GIO. ANTONIO MENAVINO GENOVESE DA VULTRI, AL CHRISTIANISSIMO RE DI FRANCIA.
Sire, la obligatione, che io ho di far cosa, che piaccia alla M.V. è molta per lo infinito bene, che io ho da lei ricevuto, & tuttavia ricevo; degnandosi elle di tenermi senza alcun merito mio a suoi servigi, & per conseguentela volontà, e'l desiderio mio è grandissimo & prontissimo, ma le forze sono cosi picciole, che qunado io finalmente penso dovervi riuscir disutil servo, sento dolore inestimabile. Et se non fusse, che chi vive sotto l'ombra di cosi virtuoso, & felice Prencipe, non puo per avversità di sorte alcuna esser misero, io mi reputerei per quel che ho detto esser miserissimo. Hor quale io mi sia, con una picciola occasione; poi che delle grandi il luogo è riserbato a piu fortunati di me: nuovamente m'è caduto nell'animo di poter sodisfare in parte al mio disio. Et questo è; che essendo a me noto quello istesso, che hoggimai è palese a tutto il mondo; cio è, la vostra non mai a pieno lodata deliberation, di far la impresa conra'l nostro comune inimico Turco come impresa riserbata à voi, che siete veramente il primogenito della santa Chiesa; & essendo io stato schiavo di suo Padre, & suo molti anni, & da fanciullo allevato nelle piu intime, & piu segrete parti (dirò cosi) della sua casa; dove mi è venuto fatto vedere, udire, & imparar diverse cose, ho voluto delle piu notabili in un volume di scrivere, & toccar brievemente per capi la somma, & l'ordine, si della religione, come del vivere, delgoverno, della forza, & infine del dominio della corte, et del Tiranno, dedicando io il mio detto volume alla M.V. accio che quella per la sua lettura alquanto s'informi de costumi di quel paese, prima che si metta à cosi glorioso passaggio. Et non guardate, quanto io ho scritto sia in istile poco ordinato, & rozo; percioche, non come erudito scrittore, ma come fedele interprete, o vero raccontatore delle cose vedute, & imparate, ho dato opera piu tosto allo effetto, che alla apparenza: perche dove ho conosciuto, la elegantia esser per mancare, ho supplito con la verità. Accettate adunque Signor mio benignamente il libro, quale e sia, & attendete non alla imperfettione d'esso, ma al perfetto animo di chi n'è stato l'authore, vostro humile, & fedelissimo servo.
IL PRIMO LIBRO DELLA VITA, ET LEGGE TURCHESCA DI GIO. ANTONIO MENAVINO GENOVESE.
Gia il Solare pianeta nella calda stagione lasciato il leone, che i mortali corpi offender suole al grembo dell'amata vergine trapassava, quando io nella fiorita età de miei giovenili anni, ch'il numero duodecimo con eguali pensieri compivano, da paterni hospitii, insieme col mio caramente diletto padre mi diparti, desideroso in pochi giorni, si come è mercantil costume, con le nostre mercantie condurci allegramente ne Vinitiani confini. Ma la nimica fortuna, che dall'altra parte altro disegno haveva ordinato, i nostri intenti, dell'altrui imprese sempre odiosa, come fu di suo piacere, sicuramente interruppe; che quando la bella Aurora amorosamente svegliava il giorno, havendo anchora per poco spatio solcate le maritime onde in calma, non meno di vento, che di consiglio privi, nella Corsica ci trovammo sotto la speranza di conserva d'una grossa nave Genovese, la quale, o come antivedendo i futuri mali, o per sorte in quel tempo da noi s'era fatta lontana. Ivi apparvero tre Galee de nemici Turchi, sotto il nome, & signoria del Chiamalli, allhora nella spatiosa marina Corsale grandissimo, da desiderio dell'usate prede non con minore ardire, che con grande impeto verso noi trascorse, & fattosi piu propinquo, che noi calassimo le distese vele superbamente disse. Ma il mio padre piu assai di maggior animo, che di buona fortuna, essendo del nostro infelice legno nocchiero, dispotissimo alla battaglia, fece co' fidati legami prestamente legare le antenne, eleggendosi piu tosto accelerata morte tra fedeli Christiani, che servitu lunghissima co Turchi. Allhora lo insuperbito Corsal a tirare la sua ben composta artiglieria diede principio. Et perche la nostra nave era oltre la sua debolezza d'armi, e di quello, che piu faceva di bisogno male ordinata, & perche non una poca d'aura respirava; che la disiata Conserva ci potesse accostandosi portare aita, con loro vantaggio ne diedero una battaglia grandissima, in tal modo che due volte per forza entrarono nella nostra nave, come che due volte arditamente gli cacciassimo; & così stando in questi perigliosi fatti, benche tardi fosse, Eolo dalle nostre si giuste preci commosso, de suoi venti per lo spumoso mare veniva spargendo, & la nostra Conserva a poco a poco a noi s'avvicinava. Ma cio vedendo il Corsale, fuoco con accomodato ingegno sottilmente artificiato gittòsopra la nostra nave, in tal forma, ch'era impossibile, le tante accese fiamme potere estinguere. La onde gli huomini si gittavano in mare, commettendo de due contrari piu tosto la lor vita, se vita era in tal stato, all'acqua che al fuoco. Di che l'armate Galee per subita paura della grossa nave, che providamente sopragiugneva, pigliando la gente si misero in fuga, & cosi presi ci menarono in diverse terre, & paesi; tanto che a Modone, la dove erano certi suoi vassalli privi dell'amata libertà, dove del rpincipio alla nostra servitu patienti arrivammo; & quivi domandando del mio carissimo padre, se era vivo, o se per sorte era passato con la nostra compagnia all'altra vita, mi fu risposto, esser vivo; La onde un Capitano mi fece portare nell'altra Galea, dove egli era, perche egli pensando che io fossi morto, piu di me che del suo infelice stato si stava dolente: il quale vedendo abbracciai con quella charita, & paterna dilettione quanto potei maggiore, che allhora il vidi nascondere il volto dalla grande squadra delle tenere lagrime vnto, vedendomi seco di egual servitu in si giovenil anni costretto; ma pure alquanto di vigore riprese, trovandomi vivo, la dove trovarmi pensava morto: Io dimorai seco per buono spatio, & havendo a ritornare al Capitano, mi ammaestrò di quelli paterni precetti che io doveva con loro osservare, & se mai in qualche terra di Christiani ci conferissimo, la dove potessi fuggirmi, con ogni ingegno lo ricercassi; & cosi da lui con la gratia per molto tempo presi licentia. Et partendosi la Galee, andarono in un luogo volgarmente detto Themo, dove preso per alcuni giorni rinfrescamento, parte de presi Christiani sopra la Natolia dierono modo, che venduti fossimo; & me in compagnia di tre altri fanciulli quasi di pari eta, si come altiero dono con una Fusta mandarono al gran Turco nominato, Sultan Paiaxit, il quale con lieta fronte vedendoci, fu molto allegro di tal presente del Corsal Chiamalli, & degli altri a diversi Capitani suoi fece cortesia, & noi tre ritenne nel Real Palazzo nell'ordinato Serraglia seco. Quivi primieramente fece il gran Turco dare ordine, che noi mangiassimo in sua presenza, & al modo Turchesco sedessimo sopra la terra: ma io cio vedendo, non anchora consapevole de loro costumo, non essendo ivi alcuno scanno, semplicemente presi uno de piatti di quelle vivande, che piu fra me stesso giudicava migliore, et d'uno scalone non molto lontano feci sedile; il che non fu senza poco ridere de circostanti, & del gran Turco: Poi come havemmo posto debito fine a quel mangiare, chi chiamò interprete, incomiciandoci a esaminare delle cose della nostra Italia, io stava non meno di paura attonito, che di meraviglia pieno, pensando tra me stesso, quanto vario fosse il nostro vivere, a comparatione de loro male ordinati costumi. All'hora lo interprete primieramente ci domandò se sapevamo leggere, & io, & un'altro mio compagno rispondemmo prestamente, che si; & non solo leggere, ma anchora debitamente scrivere: ma quell'altro che il sesto anno affatica empieva, non sapeva pur la lingua disciogliere per ben parlare; il Signor hebbe gran maraviglia di questo, & alcuni baroni, che seco erano, giudicavano impossibile, che in eta di dodici anni havessimo quella litterale cognitione; Ma il Re soggiunse, che non paresse loro cosa inconveniente, ne oltre modo miracolosa, percioche i Christiani, & massimamente quelli di Toscana, sono per naturale istinto genti mirabilmente ingegnose: il perche da piu teneri anni gli mettono alla disciplina sotto buona cura di precettori; Ma perche la esperientia è delle cose maestra, volser fare diligente pruova, se cio vero fosse, & preparata della carta, & calami, fattomi star lontano, fecero scrivere il mio compagno quello , che per regale comandamento lo interprete dettava, & di poi nascosa la sua scritta, per modo simile mi chiamarono, & scrivendo dissero, che io non teneva quelli modi, che l'altro haveva fatto, mostrandomi, che havesse incominciato al contrario, non altrimenti, che faccian gli Hebrei. Donde risposi loro, che io non era Giudeo, & non essendo, m'era impossibile scrivere a quella guisa. Per la qual guisa mi concesser poi, come, come era di nostra solita consuetudine: & adempito il lor disio, mi fece leggere le sciocchezze stoltamente dettate del mio compagno, & ad esso le mie, acciocche chiaramente apparisse le nostre non essere simulationi: Et dopo questo, il Re ad uno Eunucho, chiamato Chilegirbascia, subito fece comandamento, che nel Serraglio delle Donne, dove erano certi suoi nipoti, ci menasse, & quivi in una stufa di legname ordinata con acqua calda, & herbe profumate, con buona diligentia ci facesse tutti insieme lavare; & poi vestire de piu ricchi vestimenti, che portavano i suoi parenti: La onde l'Eunucho fattaci fare la debita riverenza al gran Turco, ci fece andare per molti passi al contrario, perche noi non dessimo le spalle a tanta Maiestà, si come era di loro usanza, & cosi finalmente ci menarono al Serraglio delle vaghe Donne. Pervenuti al Serraglio, vedemmo le Donne tutte levarsi in piede, & con quello honore, & grata accoglienza che piu lor conveniva, riverentemente allo Eunucho inchinarsi, domandolo quello, che fosse di suo comandamento. Per la qual cosa egli espose loro la volonta del Re, tanto subitamente ne presero alcune di loro, & in presentia di tutte l'altre, che'l numero di cento sessanta passavano, non altrimenti che creati fummo, ci spogliarono, & menaronci tra molte di esse ne bagni, non meno di vestimenti, che di vergogna nude, le quali tutte erano figliuole di Christiani; percio che tal Serraglio a questo è ordinato; & non v'entrano se non vergini. Quivi ci lavarono prestamente, & poi ci vestirono d'ordinate vesti, cio è quelle di sotto di velluto chermisino, & di sopra raso verde, & damasco. Aggiunsero etamdio berrette di broccato alla usanza Turchesca, forse tre palmi lunghe: che se le signorie consistessero nel vestito, con tali ornamenti anchora noi di veri signori rendevamo sembianza. Hora essendo cosi bene in ordine, ritornammo con lo Eunucho a ringratiare il gran Turco, & divotamente baciarli la mano: il quale, & con cenni, & con qualche parola, che sapeva, italiana, ci domandò, se ne paesi nostri usassono quel vestire, & fu nostra risposta di no. Donde egli disse che parevamo de suoi primati baroni: In questo m'accennò la mia giovanil memoria di quello, che alla dolorosa partita m'haveva detto mio padre, cio è, quando fosse di mia commodita, humilmemnte il raccomandassi al gran Turco: Perche disiderando io grandemente la sua liberatione, & vedendomi il luogo, e'l tempo essere opportuno, feci quello, ch'era mio debito per sua salute; 6 insieme con la grata audienza d'un tal Signore, gratiosamente bla impetrai, &feci la dove l'haveva dolente lasciato incontanente mandare per lui. Ma come volse la inquissima sorte del mio miserabil padre, quello importuno Corsale Chiamalli, havendo questo già premeditato, l'haveva per mercantil prezzo su la Natolia venduto; & non fu possibile haverne alcuna notitia, infino che per divina gratia certi mercatanti Genovesi pervennero in quelle bande, & quivi conoscendolo fatto schiavo per ducati cento lo riscattarono, & riscosso venne a Costantinopoli a trovarmi; & sapendo che io era nel Serraglio, diede modo di venir meco a parlamento. Et vedendomi essere in quella buona sanita, che m'haveva lasciato, n'hebbe gran consolatione: In questo mezo le figluole del Re intesero, lui essere giunto: & come fu di loro volere, impetrarono gratia dal gran Turco, che io andassi a stare due giorni seco in Pera, dove habitava sempre gran numero di Genovesi: & alla mia partita, si come fu commissione del Re, mi fecer compaqgnia dieci giovani di sua corte, accio che in qualche modo segretamente non mi prendessero, & cosi dimorai seco per un sol giorno, nel quale continuamente mi ammoniva d'ottimi, & bene ordinati costumi, & massime che io tra Turchi non dimenticassila Christiana fede, l'altro seguente giorno, lasciatolo, feci a Costantinopoli ritorno, & nel medesimo Serraglio stetti per ispacio d'anni cinque, senza haver mai (di che era mio desiderio) notitia d'alcuno di casa mia. Hora essendo io ritornato nel sopradetto Serraglio, fu di lor volere, che lasciati i miei domestici solazzi, dessi opera agli studi, accio che piu chiaramente havessi cognitione de comandamenti della lor legge; Il che era molto fuori d'opinione di quello, che poco avanti m'havea ammaestrato mio padre. Ma cosi come spesso avviene, che la forza supera congrande impeto la ragione, cosi io forzatamente mi elessi per lo migliore fargli di quello, che per me era necessario, liberale obedientia, & cosi insieme con quattro nipotidello imperatore al leggere l'Alphabeto posi principio; 6 per quattro anni stetti a studiare il loro parlare Turchesco, letterato, & volgare, passando alle volte qualche libro Moresco, et certi Persiani, de quali tutti con la materia scrivero di sotto per propio nome. Qui mi havendo in continovi studi, & vigilie questo tempo discorso, imparai à compimento tutte le loro leggi, orationi, sacrifici, elemosine, & quelle cose, ch'essi ciechi tra la chiara luce presuppongono essere in salvatione delle anime loro: le quali dipendono da un libro chiamato Musaph, diviso in trenta parti, le quai cose insieme si chiamano in Arabico nome Curaam; che vuol dire principio, & fine della lor Turchesca legge: donde intendendo io al presente a pieno le cose, ne scriverò parte, che sarà sustantia, & dichiaratione della lor perfida, & male ordinata vita.
DELLA LEGGE MAOMETTHANA, CAPITOLO PRIMO.
La Turchesca legge si trova da principio esser fondata ne comandamenti del sopradetto libro Musaph, il quale dicono essere stato mandato in diverse parti da DIO per l'Arcangelo Gabriele a Macometto, & che egli con gli suoi Scupler, che vuol dire discepoli, gli hanno cosi estesamente composti, & messi insieme, al quale portano tanta veneratione, che toccare nol possono, se non sono ben mondi, & lavati dalla cima del capo alle piante, o veramente con uno panno alle mani involto, come se cosa sagrata fosse, & quando nel tempio si legge da uno, che habbia risonante voce, ogni persona sta divotissima ad ascoltarlo, senza fare l'uno con l'altro strepito alcuno, & non è lecito che'l lettore lo possa tener piu basso della sua cintura, & haver ferma intentione à quel che e' legge; & letto il bacia, & toccasi gli occhi con esso, & con gran solennità il porta in un luogo eminente, dove stanno altri libri, come ecclesiastici della loro legge.
DE COMANDAMENTI DELLA LEGGE DE TURCHI, CAPITOLO II.
Il primo comandamento del detto libro dice LA, ILLA, E ILLALA, MOHEMET. RESU LLU LA, che vuol dire; DIO haver create tutte le cose: & per questo è di bisogno credere in esso, & parimenti nel suo profeta Mahometh, il quale per nome è detto ACCURZAMAM PENGABER , cioè Profeta ultimo. Il secondo comandamento è, che ogni Turco debba con quella dilettione, amore, & carità, & riverentia quanto potra maggiore, honorare il Padre & la Madre, & non più oltre procedere, che sia di loro giustissima volontà, & trovarsi sempre parati alle loro occorrenze. Il terzo è fondato in ragioni per se medesime naturali, cio è, che ad alcuno non si faccia quello che, che egualmente non vorresti che fosse fatto à te stesso. Il quarto è dovere andare all'hore ordinate allo Meschit, cio è al tempio. Quinto fare continovato digiuno per un mese dell'anno tutti generalmente. Sesto fare elemosina, & sacrifici secondo la qualità, & poter delle concesse sustanze. Settimo fare matrimonio, & osservarlo con quelle cerimonie, & solennità, che piu astrattamente sara possibile. Ottavo, & ultimo non fare homicidio in alcun modo, se gia non fossi forzato per espressa violenza.
ESPOSITIONE DEL PRIMO COMANDAMENTO, CAPITOLO III.
Il primo comandamento ammaestra chiaramente le Turchesche genti amare Dio, e'l suo Profeta ultimo Mahomet, & questo si mette a verace esecutione, quando con sincerita d'animo, & con orationi divotissime s'adorano, debbe della sua buona gratia diffidarsi; percioche dicono, sua Maiesta haver proveduto il suo quotidiano vivere per quaranta anni avanti il nascimento alla sua divina imagine fatto; per il che si dee nelle celebrate, & degne lode gloriosamente ringratiandolo laudarlo, cioè ACTA ALLA BSIGUS, VERDI, COLAC, VERDI, DILVERDI, ACELVERDI: che dicono; DIO haverne donato il ragionevole intelletto non per altro, che per considerare l'altezza, & grandezza della sua perpetua deità: ci ha dato gli occhi solo per poter vedere le meravigliose cose, che egli di sua divinità facendole abbondanti con perfetto ordine ha create; ci ha dato gli orecchi & per intendere le parole della santa legge, & intese osservarle; ci ha data la lingua per leggerle, & predicarle à quelli, che per loro medesimi non le sanno: Dipo soggiungono, ACTA ALLABISI AGLUCHVERDI, cioè che anchora ci ha data sanità non leggier dono all'humane Genti: per la qual cosa debbono sempre di lui ricordarsi, ne la pigritia dee essere alle sue convenienti laudi impedimento.
ESPOSITIONE DEL SECONDO COMANDAMENTO, CAP. IV.
Il Secondo comandamento è, che osservar debbono, & obedire, il Padre, & la Made, & non usare contradittione alcuna verso loro, & con tutto ciò guardarsi sommamente di non dare loro causa di lagrimare: & se sono per aventura o nati, o per qualche accidente trascorsi in poverta, di quello, che à figliuoli è possibile, amorevolmente sovvenirli. Aggiungono anchora, doversi guardare dalle giuste bestemmie, & maledittioni paterne, & delle madri: perche truovano, la maledittione essere una ferma macchia sopra figliuolo; che tutte l'acque de piu profondi fonti, & di tutto il mare a lavarla non sarebbero giamai bastevoli: ne la piu grave penitentia, che ordinar si potesse, in alcun modo la monderebbe: & hanno nel sopradetto libro CURAAM, che Dio non perdona mai à quelli, che secon portano tale maledittione, dove prima non gli perdonassero o il Padre, o la Madre di loro espressissima volonta, & questo le piu volte, o per similitudine di costumi, o per naturale, & sanguinea conformita pigliata da loro medesimi nel nascimento, perche dicono, che l'albero nelle sterili terre nutrito, produce frutti alle terre uguali, & al albero non dissimili. Et però essi consigliano da piu teneri anni della semplice pueritia dovere i propi figliuoli; quanto piu amore gli portano, tantopiu accesi di disio, che seguitino le buone vie di virtu, & con modo maestrevole gastigarli, accioche venuti a gli anni della discretione, ritenendo anchora del primo timore, siano sempre a paterni ammonimenti obedienti.
ESPOSITIONE DEL TERZO COMANDAMENTO, CAPITOLO V.
Il terzo comandamento dalle naturali ragioni, delle quali essa natura ci ammaestra, piglia ottimi fondamenti; cioè, che niuno ad altri faccia quello, che a se medesimo non vorrebbe che fosse fatto: primamente dicono esser fedeli a vicini, amare il compagno, come la persona sua propia; usare lealta, & obedientia a suoi superiori, & altre genti, con le quali s'havesse alcuna pratica, & cognitione: & quando ne la mente alcuno pensiero a qualunque sia venisse d'offendere alcuna persona tra se stesso providamente considerare dee se alcun cercasse offender lui in simil modo, volesse essere offeso, perche questo considerando, si guarderà di fare quelle cose al compagno, che non considerandole, farebbe.
ESPOSITIONE DEL QUARTO COMANDAMENTO, CAPITOLO VI.
Il quarto comandamento è, che ogni, Turco generalmente debba andare allo MESCHIT, cio è al tempio cinque volte il giorno a l'hore ordinate, la prima volta ne la Aurora chiamata SALANAMAZZI, la seconda a mezzo giorno ULENAMAZZI, la terza tre hore avanti l'occaso del sole, INCHINDINAMAZZI, la quarta ne' l'occaso del sole chiamata ACSANNAMAZZI: la quinta a hore due di notte IATSINAMAZZI: et in queste hore fanno i Turchi le loro solite orationi; et perche essi habbiano cognitione, a che ora debbono andare a gli uffici, non havendo campane, come noi altri: perche non è comandamento della loro legge: hanno certi sacerdoti nominati per turchesco nome MEIZZIN, i quali all'ordinate hore sogliono in certe altissime torri, fatte con quella rotondita a guisa delle nostre lumache, nella sommita delle quali cantano questo salmo, EXENOCHMACH, affine che le genti si congreghino allo MESCHIT: & quelli, che hanno volonta di fare orationi, primieramente vanno al necessario, & quivi scarico il corpo, con acqua pura fanno mondissima lavatione, & cosi gli huomini, come anchora le donne si loavano ilo sesso, & gli altri membri genitali, di poi uscendo di quel luogo, si lavano tre volte le mani, tre volte la bocca, tre volte il naso, et altrettante il volto, & tre volte si lavano le braccia in fino al gombito, poi si lavano le orecchie, & con amendue le mani il collo, & lavandosi, leggono questo salmo, ELEACHE MOTTEOHI ASFRO, & di poi si lavano i piedi infino a meza gamba, & poi sciugandosi leggono quest'altro salmo: LI ILLA-PHICIRCISON: & poscia con corto passo s'avviano allo MESCHIT, & questo fanno perche chi va a fare oratione, bisogna, che vada puro, & mondo, & con moderato camino, non come huomo, che vada in fuga; & se à caso per la via gli venisse alcuna ventosità, che gli bisognasse sforzare il sesso, quello lavamento non gli gioveria niente; per il che faria mestiero, che si tornassero a lavare un'altra volta simile à quella prima; se per negligentia alcuno restasse di lavarsi, dicono, l'oratione di quel tale appreesso Dio non essere accetta, & perderebbe insieme con le parole ogni suo passo, & piu tosto n'havrebbe peccato, dove merito n'aspettasse.
COME I TURCHI FANNO ORATIONE NEL'OMESCHIT, CAP. VII.
Quivi essendo tutti congregati nel OMESCHIT tutti si voltano col volto verso mezzogiorno, & i MEIZIN si levano in piedi, & leggono quel salmo che poco avanti ne le torri havevano cantato: di poi ciascuno si leva divotamente con le mani giunte alla cintura, quasi come legate, & con la testa inchinata a piedi, stanno con gran timore di DIO, senza movimento alcuno delle loro persone. In questo si leva un'altro sacerdote di un'altro ordine, chiamato IMAM, con altissima voce legge un salmo, & lo MERZIN come cherico gli risponde, & finitolo, in un tratto cascano sopra la terra, & dicono; SABAN ALLA, SABAN ALLA, SABAN ALLA. Cio è, DIO habbi misericordia di noi infelicissimi peccatori, & stanno col volto in terra fino a tanto, chel sacerdote IMAN torni a cantare il detto salmo, & di po si levano in quella prima guisa, & questo fanno in quattro in sino in cinque volte secondo l'ordine de loro uffici, & di poi si levano in quella prima guisa, & questo fanno in quattro in sino in cinque volte secondo l'ordibe de loro uffici, & dipoi inginocchiati tutti sopra la terra, quel MEIZIN con alta voce da principio ad una sua lunghissima cerimonia, pregando Iddio, che voglia ispirare i Christiani, & i Giudei, i Greci, & generalmente gl'infedeli tutti, che ritornino alla lor legge, & cio detto, leva ogniuno la mano al Cielo fortemente gridando; AMIN, AMIN. & poi si toccano gli occhi, & ciascuno esce fuor del Tempio, et va dove di suo piacere.
DI QUELLI, A CHI NON E' LECITO ANDARE AL OMESCHIT, CIOE' CHIESE, CAPITOLO VIIII
Sono molte genti, alle quali non è lecito, ne conviene andare a gli uffici ne loro tempi, come sono huomini, che havessono commesso homicidio, ò quelli, che fossero pieni di vino, ò che facessero ruffianamenti; huomini anchora non sani de loro corpi, massime havendo alcuna piaga, che per il tempio rendesse fetore, giucatori, usurai, & con tutto questo massime prohibiscono alle Donne, che non sono congiunte per matrimonio et alle meretrici; perche dicono esser cose deformi, & in monde, ma le vergini, & vedove di cinque mesi, per non havere uso d'huomini, hanno licentia andar sicuramente, & quivi nella chiesa stanno coperte, & da parte, in tal modo, che gli huomini sono privi della visione d'esse, accioche vedendole non concepessero nell'animo loro qualche mal pensiero, donde causassero alcuno peccato; & questo usano tutti per la Maometthana legge generalmente; & tutti hanno questaobligatione d'andare a gli uffici, ma molte piu venedoil tempo del loro ordinato digiuno: & se alcuno non si disponesse a questo, & pervenisse a morte, non gli darebbono sepoltura in alcun luogo, perche dicono inquello stato l'huomo essere di peggior vita, che i Christiani: donde lo lascierebbeno alla foresta, a cani, agli uccelli, & altre fiere per honorato cibo.
ESPOSITIONE DEL QUINTO COMANDAMENTO, CAPITOLO IX
Il quinto comandamento è; che ciascun Turco debba digiunare ordinatamente un mese del'anno, 'il quale chiamano per lor nome REMEZAN: Questo tempo si sforzan sommamente d'honorare, non solamente con digiuni, ma anchora con l'astenersi da peccati, & sopra tutto hanno diligente cura di non mangiare ne bere tutto il giorno, fino a tanto che nel Cielo apparsiscono le stelle chiare, & all'hora cominciano a mangiare pane, & carne, & altre miglior sorti di vivande, che gli altri giorni, & hanno libertà non altrimenti, che facciano le nostre bestie, di mangaire tutta la notte. Et se per mala sua sorte trovassero alcuno che mangiasse fuor delle consuete hore, & habbia passata l'età di dieci fino in dodici anni, merita convenevole punitione: & si come non è voluto stare adigiuni del corpo, cosi non vogliono, ch'e sia digiuno di bastonate, & per tanto per ordine di giustizia gliene danno infino al numero di trenta due, & dove non andassero in quello tempo allo MESCHIT, lo puniscono d'altrettanta pena per ogni volta, & se si trovasse alcun Turco in tali giorni ber vino, merita giuridicamente per tutta la citta esser vituperato da ciascuno, con una mitra in testa, dove sia scritto il suo commesso errore, di poi gli aggiungono per sua penitentia quella duplicata medesima punitione, & ivi di quegli, che esercitano tale ufficio, l'uno gli tiene il capo, et l'altro i piedi, & battonlo, & non contenti di questo, fanno pagare al peccatore un'aspro per ogni bastonata, lo esecutore di tale giustizia si chiama CADI. E t cosi passano i trenta giorni del REMEZAN, il quale ordinò Maometh con simile astinentia, accioche Dio gli mandasse la legge, con la quale il suo popolo dovesse mantenere. Hora finito il digiuno, perche DIO allhora essaudi le parole di Maometh, & mandogli la disiderata legge, fanno la lor pasqua grande, detta U LUBAIRAM, & hanno solenne festività per tre giorni. Dopo questa ivi à due mesi, & dieci giorni fanno la seconda Pasqua chiamata CHVCCIBAIRAM, & questa fanno senza digiuni, & altre solennità, benche l'hanno 'in gran veneratione per la congregatione, che fanno alla MECCHA de loro pellegrini, onde essa prese principio di suo ordine.
ESPOSITIONE DEL SESTO COMANDAMENTO, CAP. X
Il sesto comandamento è, che i Maometthani osservar debbono, che ciascuno faccia sacrificio una volta l'anno in dette pasque d'animali secondo la possibilità delle concesse sostanze: Questo sacrificio l'hanno per comandamento di Maometto, percio che anticamente essi erano obligati dare una certa pensione di danari per distribuire a poveri, che era due per cento; ma parendo loro duro pagare tanta somma, si lamentarono a Maometto, onde egli ordinò questo sacrificio in ricompensa de detti danari. Il sacrificio debbono fare di qualche vitello, & qualche cavallo, che siano bellissimi, & tali animali si debbono dare mangiare a poveri, & per loro istessi non dee avanzar niente, perche pigliandone per loror, non sarebbe accetto a DIO, ne in loro salute, ma chi sacrifica, mangia di quello del vicino, e' l vicino del suo; comunemente l'altre genti sacrificano un castrato bello, & grasso, che habbia il muso, & i piedi neri con le corna belle, & il resto tutto bianco, & i primi delle case sono di simili animali compratori, i quali debbono andare arditamente, & di buono animo, pensando fare cosa assai misericordiosa appresso DIO, & nel luogo, dove si vendono, bisogna, che eleggano i piu belli, & migliori che a vista giudicano; Anchora sono tenuti comperargli di danari non falsi, ma monete buone, & non venute di malo acquisto: che altramente il sacrificio sarebbe accetto, a quello, a cui havessero, o per rapina, o per contratto illicito i denari tolti: Il luogo, dove è consueto fare tal sacrificio, si chiama CANAARA, cio è luogo sacrificabile, nel quale sono molti macellari, i quali tagliano la gola come gli Hebrei, & ciò facendo dicono, BIZIMILLAI RAHEMAN AECHINI AC IOLUNA CORBUM ALA CHEBUL CHE LA, cioè, in nome di quello che ha fatto il cielo, & la terra, & tutte l'altre cose a honore, & riverentia sua sia tal sacrificio, & sua infinita bontà lo voglia accettare, & poi morti gli animali, d'una libra ne fanno molte parti, o pi, & dispensala a poveri cosi cruda, et sopra vi mettono del sale, & finita pagano il macellaro, & contentissi9mi tornano alle loro case. Anchora dicono ch'l sacrificio è duplicato, quando secretamente alcuno lo fa senza ad altri manifestarlo. E'l modo di sacrificare animali, dicono, che hebbe origine da Habraam, quando per divino comandamento andando a sacrificare il suo unigenito figliuolo Isaac, l'Angelo gli portò per volontà d'Iddio un bel castrato, comandandogli, che lasciata il figliuolo, di quello facesse il suo sacrificio, il quale era della sopradetta bellezza, & compartito di quelli colori. Usano anchora il sacrificio, quando havessero in casa alcuno amalato, come voto; perche sperano la liberatione della sua infermità, come fu dal sacrificio libero Isaac, & di questo posson mangiare, & cosi con bestie a loro costumi, & a loro medesimi similissime pensano piacere à Dio.
DELLA ELEMOSINA. CAPITOLO XI
La elemosina, comandata alla Maometthana gente, dicono doversi fare a poveri senza che e la domandino. Perche domandandola, non vi sarebbe si gran merito, che senza domanda sarebbe comunemente. La plebe è tenuta fare elemosina di continovo, & i ricchi, come sono di sostanze, cosi debbono essere di carita, & però son tenuti cercare, se nelle loro contrade fosse alcun vecchio, o qualche vedova con figliuoli, che non havesson modo per lor medesimi sostentargli, & secretamente per loro servidori mandare a visitargli, & mandar lor danari, & altre robbe, che al lor vivere fossero necessarie. Aggiungono dover vestire i nudi, & dar da mangiare a gli affamati, perche queste sono l'opere della misericordia. Truovano anchora nel loro libro CORAAM, che chi sapesse il merito della elemosina, verrebbe a tagliare della sua propria carne, & dare a poveri la elimosina, & se sapessero quelli, che la domandano, la punitione, che loro è ordinata, si mangierebbono la propria carne piu tosto, che domandarla: perche truovano scritto, ET SADECCATUL, BALLA ALI: che vuol dire; che la elimosina, che fa l'huomo, gli leva tutte le tribolationi, che gli sono mai apparecchiate, & che queste cascano insieme con la elemosino sopra il povero, che la riceve: La onde i poveri per tal cagione non istanno mai sani de loro corpi, ma sono d'ogni dolore copiosissimi.
ESPOSITIONE DEL SETTIMO COMANDAMENTO, CAP. XII
Il settimo comandamento è, che ogni Maometthano, essendo d'eta d'anni venticinque in circa, debba cercare di torre sposa, con intentione, & fermo proposito di moltiplicare, & crescere tra le genti, eleggendone una a suo piacere: rimosso non di meno ogni disiderio di lussuriosa fornicatione per qualunque appetito di ricchezze: percioche debbono seguitare quello ordine, che DIO diede ad Adam, quando gli concesse Eva in sua consorte, che l'hebbe non altramente, che egli creata l'havesse, & non per altro, che per sola moltiplicatione del mondo. Aggiungono anchora essere di maggiore stima le fiere, & gli animali senza ragione, & le vegetative piante, dalle quali si riporta frutto; che gli huomini senza lodevole compagnia: et dicon que tali che sono senza donna, non esser giusti, ne anche osservare i comandamenti di DIO, & presa la donna, dicono che'l marito la dee menare a casa sua, non con trombe, & suoni, ma con divine cerimonie, & laudi: & havendola condotta a casa, allhora dalla matrimoniale congiuntione debbono stare insieme con gran timor di DIO, & humilmente pregarlo, che voglia per lungo tempo pacificamente conservargli insieme, & che gli voglia guardare dall'ira, & violentia diabolica, che non metta tra loro divisione; poscia la donna si dee proferire al marito suggetta, & quivi insieme con sincera intentione far preghi a DIO, che gli voglia concedere qualche figliuolo; & fatte queste lor cerimonie, debbono andarsene a dormire, & consumare il matrimonio in luogo oscurissimo, dove non altro che tenebre veder si possa; perche l'huomo non vegga la vergogna della donna, ne la donna quella de l'huomo. Et venuto il giorno, il marito per obligo della legge è costretto domandar la donna, se sa leggere, perche non sapendo, bisogna, che egli le mostri di giorno in giorno: & questo medesimo dee fare la donna, se'l marito fosse idiota. Et guardansi che non siano amendue senza virtu, perche dicono; TIRCIUR BIRICI IEDICES ICHISI CIVCVRA DVSCER; che vuol dire; Se l'uno cieco guida un'altro, cascheranno tutti e due in una fossa: si come habbiamo noi per volgar proverbio nostro: & questo era il matrimonio antico de Mahomettani, & molti anchora al presente l'usano: purche non sa dimenticare antica usanza una vergogna nuova.
