservato l'impronta. Per le scienze ecclesiastiche merita di essere notata la erezione pontificia dell'Institutum Patristicum Augustinianum, avvenuta il 25.7.1969, con sede a Roma.
3. Direzione della scuola agostiniana. - La scuola agostiniana, come si è visto, è iniziata con Egidio Romano: discepolo di s. Tommaso, egli ebbe molto di tomismo e di aristotelismo; tuttavia, l'influsso di s. Agostino appare profondo. Fu in questo senso che la scuola andò perfezionandosi e già lo stesso Giacomo da Viterbo rifletteva un agostinismo piú intenso. Essendo s. Tommaso un grande conoscitore di s. Agostino, non è strano che gli autori agostiniani si rifacciano a lui con frequenza. In ogni caso, il principio ispiratore fu ed è sempre stato in forma principale s. Agostino. Nella scuola agostiniana, si riconosce un triplice primato: primato di Cristo, primato dell'amore e primato della grazia. Gli Autori danno la preminenza alla volontà, pur senza difendere alcun volontarismo morboso. La teologia, piú che speculativa o pratica, è affettiva: il suo fine è Dei dilectio. Difendono l'ansia innata di possedere Dio, poiché siamo stati costituzionalmente fatti da Dio con questa ansia o appetito. La scuola è stata caratterizzata inoltre dall'orientamento positivo dei suoi studi: scritturistici, patristici, ecc.
4. Altri studi. - In questo contesto ci siamo ridotti a parlare quasi unicamente degli studi teologici e filosofici. Talvolta, abbiamo indicato qualcosa sugli studi relativi ad altre materie, come nel caso dell'umanesimo soprattutto nel sec. XIV. Quanto alla storia, basti ricordare Onofrio Panvinio (+1568), che influí moltissimo sullo sviluppo dell'archeologia cristiana e della storia ecclesiastica. Quanto alla storia ecclesiastica, occupano un posto eminente il tedesco Sisto Schier (+ 1772) e soprattutto il p. Enrico Flórez (+1773), autore della monumentale Espana Sagrada, proseguita poi da alcuni suoi discepoli. Vi sono stati tra gli A. importanti letterati, come fra Luigi de León, denominato pure il principe del rinascimento spagnolo; Pietro Malón de Chaide (+1589), Diego Gonzàlez (+1794); il portoghese Giuseppe Santa Rita Durào (+1784), autore del celebre poema Caramuní; il peruviano Fernando Valverde (+ dopo 1657). Il p. Giulio Accetta (+1752) fu professore di matematica nell'università di Torino e membro della accademia delle scienze di Parigi. Il p. Domenico Giuseppe Engramelle (+1781) fu inventore e grande uomo di scienza: promosse l'arte dell'insegnamento ai sordomuti. Il p. Emmanuele Blanco (+1845) è autore della monumentale Flora de Filipinas. Però l'uomo di gran lunga piú famoso nel campo scientifico tra gli A. è il p. Giovanni Gregorio Mendel (+1884), che esercitò un cosí vasto influsso con le sue leggi sull'ereditarietà. Egli rese celebre in tal modo la sua abbazia di Brno (Cecoslovacchia).
I. Monasterio, Místicos agustinos espanoles, 2 vol., El Escorial 1929; A. Tonna-Barthet, I mistici agostiniani, Firenze 1934; D. Gutiérrez, Notitia historica antiquae scholae aegidianae, in AnalAug 18 (1941-2) 39-67; A. Trapè, De gratuitate ordinis supernaturalis apud theologos augustinenses litteris encyclicis « Humani generis v praelucentibus, ivi 21 (1947-50) 217-65; A. Turrado, Notas sobre la espirilualidad de San Agustín y de la Orden Agustiniana, in CiudDios 169 (1956) 686-717; E. Domínguez La escuela teologica agustiniana de Salamanca, ivi, 63885; E. Ypma, La formation des professeurs chez les ermites de saint Augustin de 1256 à 1354, Parigi 1956; D. Trapp, Augustinian Theology of the 14th Century. Notes on editions, marginalia, opinions and book-lore, in AugustLov 6 (1956) 146-274; U. Mariani, Chiesa e Stato nei teologi agostiniani del secolo XIV, Roma 1957; B. Díez Fernàndez (Dífernan), EI concepto de derecho y de justicia en los cldsicos espanoles del siglo XVI. (Estudio especial de los clàsicos Agustinos), El Escorial 1957; A. Trapè, Scuola teologica e spiritualità nell'Ordine Agostiniano, in Agustinus vitae spiritualis Magister 2 (Roma 1959) 5-75; U. Mariani, Il Petrarca e gli Agostiniani, Roma 1959=; G. Díaz, De peccati originalis essentia in schola augustiniana praetridentina. El Escorial 1961; G. Díaz, Tradición agustiniana acerca de los ninos que mueren sin el bautismo, in CiudDios 175 (1962) 201-28, 699-720; Id., La escuela agustiniana desde 1520 hasta 1650, ivi 176 (1963) 63-83, 189-234; L. Gago Fernàndez, Trayectoria histórica de la escuela agustiniana, Bogotà 1963; M. Wilks, The problem of sovereignity in the later ntiddle ages, Cambridge 1964; J. Worek, Agustinismo y aristotelismo tomista en la doctrina gnoseológica de Gregorio Ariminense, in CiudDios 177 (1964) 435-69, 634-82; F. Casado, La « memoria Dei p en la escuela agustiniana, ivi, 201-33; R. Arbesmann, Der Augustinereremitenorden una Beginn der humanistischen Bewegung, in AugustLov 14 (1964) 250-314, 603-39; 15 (1965) 259-93; A. Zumkeller, Die Augustinerschule des Mittelalters: Vertreter una philosophisch-theologische Lehre, in AnalAug 27 (1964) 167-262; H. de Lubac, Agostinismo e teologia moderna, Bologna 1968; R. García-Villoslada, Historia de la Iglesia católica. II. Edad Media (800-1303), Madrid 19682; D. Gutiérrez, Los estudios en la Orden Agustiniana desde la Edad media hasta la contemporánea, in AnalAug 33 (1970) 75-149; Y. Congar, L'Eglise de St. Augustin à l'époque moderne, Parigi 1970. - Sulla spiritualità in genere: D. Gutiérrez, Ermites de Saint-Augustin, in DS IV, 1 (1960) 983-1018.
Quest'ultima apparteneva a un'antica famiglia catalana molto nota in Spagna e già imparentata con i Casanate. Dopo essersi stabilito a Napoli nel 1619, il padre fece carriera nell'amministrazione (presidente della Regia Camera della Sommaria, membro del Collaterale, reggente di cancelleria) e fu incaricato occasionalmente di svolgere diverse missioni diplomatiche.
Intelligente e devoto, il C. fu attratto dalla carriera ecclesiastica e si mise in contatto con i domenicani. Nel 1633 prese la tonsura, probabilmente per godere di qualche beneficio ecclesiastico. Per compiacere il padre, studiò diritto a Napoli, ottenne nel 1635, all'età di quindici anni, il titolo di dottore in utroque (ms. Casan. 4343) ed esercitò l'avvocatura. Al seguito del padre, che si recò a Roma per una missione diplomatica, durante la guerra di Castro, conobbe il cardinale G. B. Pamphili, che di li a poco sarebbe divenuto papa con il nome di Innocenzo X, e ne fu invitato ad abbracciare definitivamente la carriera ecclesiastica.
I successi del C. furono immediati: cameriere d'onore nel 1645, governatore della Sabina nel 1648, di Fabriano nel 1652, di Camerino nel 1653, anno in cui ebbe la fortuna di incontrare il futuro Clemente X, Emilio Altieri, allora vescovo del luogo, e di ricevere Cristina, ex regina di Svezia, che si recava a Roma. Nel 1656, ricevette una nuova promozione: il governo di Ancona, dove rimase fino al 1658. Nel settembre dello stesso anno ripartì per Malta come «inquisitore» o nunzio, posto di per sé senza importanza, ma che, per essere stata la prima tappa della brillante carriera di Fabio Chigi (divenuto papa nel 1655 con il nome di Alessandro VII), poteva riuscire di buono auspicio. Lasciò l'isola il 7 giugno 1663 per rientrare in Curia dove fu ricevuto con onore sia da Alessandro VII sia dalla sua corte (fra cui particolarmente il cardinale gesuita Sforza Pallavicino e Agostino Favoriti, abbreviatore e segretario del Sacro Collegio) nonché dalla maggior parte degli accademici che si meravigliarono della sua cultura. In attesa di una destinazione migliore, fu assegnato alla Segnatura di grazia e giustizia come referendario votante. Seguirono altri incarichi: consultore del S. Uffizio e del concistoro; governatore di Borgo nel 1665-67; segretario di Propaganda nel 1666-1668. Dopo la morte di Alessandro VII, fu eletto governatore del conclave. Il nuovo papa Clemente IX (Giulio Rospigliosi, un amico di vecchia data) lo nominò nell'aprile 1668 assessore al S. Uffizio, carica che dal 1635 al 1654 era stata esercitata da Francesco Albizzi, il grande avversario del giansenismo. Il C. dovette occuparsi subito della questione in vista della preparazione della «Paix de l'Eglise», voluta da Luigi XIV e dal nipote del papa, cardinale Giacomo Rospigliosi, ma contrastata da Albizzi e dai suoi seguaci. Questo trattato diede alla Francia dieci anni di pace, dal 1669 al 1679.
Nel 1673 aggiunse agli incarichi quello di segretario della Congregazione dei Vescovi e dei Regolari. Clemente X gli conferì il 12 giugno 1673 ii cappello cardinalizio (con dispensa «super eo quod non erat in ordinibus constitutus»: Arch. Segr. Vaticano, Gler. Brevium, ms. 1584, f. 752). Solo allora, all'età di 53 anni ricevette le ordinazioni e il titolo di S. Maria in Campitelli, che scambiò nel 1675 con quello di S. Cesareo e nel 1682 con quello di S. Agata. Quando passò all'ordine dei sacerdoti, egli optò nel 1686 per i SS. Nereo e Achilleo, e nel 1689 per S. Silvestro in Capite. Per il suo mantenimento ricevette, oltre alla chiesa di Tricarico in Basilicata che possedeva da molto tempo, diverse prebende, tra cui la prevostura di S. Pietro di Monforte nella diocesi di Milano. Inoltre ebbe il protettorato di varie congregazioni religiose.
Il nuovo cardinale fu presto associato a diverse congregazioni: S. Uffizio, Propaganda, Vescovi e Regolari, Concilio e Riti. Più tardi, divenne anche membro della Congregazione (o commissione) della «Régale et des Affaires de France». Sotto Innocenzo XI fu prefetto della Congregazione dello stato de' Regolari; della Visita; della Fabbrica di S. Pietro; di Malta; dei Vescovi eligendi. Nel 1698 divenne inoltre prefetto del Concilio e dell'Indice. Nel frattempo assunse provvisoriamente incarichi prolungati come prefetto della Segnatura di giustizia e del provicaniato. Nel 1693 divenne bibliotecario di S. Romana Chiesa (e acquistò nel 1696 circa 120 manoscritti provenienti dai teatini di S. Andrea della Valle).
Com'è evidente, durante i lunghi anni della sua attività di curialista, egli prese parte ad una infinità di cause diverse, riguardanti tutte le province. Da uomo metodico quale era registrava tutte le cause esaminate nelle diverse congregazioni. Queste note costituiscono una gran parte dei manoscritti della «Stanza del Casanate», che fa parte della biblioteca omonima (Inventario, n. 34: Positiones causarum agitarum et decisarum in Signatura Iustitiae, 1663-1666, tt. 1-76; Positiones... in Congregatione Concilii, 1677-1690, tt. 78-124; Omnes restrictus causarum decisarum a Congregatione S. Concilii, 1679, tt. 125143; Positiones et libella causarum agitarum in Congregatione super episcopis et regularibus, 1677-1690, tt. 144-203; Causae similes agitatae et decisae in S. Congregatione S. Officii tempore cardinalatus... distributae per alphabetum, tt. 264-270; Scripturae seu positiones causarum in quibus... C. deputatus fuit iudex, distributae per dioeceses ordine alphabetico, tt. 274-281). In virtù dei suoi interessi, della sua posizione e delle sue inclinazioni, il C. ebbe una vasta corrispondenza conservata abbastanza bene in una quarantina di registri di cui D'Angelo fornisce l'inventano (vedi anche British Museum, Add. mss. 8592).
Ebbe una cultura essenzialmente giuridica, ma come gli accademici del suo tempo s'interessò a tutto, e restò perciò un dilettante di buona cultura generale. Se mai studiò la teologia (il presunto dottorato, ottenuto nel 1635, è inammissibile) fu solo nella età matura, in vista della sua ordinazione, e la studiò probabilmente in un manuale di livello elementare. Ciò nondimeno, sarebbe errato ridurre la sua cultura all'arte di redigere una scheda bibliografica, come sostennero i suoi avversari. L'esperienza delle congregazioni gli dette una conoscenza superiore alla media delle materie ecclesiastiche. Ma, da buon dilettante e collezionista, non pubblicò niente. Le memorie e i discorsi che gli sono attribuiti sono stati probabilmente redatti dai suoi segretari, sotto il suo controllo.
Prelato degno e coscienzioso, il Casanate si attenne alle fonti dottrinali più solidamente stabilite e perciò non apprezzò il molinismo, dottrina che sembrava contraria alla tradizione; egli era portato invece verso il tomismo, che s'ispirava all'agostinismo ed era approvato dalla Chiesa. Come assessore del S. Uffizio, procurò ad Enrico de Noris il permesso di pubblicare la sua Historia Pelagiana. Si oppose al probabilismo e ai suoi eccessi, che si manifestarono nel lassismo. Come consultore, contribuì alla condanna delle proposizioni lassiste nel 1665-1666 e, come cardinale-giudice, a quelle del 1679. Egli si oppose invece alla condanna delle proposizioni rigoriste, denunciate dagli antigiansenisti nel 1679, e che saranno condannate nel 1690 sotto Alessandro VIII.
In seguito, nel 1692 e nel 1694 insorse contro tentativi simili che difatti non ebbero conseguenze. Con lo stesso intento, pose il suo veto ai riti cinesi, non senza raccomandare tuttavia ai colleghi delle missioni l'insegnamento delle lingue indigene. La validità o meglio la non validità delle ordinazioni anglicane lo preoccupava e si rammaricava per il divieto fatto ai fedeli di leggere le Sacre Scritture in lingue volgari.
Non amava i gesuiti e cercò di impedire la beatificazione di Bellarmino, non essendo del tutto convinto dell'eroicità delle sue virtù. E si schierò contro i gesuiti quando si trattò della mistica di Molinos, Petrucci, Malaval e Fénelon. Per quanto riguarda il giansenismo, il C. fu assai più accomodante del suo collega Albizzi: senza voler rimettere in discussione le decisioni precedenti caldeggiava interpretazioni meno rigide.
