Cesare Ripa autore d’una fortunata Iconologia o Descrizione di diverse imagini cavate dall’antichità e di propria invenzione (Gigliotti, Roma 1593), oera peraltro molto spesso citata da Aprosio, descri e sia l'INGANNO, cui attribuisce caratteristiche maschili, e la BUGIA cui conferisce invece connotati femminili:
INGANNO.
Huomo, vestito di giallo, nella mano destra tenga molti hami, & nella sinistra un mazzo di fiori, dal quale esca un Serpe. Si dipinge con gli hami in mano, come quelli, che coperto dall'esca pungono, & tirano pungendo la preda, come l'ingannatore tirando gli animi semplici dove ei desidera li fà incautamente precipitare. Il mazzo di fiori co'l Serpe in mezzo significa l'odor finto della bontà, donde esce il veleno vero de gli effetti nocivi.
BVGIA. Donna, involta, & ricoperta nell'habito suo quanto sia possibile, il vestimento da una parte sarà bianco, & dall'altra nero. Terrà in capo una Gaza, & in mano una sepia pesce. La parte del vestimento del color bianco mostra, che gli huomini bugiardi primieramente dicono qualche verità per nascondervi sotto la bugia. L'altra parte di dietro del vestimento nero si confà in quella sentenza di Trifone Grammatico Greco, la quale diceva, che le bugie hanno la coda nera, & per questa medesima ragione à questa imagine si pone in capo la Gaza, che è di color vario, & la Sepia, la quale, secondo, che racconta il Pierio Valeriano nel libro 28., quando si sente presa manda fuori della coda un certo humore nero, nel quale si nasconde, stimando con tale inganno fuggire dal pescatore. Così il bugiardo oscura se stesso con la fintione delle bugie, & non viene mai à luce di buona fama.
BVGIA.
Donna, giovane, brutta, ma artificiosamente vestita di color cangiante, dipinto tutto di mascare di più sorti, & di molte lingue. Sarà zoppa, cioè con una gamba di legno, tenendo nella sinistra mano un fascetto di paglia accesa. Santo Agostino dipinge la Bugia dicendo, che è falsa significatione della voce di coloro, che con mala intentione niegano, overo affermano una cosa falsa. Et però si rappresenta in una donna giovine, ma brutta, essendo vitio servile, & fuggito sommamente nelle conversationi de' nobili, in modo, che è venuto in uso hoggidì, che attestandosi la sua nobiltà, come per giuramento, nel parlare, si stima per cosa certa, che il ragionamento sia vero. Vestesi artificiosamente, perche con l'arte sua ella s'industria di dare ad intendere le cose, che non sono. La vesta di cangiante dipinta di varie sorti di mascare, & di lingue dimostra l'incostanza del bugiardo, il quale, dilungandosi dal vero nel favellare, dà diversa apparenza di essere à tutte le cose, & di qui è nato il proverbio, che dice Mendacem oportet esse memorem. Il fascetto di paglia accesa altro non significa se non che, sì come detto fuoco presto s'appiccia, & presto s'ammorza, così la bugia presto nasce, & presto muore. L'esser zoppa dà notizia di quel che si dice trivialmente, Che la bugia hà le gambe assai corte.
In merito ad autori come Aprosio (ed anche il suo discepolo Gandolfo), non specificatamente letterati/poeti ma letterati/trattatisti e per giunta in qualche modo condizionati quali religiosi e come religiosi autori di opere di varia erudizione, anche giuridica e moralistica, non si può veramente discettare in maniera completa senza addentrarsi nei meandri di quel DIRITTO INTERMEDIO che risulta esser stato base irrinunciabile su cui approfondire la conoscenza del COMPLESSO SISTEMA SOCIALE DELL'EPOCA.
Su questa direttrice è irrinunciabile l'ausilio di opere specifiche di dimensione enciclopedica e tra queste per estensione, completezza e vastità oltre che profondità delle fonti utilizzate la BIBLIOTHECA CANONICA, JURIDICA, MORALIS, THEOLOGICA... del padre francescano Lucio Ferraris risulta opera davvero essenziale: da essa, con una riccheza di precisione documentaria notevole, si sono qui estrapolate molte NOZIONI CHE DESCRIVONO LO STRETTO LEGAME ALLORA ESISTENTE TRA VITA RELIGIOSA E VITA LAICA.