DEL MATRIMONIO, CH'USANO AL PRESENTE IN TURCHIA, CAPITOLO XIII
Il matrimonio, che usano al presente i Turchi, si puo chiamare una strana lussuria, piu tosto che matrimonio; percioche e l'usano con le solennità altrimenti che facesser gli antichi i Baccanali: perche primieramente stando accesi d'amore, o vogliam dire, di carnale congiuntione d'alcuna donna, la domandano al padre per moglie; & il padrea, che di tal cosa s'è bene accorto, gli domanda (come è di Turchesca usanza) certa quantita di danari, piu, o meno, secondo la lor possibilita: i quali chiamano CHEBIN, cio è dote; percio che come noi in Christianità usiamo, che le donne diano la dote a mariti; cosi i mariti per contrario dotano le loro spose; & questo fanno avanti, che la donna esca dalla paterna casa. Et di quegli danari il padre ne fa vestimenti per la fanciulla, con altri fornimenti, che le fan mestiero: Et la madre, con altre donne sue parenti, venendo il tempo del maritaggio, vanno di casa in casa, vergini, & maritate convitando, che vengano al trionfo del maritaggio della sua figluola & conviteranno quivi cento, o dugento donne, secondo che possano le loro faculta a far loro honore. In questo mezo il marito manda tuttavia a sollecitare, che piu tosto che si possa, la sposa a casa sua si conferisca, & per la buona nuovaall'apportatore danno qualche camicia, e fazzoletti lavorati, & cose simili, e'l padre, & la madre del marito fra tanto fanno preparationi di profumi, & zuccheri parte lavorati con una certa polvere chiamata CHENA, di colore di spetie: Et queste cose in bacili d'argento coperti con panni ricamati, fanno portare a fanciulli con vari stormenti innanzi, come tamburi, & trombette; et portano tutto a casa della sposa, dove truovano tutte le donne, ch'l giorno avanti erano state convitate, le quali si fan loro incontro, & con gran riverenza ricevono le sopraddette cose, & le portano in casa della sposa, & fatta coletione, tutti se ne tornano a casa, havendo dato ordine col padre della sposa per la seguente mattina. La onde il padre del marito convita gran numero d'huomini, tutti bene a cavallo, & quando il Sole arriva all'Occidente, incominciano a tirar fuochi artificiati in varie guise, si come per alcuna allegrezza nelle terre nostre si fa di razi: Et finiti i giuochi, le donne si pongono sopra la terra per ordine sopra tappeti per mangiare, & con la sposa in mezo di loro: Havendo dato fine al pasto, alcune di loro suonano Arpe, & Viuole, & altri istrumenti con loro accordata musica per insino alla meza notte: Dipoi spogliano la sposa, & menanla ne la Stufa, la dove la lavano con acqua di soavi odori & pigliano di quella sopradetta polvere CHENA & con acqua calda la distemperano dentro d'un vaso; & le impastano i capelli & le mani in forma di scacchi, & i piedi dipingono a fiori, & di sopra con varie foggie di pitture insino a meza gamba: cosi anchora si dipingono il dito grosso della destra mano tutte l'altre donne con la medesima polvere, per mostrare d'essere delle convitate: Dipoi per ispatio di un'hora, quando sono asciutte, si tronano a lavare, & in quel luogo, dove era la CHENA, resta un bel giallo, che par proprio di color d'oro, & quivi si vestono in vari modi: alla sposa intrecciano i capelli. In questo le donne suonano piu forte i loro istrumenti, vedendo, che la sposa viene.
DE GIUOCHI CHE FANNO, QUANDO LA SPOSA ESCE DELLA STUFA, CAPITOLO XIIII
Quando la sposa è ben lavata, & vestita, & se ne viene fuori della Stufa, incominciano vari balli alla Turchesca assai piacevoli, & cantano vaghi motti, & amorose rime a modo loro concordate dolcemente con suoni de gli stormenti, dando opera a tali piaceri insino a tanto, che si sente per tutto cantare i galli, fra questo tempo spassandosi le donne festevolmente, dato ordine, dove habbiano a dormire tutte, & venendo l'hora, che i galli cantano, tutte con la sposa insieme, & con gran furia, & non con minor voce gridano, CACCIALUMCACCIALUM, cioè fuggiamo, che i galli cantano, & faticati da piaceri & parimenti da soverchi cibi, s'avviano a dormire: & la mattina, quando si scorge il Sole per tutto, prestamente si levano, & si mettono intorno alla sposa, aiutandola vestire, & delli ornamenti insieme: & quivi alcune donne con parole facete la motteggiano delle cose, che le debbono intravenire col marito la seguente notte. Et stanno tanto in questi piaceri, che'l sagdich (che è il parente piu prossimo del marito) la viene a pigliare: il cui ufficio è mettere il marito, & la moglie insieme.
COME VA LA SPOSA A CASA DEL MARITO. CAPITOLO XV
La seguente mattina per tempo tutti gli huomini convitati compariscono a casa del marito bene a cavallo con belli ornamenti, in compagnia del loro principale sopradetto Sagdich, & domandano il marito, se è di sua volontà, che vadano per la sposa: il quale prestamente da lor licentia, & s'avviano a due a due verso la casa della donna, & menano con loro un cavallo non meno ornato, che mansueto, sopra del quale dee venir la sposa, & anchora molti muli, per portare i suoi donamenti: & giunti che sono alla casa il Sagdich scende da cavallo per pigliar la sposa, & le donne gl'impediscono l'entrare in casa, infino a tanto, che non usa lor qualche cortesia. In questo mezo le donne mettono alla sposa un paio di calzoni di taffetta chermisino, con tanti nodi, che è di bisogno al marito adoperare oltre le mani anchora i denti per islegargli. Et cio fatto, il Sagdich esce fuor con la sposa, accompagnata con gran numero di donne, & d'istrumenti. In questo s'affaticano al sonare dicendo, CIALLA CIALLA; cio è che la sposa s'appropinqua: venuta la mettono a cavallo, & sotto uno bellissimo baldacchino portato da parecchi giovani molto bene in ordine, le fanno sino a casa del merito festevola compagnia & sopra ogni lancia del baldachino pongono un fazzoletto raccamato per li portatori d'esso. La sposa sta tutta coperta d'un taffetà rosso, & con la mano in capo a cavallo, & per la strada, & piazze fanno correre i cavalli &variati giuochi. Essendo arrivati a casa del marito, scavalcano sopra tappeti, & panni di seta, dipoi lo sposo rende gratie alle genti per la compagnia, che hanno fatta, & cosi la maggior parte se ne torna a casa sua: & ogniuno de convitati dona alla sposa alcuni presenti, posandogli in un baccile, che sta sopra la porta per questo effetto. Venendo la sera, lo Sagdich spoglia il marito, & una donna chiamata Tengegola, spoglia la sposa, & li mettono ne la camera a dormire, & vannosi a solazzo, & cosi di comune concordia vanno a dormire insieme. Dipoi la mattina per tempo vengono i compagni a casa del marito, con parte di quelli, che erano convitati, & fannolo subitamente vestire, lasciando la sposa nel letto, & lo conducono nella Stufa per lavarsi: & quivi mentre egli si lava, nascosamente gli togliono i panni, lasciandolo di tutto ignudo, tanto che è bisogno che'l padre lo provegga d'altri vestimenti, accioch'e possa uscire fuor della Stufa. Et quello è il matrimonio de Turchi, assai veramente alieno da comandamenti della lor legge, & anchora non contenti d'una sola donna, ne pigliano due, o tre, & non havendone figluoli, la lasciano, come è di lor propria volontà, & così passano la lor vita in queste guise, come fiere, & come Turchi.
ESPOSITIONE DELL'OTTAVO, & ULTIMO COMANDAMENTO. CAPITOLO XVI
L'Ottavo, et ultimo lor precetto è, Che niuno debba metter la mano nellaltrui sangue: concio sia che questo sia ufficio della divina providentia, terminare i nostri giorni, come è di suo antiveduto ordine, & volonta. Truovano nel sopradetto CORAAM, DIO haver questo peccato in grande odio, & per cosa sommamente abominevole: Percioche questo fu il secondo peccato fatto mai al mondo, commesso per estrema invidia del maledetto Caim, quando al suo fratello, vedendo, che'l suo sacrificio era accetto a Dio, diede morte, et cosi fu esso il primo, che bagnasse la terra del sangue humano, donde poi levato in superbia, in molti diformi vitij per tal cagione incorse: concio sia che commesso il maggior peccato, de gli altri faceva poca, o nulla stima: il perche DIO datagli la sua maledittione, lo condusse a quel fine, che egli haveva fatto fare al suo fratello. Piu oltre anchora si truovano nel detto libro, che Caim dee essere il primo, che debba andare all'inferno: perche dicono niuna anima infino al giorno del giuditio potere andare all'inferno, ma che stanno tutte in questo mezo del purgatorio; & cosi poi Caim sara il primo; & dopo di lui seguitera la squadra de Micidiali. Sopragiungono anchora, che quando DIO diede la Maladittione a Caim, la diede parimente a quelli, che commettessero homicidio: Et tali peccatori da DIO maladetti, mai non possono essere contenti de gli animi loro, ne per alcuna allegrezza allegri: ma che continuamente tal delitto gli roda dentro, & perturbi ogni lor pace: & le piu volte per divina giustizia muiono d'una istessa morte. Oltre a cio dicono, che quando si commette homicidio, il sangue corre subito al Cielo a dimandar giustizia, & hanno per fermo, che DIO non perdoni mai tal peccato, se bene di tutti gli altri è misericordioso. Ma se a caso alcuno o inavedutamente, o per sua salvatione, ò contra gl'infedeli, ò per lecita guerra in difensione de suoi signori commettesse homicidio, hanno speranza, che DIO in questo modo gli sarebbe misericordioso: ma in tutti i modi l'huomo si dee sforzare, di non incorrere in tal peccato. Quanto adunque noi Christiani dobbiamo essere dall'homicidio alieni, quando i Turchi, che le piu volte seguitano le vestigia delle nostre fiere, hanno per cosa enormissima tale eccesso?
ET QUESTI SONO I COMANDAMENTI DELLA TURCHESCA LEGGE
SEGUITANO GLI ALTRI PECCATI
Hanno anchora i Mahomethani oltre a loro comandamenti, sette peccati mortali, si come sono appresso di noi Christiani: cio è, Superbia, Avaritia, Lussura, Ira, Invidia, Accidia, & Gola: i quali stimano esser tanto grandi, che ogniuno d'essi solo sarebbe bastevole a dannare uno huomo.
DEL PECCATO DELLA SUPERBIA
La Superbia tra gli altri peccati mortali è il primo, si come i superbi vogliono essere superiori sopra gli altri: Et dicono i Turchi, che questo è gran peccato tra tutti: per cio che egli anchor sanno, come DIO per la superbia di Lucifero lo mando dal piu alto luogo nel piu basso, & d'un bellissimo in un piu brutto, cio è nel centro della terra, dove con sole tenebre si dimora, & d'una delle piu belle cose da DIO creata, divenne la piu diforme in un momento, & quivi havrà anchora di molti seguaci, come sono questi superbi, che non solo le lor ricchezze da DIO date non conoscono, ma anchora per picciol travaglio della volubil' fortuna, & del loro mal governo, & viver causato lo bestemmiano, & fannogli, di che piu dovrebbono esser patienti, continovamente ingiuria: aggiungono anchora a questo peccato, le beffe che i ricchi si fanno de poveri; i quali per aventura sono piu degni delle lor ricchezze, che essi stessi, & ben sanno, che se e son piu ricchi di sustanze, che gli altri poveri son piu ricchi della gratia di DIO, che al giorno del giuditio a loro mal grado staranno sotto lor piante: Et pero debbono ringratiare Dio; & se egli ha fatto lor si gran dono di ricchezze, non dee parere loro strano farne un poco di parte all'altre sue povere creature.
DEL PECCATO DELLA AVARITIA. CAPITOLO XVIII
Il peccato della Avaritia dicono essere radice di molti altri vitij, la onde ammoniscono doversi fuggire sommamente: & di cio ne aducono uno ottimo esempio, cio è, che essndo Mose un giorno nel monte Sinaì, domando a DIO in singolar gratia che gli mostrasse, qual'huomo egli havesse piu in odio: onde e' gli disse, che andasse ne la citta, ove era la sua habitatione in un luogo remotissimo, nel quale era fondato un Romitorio, ove habitava un'huomo chiamato Bausseza Caldeo, che continovamente stava a leggere, & non usciva mai allo scoperto, senon di diece in diece giorni, & quivi havea da DIO di giorno in giorno una certa ordinaria provisione di due pomi granati per il suo vivere, de quali ne mangiava uno, & dell'altro faceva diligente custodia, dubitando, che per qualche tempo questa gratia non gli havesse a mancare; & cosi era avarissimo a se stesso di quello, che DIO gli era donatore liberalissimo: Hora Moyse andò al detto luogo & trovò che leggeva con quella obedientia, che più si conveniva: Dipoi gli nacque subita maraviglia, vedendo la Cella tutta piena di pomi l'uno sopra l'altro, i quali per la vecchiessa erano piu parte marci, il perche Moyse a questa guisa gli parlò: cio è, domandandolo, qual vita fosse la sua: onde egli non meno di potentia privo, che d'avaritia copioso; Rispose, che la sua era vita di cane. Ma Moyse piu oltre seguitando disse: Come leggi tu continovamente, non altrimenti che si facciano i Filosofi; & hora fai risposta da quelli, che mai non havessero aperto libro? Hor dimmi, donde cio sia? Rispose, che veramente tutto il giorno leggeva, & questo faceva solo, perche DIO gli volesse accrescere la sua provisione, & mai per quanto egli havesse letto, non gliele haveva accresciuta. All'hora Moyse rispose; Non ti bastavano eglino due pomi per tutto il giorno? a me pare veramente, che ti siano la metà d'essi soverchio: concio sia che la casa ne stia piu, che di libri piena: Donde egli disse, che si risparmiava di mangiargli, & facevane munitione, se a caso Dio gli mancasse di tale provisione, piu confidandosi nella sua avaritia, che ne la divina gratia: per la qual cosa comprese Moyse, che per la sua avaritia era tanto in odio a Dio, & prese da lui licentia, ringratiando Iddio, che gli haveva fatto vedere tale esempio: & pero conoscono, quanto sia uno avaro fuori della gratia di DIO, & prese da lui licentia, ringratiando Iddio, che gli haveva fatto vedere tale esempio: & pero conoscono, quanto sia uno avaro fuori della gratia di DIO, al quale tanto manca quello che possiede, quanto quello che ha ò è per havere: Onde i piu dotti, & quegli che come huomini si governano per stremissima loro ingiuria pregano che la lor vita duri lunghissimo tempo; accioche lunghissimo tempo vivano in miseria.
DEL VITIO DELLA LUSSURIA. CAPITOLO XIX
Il Vitio della lussuria hanno anchora i Mahomettanei per cosa in tutto abominabile. Perche secondo la lor legge, tutti sono costretti pigliar legittima sposa per tor via questo peccato, et ogni altra fornicatione: Ma si come de gli altri peccati sono ben vestiti, cosi di questo non sono per alcun tempo nudi: Concio sia che oltre le donne sono molto imbrattati del vitio della Sodomia in modo tale, che non è possibile per alcuna via e se ne possano astenere: & perche tutti sono macchiati di questa puzza, tra loro non ne danno punitione, & hanno nel loro CORAAM, che quelli, che usano usano questo vitio, son perduti in questo & de l'anima, & del corpo: & in alcuni libri restati di Mahomettho, dicono haverne veduta la esperientia, cio è, che uno huomo havendo un' paggio stimolato da tal vitio, spesse volte lo molestava: donde una volta dispiacendogli tale atto, si mise in fuga, & egli lo seguiva, mettendosi in possanza, & in animo di sforzarlo: ma egli tratto un pugnale, gli diede tante ferite, che a l'ultimo lo condusse amorte. Et cio vedendo i fratelli, presero il figlio, & menaronlo alla giustitia, accio che egli altre si morisse d'una istessa morte. Et quivi in carcere esaminato, & udito, perche havesse commesso l'homicidio, fu giudicato da Mahomettho, che e non doveva essere giustitiato; con cio sia che tali peccatori sono perduti in anima, & corpo avanti il fine della lor vita. Ma i fratelli, che non credevano, che'l giovane per simil caso gli havesse donata la morte, gridavano, che per giustitia si dovesse mettere al martoro. Allhora disse Mahomettho: andate a sepelire il corpo morto, & tenete guardia sopra la sepoltura, & domattina tornate à me, che vi faro giustitia: Di che eglino andarono, & custodirono con buona diligentia la sepoltura per quella notte, & ritornati disse loro Mahomettho; in che modo volevano, che'l garzone fosse giustitiato: & essi risposero, in quel modo, che egli haveva morto il loro fratello: Et Mahomettho disse, che guardassero, quante ferite egli haveva nel suo corpo: che similmente punirebbe l'homicida: Et andati per guardare, trovarono la sepoltura tutta nera, & di fetore piena senza il corpo dentro. Per la qual cosa tornarono a Mahomettho di maraviglia pieni, non sapendo, donde cio causato fosse: &e riferitogli il successo di quello, che havevano veduto, Mahomettho gli domando, se havevano ben guardata la sepoltura: & rispondendone egli di si. Disse, voi medesimi veder potete, che'l Diavolo ha portata l'anima, & il corpo suo via, però essendo stato il caso, come il giovane me lo ridice, non merita alcuna pena. Et perche ogniuno, che fara tal peccato, tema da Dio esserne in questa guisa punito, come voi medesimi havete veduto, per questo essendo da DIO maledetti, gli lasciamo vivere impuniti.
DELLA IRA. CAPITOLO XX
Tra gli altri peccati, il vitio dell'Ira è grandissimo: percioche dall'Ira nascono molte volte grandi i9nconvenienti, come homicidi, & insultationi non mediocri al prossimo; perche dicono l'huomo preso dall'Ira non essere in sua potesta, ma ne le forze di tal peccato, & secondo quello furiosamente governarsi: Anchora affermano essere gran peccato questo, percioche quando lo assalta l'Ira, non solo si dimentica incontanente di DIO, & de suoi beneficij (di che ricordarsi sempre doverebbe) ma se stesso pone in oblivione: donde nasce poi, che se stesso non conoscendo, d'un tal velame coperto non conosce anchora il prossimo suo, & cosi alle volte si prepara a flagellarlo; Et sarebbe pur convenevole, che lo amasse, & così l'huomo in tale stato, perche perde di vivere ogni ragione, è poco dissimile dalle fiere, & si come sta irato co'l prossimo, cosi parimenti non è nella gratia di DIO: & pero essi saviamente dicono, che si dee fuggire, & tor via ogni cagione, per non incorrere in questo vitio, & che tanto l'huomo stara appresso di Dio, quanto da questo, & da gli altri vitij sarà lontano, & se dimorasse in quella Ira per sette hore, che non facesse pace, & con quella venisse à morte, morirebbe dannato.
DEL PECCATO DELLA GOLA. CAPITOLO XXI
Non dicono, che sia molto minore il peccato della Gola, ne manco porgere à DIO dispiacimento, per che questo fu il primo peccato, che fosse fatto dopo la creatione del huomo: Però ammoniscono i loro Mahometthanei, che diligentemente lo schifino, quanto a lor sia possibile. Conciosia che questo peccato fu cagione, che Adam, & Eva del paradiso terrestre furo cacciati, & cosi una medesima punitione, & tanto piu iterata, quanto piu spesse volte havranno peccato, aspettino i Golosi. Anchora truovano nel lor libro ch'un'Romito in un'luogo salavatico, & lontano dalla Citta, dove huomini d'alcuna sorte mai non gli venivano alla presentia, menava si aspro vivere, che si poteva la sua solitaria, & austera vita in bere, & mangiare aguagliare, & fare uno istesso numero con gli animali, mai non mancando delle sue solite orationi. Hora avenne, che un giorno tra gli altri mangiò herbe per suo diletto, & appetito molto piu, che non era di sua consuetudine, & di soverchio: il perche gravato dalla superfluita del pasto, subitamente fu dal sonno preso sì fortemente, che egli si stette molto piu, che non era consueto: & quivi in sonno gli pareva giacer con una donna con gran suo piacere, & seco dishonestamente peccare: poscia quando il Sole all'Occaso s'appressava, risvegliandosi vide per l'aere un Diavolo passare con grandissimo impeto, carico di molte scritture. Onde egli lo chiamo: BREMELCON VECCHIAREL DURCHINI IVDV MIRSIN, che vuol dire ò inimico della fede, che sono quelle lettere che tu porti? & egli rispose: Romito, questi sono tutti i peccati, che ho potuto ricogliere, i quali sono stati solo in questi contorni commessi, & egli dubitando di se medesimo, domando, se per avventura l'havesse scritto: onde egli, senza fare altra risposta, gli mostrò subito il soprascritto della sua carta, & il Romito disse, in che cosa m'hai potuto cosi scrivere in questo giorno? E'l Diavolo rispose: questa mattina tu hai mangiato con maggiore licentia piu herbe, che non solevi, la cui superfluità t'ha prestamente indotto sonno, donde poi sognando è proceduto che per lo soverchio cibo sei cascato nel peccato della lussuria con quella donna, &hai lasciate le tue orationi: & pero mi sarebbe somma allegrezza, che ogni giorno mangiassi in quella guisa: Per cio che non pure un solo peccato, ma tre ne scriverei insieme aggiunti, & cio detto, con gran furia si parti: ma dipoi il Romito sopra questo pensando, pentuto, & tristo, si mise in penitentia, perche DIO gli usasse misericordia a questo errore. Donde i Turchi pigliano esempio, che se' il Romito peccò, che vivea d'herbe, beendo acqua, quanto maggiormente, quelli che pane, & carne usano in cibo, debbon guardarsi, essndo in maggior pericolo, che non sia dannata l'anima loro.
DEL PECCATO DELLA INVIDIA. CAPITOLO XXII
Il peccato della Invidia dicono essere il piu segreto peccato, che alcun commetter possa, conciosia che questo consista ne la propria mente del peccatore: & percio dicono i Mahometthani, ch'e non è possibile, che l'huomo invidioso si rallegra mai, ò sia contento d'alcun piacere, come che grandissimo sia: Perche la Invidia per vedere le cose prospere, & beni del prossimo, di continovo dentro lo consuma, & rode: Et tal peccatore ad uno albero agguagliano, che di fuori di bellissimo rende sembianza, & poi dentro da qualche animale è mangiato, & fracido si comprende: & hanno dal loro profeta Mahomettho, Queste parole; EL BECCHIALO, LAIEN CADUL GENETTI VELEV CHIANE, ZAIDEM: che vogliono significare, che niuno Mahometthaneo andera in paradiso, se ben fosse in tutte l'altre cose obediente a Dio, non essendo ben mondo, & ben lavato di questo vitio: per la qual cosa per salvatione dell'anime loro cercano, quanto è lor possibile, dalla Invidia lontanarsi.
DEL PECCATO DELLA ACCIDIA. CAPITOLO XXIII
L'Accidia dicono essere un peccato, quasi non conosciuto, causato per una certa diabolica negligentia, & pigritia, per la quale si pone in oblivione tutte le cose di Dio, & che sono in salute dell'anime loro, & dicono queste essere un peccato molto abbominevole presso di Dio, perche pare, che per una somma pigritia dall'altrui mal governo causata, si dispregi Dio, & le cose da lui create. Truovano ne lor libri, che nel tempo di Mahomettho, era un Re molto signoreggiato da questo vitio, in tanto che per accidiosa negligentia lasciava in bando ogni cosa, che a lui era il farla et d'honore, & non meno utile, che necessario, & conosceva tra se stesso, che'l Dimonio lo haveva a questa lunga consuetudine in tal modo legato, che non era possibile contradirli: Hora essnedo un giorno in letto fortemente accidioso, di molte sue fantasie solite circondato, qui vi vide un'Angelo in forma humana, che solo sopra i tetti in una hora in altre parti discorreva. Et vedendolo, lo chiamò subito, e dissegli, perche fosse, che egli andasse scorrendo i tetti, & fu subita sua risposta, che quivi con buona diligentia custodiva cimeli, & havendone perduta una parte, andava cercando se a parte, andava cercando, se a caso gli potesse in qualche luogo simile trovare: il Re soggiunse, veramente io credo, che tu sia fuori del ragionevol senso, ò qualche ladro, percio che quel, che tu dici, verisimile non mi pare, ne huomo di sana mente crederebbe, che i Cameli andassero sopra i tetti, anchora che non ho pure del tuo, si folle detto grandissima maraviglia, ma di te stesso, come qua tu sei salito non havendo scale: A cui egli rispose:egli è manco possibile senza ale andare in paradiso, & subito si partì. Per la qual cosa il Re rimase per lungo spatio in grandissimo pensiero, & stette per più tempo non meno di dubbi pieno, che di consueta accidia, cosidernado a sembianti quella persona, che gli haveva parlato, non essere come gli altri in guisa humana, ma al rispondere suo mostrava essere degli eletti del Paradiso. Tanto sopra à questo sovente imaginando comprese, che senza ale, cio è, senza buone opere era impossibile montare in Cielo, & cosi cominciò à sforzarsi fuggire questa pigritia, & farepedali, Chiese, Elemosine, & altre buone operationi, per modo tale che la sua sollecitudine vinse, & superò il peccato della accidia, conoscendo che Dio gli haveva (per cotal similitudine) mandata la sua gratia.
DELLE CHIESE, SPEDALI, ET RELIGIONI DE TURCHI, ET MODO DI MINISTRAR GIUSTITIA. INCOMINCIA IL LIBRO SECONDO
Sogliono le piu volte per natural costume quegli, che alcuni aspri monti arditamente poggiano, le stanche membra, non molti gradi anchora inalzatesi, ò sopra la nuda terra, ò sopra alcune felce riposare, & quivi il bel verde tutto intorno dolcemente vagheggiando, prendere soave aere, & alli affannosi spiriti dalle soverchie salme gravati sotto le amenissime ombre, il mormorar dolce delle vaghe frondi porger quiete, & con limpidi cristalli di sonanti rivi poetando scrivere: Talmente à me fare conviene che, che volendo alla sommita di questo mio faticoso monte pervenire, & queste mie vigilie agli auditori porgere egualmente, m'è paruto necessario, che spesso faccia alcuna posata, & dividere in tre parti queste mie fatiche. La onde havendo io infino à quidiscritti i fondamenti della lor fede, procederò più avanti delle loro OMESCHIT: che essendo io stato per anni cinque alla schuola de letterati studi, imparai à pieno tutte le cose necessarie della lor legge. Et uscendo fuori (percio che mi misero al servitio del gran Turco, nominato Sulthan Paiaxit) vidi poi tutto l'ordine, e'l mondo delle loro MESCCHIT, & Spedali: le quali cose hora, che DIO la sua merce, mi concede tempo, tutte scrivere in questo mio secondo libro novellamente mi prende disio.
DELLE CHIESE DELLA TURCHIA NOMINATE MESCHIT. CAPITOLO PRIMO
Le Chiese de Mahometthanei sono come le nostre in varie guise di grandezze. La prima Chiesa de la Turchia è in Costantinopoli, nominata Santa Sofia, la quale è fatta con una sola cupola al modo di S. Maria ritonda in Roma, se non che ella è di più latitudine, & di maggior altezza, & è tutta coperta di piombo, & dentro tutta di porfidi, & alabastri finissimi, & sonvi due fila di colonne di marmo lunghe, & di proportionata grossezza, che à pena due huomini le abbraccerebbono, & sopra à queste ve ne sono dell'altre, ma alquanto minori, sopra le quali si posa la detta Cupola; la quale è dentro fatta tutta à musaico, le porte sono assai belle, & convenevoli à tale edificio, tutte coperte di metallo: tra le quali, dicono, esservene una fatta de l'albero dell'Arca di Noe; & in quella hanno fatto tre pertugi per poter baciare detto legno, & pigliar la perdonanza: & questa Chiesa fu edificata da Christiani anticamente. I Turchi hanno al presente guasto tutti li altari, dove si diceva messa, & levate le figure, & se alcunave n'è restata di musaico, gli hanno cavati gli occhi: percio che essi non vogliono figure, ò imagini d'alcuna sorte, dicendo doversi adorare solo DIO, & non le mura, & le pitture: Le campane sono nel palazzo del gran Turco, il quale prima che io mi partissi, haveva disegnato farne Bombarde. Truovano al tempo di Sulthan Paiaxit, per una lor Pasqua, havervi numerato uscire xxxvimila Turchi, tutti quivi venuti per fare l'oratione: per la qual cosa, & per la bellezza, & grandezza sua; questa Santa Sofia ottiene il principato di tutte le loro OMESCHIT. La chiesa del padre di Sulthan Paiaxit, chiamato Sulthan Mahomet, è fatta in quella medesima guisa, senza figura alcuna, & dentro con lettere d'oro alla moresca: & similmente la chiesa di Sulthan Paiaxit: L'altre sono differentiate, alte, & basse in vari modi. I campanili, dove vanno i loro sacerdoti à cantare, quando è hora di venire allo OMESCHIT, sono (si come habbiamo detto sopra) altissimi, et tutti quanti in lumache: Le chiese grandi ne hanno due, le picciole un' solo. Dentro alle chiese non tengono altro, che libri, & lampade, & tappeti per poter fare la ortaione sopra la terra.In mezo di ciascuna sta un pergolo, dove i Sacerdoti diputati predicano alla gente: & da l'un canto hanno una scala di xxx gradi incirca, la quale ogni venerdì ordinariamente saglie un Sacerdote con una scimitarra alla Turchesca con molte cerimonie, & quivi in cima alla scala, quando il popolo ha fatto oratione, si leva in piedi, & comincia à leggere certi libri, ne quali si contengono i capitoli della vita di Mahomettho: & poscia mostra la spada dicendo, che si dee mantenere con la spada in mano à ciascuno, che volesse contradire alla loro fede.
DE GLI SPEDALI DELLA TURCHIA NOMINATI IMARETH. CAPITOLO II
Come le chiese, cosi sono variati i loro Spedali: de quali il primo è quello, che fece fare Sulthan Mahometh, padre di Sulthan Paiaxit: & poscia il figliuolo ne fece uno a quella similitudine, i quali amendue sono nella citta di Costantinopoli, dove sono anchora molti altri Spedali, ma non di quella grandezza, & cosi per tutta la Turchia generalmente fatti in guisa di chiese: & ciascuno ha xxv Cupole incirca, secondo che alla lor grandezza è convenevole, & sono tutte coperte di piombo, & nel mezo n'hanno unamaggior de l'altre, ne la quale mangiano i Sacerdoti, che sono ordinati in custodia delle chiese. Et sotto una parte di dette Cupole sono letti ordinati per alloggiare i forestieri: percio che à quanti huomini, che vi vanno, fanno le spese honoratamente, à essi, & à loro famigli & cavalli, per tre giorni continovi, & dipoi gli danno licentia. Sotto l'altra parte sono ordinati letti per tutti li ammalati, & quivi con gran dilegentia (non altrimenti che se fossero nelle proprie case) procurano la lor salute; & quando sono guariti, gli mandano alle loro stanze.. Dall'altra parte sono i letti per i Lebbrosi, non con minor cura governati, che i sopradetti, anzi tanto piu, quanto sono piu bisognosi, & vie piu di compassione degni, & questi dimorano quivi, quanto è loro di propria volontà. Oltre à questo sonvi spetierie, & medici, & altri alloggiamenti di Sacerdoti diputati al governo di tali infermi. Ne due Spedali primi sono sepeliti Sulthan Mahometth, & Sulthan Paiaxit: & questo fecero, accioche quegli, che quivi arrivassero dopo mangiare al rendere le gratie, pregassero DIO, per l'anime loro, dicendo; ALLA REHFMETILESON, cio è; DIO habbi di lor misericordia. Dopo i due Spedali ve ne son quattro altri a questi simili, l'uno edificato da Dauth Bascia, nel tempo di Sulthan Mahometh, l'altro da Maometth Bascia, il terzo da Alibascia, l'ultimo da Mustafa Bascia, nel tempo di Sulthan Paiaxit: il quale poi che l'hebbe finito, convitò il suo padrone à uno magnifico pasto, dove io con molti altri gioveni mi trovai: & questi sono gli Spedali, & loro ordini circa gl'infermi, i quali posseggono grandi entrate, per potere à bastanza far buon governo à bisognosi per salute de l'anime loro.
DEGLI ORDINI DE SACERDOTI DELLA TURCHIA. CAPITOLO III
Hanno i Mahometthanei i loro superiori, & primi Sacerdoti (si come habbiamo noi altri) & portano loro grandissima riverentia, de quali il primo è chiamato CALDELESCHER: & questo è superiore a gli altri, & ministratore di giustitia: Il secondo è detto MOSTI, il terzo CADI, il cui ufficio è tenere ragione al popolo. Dipoi sono i MODECIS, i quali hanno cura degli Spedali. Poi gli ANTIPPI, che con la spada igniuda leggono i capitoli sopra le scale della lor fede. Poscia gli IMAN, che dicono l'ufficio al popolo. Gli ultimi sono i MEIZINI, che servono, & chiamano la gente all'oratione sopra le torri. Hanno ancora i SOPHI, i quali cantano le laudi nel OMESCHIT. Et questi otto ordini sono quegli d'importanza. Hanno anchora un'altra sorte di Sacerdoti; cio è, i GIAMAILER, i CALENDER, i DERVISI, & i TORLACCHI, & questi sono genti, che non voglion lavorare, ma darsi buonissimo tempo, et cercare in tutti i modi (come che meno si gli convenga) i loro dishonestissimi appetiti, con disordinata vita, con perverse, & soperchie voglie del vitio della gola, della lussuria: & posposta ogni vergogna, ogni timore, di maligna fama s'imbrattano notte, & giorno nel vitio della bruttissima Sodomia: & così bestialmente si nutricano, parendo loro honestamente (come religiosi) vivere.
DEI TRE PRIMI SACERDOTI I QUALI MINISTRANO LA GIUSTITIA. CAPITOLO IIII
Il CALDELESCHER tra gli altri primo sacerdote, è uno huomo eletto, che sia il piu dotto della religione: percio che senza dottrina non è possibile vedere saggiamente (come conviene à simil giudice) l'altrui ragioni, & consigliare a se stesso, & esser bene risoluto ne la dubieta del giudicare, che le piu volte occorrono: eleggonlo di compiuta eta, accio che essendo vecchio, per amor di donne non posponesse la giustitia: & perche gli altri vecchi non si maraviglino, essendo egli eletto giovane, stimandosi, che anchor che fosse cosi giovane d'anni, & di consiglio insieme, che altrimenti pensano vedendolo vecchio: per che la lunga età ha lunga esperientia, & piu dottrina: & però puo piu avedutamente la giustitia mantenere; la quale non dee giamai macchiare per vincolo d'amicitia, ò parentela, ne torre altrui le sue ragioni in alcun modo. Questo Cadelescher possiede grandissima entrata da gran Turco: accioche non habbia cagione per suoi bisogni, ò per cupidita di male governare, & cosi corrotto lui da danari corrompesse: Il che non sarebbe senza suo grave danno, & vituperio della giustitia: & quando per caso s'appella à sue sententie, si ricorre al MOPHTI, & sotto questi due sta il Cadi, il quale quando accade cosa di grande importantia, si consiglia col Cadelescher, & insieme proveggono a tutto quello, che fa bisogno; & cosi tutti e tre esseguiscono la giustitia, qualunque si sia ò buona, ò trista, ò male osservata per tutta la Turchia generalmente.