Non credeva all'importanza del «fatto», quando viene accettato il «diritto» e collaborò alla «Paix de l'Eglise». Per impedire che il giuramento antigiansenista di Alessandro VII incidesse sul punto preciso del fatto, desiderava che si ritornasse al significato ovvio delle cinque proposizioni. Cercò di salvare l'Amor Poenitens di J. B. Neercassel, il Methodus absolvendi et retinendi peccata di G. Huygens, il decreto di Berghes, arcivescovo di Malines, concernente le processioni e le esposizioni del Santissimo Sacramento, aspramente attaccato dal clero regolare. Alla morte di Arnauld, osò farne l'elogio in pieno concistoro, auspicando che i libri di questo teologo venissero cancellati dall'Indice. Difese Pietro Codde, vicario apostolico dell'Olanda ed è significativo che la sospensione di Codde sia stata pronunciata solo nel 1702, due anni dopo la sua morte.
Negli affari di Francia, il C. assunse un atteggiamento intransigente, difendendo il cardinale Altieri e il segretario Casoni, denigrati l'uno davanti alle corti d'Europa, l'altro davanti a quella di Roma; si oppose energicamente a Luigi XIV nelle questioni dell'affaire dei quartieri, della «Regale», degli articoli dell'assemblea del clero, dell'appello al futuro concilio, della confermazione dei vescovi che da molto tempo venivano nominati dal re ma rifiutati dal papa. Su questi argomenti presentò ai papi pressanti istanze e collaborò alla redazione dei documenti ufficiali, subendone le conseguenze. Papabile, non fu accettato dai cardinali devoti alla Francia e Luigi XIV, che lo considerava il suo principale avversario in Curia, gli oppose un costante veto.
Mecenate per natura, il C. apprezzava i buoni studi, incoraggiava gli autori e, usando della sua autorità di bibliotecario, procurava loro le informazioni sulle fonti storiche, le copie dei documenti o l'accesso alle raccolte. Tra gli italiani che approfittarono della sua protezione, possiamo citare Enrico de Noris, Ottavio Ferrari, Gregorio Barbarigo, Giovanni Cinelli. Come sottoprefetto della Biblioteca Vaticana chiamò Emanuele Schelstrate, canonico di Anversa; morto questo, egli si assunse il compito di continuare la pubblicazione delle sue opere. Diede la possibilità all'agostiniano Cristiano Lupus di copiare e pubblicare il famoso manoscritto di Montecassino, che conteneva documenti sconosciuti sul concilio di Efeso. In Francia incoraggiò il conventuale Antonio Pagi, continuatore del Baronio, Luigi Thomassin, dotto oratoriano che invitò a Roma come sottoprefetto della Vaticana, Stefano Baluze, segretario e bibliotecarlo, grande erudito, poligrafo, che aveva bisogno di aiuto per la sua nuova raccolta sui concili e soprattutto desiderava consultare il manoscritto di Montecassino. La sua ammirazione andava soprattutto alla Congregazione benedettina di S. Mauro dove era fiorita una erudizione di alto livello: Luca d'Achéry, Mabillon e Thierry Ruinart poterono fare appello alla sua inesauribile collaborazione. Dietro suo invito, Mabillon e Michel Germain intrapresero l'IterItalicum e le sue raccomandazioni aprirono loro non poche raccolte. Lo stesso favore rese ai bollandisti aiutando Conrad Jenninck che venne a Roma nel 1697 per ricerche agiografiche e per difendere gli Acta Sanctorum, i cui primi quattordici volumi erano stati appena condannati (1696) dall'Inquisizione spagnola ad istigazione dei carmelitani.
Il suo più grande contributo agli studi fu la sua biblioteca, aperta al pubblico per testamento sotto la direzione dei domenicani, i quali vi aggiunsero due cattedre e una scuola di tomismo. Arricchita di altre dotazioni, e divenuta proprietà dello Stato nel 1884 questa biblioteca risponde sempre ai desideri del suo fondatore e conserva un fondo di manoscritti preziosi.
Il 5 ott. 1698 il C. fece testamento, al quale aggiunse, il 20 genn. 1699, un codicillo (ms. Casan. 5413). Le proprietà fuori Roma passavano a suo nipote, marchese di Montagano; le altre, con la ricca collezione di opere d'arte (che sarebbe stata venduta e dispersa nel 1708) furono lasciate ai domenicani come dotazione per la sua biblioteca.
Morì a Roma il 3 marzo 1700.
Il giorno seguente ebbero luogo le esequie in S. Maria sopra Minerva, e la tumulazione nel Laterano (sulla parete fra la quarta e la quinta cappella della navata sinistra) sotto la tomba realizzata dallo scultore francese Pierre Legros, lo stesso che scolpì la grande statua che, dal 1708, orna il salone della Biblioteca Casanatense. Tra gli elogi che gli furono indirizzati è da ricordare quello molto unilaterale di Quesnel: «anche se non ha fatto molte cose per la verità egli era disposto a farle, e ha potuto impedire che fosse fatto un male troppo grande».
Da ricordare anche l'elogio più sfumato tributatogli da Saint-Simon: «Roma perse in lui uno dei più illustri cardinali, per la sua pietà, per la sua dottrina, per il gran numero di libri che conservò e per il bene che fece alle lettere».
La correspond. d'E. Scheistrate, préfet de la Bibliothèque Vaticane, a cura di L. Ceyssens, Bruxelles-Rome 1949, ad Indicem; Die Protokolle der Propagandakongr. zu deutschen Angelegenheiten 1657-1667, a cura di H. Tückle, Paderborn 1972, ad Ind.; R. Coulon, Le mouv. thomiste au XVIIème siècle. Le Rme Père A. Cloche et le card. C., in Revue thomiste, XIX (1911), pp. 421-444, 628-650; M. D'Angelo, Il card. G. C. (1620-1700), Roma 1923; J. Orcibal, Le procès des «Maximes des Saints» devant le Saint-Office, in Arch. ital.per la storia della pietà, V (1968), pp. 409-536; B. Neveu, Sébastien Joseph du Cambaut de Pontchàteau (1634-1690) et ses missions à Rome, Paris 1969, ad Indicem; V. Mori, La dispersa raccolta di quadri del C., in Accad. e Bibl. d'Italia, XXXIX (1971), pp. 422-429; P. Blet, Les assemblées du clergé et Louis XIV de 1670 à 1693, Roma 1972, ad Indicem; J. Bignami Odier-J. Ruysschaert, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI, Città del Vaticano 1973, ad Indicem.
[L. CEYSSENS - Tratto dal Dizionario Biografico degli Italiani, 21, pp. 144-147]
In precedenza sotto Paolo III (1534 - 49) Marcello Palingenio Stellato
Più variegata è forse la serie di riflessioni che nel "GDE" della UTET torinese (XV, 303) scrive: " "Poeta didascalico (La Stellata, Ferrara ca. - Ferrara ca. 1543). Solamente nel sec. XVIII si è scoperto che sotto questo pseudonimo si celava Pier Angelo Manzoli, sul quale peraltro ancor oggi si hanno pochissime notizie. Pare che esercitasse la medicina; durante il pontificato di Leone X era a Roma; più tardi ritornato a Ferrara fu sospettato di eterodossia, forse per aver frequentato i salotti calvinisti che si erano formati intorno a Renata d'Este. Paolo III nel 1545 circa fece intentare contro di lui un processo postumo, in seguito al quale le sue ossa furono dissepolte e arse sul rogo. La sua fama è legata allo Zodiacus Vitae, un poema filosofico-didascalico in esametri, scritto tra il 1528 e il 1536 e dedicato a Ercole II d'Este. E' costituito da dodici libri, contraddistinti ciascuno con il nome di una costellazione dello zodiaco. I libri non hanno uno stretto nesso fra loro: sono dodici divagazioni didascaliche, morali, metafisiche, astronomiche, ricche di allegorie e di simboli, in cui l'autore concretizza le proprie idee. Lo stile è volutamente umile, senza ricercatezze e ornamenti esteriroi: Paligenio pur sapendo maneggiare il latino con eleganza, mirava ad altro che la poesia, di cui disrezzava le oziosità e le favole futili.
Pur ricco di richiami medievali il poema è tutto permeato da una fervida fede per la sapienza, da un appassionato desiderio di conoscere l'ordine dell'universo. Le stelle secondo la sua concezione, scandiscono il ritmo della vita, governano la Terra, mutano il volto della natura. L'insieme dei cieli è il volto della natura, e questa non è altro che l'imperitura legge imposta da Dio all'Universo. Nel cielo è collocata la sorgente archetipa di tutto. La vita beata è perfetta nelle città divine collocate negli spazi infiniti dell'etere: invece sulla Terra albergano solo le ombre delle cose, l'errore la guerra, la morte, il peccato. Per questo la fede nella pura razionalità di Palingenio prende un drammatico accento pessimistico. In non pochi punti poi la sua concezione, che mostra evidenti legami con il naturalismo e le correnti platoniche e neoplatoniche, si allontana dalla stretta ortodossia cattolica e talora sfocia nell'eresia, come nell'affermazione che Dio non si cura delle sue creature e quindi non è offeso dai loro peccati. Aspre sono le censure contro il clero, che sembrano connesse con un generale proposito di riforma dei costumi. Bibl. E. Troilo, Un poeta filosofo del '500, Roma, 1912 - G. Borgiani, M. P. e il suo poema, lo "Zodiacus vitae", Città di Castello, Perugia, 1913 - Benedetto Croce, Lo "Zodiacus vitae" del P., in Poeti e Scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, III, Bari, 1952 = manca, anche per ragioni cronologiche, la citazione di contributi più recenti eppur importanti quali = E. Garin, Lo Zodiaco della vita. La polemica sull'astrologia dal Trecento al Cinquecento, Bari, Laterza, 1976].
Ecco l'elenco delle opere del Palingenio secondo i repertori dell'SBN:
Manzoli (Manzolli), Pietro Angelo (alias Marcello Palingenio Stellato) <1528fl.>, Marcelli Palingenii Stellati ... Zodiacus vitae, hoc est, De hominis vita, studio, ac moribus optime instituendis libri 12. ... opus mire eruditum, planeque philosophicum: nunc denuo longe quam antea cum emendatius, tum diligentius excusum. Cui supra priorem editionem accessit rerum ac uerborum toto opere memorabilium instructissimo index, Basileae, 1537. (Basileae : in officina Roberti Winter, 1537. Mense Septembri) - [88], 387, [5] p. ; 8o. - Cors. ; rom Iniziali xil. - Segn.: a-e8f4A-Z82A12 - Impronta - r,i- .3re est. QuVi (3) 1537 (A) - Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Ecco l'elenco dei volumi reperiti secondo l'SBN delle "genealogie degli dei pagani" di Giraldi, Lilio Gregorio
Giraldi, Lilio Gregorio,
De deis gentium uaria & multiplex historia, libris siue syntagmatibus 17 comprehensa: in qua simul de eorum imaginibus & cognominibus agitur, plurimaque etiam hactenus multis ignota explicantur, & pleraque clarius tractantur: Lilio Gregorio Gyraldo Ferrariensi auctore. Accessit locorum complurium in prima editione uel praetermissorum, uel breuius descriptorum, auctarium ac plenior tractatio, totiusque adeo operis recognitio postrema, eodem auctore. Omnium praeterea quae toto opere continentur nominum ac rerum locuples index. ... Basileae : per Ioannem Oporinum (Basileae: ex officina Iacobi Parci, sumptibus Ioannis Oporini, 1560 mense Augusto)
- 31, 5, 536, 28 p. ; 2o
- A cura di Giovanni Battista Giraldi Cinzio, il cui nome appare nella pref.
- Marca di J. Oporinus sul front
- Cors. ; gr. ; rom
- Segn.: pa-c6, A-Z6a-x6y4z62A8
- Iniziali e fregi xil
- Impronta - a-am ijij x.a- paFe (3) 1560 (R)
-Paese di pubblicazione: CH
-Lingua di pubblicazione: lat
- Localizzazioni: Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
- Biblioteca statale - Cremona
- Biblioteca nazionale centrale - Firenze
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca Vallicelliana - Roma
- Biblioteca civica - Vittorio Veneto - TV
Giraldi, Lilio Gregorio
De deis gentium uaria & multiplex historia, in qua simul de eorum imaginibus & cognominibus agitur, vbi plurima etiam hactenus multis ignota explicantur, & pleraque clarius tractantur ... Lilio Gregorio Gyraldo Ferrariensi auctore. ... Accessit quoque omnium quae toto opera continentur, nominum ac rerum locuples index ...
Basileae : Per Ioannem Oporinum (Basileae : ex officina Ioannis Oporini, 1548)
- 16, 764, 70 p. ; fol.
Marca e note tipografiche in colophon
- Segn.: a4 (-a4), a-h6 i2 k-n6 o4 p-z6, aa-nn6 oo8 pp6 qq8 rr6 ss8 tt-uu6 xx8 yy-zz6, AA-BB6 CC8 DD-EE6 FF4 GG6 HH4 II-ZZ6, Aaa4
- Impronta - u-ul a-s. nuMe dese (3) 1565 (R)
- CH
- lat.
- Biblioteca del Seminario vescovile - Alessandria
- Biblioteca Estense Universitaria - Modena
Giraldi, Lilio Gregorio,
De deis Gentium libri siue Syntagmata 17. Quibus varia ac multiplex deorum Gentium historia, imagine ac cognomina, plurimaque simul multis hactenus ignota explicantur, clarissimeque tractantur: Lilio Gregorio Gyraldo Ferrariensi auctore
... Postrema editio, ... Omnium praeterea, quae toto opere continentur, nominum ac rerum index locupletissimus,
Lugduni : apud haeredes Iacobi Iunctae, 1565 (Lugduni : excudebat Iacobus Faurus)
- 470, 2 p. ; 2o
- A cura di Giovanni Battista Giraldi il cui nome appare nella pref
- Marca sul front.
- Segn.: a-z6 A-P6 Q8
- Iniziali e fregi xil
- Impronta - V.r- m.um usvt coru (3) 1565 (R)
- Paese di pubblicazione: FR
- Lingua di pubblicazione: lat
- Localizzazioni: Biblioteca comunale Planettiana - Jesi - AN
Giraldi, Lilio Gregorio
De deis Gentium libri siue Syntagmata 17. Quibus varia ac multiplex deorum Gentium historia, imagine ac cognomina, plurimaque simul multis hactenus ignota explicantur, clarissimeque tractantur: Lilio Gregorio Gyraldo Ferrariensi auctore
... Postrema editio, ... Omnium praeterea, quae toto opere continentur, nominum ac rerum index locupletissimus,
Lugduni : apud haeredes Iacobi Iunctae, 1565
- 470, 26 p. ; 2o
- A cura di Giovanni Battista Giraldi Cinzio, il cui nome appare nella pref.
- Marca sul front.
- Cors. ; gr. ; rom.
