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- LA FOEMINA SECONDO GLI INTERPRETI ECCLESIASTICI NELLA SILLOGE DI PADRE LUCIO FERRARIS
-AMBIGUITA' E PREGIUDIZI: IL COMPLICATO GIUDIZIO SULLA DONNA NELL'ETA' INTERMEDIA
-UN'IPOTESI SULLO SVILUPPO IDEOLOGICO DI ANTIFEMMINISMO E MISOGINIA NELL'ORIENTE CRISTIANO
-UN'IPOTESI SULL' IMPORTAZIONE CULTURALE DI ANTIFEMMINISMO E MISOGINIA NELL'OCCIDENTE CRISTIANO
-IL COMPLESSO TEOREMA DELLA SENSUALITA' FEMMINILE: "LE DONNE SONO GUIDATE DAGLI STIMOLI DELLA SESSUALITA'"
-LASCIVIA FEMMINILE NEL MECCANISMO LUDICO DI VEGLIE E DANZE
SECONDO IL GIUDIZIO APROSIANO DELLO SCUDO DI RINALDO II
-LA VERA ESSENZA DELLA FEMMINILITA': SPOSARSI E PROCREARE
-IL COMPLESSO MOMENTO DELLA CONFESSIONE RELIGIOSA DELLE DONNE
-IL DIFFICILE "MESTIERE" DI DONNA: LA SALVAGUARDIA DELLA VERGINITA'.
-IL MATRIMONIO: MOMENTO BASILARE NELLA VITA DI UNA DONNA
- ANNULLAMENTO, DIVORZIO, RIPUDIO NELLA "STORIA DEL MATRIMONIO"
-IL "MATRIMONIO A SORPRESA": TRISTE SCAPPATOIA CONTRO LA VIOLENZA ISTITUZIONALE SULLE DONNE
-LA CREAZIONE DEL MODERNO CONFESSIONALE: UNO SCHERMO CONTRO LE TENTAZIONI DI AMORI PROIBITI TRA CONFESSORE E BELLE PENITENTI
-DOTTRINE MEDICHE ANTICHE SULL'INFERIORITA' FISICA FEMMINILE E RELATIVE CONSEGUENZE
-DOTTRINE MEDICHE ANTICHE SULL'INFERIORITA' MENTALE E PSICOLOGICA FEMMINILE E RELATIVE CONSEGUENZE
-DOTTRINE MEDICHE E TEORIE DI PENSIERO SULL'INFERIORITA' DELLE DONNE: RELATIVE CONSEGUENZE SOCIO-FILOSOFICHE
-[ DOTTRINE MEDICHE E NON SULLA GENERATIONE DI PROLE MASCHILE: LA DONNA COME INGOMBRO E/O PESO SOCIALE IN GIUDIZI MALTHUSIANI DI PIENO XVII SECOLO ]
-(LE) "LUNATICHE": LA DONNA PER IL SUO CICLO BIOLOGICO "PERICOLOSAMENTE SOGGETTA" AGLI "INFLUSSI MUTEVOLI DELLA LUNA"
-(IL) MACROSISTEMA PECULIARE DELLA DONNA LIGURE E DELLA CITTADINA DI GENOVA.
-(LE) "MASSIME CONDIZIONI SOCIALI": LA DONNA NOBILE.
-(LE) MITOLOGIE DEL LAVORO IMPRENDITORIALE: LA DONNA DELLA BORGHESIA
-(LE) MODESTE DONNE DEL POPOLO
-(LE) MONACHE DI CASA
-(LE) SANTE DONNE
-(LE) "SCANDALOSE" DONNE DI PIACERE: RIFLESSIONI SULLA PROSTITUZIONE NELL'ETA' INTERMEDIA
-(LE) "SCANDALOSE" DONNE DI PIACERE: LABIRINTI DI CORTIGIANE TRA VITA REALE E DIMENSIONE LETTERARIA (ALL'"APROSIANA DI VENTIMIGLIA" DAL CASO DELLA "CELESTINA DEL 1527" ALLE PROVOCAZIONI INTELLETTUALI DELLE
ERUDITE "LIBERTINE")
-(LE) "SCANDALOSE" DONNE DI PIACERE E IL LORO "MONDO" NEL "DOMINIO DI GENOVA": PROSTITUTE E RUFFIANI
-UN TIPO DI SCARPA FEMMINILE OGGETTO DI INTERMINABILI DISCUSSIONI MORALISTICHE
-(LE) "SPAVENTOSE" DONNE AL BANDO DI STATO E CHIESA: STREGHE E FATTUCCHIERE
-VERGOGNE EPOCALI A SCAPITO DELLA DONNA: LA CINTURA DI CASTITA'
-(LA) VITA NEI CONVENTI FEMMINILI: SUORE, SANTE VOCAZIONI E MONACAZIONI FORZATE
ANGELICO APROSIO E FRANCESCO PELLIZZARI: DUE MODI DICERSI DI AFFRONTARE IL TEMA A RISCHIO DELLE MONACAZIONI FORZATE
-UNO DEI PRIMI TRATTATI SUI DIRITTI DELLE DONNE IN MATERIA CIVILE
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L'Aprosiana è ricchissima d'opere, spesso
egregiamente figurate ed incise, perlopiù di scienze naturali,
in cui si può "leggere" il conflitto tra passato e presente, tra
alchimia e chimica, tra astrologia ed astronomia, tra vecchia e
nuova medicina e, via, in termini sempre meno scientifici e
sempre più sociologici, sin ai testi di contese "ideologiche"
sulle postazioni antitetiche di gruppi umani, ad esempio liberi,
schiavi di natura (per dirla con la Politica di Aristotele) e
schiavi di guerra, fra importanti e miserabili, e soprattutto
sulle postazioni, non meno significative dei consorzi
femminili.
Secondo una scala gerarchica di ordine morale e non
sociale, ma comunque di un certo peso pubblico, nel sistema
maschilista dell'età intermedia godevano di una posizione
privilegiata le così dette "DONNE SANTE", tra cui, non di
necessità - seppur auspicabilmente - avrebbero dovuto prevalere
le Suore o le Monache di clausura: in effetti queste "sante
donne" sarebbero risultate ben poco consistenti sotto il profilo
quantitativo se , nell'accezione comune, non se ne fosse
amplificato il numero identificandole con le donne più pie e
ancor più estesamente con le meglio uniformate ai meccanismi
delle convenzioni.
Immagine simbolo della santa donna fu in qualche modo, ed
ancor più della Suora di clausura, la MONACA DI CASA cioè quel
tipo di donna, legata da voti privati, che viveva tra la gente,
"nel mondo" come si era soliti dire: nome che col tempo fu però
attribuito, in senso più vasto, al genere di donne che,
conducendo una vita alquanto religiosa, in pratica non uscivano
mai di casa, dedicandosi esclusivamente alle loro istituzionali
mansioni domestiche [vedi:E.NAVARRO DELLA MIRAGLIA (1838-1909),
La nana, Bologna, 1963, p. 105].
Come corollario di questa "idealizzazione del femminino nella positività" stavano poi,
seppur variamente disposte e giudicate a misura degli
schematismi impermeabili dell'antifemminismo istituzionale, le
donne oggetto - senza dubbio le più numerose - passando
attraverso una serie di figure intermedie che congiungevano le
postazioni limite dell'onesta madre casalinga e della meretrice,
donne comunque, in potenza od in atto, tutte quante ritenute
"tentatrici delle maschili debolezze".
Nel XVI e XVII secolo una particolare attenzione pubblica (distinta da una simultanea riprovazione
morale) veniva quindi conferita alle DONNE DI SCANDALO in cui, tanto
per esser chiari, non erano identificate soltanto le MERETRICI le CORTIGIANE e le CONCUBINE ( su cui ha per un convegno alla BIBLIOTECA APROSIANA DI VENTIMIGLIA ha del pari diffusamente scritto A.OMODEO
(Il ruolo sociale della donna nel seicento italiano attraverso
le immagini in AA.VV, Il Gran Secolo di Angelico Aprosio, 1981, p.77) = assieme a queste erano dall'antifemminismo maschile imperante (nonostante la difesa di alcune donne coraggiose o potenti tra cui l'ex regina di Svezia Maria Cristina e suor Juana De La CRUZ) reputate DONNE DI SCANDALO ANCHE LE CANTANTI, LE ATTRICI, LE MIME, LE BALLERINE E QUANTE OPERAVANO NEL MONDO DEL TEATRO = oltre a ciò figure femminili che comunque costituivano ad ogni livello un campo di pruriginosa curiosità, moralistica, erudita e non solo eranoquelle poche donne colte e intellettuali che
, volendo difendere o qualificare il loro sesso dal deprezzamento maschile, oggi potremmo
definire LIBERTINE, nel senso di libere pensatrici, se non addirittura INTELLETTUALI RIBELLI al maschilismo
imperante.
Prescindendo dalle quattrocentesche sorelle Nogarola sempre lodate da Aprosio, queste si possono identificare in seicentesche
LETTERATE o in donne dalla cultura e dalla dialettica
provocatrici [che continuano amplificandola la tradizione delle ERUDITE DELLA PRECEDENTE GENERAZIONE (come Modesta Dal Pozzo, Isabella Canale Andreini, Cassandra Fedele o Laura Cereta la sola di cui Aprosio recupera, non a caso nello Scudo di Rinaldo edito, una lettera contro il lusso) e che comunque risultano decisamente lontane dalla postazione moderata e ortodossa di altre "intellettuali" come la nizzarda CAMILLA BERTELLI MARTINI] quali, in parte, furono LUCREZIA MARINELLA [verso cui Aprosio, forse suggestionato dalla sua fama e/o dalle sue amicizie, non solo nella Biblioteca Aprosiana ma soprattutto nella I parte dello Scudo di Rinaldo mantenne sempre estremo riguardo per quanto talora fugacemente demotivato da qualche decettiva allusione] la libertina ebrea SARA COPIA SULLAM
od ancora ARCANGELA TARABOTTI (Venezia 1604 - ivi 1652),
la suora "femminista" in qualche modo celebre per una polemica
che la coinvolse in un dibattito serrato avverso la dominante
postazione maschilista di cui fu corifeo Francesco Buoninsegni
ma alla quale, con parecchi altri in qualche modo travolto
dall'ossessione per la ribellione intellettuale e
comportamentale femminile, neppure rimase estraneo Angelico
Aprosio, dapprima blandamente - e forse ambiguamente - vicino
alla religiosa e quindi, alla stregua d'altri antesignani
dell'imperante patriarcato, suo inaspettato, intransigente per
quanto poco efficace, critico e denigratore (B.DURANTE, Angelico
Aprosio il "Ventimiglia": le "carte parlanti d'erudite librarie"
in "I Quaderno dell'Aprosiana, N. S.,1993, passim e p.75).
La MISOGINIA, e comunque la sostanziale ambiguità di atteggiamento verso le DONNE e in particolare tutte le DONNE DIVERSE dall'icona mariana della sposa accondiscendente e madre premurosa non sono comunque, cosa del resto abbastanza evidente per gli storici, postazioni peculiari di alcuni eruditi od intellettuali come, nel nostro specifico, l'Aprosio [che prescindendo dal futuro ruolo di vicario dell'Inquisizione, dalla giovanile formazione antidonnesca (peraltro inasprita dall'ambigua contesa con Arcangela Tarabotti o tormentata dall'impegno assunto d' emancipare dal concubinato con tal Apollonia l'Incognito veneziano Pietro Michiele) ed ancora dall' aver assistito sempre in giovane età al rogo d'una supposta "strega" di Grosseto di nome Palandrana nelle sue postulazioni antidonnesche, come tanti altri, senza dubbio risente, in maniera prioritaria, della natura stessa della legge laica, nel suo caso della legge criminale di Genova di per se stessa ineluttabilmente misogina e maschilista].
Questi giudizi antifemministi appartengono alla temperie epocale del XVII secolo e, a dire il vero, Angelico Aprosio, cui certo non sono negabili dichiarati atteggiamenti antidonneschi, non di rado risulta, al riguardo delle donne, meno intransigente di altri suoi pari alla maniera che si può intendere dall'
ANALISI DI VARIE SUE DISSERTAZIONI SU LETTERATE ED ERUDITE DEL PRESENTE E DEL PASSATO
od ancor più dalle sue
POSTULAZIONI SUL TEMA DELLE MONACAZIONI FORZATE
anche se un'evidente per quanto erudita postazione della sua misoginia esemplarmente la si evince dal confronto, contenutistico e formale, di quanto egli scrive in merito alle più o meno mitiche donne guerriere e di ciò che un secolo dopo sullo stesso tema redigerà, verisimilmente, Gaspare Morardo di Oneglia in un'opera intitolata Pregio della donna genericamente da pagina 57 a pagina 63 e con superiore competenza storica da pagina 73 a pagina 89.
In merito a siffatte riflessioni bisogna anche però far caso alla temperie storico culturale tra '500 e '600 laddove quello che, in apparenza, si colora oggi di vieta ed ingiustificata MISOGINIA ( e che magari nell'opera aprosiana come di altri autori assume connotati ERUDITI indubitamente elaborati entro uno schematismo SARCASTICAMENTE GIOCOSO) nasce originariamente da SPECULAZIONI di altra natura, anche GIURIDICA.
A titolo d'esempio prendiamo qui in esame il teorema della MEDICINA connesso all' ALLATTAMENTO nell'età intermedia che, in modo notorio, costituisce un momento essenziale e nello stesso tempo periglioso della vita del neonato.
In particolare da sempre risulta alquanto animoso un contenzioso intellettuale tra i sostenitori dell'ALLATTAMENTO MATERNO ed i teorici dell'ALLATTAMENTO PROFESSIONALE ad opera delle BALIE.
In un primo tempo la questione, più che sulla bontà o meno di una o dell'altra soluzione in merito sia alla tipologia del latte che dei legami affettivi instaurantisi tra donna e neonato, appare di NATURA GIURIDICA, temendosi che le BALIE o NUTRICI possano essere in alcuni casi DONNE POCO SERIE o addirittura CRIMINALI MERCENARIE.
Nell'ambito delle FAMIGLIE MAGNATIZIE GENOVESI, nel timore che BALIE PREZZOLATE da casati nemici possano uccidere il nonato concesso alle loro cure professionali, vengono assunte col tempo VARIE PRECAUZIONI che, da semplici cautele individuali e private, si evolvono alla fine in una NORMATIVA DI LEGGE negli STATUTI CRIMINALI di metà XVI secolo.