DEL MODO, CHE'L CALDELESCHER MINISTRA LA GIUSTITIA IN TURCHIA. CAPITOLO V
Quando al Giudice primo Cadelescher pervengono due differenti, ò pure un' solo per debito, ò veramente accusati d'homicidio, ò d'altro vitio, se la causa è piana, & per se stessa chiara, egli, ascoltata l'una, & l'altra parte, brevemente secondo i loro libri usa giustitia, & quindi fa esaminare i testimoni, & procede con moderato ordine de diffrerenti, & se la causa fosse criminale, la mandano al Subasci, cio è al Governatore: il quale fattogli con martiri confessare il commesso errore, se è cosa di latrocinio, lo sententiano alle forche, se è d'homicidio gli tagliano la testa, se contra la legge, lo giudicano al fuoco, se è cosa di tradimento, lo' impalano, se è contra il Reame, lo condannano ad essere strascinato à coda di cavallo per tutta la città visibilmente. Et se havesse guastato membro, ò cavato occhio, quella istessa pena del medesimo membro lo condannano sopportare: & questo Subasci tiene tutti i malfattori presso di se, & ha anchora potesta sopra tutte le meretrici di quella città, & di tutte quelle donne che commettono alcun male. Percio che il Cadelescher da la sententia, & non s'impaccia piu avanti: perche il Subasci fa poi la esecutione; & se alcuna parte citata non convenisse alla ragione, il Cadelescher ha espressa authorita di fargli tagliare il naso, & privarlo di tutte le sue ragioni.
DELLA PENA DE TESTIMONI FALSI. CAPITOLO VI
Trovati i testimoni dell'una delle due parti essere apertamente falsi, & per denari, ò altramenti fossero stato condotti a testificare cosa lungi dalla verità, il Cadelescher tosto gli fa pigliare, & spogliare in camicia, & poi con negro inchiostro, o con fuliggine di camino gli fa tignere tutta la faccia, e fagli mettere sopra d'un somaro al contrario col volto verso dietro, & in vece di briglia gli danno la coda in mano, mettendogli in testa per ogni introno pelli puzzolenti di buoi, & di cavalli morti di molti giorni, che le budelle gli pendono alle volte giu per le spalle, & ne la fronte del somaro pongono una scritta a lettere grosse (accioche ogniuno la possa leggere di lontano) come sono testimoni falsi, & cosi gli vanno vituperando per tutta la terra à suono di corni, & colpi di melarance: & non è minore il danno per loro, & la pena che la vergogna. Poscia tornati a casa (non altrimenti che noi facciamo a malfattori) gli mercano in tre luoghi, ne la fronte, & nell'una, & nell'altra guancia, & se non fosse per cagione di non fare una croce, che poi per quella passasse Christiano anchora sotto la bocca lo mercarebbono. Segnati che sono, gli lasciano andare, & mai piu non possono testificare alcuna cosa; & non essendo i testimoni falsi, il Cadelescher da sententia prestamente, et essendo causa pecuniaria gli mette in carcere condannati fino à tanto, habbino trovato modi di sodisfare il debito.
DELLA POTESTA DEL CADI NE LA GIUSTITIA. CAPITOLO VII
La potesta del CADI si estende circa le cose, che non sono d'una grande importanza, & le piu volte le cause sue sono pecuniarie: le quali esso sommariamente espedisce, & bastano alla pruova solo tre testimoni; & se fosser donne, non possono essere manco di nove, & è una pruova, che ne pigliano tre per un testimone, & veduta l'una & l'altra parte, & trovati testimoni d'accordo il CADI da loro prestamente sentenza, & cio fatto, fa fare un circulo sopra la terra à piedi del debitore con un carbone, faccendogli poi comandamento, che indi non si parta infino a tanto, che egli non habbia al creditore di tutti i suoi debiti sadisfatto: ma con consentimento del CADI lasciando pegno recipiente, o vero dando buona sicurta, si puo partire: similmente tutti quegli huomini, & donne, che si congiungono per matrimonio, vanno in prima al CADI per la licentia. Diche fa scrivere i nomi del marito, & della moglie, & l'anno, e'l mese, e'l giorno che fu fatto tal matrimonio, & con che conditioni, promissioni, o pagamento di dote, accio che se mai col tempo accadesse tra loro alcuna diffrentia, si truovi scritto ogni loro intentione. E per questo si paga al CADI un ducato, & piu, & meno secondo la qualità delle persone che si congiungono. Oltre a questo è uffitio, & authorita da CADI, di castigare, & correggere in varie guise quegli, che non andassero allo OMESCHIT, & cosi quegli, che beessero vino,o non digiunassero nel mese ordinato tra loro, & quegli, che passando per la strada non si salutano l'un l'altro per ogni tempo, & parimenti quegli, che bestemiano, maledicono, ò parlano dishoneste parole, & trovando in cio alcuni difettosi, gli castiga con bastonate (come dicemmo di sopra) faccendo lor pagare per doppia pena per ogni bastonata un'aspro, & puo mandare per le provincie spie, & investigatori per intendere di quegli, che si portano male l'un con l'altro, & castigargli, & punirgli secondo il merito de peccati, & se gl'inquisitori trovassero per aventura alcuno huomo, ò donna, che non sapesse leggere, li puniscono, & à l'huomo per piu sua vergogna tagliano i peli della barba. Et in questo modo vanno discorrendo per tutte le provincie della Turchia, faccendo di tutte le cose contra la lor legge giustitia.
DELLA POTESTA DEL SUBASCI, CIO E' GOVERNATORE. CAPITOLO VIII
Il Subasci, cio è Governatore, tiene in custodia tutti i prigionieri cosi di cause criminali, come dell'altre, & ha authorita pigliare ladri, assassini, imbriachi, & d'ogni sorte di malfattori che gli capitano innanzi, & ha buona cura per tutte le strade, & tiene sotto di se un capitano con molta famiglia, chiamato ASSABASCIA, il quale discorre tutta la notte insieme col giorno la citta, cercando di quegli, che hanno piu piacere di far male, che disio di bene, et castigargli; accio che eglino per timore della pena, & parimenti per ricordanza s'astengano da tali errori, & à gli altri col loro essempio togliano del mal fare la volonta, & se la notte vedessero alcuno malfattore entrare in qualche casa, subito lo pigliano, & trovandolo esser ladro, lo impiccano la seguente mattina: & se è innamorato, che andasse quivi per qualche donna, gli pigliano amendue, & la matina gli menano alSUBASCI, che ne faccia giustitia; il quale fa prestamente mettere la donna sopra uno somaro in quella guisa, che i falsi testimoni, & con un paro di corna di Cervo in testa, & lo innamorato mena il somaro, al quale hanno tinti gli occhi, & cosi con vituperio gli svergognano per la città à suoni di corni, & colpi di melarance, & rape, & di poi tornati a casa, alla donna fanno pagare la vettura del somaro per suo maggiore scorno, & à l'huomo danno cento bastonate, faccendogli pagare un'aspro per ciascuna secondo il lor consueto.
COME IL SUBASCI FA GIUSTITIA DE PESI, CHE NON SON GIUSTI. CAPITOLO IX
Per usanza il SUBASCI di giorno comparte tutta la sua famiglia per le contrade della Citta, & ciascuno va vedendo quello, che si vende, & compera, & de gli schiavi che si fuggano, similmente dove è più moltitudine di gente, se vi fosse alcuno di questi tagliaborse, & cercano de tavernari, a fruttaroli, & à ogni sorte di venditori, se i pesi suoi sono giusti: & non essendo, gli pigliano, & condannano alla pena à lui convenevole. Cosi cercano anchora a i fornari, se i pani, che vendono, son di peso, ò se fosser mal cotti, che non essendo cotti bene, gli togliono, & portanli a poversi prigionieri; & se alcuno trovassero, che non vendesse le cose per giusto prezzo, lo menano al SUBASCI, il quale per sua punitione, & vergogna gli mette al collo una tavola, donde pendono molte campane, che poi sonando oltre modo le genti chiamano di lontano: & cosi lo conducono, ove sono quegli, che di simili cose, che egli con falso peso vendeva, sogliono essere venditori, & ritornatolo à casa gli danno venti bastonate, pagando un'aspro per ciascuna.
DELLE QUATTRO RELIGIONI DELLA TURCHIA, CIO E' GIOMAILER, CALENDER, DERVISI, & TORLACHI. CAPITOLO X
La religione de GIOMAILER è poco lungi da mondani, & la maggior parte sono huomini di statura di corpo bellissimi, i quali comunemente si dilettano di scorrere vari paesi, si come la Barbaria, la Persia, l'India, & la Turchia tutta, per vedere, & intendere le cose del mondo. De quali la maggior parte sono ottimi artigiani, & sanno ordinatamente render conto di tutti i luoghi, dove hanno fatti viaggi: Et per poter meglio d'ogni cosa rendere risposta, scrivono tutti i loro viaggi, & paesi, che eglino hanno per tutto il tempo della vita loro trascorsi, & quasi tutti questi sono figliuoli di Gentili huomini, non meno di ricchezze, & che di nobilta di sangue, & sono tutti bene letterati: per cio che infino dalla eta tenera danno opera à gli studi; Il lor vestire il piu volte è pavonazzo, il quale portano senza cucire alle spalle avoltato intorno: hanno cinture non di mediocre bellezza tutte d'oro, & di seta ricamate, alle punte delle quali usano certi sonagli d'argento con misture d'altri metalli, che rendono dappresso, & di lontano suono molto soave: & ciascuno di lor ne porta ordinariamente cinque, ò sei attaccati alle cinture, ò vero alle ginocchia; sopra alle spalle portano una pelle di Leone, & di Leopardo, & di Tigre, & di Pantera, & l'una, & l'altra gamba legano insieme sopra gli homeri, ò vero dinanzi all'orecchie: portano certi anelli d'argento, & li capelli giu per le spalle lunghissimi non altrimenti, che si portino le nostre donne, & per fargli piu lunghi, usano continovi artificij, come tormentina, & vernice, con le quali anchora molte fiate compongono insieme i peli co quali si fa il ciambellotto, & i loro capegli, accio che da lungi mostrino essere di maravigliosa bellezza, & lunghezza, ne quali piu studiano, che nelle proprie mercantie, delle quali eglino n'hanno la vita; usano generalmente portare un libretto in mano, scritto in lingua persiana, di canzoni, & sonetti amorosi secondo la consuetudine delle rime loro. Vanno anchora con la testa scoperta, & in piedi portano scarpe tessute di corde; & essendo loro una buona compagnia, quelli songli fanno insieme si accordato suono, che non mezanamente suole aggradare àgli ascoltanti; & se per caso per le strade truovano alcun bel giovane, subito gli fanno una bella musica, mettendolo tra loro in mezo; talmente che tutte le genti quivi traggono ad ascoltargli: Et mentre fanno tal canto, suonano solamente un sonaglio per huomo, faccendo tenore, & altri canti concordanti all'altre voci: & poscia suonano tutti quegli delle cinture, & delle gambe; & vanno visitando con modi simili tutti li artigiani, i quali donan loro un'aspro per ciascuno; & questi sono quelli, che segretamente incendono le donne di soverchio amore verso di loro, & degli altri giovani; & vannosi trionfando per tutte quelle terre, & que paesi, che loro aggrada il ricercargli: & chiamansi da Mahometthanei huomini della Religione d'amore, & non d'osservantia: come è in effetto: che se cio fosse appresso di noi, la maggior parte de gli huomini sarebbono nel la gioventu loro in queste guise religiosi.
DELLA RELIGIONE DE CALANDER. CAPITOLO XI
La religione de CALANDER è da questa molto diversa, massime, che gli osservatori d'essa sono la maggior parte vergini, & hanno per loro uso certe chiese chiamate TECCHIE; dove sopra le porte scrivono queste parole CAEDONORUMAC, DIL ERSIN CV SCIVNGE, ALCHACHECCIVR; cio è; chi vuole entrare in quella religione, debba operare, si come essi stando in virginita: Questi vestono con questi quadre à modo di lenzuoli, & sono tessute di lana, & di pelo cavallino, & ordinariamente non portano capegli, ma in testa usano certe berrette, come i capelli de Sacerdoti Greci: à quali tengono frange lunghe un palme, & stanno dure; percio che son fatte setole di cavallo. Portano alle orecchie anelli di ferro, & similmente al collo, & alle braccia: sotto il membro virile forano la pelle, & vi mettono uno anello di fero, ò d'argento, accioche non possano usare la lussuria in alcun modo, avvenga che n'havesson & disidero, & commodita. Questi vanno leggendo compositioni volgari, composte anticamente da un loro NERZIMI in quel tempo huomo primo della loro religione: il quale, perche disse alcune cose contra la legge, fu per giustitia in AGIAMIA scorticato: vivono di elemosine, & seguitano quello ordine di NERZIMI; & io per haver letto parte de suoi libri, ho compreso chiaramente come egli teneva molto la parte della Christiana fede: ne la quale con molti Laudi scrisse alcune cose assai dotte, & per le rime assai piacevoli.
DELLA RELIGIONE DE DERVISI. CAPITOLO XII
I DERVISI sono gente molto allegra, & usano per lor vestire pelli di castrato seccato al Sole, delle quali ne portano due sopra le spalle, coprendosi le vergogne dinanzi, & dietro, & vanno di tutto il resto ignudi senza alcuni peli per tutta la lor persona, & ciascuno d'essi porta in mano un bastone, non manco grosso, che lungo, & tutto fatto à nodi, in testa una berretta bianca aguzza, & di lunghezza un palmo: hanno l'orecchie forate, dove portano certi anelli di pietre finissime, & di diaspri, hanno assai luoghi per la Turchia dove habitano, & dove albergano i viandanti; la state non mangiano in casa loro, vivono di elemosine, le quali domandano con queste parole; SCIAIMER DANESCHINE, cioè fateci elemosina per amor di quel valente huomo chiamato Ali, genero di Mahomettho, il quale è stato il primo nel esercitio dell'armi, tra voi altri Mahometthanei. Hanno anchora nella Natolia il sepolcro d'un'altro, chiamato SCIDI BATTAL: che dicono essere colui che, per lo quale la maggior parte della Turchia s'è conquistata: & quivi hanno una loro stanza, dove ne stanno di loro un numero di piu di cinquecento, & ogni anno ivi sogliono fare il loro capitolo generale, al quale si truovano piu d'otto mila Dervisi, & vi stanno per sette giorni in grandi piaceri, & trionfi. Il loro Generale si chiama ASSAMBABA, che vuol dire padre de padri, & di tutti loro. Trovansi tra questi molti dottissimi giovani, i quali portano vesti bianche infino al ginocchio, & ogniuno, quando arriva, narra una Historia, le quali poi tutte si scrivono col nome de l'Autore, & donansi al Generale, che contengono delle cose miracolose vedute da loro per le trascorse regioni. Il venerdì, che è la lor domenica, fanno un bel pasto, & mangiano in certi piani sopra l'herba dalla loro habitatione poco lontani. Il ASSAMBAMBA siede in mezo a tutti circondato da que piu dotti, che sono vestiti di bianco, & dopo il pasto, il General si leva in piedi, & tutti gli altri, & fanno una oratione à DIO; poscia tutti con alta voce gridano, ALLACABUL, Eilige, cio è DIO, habbi accetta questa nostra oratione. Son anchora tra loro certi fanciulli chiamati, CVCCECLER al Generale, & quivi essi sopra certi baccili portano una loro herba polverizzata, della quale chi gusta diviene in modo allegro, che pare, che e sia imbriaco: et è chiamata ASSERAL; Di quella piglia il Generale primieramente, & poscia tutti gli altri per ordine di mano in mano, & dopo lui la mangiano, & cio fatto, fanno in mezo leggere il libro delle nuove Historie, & poi vanno in un luogo quivi vicino al loro habitacolo, dove hanno apparecchiato un fuoco grandissimo di piu che cento some di legna, & quivi pigliatisi per la mano voltano à torno, cantando le lodi del loro ordine, in quella guisa, che ne paesi nostri usano per loro allegrezza, et piacere, gli huomini, & le donne i balli tondi, & finito il ballo tolgono i coltelli, & con la punta s'intagliano, chi le braccia, chi il petto, & chi le cosce, dipingendovi sopra chi rami, chi frondi, chi fiori, & chi cuori feriti, non alttramente che s'intagliassero sopra i legnami; dicendo. Questo intaglio per la tale, di chi sono innamorato. Di poi s'accostano al fuoco, mettendo cenere calda sopra le ferite, & con bambagia vecchia, & d'orina bagnate le ricuoprono, che già la tengono apparecchiata, & poi per se medesima è caduta, sono subitamente sani: l'ultima mattina tutti pigliano licentia dal Generale, & à squadroni, come genti d'armi, si tornano à luoghi loro con bandiere, & tamburi, domandando elemosine per tutta la via. In Costantinopoli non sono veduti molto volentieri: percioche per altri tempi uno di loro volse ammazzare il Gran Turco con una spada, che portava nascosamente sotto: pur gli fanno elemosine; perche usano carezze à viandanti, che vanno alle case loro.
DELLA RELIGIONE DE TORLACHI. CAPITOLO XIII
I TORLACHI vestono pelli di castrato in quel' modo, che i DERVISI, & del resto ignudi; ma non portano berrette, & vanno con la testa rasa, & bene unta d'olio per non raffreddarsi; si bruciano con con panno vecchio le tempie, accioche gli humori non vengano à basso, & non gli privassero del vedere. Questi sono nel lor vivere non altrimenti, che le nostre fiere, conciosia ch'eglino non sanno leggere, ne fare alcuna cosa, che virile sia: vivvono, come gli altri, d'elemosine, vanno per le Citta soli, & tutto il giorno per le Taverne, & per le Stufe, cercando sempre se à l'altrui spese trovassero da mangiare: & molte fiate vanno di compagnia per li deserti: Et se à caso trovassero alcuno con buone vesti, lo farebbono andare, come vanno eglino, ignudo; & vanno per le ville, dove trovando donne, dicono, che sanno indovinare; & guardano loro la mano, come se gran tempo havessero studiata Chiromanzia, come sogliono fare i Zingari ne paesi nostri. Laonde per questo le buone donne gli portano pane, uova, formaggio, et altre cose a loro non meno care, che necessarie; et spesse volte tra loro fanno cose non al secolo convenevoli, non che alla Religione: onde a tal volta meneranno seco un vecchio, adorandolo, come se santo fosse, & portangli quella riverentia, che à gli habitanti de Celesti regni si converrebbe. Il perch e lo poseranno in una villa, ne la maggior casa, & starannogli quivi tutti intorno con una grandissima humilta; & egli non piu d'anni, che di tristitie vecchio, fingera di se stesso uno elettissimo santuario, parlando poche parole, & quelle tutte piene di gravita, & di spirituali comandamenti: & alcune volte levati gli occhi, & le mani al cielo, fingera essere in estasi, & fare co piu perfettissimi parlamento, & poi rivolto a torno gli altri, i quali tiene per suoi discepoli, parlera loro in questa forma. Dilettissimi miei figliuoli, toglietemi di questa villa, per cio che levando io le luci al cielo, ho veduta una gran rovina sopra essa esser preparata: Onde i discepoli di queste cose bene ammaestrati, lo pregano divotamente, che e faccia oratione à DIO, che toglia dalla villa, & dalla gente tale influentia, perche egli di cio contentissimo dimostrandosi, comincia à pregare DIO. Hora quvi à vedere questi che a loro, come genti grosse, paiono cose miracolose, & divine, concorre gran moltitudine d'huomini, & di donne, & vedute, & piu credute le predette cose gli portano molte elemosine, talmente, che volendosi poi partire della villa, si caricano, come proprio fossero Somari; & dopo molto tempo si tornano alle loro habitationi, trionfando dell'altrui spese, ridendosi, & faccendosi beffe della semplicita di quegli, che gli hanno fatte elemosine. Mangiano anchora eglino di quella herba de DERVISI, dormono sopra la terra non men nudi di vergogna, che di vestire: usano l'un l'altro la lussuria, come selvaggie fiere: & cosi non meno bestiali, che bestialmente osservano, & chiamano Santa quella loro Religione.
COME LE GENTI DELLA TURCHIA VANNO IN PEREGRINAGGIO ALLA MECCHA. CAPITOLO XIIII
Truovano scritto ne loro libri i Turchi, et i Mori, che chi una volta nel tempo della sua vita andasse in peregrinaggio alla Meccha, DIO promette mai non mandare in perditione l'anima sua. Per la qual cosa quegli, che possono comodamente andare, non lascierebbono per alcun patto questa simile divotione. Laonde (percio che assai lungo è il cammino) è loro necessario, che si partano per sei mesi avanti, accio che per una pasqua piccola si trovino tutti insieme à la Meccha. Ma primieramente fa bisogno, che di tutte l'offese domandino perdonanza l'uno à l'altro quegli, che à tale peregrinaggio andare sono disposti: che altramente havrebbono perduti i passi. Et se i loro aversarij non gli volesson perdonare, andandovi, invano durerebbon tal fatica. Congregansi insieme in gran compagnia, & compongono ilo giorno, che debbon far partire, vanno insieme tutti i ricchi tanto, quanto i poveri domandando elemosina senza alcuna vergogna, parendo loro fare opera salutifera, & di gran misericordia. Dipo il giorno ordinato si partono tutti insieme, & vanno per terra infino al Cairo, la dove truovano una gran congregatione di Mori, che sono quivi, aspettandogli, apparecchiati; ivi il Soldano per via di Spedali fa fare loro le spese per tre giorni, et poscia manda il suo Ammiraglio; & seco gran quantità di Mamalucchi con bandiere, & tamburi, che gli facciano compagnia: & cosi s'inviano alla Meccha, chi à piedi, & chi à cavallo, secondo che è di loro potere: Questi manda il Soldano, accioche per la strada non fossono rubati: concio sia che per quelle bande albergano molti Mori, che notte, & giorno, spogliano gli huomini alla strada di vestimenti, & della vita, & stanno in aguato sotto la terra; perche non vi sono boschi da potersi ascondere. Il paese quivi per un pezzo è piano, & molto arenoso, in tal modo che'l vento fa in un punto, & disfa montagne altissime, & molte fiate il vento vi cuopre alcuni peregrini, che male accorti di questo da gli altri restano da la lunga. Anchora vi si porta gran disagio d'acqua, che vanno allevolte tre giorni senza trovare in alcun luogo. Per il che il Soldano provede loro sopro Cameli gran copia di carriaggi: & sonvi molti acquaroli, i quali il Soldano provede ogni anno di diece milia ducati, per cagione che proveggano dell'acqua à peregrini, & quivi montano tutti sopra li Cameli, perche altra sorte di cavalcature per quella rena non si viverebbono senza bere tanti giorni: perche i Camelli staranno quattro, ò cinque giorni senza bere, & mangiare, & piu: perche un certo tempo dell'anno nella vernata staranno quaranta di. Et cosi se ne vanno tanto, ch'arrivano alla Medina, ch'è lungi dalla Meccha tre piccole giornate. Et cio intendendo gli habitatori, gli vengono incontra con gran provisione, che hanno preparata, & tutti fuori di Medina pigliano alloggiamento. Sonvi anchora altre genti, come mercatanti Persiani, Indiani, & d'altre parti. La mattina della vigilia fanno tutti la mostra, & numerano quanti sono; percio che dicono, che à fare tal festa, non possono esser manco di sessanta mila, & quanto piu fossero, tanto sarebbe il meglio. Dopo questo tutti vanno in una montagna quivi non guari lungi, chiamata ARAFET AGI, dove si spogliano tutti nudi: & se à capo vedessero ò pulce, ò pidocchio non gli darebbono morte per buona cosa: & poscia se ne vanno in un fiume, che è vicino, & entrandovi dentro fino al collo, leggono per buono spatio certe loro orationi: & questo fanno, perche dicono Adam esservi stato à fare penitentia in quella guisa, che dopo DIO gli perdono: Et vestiti la mattina per tempo se ne vanno alla Meccha tutti di compagnia, & per esser luogo piccolo, & non convenevole à tanto popolo, la maggior parte resta fuori.
DELLE CERIMONIE CHE USANO I PEREGRINI. CAPITOLO XV
I peregrini sempre per usanza metttono il loro libro CORAAM sopra la sepoltura di Mahomettho, il quale scrisse egli di sua mano propria: & venuta l'hora dell'ufficio, i MEIZIN cominciano a gridare sopra le Torri, come è di loro consuetudine, convocando alle loro cerimonie tutto il popolo: & quivi sono in oratione tutti insieme per ispatio di tre hore, & finita, tutti (quanto è di loro possanza) corrono sopra al monte: perche dicono, che con quella fatica, et sudore i peccati cascano: Et in questo mezo quegli, che non erano potuti entrare, entrano, & vanno a basciare subito la sepoltura di Mahomettho, & ciascun di loro va a tirare due sassi in un luogo tondo, dove il Diavolo apparse ad Habraim, quando edificava quella Chiesa, per mettergli paura: la onde egli tiro tre sassi, & tantosto lo mise in fuga; & per questo hanno tale consuetudine. Dipoi fanno i sacrifici di Castrati, scorticandogli sopra il monte, & lasciandogli stare sopra la pelle, accioche chi pigliare ne volesse, possa: Et se allhora quivi entrasse alcuno schiavo, sarebbe subitamente franco, talmente che'l suo padrone non havrebbe potere alcuno di venderlo, ò donarlo: Et se alcuna donna vi volesse entrare, bisogna che'l suo marito ve la meni per mano, & essendo vedova, un'altro huomo in cambio di suo marito; & se fosse vergine da un giovane, similmente dicendo egli essere suo marito: & per quel giorno tutti quegli, che vi sono stati, stanno in grandissima allegrezza, dicendo, che per la divina gratia dalle pene del Purgatorio sono liberati: ma stimano, che quegli, che di quivi partendosi, ritornano à peccare, DIO ha lor preparato un freddissimo purgatorio dell'Inferno assai peggiore, dove perpetuamente dimorano. Dipoi d'indi si partono, inviandosi à la Meccha, dove fanno molte cerimonie, & orationi, pregando sempre Dio che gli voglia esaudire, come fece Hibraim, quando quella edifico; & cio fatto, di la partendosi, & caminando per alcuni giorni, pervengono à un luogo chiamato CVZV MOBARACH, che appresso noi vuol dire Hierusalem: dove è il Sepolchro di GIESV CHRISTO; & quivi in quel tempo fanno un'altra festa, & altre orationi nel loro consueto modo: percio che non saria accetto il loro peregrinaggio, se poi non pervenissero nella nostra terra di promissione.
DELLA PARTITA DE PEREGRINI DELLA MECCHA, & DAL SEPOLCHRO DI CHRISTO. CAPITOLO XVI
Quando queste genti hanno posto fine alla loro festa con l'usate cerimonie & sacrifici, la seguente mattina dopo co loro carriaggi, s'inviano à loro paese, & questo fanno primieramente gl'Indiani, & poscia quelli di Persia, & d'altre provincie. L'altra mattina seguente viene l'Armiraglio del Soldano con gran moltitudine di Mamalucchi, & piglia il libro CORAAM, il quale havevano posto sopra la sepoltura di Mahomettho alla Medina, & lo mettono supra d'un Camelo coperto tutto di scarlatto, & sotto un baldachino ornatissimo con altri Cameli dietro, & con tutti i Mamalucchi innanzi, lo portano al gran Cairo: al quale essendo vicini per una giornata, per comandamento del Soldano, gli vengono incontro tutti i Mamalucchi, & quelli del la terra insieme, i quali gli fanno compagnia dentro al cairo infino al palazzo del Soldano: & egli discende alla porta, & porge loro grata accoglienza, & salute, & quivi fanno venire il Camelo, che porta ilo libro, & fannolo giacere in terra (come è di sua usanza) mentre i peregrini cantano laude à modo loro. Dipoi viene un sacerdote, chiamato IMAN, con vesti profumate, & con le braccia, & con le mani coperte di raso cremesino, et piglia il libro con gran riverentia, & solennita, & bascialo, & poscia lo porta à basciare al Soldano, & alzate le braccia lo mostra à tutta la gente, la quale con ispade, con pugnali, & con coltelli, taglia il Camelo che l'ha portato, in mille parti, et ciascuno ne piglia un pezzo per sua divotione, serbandolo come cosa santa, & sagrata: & quasi in men che non balena, non si vede alcuna cosa del Camelo, & del basto, & de gli ornamenti, & cio fatto, tutti si partono, & tornano alle loro habitationi.
COME FU EDIFICATA LA MECCHA DA HIBRAIM PER COMANDAMENTO DI DIO. CAPITOLO XVII
Truovano scritto ne loro libri, DIO haver comandato à Hibraim, cio è Abraam, che in quel luogo dovesse edificare una stanza per li peccatori del mondo, accio che quivi venissero à fare penitentia per salute dell'anime loro: Per il che Abraam diede tosto principio à disegnare i fondamenti: & truovano scritto (che à molti non parrebbe per aventura cosa credibile) che le montagne gli portavano le pietre, & altre cose all'edificio bisognevoli; talmente che egli non haveva altra fatica di che murare: & quando egli aveva fatto il muro infino alla cintura, per volonta divina veniva basso, che a pena si vedeva fuor della terra, & quando la edificava, dicono essergli apparso il Diavolo in sua propria diabolica forma per spaventarlo, & levarlo quanto era à lui possibile da tale opera, accio che egli non esequisse (si come era desideroso) il divino comandamento. La onde Abraam cio vedendo, & poco di lui pauroso, con tre pietre tantosto lo mise in fuga, & poi ando seguitando il suo lavoro: Per la qual cosa DIO, anchora che non paresse piu alta della statura d'un huomo, gli comando, ch'egli ordinasse il suo coprimento: la onde Abraam fatta la obedientia la vide à pco à poco crescere, & uscire fuori della terra, come cosa viva: per il che egli dentro v'entrò, & parvegli opera assai bella: Et quivi primieramente fece oratione à DIO, pregandolo, che qualunque facesse mai oratione in quel luogo, fosse subitamente libero dall'infernal pene: & dicono, che DIO lo esaudi, Di poi essendo Abraam uscito fuori della Meccha, Dio gli comando, che andasse in una certa montagna, dove era un marmo compartito di due colori, nero & bianco, & che lo pigliasse, & mettesse à canto la porta della detta Meccha: per la qual cosa egli trovatolo, & facendo pruova s'era grave, subito il marmo da per se venne alla Meccha e lo pose in quel luogo, nel quale anchora si vede al presente: & i peregrini andandovi lo baciano, & se ne toccano divotamente gli occhi, dicendo che'l detto marmo al giorno del giuditio sarà peregrinaggio loro. Anchora dicono i Turchi, che quel marmo è uno Angelo, al quale dalla divina providentia fu dato in custodia Adamo, & Eva: & che dopo il loro peccare, essi cacciati dal Paradiso, quello Angelo fu subitamente in quel marmo convertito: & per non havere usato loro buona custodia, stara quivi fino all'ordinato giorno del giuditio; come eglino stoltamente credono, in penitentia.
DELLA SEPOLTURA DI MAHOMETTHO. CAPITOLO XVIII
Morto che fu Mahomettho, i suoi SAIPLER, cio è discepoli, lo portano alla Medina, come era di suo comandamento, & quivi nel mezo d'un gran tempio fecero la sua sepoltura profonda, d'altezza d'uno huomo, & di convenevole lunghezza: & per ogni intorno la muraron di mattoni, et in una cassa di legname misero il suo corpo, & di sopra lo coprirono con un marmo, grosso; & lungo a bastanza, & poi incominciarono a murarvi sopra altri marmi, talmente che ne fecero un'altra simile à quella d'altezza infino al petto d'un huomo, & da l'un lato, dove è la sua testa, vi sta una tavola di marmo diritta, come se in quel luogo proprio nata fosse: & dall'altro lato da suoi piedi ve ne sta un'altra in quella guisa, ma piu bassa alquanto, & disopra sta pendente à modo di tetto, & coperta d'un Ciambellotto verde: Et questa è la sepoltura, dove tanta moltitudine di Turchi, & Mori vanno à pigliare la perdonanza, baciando quelli marmi, dove è scritto, come quella è la sepoltura di Mahomettho. Anchora per li tempi passati, gli Armeni havevano fatto una cava sotto terra di lunghezza più di due miglia, per torre di quella sepoltura il corpo di Mahomettho: ma per miracolo (si come dicono i Mahometthani) subitamente furono scoperti, & presi, & morti per via di giustizia: La onde i Turchi poi ordinarono certi ferri, i quali cingono la sepoltura di sotto, & di sopra per tutto, havendo continova diligentia, che non gli fosse tolto il loro profeta, ma stesse in quel luogo, dove egli vivente s'haveva giudicato. Appresso lasciò nel suo testamento, che quivi non istarebbe piu di mille anni sepolto, che anchora la sua setta non passerebbe questo tempo, ma che egli sarebbe del terreno levato, & che la setta havrebbe fine.
DEL MODO DI SEPELIRE I MORTI IN TURCHIA. CAP. XIX
Quando alcun Turco si truova vicino à morte in Turchia, gli sono intorno i suoi parenti, non altramente che si faccia ne paesi nostri, & quivi confortandolo a pentersi de suoi peccati, & continovamente i piu propinqui, ò il Sacerdote gli leggono intorno salmi, & orationi: & se vedessero, che stentasse troppo à morire, gli portano il CVRAAM, dove è una leggenda chiamata THEBARAECHELEZI; et dinazi à lui la leggono sette volte: & quando veggono, che spira, leggono anchora un'altro salmo chiamato IASIN nel CVRANILHECIN, accio che'lo Diavolo non gli dia impedimento all'anima; & quando è morto, lo mettono in terra in mezo de la casa sopra li tappeti posato sopra il lato destro, & col volto verso mezo giorno: & quivi vengono i Sacerdoti per sepelirlo, portando una filza di certe palle, à modo di pater nostri in numero di mille, i quali sono di legnami Aloe, & con questo circondano tutto il morto, & poscia à ciascuno dicono SVBAHANALLA, cio è DIO habbi misericordia di lui; & voltano intorno fino à quattro ò cinque volte: & li Sacerdoti saranno xx ò xxv, & ciascuno di lorohavra dette quelle parole: dipoi i sacerdoti gli portano fuori ne la strada nel giardino, & mettendo alto da terra due palmi d'una tavola, & levangli la camiscia, coprendogli le vergogne con certa tela nuova di bambagio, & con acqua calda, & con sapone lo lavano da capo à piedi: dipoi toglion due lenzuoli di bambagia, fatti à posta, & in quegli rinvoltano il corpo con acqua rosa, & profumi, & altre cose odorifere, bagnandolo, & mettendolo nel cataletto, coprendolo de suoi propi vestimenti piu ricchi, & migliori, talmente che di lui non si vegga niente: da la testa sopra un legno mettono il suo turbante, tutto bene ornato di rose, & di fiori, & i Sacerdoti in quel mentre incominciano l'ufficio, & parte di loro pigliano il cataletto sopra le spalle, portandolo con la testa avanti sino allo OMESCHIT: i parenti gli vanno dietro, & le donne restano piangendo in casa, & fanno preparamento di mangiare per li Sacerdoti. Giunti alla chiesa, lo posano fuori della porta, & vanno seguitando il loro ufficio. Dipoi lo portano fuori ndella citta, in luoghi diputati per loro sepolture: percio che nella citta non usano sepellire, & li hanno sepolture, chi mattonate, chi di marmo, & chi altramente, secondo la qualita de gli huomini; & con quelle lenzuola lo mettono ne la fossa, coprendolo di tavole per ogni banda, & sopra la facia, solo gli posano alquanta terra. Se fosse huomo di gran conditione, gli fanno un'altra sepoltura di sopra rilevata con li suoi epitafi, quasi alla nostra usanza; & cosi lo lasciano, & a casa fanno ritorno, dove truovano abondantemente da trionfare, & quivi fanno una oratione a DIO per l'anima sua: & hanno da suoi parenti cinque aspri per sacerdote, che saranno della moneta di Roma un giulio. Dicono i Turchi, come il corpo è stato un terzo d'hora ne la sepoltura, che DIO gli fa tornare lo spirito, & mandagli due Angeli, i quali si chiamano NECHIR, & REMONCHIR: & vengono à lui con facelle di fuoco, con faccia tutta spaventevole, & rubiconda, & con l'altre parti assai horribili, & per commession di DIO lo cominciano à esaminare, che vita stata sia la sua, & se ha male operato, gli danno molte battiture con verghe, che portano affocate, & se lo truovano essere stato huomo di santa vita, gli tornano in forma di bellissimi Angeli, & dannogli conforto, dicendo, che le sue buone operationi dimorano seco in compagnia per fino al giorno del divino giudicio.