- Segn.: a-z6A-P6Q8a62a6
- Iniziali e fregi xil
- Impronta - V.r- m.um usvt coru (3) 1565 (R)
- Paese di pubblicazione: FR
- Lingua di pubblicazione: lat
- Localizzazioni: Biblioteca universitaria di Bologna - Bologna
- Biblioteca comunale dell'Archiginnasio - Bologna
- Biblioteca nazionale centrale - Firenze
- Biblioteca della Societa' napoletana di storia patria - Napoli - NA - 1 esemplare
- Biblioteca Palatina - Parma -
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Lilio Gregorio Giraldi
nato a nel 1479 a Ferrara, ove muore nel 1552. Umanista ferrarese, fu per breve tempo a Napoli ove conobbe il Pontano e il Sannazzaro; nel 1507 studiò greco a Milano sotto la guida di Demetrio Calcondila; a Modena divenne precettore di Ercole Rangone che accompagnò a Roma nel 1514 abitando con lui in Vaticano. Durante il Sacco del 1527 perse tutti i suoi beni e la biblioteca, alla morte del cardinal Rangone si rifugiò presso Pico della Mirandola (descrisse le opere perdute di Tura per la biblioteca di Pico nel suo Historiae poetarum...dialogi decem). Alla morte di Pico nel 1533, Giraldi tornò a Ferrara dove si riunì con i vecchi amici Calcagnini e Bartolomeo Ricci, vicino alla duchessa Renata.
Il De Deis Gentium, edito a Basilea nel 1548, venne iniziato dal Giraldi in tarda età - dopo il 1533 - , l’opera è suddivisa in capitoli, ciascuno dedicato ad una divinità e preceduta da una dedicatoria; delle divinità viene analizzata l’immagine, ma anche l’origine dei nomi, spesso sono introdotte digressioni erudite su etimologie, problemi di traduzione dal greco ecc., sporadicamente compaiono notazioni su reperti archeologici e collezioni di antichità di cui, a Roma, doveva aver avuto esperienza diretta. Per la sua vastissima erudizione l’opera ebbe un rilievo eccezionale per i mitografi successivi.
Nel 1545 aveva pubblicato a Basilea un’opera antologica intitolata Historiae poetarum dialogi decem, unita al De Poetis nostrorum temporum, vero e proprio parallelo tra il mondo letterario dell’antichità e gli autori dei suoi tempi; mentre la prima parte è una sorta di enciclopedia letteraria e fornisce utili indicazioni sulle fonti usate dal Giraldi per il suo trattato di mitologia, la seconda offre un panorama dell’ambiente umanistico del tempo e delle relazioni di Giraldi con esso: nella lista di amici compaiono Calcagnini, Bocchi, Valeriano, Ariosto, Cibo, Colocci, Egnazio, Amaseo, Giovio, Grana, Sadoleto, Mellino e Blosio Palladio.
Bartolomeo Ricci
nato a Lugo (Ravenna) nel 1490 e morto a Ferrara nel 1569, fu studioso di lingue antiche, commediografo, poeta, oratore. Fu chiamato a Ferrara nel 1539 da Ercole II come precettore dei figli Alfonso e Luigi. Fu accademico tra gli Elevati, con lo pseudonimo di Tersio. Tra i suoi scritti, Apparatus Latinae locutionis (1533), De imitatione libri tres (1545), Epistolarum familiarium libri VIII (1560), Le Balie. Comedia (1565).
Renata di Francia, figlia del re Luigi XII e di Anna di Bretagna, nacque a Blois nel 1510 e morì a Montargis (Loiret) nel 1575 o 1576. Fu data in moglie dal re Francesco I , marito di sua sorella, a Ercole II d’Este , figlio di Alfonso I , duca di Ferrara, e di Lucrezia Borgia (1528). Gli sposi rinunciarono a ogni diritto sulla Bretagna, eredità materna di Renata, ed ebbero in cambio le contee di Chartres, di Gisors e il castello di Montargis. Principessa intelligente e colta, fu legata da vivo affetto alla Francia, della quale difese sempre gli interessi. Nel 1536 ospitò Calvino , il quale, giunto a Ferrara, la convertì alla sua dottrina.
Nel castello di Ferrara si mostra ancora oggi una piccola cappella ove si sarebbero svolti i riti della setta eretica .
La corte estense divenne un accogliente rifugio per i protestanti, perseguitati negli altri Stati della penisola; ma la curia romana, venuta a conoscenza dello spirito ereticale della duchessa e sollecitata dallo stesso marito di costei, la fece sorvegliare e, rifiutando essa di abbandonare la sua nuova fede, la sottopose a processo condannandola alla prigionia perpetua con la confisca dei beni.
Cedette allora (1554), ma solo in apparenza, perché continuò a mantenersi in corrispondenza con Calvino. Morto Ercole (1559), gli succedette il figlio Alfonso II , che non poté resistere alle pressioni di papa Pio IV , per cui Renata dovette tornare in Francia; dopo breve tempo si ritirò nel castello di Montargis, dove più volte diede ospitalità a ugonotti perseguitati.
Celio Calcagnini nato a Ferrara nel 1479 e morto nella stessa città nel 1541. Umanista ferrarese al servizio presso la corte estense dal 1509, passò nel 1519 a Roma ove entrò in stretti contatti con l’ambiente umanistico di Leone X (Gerolamo Aleandro, Paolo Giovio , Fabio Calvo e Raffaello che loderà nei suoi Carmina come studiosi dell’antico). Dal 1520 risulta stabilmente a Ferrara dove si lega in amicizia con Lilio Gregorio Giraldi e Pierio Valeriano .
Nel 1525 partecipa alle controversie religiose con il De libero Animi motu in cui si schiera a favore del De libero arbitrio di Erasmo .
Nel 1539 è ambasciatore di Ercole II presso Paolo III .
Il suo Opera aliquot, edito a Basilea nel 1545, raccoglie opere di vario argomento scritte nell’arco della sua vita, alcune di esse fornirono materiale importantissimo a molti dei mitografi rinascimentali, soprattutto il De rebus Aegyptiacis (Opera aliquot, pp.29 e seg.), traduzione del De Iside e Osiride di Plutarco , è all’origine dell’egittomania rinascimentale e fomentò ulteriori indagini nel campo dei geroglifici e del mito egizio in concomitanza con quanto andavano facendo Egidio da Viterbo e soprattutto Valeriano.
Il Descriptio Silentii (Opera aliquot, pp. 491 e seg.) è ancora legato al mito egizio di cui analizza, in forma di sogno o visione alla maniera di Francesco Colonna , la figura di Arpocrate dio del Silenzio. L’Anteros sive de mutuo amore (Opera aliquot, pp. 437 e seg.) riprende in termini di filosofia neoplatonica la nota favola di Eros e Anteros di larga fortuna figurativa.
Wicquefort, Joachim : van <1600-1670>, Lettres de M. J. de Wicquefort, chevalier de l'ordre de S. Michel, conseiller de madame de la Landgrave de Hesse, ... avec les reponses de M. G. Barlee, en francois et en latin, Amsterdam: Gallet, George, 1696
Wicquefort, Joachim : van <1600-1670>, Joach. Vicofortii. Ordinis S. Michaelis equitis, ... Epistolae ad Gasparum Barlaeum V. CL. cujus responsoriae etiam insertae, Amstelaedami: Gallet, George, 1696
Graswinckel, Theodor <1600-1666>, Theodori Grasuuinckelii Delphensis, I.C. Libertas Veneta. Siue Venetorum in se ac suos imperandi ius. Assertum contra anonymum Scrutinii scriptorem, Lugduni Batavorum: Commelinus, Abraham, 1634
Baerle, Kaspar : van <1584-1648>, Casparis Barlaei Rerum per octennium in Brasilia et alibi nuper gestarum, sub praefectura illustrissimi comitis I. Mauritii, Nassoviae &c. comitis, nunc Vesaliae gubernatoris & equitatus foederatorum, Belgi ordd. sub Avriaco ductoris, historia, Amstelodami: Blaeu, Joan <1. ; 1632-1673>, 1647
[ in merito a questo soggiorno si legga :CASPARIS BARLAEI Med. Doct. ac Philosophiae in ill. Amstel. Gymnasio dum viveret Professoris EPISTOLARUM LIBER PARS PRIOR. [Indefessus agendo] AMSTELODAMI, Apud JOANNEM BLAEU. M. DC. LXVII]
Cats, Jacob <1577-1660>, Faces Augustae, sive Poematia, quibus illustriores Nuptiae, a nobili & illustri viro, D. Jacobo Catsio, ... antehac Belgicis versibus conscriptae, jam a Caspare Barlaeo & Cornelio Boyo Latino carmine celebrantur. Ad serenissimama principem Elizabetham..., Dordraci: Esch, Hendrick vanHavius, Mathias, 1643
Baerle, Kaspar : van <1584-1648>, Rerum per octennium in Brasilia et alibi gestarum, sub praefectura illustrissimi comitis I. Mauritii Nassaviae &c. comitis, historia, Clivis: Silberling, Tobias <1.>, 1660
Huygens, Constantijn, Constantini Hugenii, ... Momenta desultoria; poematum libri 14 , Hagae-Comitum: Vlacq, Adriaen, 1655
Herrera y Tordesillas, Antonio : de <1559-1625> - Novus orbis, sive Descriptio Indiae Occidentalis, auctore Antonio de Herrera, ... Metaphraste C. Barlaeo. Accesserunt & aliorum Indiae Occidentalis descriptiones, & navigationis nuperae Australis Jacobi le Maire Historia, uti & navigationum per Fretum Magellanicum succinta narratio, Amstelodami: Colijn, Michiel, 1622
Autonomamente di lui alla British Library (nulla si è rinvenuto di quanto segue finora nelle biblioteche italiane) si sono poi rinvenute le seguenti opere:
1-BOEY, Cornelis,
In nativitatem Principis Auriaci posthumi... [in versi]
[s. e. - 1650.]
2-BOEY, Cornelis,
In obitum celsissimi Principis Auriaci Gulielmi, Belgarum Fœderatorum Imperatoris...
[s. e. - 1650.]
3-BOEY, Cornelis,
Het nieuwe werck der psalmen van den koningh David,
Leida : per J. Elsevier, 1659.
- [26], 320p., ill.
4-BOEY, Cornelis, Psalmen Davids, volgende de nieuwe oversettinge des Bibels, op de selfde wijsen ... als de Franoische ende die van P. Dathenus zijn ... Gerijmt door Mr. Cornelis Boey,
Rotterdam, per Matthijs Wagens, 1648.
5-BOEY, Cornelis, Thomas a Kempis Navolginge Christi. Dienstigh voor geleerde en ongeleerde om't Christen Geloove inder daedt te beleven: voormaels vertaelt en doorgaens met verssen verciert by de heer Cornelis Boey ... Den sesten druck, verbetert en vermeerdert...
Graven-Hage, per A., J. en P. Tongerloo, 1655 -
pp. 323, 12º.
6-BEVERWYCK, Johan van,
Van de wtnementheyt des vroulicken geslachts. Verc¸iert met kopere platen; ende verssen van Mr. Corn. Boy,
Dordrecht, per J. Gorissz, 1639.
pp. 679, 8º.
ELEGIA I.
Guiljelmus Iunior Arausionensium Princeps, Frederico
Henrico, Arausionensium principi, etc. Patri
suo, cum Bredam obsideret
CELSE pater, nostris paulum concede lituris,
Haec venit à nato litera missa tuo.
Hoc litui, curaeque sinant, nec bellica raucas,
Hanc dum pervolves, concitet aura tubas.
(5) Si, mater quid agat, quid ego tua cura, requires,
Commotique satis sollicitique sumus.
Saepe meas video pavidas flentesque sorores,
Et lachrymae rivi more fluentis eunt.
Saepe patrem nomenque tuum lata atria reddunt.
(10) Est desiderio concita quaeque tui.
Occurrunt matri pervasta silentia tectis,
Nec solitam turbam splendida porta vomit.
Saepe mihi, cum cura tui nomenque recursat,
Inclyta majorum, vel tua gesta refert.
(15) Grolla suas tibi qui primum commiserit arces:
Qui dederit Batavo fortia colla jugo.
Sylva etiam meritas quod te duce Martia paenas,
Quae patruum toties ludificata, dedit.
Illa quidem Batavos longum lassarat, & omnes,
(20) Qui missi fuerant, spreverat usque duces.
Iam mihi dinumerat captas per flumina naves,
Maurorumque nigro sparsa cruore freta.
Totque etiam victas, Rhenus quas alluit, urbes:
Quasque satis lento flumine Mosa lavat.
(25) Tandem obsessa tuae narrat munimina Bredae.
Quam vellem junctum me pater esse tibi!
Spectarem faciles properare in praelia turmas,
Et cupidos fraenis saepe resistere equos.
Semirutae turres, facies miserabilis urbis
(30) Offerrent oculis grata theatra meis.
Spectaremque truces armis, nitidasque cohortes
In terrae clausos insiliisse sinus.
Hic cecidit magnus Lycabas, & major Achilles,
Immensusque Ajax, qui mihi monstret, erit.
(35) Exemplumque patris, belli mihi suggeret artes,
Sic Martis, specto dum tua, crescet amor.
Hei mihi quod nostro non sint in corpore vires?
Iam patet in laudes area magna meas.
Meque, licet, ludas: patruus nunc excitat, &, qui
(40) Fulmina Maurorum prima retudit, avus.
Saepius obscuro cum nox altissima mundo est:
Haec avus ignoto pallidus ore ciet.
Te junctum patri nostras ulciscier umbras,
Sicque volunt superi, sic tua fata, decet.
(45) Nunc mea si forsan non est manus utilis hastae,
Nec capiti galeam sustinuisse queam,
Si neque quadrupedem pressis sedare lupatis,
Ferrea nec tenera spicula ferre manu,
Forma mei saltem Batavos incendet ituros.
(50) Dilectum populis, & grave nomen, avi.
Quo proprias primum tutata Batavia leges,
Quo duce disrupit sanguinolenta jugum.
Meque decet primis haurire fideliter annis,
In quas nunc artes erudiendus ero.
(55) Breda meos etiam paveat concussa furores:
Forte aliquid nostri nominis horror aget.
Edere me videat primae molimina vitae,
Primaque me castris aera merere tuis.
Est mihi nunc animus praecinctaque flumine castra
(60) Visere, & effossi jugera multa soli.
Saepe lubet, (sic nunc suasit mihi prona voluntas,)
Ferre repellendis cominus ora viris.
Est aliquid madidas truncis immergere plantas,
Et misera belli conditione frui.
(65) Astyanax patri galeam praebere solebat,
Cum quaterent Grajas Troica tela rates.
Nec mihi difficile est, moles, fossasque petentis
Casside tam charas composuisse comas.
Quando erit, excipiam cum te sudore fluentem,
(70) Et laetum pugna prosperiore, pater?
Quando erit, ut vacuas placidis sermonibus horas,
Laxarit cum te publica cura, levem?
Parvulus Aeneae* curas sedabat Iulus;
Errorique patris sarcina grata fuit.
(75) Bruma fatigatos ferret cum septima Troas,
Nec unquam Italiae cognita terra foret.
Parvus Alexander pugnas spectabat, & ipsi
Suetus erat fesso basia ferre patri.
Forte etiam, vestro dabo cum mea brachia collo.
(80) Occuretque oculis nostra juventa tuis,
Quae poscit patrias etiamnum lubrica curas,
Ad belli non tam munia promptus eris.
Nam facilem te fama refert promptumque periclis:
Militis haud tutum munus obire ducem.