Ed a riprova di quanto siffatta problematica si sia protratta nel tempo, quale espressione vigorosa di polemiche tra distinte valutazioni mediche, giuridiche e moraleggianti, si rende oggi utile, per dissertare storicamente sulla questione, studiare una quasi introvabile PUBBLICAZIONE [IN LATINO VEDINE QUI L'INCIPIT IN TRADUZIONE ITALIANA DA CULTURA BAROCCA] di tal C. Benedetto Carminati (Pavia, 1840) dal titolo Dissertatio Medica Inauguralis de Maternae Lactationis Officio atque Utilitate di cui qui sotto si fa seguire un INDICE TEMATICO in merito ai punti nucleari:
1- MODERNA COSTUMANZA DI CRESCERE I FIGLI COMPRANDO I SERVIZI DI BALIE E NUTRICI
2- NOBILTA' DELLE DONNE ANTICHE NELL'ALLEVARE I PARGOLI COL LATTE DEL PROPRIO SENO
3- QUANTO SIA PERICOLOSO NON ASCOLTARE LE VOCI DELLA LEGGE DI NATURA!
L'usanza, comunque, di affidare a BALIE risulta inveterata se anche in un'opera come questa, del XIX secolo, se ne ripropongono i connotati: ed oggettivamente bisogna riconoscere che sin dal '500 parecchie DONNE, sia BORGHESI che NOBILI, rinunciano alla soluzione dell'ALLATTAMENTO MATERNO.
i non pochi SOSTENITORI DELL'ALLATTAMENTO MATERNO, tra altre cose, prendono la costumanza di porre alla RADICE DI SIFFATTA SCELTA la "moderna" volontà femminile di FRUIRE DI MAGGIOR TEMPO LIBERO e di poter partecipare a FESTE, BALLI, VEGLIE senza remore e soprattutto, tenendo conto degli emergenti dettami della MODA, potendo esibire, con ogni espediente, un FISICO PERFETTO [di Angelico Aprosio vedi SCUDO DI RINALDO I, CAPITOLO XXXV, e PAGINA 262, voce GUARDINFANTE] e soprattutto un SENO RIGOGLIOSO E PER NULLA SFIANCATO DA EVENTUALI ALLATTAMENTI.
Molti PREDICATORI MORALISTI attraverso i secoli si sfiancano contro questa costumanza, volgendo contestualmente come Aprosio i loro strali sia contro la MODA sia contro le DONNE accusate di VANITA': invero non mancano, nemmeno all'APROSIO, critiche avverso UOMINI DI MONDO CHE SEMPRE PIU' FASCINOSE DESIDERANO LE DONNE ma resta fuor di dubbio che in ogni caso queste ultime rimangono attraverso il flusso del tempo il BERSAGLIO sostanziale elaborato sulla vicenda biblica di EVA E DELLA SUA PERNICIOSA VANITA'.
Ecco così che, considerazioni prioritarie di ORDINE GIURIDICO risultano essersi evolute nella pubblicistica in GIUDIZI MORALISTICI ANTIFEMMINILI: come nel nostro caso si esplicita entro l'aprosiano SCUDO DI RINALDO I in disquizioni come quella del CAPITOLO XXIX sintomaticamente intitolato QUANTO DISDICA ALLE DONNE PORTAR LE POPPE SCOPERTE.
A dissertare su questo campo, così "gradito" al curioso ed in fondo mondano Aprosio, non si finirebbe più di esemplificare: il frate agostiniano intemelio, osservatore attento per quanto critico delle trasformazioni della MODA, denota un interesse particolare per ogni TIPOLOGIA DI CALZATURE tanto da ricercare o leggere LIBRI SULL'ARGOMENTO CUSTODITI DA AMICI MA DA LUI NON POSSEDUTI.
In merito alle CALZATURE FEMMINILI non manca poi di sbizzarrirsi, particolarmente in merito a quelli che chiama un po' genericamente ZOCCOLI e su cui elabora altre riflessioni contro la vanità femminile soprattutto nello Scudo di Rinaldo I.
E qui,nelle sue riflessioni argute e di critica alle costumanze di "scarpe esagerate" sia per donne ma anche per uomini, in verità, lasciandosi un pò prendere la mano finisce per "BARARE" ed attribuire alla VANITA' FEMMINILE un tipo spropositato di calzatura, come appunto gli ZOCCOLI la cui origine (nonostante le plausibili esagerazioni della civetteria) è in principio collegata ad ESIGENZE PRATICHE.
GENOVA come tutta la LIGURIA, e gli altri STATI sia ITALIANI che STRANIERI, nell'EPOCA INTERMEDIA risentono di una sostanziale TRASCURATEZZA DELL'IGIENE SIA PUBBLICA CHE PRIVATA con la CONSEGUENZA DI IMPALUDAMENTI, che per la tracimazione periodica dei corsi d'acqua e l'improprio smaltimento delle acque nere, determinano sacche di terre malsane, quasi impraticabili, in cui avventurarsi può costituire un rischio per la salute.
Nel repertorio biblioteconomico steso da Aprosio con il titolo del LA BIBLIOTECA APROSIANA... questa perigliosa CONDIZIONE GEO-AMBIENTALE in qualche modo risulta segnalata e sottolineata specificatamente per VENTIMIGLIA, anche con l'indicazione delle possibili responsabilità: la DISCUSSIONE si estende per ampio tratto narrativo ma si concentra alle PAGINE 37 - 38 (anche se notoriamente è fenomeno esteso ovunque, per esempio nel TERRITORIO DI NERVIA, nell'AREA VALLECROSINA DEI PIANI od ancora, persin veicolato dall'onomastica, nel TERRITORIO ANCORA SEMIDESERTO DELLA FUTURA "BORDIGHERA MODERNA").
L'uso da parte delle DONNE degli ZOCCOLI finisce così per diventare quasi obbligatorio dovendosi spostare, senza SEGGETTE o PORTANTINE, per aree insalubri: certamente tale costumanza finisce per diventare una forma di moda e di qualificazione sociale così che non tutte le POPOLANE possono permettersi di farne uso a differenza delle DONNE BORGHESI e delle NOBILI.
Ferma restando l'aprosiana postazione antidonnesca a volte si ha addirittura impressione che certi suoi strali ancor più che contro le DONNE siano indirizzati verso una MODA che rende tutti sempre più eccentrici e frivoli: con la conseguenza di "generare" UOMINI SEMPRE PIU' EFFEMINATI e DONNE VIEPPIU' VIRILI come si legge nel CAPITOLO XV dello SCUDO DI RINALDO I.
L'ANTIFEMMINISMO APROSIANO, a dire il vero è talora anche FUNZIONALE, come all'origine delle sue AVVENTURE LETTERARIE lo fu il suo POLEMISMO ANTISTIGLIANEO E FILOMARINISTA probabilmente sentito ma non sino ad una ESASPERAZIONE che gli giunse vantaggiosa, per lui provinciale e di modesto casato senza tradizioni letterarie, per esser accettato nel GRAN MONDO DELLA CULTURA NELLA PRIMA META' DEL '600 DECISAMENTE PROPENSO ALLE SOLUZIONI FUNAMBOLICHE DEL MARINO E DEI SUOI SEGUACI.
Queste osservazioni non intendono essere certo una proposta di dequalificazione dell'antifemminismo aprosiano ma uno strumento di studio per future indagini sì da riconoscere che, a fronte di parecchie osservazioni misogine non prive di acredine, altre si evolvono partendo da contesti diversi ed altre ancora hanno una genesi specifica che a volte è assolutamente personale, spesso ispirata alle generali costumanze censorie, altre volte ancora sviluppata nel contesto di un gioco erudito che coinvolge sia donne che uomini e via discorrendo.
Aprosio (e questo risulta un suo limite caratteriale seppur giustificato parzialmente dalla condizione religiosa, dalla non ricca situazione economica e dal continuo bisogno di sostegni morali e non) talora poi, come risulta reiterato nella sua vita, piuttosto che perdere la stima di amici influenti preferisce o dove piegarsi alle loro scelte ideologiche: emblematicamente ad esempio, finisce per adeguarsi al pensiero egemonico e per sviluppare, magari senza la cattiveria d'altri ed anzi contro la propria pregressa ammirazione, una posizione critica avverso Anna Maria Schurmans, la "Saffo di Colonia", donna di indubbie e superiori qualità intellettuali che un pò arditamente accosta a più riprese alla danese Maria Below.
L'ormai vecchio erudito ventimigliese, abbastanza malato e stanco oltre che bisognoso di nuovi potenti appoggi sociali e culturali sia per la biblioteca che per le mai sopite ambizioni editoriali, si trova in obbligo d'agire in sintonia con determinate opzioni culturali volta per volta in auge e in questo caso, quando sceglie di cassare il nome della letterata tedesca da una sua opera in odore di pubblicazione, verosimilmente lo fa soprattutto per accontentare le scelte selettive del più recente nume della bibliofilia italiana, ed auspicabilmente suo nuovo protettore e mecenate, vale a dire il bibliotecario fiorentino Antonio Magliabechi.
Per tutto il seicento la donna è stata al centro della cultura e dell'arte, ma lo è stata come oggetto più che come soggetto: la si è spesso celebrata per una bellezza fisica, che non deve giammai contravvenire alla sua "fruizione" nel luogo istituzionale della "perfetta maritata", e quando la donna è stata lodata, siffatte lodi sono andate alla donna in quanto figura sociale d'eccellenza più che quale soggetto intellettualmente significante.
Mutatis mutandis se poi addirittura, nella prospettiva di ulteriori approfondimenti, si vuole enucleare un momento storico dell'esistenza aprosiana da cui, a fronte di un graduale incupimento del carattere e dalla scoperta caducità della vita, si assiste ad una depressione di antifemminismo e misoginia si può segnalare il drammatico biennio del 1656 - '57 quello della "Morte Nera o Grande Peste" in Genova e Liguria laddove il frate, sconvolto dalla perdita di tanti amici e dalla vista di molteplici orrori, si lascia andare a conclusioni rassegnate, sin al punto di segnalare chiaramente il dramma del religioso e quindi dell'uomo senza discendenza cioè l'istituzionale impossibilità di tramandarsi nella carne di un erede proprio in forza della donna e della santità del matrimonio.
Conclusione indubbiamente tanto acre quanto ideologicamente pericolosa da cui l'agostiniano si emanciperà, lentamente riprendendosi, attraverso un surrogato non privo di ingegno: eternarsi nelle proprie opere e se le opere possono, per insite fluttuazioni e dispersioni dei giudizi, non esser bastanti a rimandare nel tempo il proprio ricordo, scegliere, come lui, la strada alternativa di eternarsi divenendo Tromba delle glorie altrui, magari erigendo una BIBLIOTECA, che trasmetta al futuro il proprio nome e che non solo custodisca i prodotti libreschi altrui ma li riproduca alla posterità in forza d'una continua amplificazione e discussione del sapere.
Una BIBLIOTECA per la cui grandezza operi un proprio pari, un bibliotecario così fido da divenire quasi un "figlio putativo": cosa che in fondo Aprosio avrà la fortuna di individuare in DOMENICO ANTONIO GANDOLFO.
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Dalla vicina Provenza il PONENTE LIGURE [intendendo, con una certa pratica e qui funzionale riduttività, l'agro che corre da Ventimiglia all'area di San Remo e Taggia (con tutto il retroterra della Valle Argentina e del caposaldo di Triora) per giungere, superando varie "isole" geo-culturali, sin al territorio di Porto Maurizio ed Oneglia] è notoriamente stato, amplificando un'espressione felice quanto abusata che risale a T. Ossian de Negri, un CROCEVIA DI STORIA, CIVILTA' ED ESPERIENZE UMANE.
La BIBLIOTECA APROSIANA rappresenta solo uno dei tanti "momenti" di questa "vicenda umana": fra tante altre cose che di lei si son dette, la grande LIBRARIA, eretta a metà del '600 in Ventimiglia da Angelico Aprosio, è stata giudicata, forse con qualche eccesso di intransigenza, un formidabile BALUARDO DELLA CULTURA MASCHILISTA E MISOGINA.
E pur tuttavia nello stesso XVII secolo, proprio in CONTESTI INTELLETTUALI QUALI L'APROSIANA STESSA, si preparano nuovi disegni per una nuova valutazione della società e nello specifico della condizione femminile:
e sono postulazioni che germinano in dipendenza di quei fermenti razionali che produrranno l'illuminismo.
Ma oltre a ciò, nel contesto del pur lento riscatto femminile piace qui proporre una discussione su quei fermenti culturali (espressi da un lavorio intellettuale forse relativamente indagato come quello che portò Giovanni Balbi a redigere questa SILLOGE DI POETI LIGURI DI FINE '700 in cui spicca, restando comunque in "ottima compagnia", l'allora conclamato Giuseppe Biamonti celebre poeta del ponentino borgo di San Biagio della Cima) che attraversarono la LIGURIA nel XVIII secolo esplicitandosi in varie tematiche.
Per l'argomento vertente su FEMMINISMO/ANTIFEMMINISMO giova allora contrapporre alle speculazioni aprosiane le riflessioni insite in
due opere non facilmente reperibili di matrice assolutamente ligure e sabauda.
La prima, di ANONIMO AUTORE, reca titolo di Pregio della donna ove si notano alcune donne de' tempi antichi, mezzani, del presente secolo, e viventi celebri in virtù, e scienza, Torino, Nella Stamperia Reale, Presso Bernardino Tonso libraio in Dora Grossa, 1783, 16°, pp. 90.
L'impostazione stilistica dell'opera, i testimoni di stampa, in particolare l'analisi di p. 43 ove viene elogiata, con precisione di dati, l'onegliese Maria Pellegrina Amoretti inducono a supporre che il lavoro sia stato pubblicato anonimo dallo stesso autore della
seconda qui proposta, parimenti anonimo, ma identificato però dal Melzi (I, 23), in
GASPARE MORARDO.
E' questa seconda opera diversa, meno elencatoria, più riflessiva e ponderosa della precedente: è essa intitolata La damigella istruita, Torino, Stamperia Mairesse, 1787, in 16°; pubblicazione interessante e pure piacevole [ ma anche causa di risposte polemiche di anonimi conservatori come
ne
La damigella meglio istruita ossia riflessi morali sul libro, che ha per titolo la damigella istruita
Torino : dalla stamperia d'Ignazio Soffietti, 1788
[2], 93, [3] p. ; 12°
-
Localizzazioni: Biblioteca nazionale universitaria - Torino]
perchè oltre che un galateo della giovane donna ne traccia un pur meditato ma promettente riscatto culturale e sociale.
Di questo secondo lavoro dati i temi e le singolarità, che nel XVII secolo sarebbero parse insostenibili eticamente, si propone qui un INDICE TEMATICO facente riferimento ai singoli capitoli.