DEL GIORNO DEL DIVINO GIUDITIO SECONDO I MAHOMETTHANEI. CAPITOLO XX
Dicono i Mahometthanei, che sopra al Cielo sta un'angelo, chiamato ISRAPHIL, il quale tiene sempre una tromba in mano, & sta preparato, se DIO comandasse, che fosse la fine del mondo: Percio che egli sonerebbe quella tromba, & tutti gli huomini casherebbero in terra morti: & similmente gli Angeli, che sono in cielo: Percio che truovano nel CURAAM scritte queste parole; CV LVMEN ALLEIAFAN, VE, IEB, TAB, VEGEI, ROEBIC, TVL, GELA, LI, VELLE, ICHERAM: che vogliono significare; DIO haver detto di sua bocca che l'huomo e mortale, & tutte le cose mortali è necessario, che pervengano, ò per vecchiezza, ò per alcuno accidente al loro fine: La onde tra gli huomini dotti della Turchia nascon sopra à questo detto disputationi grandissime, movendosi con ragioni assai efficaci, parendo loro cosa al tutto assorda, & per se stessa falsa, che gli Angeli, che immortali sono, debbano non altrimenti, che gli huomini, in cenere convertirsi, ma à quegli, che queste cose disputano, si mostrano le soprascritte parole, & cosi pongono silentio à tali questioni. Concio sia che sarebbe loro pena non leggiera, ma piu volte del fuoco, se à tali parole presumessero contradire: & legherebbongli la lingua, sicome à buoi molte volte fare è consueto: & quando sara rovinata la terra, e'l Cielo insieme: dicono che verrà un terremoto si grande, che spezzerà le montagne, e i sassi, l'uno con l'altro percotendogli, che resteranno come farina; & dicono che dopo DIO tornera à fare la luce, & di quella gli Angeli, come fece prima: & anchora fara venire una sottilissima pioggia, la quale si spargerà per la terra soavemente, & chiamerassi REHEMET, SVI; cio è pioggia di misericordia, & cosi restera la terra infino à quaranta giorni, anchora a che i giorni in quel tempo saranno maggiori, che questi, & molti dicono, che poi non saranno queste tenebre della notte, ma sempre chiarissimo, & non sara piu bisogno del sonno alla sostentazione de nostri corpi. Dopo quaranta giorni DIO comanderà a l'Angelo ISRAPHIL, che ritorni à sonar la tromba, al suono della quale tutti i morti risurgeranno per divin volere.
DELLA RESURRETIONE DI TUTTI I MORTI SECONDO LA FEDE DE TURCHI. CAPITOLO XXI
Quando ISRAPHIL havra per divino comandamento sonata la risonante tromba, il che sarà con tanto strepito, che per tutto il mondo fara rimbombo, tutti i morti da Abel infino à quel giorno, udito il suono, immediatamente risusciteranno in quel modo, che furono sepelliti, & tra loro si vedran molte diverse, & variate faccie; percio che alcune risplenderanno, come i raggi del la Solare spera, molte come la Luna, molte come Stelle, altre faccie oscurissime, & tenebrose, & altre con faccie porcine, con lingue grossissime, & quivi allhora ciascuno gridera; NESSI NESSI, cio è, ohime meschino, che io mi son lasciato superare dalla mia mala volontà: gli Angeli mostreranno à dito quelle faccie, che per se stesse risplendono, che sono quelli, che havranno fatte verso Iddio buone operationi, & mostreransi l'uno à l'altro, & i tristi havranno invidia à quelle anime risplendenti; & dicono, che quegli del viso di porco sono gli usurai, & quelli della lingua grossa i bugiardi, & bestemmiatori. Sarannovi anchora de gli altri: sopra de quali monteranno co piedi adosso, & questi saranno i superbi di questo mondo. Poi dicono, che DIO parlera, domandando, de Prencipi, Re, Imperadori, Tiranni, & altri Signori, che per forza rubavano, & tiranneggiavano le genti con grandissima ingiustitia: & poscia di loro insieme con gli altri risuscitati, dicono che DIO ne farà settanta parti, & tutti saranno esaminati, appresentandosi à gli occhi de peccatori tutto il bene, & male che havranno fatto in questo mondo: & farà poco mestiero di testimoni, percio che i loro membri parleranno la verita & s'accuseranno da se medesimi, d'ogni cosa che havranno pensata, non che messa à piena esecutione: & in disparte sarà l'Angelo Michele, che terrà in mano le bilancie della divina giustitia, & peserà l'anime, & cosi si conosceranno i buoni da rei. Anchora dicono, che quivi sarà Mose con uno stendardo, sotto il quale sara quella schiera, che havra osservata la sua legge: appresso lui, dicono, che sarà GIESV CHRISTO figliuolo di Maria vergine, il quale havrà un'altro stendardo grandissimo, sotto il quale saranno tutti i Christiani , che havranno osservata la fede sua, dall'altra parte sarà Mahomettho similmente col suo stendardo, dove saranno sotto tutti i suoi fedeli Mahometthani, & cosi tutti questi, che havranno fatto buone opere, si troveranno sotto tali stendardi, da quali riceveranno soavissime ombre, & gli altri staranno dall'altra banda alla penitentia del calore del Sole, secondo che saranno i lor peccati gravi; & cosi staranno l'una & l'altra parte in fino, che saranno da DIO eternalmente giudicati.
DELL'ANIME, CHE STIMANO I MAHOMETTHANI DOVERE ANDARE IN PARADISO. CAPITOLO XXII
Quando saranno l'anime giudicate, gli Angeli del Cielo, dicono i Turchi, che staranno divisi à squadre in piu parte, ornati tutti d'un medesimo ornamento, i Seraphini da una parte, e i Cherubini dall'altra, de quali una parte sonera stromenti di variate sorti, & l'altra cantera laudi, & molti staranno per divina providenza alle parti del Paradiso, cantando, et giubilando dell'avvenimento delle beate anime, che havranno osservati i divini commandamenti; & dicono, che non si conosceranno i Christiani da Turchi, & i Giudei da Mori: ma tutti quegli, che havranno usato buone opere verso DIO, saranno d'una egual bellezza, & d'una pari beatitudine; ma bene è vero che i peccatori si conosceranno l'un dall'altro: anchora si pensano à l'anime, che saranno entrate in Paradiso, DIO per loro merito darà in Cielo uno grande spatio di luogo, per ciascuna, dove sarà sua perpetua habitatione; & havranno stanze bellissime non altrimenti che di splendore, & à celesti regni convenevoli; & dicono, che havranno di molti BARACHI, cioè splendori del Sole, sopra de quali potranno cavalcare, & cercare il paradiso per ogni intorno, vedendo le cose, che DIO ha create pretiosissime; anchora stimano havere à mangiare de frutti del Paradiso, et pensano, che immediate, che eglino havranno mangiato un pomo, DIO ne farà nascere due, & per cavarsi la sete, anderanno à certi fiumi del Paradiso, che hanno l'acque chiarissime, come cristalli, dolcissime, come zucchero, le quali poi che havranno bevute, crescerà la loro vista, & l'intelletto, talmente che vedranno da l'uno à l'altro Polo, & solamente alquanto sudando smaltiranno i mangiati cibi: oltre cio, dicono che havranno donne à modo loro chiamate VRI, cio è donne di splendore, & che ogni giorno saranno vergini, & con loro dimoreranno in sempiterno, ne potranno mai venire alla vecchiezza, & ciascuno de gli huomini sarà d'età d'anni trenta, & le donne di quindici, ò di venti anni, & laudando DIO della concessa gratia staranno in sempiterno in quella allegrezza. Et que tre, che porteranno delle buone opere gli stendardi, saranno i principali, & haveranno da DIO una parte del Paradiso per ciascuno à loro dominio.
DELL'ANIME, CHE, CREDONO, I TURCHI CHE SARANNO CONDANNATE NELL'INFERNO. CAPITOLO XXIII
Quelli, che per loro male operationi, & per divino comandamento saranno condannati all'infernali pene, saranno tutti per proprio nome conosciuti; percio che ciascuno portera sopra la fronte scritto il suo nome, & quelli de suoi genitori, & ciascuno havrà la grandezza, & il numero de suoi peccati alle spalle; & menerannogli tra due montagne, dove sta l'inferno, alla cui bocca si truova un malvagissimo serpente, & dall'una & l'altra montagna è un ponte di lunghezza di trenta miglia, del quale l'una parte si monta, l'altra è piana, & l'ultima discende; il quale ponte, dicono essere stato fabricato per divino volere d'un ferro sottilissimo, & tagliente molto, & chiamanlo SERACTVPLISSI cio è ponte di giustitia, sopra del quale passeranno i peccatori con la loro gravezza de peccati ne le loro spalle, & dicono, che quegli non in tutto stati mali operatori non cascheranno, se non ina parte, dove non è Inferno, ma un certo purgatorio de peccati loro: & gli altri casheranno subitamente a basso nello Inferno dove di continovo chi, chi assai, secondo il fuoco de i peccati, che havran portati di questo mondo, arderanno, & finiti d'ardere, si torneranno à rinfrescare, & di poi prestamente al fuoco. Anchora dicono, che DIO in mezo al'Inferno ha fatto un'albero di frutti copisissimo, & che ogni pomo è simile à una testa di Demonio; il quale tra quegli fuochi si ardentissimi (come è di Dio volontà) verdissimo si mantiene, & è chiamato ZOACCVM AGACCI, che vuol dire albero d'amaritudine, & quivi quelle anime mangiando di tali frutti, credendosi rinfrescare, si troveranno piene d'amaritudine; & per quelle, & per lo soverchio lor dolore delle pene infernali, si dimenticheranno, & i demoni le legheranno con cathene di fuoco, & per tutto l'Inferno gli strascineranno; & quelle anime, ch'alcuna fiata havranno nominato DIO in loro adiutorio , dicono, che dopo molti anni anderanno in Paradiso, & non resteranno nello Inferno altri, che i disperati della loro salute, & della divina misericordia.
[FINISCE IL SECONDO LIBRO]
DEL VIVERE, ET ORDINI DEL SERRAGLIO DEL GRAN TURCO. LIBRO TERZO
Le selvaggie piante cresciute nelle riposte, & pellegrini valli, ò sopra l'herbose fronde de diserti liti, ò ne piu alti, & sassosi monti, per l'odore, & soavità de pomi poco grata alle fruttifere non s'aguagliano: conciosia cosa che le domestiche con miglior modo sono nutricate, & non giamai lasciate, ò per poco avedimento seccare, ò per negligentia insalvatichere: e i vermigli prati, che molte fiate Flora de suoi vestimenti dipinger suole, sotto il piu ardente Sole il bel verde usano mantenere, ne per forza de solari raggi le minute herbette della loro brunezza si discolorano, quando avenga, che della buona custodia non siano del tutto prive; percio che hora negli estivi tempi da guardiani con artificio adacquate, hora dalle lascive aurette del'amoroso Zefiro confortate, dal calor loro inimicissimo si difendono. Hora in che alto modo, & migliore chiamare posso io la Mahometthana gente, se non selvaggia dissimile dalle fruttifere, cio è, da noi altri Christiani della ragione consapevoli, cio è, da noi altri Christiani della ragione consapevoli, lequali insalvatichite ne gli antichi vitij, & loro superstitione, altro che silvestri frutti, & al gusto le piu volte amari, & alla salute rei producere non sogliono, nate nelle oscurita delle frondose selve, ove s'annidano le nostre fiere. Hora piacesse à chi piu puote, il che non reputerei, non mancando la volonta, essere impossibile, torle da gl'inculti campi, & condurle à gli habitati luoghi, &quivi ò per inestrale, ò di nuovo piantandole divenissono (come l'altre) domestiche, che facesson frutti d'una egual dolcezza;cio è, dico, che i Mahometthanei tornassero alla nostra fede, & che i loro frutti non fossero mangiati da rapaci fiere (come quelli de Tartarei Regni) ma si dolci fossono, che piacessono al Motore di tutte le create cose, & poi sotto buona cura ogni rampollo facesse pianta, & cangiato con la scorza il gusto, non altrimenti che i fioriti prati con chiarissime acque, et soavi venti fossero mantenuti da caldi, che grandemente sono piu sempre di giorno fastiditi: che sarebbono i buoni ammaestramenti, che gli difenderebbono da gli infernali ardori, ma questo al presente non essendo à me per altro, che per voler possibile, lasciero io a quegli di potentia molto maggiori. Io di sopra, come ho veduta, cosi ho descritta la loro Religione, che altro, da chi chiaro vede, chiamare non si dee, se non veli, & nebbie, sotto le quali, privi della nostra luce, celati stanno, ò tele di Aragne, dove eglino stessi sono inviluppati. Hora piu oltre procedendo, descrivero il Turchesco vivere comunemente, loro vestire, loro calzare, & loro usanze. Indi verrò scrivendo il servitio del gran Turco tutto per ordine distintamente: il che sarà per aventura piacere à gli ascoltanti, i quali chiaramente vedranno, quanto sono da noi di vivere diseguali; di che poi (come saggi) si rideranno, per la cui cagione con serena fronte m'affatico.
DELLA CIRCONCISIONE DE TURCHI, & LORO PUERILE CONSUETUDINE. CAPITOLO I
Tutti i Mahometthani generalmente hanno questo credere, et pensamento, che come prima nasce un figliuolo, DIO gli mandi due Angeli, de quali l'uno dimora dalla destra parte, & l'altro dalla sinsitra, facendogli compagnia per fino a tanto che per divina volonta gli anni habbiano finito il corso di sua vita. Et quando il figlio sara d'anni quattro, ò cinque, lo debbono mandare alla schuola, ad imaprare il CURAAM, accio che pervendendo poi agli anni della discretione, si truovino haver imprese tutte quelle cose, che alla fede loro appartengono. Et le prime parole, che i precettori mostran loro, son queste, veramente non meno utili, che necessarie, posto che à pueri li ingegni non paiano convenevoli: CVLLICV, VALLAH, HALLA, HUZEMET, LEMIELIT VELEM, IVLED, IECULEGII, CVFFVENBEHET, che dicono, DIO è nominato tra le persone un solo, il quale non ha luogo stabile, ma è per tutto, et non ha padre, ne madre, ne figliuoli, non mangia, non bee, non dorme, & di tutte quante queste create cose egli si vive senza, & non si truova simile à sua divinita. Et quando sono d'anni sette, gli circoncidono non altrimenti, che si facciano i Giudei. Oltra di cio dicono, che quegli Angeli sono chiamati CHIRAMIN, & CHIRATIBIN, cio è scrittori del bene, & del amle del huomo, col quale stanno insino al giorno del giuditio: & scrivono non solo le male operationi, ma le buone anchora.
DEL MANGIARE DE TURCHI. CAPITOLO II
Come i Turchi sono, quali noi, mortali, & d'una istessa carne, & di DIO creature, cosi si vivono, come noi altri, delle medesme lor create cose; al sostegno delli humani corpi, et loro sanità necessarie. Però i Turchi vivono del pane simile al nostro, mangiano carne d'ogni sorte, eccetto porcina, & le piu volte la mangiano arrostita. In minestre usano mangiare rispo piu, che di vivanda alcuna: Legumi mangiano rado, & spetialmente delle lenticchie, perche dicono, che nel ventre tagliano il sangue all'huomo: mangiano zucche, rape, cavoli, & piu volentieri i bianchi, che d'altra sorte, minestre di fromento mangiano in vari modi, tutti l'uno dall'altro dissimili di vista, & di sapore. Pesce mangian poco, percio che dicono al pesce convenire il vino, che beendo acqua, si tornerebbe à vivere nel ventre: usano de frutti, come i nostri, in gran copia, & alla piu parte tagliano la scorza, eccetto alle pere, che dicono quella essere sanità dell'huomo, mangiangli avanti l'altre vivande, & sempre in dispari usano i noccioli delle pesche, quando gli havesson fatto male del numero ne havieno mangiato: mangiano con tre dita, e i Mori con cinque: & cio fanno, perche dicono che'l Diavolo mangia con due: al principio dicono BISMIL, LAIR, RAHEM, ANIR, REHIM: cio è, in nome di quello che ha creato il Cielo, & la Terra, & tutte l'altre cose: Rompono il pane senza coltelli, mangiano su la terra piana, sedendo sopra i tappeti, come i sarti. In questa guisa vivono secondo la possibilità delle loro sustantie.
DEL BERE DE TURCHI. CAPITOLO III
Universalmente per tuttta la Turchia, secondo la Mahometthana legge, à ciascuno è vietato il vino: & cio solo è proceduto, che Mahomettho passando per un luogo, vide una gran quantita di giovani, che in certi giardini mangiavano, & bevevano vino: & era tra loro grande allegrezza, con variati canti; Il che non fu poco piacere à Mahomettho: onde egli si fermò quivi per buono spatio di tempoà vedergli, & poi si partì per andare allo OMESCHIT: ma poscia per quindi ritornato, vide cose non conformi alle predette: Percio che essendo eglino per il soverchio vinoinebriati, & si davano tra loro con l'armi, non altrimenti che se per antico fosse stata tra loro capitalissima nimicitia. Per la qual cosa Mahomettho subito gli bestemmiò, & diede loro la sua maledittione, veggendo come bestie la piu parte d'essi feriti à morte: La onde fece commandamento, & legge, che nessuno giamai beesse vino: laquale per infino al presente, come cosa lodevole, è osservata: & puniscono i contraffacienti di pena di trenta due bastonate, & sono chiamati infami, & non possono essere testimoni. Beono comunemente acqua, & i piu ricchi giulebbe, ò vero zucchero con acqua temperato, & alle volte mele con acqua cotta, & acqua con uva passa purgata, ò mastice, & cosi vivono di state, come di verno. Et perche la vernata non faccia loro male l'acqua cosi gelata, vi mettono un carbone dentro, & poi la beono.
DEL VESTIRE, & CALZARE DE GLI HUOMINI DELLA TURCHIA. CAPITOLO IIII
Vestono i Turchi, non come noi, in varie guise, ma tutti generalmente d'una foggia di vestimenti; primieramente la lor camicia è senza crespe, & tonda al collo, che con fatica puo entrare per la testa: & sono tutte le lor camicie alte di sopra: hanno uno giubbone lungo insino à meza coscia, & po hanno una veste con le maniche strette, col busto stretto, & con le sue falde lunghe insino à piedi, & foderata di tela con cuciture d'alto à basso imbottita, & col collare alla Tedesca, & tal volta tondo al pari della camicia, la quale veste chiudon davanti con sei bottoni, & chaiamanla Doliman: Sopra d'essa cingono una cintura larga tre dita, con la quale si stringono fortemente, & sopra quella ne portano un'altra di seta larga una mezza canna, & lunga una, & mezo, la quale avvolteranno in molti modi: perchoche ogni loro studio, & galanteria di vestire consiste nelle cinture, che costeranno tal volta xv ò xx ducati l'una. Sopra questa portano un'altra veste della medesima sorte, ma piu lunga di falde: intorno alla quale usano sovente fogliami, & fregetti di damasco, ò raso. In testa non portano capegli: & questo è per commandamento di Mahomettho, perche quando i Turchi gli dissero, che i Christiani erano forti, perche beeano vino: Rispose loro, che mangiassero assai grano cotto, & radessersi le teste, che sariano forti, come essi: perche i capelli lunghi tolgono la forza à l'huomo: & per questo tutti i Turchi, vanno rasi, & portano una berrettina piccola di tela, ò di altro panno alla grechesca, & sopra à quella n'hanno un'altra di lunghezza di due palmi, chi di panno, chi diveluto, & chi di broccato, alla quale introno avoltano una tocca di bambagia sottile, larga mezza canna, & lunga sette, ò otto, & è molto leggieri, & senza alcun fastidio: Portano anchora certi fregi d'oro tirato; & questo portano i Gianizzeri e i Rossi: i Cortigiani portano i turbanti: e'l calzar loro, è calze di panno fino, non piu su del ginocchio: usano scarpe di due sorti, una quasi alla Francese, l'altra chiusa, & alta per difendersi dalla polvere, & da sassi. Usano molto Burzaccini, & Stivali con la punta aguzza, & ferrati sotto le piante per piu fortezza.
DEL VESTIRE, & CALZARE DELLE DONNE DELLA TURCHIA. CAPITOLO V
Le donne Turchesche vestono in questo modo: primieramente le lor camicie sono, come quelle degli huomini, ma ricamate al collaro, alle maniche, & per ogni intorno; & sono la maggior parte di Taffeta chermesino, ò verde ò d'altri colori, che piu gli aggradano: & loro vesti sono di seta confregi d'intorno, & per ogni banda di tela sottilissima foderate, di bambagie ripiene, & con costure da alto, basso spessissime: le maniche, 6 il busto sono strette, & il collaro alquanto scollato dinanzi: sono anche da alto à basso aperte dinanzi: congonsi una cintola, come quella de gli huomini, d'oro, & di seta ricamata: in piede usano belle scarpe di vari colori di cuoio, lavorate alla Damaschina con oro, & mille loro galanterie.In capo hanno i capegli lunghi, & belli, la maggior parte intrecciati, & quelli portano coperti d'un pezzo di taffeta raccamato, pendente giu per le spalle, & di sopra portano una berretta ducale, chiamata FECHEL, con molto oro di sopra, & molte gioie: & questa portano le maritate, ò vedove, ò veramente vecchie di gran casato: L'altre portano una berretta d'argento battuta AZUG, aguzza, & è tre palmi lunga, che vedendole paiono lioncorni: L'altre fanciulle vanno sempre co capelli distesi sopra le spalle: Il vestire delle donne di poi di sopra dell'altre vesti, è una veste bianca di tela sottile, che si chiama BARAMI; & con quella vanno per la citta: Dinanzi al volto portano una cosa fatta di setole di cavalli, & con essa si cuoprono, che niuno veder le possa: Et con questi habiti, & coperto il viso di continovo se ne vanno le donne della Turchia.
DEL CAVALCARE DE TURCHI. CAPITOLO VI
I Turchi tutti generalmente hanno piacere grandissimo nel cavalcare, la onde si dilettano tenere buoni cavalli, & quello dicono essere buono, che ha le gambe sottili, & lunghie, nere & alte: perche le unghie nere significan fortezza, & la sottigliezza delle gambe, buono corridore, & gli occhi gorssi, la testa piccola e'l collo lungo, & non troppo sottile, alto alquanto piu di dietro, che dinanzi, le orecchie corte, & dure, & la bocca larga, la coda lunga, & similmente il corpo del cavallo non troppo grosso. Usano selle leggieri, & non troppo larghe, & di bassezza convenevoli, la cigna stretta, le staffe corte, accioche uno huomo si possa rizzare, la briglia leggiera, il pettorale, che non istringa, la groppiera tra lunga, & corta: usano sopra la groppa del cavallo un drappo scarlatto, con certi fiocchi di seta tutto intorno, & sotto la gola usano anchora certi altri fiocchi, pure di seta due palmi lunghi, di vari colori, con certi pomi d'oro, & portano speroni corti: et cosi vogliono i cavalli, & cosi sono soliti di cavalcare.
IL SOLAZZO DE GIOVANI DELLA TURCHIA NOMINATI LEVENTI. CAPITOLO VII
I giovani chiamati LEVENTI, i più sono artigiani, & ciascuna loro arte ha un Consolo, al quale vanno per consiglio di tutto quello, che hanno à fare, & gli consiglia, & fa la loro ragione, & riprendegli, & castigagli alle volte, come meritano, à suo arbitrio. Questi stanno da un venerdì à l'altro, che à loro è Domenica, travagliando giorno, & notte la vita, come è usanza di quelli, che la povertà offende; & per guadagnar qual cosa per mantenersi insieme con le lor famiglie, il venerdì si truovano tutti à casa del LEVENTEBASCI, & converranno insieme d'andare a sollazzo: & cio fatto, si partono con loro famigli, Consoli, & comperano carne, & altre vivande da mangiare, et vannosene ne l'hosteria chiamata BAZANAA, ne la quale truovano apparecchiato: & quivi beono certe bevande di riso, & miglio, & orzo pesto, che imbriacano l'huomo, non altrimenti, che se vino fossero, & quivi seggono tutti per ordine alla mensa, & non mangiano in terra, che cosi è costume delle hosterie, & mettono nel mezo il Consolo, con quella riverentia che à lui è convenevole, & tutte le lor vivande mangiano tutto il giorno infino à meza notte, senza mai levarsi da mensa, se non per evacuatione della superfluita del cibo, ò per voglia di orinare, si come fanno le nostre bestie, & pure alle volte cantano le laudi l'uno dell'altro, & della compagnia, sonando alcuno istrumento: & il Consolo sempre dice, BARECHEDAROLAFINVS; cioè, che DIO vi matenga, & prosperi in questa allegrezza, & ad ogni fiata da loro la benedittione: & sopravenendo la notte, se saranno dieci huomini, accenderanno cinquanta lumi sopra la tavola: & se fosse, chi le spegnesse, tutti gridano BREGINORV LISINE OCTIS MINV ARD; cio è, che per ogni Christiano morto vi saranno trenta torce per accompagnarlo, & essi che sono vivi, ne vogliono molte piu: Et venuta la meza notte, si parton tutti, & con un lume in mano per ciascuno fanno compagnia al Consolo, & vannosi a dormire: Et questo è il solazzo de LEVANTI, che stanno otto giorni vivendo di apne, & di quelle cipolle, per goderne un solo.
D'UNO LUOGO CHIAMATO TIMARAHANE, DOVE SI CASTIGANO I MATTI. CAPITOLO VIII
In Costantinopoli fece fare un luogo Sultan Paiaxit dove si dovessero menare i pazzi, accioche non andassero per la citta, facendo pazzie, & è fatto à modo d'uno Spedale, dove sono circa cento cinquanta guardiani in loro custodia, & sonvi medicine, & altre cose per loro bisogni, e i detti guardiani vanno per la citta con bastoni cercando i matti, & quando ne truovano alcuno, l'incatenano per il collo con cathene di ferro, & per le mani, & à suon di di bastoni lo menano al detto luogo, & quivi gli mettono una catena al collo assai maggiore, che è posta nel muro, & viene sopra del letto, talmente che nel letto per il collo tutti gli tengono incatenati, & vene saranno per ordine lontano l'uno dall'altro numero di quaranta, i quali per piacere di quelli della citta molte volte sono visitati, & di continovo col bastone i guardiani gli stanno appresso: Percio che non essendovi guastano i letti, & tiransi le tavole l'uno, à l'altro: & venuta l'hora del mangiare, i guardiani gli vanno esaminando tutti per ordine, & trovando alcuno, che non sia in buon proposito, crudelmente lo battono, & se à caso truovano alcuno, che non faccia più pazzie, gli hanno miglior cura, che à altri.
DEL SERRAGLIO DEL GRAN TURCO. CAPITOLO IX
In Costantinopoli sono tre Palazzi del gran Turco, in ciascuno de quali puo tenere la sua corte ordinatamaente, il primo, dove habita al presente, è in un capo della citta, chiamato il capo di S. Demetrio, il quale sta da due bande nella marina, voltando verso il mar maggiore: questo palazzo chiamato SERCESSARAI, & è tutto murato intorno, & volta piu di due milia passi, nel mezo del quale è uno giardino bellissimo con molte stanze; Le habitationi vengono sopra una montagna di mezana altezza, dove è in mezo un corridore antico con piu di dugento camere; dove i sacerdoti di S. Soffia solevano alloggiare, percio che quivi era la detta chiesa: & questo fecero per augmento di quegli, che far volessero oratione; ma poscia Sultan Mahometh padre di Sultan Paiaxit lo fece dividere dal palazzo, & venendo il tempo della state il Rehabita in quel dormitorio per esser luogo assai alto, & fresco, & d'acque abbondantissimo; in mezo del quale fece Sultan Paiaxit una bella habitatione per la sua persona, dove continovamente si dimorava nel tempo della vernata nelle stanze piu basse, & questo faceva per fuggire il vento, procedente dal mar maggiore, & anchora perche sono luoghi assai piu caldi:similmente in questo Serraglio è una stanza fatta tutta quanta di vetri bianchi quadrati, et con verghe di stagno commesse, & legate insieme, & è in guisa di cupola tonda, che lungi vedendola, d'un padiglione difeso rende sembianza, sopra la quale gia per antico tempo passava una acqua con mirabile artificio, che giu spargendosi per la cupola discendeva nel giardino, & quivi veniva à starsi spesso il Re la state, per dormire il giorno al fresco, al mormorio dolce delle sonanti acque, ma al presenti, perche sono rotti quegli condotti; l'acqua altrove s'è rivolta. Anchora v'è una stalla bellissima, ne la quale stanno da quaranta cavalli del gran Turco, i suoi piu favoriti, & piu stimati: intorno alle mura del Palazzo sono Torri assai, tra le quali ne sono sei non manco belle, che forti, & ciascuna ha la sua porta di ferro, che mai non s'apre, se non per bisogno grandissimo: la prima, per dove s'entra, è maggiore dell'altre, & di sotto, & di sopra lavorata di colori variati con lettere d'oro, & con foglioni alla damaschina, & alla prima entrata della porta è una bella piazza, & si grande, che ventimila huomini a cavallo vi starebbono agiatamente, & è murata tutta per ogn'intorno: in capo della quale sono due torri, & una porta, dove tutta la gente è solita scavalcare; dipo si va à piedi, & entrasi in una stanza grandissima, ne la quale il gran Turco suol dare audienza: dalla parte della marina sono due altre torri, ben fornite d'artiglieria grossa, & minuta, & in mezo à queste è la porta secreta del Re, & avanti alla porta in uno spatio di cinque, ò di sei passi di larghezza, & di lunghezza trenta, sono piu, che quaranta bocche di fuoco, le quali tirandole, vanno rasente l'acqua, & quando il gran Turco vuole andare à piacere per la marina vengono dueBrigantini à quella porta, sopra l'uno de quali il Re monta, & l'altro gli va appresso per ogni rispetto, che fosse mestiero.
DE SERVITORI CONTINOVI DEL PALAZZO. CAPITOLO X
I Servitori del gran Turco tutti vanno per ordine di grado in grado, ma i principali, & piu i suoi favoriti sono tre soli, de quali il primo è chiamato CIVDAR, & è quello, che continovamente gli dà da bere, & sempre è seco, portandogli le vesti, che per la pioggia gli facessero di bisogno: l'altro si chiama GIVPTER, il quale gli porta seempre dell'acqua dietro, per tutto ovunque e vada, & le camicie da mutarsi, il terzo è ALVSTAR, che porta l'arco, & le saette, et la sua spada, & questi sono i piu propinqui al Signore, & hanno per provisione dieci ducati d'oro il mese per ciascuno, & sono due volte l'anno vestiti di broccato d'oro: & quando sono d'età di xxiiii, gli togliono da quel servigio, et mettongli maggior grado, & alle volte sono i primi della corte, & in luogo loro succedono tre altri giovani di xv fino a xvi anni, quegli che piacciono al gran Turco: ma fa di bisogno che siano di bella presentia, & di buona gratia, bene armigeri, ben letterati, di buoni costumi, & ottimi parlatori, & servono infino à quella rtà con la medesima provisione.
DE CAMERIERI DEL GRAN TURCO. CAPITOLO XI
Ne secondo grado sono i Camerieri, i quali sono quindici giovani diputati alla guardia della Camera del Signore, il cui ufficio è fare il letto, spazzare, fare del fuoco, & altre cose simili, che accadessero appartenenti à quello ufficio, & la notte di cinque in cinque fanno la nguardia dentro la Camera del Re, & hanno di loro provisione sei, ò sette ducati il mese, & sono vestiti similmente due volte l'anno di broccato, & di velluto, & fa mestiero, che questi anchora siano ben letterati; & bene atti à quel servigio, & sono chiamati ASONGLEALLARI, che vuol dire giovani favoriti. Alla custodia di questi giovani è diputato uno Eunucho chiamato TACVTAGA, il quale è il principale nel Serraglio de fanciulli, & ha per sua provisione cento sessanta aspri il giorno, che sono più di tre ducati d'oro larghi della moneta nostra, & vestito due volte l'anno con fodere di zibellini, & altre pelli di gran pregio, & ha cavalcature dal gran Turco per la sua persona, quanto ne vuole, & oltre à questa provisione, ha ogni hanno trentamila aspri d'entrata, i quali gli vengono per sua parte delle decime de casali, & villaggi che'l Turco dispensa tra gli huomini della sua corte.
DELLA GUARDAROBA DEL GRAN TURCO. CAPITOLO XII
Doo questi sono trentacinque giovani chiamati ODOGLANDARI: i quali perche stanno in una camera, dove sono le robe del Re, sono diputati per guardare le vesti, & tenerle in ordine, bene spazzate, & bene acconcie: & oltre à questo, quando I CESIGNIR portano le vivande nel palazzo, essi le pigliano, et le portano ne la Camera, dove il gran Turco mangia, che questo anchora è loro ufficio, & son questi d'età d'anni quattordici sino in sedici, & hanno dieci aspri per ogni giorno, & vestimenti due volte l'anno, uno di velluto, & l'altro di damasco, ò raso: similmente alla guardia di questi giovaniè uno Eunucho chiamato ODOBASCIA, con provisione di cento aspri il giorno, & vestimenti di velluto due volte l'anno, & cavalcature dal Re per suo piacere, & oltre à questa provisione gli viene l'anno xii ò vero xv mila aspri delle rendite de villaggi, & casali della Grecia: & ha autorita sopra i giovani di correggergli, & castigargli.
DELLA CAMERA DEL THESORO NEL SERRAGLIO. CAP. XIII
Nella canaera chiamata OSNA, che vuol dire casa di Thesoro, stanno gli ASLAOGLANDARI con provisione di dieci sino in quindici aspri il di, & vesti due volte l'anno, come i giovani sopradetti: il loro ufficio è haver buona cura alla camera del Thesoro, percio che in quella sono vesti di broccato in varie guise, & vasi di piu sorti d'oro, & d'argento & gioie, & danari, & per questo sono messi a quel servigio, & debbono stare preparati per portare queste cose sempre che'l gran Turco le domandasse: Questi sono finalmente sotto la custodia d'uno Eunucho chiamato ESNEDARBASCIA, che vuol dire Thesauriere perche esso ha le chiavi del Thesoro, benche, non puo aprire, posto che e' voglia, senza la licentia di altri suoi superiori chiamati l'uno TESTEDER: l'altro NISANGI, che sono Sigillatori delle casse, & della porta del Thesoro, & nessuno di tre puo aprire senza l'altro. Questo ASNADARBASCIA ha cento cinquanta aspri il giorno, & due, & tre volte l'anno vestimenti foderati di bellissimi zibellini, et ha d'entrata del Thesoro, che si cava di quella stanza, due per cento, & danne la terza parte al Sigillatore TELTERDER, & l'altra all'Eunucho primiero IAVTAGA, & l'altra si tiene per se, & ha cavalcature a suo piacere, come gli altri della stalla del Re.