(85) Sufficiunt tua jussa, meum modo respice vultum,
Qui semper, parcant ut tibi bella, rogat.
Hoc mater, populusque petunt, magnusque Senatus,
Quaeque adolet sanctos thurea flamma focos.
Totque etenim populi te perturbantur in uno,
(90) Stat pro multorum vestra salute salus.
Parce igitur generi nostro, nostraeque juventae.
Et tibi si nolis parcere, parce mihi.
Ed ancora dalle pp. 171 - 173 i seguenti:
[p. 171-173]
AD
EXCELLENTISSIMUM
ILLUSTRISSIMUMQUE
VIRUM
HUGONEM GROTIUM
Regni, Reginaeque Sueciae ad Chrisianissimum
Galliarum Regem Legatum.
MAgne vir, Arctoi quem nunc clementia regis,
Tantorum quem turba ducum, quem Gallicus orbis,
Borboniique fovent apices: cui graja vetustas,
Cui latii senium, & veteris lux cognita saecli:
Iam paulum requiesce, meis accede camaenis,
Tamque graves nostris impendas versibus aures.
Ipsa quidem nostros non indignabitur ausus,
Quae vestra cervice sedet, totumque fatigat,
Majestas Arctoa, cui Germania fasces
Submittit, sociamque sibi, dominamque precatur.
Iactat Iulaeos Romana potentia Patres,
Quos toga, quos sumptis belli furialis Evyo,
Sorsque laborantis mundi, decoraverat armis.
Graecia magnanimisque viris, ducibusque superbit,
Doctorumque grege, è gelidis quos abluit undis
Eurotas, quos ismenus, qua devius errat
Thebanaeque potens glebae, quos celsae Corinthus
Nutriit, & doctae, doctorum mater, Athenae.
[...]
Giamblico Filosofo neoplatonico (Calcide in Celesiriaca. 250 - ca. 330 d. C.), discepolo di Porfirio e iniziatore a sua volta della scuola siriaca.
Con lui si può dire che cominci la decadenza del neoplatonismo. Sotto l'influenza delle credenze orientali e preoccupato forse di ridar vita a quelle divinità pagane che stavano per essere definitivamente soppiantate dalla nuova religione (delle sue osservazioni si servirà Giuliano l'Apostata), Giamblico riprende, ipostatizzando astrazioni e concetti, l'emanatismo di Plotino. Inoltre inserisce nella dottrina neoplatonica elementi tratti dagli Oracoli Caldaici e dal neopitagorismo, contaminandola con elementi magicoteurgici. Egli giunge così a un misticismo magico che tuttavia non dissolve la filosofia nella magia e nella teurgia, anzi si sforza di conservarne l'autonomia e la razionalità.
[GIOVANNI MARIA MERLO - "NOVA - UTET"]
Lelio (Siena1525 - Zurigo1562) fu avviato agli studi giuridici a Padova; si dedicò ben presto allo studio delle lingue antiche e della Bibbia. A Vicenza ebbe rapporti con vari eretici italiani e prese vivissimo interesse per la Riforma. Nel 1547 iniziò un lungo viaggio nell'Europa centrale, durante il quale visitò i principali centri del movimento protestante (Basilea, Zurigo, Wittenberg, l'Inghilterra, i Paesi Bassi) e si spinse fino in Polonia. Durante queste peregrinazioni, Lelio entrò in contatto con la vasta diaspora dei rifugiati religiosi italiani (Camillo Renato, Curione, Ochino e altri); da loro egli ricevette l'impulso decisivo in direzione di una religiosità etica razionale, indifferente o dubbiosa nei confronti dei capisaldi della fede riformata (Trinità, Sacramenti, Predestinazione, Espiazione). Condivise la riprovazione degli umanisti per l'intolleranza calvinistica manifestata nel caso di Michele Serveto e collaborò alla redazione di quel manifesto della libertà di coscienza che fu il De Haereticis di Castellione. Perciò fu tenuto in sospetto d'eresia da parte dei riformatori, mentre per parte sua l'Inquisizione gli confiscava i beni. I suoi manoscritti, trasmessi al nipote Fausto, lo avviarono alle posizioni antitrinitarie.
Fausto (Siena1539 - Luslawice, Polonia,1604) si dedicò dapprima agli studi letterari, ma la lettura degli scritti dello zio lo indusse a dedicarsi alla teologia. Svolse la sua riflessione in base a due punti fermi: l'autorità suprema della Scrittura, e il metodo razionale di interpretazione (De auctoritate Sanctae Scripturae, 1588). Con questo il pensiero sociniano si avviava a una radicalizzazione estrema delle posizioni della Riforma: i riformatori avevano infatti mantenuto con reverenza alcune dottrine formulate dalla chiesa antica (divinità di Cristo, trinità, dogma delle due nature di Cristo) o anche della chiesa medievale (dottrina giuridica dell'espiazione, di sant'Anselmo).
Socino invece dichiarò che queste dottrine non si potevano fondare sulla Bibbia ragionevolmente interpretata, e le rifiutò.
Il punto più noto del suo pensiero è il rifiuto della dottrina della trinità: Dio è una «persona» unica e Cristo è una figura divina ma subordinata.
Bisogna peraltro notare che il centro della teologia del Socino era la dottrina della salvezza: la salvezza non consiste per lui nella redenzione del peccato, ma nel raggiungimento della vita eterna, che può essere conseguita non attraverso un obiettivo processo redentivo (morte di Cristo), ma mediante uno sforzo conoscitivo e morale (De Jesu Christo Servatore, 1594).
È ben riconoscibile in questo un sostrato di pensiero umanistico: e infatti la ricerca sociniana sfocia in una sobria religiosità etico-razionale, che non solo rifiuta i tradizionali dogmi ecclesiastici, ma anche mette in ombra alcune tipiche posizioni neotestamentarie (morte espiatrice di Cristo, sacramenti).
Il pensiero sociniano supera quello dei contemporanei nel campo morale: Socino sottolinea il momento dell'agape nell'Evangelo, ed è uno dei primi grandi banditori della libertà religiosa.
Fausto Socino risiedette per 12 anni a Firenze, alla corte di Isabella de'Medici, celando le sue convinzioni; ma nel 1575 emigrò a Basilea, dove lo raggiunse l'invito dell'antitrinitario Biandrata, che lo chiamò a collaborare con lui in Transilvania.
Di qui passò in Polonia, dove svolse la sua opera principale: ivi esisteva già da tempo un notevole fermento anabattista e antitrinitario, favorito dalla situazione polacca del momento. Socino stabilì tenaci legami con questi movimenti ottenendo ben presto una larga udienza.
Grazie alla sua influenza, le varie tendenze si unificarono e si consolidarono in una chiesa antitrinitaria di cui Socino fu il capo riconosciuto e il massimo teologo.
Il centro del movimento era Rakow, dove venne pubblicato il famoso catechismo sociniano. Esistevano allora più di 100 comunità antitrinitarie, raccolte in un'organizzazione sinodale e note sotto il nome di Fratres Polonii o di sociniani.
Alla morte di Fausto Socino la chiesa sociniana era in piena fioritura; molti nobili ne facevano parte, e il centro universitario di Rakow aveva migliaia di studenti. Per diversi decenni il movimento sociniano poté svilupparsi in Polonia e Transilvania con relativa tranquillità. Ma nel sec. XVII cominciò il declino: Sigismondo III iniziò la repressione che fu appoggiata da una parte della popolazione; i sociniani furono esclusi dall'«Atto di tolleranza» religiosa. Giovanni Casimiro li mise poi completamente al bando: i sociniani che non vollero abiurare dovettero fuggire in Germania o in Olanda.
In Germania essi furono lentamente assimilati dall'ambiente protestante: in Olanda confluirono nelle chiese mennonite e nel movimento arminiano.
Ma, mentre la chiesa si spegneva, le idee sociniane si diffondevano largamente in Inghilterra e in America dove preparavano il terreno per le future chiese unitarie.
Soltanto in Transilvania la chiesa sociniana poté sopravvivere, grazie all'opera dell'italiano Biandrata.
Il socinianesimo è caratterizzato da una linea fondamentale razionalista; ma d'altra parte esso riconosce l'ispirazione divina della Bibbia.
Tutto il sistema sociniano nasce dunque dallo sforzo di intendere secondo la ragione le verità della Scrittura: i dogmi contrari alla ragione non possono essere accettati.
In particolare, il dogma della Trinità è inaccettabile perché parla di tre persone divine senza conciliare questa nozione con l'idea dell'unità di Dio fortemente sottolineata dalla Bibbia.
I tre termini Padre, Figlio, Spirito Santo non possono dunque spiegare la realtà metafisica di Dio, ma semplicemente la sua azione salvifica.
Cristo e lo Spirito non sono dunque Persone divine.
Gesù Cristo era un semplice uomo, ma, avendo perfettamente realizzato la volontà di Dio, si è elevato fino alla somiglianza con Dio: egli ci ha insegnato il modo di conseguire l'immortalità, e in questo senso egli è Rivelatore e Salvatore. Ma la sua morte non ha valore redentivo: è semplicemente un sublime atto di abnegazione.
Lo Spirito Santo non è una Persona ma l'influenza, la forza con cui Dio aiuta i credenti.
Merito indubbio dei sociniani è stato il loro apostolato a favore della libertà religiosa; la loro critica razionalista li portava infatti a relativizzare i fattori dogmatici a favore di una tolleranza illuminata, propensa a valutare più i risultati pratici ed etici che le affermazioni dottrinali.
[GIORGIO BOUCHARD - "NOVA"]
Il termine indica la teoria metafisica e cosmologica che ritiene esservi una sostanza unica, della quale le cose sono parti o manifestazioni o rappresentazioni soggettive dell'unico spirito.
Tale sostanza unica è Dio e abbraccia ogni realtà; tutto è dunque Dio, donde il nome di panteismo. Nella forma sostanzialistica esso prende anche il nome di Monismo.
Il Panteismo si suole ancora distinguere in Panteismo acosmistico e in Panteismo naturalistico o pancosmismo, secondo che l’unica sostanza venga concepita come sostanza divina e il mondo come una emanazione o manifestazione di essa; oppure come sostanza cosmica (naturale, materiale), che contiene in sé il proprio principio animatore. La prima forma (che si ritrova nel brahmanesimo, nell'eleatismo, nel neoplatonismo, nello spinozismo e nell'idealismo) ha piuttosto carattere religioso e va spesso congiunta a particolari forme di Misticismo ; la seconda forma (propria dello stoicismo, del positivismo e del naturalismo) ha carattere piuttosto filosofico, e si avvicina all'Ateismo. Per Jacobi l'immanenza di Dio al mondo equivale alla negazione di Dio; in questa ottica le dottrine direttamente opposte al Panteismo, più che quelle atee, sono il teismo e il creazionismo. Il rinnovatore del Panteismo moderno fu Spinoza, il cui pensiero influì sui sistemi di Fichte, Schelling, Schleiermacher, Schopenhauer, Hartmann e principalmente di Hegel. ["NOVA - UTET"]
Una singolare cornice caratterizza il frontespizio dell'opera del Foscarini, Lettera del R. P. M. Paolo Antonio Foscarini Carmelitano sopra l'opinione de' Pittagorici, e del Copernico. Della mobilità della Terra, e stabilità del Sole, e del nuovo Pittagorico Sistema del Mondo, stampata a Napoli, nel 1615, presso la tipografia di Lazzaro Scoriggio. Fine dichiarato della Lettera, dedicata a Sebastiano Fantone, generale dell'Ordine Carmelitano, era quello di dimostrare quanto l'opinione copernicana non fosse in contrasto con la Bibbia e di sancire la perfetta conciliabilità della nuova scienza con le Sacre Scritture; infatti, il Foscarini raggruppava in sei "classi" le principali opposizioni al copernicanesimo, che si sarebbero potute trarre dalle Scritture, dai Padri della Chiesa e dai teologi, e a tali classi contrapponeva altrettanti "fondamenti" o principi che, applicati all'esegesi delle Scritture, le avrebbero rese perfettamente concordanti con la nuova teoria. Il carmelitano, dunque, guardava ai principi del sistema copernicano come agli unici capaci di una descrizione dell'universo armoniosa e ordinata. Con il decreto del 5 marzo 1616 la Congregazione dell'Indice condannò formalmente tutti i libri che esponessero tale opinione, tra i quali fu annoverata anche l'opera del Foscarini, il cui tentativo di conciliare i principi della teoria copernicana con i dogmi della tradizione provocò una condanna assoluta: "Librum …Pauli Antonii Foscarini Carmelitae omnimo prohibendumatque damnandum". In conseguenza del decreto, nel giugno 1616 si decise di procedere contro lo stampatore della Lettera, il già citato Lazzaro Scoriggio, accusato di aver pubblicato l'opuscolo senza l'imprimatur. Catturato ed interrogato dalla Corte Arcivescovile di Napoli, il tipografo raccontò come il Foscarini gli avesse consegnato un solo manoscritto, contenente insieme la Lettera ed il Trattato della divinatione naturale, e come l'unico imprimatur, che compariva alla fine del Trattato (come è riportato nel colophon della Lettera: Imprimatur P. Ant. Ghibert. Vic. Gen. Ioannes Longus Can. & Cur. Archiep.), fosse stato considerato valido per l'intero volume; le due opere erano state pubblicate, poi, separatamente soltanto per esplicita richiesta dell'autore. La Curia finì col credere alla buona fede di Scoriggio, condannandolo solo ad una multa di 100 ducati, ma intimandogli di non far parola dell'accaduto con nessuno. Nel frontespizio della Lettera, la metafora della sfera delle conoscenze umane trova posto in un tralcio abitato; l'intreccio vegetale, infatti, riceve una motivazione figurativa che affermerebbe l'utilità e la dignità delle scienze, delle arti e delle istituzioni umane, tutte vie che possono condurre alla conoscenza e all'amore di Dio (un principio di cui il Foscarini aveva già parlato precedentemente nelle sue Meditationes, preces, et exercitia quotidiana, una raccolta di preghiere di preghiere e riflessioni per ciascuna ricorrenza dell'anno liturgico; in essa il Foscarini descrive sommariamente l'universo secondo la tradizionale visione aristotelico-scolastica). Nella cornice incisa, che ci riporta alla mente l'antico motivo iconografico dell'Albero di Iesse, usato per la prima volta negli splendidi codici miniati del XII secolo (si vedano, per esempio, la Bibbia Lambeth, Canterbury, 1145 ca., ed il Salterio di Huntingfield, inglese, fine dodicesimo secolo), e le cornici istoriate del XV e del XVI secolo, trovano spazio figurazioni diverse: alcuni santi nella parte superiore, emblemi araldici e la rappresentazione della seconda fatica di Ercole, l'Idra di Lerna, in basso. Il riferimento ad una delle fatiche erculee può trovare una sua giustificazione se posto in rapporto con i due stemmi laterali; il noto semidio, infatti, viene spesso celebrato come fondatore di nobili stirpi e potenti casate. Tra i santi in alto, invece, si riconosce S. Antonio da Padova, accompagnato dai suoi attributi tradizionali, i gigli fra le mani e la folgore, collocata sulla cornice; le altre figure rappresentano probabilmente S. Girolamo, con in mano la pietra del martirio, S. Agostino, cui si riferisce tradizionalmente anche la fiamma, simbolo dell'ardore religioso, S. Longino o S. Giuda Taddeo, cui è di norma attribuita la lancia. Le due folgori e le due spade incrociate sul bordo superiore della cornice sono senza dubbio simboli del martirio. Di maggiore interesse sono le parti laterali della cornice; qui il sistema enciclopedico delle scienze e delle arti, disposte a formare una sorta di arbor scientiarum e contraddistinte ciascuna dal proprio simbolo, si lega ad una serie di immagini che alludono alla dimensione del Sacro. In tal modo, appaiono, da un lato, l'organo a canne per la musica, la sfera armillare per l'astronomia, la tavola numerica per l'aritmetica, il triangolo ed il compasso per la geometria, una tavoletta con alcune lettere dell'alfabeto latino, probabile allusione ai caratteri tipografici; dall'altro lato, una mano destra levata, con tre dita tese (pollice, indice e medio), che probabilmente allude all'antica consuetudine di ripetere tale gesto per invocare Dio come testimone, durante un giuramento; la Trinità; una figura triadica, forse riferita anch'essa alla Trinità; un occhio che irradia luce, simbolo universalmente riconosciuto, nell'iconografia cristiana, della divina Onnipresenza, e nuovamente, della Trinità; un libro aperto, illuminato da luce che giunge dall'alto, simbolo della cultura e della religione, custode della sapienza rivelata. Non è da escludere, anche in questo caso, la collaborazione del Foscarini con l'ideatore della cornice; scienza e Fede cristiana, infatti, sono idealmente legate qui da un unico filo conduttore, decorativo, ma soprattutto concettuale, a rappresentare una sintesi, anche se piuttosto approssimativa, della teoria esposta dall'autore nel testo.