E queste riflessioni a pro della condizione femminile non sono poi da sottovalutare, nonostante l'insita moderazione:
a titolo d'esempio, senza scomodare i massimi pensatori tra '600 e '700, parecchie loro conclusioni si riflettono nell' OPERA di uno spirito superiore, capace di rielaborare criticamente in maniera profonda le proposte dei tempi nuovi qual fu BENEDETTO GEROLAMO FEIJOO (nato l'8 ottobre 1676, spagnolo, benedettino e teologo eppure nonostante questi attributi assai "barocchi" estremamente lontano dai presupposti e dai pregiudizi concentratisi nella tradizione seicentesca per la via che giungeva da "infiniti e discutibili passati") assieme ad un vasto RIESAME CRITICO DI TUTTO IL SISTEMA SOCIALE si scopre una moderna valutazione della CONDIZIONE FEMMINILE IN GENERALE e nella settorialità dell'indagine una netta rivalutazione della DONNA COLTA (CAP. XVI, PAR. XVI), rivalutazione acclarata da un dovizioso elenco di "intellettuali femmine" non molti anni prima sostanzialmente obliate, tanto di NAZIONALITA' SPAGNOLA che
FRANCESE,
ITALIANA e
GERMANICA E/O E NORD EUROPEA
se non addirittura di CONTESTO EXTRAEUROPEO.
A - Prima riprovevole diversità: "che molte donne
vengono fuorviate per eccesso di libertà sessuale"
Il sottotitolo, ben lo si capisce, oggi come oggi è solo una
provocazione: ognuno ha certo il diritto di godere della propria
sessualità! Questo attualmente è uno stato esistenziale e di
costume del tutto accettato senza bisogno di equivoci
concettuali o di ridanciane considerazioni: anche se, bisogna
pur dirlo, resistono formidabili luoghi comuni - e non solo nel
retroterra della degradazione culturale - che arrivano in
prevalenza dall'età intermedia e per cui - mentre allo scopo d'
offendere un uomo si usa spesso, ma non solo (e non si
dimentichi , come presto si capirà, l'emblematico "figlio di
puttana"), l'epiteto, magari sottolineato con dovizia d' oscena
gestualità, di "cornuto" (e ben si noti, anche questo , come al
pari si vedrà, nel senso affatto casuale d' infelice od ignaro
o contento o debole consorte d'una femmina-vacca> la variante
becco, studiata dall'Aprosio moralista tra risa soffocate di
morbosa curiosità, costituisce solo una pur estesa
specificazione regionalistica) - la donna, durante un acceso
diverbio, è quasi esclusivamente tacciata d'esser "PUTTANA" (variante volgare e popolare per MERETRICE) un
epiteto che neppure abbisogna di particolari formalità gestuali:
del quale peraltro cagna, troia ed appunto vacca costituiscono
varianti animalesche, di provenienza popolare e gergale, con
funzione sinonimica e valenza ulteriormente degradante ma
comunque sempre strutturata sulla consolidata asse semantica
di "femmina oscena e disumanizzata che si concede a chiunque
senza freni inibitori" .
Aprosio scrisse tre Grilli sulla questione, senza sbilanciarsi
troppo - a suo pensare almeno - ma in fondo abbastanza da
rischiare gli strali dell'ufficio inquisitoriale ecclesiastico:
e così questi capitoletti della sua Grillaia del 1668 rimasero
manoscritti, finché‚ non li editò A.Ida Fontana nel "I Quaderno
dell'Aprosiana - Prima Serie" del 1984 sotto il titolo de Il
P.Aprosio e la morale del '600 - Note in margine a 4 grilli
inediti.
Nella sua pittoresca misoginia il frate si era messo a
parlare di sesso con quell'accanimento che dà ragione a J. Solé
quando nella sua Storia dell'amore e del sesso nell'età moderna
(Bari, Laterza, 1979. p.201) scrive "In realtà, tutta la prima
metà del XVII secolo fu improntata a una specie di moda del
parossismo erotico fonte di rapimenti, aggressioni e matrimoni
scombinati": nell'ambito di questa realtà, sia che ne
trattassero giuristi, teologi e moralisti sia che - con maggior,
comica giustificazione della "donna furba" che sapesse gabbare
un marito stupido - ne scrivessero novellieri e commediografi,
la Donna "scostumata" costituiva sempre e comunque uno tra i
più elementari scarti riscontrabili dalla norma esistenziale e
quindi, di fatto, era in potenza, e spesso in atto
aristotelicamente parlando, una Diversa [del resto, per alcuni
interpreti di morale, le donne, "scostumate" o quantomeno
"tentatrici", lo erano tutte (GIOVANNI DOMENICO OTTONELLI, Della
pericolosa conversazione con le donne..., in Fiorenza, nella
Stamperia di Luca Franceschini e Alessandro Logi, 1646), se non
ben guidate da padri prima e mariti poi (non a caso in
quest'epoca proliferavano prontuari sull'argomento come, tra i
tanti conservati all'Aprosiana, LUIS DE LEON, Trattato della
Perfetta Maritata, Brescia, appresso Pietro Maria Marchetti,
1608)].
A livello del consorzio sociale, in senso penale più che
civilistico, allo scopo di intendere sveltamente l'intervento
statale avverso le esasperazioni di sessuomania e su un piano -
pare quasi superfluo dirlo! - di misoginia, crescente, con
disinvoltura, già dal XVI secolo, oltre che i resoconti
legislativi, i provvedimenti del "nuovo diritto criminale" e gli
interventi predicatori dai pulpiti è interessante scorrere, sul
catalogo parzialmente informatizzato dell'Aprosiana, tanti
titoli di opere moralistiche attente a sondare i nuovi tempi e,
in gran parte, ad analizzare con sempre maggior curiosità, ed
avversione, il variegato mondo femminile, in inaspettato
fermento e sempre più temuto come elemento di disturbo: al
riguardo, sempre dal patrimonio dell'Aprosiana, cito GIOVANNI
DAVIDE THOMAGNI, Dell'eccellentia de l'huomo sopra quella de la
donna, in Venetia, per Giovanni Varisco e comp., 1565.
Per intendere meglio tutto ciò bisogna anche tener conto come,
nell'epoca che si sta analizzando, in Italia, quanto
nell'Europa occidentale, un generale, rapido processo di
urbanizzazione e quindi di alta concentrazione di masse popolari
spesso alla vana ricerca di qualche lavoro od impiego (col
conseguente degrado dell'ambiente rurale e delle campagne), finì
per determinare una composizione demografica cittadina in cui si
intrecciavano formidabili contraddizioni tra gli splendori dei
pochi, lo sviluppo di impreviste difficoltà occupazionali o
d'impresa per la piccola e media borghesia quanto per il "ceto
popolare storico" (mediamente comunque favorito anche per il
frequente possesso delle case d'abitazione) e la miseria di
frotte di immigrati, facilmente destinati, nei ricorrenti
periodi di crisi e regresso economico, a interminabile
disoccupazione ed all'impossibilità d'occupare a lungo le case
prese in affitto: in particolari momenti storici di depressione
furono quindi parecchi gli immigrati che, contrariamente alle
speranze nutrite, dovettero cercare "scampo" dapprima
nell'emarginazione o nella disperazione dell'accattonaggio e
quindi, attesa la gravità della situazione esistenziale, a
conquistarsi una qualche sopravvivenza in alternative
delittuose, che, specialmente nei grossi centri mercantili,
portuali e bancari, dove trafficanti d'ogni Paese in qualche
modo pur dovevano riempire i tempi morti delle lunghe
contrattazioni, coincidevano molto spesso nella pratica della
ruffianeria e della prostituzione, intorno alle quali ruotava un
microcosmo di piccoli criminali, da spregiudicati giocatori
d'azzardo (soprattutto a carte e dadi ) a rapinatori di strada o
manticularii (quelli che oggi, con discutibile gergalismo da
cronaca nera vengono detti "scippatori") ad imbroglioni meno
violenti e più smaliziati come ladri, borseggiatori, a veri e
propri trafficoni capaci di "cavar puranco le brache" agli
sprovveduti: vita, ai margini della città ed in quartieri tanto
degradati quanto di cattiva fama, poi meglio detta da "corte dei
miracoli", vita nella quale, è evidente, molte giovani
immigrate, specie se graziose e disinvolte, volgendosi alla
prostituzione eccitavano la venalità di parecchi malavitosi, più
frequentemente ruffiani (o ruffiane) che protettori nel senso
squallido che oggi si dà al termine, non alieni però dal
ricorrere ad alchimisti, medichesse, maghi e fattucchiere (e di
qui ingiustamente derivarono terribili sospetti anche per grandi
alchimisti equiparati a maghi diabolici; basta il nome di
Paracelso per fare un esempio!) onde avere l'ausilio di arti
proibite, velenosi filtri o meglio ancora pozioni amorose onde
asservire all'altrui o propria libidine qualche immacolata
coscienza (su tale modello esistenziale, peraltro già nel '300,
Giovanni Boccaccio ci ha lasciato un affresco illuminante ed in
qualche maniera premonitore con la novella di Andreuccio da
Perugia, piccola gemma del suo Decameron).
Rispetto al XIV secolo il fenomeno, tra '500 e '600, assunse tuttavia, con
sveltezza, proporzioni devastanti (del resto, con le scoperte
geografiche e l'estensione dei traffici, gli spostamenti di
avventurieri e criminali verso le piazze commerciali erano
cresciuti a dismisura) e per arginare la nuova delinquenza gli
Statuti Criminali, un pò di tutti i Paesi, a volte vennero
semplicemente potenziati con varie Riforme o più spesso furono
quasi del tutto rifatti da commissioni di giuristi (vedi
G.SCARABELLO, Pauperismo, criminalità e istituzioni repressive,
in "La Storia", Torino, U.T.E.T. 1987). Nella "Prolusione" alle
norme dei Libri criminali genovesi del 1556, si intende come
siffatto provvedimento avesse finito per rendersi inevitabile al
fine di adeguare la legge penale sia alla contemporanea
situazione socio-economica quanto alla moderna realtà di una
delinquenza "diversa", più feroce di quella "antica": i giuristi
di Genova, nella Prolusione ma un pò in tutto il testo degli
Statuti Nuovi dei Crimini, si sforzarono soprattutto di
aggiornare il testo penale alla nuova realtà storica, sia contro
l'arroganza di crimini nuovi (soprattutto a danno della saldezza
istituzionale), sia a scapito della religione (del resto si era
in epoca controriformista e si legge spesso nel codice genovese
l'accenno a nuove colpe contro la religione - di stregoneria,
eresia, apostasia in particolare - e dell'introduzione d'una
pena capitale recente, per il Dominio di Genova, quella del
rogo, comminato in cooperazione con l'Inquisizione
ecclesiastica) sia per controllare la "sfrontatezza" dei
diseredati di cui si è detto e più estesamente al fine di
reprimere i crescenti attacchi alla pubblica morale ed al comune
decoro delle famiglie ( per approfondire questo vastissimo
argomento si rimanda chi legge al lavoro, in corso d'edizione in
questo 1996 ad opera di chi scrive e della dott. F. Zara pei
tipi della Coopers editrice, del testo degli Statuti Criminali
genovesi del 1556 , campione significativo d'un fenomeno
italiano ed europeo, spesso citati, per opportuni riferimenti,
nel presente lavoro; di questa opera si legga , per quanto si è
appena detto in merito all' aumento generalizzato di delinquenza
e cattivi costumi, l'ampia premessa storica e la "presentazione"
fatta alla "Signoria genovese" dai tre giureconsulti incaricati
della stesura Nicolò Senarega, Stefano Cattaneo e Pietro
Giovanni Chiavica> B.DURANTE - F.ZARA, Figliastri di Dio....,
Ventimiglia, Coopers ed., 1996").
A suffragare spesso apertamente questa nuova e più severa
impostazione giuridica in particolare a riguardo del dilagante
fenomeno della Prostituzione innumerevoli scrittori di varia
erudizione tra fine '500 e pieno '600, rifacendosi con
intransigenza agli autori greci e romani, che avevano invece
trattato l'argomento in maniera sempre più equilibrata e
comunque giocosa, presero a dissertare, in forme
straordinariamente colpevolizzanti e quasi maniacali, sulla
sensualità femminile (che a volte par quasi una loro scoperta
sconvolgente, una realtà sconosciuta e per conseguenza
ipocritamente ignorata!) e quindi sul coito delle donne e poi
ancora sull'intensità dell'orgasmo femminile , fin a farci
pensare che essi stessi, vestendosi da moralisti, riuscissero
così ad eccitare la loro sessualità illanguidita dal
convenzionalismo controriformista e da una specie di
autocastrazione, indotta, più che da vera convinzione di
purezza, dal timore dei feroci strumenti penitenziali minacciati
dal S.Ufficio.
Aprosio è in fondo un esempio pallido di questa morbosità: nel
Grillo XVIII rimasto inedito e quindi pubblicato dalla Fontana
["Se sia più libidinoso il sesso Maschile o'l sesso Donnesco"]
dimostra di non aver dubbi scrivendo: "Sono libidinosi i
maschii, e le femmine, ma più queste di quelli".
Il frate non se
la sente però d'entrar di persona nei dettagli e s'avvale, per
dimostrare ciò, di un'infinità di esempi: l'autore più citato,
espressione d'una misoginia per cui non si riesce più a dar la
cifra dei confini esatti fra erotismo e pornografia, è comunque
G.B.Sinibaldi che nella sua Geneanthropeiae, sive de Hominis
generatione decateuchon (Roma, ex typ. F.Caballi, 1642) costruì
un autentico teorema sulla esasperazione sessuale delle Donne
[estremismi di incontrollati appetiti sessuali femminili che il
Sinibaldi peraltro riprese da quella letteratura magica sulle
Streghe che correva dalle Disquisitiones Magicae del gesuita
belga Martin Delrio (anche Del Rio> Anversa 1551 - Lovanio 1608 >esperto di inquisizioni e magia ma soprattutto celebre per questo fortunatissimo libro dalle molte ristampe aggiornate)
al De Magia del Torreblanca.
Quest'ultimo in particolare
scrisse: "L'intiera tragedia dei SABBA, che queste Streghe o
Malefiche compiono assieme al Diavolo ha come scopo principale
quegli orribili amplessi col Maligno in veste di Porco, amplessi
cui le Donne vengono irresistibilmente attratte per la loro
smodata ricerca di orgasmo, nella continua frenesia di piacere
sessuale e di interminabili godimenti"( De Magia, c.38, n.16,
p.336).
Povere Streghe o Donne, comunque vien da dire!, leggendo
il Nevizzani per cui esse "ardono d'un tal fuoco di sensualità
da farsi Streghe....in modo da soddisfare la propria libidine
coi Demoni i quali, al modo che riferisce il Ponzinibio nel suo
trattato sulle Lamie, hanno la capacità di esaudire meglio le
voglie continue di quelle coi loro MEMBRI POTENTISSIMI, con quel
lor sesso che per essere biforcuto procura alle femmine estremo
godimento" (In Sylva Nupt.., lib. I, n.151,p.86).