DELLA DISPENSA SEGRETA DEL GRAN TURCO. CAP. XIIIII
Nel Palazzo da parte v'è una stanza chiamata CHILER, ne la quale sono xxv giovani di età di xx fino in xxii anni, chiamati CHILEROGLANDARI, cio è dispensieri: Questi sono diputati alla custodia di quella stanza, dove stanno Giulebbi, Zuccheri, & spetierie d'ogni sorte, & tutte le cose, che hanno bisogno per la Cucina segreta del Signore: hanno questi anchora provisione di sette aspri il giorno, & vestimenti due volte l'anno di damasco, ò raso, & stanno quivi continovamente, & tanto possono uscire fuori del serraglio, quanto il gran Turco andasse in campo: & il loro piacere è imparare à leggere, et tirar l'arco: à questi è superiore uno Eunucho, chiamato CHILEGIBASCIA, il quale guarda tutte le cose della dispensa, & ha cento aspri di provisione il giorn, & due volte vestito l'anno, come gli altri, & ha oltre à queto trentamila aspri d'entrata delle Rigaglie della dispensa, percio che ogni cosa passa per le sue mani: & puo cavalcare delle cavalcature del gran Turco à suo piacere.
DELLA SCHUOLA DEL SERRAGLIO. CAPITOLO XV
In una casa chiamata LENGIODA, cio è casa nuova, vanno à stare tutti i giovani, che di nuovo vengono, che saranno alle volte LXXX ò vero cento, secondo che ne saranno al gran Turco presentati; accio che imparino di parlare il loro volgare Turchesco, & come un giovane v'è stato cinque, ò sei giorni, gli mostrano l'alphabeto: in questa schuola sono quattro Maestri, l'uno insegna à leggere il primo anno à quelli, che incominciano, l'altro mostra leggere il CVRAAM in Moresco, & dichiararlo, mostrandogli articoli della loro fede, l'Altro mostra dopo il CVRAAM altri libri Persiani, & qualche poco scrivere, come che lo scrivere non mostrano volentieri, & l'altro mostra libri Moreschi, volgari, & letterati. Questi figliuoli per il primo anno per loro provisione hanno due aspri il giorno, il secondo tre, il terzo quattro, & come crescondo d'anni, cosi cresce la loro provisione, & hanno vestimenti di scarlato due volte l'anno, & certe vesti di tela bianca per la state: I Maestri hanni dieci aspriil giorno, & molte fiateil gran Turco tra l'anno fa lor qualche presente di vestimenti, non pero che ordinariamente gli habbiano, come gli altri, & ogni scholare, levandosi dalla schuola, fa un presente di cinque cento aspri, i quali si dividono tra loro quattro. Questi Maestri hanno per commessione del gran Turco di non battere i discepoli piu d'una volta il giorno, & per quella non possono passare piu di dieci vergate con una verga sottile, & quando gli battono fanno in questa guisa, distesi in terra gli mettono i piedi inn una stanga pertugiata grossa, che stiano forti, & di poi con quella verga gli danno sopra le piante dieci bastonate, sopra gli borzacchini, & dipoi gli sciolgono; & se il Maestro gli battesse piu dell'ordinario contra la volontà del gran Turco, gli sarebbe prestamente tagliata la mano; & cio perdonadogli, per cortesia, che gli facesse, lo manderebbe fuori del Serraglio, privo d'ogni provisione. A questi fanciulli è ordinato anchora in loro custodia uno Eunucho, che gli provede, quando i maestri non sono in casa, di tutto quello, che fa loro di bisogno: & questi ha di provisione sessanta aspri il giorno, & vestito due volte similmente di seta; & quando alcuno de giovani ben dotto, & bene costumato entra ne la Camera del gran Turco, gli fa un presente di duomila, ò tre mila aspri, ò qualche vesta di broccato d'oro: anchora molte fiate il Signore gli da dieci, ò vero dodici mila aspri, che gli divida tra certi giovani, che leggono certi salmi per l'anime de suoi morti, i quali distribuisce à suo piacimento lo Eunucho, per se tenendosi la maggior parte.
DE GIOVANI CHE SERVONO AL GIARDINO DEL RE NEL SERRAGLIO. CAPITOLO XVI
Anchora sono nel Giardino del Re dugento giovani d'età d'anni xv fino in xx anni, chimati BOSTANGLIER, cio è, giardinieri, i quali sono diputati à levare l'herbe maligne, che nascono nel giardino, & spazzarlo, farvi venire delle acque, & tutte l'altre cose per conservatione, & bellezza delle herbe, & delle piante, & sono provisionati di tre, & di quattro aspri il giorno, & hanno vestimenti di panno una volta l'anno. Questi non imparano à leggere, perche non attendono ad altro mai, ch'al giardino: & chi di loro truova il primo frutto maturo di qualunque sorte, presentandolo al loro superiore, che lo porti al gran Turco, guadagna mille aspri: à questi è ordinato il loro superiore, chiamato BOSTAGIBASCIA, la cui provisione sono dugento aspri il giorno, & vestimenti di velluto, & di broccato due volte l'anno: & questo principale non è, come gli altri superiori Eunuchi, ma è solamente uno de gli Schiavi del gran Turco; & quando è la stagione de frutri, gli fa corre, & vendere ne la piazza fuori del Serraglio, & tutti i denari che si pigliano, porta al gran Turco, i quali fa spendere per le spese per la sua propia bocca, perche dice, che quelli sono denari di buono acquisto, & non di sudore di poveri huomini, & pero d'altri non si vuole fare le spese: & questo BOSTAGIBASCIA uscendo fuori di tale edificio, il che sta al piacimento del Signore, fanno le piu volte Capitano di Galipoli, che è di grande honore, & non si manco utilita. Conciosia che tutta l'armata del gran Turco, che si fa per mare, passa per mezo suo, & niuna nave puo entrare, ò uscire dellostretto di Galipoli sino a Costantinopoli, senza sua licentia; & cosi è Signore di tutte quelle riviere del amre, & possiede grandissime entrate: & se nel suo tenimento affondasse alcuna nave, sarebbono sue tutte le robe, che salvar si potessero.
DE FORNARI DEL SERRAGLIO. CAPITOLO XVII
Nel Serraglio sono quattro forni insieme in una casa, dove si fa il pane per la bocca del Signore, et tutta la famiglia. I fornari sono tra Maestri, & Garzoni, circa LXX. Et quelli che fanno il pane per il gran Turco, hanno di salario dieci aspri il giorno, & gli altri cinque, & sono vestiti con tre garzoni una volta l'anno di panno fino: & hanno un superiore chiamato ECHEMCHERRI BASCIA, che vuol dire soprastante del forno; il quale ha cinquanta aspri il giorno, & per ogni pasqua una vesta di broccato basso; & non ha altra entrata, eccetto che presentando à BASCIA cialdoni, & biscotti, & altri lavori di pasta; li fanno presente di x ò xii ducati, & cose simili.
DELLA CUCINA DEL SERRAGLIO, SECRETA, & PUBLICA. CAPITOLO XVIII
Sonvi anchora due Cucine del Re, l'una segreta, & l'altra publica, che è quella della famiglia; dove sono circa cento sessanta, tra Maestri & Garzoni: & una parte de Maestri cuoce un giorno, & l'altra il seguente, i Garzoni di continovo: i Maestri della segreta hanno dieci, fino in quindici aspri di provisione il giorno, et quelli della publica sette, sino in otto: & li Garzoni tre, & sono vestiti tanto i Maestri, quanto i garzoni una volta l'anno di panno fino: Quelli della segreta hanno ciascuna il suo fornello, dove da parte cuocono le vivande con fuoco di carbone: affine che non sapessono di fumo: & ciascuno ne empie un piatto di porcellano; & dannoli à CESIGNIER. Anchora tutti questi Maestri della segreta, & publica, hanno quattro superiori: il primo è chiamato ARGIBASCIA; cio è, soprastante delle due Cucine, il quale è diputato à loro custodia, & farli dare i salari e i vestimenti anno per anno, & provedere cio, che facesse bisogno, quando il Re andasse in campo, ò in altro luogo: Questi ha sessanta aspri il giorno di provisione, & vestimenti di broccato una volta l'anno. Il secondo EMINMVPAGI; cio è superiore di tutti gli spenditori: Questi paga tutti i danari, che spendono ne le robe della Cucina, & ha cinquanta aspri il giorno, & per le pasque vestimenti à beneplacito del gran Turco. Il terzo detto CHEAIA, il quale è diputato à vedere tutte le cose, che entrano, & escono delle Cucine, & accordare le differentie, che venissero tra Cuochi, ha la medesima dell'altro soprascritto. L'ultimo si chiama MUPTARIASIGILI; cio è, scrittore di tutte le robe, che vengono nelle Cucine: Questi è come Scalco, & ordina ogni mangiare per il gran Turco, & per la famiglia di giorno in giorno, & tiene i libri dove è scritto, di che sorte habbiano à essere le vivande ne l'una, & l'altra Cucina; Questi han trenta aspri ilo giorno, & vestire come pare al Signore: Et di tre mesi in tre mesi fa le polizie, tanto à Maestri, quanto à Garzoni de loro salari, i quali portano ALIBASCIA, & son pagati subitamente. Oltre à questo, tutti questi quattro hanno entrate grandi delle Rigaglie della Cucina, le quali vendono, & dividono tra loro i danari, che ne pigliano.
DE GLI HUOMINI, CHE LAVANO I PANNI DEL RE, & DELLA FAMIGLIA TUTTA DEL GRAN TURCO. CAPITOLO XIX
Hanno anchora nel Serraglio venti huomini, i quali chiamano CHIAMASTIR; de quali due solamente sono diputati à lavare i panni della propria persona del gran Turco, & gli altri à lavare i panni di tutta la brigata: I due primi hanno dieci aspri di provisione, & gli altri cinque; & vestimenti secondo che piace al Signore. Questi non hanno altro superiore, ne altra entrata oltre à questa, se non tutte le camicie, & lenzuola vecchie del Signore, & della famiglia: & hanno ogni anno quattro casse di sapone per lavare i panni, del quale poi se niente avanza, se lo distribuiscono egualmente.
DEGLI ACQUAROLI DEL SERRAGLIO. CAPITOLO XX
Sonvi ordinati anchora (si come è di bisagno) gli Acquaroli, i quali sono dieci, chiamati SACHALER, & ciascuno di loro ha due muli gagliardi; co quali, perche non usano barili, ò altri vasi, nelle pelli de bufali dell'acqua portano nel Palazzo; una parte alle Cucine, l'altra à Forni, & l'altra à quelli, che lavano i panni: Et la loro provisione è cinque aspri il giorno, & vestimenti una volta l'anno di panni grossi: & questi servono, quando il gran Turco sta fermo in Costantinopoli, ma quando va in campo, c'è uno chiamato SACCABASCIA, che provede d'acqua per la bocca propria del Signore, & è superiore à tutti gli altri, & ha provisione dieci aspri il giorno, et ogni anno dal gran Turco una veste di broccato rosso.
DE BAGNI DEL SERRAGLIO, CHIAMATI STUFE. CAPITOLO XXI
In un'altra parte del Serraglio, è una Stufa sì grande, che vi possono stare dentro dugento huomini, con molte Camere per ogni intorno, lequali sono piene d'acqua calda, & fredda. La Stufa è tutta tonda, & fatta in volta, & il tetto in guisa di cupola, tutto di piombo coperto, il solaro d'essa è fatto à divisa di amrmo verde, & bianco, & nero di pezzi minuti, & lavorati in vari modi. Nel mezo è una fontana di marmo bianco, d'altezza di due huomini, ne la quale viene per artificiosi condotti una acqua freschssima, che tutti che sia la Stufa calda, piena che è si sparge per le dette Camere, per certi condotti, & rinfresca. Anchora vi è una pila non molto grande, sopra la quale sono due cannelle, che l'una versa acqua calda, & l'altra fredda. Questa Stufa sta sempre apparecchiata; affine che se'l gran Turco, ò alcuni de suoi Gentili huomini si volesse levare possa: & vi stanno ordinati dieci huomini salariati, per servire ciascuno, massime ch'e Turchi hanno per commandamento della lor legge, & di Mahometh, che qualunque si sia, che in sogno, ò volontariamente si corrompesse, non possa leggere, ne toccare libri, ne fare oratione, se prima del suo corpo non sia ben lavato. Et s'alchuno andasse allo OMESCHIT senza lavarsi, & fosse conosciuto; i Sacerdoti co bastoni lo caccerebbero fuori: & per cio per tutto sono assai di queste Stufe, & si lavano nel modo, che noi Christiani facciamo. Anchora in questa Stufa è una fontana lastricata di marmo, larga come una Camera, che è pienea d'acqua tiepida, & si profonda, che l'acqua viene à gli huomini infino al collo, la dove i giovani notando hora sopra, hora sotto acqua si sollazzano, & faticati corrono alla fontana d'acqua fresca: & essendosi à lor modo lavati, si vestono, & donano qualche cosa à quelli servitori per loro cortesia, & partonsi.
DEI MEDICI DEL SERRAGLIO, & DE BARBIERI. CAPITOLO XXII
Continovamente vi sono anchora dieci huomini, chiamati ECHIN; cio è, Medici, & dieci altri chiamati GERACLER; cio è, Barbieri: & questi sono diputati al servigio di tutta la corte, & hanno provisione dieci aspri il giorno, & non altro; tra quali ve ne sono tre Hebrei: & quando sta qualcuno infermo, uno de Medici va al gran Turco a domandar licentia, s'è di suo volere, che quel tale sia curato, & ottenuta la licentia, fa menare lo infermo in una altra parte del Serraglio, & ivi lo cura: & è obligato visitarlo quattro volte il giorno, & non bastando un Medico, vi vanno tutti: i Barbieri sono obligati ogni giovedì, perche quel giorno è à loro, come à noi il sabbato, à venire à lavare la testa à giovani del Serraglio: percio che non fa mestiero raderli, che non hanno la barba, che havendola subito li cacciano fuori del Serraglio, & dannogli altri uffici: & similmente facendosi male qualch'uno di quelli giovani, ò di ferite, ò d'altro per la persona, quelli Barbieri non possongli medicare, se prima non hanno licentia dal Re. Et similmente s'alcuno si volesse cavare un dente, non possono senza licentia farlo: & facendolo ò per denari, ò per altro, & sapendolo il Signore, ne farebbe cavare à lui un'altro: Et sono questi Barbieri salariati dal Re oltre i beveraggi, che hanno dalle genti.
DEGLI EUNUCHI CHE SERVONO NEL SERRAGLIO. CAPITOLO XXIII
Venti sono i CAPIOGLAN, cio è, servitori de giovani del Serraglio, i quali sono diputati ancho alla guardia della seconda Porta del Palazzo, & fare ciascuna altra cosa, che da giovani li è lor commandata: percio che i giovani non possono mai nuscire fuori delle loro stanze, & nessuno può parlare con loro, se non questi Eunuchi; i quali hanno di provisione quattro, ò ver cinque aspri il giorno, & vestiti: & hanno un loro superiore, chiamato CHAPIANGASI che di provisione ha cinquanta aspri il giorno, et vestito come gli altri Capitani.
DE GIOVANI CHE POSSONO USCIRE DEL SERRAGLIO. CAPITOLO XXIIII
E' da sapere, che tutti questi giovani Eunuchi, & ufficiali nominati non posson mai uscire fuori del Serraglio, & vivonsi alle spese del gran Turco, & tutti sono suoi schiavi, & figliuoli di Christiani, eccetto che la maggior parte delli Eunuchi sono Indiani, percio che il gran Turco non ne fa alcuni delli altri, se non quelli, che lussuriosamente qualche giovane sforzassero: allhora subito gli priva de membri genitali, & falli Eunuchi. Tutti questi giovani soprascritti, quando sono in età di venticinque anni, il gran Turco fa levare dal Serraglio, & mandagli in un'altro luogo più honorato, accrescendo loro la provisione secondo il grado, che hanno nel palazzo: & quando vogliono uscir fuori, che saranno alle volte assai, vanno di compagnia a chiedere licentia al gran Turco, il quale fa donare à ogni uno una veste di broccato, & un cavallo de suoi piu belli, & poi li fa un parlamento amorevole in quella partita, ammonendogli à seguitare in continove buone opere, & portarsi bene ne gli altri ufficij, che faranno, come in quelli, hanno fatti: & sopra tutto gli ammonisce, che se alcuna cosa mal fatta hanno veduta nel palazzo, non la voglian manifestare, anzi tenerla segreta appresso di loro, & fatta riverentia al Signore, & risposto, humilmente, si partono, & da quellhora non entrano mai piu nel Serraglio. Hora inviandosi per uscir fuor della porta grande vestiti di broccato, portano ciascuno un fregio d'oro sopra la fronte con gioie di pregio di trecento scudi, & hanno un fazzoletto in mano dove sono circa mille aspri, & alla porta truovano cavalli, & montano con gran trionfo, buttando i danari, che ne fazzoletti portano, & vanno à luoghi da loro primieramente ordinati, portandosi tutte le robe, che hanno acquistate nel Serraglio, & in luogo loro succedono altri figliuoli, nel medesimo ufficio, che quegli lasciano.
DELLA GUARDIA DELLA PORTA GRANDE DEL SERRAGLIO. CAPITOLO XXV
Alla porta grande del Serraglio sono ordinariamente due guardie, & à ciascuna tocca la guardia un giorno: Della prima è Capitano il CAPICIBASCIA, il quale ha trecento huomini chiamati CAPICI sotto di lui: L'altro Capitano è chiamato CVCCI CAPIBASCIA, il quale ha dugento huomini simili: Il primo ha di provisione cento venti aspri il giorno, & l'altro cento: Gli huomini sono cinque cento in tutto, tutti schiavi del gran Turco: Hanno di provisione, chi sei, & chi sette aspri il giorno, & chi in sino à dieci: & fannosi le spese da loro stessi, eccetto quel giorno, che fanno la guardia alla porta, che mangiano nel Serraglio alle spese del Signore. Et davanti la porta stanno co bastoni in mano, cheniun Turco possa entrare, se non fosse Cortigiano di Palazzo. Et quando il Re va in campo; questi due Capitani gli fanno compagnia, & la guardia avanti la sua persona: & ciascuno ha seco trenta, ò quaranta huomini lor propi schiavi, ornati riccamente di vestimenti, & cavalli, i quali tengono per pompa alle loro spese.
DE SACERDOTI, I QUALI VANNO A FARE ORATIONE NEL SERRAGLIO. CAPITOLO XXVI
Quaranta Sacerdoti, chiamati ENEANGILER ogni giorno, come prima s'apre la porta, vengono nel Serraglio, i quali non sono schiavi del gran Turco, ma hanno di provisione quattro aspri il giorno, & quivi ciascuno entra in un tempio con un libro in mano, & fanno un circolo in tondo, & cominciano à leggere un salmo chiamato ENCAM, il quale è si lungo, che dura un'hora, & in un tempo ciascuno de Sacerdoti lo legge una volta, & bisogna che leggano forte, percio che hanno altri superiori, che li ascoltano, se à caso facessero qualche errore, & tutti insieme stanno in ginocchione leggendo, & dicono questo salmo, perche truovano ne lor libri, che leggendo qualchuno quaranta volte, riceverebbe poi da DIO ogni gratia, che domandasse, & similmente s'alcuno havesse à sostenere qualche tribolatione, leggendolo tante volte, sarebbe subito liberato; & questo il gran Turco, per pervenire ad ogni suo disegno, quaranta volte per ogni giorno fa à quelli suoi Sacerdoti leggere: & se à caso il Re morisse, sono obligati à leggerlo sopra della sepoltura, & mai non mancano della solita provisione cosi in vita, come in morte del Signore, & ogni discendente della Casa de gli OTHOMANI, anchora che sia morto, ha quaranta di questi Sacerdoti, che li vanno à leggere sopra la sepoltura: & hanno quattro aspri di provisione il giorno, de l'entrate, che i Signori gli lasciano.
[IL FINE DEL TERZO LIBRO]
DELLE GENTI D'ARME SALARIATE DAL GRAN TURCO, ET SUOI CAPITANI ET GENTILI HUOMINI. LIBRO QUARTO
Hor chi non sa, et à noi non fu celata già mai la grandezza delle Turchesche genti, & di quanta terra, & di quanto mare il gran Turco (non senza nostro danno) è possessore, & le superbie grandi per le soverchie sustantie, che egli usa di giorno in giorno, & quanta moltitudine di Christiani ha fatti schiavi, & ridotti alla Mahometthana superstione, & legge, inescando gli humani appetiti con lascive voglie, che la mente di penose salme gravano: le quali cose al presente scrivere m'aggreada, accio che scoperti i loro ordini, qualcuno di rompergli prenda ardimento, & dia loro punitione di maligna vita, di che non poco mi gioirei. Ma torno al mio primo lavoro à seguitare compiutamente le cose della lor corte, secondo che per ordine mi rimembra.
DE TRE PRIMI BASCIA DEL GRAN TURCO. CAPITOLO PRIMO
Sono appresso al gran Turco tre suoi schiavi, chiamati BASCIA: questi sono i principali huomini della msua corte, si di ricchezze, come d'autorita, et sono quelli, co quali il Signore si in cose di guerra, come in ogni altra cosa, che voglia fare, si consiglia; hanno di provisione mille aspri il giorno: oltre à questo hanno Castella, Citta, terreni di gran valore, che ne levano grandissima entrata, & tengono corte ordinata di loro propi schiavi, come il gran Turco, & queste entrate hanno le più volte su la Grecia, & la Natolia sottoposte al gran Turco.
DEL CAPITANO, CHIAMATO IANICERA GASI. CAPITOLO II
Dopo tre BASCIA è uno Capitano di natione Bosna, il quale ha sotto di se dieci mila huomini, & è chiamato IAMCERAGASI; cio è, capitano de Ianizzeri, & questi ha il gran Turco, per che li fa pigliare da lor propi padri, & madri sopra la Grecia, & la Valacchia, & la Bosna, come segli venissero per decima: conciosia che se un padre havesse tre figliuoli il gran Turco ne fa prendere uno à sua elettione, & à fare questo ufficio di pigliare queste genti, sono più di dugento huomini salariati, i quali vanno visitando questi luoghi, se vi sono huomini di soverchio, & mandangli in Costantinopoli, & ogni volta che tornano, ne menano dugento, & trecento, & gli danno per la citta à ciascuno, che bisognasse tali servitori: & tutti gli scrivono, & gli lasciano ad imparare la Turchesca lingua, & d'anno in anno guardano, chi di loro fosse sofficiente all'arme, & quello menano à questo Capitano, & perche sono anchora novizi, è ordinata loro provisione di due aspri il giorno, et ad altri cinque, ò sei generalmente, & tutti sono vestiti una volta l'anno di panno turchino à una livrea: & quando il Re va in campo, hanno fino alla somma di dieci ducati per potersi mettere in ordine. Questi vanno tutti à pie, & portano in testa una berretta di feltro bianco, che gli pende infino à meza spalla, & ogni mattina tutti si truovano à casa del Capitano, per intendere se il Re comandasse cosa alcuna. Questo Capitano ha di provisione cinquecento aspri ilo giorno, & vestimenti cinque volte l'anno, & monitioni, & masseritie per il vitto di casa sua, quanto gli basta il Re gli dona, & ha duegento schiavi suoi propi, i quali mantiene egli. Sotto costui sono dieci Capitani, che hanno mille Iannizeri per huomo, & ogniuno di questi dieci ha dieci altri Capitani, che hanno cento huomini per huomo, & poi altri capi di squadra, secondo che ricerca l'ordine della militia. Questi tutti hanno habitationi in mezo di Costantinopoli, i quali à venticinque, et cinquanta alla volta fanno la guardia per le strade, accioche non si faccia quistione per la citta, ò latrocini, & sono pagati ditre mesi in tre mesi, tanto da tempo di pace, come di guerra.
DEL CAPITANO IMBRALEM. CAPITOLO III
Questo Capitano IMBRALEM, è favoritissimo, & di continovo appresso al Re, & ha in guardia tutti gli stendardi, & le bandiere dello esercito del Gran Turco, ne mai spiegare si possono se non è alla presentia, et ha di provisione centocinquanta aspri il giorno, et ha cinquanta huomini à cavallo sotto di se salariati, i quali si chiamano SANGATTAILER, cio è, guardie, & portatori di bandiere: in cima delle quali portano una luna d'oro di pregio di venti mila aspri in circa, & quando qualcuno ha signoria dal Re, questo Capitano gli presenta la bandiera di quella citta, & ne riceve buon beveraggio di danari, vesti, & cavalli, & molte altre cose simili.
DEL CESIGNIR BASCIA. CAPITOLO IIII
Il CESIGNIR BASCIA è un soprastante di forse quaranta giovani di lodevol presentia, & è come scalco, & ha di provisione cento trenta aspri il giorno, & vestimenti: il cui ufficio è, andare avanti à CESIGNIR, che sera, & mattina nel Serraglio portano le vivande del gran Turco, & fare la credenza d'ogni cosa, che'l Signore mangia. Questi altri Cesignir, sono salariati, & schiavi tutti del gran Turco, & sono figliuoli di Christiani, & le stanze loro sono in Costantinopoli.
DE GENTILI HUOMINI DEL GRAN TURCO. CAPITOLO V
Similmente tiene il gran Turco dugento suoi schiavi, chiamati MUTTEFERRECA: cioè huomini senza pensiero di servire al padrone, i quali hanno di provisione quaranta spri, & piu, & meno, & non hanno obligatione d'andare in campo, ne andare al Serraglio, se non a lor piacere: Et quando alcuno schiavo del Signore ha fatto della sua persona esperienza, ò pruova, lo mette per sua merce nel numero di questi gentili huomini, i quali hanno un Capitano chiamato MUTTEFERECHA BASCIA che ha di provisione cento aspri, & mantiene la medesma vita, che gli altri, i quali hanno case, & possessioni, & servitori alle loro spese fuori del Serraglio.
DE CAVALIERI, I QUALI VANNO ALLA BANDA DESTRA, & DI QUELLI, CHE VANNO ALLA BANDA SINISTRA, AVANTI AL RE. CAPITOLO VI
Mille huomini, chiamati SPAI col loro Capitano SPAIOGLANDARGASI, sono anchora salariati in corte del gran Turco, tutti suoi Schiavi, i quali, andando il Signore in Campo, vanno per sua guardia dalla banda destra, bene in ordine d'arme, & di cavalli; il Capitano ha cento aspri di provisione, & cento trenta mila aspri d'entrata l'anno gli vengono dalla Grecia. Questi giovani sono la maggior parte di quelli, ch'escono fuori del Serraglio, & hanno di salario venti fino in trenta aspri il giorno de quali si vivono, &vestono con loro cavalli, & servitori. Dalla banda sinistra, quando cavalca il Re, passa un Capitano chiamato SV PLV PHTARBASCIA, con mille, & cinque cento huomini schiavi del Re, il quale è provisionato, come l'altro, ò circa. La maggior parte di questi SV LV PHTAR sono Christiani rinegati, & la loro provisione sono in dieci fino in quindici aspri il giorno, & fannosi le spese à loro, et à cavalli. Questi huomini sono diputati à fare la guardia un giorno, & una notte, quando il gran Turco dorme fuori di Costantinopoli, & andare ogni anno a riscuotere l'entrate nela Grecia, & ne la Natolia.
DE MAESTRI DI STALLA DEL GRAN TURCO. CAPITOLO VII
Ne la corte del gran Turco è uno suo schiavo, chiamato IMBROORBASCIA; cio è, Maestro di stalla principale, il quale ha cento cinquanta aspri di provisione, & trenta mila aspri d'entrati, i quali cava de prati della Turchia. Questa ha sotto di se novecente huomini, i quali sono diputati à governare le bestie, che stanno nelle stalle, dove egli è superiore. Questi hanno come suoi famigli, & si chiamano SARACILER: & la loro provisione è di cinque fino in otto aspri; de quali una parte, quando il Re va in campo, è abligata caricare le robe del gran Turco, & massime la cassa del Thesoro, un'altra parte portare padiglioni del Signore, & della famiglia sopra i Cameli, & un'altra parte biade per li cavalli, & l'altra à sellare, & governare i cavalli de giovani del Serraglio: tra quali ne sono quaranta piu favoriti, i quali governano i cavalli della propria persona del Re, & selle d'essi, che sono ricchissime, che incio i Turchi studiano assai; & quando il Re cavalca, questi quaranta menano parte de suoi cavalli à mano avanti ad esso. Questo IMBROORBASCIA; quando il gran Turco cavalca, lo piglia sotto le braccia, & aiutalo, et ha in guardia tutti i suoi cavalli, de quali ne stanno quaranta i piu favoriti nel Serraglio, & un'altra parte in Costantinopoli, l'altra in Andrinopoli, & l'altra in Bursia; & quando il Re và in campo, gli manda tutti a pigliare per sostui, & similmente i Cameli, che sono alla sua cura, che saranno tal volta tutti carichi di robe piu che dieci mila. L'altro Maestro di stalla, chiamato CVCCHIVCCHI IMBROORBASCIA, cio è, Maestro di stalla piccolo, ha di provisionecento aspri il giorno, & venti mila aspri d'entrata de prati della Turchia. Questi ha sotto di se cinquecento huomini, chiamati SEISLER, cio è, mulattieri, & famigli di stalla con loro provisioni di sei aspri il giorno, & ha in custodia tutti i cavalli di poco prezzo del Signore, & similmente Cameli, & muli, che servono à portare l'artiglierie, & ripari di tavole, e di questi cavalli ne da, à chi non n'ha, essendo al servitio del gran Turco: i quali cavalli saranno insieme circaquattro mila, che li cavalcano, & menano à mano questi cinquecento huomini, sopradetti dietro à Cavalli.
DE VOINCLER. CAPTOLO VIII
Et con questi due Maestri di stalla vanno mille altri huomini, chiamati VOINCLER, tutti Christiani, Greci, & Bosni, & non sono rinegati, ne salariati, ò vero schiavi del gran Turco, ma huomini esenti, & non pagano decime nella Grecia, come gli altri, & à questi, venendo in Costantinopoli, gli altri, che dovrebbono venire, & non vengono, donano provisione di venti aspri il giorno, per mantenersi con loro cavalli, & subito ch'arrivano ne la citta, vanno à presentarsi al gran Turco, con una falce da fieno in spalla, et poscia truovano i Maestri di stalla, i quali danno loro alloggiamento nelle stalle del Signore: & essendo in campo vanno una volta il giorno à segare dell'herba, subito che lo esercito del gran Turco si posa.
DE DUE SQUADRONI DEGLI ULUFEGI, DE QUALI L'UNO CAVALCA ALLA BANDA DESTRA, & L'ALTRO ALLA BANDA SINISTRA DIETRO AL GRAN TURCO. CAPITOLO IX
Dietro alla guardia del gran Turco cavalca dalla banda destra un Capitano chiamato ULUFEGIBASCIA suo schiavo, che ha di di provisione ottanta aspri il giorno, & vestimenti, il quale ha sotto di se, tutti schiavi del Re, cinquecento huomini à cavallo, chiamati VLUFEGI, provisionati di dieci sino in dodici aspri il giorno, & ben pagati; & quando il Re va in campo, hanno cinquecento aspri per huomo per mettersi in ordine. Questi tutti cavalcano alla banda destra del Signore, & fanno la guardia di [giorno], & notte, quando il Re dorme fuori del Serraglio, come i SVLVPTAR; l'altro squadrone de medesimi VLVFEGI, che cavalcano alla banda sinistra del gran Turco, sono quattrocento con provisione di otto aspri il giorno, & come gli altri soprascritti, i cinquecento aspri: Questi hanno il loro Capitano chiamato SVBLULUGI, & è provisionato come l'altro di sopra, ò poco manco, & sotto di lui ha un commessario, & un cancelliere provisionato l'uno, & l'altro di trenta aspri il giorno, con gran numero però di propi schiavi, i quali, come tutti gli altri capitani fanno, mena seco à cavallo bene in ordine, & mantiengli.
DELL'ULTIMO SQUADRONE DEL GRAN TURCO. CAPITOLO X
Dopo questii due squadroni, è un Capitano, chiamato CHARIPITIGLERAGASI; cio è, Capitano de poveri huomini, con provisione d'ottanta aspri il giorno, & vestimenti come gli altri: ha sotto di se settecento huomini, chiamati CARIPITIGLIER, i quali non sono schiavi del gran Turco, ma vengono di vari paesi, & parte ne sono Turchi, parte Christiani rinegati, parte Mori, & à ogni povero compagno, che venga in tal compagnia, il Re fa dare otto aspri il giorno di salario. Questi sono tutti à cavall, & sono soldati, & fanno la guardia notte, & giorno come gli altri, essendo il Re fuori di Costantinopoli.
DE MAZZIERI DEL GRAN TURCO. CAPITOLO XI
Anchora al servigio del Re è un Capitano, chiamato CHIAUSBASCIA, con provisione di settanta aspri il giorno, & vestimenti: sotto del quale sono trenta giovani schiavi del Signore, chiamati, CHIAVSILER; cio è, Mazzieri, con provisione di x, sino in xv aspri. Questi vanno avanti al Re à cavallo, con una mazza di ferro per huomo, quando il Re cavalca per la citta, faccendo largo per le strade: & se alcune persone volesse lamentarsi al Re di qualche torto, fattogli, che altramente che cavalcando è difficil cosa à parlargli, quel tale pone una scritta in cima d'una canna, & questi Mazzieri la pigliano, & subito arrivati nel Serraglio, la presentano al Re in sua propria mano. Similmente ogni mattina si truovano nel Serraglio, percio che sono come Corsori, che bisognando chiamare qualche Capitano, ò altri da parte del gran Turco, lo chiamano prestamente.
DEGLI STAFFIERI DEL GRAN TURCO. CAPITOLO XII
Gli Staffieri del gran Turco, chiamati ISOLAC sono trecentosessanta giovani, & tutti sono schiavi di belle presentie, & ben disposti, & hanno di provisione dieci aspri il giorno. Questi sogliono andare vestiti tutti à una livrea, con vestimenti infino à meza gamba, con una cintura alla turchesca, larga, & bella, & sopra la testa portano un fregio d'oro tirato, largo cinque, ò sei dita, che il piu piccolo, & di minor pregio è di cento ducati, sopra del quale hanno una berretta di feltro bianco, due palmi, & mezo lunga, con un pennacchio di piume bianche, & portano in mano un arco indorato, con le saette: & quando il Re cavalca vanno à due à due piedi avanti la sua persona, & si dividono, che dugento di loro vanno sempre avanti, & cento dietro, & i sessanta si dividono trenta dalla banda destra, i quali sono tutti mancini, & trenta dalla banda sinistra, che sono ritti. Questo fanno, perche bisognando tirare con l'arco, non habbiano causa voltare le spalle al Signore: & quando gli staffieri detti hanno à passare qualche fiume, il Re gli fa passare à guazzo, & se l'acqua viene fino al ginocchio, il Re dona cinquanta aspri per huomo, & se viene fino alla cintura, cento, & se viene di sopra, centocinquanta: ma essendo l'acqua pericolosa, gli fa montare a Cavallo. Questo hanno al primo fiume, che truovano che à gli altri non hanno nulla. Questi non fanno guardia, ne manco vengono nel Serraglio, se non quando il Re vuol cavalcare, & ciascuno si sta alla sua stanza alle sue spese: hanno anchora un Capitano, il quale è molto ricco, chiamato SOLARBASCIA, con provisione di cento aspri il giorno, & vestimenti, & altre entrate come gli altri capitani.