Stolcius de Stolcenberg, Daniel , Hortulus hermeticus flosculis philosophorum cupro incisis conformatus, e breuissimis versiculis explicatus quo chymiatriae studiosi pro philotheca vti, fessique laboratoriorum ministri recreari possint. Authore M. Daniele Stolcio de Stolcenberg Bohemo, med. ..., Francofurti : impensis Lucae Jennisii [Jennis, Lukas ], 1627 - 165, 3 : ill calcogr. ; 8o - Marca non controllata (Fiamme uscenti da una montagna: Adversis clarius ardet) sul front. - Segn.: A-K8L4 - L'ultima c. bianca - Dalla c. A5 bianchi il verso delle c. dispari e il recto delle c. pari - Impronta - D.n- s.r, o.u- s.s, (7) 1627 (R) - Paese di pubblicazione: DE - Lingua di pubblicazione: lat. - Localizzazioni: Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Di questo autore, medico, alchimista e studioso di occultismo, di nazionalità boema vissuto tra 1597/99-? 1640, esiste anche un Viridarium chymicum figuris cupro incisis adornatum, et Poeticis picturis illustratum: Ita ut non tantum oculorum et animi recreationem suppeditet, sed et profundiorem rerum naturalium considerationem excitet, adhæc forma sua oblonga Amicorum Albo inservire queat. Authore M. Deniele Stolcio de Stolcenberg Bohemo Med. Candidato, Francofurti: Lucae Jennisi 1624, 8°
Quest'opera compare in versione moderna come:
Stolcius de Stolcenberg, Daniel, Viridarium chymicum / Daniel Stolcius de Stolcenberg ; traduzione dall'originale latino e scheda biobibliografica intorno a Stolcius de Stolcenberg di Vinci Verginelli, Firenze : Nardini, 1983 - XVII, 237 p. : ill. ; 24 cm. - Collezione: Bibliotheca hermetica - Bibliografia Nazionale - 848349
Il Viridarium è caratterizzato dalla riproduzione di una serie di incisioni che riprendono variamente la simbologia alchemica.
1-Observationum in criticos. Decas prima, Romae : apud Guillelmum Facciottum, 1605 [6], 38 [i.e. 82], [4] 2-Iosephi Castalionis I.C. De frigido et calido potu apologeticus in quo Senecae, Tranquilli, Plauti ... explicantur. Item Horatii, Vergilii, Athenei, Platonis et Aristotelis adversus Pierum Cassianum .. Romae : apud Gulielmum Facciottum, 1607 31 p.
3-Nomismatum ostiensis et Traiani portus explicatio ... Iosephi Castalionis .., Romae : apud Iacobum Mascardum, 1614 12 p. : ill. ; 4°. Castiglione, Giuseppe
4-De quinque cardinalium promotione a sanctissimo D.N. Paulo Quinto ... habita 8. kal. decembris 1608, Iosephi Castalionis V.I.D. carmen, Romae : expensis Ioannis Martinelli : apud Iacobum Mascardum, 1609 7 p. ; 4°
Secondo l' S.B.N. di Giuseppe Castiglione si conservano nelle Biblioteche Italiane:
Castiglione, Giuseppe, In funus Francisci Peretti Sixti 5. pont. max. nepotis ad Alexandrum Perettum cardinalem Montaltum Iosephi Castalionis Anconitani Carmen, Romae: Zanetti, Francesco, 1588
Castiglione, Giuseppe. Iosephi Castalionis iuris consulti Tholus nouae basilicae S. Petri. .., Romae: Gigliotti, Giovanni eredi, 1588
Capiluporum carmina, Romae: Gigliotti, Giovanni eredi
Capilupi, Giulio <1544ca.n.>, Iulii Capilupi Cento ex Virgilio in diem coronationis Greg. 14. pont. opt. max. Iosephi Castalionis I.V.C. Epistola ad Paulum Camillum Sfrondatum cardinalem amplissimum. Eiusdem de Gregorio 14. P.M. carmina,Romae: Accolti, Vincenzo, 1591
Castiglione, Giuseppe. De Pacis templo, unde columna exempta in Exquilinum est translata... Josephi Castalionis,... opusculum, Romae: Mascardi, Giacomo <1.>, 1614
Castiglione, Giuseppe. In funus Francisci Peretti Sixti 5. pont. max. nepotis Iosephi Castalionis Carmen, Romae: Zanetti, Francesco, 1587
Castiglione, Giuseppe. Iosephi Castalionij, i.v.d. De caietana familia eiusque insignijs gentilitijs carman. Perillustri domino ac reuerendiss. patri domno Constantino abbati Caietano, sediq. ... [Prima del 1616]'
Castiglione, Giuseppe. Ad Cosmum 2. medicem magnum ducem Etruriae in Francisci fratris Capistrani principis interitum Iosephi Castalionis epicedion, Romae: Mascardi, Giacomo <1.>, 1614
Castiglione, Giuseppe. Discorso academico in lode del niente di D. Giuseppe Castiglione Palermitano, professore della sagra teologia, e delle leggi, academico incauto, detto il trabocchevole, In Napoli: Beltrano, Ottavio, 1632
Castiglione, Giuseppe. Senatui Anconitano Iosephus Castalio, [S.l.]
Castiglione, Giuseppe. De expeditione Britannica ad Vincentium Laurum cardinalem Montis Regalis Carmen, [S.l.]
Castiglione, Giuseppe. In cardinalatum ill.mi et reuer.mi Mariani Perbenedicti Camertis, Iosephi Castalionis iurisconsulti carmen, Romae: Diani, Paolo, 1589
Castiglione, Giuseppe. Iosephi Castalionis iurisconsulti Oratio in exequiis Alexandri cardinalis Farnesij. Habita ad sodales confalonis 4. Kal. Maias, Romae: Diani, Tito & Diani, Paolo, 1589
Castiglione, Giuseppe. Iosephi Castalionis In Gregorii 14. pontificatum carmen, Romae: Diani, Paolo, 1590
Castiglione, Giuseppe. De Gregorio 14. pontifice max. in basilicae Lateranae possessionem proficiscente ad Duartem Farnesium ... Iosephi Castalionis I.V.C. carmen, Romae: Accolti, Vincenzo, 1590
Castiglione, Giuseppe. De antiquis puerorum praenominibus Iosephi Castalionis commentarius, Romae: Bonfadino, Bartolomeo, 1594
Castiglione, Giuseppe. Josephi Castalionis iuris consulti Ode ad Ascanium Columnam cardinalem, Romae: Gigliotti, Giovanni eredi, 1590
Castiglione, Giuseppe. De Vergili nominis scribendi recta ratione commentarius, et aduersus feminarum praenominum assertores disputatio. Iosephi Castalionis, Romae: Bonfadino, Bartolomeo, 1594
Castiglione, Giuseppe. Josephi Castalionis Quattuor cardinales a Clemente 8. pont. max. creati, Romae: Zannetti, Luigi, 1593
Castiglione, Giuseppe. Iosephi Castalionis Pro studiis humanitatis oratio, Romae: Zannetti, Luigi, 1594
Castiglione, Giuseppe. Iosephi Castalionis Oratio habita tricesimo die depositionis Orinthiae Columnae, in basilica Sanctorum Apostolorum, pridie kal. Septemb. 1594, Romae: Zannetti, Luigi, 1594
Castiglione, Giuseppe. Oratione di Giuseppe Castiglione recitata in S. Apostoli di Roma il trentesimo giorno del mortorio della sig. Orinthia Colonna ... tradotta di latino in volgar italiano per Marc'Ant. Baldi,In Roma: Gigliotti, Domenico, 1594
Castiglione, Giuseppe. Oratione di Giuseppe Castiglione recitata in S. Apostoli di Roma il trentesimo giorno del mortorio della sig. Orinthia Colonna ... tradotta di latino in volgar italiano da Marc'Ant. Baldi,In Roma et poi in Cremona: Zanni, Barucino, 1595
Castiglione, Giuseppe. Epulum a Clemente 8. pont. opt. max. pauperibus appositum, a Iosepho Castalione iurisconsulto ... versibus conscriptum. Ad Petrum Aldobrandinum cardinalem Romae : apud Aloysium Zannettum, 1596 (Romae : apud Aloysium Zannettum, 1596). -__[6, 12, 6 p. ; 4o],Zannetti, Luigi
Castiglione, Giuseppe. Oratio in funere f. Petri Nicolai Mutii Bergomatis augustinianae congregationis lombardiae vicarii generalis, a Iosepho Castalione i.v.d. Romano habita Romae in templo S. Mariae de Populo, 9. kal. Septemb. anno Domini 1596,Romae: Basa, Bernardo, 1596
Castiglione, Giuseppe. Clemens octauus pont. max. valens. Iosephi Castalionis ... ad Petrum Aldobrandinum cardinalem, Romae: Zannetti, Luigi, 1597
Castiglione, Giuseppe. Expeditio Ferrariensis et Ferraria recepta. Iosephi Castalionis, Romae: Zannetti, Luigi, 1598
Castiglione, Giuseppe. Pax inter reges potentissimos conciliata. Iosephi Castalionis, Romae: Zannetti, Luigi, 1598
Castiglione, Giuseppe. Iosephi Castalionis Gratulatio ad Siluium Antonianum S.R.E. cardinalem tit. S. Saluatoris in Lauro, Romae ex typographia Nicolai MutijRomae: Muzi, NiccoloAttio, Ottavio, 1599
Castiglione, Giuseppe. Tiberis inundatio anni 1598. Iosephi Castalionis iurisconsulti Romani. Ad Petrum Aldobrandinum cardinalem, Romae: Muzi, Niccolo, 1599
Castiglione, Giuseppe. Iosephi Castalionis XIII cardinales a Clemente VIII pont. max. creati V nonas martias 1599, Romae ex typographia Nicolai Mutij: Muzi, NiccoloAttio, Ottavio, 1599
Castiglione, Giuseppe. Iosephi Castalionis Oratio habita tricesimo die depositionis Orinthiae Columnae, in Basilica Sanctorum Apostolorum, pridie Kal. Septemb. 1594, Romae: Zannetti, Luigi, 1594
Mazzocchi, Domenico <1592-1665>, Supplimento a Ciuita Castellana circa la sua distanza da Roma. Discorso di Domenico Mazzocchi, al quale si e aggiunto il Sintagma di Gioseppe Castiglione in difesa di Veio,In Roma: Mascardi, Vitale, 1663
Castiglione, Giuseppe Siluii Antoniani S.R.E. cardinalis vita a Iosepho Castalione I.V.D. conscripta: Eiusdem Siluij orationes 13. Ad illustr.mum et reuer.mum D.D. Petrum card. Aldobrandinum S.R.E. camerarium,Romae: Mascardi, Giacomo <1.>, 1610
Castiglione, Giuseppe. Iosephi Castalionis I. C. De frigido et calido potu apologeticus in quo Senecae, Tranquilli, Plauti, & Martialis loca aliter, atque a Lipsio accepta sunt, explicantur. Item Horatij, Vergilij, ... aduersus Pierum Cassianum. Ad illustrissimum ... Robertum Belarminium S.R.E. cardinalem,Romae: Facciotti, Guglielmo, 1607
Castiglione, Giuseppe, Iosephi Castalionis I. C. Obseruationum in. criticos. Decas prima, Romae: Facciotti, Guglielmo, 1605
Castiglione, Giuseppe, Iosehi Castalionis ... Obseruationum in criticos, decades 10. Subincto capitum indice, Lugduni [i.e. Ginevra]: Crispin Samuel, 1608
Castiglione, Giuseppe. De quinque cardinalium promotione a sanctissmino D.N. Paulo quinto pont. opt. max. habita 8. Kal. Decembris 1608. Iosephi Castalionis V.I.D. carmen, Romae: Martinelli, Giovanni Mascardi, Giacomo <1.>, 1609
Castiglione, Giuseppe. In cardinalatum illustriss. principis Scipionis Gonzagae Iosephi. Castalionis Panegyris, Romae: Zanetti, Francesco, 1588
Castiglione, Giuseppe. Ad illustrissimum et reuerendiss. D D. Hieronymum De. Ruuere s.r.e cardinalem a.s.d.n. Sixto Quincto pont. opt. max creatum 16 Kal. Ianuarij 1586 Iosephi. Castalionis Carmen,Romae: Zanetti, Francesco
Castiglione, Giuseppe. Iosephi Castalionis In Fortunati expositiones orationis domin. & symbuli Apostulorum castigationes, Romae: Blado, Antonio eredi, 1580
Castiglione, Giuseppe. Iosephi Castalionis iurisconsulti Observationum in criticos, decas prima. Subiuncto capitum indice, Lugduni: Crispin Samuel, 1708
4: Tomus quartus continens Iosephi Castalionis Variarum lectionum capita nonnulla Ludovici Carrionis antiquar. Lection. Comment. tres emendationum & observationum libros duos. Jacobi Durantii Casellii Variarum librum primum. Accesserunt his Petri Gravinae Epistolarum libri duo et horum omnium additamentum c. Francisci Tamburini clerici regularis .., Neapoli: Gessari, Benedetto & Gessari, Ignazio fratelli, 1751
3 : Tomus tertius continens Barptolomaei Barrienti Adnotationum Sylvam. Antonii Bendinelli Locorum historicorum adnotationes. Johannis Branti Breves notas in Plautum. Domitii Calderini Observationes. Iosephi Castalionis Varias lectiones. Accesserunt his Antonii Beccatelli vulgo Panhormitae Epist. Gallicarum libri quatuor; necnon Epistolarum campanarum liber, una cum aliis sex epistolis. Nunc primum editis, & horum omnium additamentum n.n. Clerici Regularis Teatini ..,Lucae, 1747
Castiglione, Giuseppe. Nomismatum Ostiensis et Traiani portus explicatio ad illustrissimum, & revendissimum d.d. Alexandrum Iosephi Castilionis I.C.R, Romae: Mascardi, Giacomo <1.>, 1614
Castiglione, Giuseppe. De. congregationis oratorij a. B. Philippo. Nerio fundatae. institutis Iosephi. Castalionis. I.V.D dimetria ..., Romae: Mascardi, Giacomo <1.>, 1612
Castiglione, Giuseppe. Serenissimi Principis Parmae Genethliacon Iosepho Castalione I. C. auctore, Romae: Mascardi, Giacomo <1.>, 1611
Castiglione, Giuseppe. Iosephi. Castalionis iurisconsulti Explicatio ad inscriptionem Augusti, quae in basi est obelisci statuti per S.D.N. Sixtum 5. pont. opt. max. ante Portam Flaminiam, alias Populi, ..,Romae: Gigliotti, Giovanni eredi, 1589
Symphosius, Aenigmata Symposii poetae cum scholiis Iosephi Castalionis Anconitani, Romae: Zanetti, Francesco, 1581
Castiglione, Giuseppe. Illustriss. et excellentiss. D.D. Ioannis Francisci Aldobrandini ... laudatio habita per Iosephum Castalionem I.V.D. Romae in oratorio archiconfraternitatis sanctissima Trinitatis ... cum iusta funeri ad monumentum honorarium a sodalibus persoluerentur. ..,Romae: Arnolfini, PaolinoVullietto, Carlo, 1602