Questa visione lasciva ed in vario modo terrorizzante dell'universo femminile,
peraltro, si caricava variamente - ancor più in Francia che in
Italia - di altre valenze negative e di equazioni a dir poco
preoccupanti - spesso anche effigiate a livello iconografico -
di quel tipo caratteriale facilmente interscambiabile
("presupposta" la debolezza costituzionale della "femmina"
biologicamente collegata alla periodicità fisiologica del
"mestruo" e di riflesso alla ciclicità perniciosa di "raggi ed
umori lunari") che in varie culture (e non solo in quella
cristiano-cattolica) rimanda al mitologhema potenzialmente diabolico, di un Giano bifronte volto al
femminile, in cui si fondono gli opposti storico-culturali
della DONNA LUNATICA che include i sottoschemi della della "donna angelo-donna demonio" e/o della "donna
simbolo della vita-donna simbolo della morte".
Comunque a testimonianza della formidabile resistenza dell'antifemminismo
più pervicace -pur a fronte di parecchi sviluppi filosofici e
di un indubbio progresso sociale della donna a partire da fine
XVIII sec./primi Ottocento- vale la pena di assumere a penoso
simbolo documentario di moderna sessuomania ed esasperata
misoginia quanto ha scritto in questo nostro secolo - anche per
giustificare un'affrettata conversione al cattolicesimo,
partendo da postazioni decisamente materialiste ed atee -
Giovanni Papini nelle sue Testimonianze e polemiche religiose,
Milano, 1960, p. 683: "Nessuna creatura quanto la donna si è vantata dell'amicizia e della protezione di Satana, nessuna si è
asservita a lui quanto le discendenti di Eva")].
Per onestà intellettuale e compiutezza scientifica è opportuno rammentare che (all'Aprosiana come in tante biblioteche storiche) si trovano pure libri, documenti e
vari testimoni culturali connessi a quella magia naturale
che ebbe grandi esponenti in Della Porta, Cardano,
Agrippa e in un certo modo Fludd: magia naturale che,
soprattutto, non bisogna mai confondere con la "magia nera o
demoniaca" ma al contrario identificare con quella disciplina
straordinaria che "contempla la forza di tutte le cose naturali
e celesti". A fronte dei libri inquisitoriali e dei testi di
magia nera, la produzione dei colti maghi naturali del
Rinascimento è comunque secondaria tra il materiale della
biblioteca intemelia e del resto parecchie sottigliezze
ermetiche della cinquecentesca magia naturale si stemperarono
ovunque per l'insostenibile urto con la colossale e nello
stesso tempo tanto rozza quanto energica ideologia orrorifica
degli "Atti di fede" (PUBBLICHE MANIFESTAZIONI DI PENTIMENTO E CONTRIZIONE).
Il sistema persecutorio della "Caccia alle
Streghe" in effetti sarebbe stato efficiente per lungo tempo in
quanto - bisogna pur ammetterlo - era estremamente semplice e
comprensibile, giustificato per un verso da quel substrato di
MISOGINIA e SESSUOFOBIA di cui si è appena detto ed altresì ben
sorretto da un corposo repertorio di colpe e di colpevoli sempre
poco sofisticati, sempre "capibili", anche tramite le strade
indefinibili del terrore, dalle elementari coscienze d'un
pubblico spettatore che, proprio dalla punizione spaventosa di
terribili colpe, doveva far scaturire in sè quel processo
catartico, cioè di purificazione inconscia, che presupponesse
senza doppi sensi la condanna del reo e contestualmente la
giustificazione del potere, laico ed ecclesiastico, che avesse
sancito quello stato di reità.
Come annota Silvia Parigi (P.ROSSI - S.PARIGI, La magia naturale nel Rinascimento - Testi
di Agrippa, Cardano, Fludd, Torino, U.T.E.T., 1989, p.119 n.)
l'antico Agrippa, magistrato a Metz nel 1519, salvò dal rogo una
contadina accusata di stregoneria ed anche Cardano e Della Porta
furono contrari alla "Caccia alle Streghe": per Cardano queste non
avevano nessun potere malefico ed erano piuttosto da
classificare come delle povere "dementi": tuttavia già il più
moderno medico paracelsiano Robert Fludd (1574-1637) - col quale
a giudizio del Garin l'ermetismo rinascimentale sembrava aver
consumato le sue possibilità, nel momento in cui la "Caccia alle
Streghe" raggiungeva il proprio tragico apice - in modo alquanto
più oscuro e dogmatico del tollerante e filosofico Cardano
scrisse diffusamente sui "Demoni" ed annotò: "....Ricordo [...] di
aver udito da un tale in buona fede, nella Svizzera del nord,
che i fedeli di un'intera parrocchia, tanto uomini che donne,
escluso soltanto il sacerdote, riconosciuti colpevoli di
Cacomagia ["magia nera" in definitiva] , erano stati condannati
a morte, secondo la legge cristiana. Questi Demoni [che
avrebbero aiutato i Cacomaghi] sono, più o meno, del genere dei
Lucifugi, e di natura freddissima, secondo la confessione
rilasciata ai giudici da una donna del suddetto villaggio, la
quale ammise di essersi congiunta carnalmente con il Demone di
quel luogo, e di avere vivamente percepito, nel contatto, la sua
insopportabile freddezza" (R. FLUDD, Storia metafisica, fisica e
tecnica dei due mondi, cioè del maggiore e del minore, ripartita
in due tomi secondo la divisione del cosmo (1617-1621) - Tomo
primo. La storia del macrocosmo divisa in due trattati. Trattato
primo. Del macrocosmo metafisico e dell'origine delle sue
creature. Libro quarto. Delle creature del mondo Empireo,
capitolo VII).
Con Fludd pare davvero estinguersi la potente energia della
magia naturale per lasciare il campo ai teoremi persecutori di
Jean Bodin ed in particolare a quel competente meccanismo
inquisitoriale che, aggirate del tutto le riflessioni ermetiche
della tradizione rinascimentale, finì per sostanziare, con ben
pochi dubbi, l'intiero suo meccanismo operativo sopra
l'elementare e basilare principio che gran parte delle
interferenze dei "Diavoli" a danno dell'umanità ( e lo stesso
Fludd nel cap. VI del tomo I della sua Storia del Macrocosmo
aveva delineata una partizione dei Demoni per nove gradi o
classi abbastanza in sintonia con quella dei testi redatti da
parecchi inquisitori ecclesiastici) avvenisse per il tramite
dell'anello debole dell'umanità, la Donna "vittima predestinata
della sua vanità e soprattutto delle proprie formidabili
esigenze d'appagamento erotico". o come in definitiva, e con
toni alquanto più rudimentali, s'era soliti dire, schiava del
suo Utero [donde lo sviluppo di equazioni ed identità pervicaci
(per quanto assimilate da letteratura, ritualità confessionale e
visione medica) del tipo Donna-Utero, Donna-uterina e poi, con
un accorciamento quasi scontato, uterina o l'uterina per
indicare la Donna tanto nel macrocosmo della sua travolgente
libidine quanto nella microdimensione di un carattere "lunatico"
entro cui interagirebbero molte relazioni-identità tra
l'"organo distintivo e base della sua mutevolezza femminina",
l'Utero appunto, e le cangianti proprietà dell'astro (la Luna)
che varia capriccioso i propri influssi - ora positivi ora no a
seconda delle tante fasi - sulla terra medesima, sugli uomini e
soprattutto sulle donne (cosa peraltro ribadita da una vasta
iconografia, di consumo sofisticato o solo popolareggiante): e
da simili conclusioni, ancora, si è evoluta la definizione,
certamente aggressiva e maschilista, di Lunatica (sempre per
accorciamento da Donna lunatica) posta sì a base di una qualche
giustificazione parascientifica dell'isteria femminile ("male
tipicamente femminile" su cui si soffermano, con toni a volte
seri e più spesso faceti parecchi tomi dell'Aprosiana, non solo
d'argomento medico ma ancor più spesso teologico e di varia
erudizione) ma altresì eretta quale efficiente mezzo di
ridimensionamento a scapito di quella "razionalità femminile" su
cui parecchie letterate andavano disquisendo ed al cui riguardo
non mancavano "sostenitori in qualche modo eretici" tra il
"sesso forte"].
Nel tentativo di essere ancora più esaurienti si può, alla fine,
scavare ulteriormente nelle ipotesi del Solè, confrontandole coi
dettami del CONCILIO DI TRENTO in merito alla CONFESSIONE ed ai RISCHI DI UNA CONFESSIONE TRA RELIGIOSI GIOVANI E BELLE PENITENTI [peraltro il dibattito sui rischi della confessione era esteso all'onorabilità della donna onesta non solo in caso di una CONFESSIONE RELIGIOSA ma pure nell'eventualità di una CONFESSIONE PRESTATA AI GIUDICI IN TRIBUNALE]:
peraltro dalla seconda metà del '500 pure all'interno della
struttura ecclesiastica si era andata rianalizzando con estrema
attenzione (specie per un attacco abbastanza diretto dei
domenicani - ma sostanziale espressione dell'urto ideologico tra
vescovi ed ordini religiosi - nei confronti dei gesuiti, che
prediligevano il rapporto individuale nella confessione in luogo
della sua rigida evoluzione in mero strumento di controllo della
disciplina sociale come mediamente istituito dall'autorità
ecclesiastica basata sull'autorità territoriale di vescovi e
parroci) la relazione spesso problematica tra il confessore -
che era prete ma pur sempre uomo e molto spesso giovane - e le
penitenti.
Un quesito di difficile comprensione -alterato da diverse interpretazioni storiche e da una reale ristrutturazione dell'istituto della confessione dopo le revisioni del CONCILIO DI TRENTO- è suggerito dalla distinzione tra la normativa suggerita ai confessori istituzionali e gli innovatori Gesuiti.
Per quanto possa sembrare improprio, e nonostante si levino spesso in contrapposizione a ciò voci anche autorevoli, per tutto la II metà del '500 ebbe grande rilevo tra i confessori italiani un prontuario per confessori redatto da MATTEO CORRADORI (Speculum confessorum & lumen coscientiae continens plena norma cofide di & examinandi comissa sceleta coplectens omnes & singulus casus coscientiae occurrentes & necessarios, Venezia, Alexander de Vianis, 1554, in 8°): tale prontuario, oggi molto raro per una sua voluta dispersione, era assai diffuso nel XVI sec. tra i confessori anche per l'utilità di consultazione: il titolo è in latino mentre il testo è in italiano, come conveniva in un'epoca in cui non tutti i confessori mantenevano grande dimestichezza con la lingua classica.
Per utilità di chi lo doveva consultare si nota che indicata la penitenza per alcuni tipi di peccatori gravi era indicata anche la pena da subire.
Il libro, per quanto oggetto di controversie di interpretazione, era alla base di certe convergenze tra le pene comminate dallo Stato e quelle comminate dall'autorità ecclesiastica: semmai, fatto che a sua volta era registrato come un difetto a cui la Chiesa italiana avrebbe cercato di porre un rimedio tramite una presunta opera di moderazione: nel PRONTUARIO DEL CORRADORI si nota infatti una stretta convergenza con parecchie delle norme più severe contro stupratori, sodomiti,
ladri, falsari, peccatori sessuali contro natura e via discorrendo.
La rigidità di questi testi confessionali e nello stesso tempo la necessità di porre un freno alle licenze sessuali che avvenivano durante le confessioni fu quindi alla base sia della Riforma del Confessionale sia all'introduzione di nuovi più moderati prontuari per inquisitori: sull'asse puramente giuridica è comunque da registrare come da un lato la giustizia ecclesiastica nel '500 finisse per essere più severa di quella dello Stato divenendo secondo alcuni interpreti più mite nel '600: con la conseguenza che tanto nell'uno che nell'altro caso si svilupparono contrasti giurisdizionali tra legge ecclesiastica e legge penale della Signoria.
>In questo arco di tempo si sviluppò con una certa
rapidità in Italia (dopo che in Spagna) una nuova definizione
formale del reato già noto come sollicitatio ad turpia, le cui possibili varianti son qui
PROPOSTE
da un antiquario e specifico
TESTO DI DIRITTO CANONICO
.
Più agile e strutturalmente moderna da consultare è comunque la
BIBLIOTHECA CANONICA, JURIDICA... di L. Ferraris alla voce SOLLICITATIO AD TURPIA
che ha il pregio di proporre, in veste grafica ecclllente, la basilare BOLLA DI GREGORIO XV DEL 30 AGOSTO 1622 stesa
soprattutto nel tentativo di frenare la "vitiosa curiositas"
cioè la presunta paraerotica propensione, denunciata in vari
confessori, per la descrizione di ripetuti atti sessuali: di
tresche tra i confessori e le loro penitenti, la storia, remota
e no, del Cattolicesimo era già ricca e per parecchi versi
correggibile come scrisse Erasmo da Rotterdam (Exomologesis sive
modus confitendi, in Opera, V, Lugduni Batavorum 1704,
coll.146-170) ma la Chiesa romana, alle prese con "Lutero" e la
Controriforma, non seppe far altro che irrigidire le sue
postazioni, con una difesa assoluta del celibato e sanzioni
precise sul dovere dei penitenti di raccontare ogni cosa al
proprio confessore, senza tralasciare alcunché‚ (A.PROSPERI,
Penitenza e Riforma, in "Storia d'Europa - L'Età Moderna sec.
XVI - XVIII", vol. IV, Einaudi, Torino, 1995, p.243-245).
Per intendere quanto la
DONNA si "andasse aprendo" -specialmente in assenza di una CODIFICAZIONE precisa della CONFESSIONE divenuta sempre meno uniforme con lo scorrere dei secoli- un triste spazio culturale quale
"tentatrice peccaminosa", anche nei confronti degli
ecclesiastici (e in funzione di ciò non a caso due vescovi come
Gian Matteo Gilberti e CARLO BORROMEO - coadiuvati
dall'eminenza grigia di Niccolò Ormaneto - inventarono il
MODERNO CONFESSIONALE CATTOLICO) basta soltanto leggere quanto
ha scritto Josè Toribio Medina (Historia del Tribunal de la
Inquisiciòn de Lima, Santiago del Cile 1956, I, pp. 99 e seg.)
sulla vicenda di Francisco de la Cruz, in Perù (1576-'78) in cui
venne coinvolto il gesuita Luis Lopez per via dei suoi rapporti
peccaminosi con le penitenti ed ancora può esser utile
considerare le riflessioni fatte nel 1605 dall'Inquisizione
Romana, che impose ai gesuiti operanti a Milano di non recarsi
più nelle case delle donne a portare la confessione, evitando
quelle occasioni di particolare intimità che, a detta di molti,
degeneravano spesso in storie d'amore o di sesso ed annullando
nel contempo gli ordini eventualmente da loro dati a quelle
stesse femmine di non valersi in alcun modo d' altri confessori,
quasi fossero dei rivali in fatti di cuore (Biblioteca
Nazionale di Napoli, ms. Brancacc. I, B 7, c.42 rv).