DELLE STAFFETTE DEL GRAN TURCO.CAPITOLO XIII
Similmente con questi Staffieri vanno in ordinanza cento Persiani, chiamati PEICLER, con provisione di otto aspri il giorno: Questi vanno avanti la testa del Cavallo del Signore à piedi senza calze, & senza scarpe, & hanno certi vestimenti di raso verde stretti fatti come pianeti di preti, i quali giungono al ginocchio, & dinanzi à meza coscia, & hanno le maniche strette, quanto il braccio à punto, & sono alte al collo, & tonde, & usano camicie bellissime, sottili, pendenti fino al ginocchio, le quali sono di larghezza piu di cinquanta palmi, in capo hanno una berretta di velluto, detta MEVVLAI, lunga un palmo, et mezo, & larga come un cappello, con vari pennacchi in cima, & cinture larghe due dita, alle quali appiccicano certi sonagli fatti d'una certa misura à posta, grossi come noci, che caminando si sente un suono assai soave, & alle ginocchia due sonagli simili: In mano portano alabarde, ritorte à guisa di coltelli di calzolari, con maniche corte, & indorate: Ne l'altra mano hanno un'ampolla d'acuqa rosa, & alla cintura tengono un fazzoletto attaccato, pieno di zucchero candido, & altre misture per mangiare, quando caminano. Questi vanno sempre saltando in punta di piedi avanti al Re, senza mai posarsi, se bene caminasse tutto il giorno: & tal volta ne prati voltano la faccia al Re, & caminano con le spalle avanti, dicendo ALLAV DEICHERIN; cio è, DIO mantenga il Signore lungo tempo in tale possanza, & altri motti piacevoli, spargendo tuttavia acqua rosa sopra le genti, che van loro appresso, & vanno di continovo ovunque il gran Turco vada, accio che se volesse mandare lettere, & imbasciate in alcun luogo, possa: & subito che hanno la lettera in mano, fatta riverentia, con alta voce gridano SAVLISAVLI; cio è, guarda, guarda, & partendosi vanno saltando tra le genti, non altramente, che se cervi fossero, & caminano notte, & giorno senza mai posarsi: In bocca portano un pomo d'argento piccolo forato per mantener la lena, & camineranno in un giorno piu, ch'un cavallo. Gia si truovò uno di loro essersi partito di Costantinopoli, & andato in Andrinopoli, & ritornato in due giorni, che un cavallo non l'havria fatto in tre: & fannosi ferrare sotto le piante come i cavalli; percio che hanno la pelle tanto dura, che lo comportano. Questi sono huomini che non hanno milza, perche se la fanno cavare, & non si sa in che modo: questo tengono secreto appresso di loro, accio che non si truovi de gli altri iguali loro.
DI QUELLI CHE PORTANO L'ARMATURE DE CORTIGIANI, IN CAMPO. CAPITOLO XIIII
Il GEBIGIBASCIA è un Capitano schiavo del gran Turco, con provisione di settanta aspri il giorno, & ha sotto di se trecento huomini schiavi del Re, che sono salariati di cinque sino in sei aspri: il cui ufficio è menare i Cameli carichi d'armature in campo, che sono casse piene di camicie di maglie, archi, & saette, & scoppietti, brocchieri, & coperte di cavalli di pelo d'orso, & tavole grosse per far ripari: le quali hanno due punte di ferro lunghe, che le ficcano in terra, & si mettono dietro per cagione delle saette, & delli scoppietti, dell'arme bianche, & corazze hanno poche, se non alcune, che togliono sopra le Navi de Christiani: Tutte queste cose portano sopra i Cameli: & essendo in fatto d'arme, le dispensano à cortigiani ordinatamente.
DE BOMBARDIERI DEL GRAN TURCO. CAPITOLO XV
Anchora c'è un'ltro Capitano chiamato per nome TOPPICIBASCIA; cio è, superiore de Bombardieri, con permissione di sessanta aspri, & i suoi TOPOCILER, cio è, i Bombardieri, che sono cinque cento con provisione d'otto aspri, & vestiti: Questi tutti stanno à piedi, de quali una parte, che saranno cento, sta in Pera, in una casa, chiamata TOPCHANA, & quivi stanno sempre à fonder' bombarde, à far' pietre, & altri artifici, & tornano la sera in Costantinopoli, percioche Pera è poco lontana, che per acqua morta, v'è tanto lungi, quanto si distende una saetta d'arco, per terra sono circa sette miglia: & un'altra parte stanno in Costantinopoli à far polevere, & carrette, & gli altri sono diputati à menare l'artiglierie, quando il Re va in campo.
DE TENDITORI DE PADIGLIONI. CAPIROLO XVI
Sonvi dugento huomini col lor Capitano, chiamato METARBASCIA, & loro CIADERMECTERI provisionati, come i soprascritti. Di questi, quando il Re va in campo, cento per giorno s'inviano innanzi, & vanno à tendere i padiglioni tra quali n'è uno, come un Palazzo, dove sono stanze assai con tutti gli uffici: Questo serve per la persona del Signore, & hanno anchora in custodia gran moltitudine di padiglioni: & tutti gli piantano, quando bisogna, & servono per Cortigiani del gran Turco.
DE TROMBETTI, & SONATORI. CAPITOLO XVII
I Trombetti, & altri sonatori del gran Turco, cono cento cinquanta con provisione d'otto aspri il giorno: Trenta di loro sono diputati per Costantinopoli, cio è, quindici sopra una torre appresso al Serraglio, & quindici in uno altro capo della citta: i quali suonano Trobette, Pifferi, Tamburi una volta alle due hore di notte: & sonato, non si puo più andare per la citt: che se qualcuno fosse trovato dal SUBASCI, sarebbe messo in prigione. Suonano anchora la mattina un'hora avanti giorno. Un'altra parte di loro sta in Pera, & gli altri vanno in compagnia del gran Turco in campo, & hanno tamburi si grossi, che un Camelo non ne porterebbe piu d'uno: i quali suonano due huomini per ciascuno, con due mazze: & à sentirli pare, che tremi tutta la terra per ogni intorno.
DE SARTORI. CAPITOLO XVIII
Sono anchora trecento huomini chiamati THERSILER; cioè, Sartori, con provisione di cinque fino in x aspri il giorno: tra quali ne sono trenta, che non cuciono altre vesti, se non quelle del gran Turco, & vanno con lui in campo, & hanno cavalli alle spese del Signore: Gli altri servono i giovani del Serraglio, & una parte le figliuole, & sorelle, & dame dell'altro Serraglio, dove stanno le donne: & questi non vanno in campo, ma di tutte loro fatture sono pagati, & hanno quella provisione di piu.
DELLI OREFICI, & ARGENTIERI. CAPITOLO XIX
Similmente tiene il gran Turco settanta huomini, chiamati CIUMGELER; cio è, orefici, con provisione di dieci aspri, quelli che sono maestri, & i sotto maestri vi, & i garzoni tre: di questi una parte sono persiani, & l'altra schiavi del Signore, i quali lavorano tutte le cose del Signor, d'oro, & d'argento, che fa fare, & sono pagati de lavori oltre al salario, & hanno le loro botteghe in mezo di Costantinopoli, & hanno tutte le spese, & cavalcature del gran Turco à loro piacimento.
DI QUELLI, CHE BATTONO LE MONETE. CAPITOLO XX
Dopo gli argentieri sono anchora cinquanta schiavi del gran Turco, che battono le monete in mezo di Costantinopoli: & due Maestri, che vi sono, sono Hermeni, & Christiani; come che vivano lungi da nostri comandamenti. Otto di questi battono i ducati d'oro, & xxv aspri, & gli altri di certe monete di rame piccole, che per un aspro ne fanno sedici. Gli aspri in Turchia si chiamano AECCIA, & cinquanta cinque vagliono un Ducato d'oro: i Ducati, che si battono ne la sua Zecca, si chiamano SVLTHAANE, & gli altri de Christiani ESREPHIL, eccetto quelli de Vinitiani, chiamati da loro FRENGIFLORI. Ne le monete del gran Turco non sono alcune figure, ma certe parole vi sono in lingua letterale turchesca da l'una banda, che vogliono dir così
Ataiat Saffiat Salthaamat morat can
che vuol dire:Ad honore, & riverentia de l'anima di Sulthan Mahometth, acquisitore della Signoria di Costantinopoli. Questo Sulthan Maometth è bisavolo di Sulthan Selim, che regna al presente. Dall'altra parte del Ducato dice così-
Sulthan mahometth chan. Sulthan Paiaxit Bin. Sulthan Selim scia. Sulthaanet. Sexxhis vis sexen alti
Il primo vuol dire il padre di Sulthan Paiaxit, che fu Sulthan Mahometh, & poi Sulthan Paiaxit suo figliuolo. Sulthan Selim Signore figliuolo di Paiaxit Salthaameth Signore dello stato SEXCHISIVS SEXEN ALTI; cio è, che'l Ducato fu fatto nel numero d'otto cento sessanta, & tanta anni. Questo numero d'anni pigliano dal tempo, che Mahometh regnava. Gli Aspri sono piccoli, & d'argento, & di sotto, & di sopra è scritto il nome del Signore, che regna, e'l medesimo è scritto ne l'altre monete di rame. Tutti i Maestri, & Garzoni sono salariati, come gli orefici soprascritti.
DE MANESCALCHI. CAPITOLO XXI
Anchora sono al servitio del gran Turco trecento huomini suoi schiavi con provisione tra Maestri, & Garzoni di tre fino in dieci aspri il giorno, & venti di questo sono per medicare cavalli, & non si impacciano di ferrare, quaranta de giovani fanno ferri, & chiodi per li cavalli, un'altra parte li ferra per essere pratichi à tale mestiero, un'altra gli castra, quando cio fosse bisogno, & gli altri sono maestri, che fanno serrature, & ferrate per finestre, & morsi per cavalli, & altre sorti di ferramenti, che bisognano del Serraglio, & sono pagati di lor manifatture oltre al Salario, & hanno le spese dal Signore.
DE SCARPELLINI. CAPITOLO XXII
Al servigio del gran Turco sono sempre dugento huomini parte Greci, & parte Christiani, & parte schiavi del gran Turco, et sono chiamati MEIMARGILER, che vuol dire picchia pietre, & quaranta di loro, che sono i migliori, hanno dieci aspri di provisione, & gli altri, chi sei & chi otto, & sono pagati del loro salario di tre mesi inh tre mesi, che mai non manca.
DE NOVIZI GIANIZZERI AGIAMI SCHIAVI DEL GRAN TURCO. CAPITOLO XXIII
I novizi Giannizzeri sono forse cinquecento, i quali si riserbano per fare Giannizzeri. Questi sono stati tolti da loro padri, & madri su la Grecia, & non sanno parlare Turchesco: hanno di loro salario due aspri il giorno: il loro Capitano è chiamato AGIANDERAGASI, con provisione di trenta aspri, & vestito; Questi sono diputati per ispazzare tutto il Serraglio una volta la settimana, & quando il Signore fa murare, questi portano calcina, pietre, & acqua, & simil cose, & quando nel verno fa neve, ricogliono la neve, & la mettono sotto terra in un luogo chiamato CARLICH, dove si mantiene tutta la state, & serve per rinfrescare il bere del gran Turco: & andando in campo il Signore, restano in Costantinopoli.
DEGLI STROZZIERI, & CANETTIERI. CAPITOLO XXIIII
Gli strozzieri sono dugento, chiamati DONGAGILER, con provisione di quattro aspri, & governano sparvieri, & ogn'altra sorte d'uccelli per la caccia; hanno la loro stanza nella citta; & il loro superiore pagato, come gli altri; anchora vi sono schiavi del gran Turco simili dugento huomini, chiamati SCIMI col lor Capitano, chiamato SEMIBASCIA, con provisione, come il sopradetto. Questi giovano sono divisi in piu parti. Chi di loro governa cani grossi, & chi bracchi, & chi levrieri, & vanno sempre à caccia col Signore, & similmente, quando il Signoro va in campo, vanno con lui, & menano i cani legati con cathene, perche sono ferocissimi.
DI QUELLI CHE GOVERNANO GLI ELEFANTI, LEONI, & LEOPARDI. CAPITOLO XXV
Sono cento huomini schiavi del gran Turco, divisi in piu parti à governare questi animali: i primi son chiamati FILGILFR cio è, governatori di Elefanti con quattro aspri di provisioni: Questi al tempo di Sulthan Paiaxit governavano tre Elefanti, de quali ne son morti due, & n'è restato uno, il quale con grandissima cura governano, anchora v'erano sette Leoni, & nove Leopardi, & cinque Gatti di Zibetto, et Scimie, & altri animali, i quali erano governati da predetti salariati, & con il loro superiore, come gli altri ufficiali.
DE PELVIANDER DEL GRAN TURCO. CAPITOLO XXVI
Per suo piacere tiene il gran Turco trenta huomini chiamati PELIVANDER, & sono di diverse nationi, i quali giuocano alle braccia spesse volte in presentia del gran Turco & sono tutti Vergini, et all'età di trentacinque anni in circa, & non sono schiavi del Signore; hanno ordinariamente dieci sino in quindici aspri di provisione, & d'ogni stagione vanno tutti nudi della persona, eccetto che portano un paio di bracche di coiame grosso, unte di burro, & olio, & portano intorno alla persona un feltro senza camicia, & una berretta in testa picciola di pelle di castrato bianca; trovandosi avanti al Re buttano i feltri & s'attaccano alle braccia à due à due, & li giuocano.
DE CUSTODI DELLE GALERE. CAPITOLO XXVII
Quattrocento huomini sono diputati allaguardia delle Galere, i quali non sono suoi schiavi, et chiamansi AZAPPLER, & hanno di provisione quattro aspri il giorno. Questi guardano le Galere del gran Turco, che stanno in Pera: non però che dubitino di Corsari, ma perche qualch'uno segretamente di notte non vi appicasse fuoco.
DE DUE THESAURIERI, CHE PAGANO TUTTE LE GENTI SOPRASCRITTE. CAPITOLO XXVIII
Come fa di bisogno, cosi il Re ha ordinato due suoi Thesaurieri, che pagano tutta la sua famiglia salariata, de quali l'uno si chiama TEFTEDER, che ha circa quindici scrittori sotto di lui, che scrivono tutte l'entrate, & l'uscite del gran Turco, & della cassa del Thesoro: l'altro si chiama NISANGIBASCIA, il quale tiene il sigillo delle casse, ne si puote pigliar denari senza di lui. Questi con l'eunucho, che guarda la Cassa del Thesoro, pagano tutti i Capitani à tempi ordinati: & non mai numerano i danari, ma li pesano, & franno i sacchetti sigillati per ciascun Capitano, & poi domandan licentia al Re, se gli debbon pagare, & come prima l'hanno havuta, ritornano alla piazza à loro luoghi, & pagano tutta la corte di grado in grado, & cio fanno poi il salario del gran Turco detto SEPPLICAGIASI, cio è, beveraggio: & questo è restato da suoi predecessori.
DELLA CONGREGATIONE DELLA CORTE DEL GRAN TURCO NEL CONSIGLIO. CAPITOLO XXIX
Quando il gran Turco ha da consigliare alcuna cosa, tutta la sua corte si truova in punto: percio che sono obligati venire ogni mattina nel Serraglio, dove i Capitani aspettano tutti à cavallo nella piazza & i tre BASCIA vanno à domandare al Signore se per quel giorno s'ha da espedire cosa alcuna, appartenente al suo stato, ò se volesse dare audientia publica; & non volendo cio fare il gran Turco gli da la benedittione, & cosi con grande riverentia si partono caminando al contrario, per non dare le spalle al Signore, & pervengono alla piazza, dove i Capitani sono, & fatta loro intendere la volonta del Re, tutti sene tornano alle loro habitationi: ma volendo egli far consiglio, ò dare audienza, i tre BASCIA vengono à dire alle genti, che subito scavalchino: & subito i Capitani principali smontano, & vanno nella sala grande. Dove si pongono alle banche coperte di tapeti, che vi sono ordinate, & stanno assisi di grado in grado secondo la loro degnita aspettando, che'l gran Turco venga, & quivi primieramente i due Capitani della prima porta chiamata CAPICIBASCIA con certi bastoni neri in mano, d'un legno chiamato, Abernos da capo, & da piedi, & in mezo fasciati d'oro, entrano in sala, & con lento passo s'inviano alla sedia del gran Turco, & dopo loro viene il primo BASCIA, poi il gran Turco in mezo degli altri due BASCIA, & dietro seguitano i tre giovani favoriti co principali Eunuchi del Serraglio: et quando il Signore arriva, ogni huomo si leva in piedi, senza muoversi da loro luoghi, facendogli grandissima riverentia, & giunti li due Capitani, si fermano nel primo scalone della Sedia [Trono], ciascuno da una parte, la quale sta in capo della sala rilevata con molti scaloni coperti di tapeti, et le mura tapezzate di broccato, & quivi in prima monta il primo BASCIA, & poscia il Signore con gli altri due BASCIA, i quali lo pigliano sotto le braccia, et i tre giovani vanno dietro, tenendogli un cuscino d'oro dopo le spalle, & dalla banda dritta sotto li due scaloni, dove il Re siede, s'affetta il primo BASCIA col CADELESCHER della Grecia, che mantiene la giustitia per la città, & dall'altra banda i due BASCIA col CALDELESCHER della Natolia, & stanno tutti ordinatamente. Il Re cominciaà parlare, & ciascuno risponde alle preposte secondo il loro giudicio, & cosi proveggono alle cose delle guerre, & mantenimento dello stato; & fatto il consiglio, quelli, che vennero dal Signore, l'accompagnano nella sua Camera: & in questo mezo, niuno si parte senza sua licentia della scala, & ritornano à loro luoghi, lasciato il gran Turco, & per tutto in terra sopra i tapeti si da ordine di mangiare.
COME IL GRAN TURCO FA GIUSTITIA DOPO IL CONSIGLIO DI QUELLI, CHE HANNO ALCUNO ERRORE. CAPITOLO XXX
E' consuetudine stata anticamente, & anchora s'osserva, che'l gran Turco dopo l'audientia fa presente à ciascuno Capitano una veste di broccato, qual rossa, qual verde, & qual gialla. Hora quando il Re havesse mala informatione di qualche suo Capitano, che per errore, che havesse commesso, meritasse, di giustitia la morte, gli fa presentare una veste di velluto nero, & allui, si come gli altri la fa mettere in su le spalle, talmente che ciascuno comprende per quella veste nera, che quel tale dee morire senza remissione alcuna. Et poi che hanno mangiato, il gran Turco fa dare à tutti licentia, & sene vanno, & i guardiani ritengono quello della veste nera nella sala, & similmente tutti i malfattori che'l Re commanda, come che non habbiano quella veste, & essendo tenuto alcuno in questa foggia, non fa mestiero, che niuno BASCIA, ò chi si sia, domandi gratia al gran Turco per esso, che sarebbe pericolo che non facesse morire anchor lui d'una istessa morte: & quando tutta la gente s'è partita, il Re fa domandare certi giovani, chiamati GELLETH, ministri della giustitia, & farsi venire il prigione davanti, & scopertogli il suo errore senza altra scusa, se è BASCIA, ò huomo di qualche conditione, gli fa mettere una corda di seta nera al collo, & fallo strozzare in sua presentia, & poi sopra un cavallo coperto di panno nero il Signore lo manda à casa sua; ma prima che'l morto giunga, manda avanti un guardiano con una bacchetta nera in mano, lunga cinque palmi, alla cima della quale sta legato un fazzoletto nero, & fralla piantare sopra la porta de l'huomo morto: accioche cio vedendo i servitori, gli vengano tutti in contro, & questa morte fanno fare à BASCIA & alli altri gran maestri: ma à quelli di bassa conditione tagliano la testa, & portanla fuori del Serraglio, & mettonla sopra un tapeto. DEGLI AMBASCIATORI DE CHRISTIANI, MORI, & TARTERI. CAPITOLO XXXI
Quando è mandato alcuno ambasciadore al Turco da Christiani, ò Mori, ò altre nationi, primieramente dieci giornate avanti, ch'arrivino al Signore, gli fanno intendere la lor venuta, & se è di sua volonta, gli vadano innanzi, & mandatogli à dire, che vengano à lor piacere: il Re manda un Capitano incontra con parte della sua gente, & dalli danari, che faccia le spese per tutto il suo Reame à quel, che sarà ambasciadore, & e à tutta la sua famiglia, & à cavalli, & fargli fare la guardia da quelli delle ville per tutto, ove si posa; & di poi essendo una giornata vicino à Costantinopoli, commanda à tutti i suoi Capitani, che gli vadano incontra, & con quel maggiore honore, che à loro è possibile, lo ricevano: & come è appresso alla Citta, gli manda un cavallo bene ornato, & trento, ò quaranta de suoi Staffieri, che gli facciano compagnia co'l Maestro di stalla suo, che gli presenta il cavallo: allhora lo ambasciadore vi monta sopra & eglino lo conducono in una casa, che il Re ha fatta apparecchiare, & quivi gli fa dare provisione per il suo vivere, insino à tanto che dimora à darli audientia, & fargli farà la guardia da suoi propri guardiani notte, & giorno, mentre sta in Costantinopoli, accio che niuno possa parlar seco, et spiare da lui, ò da i suoi, per qual cagione ivi sia pervenuto & gli fa dare dieci mila aspri per la buona entrata, & cosi per due giorni lo tengono in riposo; il terzo giorno il Re fa congregatione, & di poi manda per lo Ambasciadore, & arrivato al Serraglio, escon fuori in due Capitani della guardia, con altri Eunuchi, & l'accompagnano davanti al Re, con quella riverentia come loro Signore fosse, & giunti appresso al Re, gli fanno fare una riverentia al modo Turchesco, & dipoi accostandosi il gran Turco si leva in piedi, & dalli la mano, la quale lo Ambasciadore humilmente bacia. Dipoi il Signore ritorna in Sedia, & se lo Ambasciadore è Christiano, fa portar una sedia di velluto chermisino: perche e sa bene, che i Christiani non usano sedere, come essi sopra la terra, et quivi presentate le lettere al Signore di sua propria mano le dissigilla, & falle legger da uno interpetre di suo linguaggio con alta voce in publico: & poi il Re commanda, che lo Ambasciadore sia menato in una stanza del Serraglio con le sue genti principali, & fagli apparecchiare tavole, & credenze d'oro, & d'argento fornite, & del vino al modo nostro, & come ha risposta di potersi partire di Costantinopoli, il Re lo invita à mangiare seco, & fa aparecchiare una tavola come mangiano i Christiani: & da l'un capo sta egli, dall'altro lo Ambasciadore & mangiano sempre in piatti d'argento, & d'oro: & dopo il pasto gli domanda licentia; Il Signore cortesemente gliele concede, & fagli mettere tre vesti addosso l'una sopra l'altra, cio è, di damasco, di velluto, & di broccato, & fagli dare due, ò tre mila ducati, & accompagnare da suoi capitani, et fare le spese per tutta la Turchia.
DEL MANGIARE DEL GRAN TURCO. CAPITOLO XXXII
Appressandosi l'hora del mangiare del gran Turco, quelli giovani della dispensa secreta, chiamati CHILERGI apparecchiano due tovaglie in un' canestro9 col pane del Signore, & molti vasi d'argento, pieni di varie bevande alla Turchesca, cio è, giuleppi, zuccheri stemperati, & altre acque purgate con mastice, & similmente senza adornare altra credenza, molti piattelletti di porcellana, & altri sapori fatti di menta, di viole, & altre herbe, & frutti composti di zucchero al modo loro, & portano tutte queste cose ne la camera, dove il Re vuol mangiare, & fanno la credenza d'ogni cosa alli Eunuchi, & lascianle in loro custodia: & poi il CESIGNLRBASCIA con una bacchetta in mano se ne va alla Cucina, dove sono i suoi CESIGNIR, tutti apparecchiati per portare le vivande con un piatto in mano grande di porcellana con un coperchio d'argento, il quale empiono di vivande, & con uno Cucchiaio di legname, che ciascuno porta, fanno à cuochi fare credenza di tutto, & col CESIGNIRBASCIA se ne vengono nella camera, ove il Signor mangia: & quivi il gran Turco si pone in terra sopra i tapeti con le gambe raccolte l'una sotto l'altra: & i tre giovani distendono in terra una tovaglia lunga, & un'altra sottile mettono sopra le ginocchia del Signore: & il CESIGNIRBASCIA sta inginocchiato innanzi à lui, & servelo: Poi vengono i cesignirbascia, & ciascuno porge il suo piatto al BASCIA, tenendo il coperchio, sopra il quale butta poi la credenza: & cio fatto il CESIGNIRBASCIA distende un corame tondo sopra la tovaglia avanti al Re, largo come un fondo di botte, lavorato alla damschina, chiamato SOFFRA, nel mezo del quale, & ne le sponde pone le vivande, & tuttavia lo va voltando, accio, che il Re possa mangiare di quelle, che piu gli piacciono: & con due cortelli taglia, & porge al Signore d'esse ben che'l trinciare non faccia mestiero nella Turchia percio che tutte le carni cuocono tagliate minutissime. Et quando il Signore vuole bere, uno de tre giovani favoriti gliele porge con una coppa fatta di scorza di noce Indiana, legata in verghe d'oro; & il piede simile con una Luna in cima, con due Smeraldi bellissimi per ogni banda: Il gran Turco sempre mangia solo, et nella camera altri non entrano, che i sopradetti; & non mangia mai in oro, ne in argento: ben che habbia molte superbissime credenze: le quali fa apparecchiare alla Ambasciadori, quando vengono. Essendo tempo di state, mangia tre volte ordinariamente; cio è, la mattina, à mezzo giorno, & la sera: & nel tempo del verno due volte: & dopo il pasto sta à vedere sollazzare buffoni per poco spacio, & vassene à dormire.
DEL MODO DEL DORMIRE DEL GRAN TURCO. CAPITOLO XXXIII
Quando è l'hora del dormire del gran Turco, i suo Camerieri (che sono quindici) vanno in una Camera, dove il Signor dorme, nella quale di giorno non sta letto alcuno parato, ma in un cantone d'essa sono tre materazzi di velluto chermesino, de quali due son pieni di bambagio, & uno di piuma, con due coperte di Taffetta chermisino, & tre capezzali simili, à quali pende un pco di seta verde, con un bottone d'oro attaccato, il quale distendono in terra sopra i tapeti: & prima il materazzo del bambagio, poi quello di piuma, & poi l'altro di bambagio piu sottile, che tutti e tre sono alti sino alle ginocchia d'un huomo, & mettonvi lenzuoli, & coperte, & capezzali sopra, & fannolo di nascosto dal muro, tanto che per ogni intorno si possa andare: & da ogni canto del letto mettono un candeliere d'argento con una torcia bianca per ciascuno: & sopra tirano con cordoni di seta fatti à posta un baldachino d'oro, il quale cuopre il letto: & come hanno tutto ordinato, accendono le torcie, & vanno per il Signore: il quale poi che è venuto, spogliano in camicia, & sopra à quella gli mettono un giacchetto di tela, con le maniche strette infino al gomito, & lascianlo dormire con uno di quelli capezzali sotto le spalle, & gli altri sotto la testa: & da quella banda, che si volta per dormire, spengono le due torcie, & questo fanno per tutta la notte i quindici Camerieri, i quali à cinque à cinque fanno la guardia, quando il Signore dorme alle loro hore ordinate.
DEL SERRAGLIO DELLE DONNE CHIAMATO SCHIZARAI. CAPITOLO XXXIIII
Il secondo Serraglio del gran Turco è nel mezo di Costantinopoli, chiamato ISCHIZARAI che vuol dire Palazzo vecchio: percio che prima il Re era solito tenervi la sua corte. Questo è un Serraglio grande, & quadro, il quale volta due miglia intorno, con mura alte cinque canne, & grosse una: & non vi sono torri, ma solamente due parti: delle quali una sta sempre chiusa, & l'altra aperta; alla cui guardia sono trenta huomini provisionati come gli altri: dentro vi son venticinque case separate l'una dall'altra con lor Sale, & Camere, & Cucine fornite, & due Loggie bellissime, ne le quali spesso viene il Turco, & quivi mangia, & dormevi di giorno nel tempo della state. In quattro di queste case stanno lefigliuole del Signore, & le lor madri in compagnia, non gia moglieri del gran Turco: percio che esso, ne i suoi antecessori non hanno mai presa donna. Questo fanno, perche bisognerebbe, che sua consorte fosse cosi Regina, come egli Re; per la qual cosa si tiene quelle donne del Serraglio, usando con esse senza altra moglie à suo piacere. Queste donne sono sempre sue schiave, & figliuole di Christiani, le quali gli sono presentate da loro Capitani, che ogni giorno per la Grecia fanno le correrie: & parte ve ne sono, che egli ha comperate, & sogliono essere ordinariamente dugento, & hanno per loro superiore uno Eunucho, chiamato CHAPIGIASI, il quale ha sotto di lui circa quaranta altri Eunuchi al servitio di queste donne, & provisione per essi di cento aspri, & vestimenti di broccato, & gli altri dieci aspri il giorno, & vestiti di seta due volte l'anno. Delle donne, quelle che hanno havuti figliuoli del Re, hanno di provisione trenta aspri, & vestimenti di tela d'oro tre volte l'anno, & ogni altra cosa, che loro fosse mestiero. Le figliuole del Signore hanno cento aspri di provisione, vestimenti simili alle madri, con le quali stanno insino, che al Re piaccia di maritarle: l'altre givani hanno quindici aspri, & le fanciulle dieci: & sono vestite di seta, & di tela d'oro due, ò tre volte l'anno. Similmente in questo Serraglio vengono ogni mattina dieci donne Turche, chiamate TERDIZLER; cio è, ricamatrici, & insegnano ricamare à queste giovani, & sono salariate, & quando arrivano alla porta, gli Eunuchi scuoprono loro il volto per paura, che non fossero huomini: percio che ( come ho detto) le donne della Turchia con certi veli vanno tutte coperte: & quando il gran Turco vuol venire à questo Serraglio, che dal suo è lontano un miglio, travestito, ò come meglio li pare, monta à cavallo, & quivi, subito che arriva, lo Eunucho famettere tutte le donne alla fila bene ornate in ordinanza nel cortile, & entrato il Signore, è chiusa la porta: Et con gli Eunuchi sene va per mezo d'esse festevolmente salutandole, & vedendone alcuna, che gli piaccia, le posa un fazzoletto, che tiene sopra la spalla in presentia di tutte l'altre, et passa via, & con gli Eunuchi si va à solazzo per li giardini à vedere Struzzi, & Pavoni, & molte altre sorti d'uccelli, che vi sono, & tornasi à cenare in quelle Loggie dette, & dopo si va à dormire: & stando in letto, domanda, chi ha havuto il suo fazzoletto, glielo debba incontanente portare: & li Eunuchi prestamente chiamano quella giovane, che lo hebbe, & ella allegramente glie lo porta: & poi eglino escono dalla Camera del Signore: & in questa guisa il Re ogni volta, che vuole si giace hor con questa, hor con quella, & venuta la mattina il Re gli fa ordinare una veste d'oro, & crescergli la provisione di nove aspri, & due damigelle à suo servitio: & molte volte sta quivi tre, ò quattro giorni, & dorme con quella, ò con chi gli piace, & poscia torna al suo palazzo.
DEL TERZO SERRAGLIO DEL GRAN TURCO. CAPITOLO XXXV
Nell'altro cantone di Costantinopoli, che guarda verso Galipoli, ne la riva del mare è un palazzo fortissimo, chiamato IADICULA; cio è, castello delle sette torri, che quivi sono, ciascuna di maravigliosa grossezza, & altitudine. Questo Serraglio è tutto cinto di mura altissimo, & fornito molto bene per ogni parte d'artiglieria, & alla guardia vi stanno di continovo cinquecento huomini chiamati ASSARELI tutti schiavi del gran Turco, et stati suoi Giannizzeri, che ciascuno ha di provisione cinque mila aspri l'anno, che gli vengono delle decime del Reame del Signore: & in ciascuna di queste torri sono botti, piene d'aspri, & di ducati, & altri Thesori, i quali sono stati lasciati dagli antecessori, percio che ogni Re ve ne lascia una parte pe bisogni, che possono accadere. Et quando il Turco intende, che i Christiani gli muovono guerra, fa commandamento à ciascuno per la Turchia, che debba pagare un ducato, & piu, & meno secondo le loro faculta, dicendo volergli spendere per andare contra Christiani; i quali vanno a riscotere i Cortigiani, che ne portano alle volte gran thesoro, il quale custodiscono in queste Torri. In questo Serraglio il Signore viene rade volte, & non v'entrano altre genti, che gli huomini della guerra, i quali hanno un superiore chiamato DISDARGA, il quale è molto apprezzato, & ha grande entrata di Costantinopoli.
DEL CHAANARE. CAPITOLO XXXVI
Dentro à questo Serraglio è un luogo nella marina chiamato CHAANARE; cio è, beccaria, dove stanno dugento macellari, chiamati CASAPLER con un soprastante, chiamato CAPABASCIA, che ha cura di provedere di buona carne tutto Costantinopoli: & questo è uno ufficio, che si compera dal Signore d'anno in anno dugento mila aspri, & à niuno è concesso amazare bestie senza sua licentia, se non quelle, che amazzano per fare sacrificio. Egli è obligato amazzare ogni giorno mille Castrati, senza altre bestie vaccine, che sono poco manco, & le distribuisce à macellari della Citta, co quali è d'accordo, & quivi si fa il sapone per tutta la Turchia, & sonvi anchora quindici macellari Giudei, che gli danno tributo, i quali forniscono tutti li Hebrei della terra, percio ve ne sono assai: Et se il CAPSABASCIA facesse al popolo carestia di fame, il gran Turco lo farebbe squartare, & porre i quarti sopra i macelli della Citta: & questo, accio che habbiano paura quelli, che comperano tale ufficio: & tengono la Citta di carne abbondantissima.
DELL'ESERCITO DELLA GRECIA, ET NATOLIA, ET BATTAGLIE FATTE TRA I SIGNORI DELLA TURCHIA. LIBRO QUINTO, & ULTIMO
Le superbe corone, & gloriosi scettri sono le piu volte cagione di diminuire gli anni, & abbreviare la vita di quelli, che nelle mani hanno i Regni dell'altrui contrade: percio che ivi l'invidia ha maggior forza dove sono maggiori sustantie, che non altrimenti avviene à superbi Turchi; che havendo Sulthan Paiaxit molti figliuoli, una parte d'essi non di sua morte fece morire, & l'altra gli tolse il Regno, mettendo in basso ogni passata sua superbia. Hora io, che tutte queste cose vidi, & di che molte fiate mi rimembra, dopo l'ordine della Regal sua corte scriver voglio, & dimostrare a chi no'l sa, come i Turchi per ambition del Regno non curano se piu di sangue propio, che d'acqua si lavano le lor mani, come fece Sulthan Selim, che non pure à nipoti, ma al propio padre non perdonò, per regnare.