Magno, Pietro<1572-1589fl.>, Petri Magni De consilio ad Octauium Farnesium Parmae ac Placentiae ducem eiusdem orationes tres Prima pro eodem ad Gregorium 13. Altera ad Sixtum 5. pont. max. Tertia in funere eiusdem Octauij ad sodales S. Crucifixi. Eiusdem carminum liber 1 ,Romae: Zanetti, Francesco & Ruffinelli, Giacomo, 1587
Castiglione, Giuseppe. De beato Philippo Nerio Florentino congregationis oratorij fundatore Iosephi Castalionis I.V.D. Romani carmen, Romae: Zannetti, Luigi, 1616
Rutilius Namatianus, Claudius, Cl. Rutilii Numatiani Galli V.C. Itinerarium. Ab Iosepho Castalione emendatum, & adnotationibus illustratum. .., Romae: Accolti, Vincenzo, 1582
Horapollo, Hori Apollinis selecta hieroglyphica, siue sacrae notae Aegyptiorum, & insculptae imagines, Romae: Zannetti, Luigi, 1597
Castiglione, Giuseppe. Iosephi Castalionis iuris consulti Ad serenissimum Ferdinandum Medicem magnum Hetruriae Ducem de Principe nato. Carmen, Romae: Zanetti, Francesco, 1590
Castiglione, Giuseppe. Iosephi Castalionis iurisconsulti Ad euangelistam Pallottum card. Consentinum carmen, Romae: Zanetti, Francesco, 1590
Horapollo,[...] Hieroglyphika eklekta. Hori Apollinis selecta hieroglyphica, siue sacrae notae Aegyptiorum, & insculptae imagines, Romae : apud Aloysium Zannettum, 1597 (Romae : apud Aloysium Zannettum, 1597) - 1-272, 16, 273-304 p. : ill. ; 16o - Il fasc. a8 contiene con proprio front.: "Symbola Pythagorae. Apophthegmata, & sententiae eiusdem. Aenigmata Symposii. Harpocratis item, & Nili fluminis imagines. Ex antiquis monumentis collecta, & a Pomponio Brunello recognita." Gli Aenigmata Symposii seguono i Selecta Hieroglyphica a c. S1r - I Selecta hierogliphica a cura di Giulio Franceschini, il cui nome appare nella pref.; gli Aenigmata Symposii a cura di Giuseppe Castiglione, il cui nome appare nella relativa pref. - Cors. ; gr. ; rom. - Segn.: A-R8a8S-T8 - Localizzazioni: Biblioteca civica Angelo Mai - Bergamo - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Seneca, Lucius Annaeus,
L. & M. Annaei Senecae Tragoediae, cum notis Thom. Farnabii,
Amstelodami : apud Joannem Janssonium, 1643
- 371, 1 p. ; 12o
- Marca (La Fama sorvola una sfera armillare. Vivitur ingenio) sul front.
- Segn.: A-P\1"Q6
- Impronta - **o- m.x- m.in ilgi (3) 1643 (R)
- Paese di pubblicazione: NL
- Lingua di pubblicazione: lat
- Localizzazioni: PR0072 - Biblioteca Palatina - Parma
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
L'attendibilità della notizia di S. Girolamo sulla pazzia e sul suicidio del poeta è messa in dubbio da alcuni critici moderni, secondo cui la notizia sarebbe una leggenda sorta in ambiente cristiano nel sec. IV, per screditare il poeta epicureo negatore della religione. Ma gli argomenti in favore di questa tesi sono assai fragili, essendo basati soltanto sul silenzio degli autori antichi circa la pazzia e il suicidio. Per accogliere la tesi bisognerebbe credere che S. Girolamo, il quale solitamente si avvale di Svetonio per le notizie di storia letteraria inserite nel Chronicon, abbia fatto un'eccezione proprio per Lucrezio Caro, e per di più abbia utilizzato una leggenda di età recentissima, il che non si addice alla solida preparazione filologica del grande letterato cristiano.
È dunque assai probabile che, come gli altri, anche il lemma ieronimiano su Lucrezio Caro risalga a Svetonio, e che sia sostanzialmente attendibile. Non conoscendo la causa della malattia mentale del poeta, gli antichi la attribuirono a un filtro amoroso, leggenda allora frequente, deducendolo dalla dolorosa acredine e dalla ripugnanza con cui Lucrezio Caro descrive gli effetti rovinosi della passione d'amore, il che fece pensare a una delusione amorosa provata dal poeta. Dalla notizia stessa di S. Girolamo si deve pensare non a forme violente di schizofrenia, ma a quella forma di psicosi maniaco-depressiva soggetta a fasi alterne, che non priva della lucidità mentale e non di rado, aggravandosi, sbocca nel suicidio. Dalla lettura del poema lucreziano emergono molti elementi che confermano la natura nevrotica e lo stato ansioso-depressivo del poeta: i trapassi repentini di umore, con l'insorgere improvviso di idee depressive che non nascono da un ragionamento logico, la frequenza di sogni, di incubi e di immagini allucinate, l'insistenza nel descrivere stati patologici dell'anima e del corpo, impressioni di perdita dei sensi e delle facoltà vitali, l'ossessionante ripetersi di segni di morte, di trepide attese della rovina e della catastrofe, l'evidenza impressionante con cui sono rappresentati stati d'animo di ansia e di tedio. Ovviamente sono tutti indizi che non possono diventare prove inconfutabili, e che quindi lasciano aperta la dibattuta questione.
La scarsezza di notizie biografiche e la visione pessimistica della società umana espressa nel poema non debbono far pensare che vivesse in solitudine, disprezzando il contatto con gli altri uomini. Non conosciamo con sicurezza il suo luogo di nascita, ma elementi interni nel poema indicano in Roma l'ambiente in cui Lucrezio Caro abitualmente viveva. Ebbe rapporti con Cicerone, che secondo S. Girolamo curò la pubblicazione postuma del poema. Altro dato sicuro è la dedica del poema a Gaio Memmio, uomo politico di antica casata aristocratica, esponente del partito degli ottimati. Questi dati, e alcuni accenni nel poema rivolti contro i triumviri, fanno pensare che Lucrezio Caro appartenesse a famiglia aristocratica, e fosse legato a uomini del partito conservatore. Nel poema però gli accenni alla vita politica contemporanea sono scarsi; si trovano invece generici accenni di condanna per le strutture politico-religiose della società, e talora per alcuni aspetti dell'ideologia conservatrice, come il militarismo.
Lucrezio Caro scrivendo il De rerum natura
[inserisci il disco secondo (testi) e leggi l'opera digitalizzata] si propose di divulgare in bella forma poetica la dottrina di Epicuro. La filosofia epicurea in quel tempo era assai diffusa tra gli spiriti colti romani, a cui Epicuro additava la via della felicità, dell'atarassia, nell'isolamento dalla vita politica e dagli affanni del mondo, nelle gioie dell'amicizia e della meditazione, nel godimento dei semplici piaceri offerti dalla natura. Nonostante le apparenze edonistiche e materialistiche, agli spiriti elevati, scossi dalla crisi delle istituzioni politiche e sociali, l'epicureismo appariva come un vangelo e una fede che assicurava la verità e la salvezza. Non può stupire pertanto che l'epicureismo si diffonda in un'epoca in cui prendono altresì vigore culti misterici e filosofie mistiche, come il neopitagorismo del circolo di Nigidio Figulo, di cui è possibile trovare tracce nel poema lucreziano. Quella salvezza che altri cercavano nei culti misterici e nelle pratiche magiche od astrologiche, Lucrezio Caro la cerca nella dottrina epicurea.
Il proposito da cui muove il poema lucreziano è il dimostrare che soltanto la luce della scienza epicurea può liberare l'uomo dallo stato di angoscia, di paura e di tenebrosa ignoranza in cui si trova; questo risultato la fisica epicurea lo ottiene dimostrando che vano è il timore degli dei e della morte, in quanto tutto nel cosmo si svolge per leggi fisiche meccaniche, e gli dei non intervengono nelle cose umane, né l'anima sopravvive alla morte. Dal timore degli dei e della morte nascono secondo Lucrezio Caro tutte le passioni, le ansie e i vizi che travagliano la vita degli uomini. Affermando ciò il poeta riporta argomentazioni di Epicuro, ma anche interpreta unilateralmente la sua dottrina, omettendo altre cause di infelicità di cui Epicuro parlava. È impressione diffusa nel lettore non condizionato da schemi accademici preconcetti che la liberazione dall'angoscia che Lucrezio Caro si riprometteva rivolgendosi all'epicureismo non sia pienamente realizzata, e che le radici irrazionali e sotterranee dell'angoscia permangano nel suo animo.
Le antinomie tra scienza epicurea e sentimento lucreziano sono in molti punti del poema innegabili; va precisato però che le infedeltà di Lucrezio Caro verso il maestro non sono volontarie, non nascono dal ragionamento ma dal sentimento e dalla fantasia, e di rado sono veri tradimenti della dottrina di Epicuro. Più spesso sono unilaterali accentuazioni di certi aspetti del pensiero, che finiscono per diventare deformazioni le quali ne travisano lo spirito. Per spiegare come queste deviazioni avvengano, è opportuno illustrare brevemente il metodo di composizione del poema lucreziano. La fonte principale da cui deriva la trama dell'esposizione è il grande trattato di Epicuro «sulla natura», o più probabilmente un esteso compendio che lo stesso Epicuro ne aveva fatto. Su questa trama Lucrezio Caro inserisce in ogni libro del De rerum natura dei proemi, e talora anche dei finali, dove spunti epicurei sono mescolati e intrecciati con considerazioni personali o con argomenti tratti da altre fonti. Nel corpo dei libri poi sono inserite digressioni ed esemplificazioni che il poeta ritiene opportune ad illustrazione dei concetti, ma che spesso ubbidiscono a criteri fantastici e sentimentali più che logici. Della dottrina epicurea, poi, certe parti sono sviluppate con insistenza ossessiva, altre sono tralasciate. Tutto questo è ben naturale, perché altrimenti non sarebbe potuta nascere un'opera di poesia da un'opera di scienza, ma spiega altresì come possa venir alterato e deformato il contenuto della fonte epicurea, e indica la via per giungere alla più autentica interpretazione della poesia lucreziana.
Il de rerum natura
Il De rerum natura comprende sei libri in esametri, divisi a gruppi di due: i primi due libri trattano della costituzione atomica della materia e del movimento degli atomi, il terzo e il quarto della natura dell'anima e delle sensazioni, il quinto e il sesto della formazione del mondo, della storia dell'umanità e dei fenomeni naturali più grandiosi e terribili.
Il I libro inizia con un proemio che contiene l'invocazione a Venere, simbolo della forza generatrice della natura, l'elogio di Epicuro, liberatore dell'umanità dall'ignoranza e dalla paura degli dei, e la protasi generale. Comincia poi la trattazione dei princìpi della fisica epicurea: tutto l'universo è fatto di atomi e di vuoto, nulla nasce dal nulla né si riduce al nulla, ma tutte le cose si trasformano l'una nell'altra secondo leggi meccaniche fisse. Dopo aver criticato le dottrine fisiche di altri filosofi, Lucrezio Caro dimostra che l'universo è infinito, e chiude il libro con una allucinante visione del crollo del nostro mondo, sia pure presentata come ipotesi assurda che conseguirebbe alle dottrine degli avversari.
Il II libro inizia con l'esaltazione della felicità del sapiente epicureo, che vive lontano dalle passioni e dai tumulti del mondo. Segue la trattazione dei moti degli atomi, dal cui incontro si formano gli aggregati corporei. Nel centro del libro in una digressione viene descritto l'orgiastico e cupo culto della Magna Mater. Lucrezio Caro dimostra poi che gli atomi sono privi di qualità secondarie, e si sofferma sul misterioso passaggio dall'invisibile al sensibile. Nel finale affronta il tema dell'infinità del numero dei mondi e del loro perenne formarsi e disgregarsi. Il motivo dell'eterno scambio di vita e di morte tra le cose, già trattato con accenti ottimistici nel I libro e nel corso del II, qui si risolve nella triste constatazione che il nostro mondo è destinato a perire, e della vecchiaia della Terra il poeta scorge i segni nell'età presente, avviata a rapida e inarrestabile rovina.
Il III libro, dopo un elogio di Epicuro pervaso di mistico entusiasmo, traccia nel proemio un fosco quadro della vita umana, ottenebrata dalla paura della morte. Per allontanare questa paura, Lucrezio Caro vuole dimostrare che l'anima, composta di atomi sottilissimi, è destinata a perire insieme col corpo, e a questo scopo enumera una serie di segni della sua fragilità e di prove dell'inseparabilità di anima e corpo, accumulando immagini di malattia, di agonia, di svenimento e vaneggiamento, di lacerazione. Nel lungo finale Lucrezio Caro parte dalla massima epicurea che la morte non ci tocca per nulla e non è un male, e la svolge con argomenti tratti da varia fonte, tutti convergenti nell'additare all'uomo l'imperiosa necessità di morire, e nel celebrare il trionfo della morte sui vani affanni della vita umana.