Riflessioni, tutte queste, che vertono - lo si è scritto ma lo
si è comunque intuito - su un irrigidimento moraleggiante
epocale al cui centro sorgeva sempre la donna, anello debole
della catena non perché figlia di Eva (questa era una
giustificazione teologica, tanto fragile e in senso filosofico
inconcludente quanto all'opposto ben accetta e radicata per
evidenti convenienze dell'intero complesso egemonico) ma perchè
Donna e quindi strumento di scambio in una società maschilista
irrigiditasi quasi di colpo (da un lato e dall'altro delle sue
"frontiere", cattolica o riformata che fossero) entro
atteggiamenti di interessata quanto superstiziosa sessuofobia.
In effetti il piacere femminile nella sfera erotica dipendeva
dalla fortuità e dai rapporti sentimentali con un compagno che
poteva (in modo estremamente raro) esser innamorato, delicato e
nello stesso tempo passionale o (assai più frequentemente)
ruvido, sbrigativo ed ignaro d'ogni slancio affettuoso e, anche
in questo caso, non è il luogo di fare dei distinguo tra
ambiente cattolico romano e riformato, fra postazione
ideologico-morale dei vari Stati e Chiese: del resto, a metà XVI
secolo, non esistevano grandi differenze contenutistiche fra la
rigidità degli oratori luterani, che lanciarono una sorta di
crociata contro i bordelli di Ulm, Regensburg e Norimberga, e
l'estrema severità penale, in materia di "illeciti sessuali",
della Ginevra calvinista, oppure fra il contenuto dell' editto
imperiale di Ferdinando I (che istituì la Keuschheitscommission
o "Commissione per la Castità") e quello di molti, rinnovati,
manuali cattolici per confessori in cui ormai s'era giunti a
denunciare, anche, la passione nel matrimonio d'amore, ad
equiparare nella colpa (sic!) tanto il marito libidinoso quanto
la moglie fedele e innamorata, ad analizzare e condannare certe
posizioni erotiche giudicate contraddittorie rispetto ai valori
riconosciuti della morale e della fede [si trattava di qualsiasi
alternativa alla posizione "biblica" dell'accoppiamento, con la
donna supina e l'uomo dominante> si intendevano cioè positure
che - in altri tempi, antichi e posteriori - rientrarono (e
rientreranno) felicemente nella costumanza del giusto godimento
sessuale, come la posizione detta more canino o retro (che non
coincide affatto colla sodomia), riprovata da ogni fede del
secondo '500 perchè avrebbe condotto ad un'identificazione fra
il coito umano e quello animale, e soprattutto si aborriva,
ovunque, dalle istituzioni ecclesiastiche e dal sistema
egemonico, la positura innaturale (sic!) definita mulier supra
virum in quanto, stando la donna al posto dell'uomo (almeno in
rapporto alle convenzioni riconosciute come lecite!) e quindi in
apparente condizione egemonica (sì da poter muovere il suo corpo
"lascivo naturalmente" al modo libero e migliore per eccitarsi e
godere) ne sarebbe derivata un'esplicita preferenza al fine del
godimento rispetto a quello della procreazione ed un'alterazione
strutturale dell'icona od immagine istituzionale della donna
passiva a fronte dell'uomo attivo, pericolosamente sostituita
dalla figurazione opposta della femmina dominante su un uomo
inerte (ed in una società sessuofoba e conservatrice queste
innovazioni di comportamento sessuale son ogni volta
trasfigurate dal delirio di un sistema traballante a presupposti
di innovazioni destabilizzanti: non a caso certe sfortune di un
idolo, di A.Aprosio, quale fu G.B.Marino e del suo Adone, il
poema dove un giovane bellissimo è in fondo cera malleabile fra
le mani d'una dea come Venere che è però eminentemente donna
libera e sensuale , dipesero proprio dall'introduzione in
letteratura della femmina dominante, per alcuni interpreti
pericolosissimo preludio ed invito, forse, ad oscenità erotiche
ma soprattutto anticipazione ideologica d'un più esteso
scardinamento dei rapporti concretizzati di sudditanza della
donna rispetto all' uomo: fenomeno che in definitiva pagò e
patì, specie nell'inconscio, anche il Tasso laddove,
terrorizzato dall'Inquisizione, aveva finito per sostituire la
splendente Gerusalemme Liberata con quella pallida Riconquistata
in cui donne ed eroine eran diventate smunti manichini e donde
era stata bandita l'eccitante Armida, la femmina che era maga
soprattutto perché era seducente e sensuale)].
Certe riprovazioni predicatorie avverso l'esasperazione del
godimento sessuale femminile sono in conclusione da ridurre ed
analizzare nel complesso di quel globale (e spesso
contraddittorio) processo di moralizzazione che segnò a fondo il
secondo '500 e tutto il '600: in realtà la prevalenza sessuale
(ed anche violenta) del maschio (come pure la sua
giustificazione legale) fu un fenomeno costante, irreversibile
anche se pure contro di esso si stavano levando impreviste
riprovazioni oratorie e giuridiche. Le ragioni erano molteplici
e correvano dalla necessità sociale di mettere un freno agli
eccessi sessuali di tanti soldati ormai "scientificamente"
dediti a frenetici saccheggi, quanto ancora all'obbligo
sanitario d'arginare il diffondersi della sifilide ed altresì
all'esigenza di reprimere (per salvaguadare in particolare
"giovinetti d'onesta condizione") il proliferare di sodomia ed
omosessualit…: in questo meccanismo sostanzialmente rientrava la
storica condanna della masturbazione (od "onanismo" dal biblico
peccato di Onan, punito da Dio per aver sparso a terra il
proprio sperma). La masturbazione tormentò, stranamente i
pensieri d'un esercito di teologici e la sua condanna finì per
estendersi, con terribili ed ingiustificate componenti
psicologiche, nella sfera dell'indagine medica e dell'analisi
mentale sin a strutturare, in tempi relativamente recenti,
formule, a sostegno di complicanze patologiche fisiche e
mentali, tanto terrifiche quanto ad effetto per generazioni di
adolescenti, del genere, per intendersi, che "la mano del
masturbatore sia in pratica quella d'un aspirante suicida". Alle
origini di una condanna spietata quanto priva di motivi
scientifici risiedeva un giudizio religioso e morale, in
pratica, paneuropeo: in definitiva la masturbazione era bandita
sin ai limiti del peccato mortale (per quanto non perseguibile
penalmente vista l'estrema diffusione) in quanto molti teologi
(forse, pure a fronte di un calo evidente delle nascite sia
legittime che prematrimoniali) avevano maturata la convinzione
che la masturbazione (e la pratica non facile comunque del coito
interrotto) fossero divenute una colpevole abitudine di tante
coppie sposate che (a prescindere da rudimentali forme
anticoncezionali) preferivano raggiungere il piacere per via di
queste pratiche erotiche piuttosto che correre il rischio
(soprattutto economico) di gravidanze indesiderate.
La convinzione teologica, partita da un certo studio delle nuove
abitudini all'interno della vita di coppia, si estese
sveltamente alla valutazione del vero e proprio autoerotismo,
praticato dal singolo individuo escluso, per varie motivazioni,
da complete esperienze etrosessuali: in questo caso si puù
allora affermare che un testo base per le confessioni sia
divenuto, con rapidità, la Instructions pour les Confesseurs du
Diocesse de Chalon-sur-Saone (Lione, 1682) in cui si fornivano i
consigli ritenuti migliori, più utili e soprattutto prudenti (in
particolare anche per pedagoghi e genitori) onde distogliere gli
adolescenti da un peccato giudicato "perverso" (assieme a quelli
di omosessualità-sodomia, coito interrotto e zoofilia od
accoppiamento con animali) in quanto l'orgasmo e l'eiaculazione
non avrebbero mai corrisposto al fine naturale e religioso della
procreazione.
Ad una prima analisi sorprende, dall'attenta lettura di questo e
dei tanti manuali che ne trassero ispirazione, che tale
delirante processo di colpevolizzazione venisse esteso
eminentemente alla masturbazione maschile (proprio contro
l'indulgenza storica verso questo sesso) mentre la maggior parte
dei confessori e dei medici di estrazione cattolica consentiva
la masturbazione femminile pur sotto termine meno urtante di
manipolazione, tanto in preparazione della penetrazione maschile
quanto del conseguimento dell'orgasmo femminile una volta che lo
sposo avesse precedentemente eiaculato. La ragione vera di
queste scelte non dipendeva però da ignoranza nè da un
imprevedibile permessivismo a favore della sessualità femminile;
in effetti tanto i teologi, soprattutto quelli attenti ai
meccanismi del concepimento, quanto i medici continuavano a
dipendere, nella gran maggioranza, dal magistero della scienza
di Galeno (per cui l'appagamento femminile, visto che esisteva,
doveva pur collegarsi a qualche volontà divina) arricchita per
un verso dal convincimento che il "liquido seminale" femminile,
liberato dall'eccitazione sessuale ed estremizzato dal
conseguimento dell'orgasmo, fosse biologicamente essenziale
quanto quello maschile al concepimento e che d'altro canto la
contestualità di versamento di "fluido femminile" e di "sperma
maschile", favorita dalla simultaneità o quasi dell'orgasmo,
determinasse la generazione di figli più belli, forti e sani.
Vedi SARA F. MATTHEWS GRIECO, Corpo, aspetto e sessualità in
Storia delle donne..., Laterza, Bari, 1995, III,pp.82-84:
sull'argomento, all'Aprosiana si conservano testi di grande
rarità, che renderebbero possibile a parecchi studiosi ulteriori
utili approfondimenti, basta ricordare a titolo esemplificativo:
ADRIAAN VAN DE SPIEGEL [Adrianus Spigelius], De formato foetu
["La forma del feto"], Francofurti, Impensis Matthei Meridiani,
Typis Casperis Rotebii, 1631 ed ancor più forse S. PINEAU, De verginitatis notis,
graviditate et partu...["Le caratteristiche della verginità,
della gravidanza e del parto..."], Lugduni Batavorum, Apud
Franciscum Hegerum, 1641).
B -Santa o Puttana: gli estremi della
femminilità di Stato.
Se la Donna nel variegato panorama delle possibili Diversità costituiva quindi di per se stessa un soggetto "interessante",
di sicuro vi erano Donne ancora più "interessanti" e "a
rischio", maggiormente soggette a questa esasperazione dei loro
aspetti nocivi: lasciando da parte le Streghe, che quali adepte
ed amanti di Satana costituivano in qualche modo l'eccesso
extraistituzionale, e relegando le Donne normali entro i ruoli
gregari e passivi d'un indubbio ma auspicato (dal sistema
patriarcale delle famiglie!) grigiore esistenziale, le femmine
in grado di esorcizzare scandali diversi, ma ugualmente
pruriginosi, erano proprio quelle che stavano ai margini
contrapposti della condizione donnesca convenzionale, da un
lato le Puttane e dall'altro, per parecchi uomini e non solo per
lo squallido manzoniano Egidio, Donne straordinariamente
eccitanti come le "Suore", sia che fossero Suore nel senso esplicito del termine o Sante Donne, nell'idea allora comune di Monache di casa, sia ancor meglio che non fossero poi "Suore Sante"
quanto "Suore scontente".
G. LEOPARDI
- che aveva ben vivi il problema delle "monacazioni forzate" e la viva, concreta impressione della
"storia di una povera Monaca....che disperata essendosi monacata
per forza, si uccise gettandosi da una finestra del suo
monastero" pure scrisse nello Zibaldone, n.2381 seg. (2
febbraio 1822) "Giovinette di quindici o poco più anni che non
hanno ancora cominciato a vivere, non sanno che sia vita, si
chiudono in un monastero, professano un metodo, una regola di
esistenza, il cui unico scopo diretto e immediato si è di
impedire la vita": v. G.LEOPARDI, Tutte le Opere, a cura di
Walter Binni, Firenze, Sansoni 1969, vol.II, p.616, col.II>
peraltro Luigi Carrer (Venezia 1801-1850) più esplicitamente
ancora poetò: "Giovine appena/ fui monacata;/ ohimè, qual pena/
vedermi in grata" in Poeti minori dell'Ottocento, a cura di
L.Baldacci, Milano-Napoli, Ricciardi 1958, p.203].
Certamente, nell'età intermedia (ma in fondo ancora ai nostri
giorni) proprio queste due categorie di Donne hanno eccitato le
riflessioni più pruriginose, le demonizzazioni più isteriche ed
all'opposto le sublimazioni maggiormente articolate sin alle
soglie opposte d'una sorta di finta divinizzazione o di una
incuriosita dannazione. Da un lato stava dunque la Suora o
Monaca, talora Donna Santa talora Donna ambigua, dall'altra
risiedeva la Pubblica peccatrice , la Puttana, entrambe - per
quanto in maniera contraddittoria - strettamente legate
all'energia sempre dirompente della sessualità, o per essere
precisi di una sessualità da un lato repressa alla stregua di
colpa [qualche volta però segretamente esaltata quale lasciva
provocazione da reprimere nel delirio sado-masochista di
tormentanti autoflagellazioni e punizioni corporali> caso
celebre fu quello dell'orsolina Jeanne des Anges, superiora del
convento francese di Loudun, donna dalla formidabile sensualità
masochista presto coinvolta nelle torbide avventure del padre
gesuita Grandier accusato di connivenze col Demonio, arrestato
nel 1633 ed arso sul rogo senza mai aver nulla confessato (J.DES
ANGES, Storia della mia possessione, Palermo, Sellerio 1986
passim): l'anoressia divenne comunque una scelta quasi costante
e così pure l'uso di un abbigliamento che doveva tormentare e
ferire il corpo; si rammenti, in altri casi limite, l'uso di
cilici con ganci di ferro che dilaniavano le carni delle
penitenti su cui poi queste spargevano sale ed aceto o
deponevano vermi carnivori [fra tante esasperazioni è da citare
quella della clarissa cappuccina Maria Maddalena Martinengo di
Barco (1687-1737) persino accusata di fanatismo eretico vista la
sua terribile consuetudine di riempire il vuoto mentale
dell'esistenza con implacabili e compiaciute sofferenze, come si
evince leggendone l' Autobiografia] e per altro verso di una
libidine mercenaria vissuta come mestiere ambiguamente sospeso
su una violazione di quanto fosse lecito e, sorprendentemente
contro certe costanti epocali di cui si è scritto prima,
"attività" qualche volta ritenuta necessaria "per estrema
ragione" e persino (occultamente) incoraggiata dalle stesse
istituzioni - doverosamente e falsamente moraliste sia nelle
costumanze suggerite all'opinione pubblica che nelle
codificazioni giuridiche - al fine di controllare la popolazione
maschile, frenarne le licenze avverso le donne oneste,
reprimerne, per quanto possibile, le pratiche, ancor più
condannate dall'etica di volta in volta corrente, di Sodomia,
Omosessualità, Zoofilia e Masturbazione.