SULLO ESERCITO DELLA GRECIA CHE STA AL SERVITIO DEL GRAN TURCO. CAPITOLO PRIMO
Ne la Grecia è un Capitano di grandissima potenza, chiamato VROMELI BELGERI; che vuol dire, Re de' Re, il quale è schiavo del gran Turco, & ha grandissima entrata, & sotto di se ha quaranta mila huomini à cavallo VROMELI LESCHERI, i quali hanno d'entrata chi venti, & chi trenta mila aspri della entrata delle decime del gran Turco, perche stiano à suoi bisogni parati. Questo Capitano è Imperadore di tutta la Grecia, & ha tutti gli altri Signori sotto di lui: & quando il Turco vuol far guerra, gli fa intendere, che con tutta la sua gente in termine d'un mese si truovi in Andrinopoli: & fatto il commandamento da parte del Governatore, sotto la pena à chi non venisse, di perdere tutte le sue entrate, & della disgratia sua, poi raccolta la gente in una bella pianura, ch'è quivi in Andrinopoli, fa fare la mostra: Et se facesse per aventura al Turco di bisogno, per far qualche sforzo, che questo esercito fosse doppio, l'Imperadore commanda, che quelli, che hanno dugento ducati d'entrata menino seco due huomini di piu, bene à cavallo, et cosi di grado in grado chi havesse piu entrata, & fa commandamento per tutte le ville della Grecia, che vengano genti con vettovaglie assai: per fornire l'esercito, & vendere à soldati, & d'ogni cinque artigiani della terra, ne debba andare uno si artigiani di cose da mangiare, come anchora d'ogni altro mestiero.
DEL SIGNORE DI MODONE. CAPITOLO SECONDO
Di Modone citta non di poco prezzo è Signore uno schiavo del gran Turco, chiamato MORABEGI, il quale parimenti signoreggia tutta la Morea, & cavane d'entrata circa sette cento mila aspri, & come prima è avisato, che debba andare in campo, mette in ordine mille huomini à cavallo, i quali tiene salariati à sue spese, & s'inviala, dove dal gran Turco gli è commandato.
DEL SIGNORE DI BOSNA. CAPITOLO III
Anchora è piccola la Signoria di Bosna, la quale sempre uno delli schiavi del gran Turco suole signoreggiare, dal quale trahe d'entrata tassatagli dal Re piu di dieci mila ducati. Questi giamai non s'allontanano dalle frontiere dell'Ungheria à certi passi, accioche gli Ungheri non vengano à fare scorrerie sopra i suoi paesi: & per la Turchia, & ha sotto di lui ottocento huomini bene à cavallo, i quali non escono di quello Reame, anchor che'l gran Turco vada in campo, & con questa sua gente va scorrendo, & facendo mali, in que confini, benche molte fiate non senza suo gran danno, & gran perdita di robe sene torni.
DEL SIGNORE DI SALONICCHI. CAPITOLO IIII
Salonicchi è una città, che ha i suoi paesi abondantissimi, & molte castella, & villaggi sotto di se, della quale similmente è Signore uno schiavo del Turco, & ne cava d'entrata tassata dal Re otto mila ducati: & per essere il paese grandissimo, alle volte suole raddoppiare. Questi mantiene sotto di se salariati à sue spese cinquecento huomini à cavallo, & quando il Signore va in campo, con quattrocento gli fa compagnia, & gli altri restano a riscuotere le sue entrate, & à buona guardia del suo stato.
DI DUE ALTRI SIGNOROTTI DELLA GRECIA. CAPITOLO V
Dipo nella Grecia sono due Signori, ò vogliamo dire rubatori, & assassini, i quali hanno trecentomila aspri d'entrata, & chiamansi SANGIARBEGLER, & ciascuno d'essi mantiene dugento huomini à cavallo: & con queste genti sene vanno per la Bosna, & per la Valachia scorrendo ogni paese, rubando i villaggi, & pigliano spesso huomini, & donne, i quali vendono, & fanciulli, i quali presentano al gran Turco. Et quando il Re va in campo, gli fanno compagnia con questa gente. Et questo è lo esercito della Grecia, della quale, come disopra dissi, generale Capitano è BFGLERBEGI, il quale ha potere di dare, & torre queste Signorie, & privare, & cambiare i salariati, come è di suo piacere, & punire i Signori, quando fallissero.
DELL'ESERCITO DELLA NATOLIA, CHE STA AL SERVIGIO DEL GRAN TURCO. CAPITOLO VI
L'ANATOLIA è una provincia, assai grande, & non di minor bellezza, della quale uno schiavo del gran Turco (come l'altro della Grecia) suole sempre mai essere Signore, & similmente commanda à tutti i figliuoli, & parenti del gran Turco che hanno Signorie nel suo Reame, come à propri suoi schiavi. Questi sta sempre in una citta chiamata Custage, & del suo stato trahe d'entrata per la persona sua senza gli estraordinari trenta mila ducati l'anno. Et quando il Re lo richiede per andar seco in campo, fa intendere per tutta la Natolia à ciascun Signore il suo commandamento, & in pochi giorni rauna il suo esercito, che saranno trenta mila huomini à cavallo, & fa venire un gran numero di vassalli con vettovaglie, & con tutto bene impunto si rappresenta al gran Turco.
DELLI AZAPPI. CAPITOLO VII
Bisognando al gran Turco fanteria in difensione de cavalli, fa bandire per la Natolia, che qualunque persona vuole soldo, vada in Costantinopoli, che havra la sua paga, & il CALESCHER, che di quella è Patriarca & giudice principale, mette una bandiera sopra la sua porta del palazzo, & venendo quivi questi giovani, fa loro grata accoglienza, & gli scrive tutti, & pagagli per tre mesi, à ragione di quattro aspri il giorno, pagandogli anchora le spese, che hanno fatte per quel viaggio, & simile fa il CADELESCHER della Grecia, ricevendo, & pagando similmente tutti quelli, che vengono del suo paese: & i cento hanno un capitano, che fa sicurtà per loro al gran Turco, & di questi ne saranno tal volta quarantamila, i quali sono giovani senza moglie, & volentieri il gran Turco gli mena seco al campo, percio che sono la maggior parte di loro huomini isviati: & non restando i Signori di quelli paesi, non cesserebbon mai di far male: & non portano altre armi, che archi, saette, & scimitarre. Et questo è l'esercito della Natolia. Hora parlero dei figliuoli di Sulthan Paiaxit, che quivi nella Natolia stavano con le loro entrate, per la cagione de quali si sono fatte, & non è molto tempo tutte le guerre della Turchia.
DE FIGLIUOLI DI SULTHAN PAIAXIT, I QUALI HAVEVA SOPRA LA NATOLIA. CAPITOLO VIII
Haveva Sulthan Paiaxit con entrate, & signorie grandissime di citta, & castella sei figliuoli sopra la Natolia, i quali tutti erano soggetti al BEGLERBEGI, il quale era un suo schiavo, chiamato CARAGIUS BASCIA, il quale in quel tempo di tutta la Natolia era Imperadore. Il primo suo genito si chiamavava Sulthan Sciemsia, & questi era Signore della Caramania, & quivi continovamente in una montagna giu habitava in una citta bellissima, & haveva d'entrata del suo stato quattro milioni d'aspri, che sarebbono ottantamila ducati, & haveva tra suoi schiavi, & huomini salariati quattro mila huomini, parte à piedi, & parte a cavallo, & una corte in quella guisa, & con quello ordine, che teneva suo padre; il secondo si chiamava Sulthan Alemscia, che haveva la sua entrata à confini della Turchia con la Persia, & cavava della sua entrata sessantamila ducati d'oro, & teneva tremila huomini salariati nella sua corte, & molti schiavi, come l'altro; Il terzo si chiamava Sulthan Ahamet, ch'era Signore d'una citta detta Masia, sopra la Natolia, & haveva sessantamila ducati d'entrata del suo stato, & tre ò quattro mila huomini salariati alle sue spese: Il quarto si chiamava Sulthan Mahometth: ch'era Signore d'una citta, detta Mangrasia, sopra la natolia, dove habitava sempre, & haveva d'entrata due millioni, & cinquecentomila aspri l'anno, & huomini salariati ne la sua corte, come gli altri: Il quinto si chiamava Sulthan Curcut, ch'era Signore d'una citta, detta Castemol, appressso dove si cava tutto il Rame della Turchia, & haveva d'entrata quaranta mila ducati d'oro, & huomini salariati: Il sesto si chiamava Sulthan Selim, & questi è quello, che al presente signoreggia, & è chiamato il gran Turco, il quale era Signore d'una citta detta Trabuson, che è dentro al mar maggiore, & signoreggiava tutta la rivieradel mare insino in Casta: & & haveva xlmila ducati d'entrata, & quattro mila huomini al suo servitio.
DELLA MORTE DI SULTHAN ALEMSCIA FIGLIUOLO SECONDO DI SULTHAN PAIAXIT. CAPITOLO IX
Allegramente si viveva nel suo Regno con questi suoi figliuoli Sulthan Paiaxit, & haveva (come pietoso padre) di buone entrate ciascuno accomodato: Ma perche una allegrezzapoco suol mantenersi, che fortuna, ò morte non prenda ardire interromperla non istette guari, che la sua gioia si commutò in dolorosi pianti. Vennegli alle orecchie, come questo Alemscia suo secondo figliuolo era gravemente ammalato; la onde gli fece mandare medici espertissimi subito, anchor che tardi arrivassero per la sua salute, & commando, che tutti i suoi Sacerdoti convenissero allo OMESCHIT, & facessero preghi à DIO per la sua liberatione, & fece sacrificare cento cinquanta castrati: Similmente à duo giorni gli venne un corriere con una lettera nera, scritta con inchiostro bianco della morte del suo figliuolo: il quale come subito hebbe scorto (imaginandosi, che fresche novelle di futuro male gli dovessero portare) disse; Gia io stesso m'haveva sognato che'l mio figluolo era passato di questa vita: & senza piu altro dire, diede via lunghissima alle lagrime, et poscia gittò in terra il suo Regal Turbante, & fece levare tutti i paramenti delle sue Camere, & voltare i tapeti al contrario, & commandò, che per tre giorni per tutto Costantinopoli non s'aprisser le boteghe, ne si sonoassero istrumenti d'alcuna sorte, & molte elemosine, nelle quali distribuiva ogni settimana à poveri sette mila spri per l'anima sua: & commandò che'l corpo suo fosse portato in Bursia, & quivi gli dovessero fare una bella sepoltura, & che la sua moglie con tre figliuoli, un maschio, & due femine dovesse con tutte lor robe venirsene in Costantinopoli, & come furono giunti, al figliuolo diede parte della Signoria del padre, & fecelo andare in que paesi. Dipoi di là a poco tempo, maritò le sue figliuole, & alla sua famiglia diede salario, & ritennela nella sua corte.
COME SULTHAN MAHOMETTH ANDO' TRAVESTITO A' VEDERE IL FRATELLO IN AMSIA. CAPITOLO X
Sulthan Mahometth, huomo non di minore ingegno, che egli havesse forza, signoreggiando in Mangresia, un giorno penso travestirsi con due suoi compagni inguisa di CALENDER, & secretamente conferirsi in Amasia, dove stava il suo fratello Sulthan Ahamat, che nato era d'una istessa madre, & questo faceva per vedere, che ordine, & vita e' tenesse nel suo stato: & quivi con un libretto in mano, giunti in quel paese, & co loro sonagli andavano cantando per la terra, come far sogliono i CALANDER: & cio fecer per due giorni, domandando elemosina à ciascuno: & venedo il di della festa loro, che è il venerdì, tutti e tre avanti la Chiesa, dove suo fratello haveva à passare, si misero, & ferongli una bella musica, talmente che Sulthan si fermò a quel canto: poscia gli domandaron la elemosina, non patienti che'l Signore la desse loro, molestandosolo pure della elemosina, diede commessione, che gli fusson dati cinque aspri, & andossene alla Chiesa. Hora vedendo cio Sulthan Manometth, non volse altramente andare nel suo Serraglio, & montati à cavallo, si tornarono nel loro paese: & non quasi giunto, scrisse una lettera à Sulthan Ahamat con parole assai cortesi, nella quale attaccò con pece quegli cinque aspri, che da lui haveva per elemosina ricevuti, dicendogli, che di dietro (come era à lui convenevole) se gli attaccasse, et ch'era cosa non piu vile, che vergognosa à un tal Signore, à tre forastieri fare tale elemosina: & pervenendogli la lettera nelle mani, restaron sempre nimicissimi, & per tutta la Turchia si sparse questo tratto.
COME SULTHAN MAHOMETTH ANDO' TRAVESTITO IN COSTANTINOPOLI. CAPITOLO XI
Non contento di questo, non lasciò passare molti giorni, che un'altra volta travestito à guisa di Capitano marinaro, montò sopra una fusta delle sue, & inviossi verso Costantinopoli; la dove come fu giunto, smontò in terra con altri due suoi compagni, & cercaron tutto Costantinopoli, & Pera, per vedere, come le cose andavano, & quel, che ordinava suo padre, il quale in quel giorno dava audietia, & faceva congregatione: et volendo entrare nel Serraglio, da guardiani gli fu impedito l'entarata, vedendo, che non erano Cortigiani. Di che eglino fecero insieme consiglio, & comperarono un giorno un giovanetto; & la mattina seguente tornarono al Serraglio; dicendo, che al gran Turco lo volevan presentare: onde e' dieron la licentia, che entrassero, & come furon dentro, fecero ilo presente, mostrandosi Corsari della marina, & uno de due Capitani ( come si conviene) baciò la mano del Re, come se fosse stato di loro tre principali. Et questo faceva Sulthan Mahometth, perche appressandosi tanto alla faccia del Signore, à qualche sembianza non l'havesse conosciuto: Et Sulthan Paiaxit fece dare à quello, che gli haveva baciato la mano, una veste di broccato, & alli altri due una di Damasco per huomo: Et per la città con queste vesti sene andavano: per la qual cosa da tre Cortigiani del Re furon subito riconosciuti, & trovandogli per la terra, subito che hebbero veduto Sulthan Mahometth de loro cavalli gli offersero: per il che con segni di mano gli accennava, che tacessero, & fecegli rimontare à cavallo, & essi prestamente sene tornarono alla lor fusta, & sene andarono ne lor paesi. La onde non istette guari, che mormorandosi di questa cosa, pervenne all'orecchio di Sulthan Paixit, il quale n'hebbe non poca doglia: & fatti chiamare i tre BASCIA, inteso anchora, che in un'altra foggia vestito era andato à trovare suo fratello Ahamat, & pensando, che con questi modi, ò à lui, ò ad alcuno de suoi fratelli non volesse fare qualche gran male, ordinò per miglior rimedio, che i BASCIA scrivessero al servitore principale di Mahometth, che lo dovesse avvelenare.
COME SULTHAN PAIAXIT FECE AVVELENARE SULTHAN MAHOMETTH SUO FIGLIUOLO. CAPITOLO XII
Sulthan Paiaxit sdegnato de mali portamenti di Sulthan Mahometth, accio che non venisse à peggiori inconvenienti, fece scrivere a nome suo à uno dei suoi Secretari per li tre BASCIA, che lo dovesse subito avvelenare, promettendogli gran Signoria: & se nol voleva fare, che non lo scoprisse, che intendendo cio, ne sarebbe grande dimostratione, & non senza pericolo grande della sua vita: et nella lettera mise il tossico, la quale come hebbe ricevuta questo secretario ASMEHEMEDI, ne fu assai contento: percio che non molto amava il suo Signore: & quando vide il tempo opportuno, fece quello, che'l Signore gli haveva commandato; che un giorno essendo Mahometth nel giardino facendo festa, domandò da bere; & questi glie le diede in una tazza, & poco stette, che cominciò à sentirsi non di buona voglia, & i suoi medici dicevano, che'l soverchio bere l'haveva fatto ammalare, talmente che in capo di sei giorni si mori: & mandaron le nuove al Re per una staffetta tutta vestita di nero, il quale non potè fare (perche pure era suo figliuolo) che non h'havesse alquanto doglia, & fece vestire la famiglia di nero, fare orationi, & elemosine per l'anima sua: et poscia commandò che'l corpo fosse imbalsimato, & portato in Bursia, dove sono speliti tutti quelli della casa di OTHOMAN, eccetto quelli, che sono Imperadori di Costantinopoli. Dipoi fece pigliare quel secretario, che lo haveva avvelenato, & fecelo mettere in un fondo di torre, & di lui non si seppe mai piu nuova. Et poi à figliuoli di Mahometth diede lo stato, & diviselo tra loro: & le figliuole maritò co suoi gentili huomini della corte.
DELLA MORTE DI SULTHAN SCIEMSCIA FIGLIUOLO DI SULTHAN PAIAXIT. CAPITOLO XIII
Sulthan Sciemscia signore della Caramania, & molto in gratia di Sulthan Paiaxit per li suoi buoni costumi, & paterna dilettione (come à DIO piacque) morì di sua morte nel propio letto, non senza lagrime di ciascuno, & massime del padre: Et fatte le funebri pompe come à gli altri suoi figliuoli, ad uno figliuolo, che haveva Sulthan Sciemscia, diede la medesima Signoria, & mandollo à stare la, dove regnava il padre.
DEL TERREMOTO IL QUALE FU IN COSTANTINOPOLI. CAPITOLO XIIII
In questo tempo una sera del mese d'Agosto, à le tre hore di notte venne un tremoto in Costantinopoli si grande, che à gli huomini non solo maraviglia della sua grandezza, ma paura grandissima fece, talmente che ogniuno pensava, che fosse venuto il giorno del Giuditio, che durò piu di meza hora: & dipoi de gli altri ve ne furon per infino al giorno, che videro tutte le torri, & campanili per terra, et le mura della citta, & tutte le case parte rovinate in tutto, & parte fesse, & commosse, & trovaronsi sotterrati mille, & cinquecento huomini, & ciascuno stava di mala voglia, & piu il gran Turco, pensando, in che modo potesse mai rifare Costantinopoli: Ma pure à l'ultimo preso sopra à questo consiglio, posero gravezza à tanto per fuoco per tutte le Terre del suo Reame, & commandamenti sotto pena della vita: & fece venire tutti i muratori della Turchia, & di dieci huomini per Castello, ne venisse uno: Et fece venire calcina, rena, & pietre abbondantemente, in tal modo che alla fine di quel mese si trovarono in Costantinopoli ottanta mila huomini forestieri. In questo mezo il Signore sen'andò in Andrinopoli, lasciando il Capitano de dodici mila Ciannizzari luogotenente del suo stato. Hora questi ordinariamente si misero à lavorare, & fer tanto, che in tre mesi rifecero le mura di Costantinopoli, che diciotto miglia girano intorno: & poi rifecero gli altri Palazzi, & Torri, & Chiese di Pera: & furon pagati tutti, accioche nessuno si potesse mai lamentare: & finite l'opere, tornarono à loro paesi, & il gran Turco in Costantinopoli dopo molto tempo.
DEL MOVIMENTO DI SULTHAN SELIM CONTRO SULTHAN PAIAXIT SUO PADRE. CAPITOLO XV
Saggiamente à molti huomini gia d'anni, & di consiglio vecchi, ho udito dire, che i maggiori nimici alli antichi padri, sono i propi figliuoli, et quanto maggiormente sono con paterna dilettione nutricati, tanto piu in loro, gli odi, & l'invidie crudeli a'annidano: & come avenne a Sulthan Paiaxit, dde mali portamenti del suo ultimo figliuolo Sulthan Selim: che essendo essendo egli anchora in Andrinopoli, intese come Sulthan Selim haveva fatto venticinque mila huomini, & partitosi di Trabuson, era arditamente passato su la Grecia, dicendo voler muovere guerra al re d'Ungheria, & conquistarsi da per lui uno stato. Del che hebbe il padre suo non poca maraviglia, che senza la sua licentia, ò fargli sapere fosse entrato in tal pensiero: onde gli mandò à dire, che dovesse tornarsi nella Natolia, ne mai piu muoversi dal suo luogo, alle quali parole fece risposta, che non voleva starvi, percio che haveva paura di Sulthan Ahamat suo fratello, & se voleva, che e si partisse, che gli desse tanto thesoro, quanto poco inanti haveva acquistato dal Soffi.Il perche gli mandò il padre per acquistarlo venti mila ducati, accrescendogli piu un terzo della sua entrata, che non haveva, & comandogli, che si dovesse tornare à dietro: & egli non curando obedirlo, veniva tttavia avanti, dicendo, che voleva dieci milahuomini anchora, et andare à muover guerra à gli Ungheri. Et perche s'era fatti benivoli due de BASCIA del gran Turco, secretamente mandava loro lettere, & essi lo consigliavano, che non s'allontanasse, perche suo padre era horamai vecchio: & morendo, & trovandosi quasi vicino, potria facilmente farsi Signore: talmente che venne tanto appresso, che d'Andrinopoli si vedeva il suo esercito: & mandava le grida per la Grecia, ch'era fatto Signore: & à tutti i malfattori dava soldo, tanto che haveva fatto quaranta mila huomini. Il padre, vedendo cio, gli fece intendere un'altra volta che se ne tornasse al suo stato, altramente che gli darebbe la sua maladittione. In questo un secretario di Selime scrisse una lettera al Signore, senza mettervi nome dello scrittore, notificandogli, che suo figliuolo voleva entrare in Costantinopoli, & farsi Signore per forza: La onde inteso questo il Re, fece caricare tutto il thesoro, & aviosi verso Costantinopoli, & come fu partito, Selim pigliò Andrinopoli, facendosi chiamare Signore della Turchia: & poi si parti per giugner prima, che'l padre in Costantinopoli con tutta la sua gente.
DELLA BATTAGLIA DI SULTHAN SELIM CONTRA SULTHAN PAIAXIT SUO PADRE. CAPITOLO XVI
Venuta la mattina ciascuno di loro affrettava il cavalcare, & quasi in sul mezo giorno Selim si trovò appresso al Padre di circa mezo miglio, & faceva sforzo voler passare avanti. Il gran Turco vedendo questo, commandò che s'aprissero le bandiere della battaglia: ma i BASCIA che s'accordavano con Selim, temendo di quello, che avvenne non volevano, che'l Re facesse battaglia, dicendogli, che Selim haveva quaranta mila huomini à cavallo, & egli non piu che trenta mila. Il perche affrontandosi, n'havrebbe poco honore. All'hora disse Sulthan Paiaxit: Io poco temo che egli m'avanzi di gente, percio che se la mia è poca, l'avanzera d'anima, & di forza, & eglino risposero che'l vento era in favor suo, & la spera del sole volgeva i suoi potenti raggi verso di loro, la uqla cosa era vera: & però n'havrebbono vergogna: disse Sulthan Paiaxit; se io ho contrario un poco di vento, ho dal canto mio assai ragione, la quale non torranno mai ne la solare spera, ne le sue armi, & se' il mio figliuolo lasciato ogni paterno amore è stato ardito venirmi contra, non si gloriera per questa volta. Però state cheti voi altri disse à Bascia, che pare, che mi vogliate vendere; tacquero, vedendo questo, & fero tantosto aprire le bandiere della battaglia, & sonare trombette a l'armi, cominciando ad assettare in ordine le loro squadre, & similmente fece Selim: et quando fu in punto, usciron fuori primieramente della parte di Sulthan Paiaxit dugento CARTHAGILER, che vuol dire appicci campo, con un Signorotto della Grecia per loro Capitano, & dalla parte di Selim uscirono altrettanti, & cosi diedero principio crudelmente alla battaglia: & quivi spesso portavano teste tagliate al gran Turco, il quale dava mille aspri al portatore per ciascuna, perche cosi è di loro costume in ogni principio di battaglia, & stavasi il Signore da una banda sopra d'un carro: percio che per le podagre non poteva cavalcare co suoi staffieri, in mezo à dieci mila Giannizzari; & subito che fu appiccato il campo, il vento si voltò contra Sulthan Selim: & havendo già l'una parte, & l'altra per buono spatio combattuto, & morta gran quantità di gente, Sulthan Paiaxit deliberò in un punto, & riuscigli, ruinar Selim: et fece in un tratto spronare tutta la sua gente avanti con grandissimo impeto, talmente che la gente di Selim non potendo sostener lo sforzo, fu costretta à dar le spalle. La onde Selim vedendosi à tanta furia: prese per suo migliore (che altramente per lui non era scampo) commettersi alla fuga, & sopra d'un cavallo nero solo segretamente se ne parti, & giunse in un luogo, dove certe sue Galee lo condussero à salvamento, & la sua gente, quella che rimase, che poca fu, parte andò dispersa, & parte presi & morti: & io, che quivi à queste cose sempre stetti alla presentia, vidi da Cortigiani molte fiate legati menare à quattro, & sei insieme avanti al gran Turco, à quali accio che giamai non osassero fargli guerra faceva à tutti dinanzi à lui tagliar la testa, mettendo poscia tutte le teste insieme, & facendo d'huomini morti altissimi torrioni. Hora havendo Sulthan Paiaxit con suo poco danno havuto la vittoria, stette quivi per tre giorni assai allegro, aspettando che le sue genti fossero raccolte insieme: delle quali fece poi conhto, & trovò, che de suoi mancavano settecento, & de quaranta mila huomini di Selim non eran sacmpati affatica ottomila; di poi se ne torno in Costantinopoli, che gia per due anni non v'era stato, & fece grandi, & honorati presenti à suoi cortigiani di danari, & vestimenti per allegrezza, & guiderdone di tal vittoria.
DEL MOVIMENTO DI SULTHAN AHAMAT DELLA AMASIA. CAPITOLO XVII
Pervenendo all'orecchie di Sulthan Ahamat, come il gran Turco suo padre haveva rotto il suo fratello Selim, pensò tra se, che Paiaxit l'havesse da se scacciato per voler dare à lui la signoria di Costantinopoli il che era molto fuor della oppinion del padre: per la qual cosa si parti d'Amasia con quindici mila huomini: & veniasi allegramente alla volta di Costantinopoli: & quando fu alla ripa del Canale in un luogo, detto VSCVDER, cinque miglia lontano dal padre: Sulthan Paiaxit gli mandò a domandare per un suo principale schiavo, chiamato SVLVSTAR BASCIA, la cagione, perche cosi quivi era venuto: concio sia cosa che niuno l'havesse fatto domandare, egli rispose, che era venuto per baciar la mano à suo padre, & fare seco allegrezza della ricevuta vittoria contra Selim: & cosi vedeva, se poteva entrare in Costantinopoli: & di nascoso mandava lettere à Cortigiani, che lo volessero domandare per Signore, faccendo loro grandissime promissioni: come che egli rispondevano il contrario. Hora tornando SVLVFTAR BASCIA con la risposta, il Re gl'impose, che tornasse à dirgli saggiamente, che non era gran vittoria haver dato un buffetto à un suo figliuolo, & che si dovesse tornare nel suo stato, ch'altramente ne darebbe un'altra à lui simile. Et vedendo AHAMAT, che i buffetti di suo padre erano da temere, mal contento, che'l suo disegno non gli era riuscito, fece ritorno alle sue terre.
COME SULTHAN AHAMAT SI VOLEVA CO SUOI FIGLIUOLI FAR SIGNORE DELLA NATOLIA. CAPITOLO XVIII
Hora perche à Sulthan Ahamat non riusci il disegno di farsi Imperador di Costantinopoli, se ne torno alle sue terre, & fecesi venire avanti de suoi figliuoli gia di buona eta, che l'uno chiamato ALADIN CELEBI, l'altro MORAT CELEBI, & disse loro, come pensato haveva d'esser Signore di Costantinopoli, ma la fortuna à lui poco favorevole, gli era stata contraria: per la qual cosa di bisogno era, che amendue fosser valenti, & seco di compagnia obedienti: perche voleva cercare di pigliare tutta la Natolia, & farla à lor suggetta, & che della Signoria di Costantinopoli non si curava. Le cui parole havendo eglino udite, furon lietissimi, desiderosi, non manco di regnare, che d'essere obedienti al padre; all'hora egli consegnò loro cinque mila huomini per uno, & cominciarono, battagliando, à soggiogar la Natolia, mandando gride, ch'erano Signori di quel paese, & mandavano lettere à un lor cugino, figliuolo di Sulthan Sciemscia, morto Signore della Caramania, che venisse con le sue genti à dar loro aiuto, dal quale hebbon risposta, che gli bastava il suo Reame per se, & per le sue genti, & che non voleva cercare piu oltre: per la qual cosa come Sulthan Ahamat questo hebbe inteso, subito con li due suoi figliuoli, gli mosse guerra, tanto che per forza conquisto il suo paese, & lui prese prigione, & mai non restava sottomettere altri luoghi per la Natolia, tanto che pervenne alle orecchie del padre, & non passò guari che da Selim fu castigato de suoi mali comportamenti.
COME SULTHAN PAIAXIT MANDO' A DOMANDARE SELIM, CHE VENISSE IN COSTANTINOPOLI. CAPITOLO XIX
Vedendo Sulthan Paiaxit i tristi portamenti, che faceva Sulthan Ahamat sopra la Natolia, et come haveva torlto lo stato al Nipote, & tutta via seguitava avanti, per rimediare a questo, si consigliò co suoi Bascia, & perche s'accordavano con Selim, consigliarono al padre, che prestamente facesse una grossa armata con uno Capitano generale d'essa, & lo mandasse à pigliare: ma perche non mandasse un suo schiavo Capitano (che non era convenevole, ne niuno manco vi sarebbe andato contra un suo figliuolo) per questo pareva lor non fuor di proposito, mandare per Sulthan Selim, & farlo su Capitano generale, si per confortarlo per la ricevuta rotta, & si perche si aprtirebbe della Grecia, & anderebbe sopra la Natolia al suo stato: Et questo facevano i Bascia per condurlo dentro à Costantinopoli, che sapevano bene, che essendo egli dentro, facilmente riuscirebbe loro, il lor disegno: Sulthan Paiaxit non intendendo l'inganno, che tra quelle parole si nascondeva, prese per suo migliore (come che peggior fosse) mandar per lui, & farlo suo general Capitano:: & cosi ordinarono, che venisse in ogni modo: di che assai allegri restarono i Bascia:& fattogli intendere, che venisse sicuramente, non diede troppo indugio, che egli si mise in camino con la sua gente.
COME SULTHAN CORCUTH VENNE SEGRETAMENTE IN COSTANTINOPOLI. CAPITOLO XX
Vedendo Sulthan Curcut le cose di suo padre in questa guisa travagliarsi, penso tra se stesso, che Sulthan Paiaxit havesse scacciati i suoi fratelli per volergli dar la Signoria, come egli v'haveva ragione piu, che tutti gli altri: percio che quando mori Sulthan Mahometth suo avo, egli era nel Serraglio à studio anchora piccoletto, & suo padre era lungi insieme con un'altro suo fratello Gem Sulthan. Et perche la corte andava male, non vi essendo RE, i BASCIA gli diedero la Signoria di Costantinopoli: & poscia venendo il padre suo Sulthan Paiaxit, quando fu quivi appresso, gli mandò a dire, se voleva, che passasse piu avanti à vederlo: Di che egli rispose, che venisse sicuramente, & quando entrò ne la città, si consigliò co BASCIA, dicendo loro, se per qualche via lo potesson far Signore, facendo loro grandissime promesse. La onde eglin promesson fargli cosa grata. Et dopo questo immediate andarono à parlare al Re, che era questo Corcuth, amaestrandolo per essere egli anchora giovane, che quando Sulthan Paiaxit suo padre veniva à vederlo, si levasse humilmente in piede, & gli andasse incontra, & proferissegli la sua sedia, che sapevano, che non l'accetterebbe; il che fare fu contentissimo. Et venendo il padre, con riverentia si levò dalla sua sedia per fargli honore, & cio egli vedendo (ch'altro non disiderava) si pose subito à sedere: & poi comandò à Cortigiani, che egli levasson dinanzi Sulthan Corcuth il che subito fecero, & menaronlo via con sua madre, & Paiaxit suo padre (come era convenevole) restò signore. Per la qual cosa rammentandosi di questo Sulthan Corcuth, pretendendo sopra la signoria assai ragione, venne con questa intentione, d'haver lo stato in Costantinopoli, con cinque, ò sei in sua compagnia, & quivi entrato ne la habitatione de Giannizzeri, mandò il Capitano à suo padre, per sapere, se voleva, ch'andasse à parlargli, & baciargli la mano; non sapendo egli, che poco avanti haveva mandato per Selim, & fattolo suo Capitano generale. Il padre disse, che era contento, & fecegli dare cinque mila ducati; & la mattina seguente fece congregatione nel Serraglio, & gli diede audientia. Onde venuto, humilmente bacio la mano, & il piede à suo padre, & non disse altra parola, se non che stava piangendo dinanzi à lui: il quale vedendolo gli domandò la cagione del suo lagrimare. La onde Corcuth gli disse, che credeva, che non gli fosse scordato, quando da paterna carita mosso, gli proferi la sedia, dove allhora regnava; cio è della Signoria di Costantinopoli, & per ricompensa lo caccio, come suo schiavo; e che gia da quel tempo era stato trenta anni assente dalla sua presentia in Mangresia: & s'alcuna cosa s'haveva à fare della Signoria, che si ricordasse del suo figliuolo Corcuth: che a lui piu, che à gli altri ragionevolmente apparteneva. Havendo inteso questo Sulthan Paiaxit, lo confortò, che di niente non dubitasse, & che se bene haveva mandato per SELIM, l'haveva fatto avedutamente, accio che castigasse Sulthan Ahamat, et pensava che amenduni morrebbono in battaglia: & cosi pacificamente havrebbe lo stato: & à questo modo lo fece alquanto allegro, & pigliar buona speranza: & stette in Costantinopoli in fino à tanto che SELIM vi giunse.
COME SULTHAN SELIM ARRIVO' IN COSTANTINOPOLI, & COME FU FATTO RE. CAPITOLO XXI
Non passaron molti giorni, Che SELIM giunse in Costantinopoli, & alla entrata il padre gli fece grande honore, & mandogli incontra tutti i suoi Cortigiani, & il suo fratello Corcuth, i quali senza dire altra parola, solamente s'abbracciarono: & giunto fece stendere i suoi padiglioni in un luogo, che'l padre gli avevava consegnato: & la mattina seguente il Re fece congregatione, & chiamollo dentro del Serraglio, nel quale ando SELIM, & baciogli la mano, & il piede; & fecelo sedere appresso di lui: & dopo molte riprensioni del suo troppo ardimento, gli disse, che non per altro l'haveva fatto venire, se non per farlo suo generale Capitano, & che arditamente andasse à fare le sue vendette con Sulthan Ahamat. SELIM rispose, ch'era contento di fare tutto quello, che sarebbe di sua volontà, con conditione, & patto, che Corcuth non istesse in Costantinopoli; & questo disse, che temeva, che andando egli fuori, non l'havessero fatto Re: il quale intendendo questo, disse che lo manderebbe via prima, che egli partisse, & cosi restarono: & SELIM se ne tornò al suo alloggiamento. L'altra mattina seguente, Il Signore chiamò Corcuth, & li diede dieci mila ducati, & dissegli, che voleva mandare SELIM in battaglia: ma egli cio fare non voleva, se prima esso non si partiva di Costantinopoli: per la qual cosa gli disse, che dovesse tornarsene alle sue terre; & accadendo il caso che gli haveva detto, non havesse paura alcuna, che egli sarebbe Imperadore. Corcuth (come obediente figliuolo al padre, & dando fede grandissima alle sue parole) ne fu contento, & prese licentia, & tornossi alle sue terre. L'altra mattina alla congregatione, che fece il Re SELIM fu fatto suo Capitano generale, & fecegli dare una veste di broccato, & dieci mila ducati, & poscia gli commandò, che andasse sopra la Natolia, à far guerra col fratello; Onde rispose, non volervi andare, se prima non lo faceva certo di farlo Signore, & i BASCIA, che non altro disideravano, confortavano il Re, che lo dovesse fare. Il Re gli disse, che andasse prima in campo, & tornando lo farebbe subito Imperadore. SELIM replicò, ch'era ben certo di vincere suo fratello, ma ch'era incerto della Signoria, & che prima lo facesse Re; che poi anderebbe con l'animo più riposato. Udendo questo Sulthan Paiaxit, si trovava à mal partito, & non sapeva piu che rispondergli, ne manco come potesse levarselo davanti: tanto che per istimolatione de BASCIA, & d'altri Capitani, & per essere essere egli vecchio d'ottanta anni, gli rinuntiò il suo stato: & come fu contento, portarono gli stendardi à casa di SELIM, & feronsi accrescere le loro provisioni, si à gli huomini à cavallo, come à Giannizzeri: et cosi tutti restarono contenti, & allegri, chiamandolo Re, & facendo grandissime feste, & trionfi: Poi i Capitani, & BASCIA tutti per ordine gli andarono à baciare la mano, & stette cinque giorni fuori del Serraglio, fino à tanto che'l padre si partì di Costantinopoli.