Il IV libro espone la teoria delle sensazioni, che secondo la fisica epicurea sono prodotte dai sottilissimi veli atomici che si staccano dalle cose e giungono ai nostri organi di senso. Epicuro voleva dimostrare la veracità dei nostri sensi, attribuendo le cosiddette illusioni dei sensi al giudizio aggiuntivo dell'animo: in realtà quasi tutto il libro lucreziano è occupato dalla descrizione di miraggi e di immagini fantasmagoriche, fra cui le immagini dei sogni. Nel celebre finale viene trattata la più folle e dannosa illusione dei sensi, l'amore, rappresentato con spietato realismo, con l'intenzione di togliere il velo che idealizza agli occhi degli amanti e dei poeti il fantasma della persona amata.
[Qua vehimur navi, fertur, cum stare videtur;
quae manet in statione, ea praeter creditur ire.
et fugere ad puppim colles campique videntur,
quos agimus praeter navem velisque volamus.
(trad = "La nave da cui siamo trasportati, si muove, mentre sembra star ferma;
quella che rimane immobile all'ormeggio, si crede che proceda oltre.
E sembra che a poppa fuggano colline e pianure
oltre le quali conduciamo la nave e con le vele voliamo)].
Nel V libro, dopo un elogio di Epicuro, Lucrezio Caro vuole dimostrare la mortalità del nostro mondo, di cui annuncia in tono profetico la prossima fine. Contro le dottrine che credono nella provvidenza divina inserisce una digressione che definisce la natura matrigna verso l'uomo e l'uomo stesso come l'essere più misero dell'universo. Il poeta passa poi a tracciare la storia della Terra e dell'umanità, dall'antica fase in cui la Terra madre generò tutti gli esseri viventi ai vari stadi della civiltà umana: lo stato di natura ferino, la nascita del linguaggio, il sorgere dello stato e della religione, le lotte sadiche e feroci, l'idillica età in cui ebbero inizio l'agricoltura e la musica, infine le scoperte che resero più sicura e più piacevole la vita umana.
Il libro VI dell'opera di Lucrezio tratta dei fenomeni naturali, quali il tuono, il lampo, i terremoti, le eruzioni, per dimostrare che sono spiegabili con cause naturali, anche se spesso esse sono incerte, e che non si debbono attribuire all'ira divina. Successivamente sono esaminati i fenomeni misteriosi, quali esalazioni mortifere, epidemie, che sembrano indicare la presenza nella natura di forze inconoscibili e imprevedibili. Il poema si chiude con la descrizione della peste di Atene, che suggella la forza terribile dell'onnipotente natura.
La poesia di Lucrezio.
La critica lucreziana si può dividere in due filoni fondamentali: da un lato coloro che vedono nel poeta un'anima inquieta e ansiosa, tendenzialmente pessimista, che aderisce alla filosofia epicurea per trovare la liberazione dall'angoscia, ma che non riesce a comporre il contrasto interiore tra sentimento e ragione, a trovare uno stabile equilibrio, a eliminare il mistero del mondo e dell'anima sua, e perciò si trova in dissidio, sia pure involontario, con la dottrina serenatrice del maestro; dall'altro coloro che scorgono il centro della poesia di Lucrezio Caro nell'entusiasmo per la filosofia epicurea e per il potere liberatore della ragione: le angosce e le paure di cui così a lungo Lucrezio Caro parla sono i sentimenti dell'umanità comune che il poeta si propone di redimere, ma sono estranei al poeta stesso. Una questione preliminare che si pone prima di affrontare questo dilemma è quello di stabilire se la poesia debba necessariamente adeguarsi all'intendimento razionale dell'autore, o se sia possibile che il sentimento poetico, o almeno l'emozione prodotta dalla poesia, siano diversi o magari opposti alle intenzioni del poeta. In Lucrezio Caro le discrepanze tra le finalità didascaliche e certi aspetti dominanti della tematica poetica sono avvertibili a prima lettura.
Passando in rassegna brevemente la tematica poetica lucreziana, emerge in primo piano il tema della paura degli dei e della paura della morte, strettamente associati. Contro la religione tradizionale Lucrezio Caro si scaglia con una violenza superiore a quella di Epicuro, che affermava di venerare schiettamente gli dei pagani, pur affermando che essi vivono negli intermundia e non si occupano delle cose del mondo. Lucrezio Caro ci presenta l'umanità come soffocata e abbrutita sotto il peso della minaccia divina, intorpidita dalla paura delle forze celesti e delle pene ultraterrene. Lucrezio Caro si accanisce altresì contro le dottrine provvidenziali: tanti sono i mali del mondo e tante le miserie e le ingiustizie della vita umana, che è ridicolo credere in una Provvidenza divina ordinatrice del mondo. Ma proprio dal senso della miseria umana e delle forze irrazionali che dominano il mondo rinasce in Lucrezio Caro il sentimento religioso, nella forma di soggezione dell'animo di fronte al mistero dell'universo e alla forza terribile e onnipotente della natura.
La polemica di Lucrezio Caro contro il timore della morte è strana e contraddittoria: nel finale del III libro, più che consolare dalla paura della morte, Lucrezio Caro si accanisce a dimostrare la necessità di morire, e a rimproverare chi rimane attaccato a un'esistenza vana, affannata ed effimera. In Lucrezio Caro c'è una sorta di ebbrezza nichilistica, di trionfo della morte, connessi col sentimento della precarietà dell'esistenza. Ricorrono spesso termini e immagini che richiamano il trapassare e il cadere di tutte le cose; l'anima e la vita umana appaiono in bilico tra la vita e la morte, sempre sul punto di precipitare nell'abisso dell'incoscienza e del nulla. Abbondano visioni macabre di agonia, di disfacimento e di putrefazione: l'orrore e l'angoscia della morte che dominano nell'episodio finale della peste di Atene conducono al diapason una tematica che percorre molta parte del poema. Associato al timore della morte è il timore della fine del mondo: secondo la fisica epicurea tutti i mondi sono destinati a perire, ma Lucrezio Caro con la fantasia accelera enormemente il processo di lenta decadenza e scorge ovunque i segni e le incrinature che annunciano la prossima catastrofe. All'ansia della catastrofe e del crollo apocalittico offre un pretesto la fisica epicurea, secondo la quale il mondo si regge per un equilibrio casuale e quasi miracoloso degli atomi, ma la sua radice più profonda sta nell'animo di Lucrezio Caro, suggestionato forse dalle molte dottrine e profezie che circolavano su di una prossima fine o palingenesi della Terra.
Il sentimento lucreziano della natura ha un duplice volto, che trae le origini dalla fisica epicurea, la quale unisce in sé principi di casualità e di necessità. Nei primi due libri del poema Lucrezio Caro celebra le leggi meccaniche fisse, i foedera naturae, scoperti dalla scienza epicurea, che conferiscono alla natura un ordine sia pur casuale e non provvidenziale, ma comunque stabile e fecondo di vita. Negli ultimi due libri invece domina il concetto dell'imperfezione e del male del mondo sorto a caso, congiunto col timore che l'urto di atomi dallo spazio infinito porti disgregazione e rovina. Nonostante le premesse materialistiche del sistema epicureo, la fantasia lucreziana tende irresistibilmente a personificare la natura e le sue forze, ora presentandola come madre amorosa e benigna, ora come matrigna e ostile. Con questa varia concezione della natura si accordano le visioni e i paesaggi che si succedono nel poema. Ora visioni idilliche, piene di rigoglio vitale e di serenità, ora visioni selvagge e impervie, furia di elementi scatenati, paurosi cataclismi. Sempre le visioni naturali di Lucrezio Caro sono ampiamente spaziate, con orizzonti grandiosi, protesi verso l'infinito. La suggestione degli spettacoli naturali è accresciuta dalla capacità di Lucrezio Caro di dare una vita segreta e metaforica alle cose della natura, che spesso è vista epicamente come il campo di lotta di forze opposte.
L'esaltazione della natura e della sua potenza in Lucrezio Caro è correlativa con lo svilimento dell'uomo. Ponendo a confronto la sublime grandiosità e l'infinita forza della natura con la meschinità e la debolezza dell'uomo, Lucrezio Caro è condotto ora a irridere la superbia e l'ignoranza delle umane genti, ora a commiserare la condizione umana, ora a vagheggiare una vita primordiale in comunione con la natura. Di rado la serenità promessa da Epicuro diventa oggetto di poesia, e comunque essa è presentata come una salvezza solitaria, riservata a chi si isola dagli altri uomini, oppressi dalle paure e dalle passioni. I mali che dominano i cuori degli uomini si raccolgono sotto il segno della paura, dell'ansia e del tedio. L'ansiosa insaziabilità investe tutte le passioni e le aspirazioni umane, rappresentate come brama febbrile protesa verso una meta che non si riesce mai a raggiungere. Quando la meta del desiderio ansioso sembra vicinissima, interviene un ostacolo esterno, oppure il tarlo intimo del tedio, dell'inquietudine e del rimorso a vanificare le speranze e i conati. Tra le passioni ansiose rientra l'amore, destinato a rimanere una brama eternamente inappagata, rappresentato con un misto di sadismo e di repulsione fisica per la donna e per il sesso. Nel fondo dell'uomo Lucrezio Caro scorge impulsi di ferocia belluina, specie quando lo considera nelle manifestazioni della vita sociale e politica. Se l'atteggiamento di Lucrezio Caro verso il mondo umano è in genere dominato dall'orrore e dal disgusto, oppure è rivolto a ingigantire l'angoscia e la miseria, non mancano momenti di tenerezza, di pietà, di dolcezza di affetti. Questi sentimenti, rari nei riguardi del mondo umano, costituiscono la nota dominante della rappresentazione del mondo animale, forse perché il poeta vi ritrova uno stato di innocenza naturale non traviata né tormentata dalle passioni.
Tra tanta ricchezza di motivi il centro ispiratore della poesia di Lucrezio Caro può essere rintracciato in un sentimento di angoscia e di trepidazione che nasce dall'avvertire l'insufficienza dell'uomo a penetrare nel mistero di ciò che sta al di fuori di noi, l'infinito, il nulla, l'eterno, l'inconscio. Perciò così spesso Lucrezio Caro si sofferma con emozione a considerare il limite inafferrabile che sta tra la vita e la morte, tra il visibile e l'invisibile, tra la coscienza e l'incoscienza, tra la realtà e l'illusione. Di qui deriva un atteggiamento di attonita contemplazione, che crea intorno alle visioni e alle immagini un'atmosfera di trepida sospensione, e tende a deformare fantasticamente l'oggetto. L'arte di Lucrezio Caro non è realistica, ma parte dall'osservazione della realtà per trasfigurarla secondo una visione interiore di natura magica e surrealistica. La fantasia di Lucrezio Caro ha una singolare capacità di animazione, che conferisce una vita segreta anche alle cose inanimate.
Per quanto la poesia di Lucrezio Caro sia originale e nasca dalla sua personale sensibilità, essa può essere accostata alla poesia arcaica latina per certi aspetti, come l'esasperazione delle impressioni di orrore, e in genere per la tensione e la violenza del sentimento. L'esuberanza dei mezzi espressivi, la grandiosità e la sonorità del linguaggio, del verso e delle immagini rientrano nel solco della tradizione letteraria che risale a Ennio, di cui Lucrezio Caro si proclama fervido ammiratore, e con cui ha in comune le grandiose e solenni visioni di cieli e di paesaggi, e molti procedimenti stilistici, quali le onomatopee, le allitterazioni, le ridondanze, le ardite metafore, il cumulo, il peso dei vocaboli composti. La ricchezza dei mezzi stilistici impiegati da Lucrezio Caro è forse superiore a quella di ogni altro poeta classico; tuttavia nel De rerum natura non tutto è poesia, perché vi sono delle parti puramente ragionative e aride, quando la materia non riesce a destare l'emozione poetica; qui si avverte come la tecnica della versificazione in Lucrezio Caro non abbia ancora raggiunto quella levigatezza che sarà poi propria di Virgilio.
[LUCIANO PERELLI da "NOVA - UTET"]
Ci è stata invece in gran parte conservata un'altra opera, scritta nei suoi ultimi anni di vita: Oratorum et rhetorum sententiae, divisiones, colores, dedicata ai propri figli perché potessero conoscere anche quegli oratori che erano stati contemporanei al loro padre, e composte da 10 libri di Controversiae (declamazioni giudiziarie su fatti desunti dalla cronaca o anche romanzeschi, come fanciulle rapite da pirati, vestali che vengono meno al voto di castità, ecc.) e da un libro di Suasoriae (orazioni deliberative su temi tratti dal mito o dalla storia, come «i trecento Spartani inviati contro Serse deliberano se debbano anch'essi fuggire», «Cicerone delibera se debba invocare la pietà di Antonio», ecc.).
In complesso ci sono state conservate 35 Controversiae (libri I, II, VII, IX, X, ed excerpta degli altri) e 7 Suasoriae ; esse sono preziosi esempi della produzione retorica che caratterizza i tempi di Augusto e Tiberio. Le mutate condizioni politiche avevano infatti diminuito l'importanza dell'eloquenza, che, non più condizione essenziale per la carriera pubblica, era divenuta materia di meri esercizi letterari, in cui i vari autori gareggiavano per dimostrare la propria bravura. Tale nuova condizione dell'oratoria non sfugge al nostro autore, che anzi sente profondamente il problema, prospettandolo in termini di decadenza. Questa sarebbe dovuta alla legge naturale per cui ciò che è giunto alla perfezione deve peggiorare, alla corruzione dei tempi e al venir meno del praemium pulcherrimae rei. L'apice era stato raggiunto ai tempi di Cicerone, quando erano fioriti i migliori oratori ed erano state composte opere inimitabili. Dei retori e degli oratori più famosi dei suoi tempi egli sente perciò il dovere di tramandare un ritratto e di descrivere con attenzione le principali caratteristiche, positive e negative, del loro stile.
L'importanza di Seneca sta soprattutto nella quantità di notizie e di modelli che ci conserva, e che ci permettono una conoscenza più approfondita dello svolgimento dell'eloquenza romana. I giudizi che esprime sui vari autori mostrano inoltre un gusto esercitato e una certa attitudine critica, benché rigidamente contenuta negli argini del classicismo e del culto per Cicerone.
Seneca , Lucio Anneo o il Filosofo Filosofo e scrittore (Córdobaca. 5 a. C. - Roma 65 d. C.).