C - Coincidentia Oppositorum
Da Vergine" a "Puttana
Nel variegato contesto della Condizione Femminile sulla specificità della DONNA MERETRICE O PUTTANA nell'età intermedia
[e di conseguenza sull'inesausto sforzo di mantenersi intatte e non essere neppure sfiorate da alcun sospetto] ha diffusamente scritto A.OMODEO
(Il ruolo sociale della donna nel seicento italiano attraverso
le immagini in AA.VV, Il Gran Secolo di Angelico Aprosio,
Sanremo, 1981, p.77):"La legge sociale vuole che le donne
debbano per conquistare una vita matrimoniale (un posto nella
società) conservare la verginità [ base essenziale per una superiore "spendibilità" a livello matrimoniale -specie nel contesto dei ceti medio-alti, alti e nobili- della fanciulla vergine (verginità che poteva anche esser compensata tramite RESTITUTIO sì da andar libero il seduttore previo accordo giudiziale con la di lei famiglia -od anche per via di "matrimonio riparatore"- ma che nel caso di inadempienza specialmente a riguardo della RESTITUTIO -pratica preferita dalle famiglie e giuridicamente più praticata- poteva comportare nei riguardi di chi avesse deflorata la fanciulla, per stupro -come nel caso di due fratelli qui leggibile: lasciandola sia morta che viva- od anche col suo consenso, supplizi terribili non esclusa effatto l'esecuzione capitale) ] .
La verginità si conserva [continua la Omodeo] in
modo molto semplice, attraverso la segregazione e il non
contatto con l'altro sesso. Nella realtà pratica questo
significa escludere le donne vergini da qualsiasi tipo di lavoro
che si svolga al di fuori della porta di casa [da questa esigenza di salvaguardare la verginità o la castità femminile l'orrore
della cintura di castità (nell'epoca meglio detta "Freno della Lascivia" ma anche "Congegno Fiorentino" - strumento reale, in ferro, con una
sorta di lucchetto, causa di gravi infezioni ai genitali
femminili anche quando "portato" per il tempo massimo possibile
di 2/3 ore - fatta indossare, quale espressione di tortura
ideologica, da padri padroni o da mariti padroni alle loro donne
specie durante i viaggi per mare al tempo dell' "aria" sul
ponte di una nave = Mutatis mutandis non sono da disconoscere -a giustificazione certo non del maschilismo quanto dei consigli a prudenza e vigilanza di letterate conservatrici come l'alessandrina Isabella Sori- i crescenti pericoli per le donne determinati peraltro da una loro superiore necessità o abitudine agli spostamenti. Era questa un'epoca di
grandezze e splendori ma anche di miserie e violenze nel contesto della quale i viaggi (e pure i soggiorni nelle locande) erano pericolosi per tutti, anche per i religiosi ( come esperimentò lo stesso Domenico Antonio Gandolfo il più grande discepopolo di Aprosio): a scapito poi delle donne, prede facili e sessualmente appetite, il rischio era estremo sia per l'indisciplina ancora vigente tra i soldati, sempre pronti a saccheggio e violenze che per la comune violenza da strada sì che era alto il pericolo per femmine indifese di cadere vittime di uno stupro di guerra od etnico quanto, pur in tempo di pace, venire spaventosamente oltraggiate da qualche stupro di gruppo (o "branco") allora meglio noto come "il trentuno"].
Basta [scrive la Omodeo] varcare materialmente il limite della soglia che
si apre l'avvio alla "prostituzione".....
Se le bambine di dieci anni scendono in cortile a prendere l'acqua, vengono automaticamente
escluse dalla dote: è stata intaccata la loro verginità. Al di
là della soglia della casa, da ragazza si diventa
puttana"[Statuti Criminali di Genova del 1556, lib.II,capo 4
"Supplizio capitale per rapitori di vergini pur consenzienti di
qualsiasi grado sociale - si concede però l'alternativa del
matrimonio riparatore"; capo 63 "da 200 a 500 scudi d'oro
d'ammenda per chi abbraccia e bacia in pubblico donne (vedove o
da marito) non consenzienti, di buona fama, ed esilio triennale
dallo Stato; da 50 a 300 scudi d'oro per chi compie simili reati
avverso donne di modesta condizione e un biennio d'esilio"].
In definitiva tra la VERGINE e la DONNA MERETRICE O PUTTANA (sulla linea di altre ambiguità cui si è fatto prima cenno) secondo il Diritto e le costumanze dell'Età Intermedia
correva un "tragitto" che poteva risultare "brevissimo" quanto al contrario "interminabile".
E così la Vergine (incolpevole vittima di molestie sessuali o addirittura di uno stupro ma ritenuta inattendibile qual testimone nè in alcun modo risarcita) emarginata
dalla famiglia facilmente dall'esser icona del bene in potenza passava nel negativo ad emblema del male in potenza: di maniera che in forma silente ma pressoché consequenziale
le si apriva la condizione di Donna meretrice o puttana che secondo le costumanze era reputata
una criminale passabile di severissime pene.
Ed a completare il disegno di una catastrofe esistenziale su questa figura di Donna al limite pesavano terribili retaggi medievali: sì che la
PRATICA DEL SESSO MERCENARIO, NEI LUOGHI "ISTITUZIONALI" COME BORDELLI E/O LUPANASRI MA NON SOLO
volta per volta la faceva accostare alla strega o all'idolatra pagana la concubina di Babilonia.
Quest'ultimo caso poggiava su tutta una letteratura basata su postulazioni antifemministe, in parte sull' epocale interpretazione di una società assolutamente maschilista
quanto -e questo potrà sorprendere- sulla storica avversione per l'Islam.
Non a caso uno degli epiteti più spregiativi a riguardo di una PROSTITUTA/MERETRICE fu nell'età di mezzo quello di BALDRACCA
che racchiudeva la valenza semantica di Donna di Bagdad quindi di Donna medio-orientale e più estesamente di Donna Araba nel senso colpevolizzante di
Donna di quel mondo islamico contro cui da secoli la Cristianità combatteva per il controllo della Terra Santa.
Ma nonostante guerre, pellegrinaggi, rapporti diplomatici ed anche commerci e tentativi di pace
e benché qualcosa sempre più si venisse a sapere (anche grazie ad alcune cinquecentesche relazioni di viaggiatori e schiavi qui digitalizzate come quella
di Gio. Menavino Genovese da Voltri ed ancora
quella di Bartholomeo Giorgievits) la sostanza dei dati a riguardo dell'Islam
ancora tra XVI e XVII secolo rimase assimilata ad una globale disinformazione perdurata a non molto prima che tra '700 e '800 si diffondessero in Europa queste "Relazioni di Viaggi di diversi Autori in Medio Oriente qui integralmente digitalizzate" = una globale disinformazione di cui scrisse, sollevando molti veli e discoprendo altrettante verità, in questa sua monumentale opera quel grande islamista che fu Aldobrandino Malvezzi.
In particolare, dapprima, rivisitando criticamente la poligamia islamica e facendola rientrare fra i diversi "motori"
(basti qui citare fra questi l' errata equazione " TERME = acqua - bagni - igiene - lussuria" anziché la corretta equazione "acqua - bagni - terme - igiene = cura del corpo quale PROFILASSI CONTRO MALATTIE " con la relativa distruzione dei reperti effigianti il sesso nei suoi vari aspetti e specie la nudità femminile anche parziali come eccitazione alla lascivia)
insiti nel
cristianesimo medievale e anacoretico destinato ad influenzare potentemente ed a lungo l'antifemminismo nel contesto del creazionismo del mondo
divenendo un cavallo di battaglia dagli interpreti ufficali per cui il peccato di Eva era ritenuto più grave di quello di Adamo: tale "cavallo di battaglia" resistendo anche a fronte del vigoroso fiorire di una letteratura femminile e femminista.
In maniera poi assai estesa il Malvezzi si è impegnato a dare risalto e peso nel suo contesto di riflessioni su questa genesi di un paranoico antifemminismo alla pubblicistica cristiana avverso l'Islam e poi l'Impero Turco.
Il celebre studioso evidenziò come fosse falsa la fama di lussuriose alle donne arabe giudicate continuatrici comportamentali delle donne pagane e romane attribuita dai controversisti ed in dettaglio collocò alla radice di tale postulazione
la partigiana e faziosa lettura della Sura 34 = detta Azoara del Corano per certi aspetti a tal punto dilatata verso l'inverosimiglianza nelle considerazioni di Nicolò di Cusa
da iudicare l'elaborazione interessata e/o superstiziosa di un vero e proprio manifesto dell'antifemminismo sì che dall'antinomia
Vergine-Puttana per via di una reiterata sequenza d'ulteriori binomi mediamente incentrati sulla sensualità e imprevedibilità femminea si raggiungeva l'acme della negatività nell'elaborata equazione di
da DONNA IDOLATRA E/O PAGANA
uguale DONNA MALEFICA E/O STREGA
E' quasi implicito in rapporto a tutte queste constatazioni che lo Stato genovese [il
cui diritto criminale - come detto - incarnava nella sostanza e
spesso nella forma quello di tutti gli Stati italiani ed
europei] individuasse una tra le cause prioritarie
dell'emarginazione femminile nella "Prostituzione" era il crimine
dello Stupro cui gli Statuti Criminali dedicano parte del
Capitolo III sempre del Libro II, qui trascritto per intero in
traduzione ed in cui, a riprova d'uno storico difetto di una
lunga tradizione giuridica sulla questione, molto spesso la
Donna (adultera o provocatrice ma anche incolpevole che sia)
risulta infangata, colpevolizzata oltre ragione e quasi sempre
punita al di là di ogni lecita misura:
Nel suo citato studio la Omodeo esamina peraltro le fasi,
fortunate e no dello stato di puttana o meretrice: le Cortigiane
- le mantenute, belle e giovani, dei potenti - godevano di
notevoli vantaggi (economici e pure di libertà nella vita di
relazione) ma potevano decadere di colpo se si innamoravano ed
anteponevano "le ragioni del cuore" al solito amante pagatore:
sfortuna, scelte sbagliate, malattie veneree (in particolare la
temutissima sifilide "appena giunta" dalle Americhe),
sfiorimento e vecchiaia significavano per molte Cortigiane la
rovina e l'andare a vivere sotto un ponte prima di morire in
qualche ospedale per poveri. La Omodeo giudicando panitaliane le
norme papali contro prostitute (norme statutarie cui si è
riferita per la sua indagine) scrive altresì in merito a vari interventi restrittivi a riguardo delle stesse "Si confiscano
d'ufficio tutti i beni materiali, oltre ai denari, alle
meretrici: esse non possono avere eredi, i loro beni non sono
trasmissibili, ma destinati ad istituzioni preposte alla
salvezza di giovani anime femminili da strappare al mercimonio
dei corpi. Le meretrici inoltre sono escluse dai cimiteri e
inumate in terra sconsacrata". A parte quanto si è già detto in merito ad eventuali abusi
contro le donne (oltre alle riflessioni sulle MERETRICI e meno scopertamente sulle CONCUBINE per cui si rifanno implicitamente al LIBRO XXV del DIGESTO GIUSTINIANEO [vedi Dig.25.7.0., De concubinis
]), gli STATUTI CRIMINALI DI GENOVA del 1556
(Genuae, cura Antonij Belonij, 1557) parlano specificatamente
delle Prostitute (e del loro "ambiente") nel contesto di due
soli articoli, in cui soprattutto si mira a circoscrivere
l'attività di tali donne, ad evitare l'occasione di scandalo, ad
impedire l'istituzione di "bordelli" in case di "civile
abitazione"; si tratta di una normativa sostanzialmente
dirigistica che assume maggior rigore nei riguardi di quei
genitori e di quegli sposi che prostituiscano le loro figlie o
mogli: in effetti, come sotto si può leggere nel Capitolo VI,
le pene contro ruffiani e lenoni, specie se parenti, sono più
pesanti che per altre colpe di cui si parla negli Statuti ma il
fatto, oltre che ad una certa equiparazione ai dettami della
Chiesa, dipendeva prioritariamente dalla necessità di
salvaguardare l'ordine istituzionale, impedendo che donne di
famiglie, soprattutto borghesi ed aristocratiche, si
coinvolgessero in fenomeni di prostituzione creando grave
detrimento al patrimonio della casata e quindi all'equilibrio di
uno Stato, come quello genovese, ben strutturato sulla saldezza
dell'economia della famiglia, sua asse portante (da qui deriva
la notevole intransigenza verso genitori e sposi "sfruttatori",
in altri "capitoli" alquanto "giustificati" nei loro interventi
anche pesantemente punitivi sulle donne più giovani di casa):
"Capitolo V (5)/ Che nè a donne di cattiva fama nè a lenoni e
ruffiani si conceda d'abitare sotto lo stesso tetto con onesti
cittadini/ Nessuna meretrice o donna di mala fama, alcuna
ruffiana e tantomeno lenoni o seduttori possano abitare nello
stesso caseggiato ove risiedono uomini e donne di onesta
condizione e di buon nome. Qualora le autorit… abbiano accertata
l'insolvenza di questa norma ed il magistrato sia stato edotto,
grazie anche al concorso di tre giurati, che una qualche donna
tenga condotta pubblicamente impudica o che un uomo eserciti il
lenocinio, i rei siano obbligati a lasciare tale abitazione
entro tre giorni oppure vengano frustati in pubblica piazza
[pena della berlina e della fustigazione] sempre che non abbiano
soddisfatta questa imposizione. Qualora i rei, in tempo
susseguente, riprendano dimora nella stessa abitazione donde
furono espulsi, oltre i confini di Genova e suo distretto,
vengano relegati per un quinquennio sulle triremi [incatenati ai
remi dei vascelli di Stato]. Allorch‚ si contravvenga a quanto
sopra restino obbligati tutti i colpevoli a pagare l'ammenda di
cento lire.-- Capitolo VI (6)/ Che nessuno osi esercitare
meretricio o lenocinio nella citt… di Genova/ Il lenone o la
ruffiana, o comunque qualsiasi individuo d'entrambi i sessi, che
abbiano attentato per lucro alla pudicizia di fanciulle da
marito o di legittime spose, una volta catturati, incatenati e
finalmente condannati, siano frustati in pubblico in occasione
del loro primo delitto: e quindi, col ferro incandescente,
vengano marchiati in fronte [ nota di infamia]. Ai recidivi si
amputino quindi le nari e vengano condannati a perpetuo esilio,
espulsi per sempre oltre i confini di Genova e del suo
distretto. Coll'espressione "tentare la pudicizia" si deve
intendere il far in modo che una donna da ritrosa ed onesta
venga indotta a fare lasciva ostentazione e mercimonio del
proprio corpo. Di conseguenza, essendo cosa vergognosissima
svendere per lucro la castità dei propri nati, i genitori che
prostituiscono le figlie debbano essere puniti col taglio del
naso: i giudici provvederanno poi a loro insindacabile
arbitrato, caso per caso, soltanto nell'occasione in cui le
figlie abbiano testimoniato d'essersi consenzientemente
prostituite. Il marito d'infima condizione che abbia tratto
guadagno dal meretricio della consorte, sarà frustato e verrà
esiliato per dieci anni da Genova e distretto a meno che non
venga recluso come galeotto sulle triremi per la durata di un
quinquennio. Un cittadino d'onesta condizione verrà al contrario
esiliato in perpetuo da Genova e distretto mentre la metà dei
suoi beni sar… trasferita nelle casse del fisco repubblicano:
non stupisca la severità di tal pene perchè chi, fattosi lenone
o ruffiano della propria sposa, ne ha prostituiti corpo e
piaceri ha realmente commesso un grave delitto avverso la
società tutta.".