DELLA PARTITA DI SULTHAN Paiaxit PER ANDARE IN DIMETOCCA, & DELLA SUA MORTE. CAPITOLO XXII
Poscia che Sulthan Paiaxit per altrui stimolationi haveva rinunciata la Signoria à SELIM: prese cinquecento huomini seco, & cinque giovani, tra quali era uno al servitio della sua persona, & prese quattro some d'aspri, & due di ducati, & una cassetta piena di gioie, & padiglioni, & altre masseritie per la sua casa, & una mattina per tempo (non senza lagrime) si parti, & prese il cammino verso Andrinopoli, con lento passo per andare in Dimetocca, dove haveva à stare per istantia, & rendevagli quaranta mila ducati d'entrata, & alla partita gli fece compagnia due miglia lontano dalla citta Sulthan SELIM, & dipoi prese licentia, & tornossi in Costantinopoli dentro del Serraglio: & Paiaxit se n'andò à piacere, facendo cinque, ò sei maglia il giorno, & non era anchora molto lontano che à SELIM venne nuovo pensiero: dicendo, che se e' si partisse di Costantinopoli per andar à far guerra col fratello, potrebbe suo padre tornarsene nella citta, & di nuovo farsi Signore. La onde perche altro partito non ci vedeva, fece disegno d'avelenarlo, & con un medico Hebreo di Paiaxit, chiamato VSTARABI, ordino, che gli dovesse dare una medicina con veleno, & polvere di diamanti rotti, ò altre misture, che non potesse campare, promettendogli, che gli darebbe dieci ducati il giorno di provisione, & non facendolo, lo farebbe morire, & mandogli la medicina, & disse, che immediate, che gliele havesse data, sene fugisse in Costantinopoli: Il medico per paura della morte, & disiderio della provisione promessa, prese la medicina, & messala in una coppa d'oro, andò, dove Sulthan Paiaxit era, & dissegli, che la mattina seguente voleva dargli una medicina, che lo conforterebbe tutto, & era molto rinfrescativa: & la mattina, quando il Signore anchora dormiva, venne alla camera, & pose la coppa sopra la sedia, & poscia passeggiava, infino à tanto che'l Signore si svegliasse, entrando piu volte, et uscendo del padiglione; & dopo alquanto spatio vedendo che il Re non si destava, disse che l'hora passava, & che era gia quasi giorno, & fecelo svegliare, & domandogli se voleva pigliare la medicina, & egli rispose, ch'era contento, & fattogli il mmedico la credenza, il quale gia haveva preso cose difensive per il tossico, glie la diede, & à noi commandò, che non si gli dovesse dare acqua, infino à tanto che non fosse sudato, et che lo tenessono coperto, & poi si fuggi via: In questo Paiaxit cominciò à dolersi, & voltandosegli lo stomaco, passò di questa vita; & morto che fu, portaron le sue robe, & il corpo in Costantinopoli, il quale imbalsimarono, & sepellirono incontra una sua OMESCHIT in una sepoltura molto ornata, coperta di broccato: & ordinarono i Sacerdoti, che ogni giorno quivi per l'anima sua havessono à fare oratione: & i cinquecento huomini tornarono à lor luoghi con le medesime provisioni, & noi altri cinque, vedendoci vestiti di nero, per ira Sulthan SELIM fece mettere in prigione nel Serraglio, & fecene morire due, & noi altri tre, per essere domandati di gratia dalle figliuole sue, & da Bascia cavò fuori senza darci nostre robe, ò denari, ma solamente il slario, che havevamo, & diedeci in guardia à un suo Capitano detto SVLVFTARBASCIA, & mandoci fuori del Serraglio con l'altre sue genti d'arme, & andammo in campo in tutti i luoghi, dove ando poi. Al Medico Giudeo, il quale haveva attossicato Sulthan Paiaxit, venendogli avanti per domandargli quel, che gli haveva promesso, i ricompensa della fatica in sua presentia fece tagliar la testa, dicendo, che altre tanto farebbe anchora lui, essendone richiesto.
DELL'ESERCITO DI SULTHAN SELIM CONTRA AHAMAT SUO FRATELLO. CAPITOLO XXIII
Morto che fu il vecchio Re Sulthan Paiaxit, il figliuolo regnando, fece à se venire l'Imperadore della Grecia con tutta la sua gente, & mandolo ne la Natolia, & egli co suoi Capitani, & Corigiani, e i tre BASCIA si mise in una Galea, & passò via. In Costantinopoli lasciò un Luogotenente, chiamato Sulthan Suliman [il futuro Solimano il Magnifico], suo unico figliuolo, & caminando in poche giornate arrivarono in Anguli: dove hebbe notitia SELIM, che'l suo fratello s'era partito dalla caramania, & costeggiava certe montagne alla fine della Persia. Di che divise le sue genti, & una parte ne mandò à una banda, dove credeva, ch'e' fosse andato & l'altra ritenne seco, ne mai per cosa, che egli facesse fu possibil di trovarlo. In questo tempo si fece venire cinque suoi nipoti, tre figliuoli di Sulthan mahometth, uno di Sulthan Sciemscia, & l'altro di Sulthan Alemsia, che era quello, che poco avanti haveva preso prigione Sulthan Ahamat, & dipoi l'haveva lasciato: & cosi diede licentia al BELGERBEGI della Grecia, & egli con tutta la sua gente, & quelli suoi cinque nepoti n'andò in Bursia tanto che passasse l'invernata.
COME SULTHAN SELIM FECE MORIRE CINQUE SUOI NIPOTI CHIAMATI CELEBILER. CAPITOLO XXIIII
Un Sabato, perche quel giorno è principale à loro di settimana, come il Lunedi à noi, trovandosi SELIM in Bursia, fece armare tutta la sua gente co Capitani, dicendo, che voleva vedere, come era bene in ordine, & se bastavan solamente i Cortigiani, per andare contra Sulthan Ahamat; & fatta la mostra, commandò à cinque di quelli Capitani, che fingessero andare in Bursia, & ciascuno pigliasse uno de suoi nipoti, & glielo menassono nel palazzo, & per nome disse à ciascuno quello che haveva a pigliare. I Capitani intesa la volonta del Re, subito li presero, & menarongli in una stanza tutti insieme, dentro del palazo. Questi erano d'età di quindici, sino in venti anni, da uno in fuori, che non haveva piu di sei anni, & figliuolo di Sulthan Mahometth: poi l'altra seguente sera alle tre hore di notte fece venire il boia per fargli strangolare l'uno dietro à l'altro: Ma volendo il manigoldo fare morire Sulthan Mahometth, figluolo di Sciemsia, gli diede un pugno si grande, che gli roppe un braccio, & à un'altro, che quivi era, con un coltellino dea temperare penne, che seco haveva, diede morte: si che non poteron questi due fare l'ufficio loro. Sulthan SELIM stava chiuso in una camera li appresso, donde vedeva ogni cosa, & cio vedendo mandò due altri huomini, i quali legaron le mani à tutti per forza, & poscia senza fatica gli affogarono: & morti che furono, il Re fece mettere ciascuno sopra un cavallo, & mandogli à sepellire dai padri loro.
DELLA MORTE DI SULTHAN CORCUTH FRATELLO DI SULTHAN SELIM. CAPITOLO XXV
Havendo Sulthan SELIM, per fuggire ogni sospetto, data acerba morte à cinque suoi nipoti, & trovandosi anchora in Bursia nel mezo della invernata, un giorno fece scrivere dieci mila huomini à cavallo con manco robe, che portar potevano, & fece loro comandamento, che dovessero essere messi in ordine in termine di tre giorni per cio che voleva scorrere segretamente, senza che niuno lo sapesse tra quali dieci mila io mi trovai in compagnia: & il terzo giorno tutti come fummo à cavallo, & caminando, cominciammo ad ccorgerci, che andava verso la mangresia, dove era Corcuth suo fratello, che gli voleva fare di quelle accoglienze, che haveva fatte à suoi nipoto. Ma cio vedendo un giovane, ch'era al servitio d'un suo Bascia, si parti da noi segretamente, & giunse al Serraglio di Corcuth, & dissegli, che subito fuggisse, perche era indi poco lontano il Re con dieci mila huomini, per pigliarlo. Inteso questo Corcuth, fatto un buon presente al nuncio, con uno suo BASCIA si diede alla fuga avanti che'l Signore giugnesse: & la mattina per tempo, quando arrivarono, il Re fece circondare il Serraglio, & rompere le porte, credendosi trovarlo nel letto, & cercando per tutto, non potè mai trovarlo: &prese di molti de suoi Cortigiani, & Eunuchi, et misegli al martorio, per fargli confessare, dove Corcuth era, tanto che confessarono, che la notte passata s'era partito, & non sapevano dove e' fosse gito, ma che un giovane l'haveva avisato, & pero s'era fuggito. Stettesi quivi SELIM quindici giorni senza haverne mai notitia, & mandò delle sue genti à cercarlo, per certe montagne: & in questo mezo fece caricare tutte le robe del Serraglio, & con le sue Galee mandò ogni cosa in Costantinopoli, & nel suo Serraglio mise un Capitano con mille huomini: accio che havesse guardia, & custodia della citta, & egli con la sua gente diede volta in Bursia, pensandosi, che Corcuth se ne fosse fuggito in Italia, ma non quasi era giunto in Bursia, che gli vennon nuove, come la sua gente haveva preso Corcuth, il quale havevan trovato in una spelonca, che li dentro un Turco gli portava da mangiare mattina, & sera. Intendendo questo il gran Turco, ne fu molto contento. Quando gli fu vicino, che la mattina seguente doveva arrivare: il Re mandò un suo Capitano, che la notte seguente l'affogasse, & facesse portare il corpo morto davanti à lui. Parti il capitano, & giunto, dove era la notte alle quattro hore entro dentro la camera, dove dormiva, & si lo sveglio, dicendogli, Corcuth, io son venuto qui da parte del gran Turco, per darti morte, & bisogna che io faccia la sua volonta. Sentendo egli questo, trasse un gran sospiro, & poi humilmente lo prego, che volesse stare per ispacio d'una hora, prima che l'ammazzasse, & che gli dovesse portare da scrivere: di che assai cortesemente il Capitano lo contento. Onde essendo Corcuth huomo di gran dottrina, scrisse in lor rime due capitoli della poca fede del fratello, che cosi volentieri si lavava le mani col suo sangue proprio, dicendo che non gliera bastato haver morto suo padre per regnare, & i suoi nipoti, che anchora ammazzava i suoi fratelli, che non gli davano fastidio nel suostato: & in fine per suoi ultimi prieghi domandava à Dio una sol gratia, che Sulthan SELIM non gia mai uscisse delle infernali pene. Poscia che hebbe scritto, pregò, che col suo corpo mettessero la scritta in mano del Re, & cosi subito lo strangolarono, & la mattina seguente portarono il corpo a Sulthan SELIM, il quale non fidandosi, che fosse morto, gli scopri la faccia, & prese la scritta, che gli haveva messa in mano, & commandò che lo andassero à imbalsamare, & poi lesse la scritta, & leggendo, cominciò fortemente à lagrimare, & disse che si penteva d'haverlo fatto morire, & fece vestire la corte di nero per tre giorni, & in capo di tre giorni fece tagliare la testa à quindici, ch'erano quelli, che l'havevan preso, & senza testa gli fece gettare in mare, accioche non fusser conosciuti, stimandosi che quelli havrebbono fatto à lui, se fosse fuggito, il simigliante.
DELLA MORTE DI MUSTAFA BASCIA PRINCIPAL BASCIA DI SULTHAN SELIM. CAPITOLO XXVI
Dopo la morte di Corcuth suo fratello, Sulthan SELIM ordinò mandare un suo Capitano in una città, chiamata Amascia, per pigliare i figliuoli di Sulthan Ahamat, & le donne, & tutte le robe, per cio che egli s'era partito, & andava facendo gente per la Caramania. Questo Capitano, pigliandoli pietà di que suoi figlioletti, mandò secretamente una Staffetta in Amascia à Ahamat, dicendogli, che tornasse nel suo stato, che altramente si troverebbe senza figliuoli, & senza donne, & thesoro. Intendendo questa nuova Sulthan Ahamat, fece ritorno alle sue terre, & mise guardie, per vedere, quando veniva la gente di SELIM. In questo mezo il gran Turco haveva mandato quel suo Capitano, chiamato VLVFEGIBASCIA con cinquecento huomini in Amasia, & commesso loro, che andasson tosto con corrieri, & pigliassero tutto quello, che haveva detto a Mustafa BASCIA; & giunse in Amasia prima, che Sulthan Ahamat scavalcasse: per la qualcosa egli entrò dietro à loro, amazzando quanto VLVFEGI trovava in campo, fatto alquanto battaglia perche era huomo compassionevole, fece fermare la sua gente, et tutti i nemici prese vivi col Capitano, al qual disse, che ardire era stato il suo à venire in casa sua per pigliarele sue robe, & figliuoli: il quale, scusandosi, disse esser venuto per obedire al suo Signore. La onde tutti co'l Capitano gli fece mettere in prigione in una fortezza. Prestamente furon portate le nuove al gran Turco: del che hebbe gran dispiacere, & piu che non sapeva, come far si devesse, per rihavere quelli huomini, che non erano morti. Il Capitano ch'era in prigione, intese come MUSTAFA BASCIA haveva dato aviso di questo tratto à Sulthan Ahamat: Onde scrisse al Signore, & disse, che quegli, di chi piu egli si fidava, era stato cagione di questa perdita, il quale era MUSTAFA BASCIA. SELIM, intendendo questo, la mattina seguente fece congrgatione, & come hebbe mangiato la brigata, à gli altri Capitani, & BASCIA fece presentare una veste per huomo à chi di seta, à chi di broccato di vari colori, & à MUSTAFA BASCIA una di velluto nero, come è di loro usanza: & poi che fu la gente licentiata, lo fece ritenere nel Serraglio, & scopertagli la ragione, lo fece subito strangolare, & nudo sopra un tapeto con la sua veste nera, commandò che fosse messo in mezo della strada, Udendo questo Sulthan Ahamat, fece il simile al Capitano di SELIM ch'e' teneva prigione, & gli altri soldati tutti lasciò andare.
DELLA BATTAGLIA, & MORTE DI SULTHAN AHAMAT, FRATELLO DEL GRAN TURCO. CAPITOLO XXVII
Sulthan Ahamat, sentendo che SELIM si trovava anchora in Bursia, & che seco non era il BEGLERBEGI, ma era solo co suoi Cortigiani, pensò tosto di fare una scorreria con xxv mila huomini, i quali haveva, per pigliar SELIM: ma non prima si fu partito, che due spioni andarono à SELIM, & avisaronlo del tutto: di che fu assai di buona voglia, & mandò subito in Costantinopoli per il suo Capitano de Giannizzeri, che in termine di tre di con dieci mila huomini venisse in Bursia, & per venir piu tosto, montasse sopra le Galee, & venisse à smontare alla montagna, che è poco lontana da Bursia: dipoi egli usci fuori co suoi Cortigiani in una pianura, facendo buona guardia per ogn'intorno, & non tardò molto che'l Capitano arrivò con dieci mila huomini, & menò seco anchora cinquecento scoppettieri, il quale come fu appresso al campo di SELIM si fece tumulto, pensando che fosse Sulthan Ahamat. Di poi conosciutolo SELIM, hebbe grande allegrezza della lor presta venuta. La mattina, che venne, disse, che non voleva, che Sulthan Ahamat s'appressasse in Bursia, & per questo gli voleva andare incontro, dicendo, che egli haveva poca gente, & che non gli poteva nuocere in alcun modo: & fatte aprire le bandiere della battaglia, co suoi Cortigiani, & Giannizzeri si mise in viaggio, & innanzi mandò il BEGLERBEGI con quindici mila huomini; il quale la mattina seguente si scontrò con Ahamat, & fu rotto, che non gli restò piu che otto mila huomini, i quali se ne tornarono da Sulthan SELIM: & havendo havuta questa prima vittoria Sulthan Ahamat, procedeva tutta via piu avanti, tanto che essendo in sul mezo giorno si trovarono un mezo miglio lontani l'uno da l'altro, & tra loro passava un fiume: & quivi s'accordaron fare la battaglia la mattina seguente, accio che i cavalli, & l'altre genti pigliasson rinfrescamento per quella notte. Hora in questo giorno medesimo arrivò in favor di SELIM un figliuolo del tartaro con cinquecento huomini, che ciascuno menava tre cavalli seco: & questo fanno, perche essendo in battaglia, & sia lor morto il cavallo, habbian l'altro tosto apparecchiato. Questi era venuto per baciare la mano al Re, & dargli obedientia in luogo di suo padre, & era molto amato da SELIM, perche stando egli in Trabuson, prima che pigliasse la Signoria, erano molto amici insieme: & vedendo, che voleva far battaglia, senza altro dire, con la sua gente parti à meza notte, & andò dietro à certe montagne, & quivi si fece forte. Il campo di SELIM, come fu la mattina, passò l'acqua, & trovossi in un luogo, chiamato LENGI SCEROV ASI; che vuol dire, il piano della terra nuova, con tutte le sue squadre in ordinanza, & il simile frece Ahamat: & aperte le bandiere dall'una & l'altra parte stavano sonando trombette, & tamburi fortemente. In questo venne un huomo di Ahamat nel campo di SELIM col salvo condutto, esponendo l'ambasciata da parte del suo padrone in questa forma; cio è, che Sulthan Ahamat voleva (quando egli à questo non contradicesse) combattere seco à corpo à corpo, percio ch'era male, che per lor cagione morissero tanti Turchi: & se pur voleva, che i campi s'affrontassero, voleva, che'l peccato de morti andasse sopra di lui. Il Re rispos, che non voleva, perche quantunque egli havesse voluto, le sue genti non l'havrebbon lasciato fare: & diedegli mille aspri, & disse, che tornasse al suo padrone. Havuta la risposta, non mise piu tempo in mezo: & cosi da ciascun campo usciron cento huomini, chiamati CARCHAGILER, & dierono il primo assalto. Poi qunado Sulthan Ahamat vide che'l campo era appiccato, egli con dieci mila huomini speronarono avanti tutti insieme verso il gran Turco: il quale cio vedendo, mandò avanti una squadra di tre mila huomini, & quivi in mezo fecero il secondo affronto. Sulthan Ahamat roppe questa squadra, & animosamente veniva avanti. Et cio vedendo Sulthan SELIM s'accosto con gli scoppettieri, & cominciarono à scaricare talmente, che l'altra parte sentendosi toccare dagli scoppietti, si fuggi alla montagna, la dove era piu gente che gli diede soccorso. In questo si mosse il figliuol del Tartaro, et assaltogli da un'altra banda, & fece tanto, che mandò le bandiere de nemici per terra. Il che vedendo Sulthan Ahamat, con la sua gente si mise in fuga, anvhora per tutta via fosser seguitati, et cosi fuggendo pervenne à un fosso, dove l'acqua per molta pioggia poco avanti era abondata, & correndo col cavallo, la terra dalle sponde gli venne meno; & cosi sotto sopra vi cascò dentro. La onde i suoi nimici quivi arrivaron presti, & vivo subito lo presero, & fecerlo intendere al gran Turco: della qual cosa fu molto allegro, & comandò à quel Capitano, che haveva strangolato Corcuth, che quel medesimo à lui facesse, & cosi fece: & poi sopra un tapeto morto lo portarono al Re il quale comandò, che fosse imbalsimato, & sepellito in Bursia con gli altri della casa loro: & poscia fece fermare la gente, che morto lui, non volse, che più oltre seguitassero, & tolson tutto il suo thesoro, & robe; & col figliuolo del Tartaro stette per molti giorni allegramente per quelle pianure.
COME DUE FIGLIUOLI DI SULTHAN AHAMAT SI FUGGIRONO SENTENDO CHE'L PADRE ERA MORTO. CAPITOLO XXVIII
Udendo in Amasia i due figliuoli la dolorosa morte del lor padre, la dolorosa madre, accioche SELIM non gli facesse prendere amendue proposero di fuggirsi. Sulthan Aladin, ch'era maggiore, volse fuggirsi al Cairo, & con ventio giovani in sua compagnia con buona licentia della madre prese commiato: l'altro anchora che lungi fosse, per essere piu sicuro, vuolse andare in Persia: dove allhora signoreggiava il Soffi. Il quale come senti ch'era arrivato, se'l fece venire avanti, & quivi con piu lagrime, che parole gli narrò la cagione perche s'era fuggito; & come Sulthan SELIM si crudelmente haveva fatto morire suo padre, & suoi parenti, & lui anchora perseguitava. Il che sentendo il Soffi, gli venne gran compassione, & con parole tutte paterne, & amorevoli gli disse, che assai gli rincresceva di quel, che gli haveva narrato, ma che havesse buona speranza, che quando piacesse à lui, con l'aiuto suo farebbe d'ogni cosa le sue vendette, & castigarebbolo de suoi errori, & cosi facendogli buona accoglienza, lo tenne seco due mesi à riposare: dipoi gli disse per haver di lui miglior fidanza, che gli voleva dare una sua figliuola per moglie: & che d'ogni cosa, che gli facesse di bisogno, provederebbe, come à suo propio: & di cio dicendo egli essere contento, glie la diede: & per un mese stettero in gran trionfi; nel qual tempo hebbero notitia che Sulthan Aladin era morto nel viaggio di Barberia.
DELLA PARTITA DI SULTHAN SELIM DEL LUOGO DOVE HEBBE LA VITTORIA. CAPITOLO XXIX
Essendo stato Sulthan SELIM un mese in questo luogo, faceva pensiero tornarsi in Costantinopoli, se non che i Bascia molto di questo lo sconfortavano, che v'era una gran pestilentia: Il perche per saper piu il certo, mandò un corriero à vedere, se cio vero fosse, & commandò, che dovessero tener buon conto di tutti quelli, che morivano: il quale tornando poi con la risposta, gli diede il numero di tutti quelli, che erano morti, & trovaron, che tra huomini, & donne in due mesi erano sessantamila huomini solamente della citta: per la qual cosa il re prese la via verso Galipoli, & poscia su la Grecia, & andossene in Andrinopoli dove fece tutta quella state, e'l verno insieme: & dipoi cessando la pestilentia, si tornò in costantinopoli, dove trovò esser morte centosessantamila anime, le quali tutte erano scritte per proprio nome, che fecero poi un libro della gran mortalità, & del terremoto insieme à perpetua memoria.
DEL MOVIMENTO DEL Soffi CONTRA SULTHAN SELIM. CAPITOLO XXX
Il Soffi, chiamato altramente Sciaizmail [il Menavino usa qui l'espressione "Soffi" per indicare il "re dei Persiani" e lo stesso farà Aprosio in un passo dello Scudo di Rinaldo, usando la forma Sofite: ma se il Menavino era nel giusto, sbaglia invece il frate intemelio attribuendo al "Basileus" dei Persiani antichi e/o agli Indiani di Poros vinti da Alessandro il Macedone il titolo che si doveva a ciascuno dei sovrani discendenti dallo sceicco "Safi ad-din" fondatore della dinastia sciita che regnerà in Persia dal 1502 al 1736] stette tutto il verno con Sulthan Morath, tenendolo in riposo: & dipoi quando venne la primavera gli apparecchiò trenta mila huomini à cavallo, & dissegli, che gli dava tutta quella gente à suo governo, & che di tutto egli la provedeva, & se e' facesse per suo consiglio (che far lo doveva) in poco tempo contra SELIM farebbe sue vendette. Rispose Morath, che era à ogni suo commandamento pronto. Il perche il Soffi gli die consiglio, che imprima andasse à racquistare lo stato di suo padre, & dipoi di mano in mano andasse tutte le terre della Natolia sottomettendo: & in ciascuna, ch'e' pigliava, dovesse mettervi un suo Capitano à buona guardia d'esse, & quelle, che non si volevano arrendere, mettesse à fuoco: & non dubitasse, se ben SELIM facesse qualche movimento, percio che sapeva, che non poteva essere in punto in manco di due mesi, volendo passare avanti: & che in questo tempo, egli farebbe altrettanta gente in su la Persia, & la farebbe stare apparecchiata per ogni soccorso, che bisognasse: & cio detto, lo baciò in fronte, & diedegli la sua benedittione; & partissi subito & subito diede principio ad eseguire i suoi commandamenti, & come giunse ai confini della Natolia, tutti per paura, udendo, che Morath veniva con tanta gente del Soffi, si voltarono in suo favore, onde dava provisione à molti di quelli del suo paese, & tutti gli amici di suo padre volevano andare con lui per fare le sue vendette, & cosi moltiplicando il suo esercito, andava sottomettendo le terre della Natolia, & in poco tempo, richiedendo SELIM alla battaglia, gli mandò a dire, che andasse à difendere le terre di suo padre.
COME SULTHAN SELIM FECE UN GRANDE ESERCITO PER ANDARE CONTRA AL Soffi. CAPITOLO XXXI
Et non passaron molti giorni, che à Sulthan SELIM pervennero le nuove, come Sulthan Morath per vendicarsi di suo padre, & suoi parenti era passato sopra la Natolia, & andava tutte le terre sottomettendo, & come haveva havuto ardimento mandargli à dire, che venisse à difendere il suo paese, per la qual cosa egli divenne molto irato, & promise fargli fare quella istessa morte, & con la medesima corda di suo padre, & soggiunse superbamente: Hora ben veggio sarà di tutto la distruttione de Soffi, che io farò di sorte, che di loro mai piu non sia memoria: & subito mando Staffette, & gride per mtutti i suoi paesi, che qualunque havesse da lui provisione, si dovesse trovare su la Natolia in termine di venti giorni, & mandò all'Imperadore della Grecia, che dovesse venir torsto con tutta la sua gente doppia; & fece poi fare trenta mila AZAPPI, cio è pedoni; & poi mandò un'altra grida, che tutti gli huomini, che pagavano decime sulla Grecia, dovesser portargliele per tre anni à venire, & frece mettere ne le carrette dugento bombarde di bronzo grosse, & cento di ferro fece portare à Cameli, & ciascuno ne portava due, & mandò gride, chè chi voleva soldo venisse à lui; che prometteva oltre al salario dargli à sacco tutte le terre del Soffi, che pigliasse; & fece in breve tempo gran numero di gente, per le quali abodantissime vettovaglie, altresi, fece apprestare, et egli co suoi Cortigiani, tra quali io mi trovai, & i Signorotti della Grecia ne venne in Anguli in ispatio di trenta giorni. Hora sentendo Sulthan Moret, che'l gran Turco con queste genti era passato sopra la Natolia, fece ardere tutti i fieni, & paglie, & similmente l'herbe che si trovavano sopra i prati; accio che i suoi cavalli non havessero da mangiare: & dipoi si tirò à confini della Persia, & passò il fiume grande Eufrate & quivi si fermò, dove il Soffi promise venire con molta gente in suo soccorso. Sentendo questo SELIM, mandò innanzi i due BEGLERBEGI, & egli con la sua gente seguitava con lento passo una terra detta Suas; & lacio li AZAPPI co venturieri à dietro, che pienamente lo seguitassero.
DELLA BATTAGLIA, & ROTTA DEL GRAN TURCO COL Soffi, & SUO NIPOTE SULTHAN MORATH. CAPITOLO XXXII
Essendo il gran Turco con tutta la sua gente, che tra à piedi, & à cavallo era trecento mila, arrivato al fiume Eufrate, trovarono che Morat haveva rotto il ponte, che passava dall'altra banda; & facevasi forte sopra d'una montagna con tutto il soccorso, che gli era venuto, ch'erano in tutto novanta mila persone; tra i quali erano ventimila, che havevano due cavalli per huomo; & non si potè mai sapere, se'l Soffi era in campo in persona propria, ò se era anchora in Persia, procacciando gente. Di che il gran Turco molto temeva: & non potendo passare il fiume, fece fare subito il ponte, dove fece passare imprima il BEGLEBERGI della Grecia, & quel della Natolia, & egli restò per passare la mattina seguente. Hora essendo quasi due hore avanti giorno, Sulthan Morat assaltò il BEGLEBERGI della Grecia, che da quello della Natolia s'era in un'altra parte allontanato, & con grande impeto gli gittaron le bandiere per terra, & padiglioni, & tutti in un punto gli fracassarono: & per la paura le genti dell'altro BEGLEBERGI si gittavano nel fiume per passare, dove era il gran Turco. Vedendo questo, SELIM fece mettere l'artiglieria tutta lungo il fiume per tirare à Soffi che erano dall'altra banda vicini à essi; & perche non la vedessero, faceva, che dinanzi vi stesse gente; & quando fu tuttain ordine sonarono le trombe, che quelle genti si discostassero, & dierono fuoco; & tirando l'una spezzava l'altra, & del campo medesmo del gran Turco amazzarono molta gente, & per il fracasso molti cavalli, et muli con gli huomini sopra saltarono nel fiume, & tutti affogarono. I Soffi sentendo l'artiglieria, quelli, che poterono, si tirarono tutti dall'altra parte della montagna, & stimarono, che à quel tratto del Soffi ne morissero venti mila, & ritratti che furono gli altri, il gran Turco passò il fiume con tutta la sua gente; & andò verso le montagne, dove erano i Soffi. In questo essi si divisero in quattro parti stretti insieme: & vedendo che i Turchi speronavano verso loro, si allegrarono, & fecero un grande assalto; & tutta via abondava gente, & la notte gia s'avicinava; la quale favoriva assai i Soffi; percio che non potendo resistere à quello sforzo, si fuggirono alquanto lungi alle montagne: e i Turchi per essere notte non passarono, come era loro animo, piu avanti. Hora poi che la notte gli sopragiunse, il gran Turco fece pensiero lasciare tutta l'artiglieria & i pedoni, & con gli huomini à cavallo fare una scorreria, & entrare dentro una citta del Soffi, detta Tauris, innanzi che quelli della citta sapessero, che'l campo fosse rotto. Dall'altra i Soffi, che si governavano saggiamente, ordinarono, che dieci mila di loro, essendo venuto il giorno, andassero contra al Turco; & quando il campo gli desse la caccia, si fuggissero mostrando d'esser rotti, & tutti gli altri, ch'erano circa venticinque mila, restassero dietro à Turchi, che riuscirebbe loro ogni disegno. Quando la mattina SELIM vide, che i Soffi gli erano anchora avanti, pensò tra se, che non gli havesser potuto fuggire piu avanti, sapendo, ch'erano rotti. La onde con molta gente subito gli andò incontra, & eglino, come erano bene amaestrati, si misero in fuga, & i Turchi non accorgendosi dell'inganno, gli seguitarono in sino à mezo di, tanto che trovarono un fiume non molto grande, & quivi alquanto stracchi si posero à mangiare, & dopo questo, come che giunger gli fosse loro molta fatica, stimando la seguente notte segretamente entrare in Tauris, lasciata tutta la gente stracca, & il thesoro tornarono à correre lor dietro. Ma quando furono presso alla citta, passate le due hore di notte, venne un corriero al gran Thurco, avisandolo, che i Soffi havevano fracassata tutta la fanteria, & prese le bombarde, & tutta via venivano piu avanti. Udendo questo il gran Turco, per recuperare il thesoro, prestamente diede volta à dietro, & i FVGI che fuggivano avanti, subito si voltarono, vedendo che l'altra parte lo seguitava. Le genti del Turco, ch'erano state col thesoro, veduto questo, subito spariron via. Hora stavano i campi affrontati facendo crudel battaglia. Il Turco si trovava à mal partito, vedendo, che fraudolentemente i Soffi gli havevano messi in mezo: & tanto fu il loro impeto furioso, che per terra gli buttaron gli stendardi: il che vedendoi Turchi, cominciarono à fuggire per lo traverso, perche altra via non era possibile. Il gran Turco, quando vide, che le sue genti fuggivano, & che le bandiere erano per terra, si consigliò per la sua salute fare il simile anchora egli, & sopra un buon corridore sene venne in Amasia; & stette sempre su la Natolia, ricogliendo quella poca gente, che gli era restata viva; la notte tutti i Turchi non ferono se non fuggire quelli, che potevano, et passati che furono il fiume, roppero il ponte accio che i Soffi non li potessero seguitare; i quali si tornarono indietro allegramente vittoriosi, & volentieri sarebbono passati avanti, se non che era morta la piu parte della loro gente.
COME L'AUTORE DOPO QUESTA ROTTA SE NE FUGGI IN ITALIA. CAPITOLO XXXIII
Non fu tanto il gran Turco di questa crudel battaglia di dolor compunto; che io non fossi d'essa, & d'ogni sua distrutione, che gli avenisse, allegro, percio che, come da DIO spirato, che altronde non procedeva, in un punto mi senti tanta baldanza, che esso Soffi, poco innanzi vittorioso, non credo, che havesse simile allegrezza: pensando tra me stesso il luogo, & il tempo opportuno, che da si lunga servitute mi liberassi. In quel luogo apersi gli occhi, che per dolcezza à lagrimare gli indussi, & tosto presi presi consiglio di ritornarmi al mio antico nido, & con quel medesimo Capitano, sotto alla cui guardia era ordinato, mi misi in fuga: & quando poi arrivammo in Trabuson; il quale è alla riva del mare maggiore, luogo proprio à miei disii, dove sicuramente era possibile allontanarmi con quattro miei compagni, passammo la Grecia, & andammo in Andrinopoli: & quivi, per che niuno ricercava chi io fossi, havendo havuto dal Soffi cagione di pensieri assai maggiori, lasciai la compagnia, & venniper terra infino a Salonicchi, ove per buona ventura trovai certe navi di Christiani apparecchiate, che caricavano grano, feci con loro tanto, che mi menarono à Scio, poi d'indi partendomi, mene venni d'una in un'altra terra, nella nostra Italia. La dove primieramente mi prese disio rivedere la mia patria, chiamata Vultri, ove trovai mio padre, & la mia cara madre: ma pensando, che fossi morto, ò che mai ritornar nòn dovessi, erano tutti poi di maraviglia pieni, & come se nuovamente di me havessero fatto acquisto, piangendo di soverchia allegrezza m'erano tutti intorno: i quali abbracciai, & baciai teneramente; che dieci anni erano passati, che non m'havevano veduto.
[p. 183: FINISCE IL TRATTATO DELLE COSE TURCHESCHE, COMPOSTO PER GIOVANN'ANTONIO MENAVINO GENOVESE DA VULTRI]