Nacque a Córdoba alcuni anni prima dell'era volgare (l'esatta data di nascita non ci è tramandata) da L. Anneo Seneca il Retore e da Elvia: fu il secondogenito dei loro tre figli (il primogenito era L. Anneo Novato e il cadetto Anneo Mela, che fu poi il padre di Lucano). Venne portato a Roma ancora infante e lì compì la sua istruzione frequentandovi la scuola del grammatico e del retore e ricevendovi una formazione retorica. Sentì assai presto il fascino della filosofia e seguì con passione gli insegnamenti di Attalo, di Sozione e di Papirio Fabiano. Questi suoi maestri (di cui purtroppo conosciamo assai poco) appartenevano l'uno (Attalo) allo stoicismo, gli altri due (Sozione e Papirio Fabiano) a quella scuola dei Sesti, che, unendo elementi neostoici e neopitagorici predicavano uno stretto rigorismo morale, la ricerca della perfezione e l'astensione dalla vita pratica, e particolarmente dalla politica. Sotto l'influsso di questi filosofi e di queste correnti di pensiero, Seneca formò quel concetto di filosofia cui fu fedele per tutta la vita: una filosofia intesa soprattutto come attività che investe la sfera etica e mira all'elevazione spirituale. A essa si dedicò con entusiasmo, accettando anche pratiche ascetiche (come quella, di origine pitagorica e propugnata dalla scuola sestiana, dell'astensione dai cibi carnei). Da questa adesione troppo scrupolosa ai precetti filosofici lo distolse il padre, che non amava la filosofia. Così, dopo un lungo soggiorno in Egitto, Seneca fece ritorno a Roma (31 d. C.) e cominciò a prender parte attiva alla vita pubblica. Intraprese la carriera politica raggiungendovi la questura (negli ultimi anni di Tiberio, secondo alcuni studiosi, nei primi tempi del principato di Caligola, secondo altri). Divenne tuttavia ben presto inviso all'imperatore, che nel 39 (a seguito di un discorso giudiziario di Seneca, dicono le fonti) volle condannarlo a morte, e lo risparmiò solo per l'intercessione di una donna a lui molto cara, nella speranza che una grave malattia l'avrebbe ben presto ucciso. Nel 41, sotto Claudio, Seneca fu implicato, per istigazione di Messalina, moglie del principe, nel processo di adulterio contro Giulia Livilla, sorella di Caligola, e condannato alla relegazione in Corsica. In quest'isola rimase, fra dichiarazioni di stoica fermezza e inutili tentativi di ottenere il ritorno, fino al 49, quando, morta Messalina, fu richiamato a Roma per intercessione di Agrippina minore, sorella di Caligola e seconda moglie di Claudio. Costei gli fece ottenere la pretura e gli affidò l'educazione del figlio avuto da un precedente matrimonio con Gn. Domizio Enobarbo: L. Domizio Enobarbo, il futuro Nerone. Così Seneca, grazie al favore di Agrippina, che da lui si attendeva aiuto e collaborazione, si trovò, appena tornato dalla relegazione, in una posizione di grande prestigio. La sua potenza aumentò ulteriormente allorché Nerone, che era stato adottato da Claudio nel 50 e ne aveva sposato la figlia Ottavia nel 53, assunse nel 54, alla morte del principe, il potere imperiale. Seneca, infatti, opponendosi alle mire di Agrippina, che desiderava esercitare attraverso il figlio uno stretto controllo sugli affari pubblici, tentò, insieme con il prefetto del pretorio Afranio Burro, di influenzare e dirigere la politica del diciassettenne imperatore. Egli proponeva al giovane monarca il modello, creato dallo stoicismo, del rex iustus e non si stancava di consigliargli clemenza, moderazione, mitezza, liberalità, affabilità. La serie di saggi provvedimenti volti a ridare un certo prestigio al senato e a ottenere il favore della plebe che caratterizzarono i primi anni del principato (Nerone
S. fu scrittore molto fecondo. Della sua vasta produzione, che purtroppo non ci è pervenuta completa, abbiamo 12 libri di Dialoghi, il De clementia ( La clemenza), il De beneficiis ( I benefici), le Naturales quaestiones, le Epistulae ad Lucilium ( Lettere a Lucillio), 9 tragedie, l' Apocolocyntosis e alcuni epigrammi.
Sotto il titolo di Dialogorum libri XII ci è giunta una raccolta di scritti filosofici e morali, che sviluppano temi dell'etica stoica. Essi sono: il De ira, dedicato al fratello Anneo Novato, che, in tre libri, analizza l'ira come malattia dell'anima, ne addita le terribili conseguenze, soprattutto nella vita pubblica, e consiglia i mezzi per guarirla; il De providentia, dedicato a Lucilio, che si occupa della provvidenza divina (tipico concetto dello stoicismo) e del problema del male inflitto ai buoni; il De constantia sapientis, dedicato ad Anneo Sereno, che esalta la figura del saggio stoico; il De brevitate vitae, dedicato a Pomponio Paolino, che è incentrato sul problema del tempo e sostiene che la vita non è breve per chi sa usarla; il De vita beata, dedicato al fratello Anneo Novato (che in seguito ad un'adozione aveva preso il nome di L. Giunio Anneano Gallione), che svolge il tema della felicità e, stoicamente, la fa coincidere con la virtù; il De tranquillitate animi, dedicato ad Anneo Sereno, che ha per argomento la serenità e la coerenza dello stoico; il De otio, dedicato ad Anneo Sereno, che tratta il problema della vita privata e del disimpegno politico, giustificandoli in base a dottrine stoiche. Vi sono poi 3 opere di genere consolatorio: la Consolatio ad Marciam, rivolta a Marcia figlia di Cremuzio Cordo (lo storico suicidatosi sotto Tiberio, i cui Annali erano stati condannati alle fiamme), in cui Seneca la conforta della morte del figlio Metilio e la elogia per aver ripubblicato l'opera paterna; la Consolatio ad Helviam matrem, scritta durante la relegazione in Corsica e dedicata alla madre per consolarla del suo esilio; la Consolatio ad Polybium, composta nello stesso periodo della precedente e indirizzata a Polibio, potente liberto di Claudio, per confortarlo della perdita del fratello e pregarlo di ottenergli dall'imperatore il ritorno.
Il De clementia, concepito in tre libri e pervenutoci mutilo (sono rimasti il primo libro e 7 capitoli del secondo), rappresenta una delle opere più importanti del filosofo. Dedicato a Nerone, esso è un'esposizione assai ampia del pensiero politico di Seneca : egli infatti ritiene, secondo le dottrine dello stoicismo, che la monarchia sia la migliore delle costituzioni e identifica con il rex iustus stoico il giovane imperatore. Egli dunque governerà mirando al bene dei suoi sudditi ed eserciterà saggiamente la clemenza, che darà ai suoi governati la certezza di essere trattati con moderazione e giustizia e concilierà a lui il loro favore e la loro benevolenza.
Il De beneficiis, dedicato a Ebuzio Liberale, è un trattato in 7 libri in cui è affrontato con puntigliosa attenzione il problema del beneficio. Esso è concepito come un'azione essenzialmente sociale che instaura legami fra persone diverse: conseguentemente Seneca analizza il modo di dare e di ricevere il beneficium, e la natura, la specie e le varietà dei rapporti che si possono stabilire fra beneficante e beneficato.
Le Naturales quaestiones, in 7 libri, dedicate a Lucilio, furono scritte dopo il ritiro di Seneca dalla vita politica e trattano di alcuni fenomeni fisici, meteorologici e astronomici (come i terremoti e le comete). Esse mostrano che Seneca, come del resto molti filosofi del suo tempo, coltivava anche le scienze, ritenendole parte integrante della filosofia. Tale interesse era tuttavia legato in lui con una profonda istanza morale: quella di liberare gli uomini da vani e superstiziosi terrori.
Le Epistulae morales ad Lucilium sono una raccolta di 124 lettere divise in 20 libri (ma Aulo Gellio cita il XXII libro, ed è quindi possibile che fossero originariamente in numero maggiore) e indirizzate all'amico Lucilio. Scritte fra il 62 e il 65, espongono i pensieri e le riflessioni dell'autore su svariati argomenti morali e filosofici e trattano spesso temi fondamentali (come il problema della morte, la funzione della filosofia, la vita contemplativa, ecc.).
Le tragedie, i cui titoli sono Hercules furens ( Ercole furioso), Troades ( Troiane), Phoenissae ( Fenice), Medea, Phaedra ( Fedra), Oedipus ( Edipo), Agamemnon ( Agamennone), Thyestes ( Tieste), Hercules Oetaeus ( Ercole Eteo), traggono i loro argomenti da alcuni fra i temi più famosi della mitologia, che erano stati spesso trattati dai tragici greci e dal teatro latino arcaico. La loro autenticità, che diede vita a numerose discussioni, è ora generalmente ammessa da tutti gli studiosi. Quasi concordemente invece è ritenuta spuria una pretesta, che i codici attribuiscono a Seneca : l'Octavia, che narra l'infelice vicenda di Ottavia, moglie di Nerone, introducendo come personaggio lo stesso Seneca.
L'Apocolocyntosis divi Claudii (Inzuccatura del divo Claudio), o Ludus de morte Claudii, è un'operetta composta parte in prosa e parte in versi che rientra nel genere della satira menippea, com'era stata coltivata da Varrone. Essa fu scritta dopo la morte di Claudio ed è una parodia condotta con brio e con feroce sarcasmo dei funerali e dell'apoteosi dell'imperatore, di cui vengono stigmatizzati i vizi e i difetti, mentre con gioia viene salutato l'avvento di Nerone.
Gli epigrammi pervenutici sotto il nome di Seneca sono una settantina, di cui parecchi certamente non autentici. Al nostro autore si devono tuttavia probabilmente attribuire alcuni componimenti che si riferiscono alla sua relegazione in Corsica e altri di argomento gnomico.
La produzione in prosa di Seneca presenta dunque una spiccata intonazione filosofica e morale; nulla però ha del rigore che noi solitamente ricerchiamo negli scritti di filosofia. Piuttosto che la rigidezza e la freddezza delle trattazioni scientifiche essa mostra il calore dell'esortazione e della parenesi. Lo scopo del filosofo è infatti non di dimostrare alcune verità, ma di incitare e stimolare i lettori al miglioramento di se stessi. Un fine pratico dunque, e non teoretico, che spiega e giustifica l'uso di procedimenti che appartengono piuttosto all'eloquenza che alla filosofia. Vi è infatti in queste opere un tono oratorio, che ben si accorda con la cultura del tempo e la sua predilezione per le declamazioni e gli esercizi retorici, e che del resto non è semplicemente esteriore e artificioso, ma corrisponde alla sensibilità di Seneca. Questo aspetto è particolarmente presente nei trattati (nonostante il loro titolo, i Dialoghi non hanno infatti forma dialogica, se si esclude l'uso retorico di introdurre le obiezioni e le riserve di un generico oppositore), che presentano talvolta una struttura confusa e intricata. Infatti gli schemi, le esemplificazioni, i luoghi comuni derivati dalle fonti greche non sono fusi in un discorso strettamente e freddamente razionale: qualche volta anzi le argomentazioni non sono condotte con un procedimento rigoroso. Esse trovano però la loro forza di persuasione nella passione e nel fervore che le anima e le unifica.
Le tragedie senecane sono anch'esse legate al gusto e alla cultura del tempo. La tragedia infatti era coltivata e apprezzata nei circoli colti, che se ne servivano per esprimere le proprie idee e convinzioni, spesso in contrasto con la cultura ufficiale. Erano dunque opere di pensiero e come tali destinate non alla rappresentazione, ma alla declamazione. Questi caratteri sono ben presenti anche nella produzione di Seneca, che fu dettata probabilmente da esigenze pedagogiche e mirava a rappresentare in tutto il loro orrore le passioni che Seneca desiderava estirpare. Egli infatti innesta negli antichi miti le proprie esigenze morali e la propria riflessione, creando così drammi ricchi di introspezione, di analisi psicologica, di raffinata eloquenza. I personaggi non si esprimono con rapide e agili battute, ma tendono a esternare sentimenti, passioni, pensieri con lunghi discorsi retoricamente costruiti. Anche i loro contrasti assumono il tono, non di vivaci e immediati diverbi, ma di discussioni, in cui le varie parti svolgono la propria tesi confutando l'avversario con abile tecnica dialettica. Molto viva è anche la presenza della filosofia e assai spesso troviamo enunciati e svolti e sentenze e temi dello stoicismo: caratteristica di questa impostazione filosofica è del resto la rappresentazione assai frequente dello scontro fra il tiranno e un personaggio che gli si oppone e resiste con stoica fermezza. Non manca tuttavia in queste tragedie la forza drammatica, che spesso nasce dalla descrizione viva e immediata di sentimenti e di passioni titaniche e sfrenate. Vivissimo infatti è in Seneca il gusto per la psicologia: una psicologia che si rivolge non tanto ai personaggi quanto alle passioni. Egli eccelle infatti nell'analizzare quegli stati d'animo violenti e morbosi (come la collera, l'odio, l'amore sfrenato, ecc.) che esamina anche nelle sue opere filosofiche. Egli mostra anche un vivo interesse per situazioni macabre, patetiche e impressionanti, e indulge volentieri a descrizioni minute di particolari orripilanti (il banchetto di Tieste, l'uccisione di Agamennone, ecc.).
Lo stile di Seneca è personalissimo, tanto che fin dall'antichita suscitò commenti non sempre benevoli: Caligola lo definì harena sine calce, sabbia senza calce, e Quintiliano, pur notando che egli era l'autore più amato dai giovani, gli rimproverava di essere colmo di ogni difetto. Egli spezza infatti la struttura del periodo ciceroniano, saldamente costruito mediante la subordinazione, e vi sostituisce un nervoso susseguirsi di frasi giustapposte, unite da legami di natura logica piuttosto che sintattica. Frequente è l'uso di sentenze, di antitesi, di riprese e variazioni di uno stesso concetto, di anafore, di traslati, di metafore, mentre il lessico presenta forme proprie della lingua elevata o anche di quella colloquiale (comunemente usata nella diatriba). Ne deriva quindi uno stile dall'andamento incalzante e serrato in cui (anche se Seneca dichiara di non preoccuparsi affatto della forma) è riconoscibile l'influsso della retorica e del gusto asiano del tempo.
La posizione filosofica di Seneca è essenzialmente pratica: egli ritiene che la filosofia debba essere maestra di vita e non nutre perciò molta simpatia per la dialettica pura. Tale spiccato interesse per i problemi morali spiega perché la speculazione senecana sia in campo teoretico scarsamente originale e giustifica anche il suo eclettismo. Egli infatti non soltanto accoglie nelle linee generali l'insegnamento stoico (rifacendosi particolarmente alla media Stoà e ad autori come Panezio e Posidonio), ma anche non rifiuta precetti o temi tratti dalle dottrine di altre scuole (come quella pitagorica, quella platonica o persino quella epicurea). Quello che conta è il risultato che essi producono, valutato in termini di miglioramento interiore. Questo atteggiamento implica altresì una certa noncuranza per la coerenza e la sistematicità, cosicché nelle opere di Seneca si può ravvisare non tanto un corpo di dottrine ben organizzato, ma una serie di temi più o meno importanti e sfruttati (come la provvidenza divina, le teorie sull'anima, l'esaltazione del saggio, l'affermazione degli stretti legami di parentela fra tutti gli uomini, ecc.). Si può inoltre notare che il rigorismo stoico diviene in lui meno rigido e più umano, e che la profonda e sofferta coscienza dell'oscillare di tutti gli uomini fra il bene e il male rende meno incolmabile l'abisso fra il sapiens e lo stolto.
Alcuni aspetti della filosofia senecana, che per certi versi si avvicina al cristianesimo, ispirarono una raccolta apocrifa di 14 Lettere che sarebbero state scambiate fra Seneca e san Paolo e che dovevano dimostrare la conoscenza e l'amicizia fra questi due autori [da "NOVA - UTET" sotto voce]