Queste ultime considerazioni, ben si vede, comportano una
stretta relazione, culturale e giuridica, tra la figura della
Puttana e quella degli eventuali Lenoni o Ruffiani/-e od ancora
Mezzani/-e: si tratta di un "rapporto" storicamente arcaico e
non privo di interferenze culturali d'ascendenza molto antica,
di cui, dalla classicità, sono recuperabili degli archetipi
d'arte vera nelle commedie di Plauto e di Terenzio, ove la
caratterizzazione teatrale di Mezzano o Ruffiana in sostanza
rispondeva ai connotati criminali istituzionali del (o della)
"parassita di prostitute", una figura abbastanza sordida,
sempre cinica ed avida, qualche volta persino violenta a scapito
della sua eventuale "pupilla" [ ed in questo, anche con
sorprendente attendibilità, il teatro romano anticipava e
descriveva l'immagine squallida dello "sfruttatore" - uomo e
donna che fosse o sia - alla stregua di un "prototipo", per
certi versi "artigianale", del moderno protettore (figura - per
svariate trasformazioni socio-economiche e culturali - ormai
decisamente maschile e penalmente ben connotata)].
Aprosio, per vari aspetti "figlio spurio" del libertinismo
veneziano degli INCOGNITI, e l'Aprosiana, biblioteca dai volumi
rari e soprattutto dai molti tomi ricchi d'argomentazioni
misogine ed volte (contraddittoriamente) femministe se non - in
qualche occasione - pornografiche, si pongono per certi aspetti
al vertice di queste discussioni e forse, ad un'indagine più
massiccia, potrebbero essere prima scoperti e quindi
strutturati come imprevedibili ed imprevisti serbatoi di
materiale documentario pressoché sconosciuto sulla questione. Non è forse casuale che proprio all'Aprosiana si conservi, tra
altri interessanti documenti, una rarissima e preziosissima edizione ("parigina
del 1527") della Tragicommedia di Callisto e Melibea di Fernando
de Rojas, meglio nota come LA CELESTINA dal nome della "vecchia
puttana" fattasi Mezzana che in definitiva domina la scena,
orchestrando le vicende sentimentali ed erotiche dei due
protagonisti.
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FLUDD, Robert (Milgate House, Kent 1574 - Londra 1637). Medico, filosofo ed esoterista inglese. Viaggiò e studiò per varie parti d’Europa prima di esercitare la medicina in Londra ispirandosi ad indicazioni terapeutiche in qualche modo prepsicosomatiche e che risentivano dell’influsso di Paracelso di modo che nelle indicazioni curative previlegiò i rimedi a base minerale. Dal 1606 volse la sua attenzione verso l’occulto, l’esoterismo e l’ermetismo (forse per i contatti con la setta storica dei Rosacroce): questa postazione gli valse polemiche e scontri anche feroci e nello stesso tempo alimentò intorno alla sua figura la nomina di mago e di curatore cui non furono estranei i soliti sospetti di indagini proiettate nel campo dell’illecito.
BORROMEO, Carlo, Santo [canonizzato da Pio V nel 1610] (Roma 1538-Milano 1584). Della nobile dei Borromeo e nipote di Pio IV, fu da questo nominato cardinale diacono a 22 anni nel 1560, ricevendone compensi ed onorificenze.
AGRIPPA, von Nettesheim Heinrich Cornelius (1486 Colonia - 1535 Grenoble) Medico, storico, diplomatico ed alchimista tedesco: fu anche astrologo e ricercatore di scienze occulte. Insegnò in varie Università europee ma venne spesso osteggiato per la reputazione di mago. Ed infatti la morte lo colse proprio in carcere ove era stato rinchiuso per presunte colpe di magia. Tra i suoi scritti spicca - fondamento della magia naturale ingiustamente confusa con la magia nera - il De occulta philosophia del 1531.
DELLA PORTA, Giambattista (Napoli 1535 - ivi 1615) filosofo, erudito e letterato. Fu pure scienziato, studioso di ottica, inventore e ricercatore dei misteri della natura: interpretò in modo esemplare lo spirito rinascimentale della forza di quella magia naturale che darebbe nerbo a tutte le entità dell’universo. Anche per questi suoi vari interessi fondò a Napoli nel 1560 l’ Accademia dei segreti della natura. Oltre che opere letterarie, versi, scritti anche di gusto popolareggiante, ben 16 commedie ed alcune tragedie, di cui però solo una (il Giorgio del 1611) risulta nota, il Della Porta compose in latino trattati di mnemotecnica, fisionomia, ottica e soprattutto quel De magia libri naturali libri IV del 1589 ove esplicò la sua teoria magica del mondo.
CARDANO, Girolamo (Pavia 1501 - Roma 1576). Fu autore eclettico, di impronta rinascimentale: erudito e letterato, filosofo, inventore, naturalista, indagatore dell’occulto oltre che fisico, matematico e medico. Nell’Ars Magna del 1545 affrontò a fondo il tema dell’algebra e pose le fondamenta delle teorie delle equazioni algebriche conferendo rilievo alle relazioni intercorrenti tra coefficienti e radici. Pensatore acuto (De subtilitate del 1547) interessato alla magia naturale indagò le forze della natura (De rerum varietate del 1557) subendo però accuse d’aver condotto indagini illecite: per questo conobbe il carcere dell’Inquisizione. Il suo nome è connesso all’invezione del giunto cardanico.
INDICE DEI LIBRI PROIBITI>Conc. di Trento - Sess.XVIII - 26/II/1562 (ALBERIGO, pp.628-629> "Decreto sulla scelta de' libri/ Il sacrosanto concilio ecumenico e generale Tridentino, legittimamente riunito nello Spirito Santo, sotto la presidenza degli stessi legati della sede apostolica, confidando non nelle risorse umane, ma nella protezione e nell'aiuto del signore nostro Gesù Cristo, che promise di dare alla sua chiesa le parole adatte e la sapienza, a questo principalmente tende: a poter ricondurre una buona volta la dottrina della fede cattolica - inquinata e appannata, in molti luoghi, dalle opinioni di molti, che la pensano in modo contrastante, - all'antica purezza e splendore, a riportare i costumi, lontani dall'antico modo di vivere, ad un comportamento migliore e a rivolgere il cuore dei padri verso i figli e il cuore di questi verso i padri. Poiché, dunque, esso ha dovuto constatare che in questo tempo il numero dei libri sospetti e pericolosi, nei quali si contiene una dottrina impura, da essi diffusa in lungo e in largo, è troppo cresciuto, - e ciò è stato il motivo per cui molte censure in varie province, e specialmente nella città di Roma, sono state stabilite con pio zelo, senza però che ad un male così grave e così pericoloso giovasse alcuna medicina,- questo sinodo ha disposto che un gruppo di padri scelti per lo studio di questo problema, considerasse diligentemente cosa fosse necessario fare e ne riferissero poi allo stesso santo sinodo, perché esso possa più facilmente separare, come zizzania, le dottrine varie e peregrine dal frumento del vero cristiano, e con maggiore opportunità prendere una deliberazione e stabilire qualche cosa di preciso sulle questioni che sembreranno più opportune a togliere lo scrupolo dall'anima di parecchia gente e rimuovere le cause di molti la
L' istituzione acquisì struttura unitaria e gerarchica, alle dipendenze della "CONGREGAZIONE DEL SANTO UFFIZIO", preposta alla difesa del cattolicesimo, alla persecuzione dei riformati e al controllo dei volumi editi (INDICE DEI LIBRI PROIBITI) coll'imprimatur ("si pubblichi") se leggibili da tutti, oppure in censurati di I o II classe se leggibili da persona preparata (come certi testi erotici) o proibiti come la Bibbia riformata di Lutero.
Dal '500 al '600 l'Inquisizione venne potenziata e saldamente regolata anche con l'istituzione dell'ordine dei GESUITI teorici, in base ai dettami del loro fondatore, dell'uso ed abuso sin paranoico, dell'ESAME DI COSCIENZA Mentre l'Inquisizione perseguiva costoro come sicari del Demonio, in un'atmosfera socio-storica che sotto l'incubo della PESTE si tingeva di IMMAGINI APOCALITTICHE DA FINE DEL MONDO, il diritto penale seguiva pari criteri per combattere il proliferare di maghi e fattucchiere (tal mestiere visto il perpetuo abbondare dei gonzi, era diventato fruttuoso: specie per le promesse di pozioni "salvavita" contro CARESTIE, PESTILENZE E/O ALTRE SVENTURE e FATTURE
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Mario Damonte (pp.94-95 e note) analizza con la sua peculiare attenzione l'edizione del Viaje de Turquia o Peregrinaciones de Pedro de Urdemalas titolo preferito da Marcel Bataillon.
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Le leggende affermano che le CINTURE DI CASTITA'
"(Libro II, Cap.III) Sugli adulteri e gli stupratori /Qualora
una donna sposata abbia commesso adulterio, senza esservi stata
costretta, venga punita con la morte e tutti i suoi beni,
compresa la dote, passino al marito ed ai suoi figli: a titolo
esemplificativo si prenda sempre risoluzione di supplizio
estremo nei riguardi della donna che abbia abbandonato il tetto
coniugale.
Venga altresì condannato a morte l'uomo che abbia avuto rapporti
carnali colla moglie di un altro in luogo diverso dalla sua
solita abitazione.
Non debba invece un uomo patir condanna alcuna o minima pena nel
caso si sia congiunto, nei modi come sopra, con una sposata
impudica, che si prostituisca o che lucri del proprio corpo o
sul cui mercimonio sessuale possano testimoniare tre persone di
provata attendibilità od anche soltanto tre individui qualsiasi,
purch‚ attestino sotto i vincoli del santissimo giuramento
d'aver avuto colla stessa rapporti sessuali di qualsivoglia
genere: soltanto la donna in tal circostanza debba esser
condannata a morte. Allorchè‚ un uomo, a casa sua propria, abbia
stuprato la sposa di un altro sia condannato a pagare
un'ammenda che va da cinquanta a cinquecento lire e venga invece
fustigato soltanto qualora non abbia versato quanto dovuto entro
quindici giorni. Nella ben trista eventualità che abbia poi
fatto della donna una propria concubina, lo stesso debba però
essere senza meno condannato a morte. Infine, sempre alla pena
capitale sia inviato chiunque, in qualsiasi altro luogo che la
sua medesima abitazione, abbia usato violenza ad una sposa
altrui.
Un uomo od una donna responsabili d'aver commesso incesto siano
condannati a morte anche se sian stati vicendevolmente
consenzienti.
Venga poi mandato a patir la pena capitale colui che, entro le
mura di un convento od anche fuori di quello, abbia avuto
rapporti carnali con una donna, fosse anche consenziente, che
abbia votato a Dio la sua vita e che abbia indossato l'abito
monacale. Non sia peraltro lecito ad alcun laico, se non per
speciale concessione delle autorità religiose, entrare di giorno
o di notte in un pio monastero. Chiunque abbia fatto ciò venga
multato, dopo la prima trasgressione, per trecento lire e, dalla
seconda in poi, sino a seicento per tutte le volte che si sia
reso colpevole. Nel caso che entro un mese il reo non abbia
pagato l'ammenda venga allora corporalmente punito con tre giri
di corda oppure, oltre i confini di Genova e distretto, sia
recluso per un triennio sulle triremi come galeotto. Chiunque
poi, senza consenso dell'autorità ecclesiastica, abbia ospitato
una religiosa nella sua casa d'abitazione od in qualche modo
abbia con lei vissuto sotto lo stesso tetto sia punito con
un'ammenda di duecento lire.
Chi abbia tolto la verginità ad una fanciulla intatta e pura,
anche se consenziente, debba pagare ammende da cinquanta a
cinquecento lire e se, cosa da presumersi nella fattispecie
salva la prova del contrario, l'abbia puranco traviata, oltre
alla pena sopraccitata, tal seduttore sia tenuto a farne la dote
nuziale su indicazione del magistrato che calcolerà la
riparazione secondo ceto e censo delle persone in causa.
Nessuno osi d'altronde insidiare la pace di lecite nozze e da
tutti si abbia estremo rispetto dell'onore muliebre. Pertanto si
stabilisce che al riguardo il diritto di muovere accuse,
deferire o denunziare in occasione d'adulteri, stupri, incesti,
spetti ai parenti più prossimi, precisamente al padre, al
fratello, allo zio paterno, a quello materno ed al marito,
purch‚ tutti costoro siano in effetti mossi ad agire da dolore
autenticamente sincero. Qualora tuttavia il marito della donna
accusata d'adulterio si trovasse a Genova e nel distretto,
nessun altro, fuor di lui, venga però ammesso a sporgere
denunzia d'adulterio: solo nel caso che egli si trovi lontano, i
parenti prossimi di cui si è fatta menzione in precedenza
possano adire alla denunzia.
Fatta l'accusa da qualsivoglia fra questi, sia per adulterio,
violenza sessuale, stupro od incesto, non si istituisca
inquisizione al di sopra di lui o di qualsiasi altro di quei
congiunti prima menzionati e l'inquisizione stessa sia tenuta
nel rispetto formale degli statuti e del diritto comune
allorquando negli stessi Libri dei Malefici manchi qualcosa al
riguardo della causa in fieri.
In tutti i casi inoltre in cui ad un adultero o a un'adultera
debba essere inflitta una pena corporale non si faccia alcuna
differenza o riguardo per il sesso qualora entrambi i rei siano
caduti in potestà della magistratura: se altrimenti uno solo Š
stato catturato, mentre costui o costei vien tormentato, quello
o quella che sia contumace risulti bandito da esule fin a quando
non venga a scontar la pena.
Al marito che abbia accusato di adulterio la propria moglie, ed
anche a quanti in subordine al coniuge od al padre, abbiano
promosso identica accusa ad un'altrui sposa sia tuttavia lecito,
in qualsivoglia momento, purché anteriormente alla pubblicazione
della sentenza, ritirare la denuncia, alla condizione però di
non poter nuovamente muovere accuse alla stessa donna per il
medesimo crimine. Dell'identico beneficio possa altresì
usufruire l'uomo accusato di adulterio. Allorchè una moglie
accusata d'adulterio venga liberata sia quindi affidata al
marito, che la dovrà accogliere nella propria casa. Ed al
proposito si deve intendere per casa non tanto la proprietà
dell'alloggio od abitazione quanto il domicilio. Per tal ragione
questa norma ha vigore sia che uno risieda in casa di proprietà
o a pigione od ancora in abitazione altrui a titolo gratuito
oppure in locanda ed ospizio: e la stessa vige altresì a
riguardo di chi abita in poderi o case rurali, nella misura però
che si intenda domicilio il sito in cui si tenga abitualmente
dai Sindicatori il censimento dei luoghi.".
Sostanzialmente, non solo in Italia ma un pò in tutta Europa, il
diritto intermedio si regolava contro le Prostitute secondo
linee abbastanza simili, in gran parte risalenti al diritto
romano, anche se nella Roma papalina, dopo un lungo periodo di
permissività, le sanzioni contro queste donne ed i loro complici
erano diventate, in linea almeno teorica, più severe che
altrove, vista anche l'esigenza della Chiesa di rispondere alla
"rivoluzione" luterana (e calvinista) con un processo di
moralizzazione più intransigente rispetto a quello degli altri
Stati cattolici, anche per "pubblicizzare" l'attivismo del Santo
Ufficio e dell'Inquisizione ecclesiastica.
Tra '500 e '600, nell' evoluzione (sotto forma di persecuzioni
più o meno severe) come nell'incremento (a ragione di
problematiche scelte esistenziali, specie per conseguenza di un
irrazionale processo di inurbamento) della Prostituzione e
dell'intiero suo "apparato", Ruffiano/-a o Mezzano/-a vennero in
qualche modo rivisitati culturalmente e, nonostante le sanzioni
penali di cui si è appena detto, risultarono dimensionati entro
gli schemi di un rinnovato ma comunque temporaneo metro di
valutazione che rifletteva un giudizio pubblico, evolutosi
soprattutto in ambiente libertino ed anticlericale, entro cui
oscillava in precario equilibrio la volontà di giustificare, o
comunque perdonare, la "donna perduta" ed il "dovere cristiano/
istituzionale" di disprezzarne il coraggio, il talento e
l'intelligenza come ben scrive E.A.NICHOLSON (Il teatro:
immagini di lei in Storia delle donne..., Laterza, Bari, 1995,
III, p.293).
Il volume, che Aprosio conservò sempre con
particolare gelosia (e timore, probabilmente, d'esserne scoperto
- proprio contro i suoi doveri di frate e censore - fruitore ed
ammiratore!), era in fondo la "Summa" delle momentanee visioni
d'una morale a suo modo "di frontiera ed antistatutaria sia in
linea giuridica che ecclesiale" donde la Mezzana, con una certa
sorpresa, emergeva quale una figura sociale (ancor prima che
teatrale) in cui si coniugavano il male dei giudizi tradizionali
(Celestina, nel rispetto di certi canoni interpretativi, è
un'avvinazzata certamente avida e non priva d'atteggiamenti
"stregoneschi") ed il bene, anche un pò ambiguo ma tutto sommato
piacevole della morale libertina (ancora Celestina sa svolgere
parecchi mestieri, si intende di medicina e piace ai clienti, a
Callisto in particolare, da cui "spreme soldi" ma al quale
regala "fantasie e meraviglie" barocche come fughe eccellenti da
una vaga noia dell'esistere).
L'Aprosio bibliofilo, ma altresì
"inquisitore controriformista", probabilmente intuì solo di
scorcio certe fluttuazioni di questa crescente visione della
vita sociale ma, per quanto recitano le sue opere moralistiche
edite e no (i due Scudi di Rinaldo e La Grillaia del 1668 in
particolare) e al modo in cui suggeriscono altre opere da lui
raccolte (dalla Lena dell'Ariosto a La Cortigiana dell'Aretino,
che sono di sicuro debitrici della Celestina) il frate ebbe
presente l'evolversi di un contesto sociale in cui l'astuzia,
ben connessa ad ingegno ed avidità, per vari aspetti, sembrava
caratterizzare sempre più le donne (sposate, puttane od anche
ruffiane) a scapito di una stolidità patriarcale [aggrappata a
troppi luoghi comuni, che in più d'un'occasione egli inquadrò
negli schematismi del ridanciano (non son da dimenticare le sue
dissertazioni sul Bekko - cioè‚ "il Cornuto" - in capitoli anche
blasfemi della Grillaia che tuttavia si guardò dallo stampare)].
A fronte dell'analisi di questa "creatività femminile", che era
comunque indizio di una più vasta riscossa del "sesso debole",
Aprosio, almeno pubblicamente, si trovò nella necessità "sociale
e [si potrebbe dire] professionale" di deprimerla e deriderla
(vedi la diatriba con la Tarabotti) pur se, a livello privato,
restano aperti molti punti di domanda sulla sua personalissima
postazione ideologica come sulla genuinità delle convinzioni di
fondo. Anche leggendone parecchie lettere dall'"Epistolario"
genovese si ha infatti, più d'una volta, l'impressione di
contemplare un maschilista intelligente ma pratico che, da un
lato, compiangeva quanto gli risultava ineluttabile (la
riscossa del sesso donnesco!) e dall'altro, con dovere quasi
istituzionale, "suonava" per uomini che sentiva già vinti un'
insignificante "buccina da battaglia" contro le donne, scrivendo
ora qualche aneddoto antifemminista ora qualche satira senza
energia in cui si intuisce il timore, in vero non sempre
iracondo, per una donna prossima e ventura, che presto "avrebbe
gabbato" la prosopopea maschile: un tipo nuovo di donna che, in
tempi a venire ma neppure lontani, il Goldoni (trattando
finalmente dell'arguzia di "femmine oneste" o di "spose comuni"
ed abbandonando il ripiego letterario della Mezzana pur sempre
sita fuori delle costumanze morali) avrebbe fatto trionfare
sulla scena (riflesso non casuale degli eventi mondani) quasi a
monito contro la sclerotizzazione di una società maschile e
maschilista che, alla lunga, per ignavia e mancanza di
competitività sul fronte delle dispute fra i sessi, era
divenuta stolida ed inerte fra le "mani" di donne intelligenti (
basta citare Mirandolina!) ed ormai provviste (specie se di
ambiente piccolo borghese, come appunto la "Locandiera") d'una
autonomia socio-economica non più dipendente dalla sfera
"sempre troppo banalmente esecrabile" della sessualità venduta.
Partecipò alle ultime sessioni del Concilio di Trento, contribuendo all’elaborazione del Catechismo romano ad uso dei parroci. Dal 1563 fu fatto sacerdote ed arcivescovo della diocesi di Milano ma ne prese possesso nel 1565, intraprendendovi una lotta tenace contro le infiltrazioni protestanti ricorrendo all’Inquisizione ma anche esercitando, tramite istituzione di Seminari, una moderna preparazione del clero, sul quale esercitò un rigoroso controllo per moralizzarne la condotta (nel contesto di queste iniziative rientra appunto la sua revisione nelle procedure della confessione e specificatamente l’istituzione dei confessionali). Ad onta di questa severità godette di grande ammirazione tra il popolo, fra il quale si adoperò con zelo ai tempi della pestilenza del 1576-’77 (P.GIUSSANO, Vita di S.Carlo Borromeo. Prete Cardinale del titolo di Santaprassede Arcivescovo di Milano, Stamperia della Camera Apostolica, Roma 1610).
Nell'opera la presenza del "genovese" (inteso sia come individuo che come sistema di vita) risulta indubbia.
Alla città ligure viene dedicata una menzione sin dalle prime pagine del discusso dialogo ed infatti il protagonista Pedro entrando nelle merito delle fondazioni degli ospedali cui fanno cenno i suoi interlocutori menziona uno dei commerci più redittizi dell'attività mercantile di Genova, quello del marmo.
Un pò come avviene a riguardo de La Rosalinda di Bernardo Morando da questo punto quasi si sprecano le citazioni su Genova, la Liguria ed il suo Dominio.
Pedro, in merito poi alle DONNE definisce que son muchas y hermosas: in definitiva riprende un luogo abbastanza comune sul fascino della femmina genovese e, più estesamente, ligure.
Questa considerazione sul fascino e la liberalità comportamentale della donna genovese data dal periodo umanistico atteso quanto ne scrisse (p.519, nota 32) Silvio Enea Piccolomini (peraltro passato alla storia col titolo di papa Pio II) che presentò GENOVA come paradisum feminarum ubi mulieribus nihil desit voluptates ("paradiso delle femmine ove tutti i piaceri son concessi alle donne") ed ancor più in dettaglio trattando delle DONNE GENOVESI un pò acremente le rappresentò sine lege mariturum atque imperio ("emancipate dall'autorità maritale e di conseguenza particolarmente disinibite").
Del resto il Belgrano (p. 144) cita Giambattista da Udine che nella Lacrimosa novella di due amanti genovesi al riguardo aveva scritto: "...di bellissime, gentili e cortesi donne, più che altra città d'Italia, era ed è oggi adornata [Genova]".
Ancora il Belgrano (p.454) rifacendosi ad un testo basilare, che in qualche modo anticipa l'etnologia (cioè quello di Cesare Vecellio, Habiti antichi et moderni di tutto il mondo, Venezia, 1598) a riguardo delle donne di genova annota "Sulla fronte arricciavano i capelli, rinchiudevano le trecce nella reticella, oppure in veli trasparenti di seta, vergati d'oro e di giallo; e farneticando come ringrandir la persona, si venivano con questi formando sul cucuzzolo una punta, lasciando che il resto bellamente cadesse sulle candide soalle. Ornavano inoltre il capo di qualche bel mazzo di fiori e portavano zoccoli ricchi d'oro e di perle e di un'altezza mediocre".
Le popolane (ancora il Belgrano, p. 267) "portavano anch'esse al fianco la borsa, ma aggiungevano l'acoraiuolo, ed in mano tenevano continuamente dei fiori".
L'autore spagnolo del Viaje pare citare un'abitudine storica delle donne genovesi quando, quasi allo stesso modo, annota: ...los turcos son muy amygos des flores, como las damas de Génova": del resto simile osservazione appartiene anche alle ricerche condotte dallo Staglieno (p. 53).
Queste peculiari vanità femminili, come si evince ancora dagli scritti del citato Damonte, avrebbero fatto parte sì della cosmesi femminile delle dame genovesi ma di una cosmesi adattata all'esaltazione del loro fascino a riguardo delle feste cui amavano partecipare con una liberalità superiore alle altre italiane:alla domenica e nei giorni di festa usano recarsi nelle ville lungo il Bisagno dove danzano tutto il giorno con chi vogliono.
Lo stesso Giambattista da Udine, già menzionato dal Damonte (p.94, nota 18) aveva espresso meraviglia per la spregiudicatezza delle donne di genova di cui, comunque, aveva esaltato la grande bellezza. "per donna santa e casta che tenuta...nella città sia, tra l'altre comparire non potrebbe, se di amante fosse priva.
Sulla presunta liberalità sessuale e comportamentale delle donne genovesi in effeti si era espresso apertamente Francesco Bosio, vescovo di Novara, invitato a Genova in qualità di visitatore apostolico da papa Giovanni XXIII che dalla sua sede di Milano scrisse (come ancora riporta il Belgrano a p. 449) in questi termini alla Signoria il 4 dicembre del 1582:Sarebbe molto espediente...moderare la troppo larga libertà delle donne...proibire le veglie.
E del resto ancora lo Staglieno (p.13) precisa nel suo lavoro che le donne genovesi: "aveano agio di divertirsi a loro talento" nelle villeggiature "sulle ridenti colline di Albaro [vicine al torrente Bisagno] di Sampierdarena, della Polcevera, delle due riviere, ed anco d'oltre Appennine"
Queste teorie sono pura fantasia, in quanto non ci sono prove storiche a supportare questa tesi.
Sussistono semmai ben più serie motivazioni pratiche che inducono a suggerire l'infondatezza di tale teoria.
E' infatti sostanzialmente impossibile indossare senza interruzione una cintura di castità per periodi così lunghi (mesi o anche anni) e non essere colte, per ragioni igienico - sanitarie, da irreversibili forme infettive e di setticemia.
Alcuni storici italiani ritengono che la Cintura di Castità sia stata utilizzata per la prima volta in Italia, probabilmente tra il XIV ed il XV secolo.
Nell'un caso e nell'altro tutti gli storici, fuor delle considerazioni pseudoboccaccesche amplificate per motivi ridanciani sull'uso di questo apparecchio, giustamente lo hanno giudicato ICONA STORICA DELLA SUBORDINAZIONE DELLA DONNA AL SISTEMA PATRIARCALE ma contestualmente anche dati di danni reali che poteva procurare lo hanno giustamente ascritto tra i VERI E PROPRI STRUMENTI DI TORTURA DELL'ETA' INTERMEDIA.
E' chiamata più ufficialmente il Congegno fiorentino in un documento, datato 1405, conservato nella Biblioteca di Gottinga, in Germania.
Molte delle cinture storiche che sono conservate nelle collezioni di musei europei sono state utilizzate da donne nobili ed esclusivamente per periodi brevissimi, specie, come detto, per prendere un poco d'aria sulla tolda di navi maleodoranti nella deprecabile necessità di un viaggio per mare, stando in mezzo a giurme di galeotti e marinai già poco raccomandabili per carattere e spesso sconvolti da prolungata astinenza sessuale.
La Cintura conservata nel Palazzo dei Dogi di Venezia apparteneva alla sposa di Francesco II di Carrara, mentre le cinture custodite nel museo di Cluny a Parigi sembra siano state commissionate da Enrico II per sua moglie Caterina De Medici e da Luigi XIII per Anna D'Austria.
Nel 1750 Freydier de Nimes pubblicò la prima requisitoria contro l'uso dei lucchetti e delle cinture di castità, in cui sosteneva che Francesco II di Carrara fosse l'inventore della Cintura e di altri dispositivi simili, come l'ostacolo che usava per sua moglie.
La maggioranza delle cinture antiche sono conformate in maniera simile, con la classica cintura addominale, posta nel punto più stretto della vita, unita ad una banda che copre pube ed ano, con le superfici interne ricoperte di velluto o di pelle.
Le cinture erano normalmente chiuse con un solo lucchetto, avanti o dietro.
In effetti circolano sui mercati antiquari altre cinture che, nonostante siano state datate prima del XV secolo, sono riproduzioni di vecchie cinture realizzate in tempi recenti, solitamente durante il XIX secolo.
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