Contestualmente, dalla amplissima voce contenuta nella stessa opera, precisamente la voce
RESTITUTIO, cioè il RISARCIMENTO, si possono, per via diretta ed indiretta, estrapolare una miriade di ulteriori dati e nozioni, su cui si confrontò parimenti l'Aprosio moralista e vicario dell'Inquisizione, altrimenti incomprensibili ed invece basilari per intendere molti degli interventi a stampa dell'agostiniano intemelio, su argomenti di vita pubblica e religiosa, contenuti in sue opere, specie la Grillaia e lo Scudo di Rinaldo I sia per la parte pubblicata sia per quella rimasta inedita (soprattutto in merito allo Scudo di Rinaldo II).
Propriamente Lucio Ferraris nella BIBLIOTHECA CANONICA... affronta la voce RESTITUTIO distinguendone utilmente la trattazione in vari ARTICOLI
Per quanto concerne l'ARTICOLO I vedi:
80: "finti poveri" - 81: adulterio - 82: stupro - 83:genitori - 84: quanti rinvengono infanti esposti innanzi alla propria porta e li espongono innanzi alla porta di casa altrui - 85: compratori e venditori -
Possessor bonae, & malae Fidei - Gabella - Pascua (Pascoli) - Impediens - Fur (Furto) - Dominium - Officium Divinum - Canonicus - Detractio (art 5) - Bellum (art 2 - 3) - Culpa - Damnificatio.
Per quanto concerne l'ARTICOLO II la VOCE BASE è il lessema OMICIDA tenuto ancora ben distinto dal lessema ASSASSINO
Per quanto concerne l'ARTICOLO III vedi: Possessor bonae & malae fidei - Commodatum - Locator - Mutuum - Emptio/Venditio - Emphyteusis - Ludus (Gioco - Gioco d'azzardo) - Dominium - Bellum (art 2) - Bona (Beni, art.4) - Damnificatio - Damnum - Usura (vedi art. 1, da n. 80 a 94) - Meretrice/Prostituta - Oggetti variamente ritrovati - Oggetti ritrovati sulla spiaggia del mare o di un fiume dopo naufragio - Oggetti ed altri beni rinvenuti in mare dopo naufragio o salvati da incendi, devastazioni, alluvioni - Tesoro: rinvenimento di un tesoro [Vari collegamenti tra voce DOMINIUM e voce RESTITUTIO: animali selvatici (7) - animali custoditi in allevamenti cintati (8) - animali domestici e selvatici ma addomesticati (9) -
caccia: a chi spetti la fiera colpita mortalmente (9) - caccia: a chi spetti la fiera od il volatile lievemente ferito e poi catturato da altri con reti (11) - caccia: dubbi in merito a chi spetti la fiera colpita e da altri catturata (12) - Si divida l'animale selvatico da qualcuno scovato e inseguito e da altri catturato (13) - Casi diversi su pesci caduti entro la rete dei pescatori e da altri poi presi (14) - Il caso di api che abbandonino il proprio alveare ed altrove prendano dimora (15) - Beni di ignoto padrone, persi per caso o portati dopo naufragio sulla spiaggia e da altri trovati (17) - Le cose di ignoto padrone trovate, se non si trovi costui, si applicano ad uso pio ed a vantaggio dei poveri sempre che povero non sia chi le ha trovate sì da trattenerle lecitamente in parte o in tutto (18) - Il caso di un bene palesemente abbandonato (22) - Casi di merci ed altri beni dopo naufragio portati sul litorale (24) - Si rendano al legittimo proprietario i beni recuperati da qualche naufragio - Tesoro scoperto: casistica (26 a eguire) - Tesoro scoperto in luogo pubblico spetti al Principe locale o alla Comunità (36) - Tesoro rinvenuto in luogo sacro (38) - Tesoro scoperto con qualche magico artificio si dia al Fisco(39) - Casi concernenti chi abbia trovato un tesoro in un bene mobile od immobile acquistato da altro pregresso padrone (41) - Caso del ritrovamento di piombo e ferro in un fondo o bene mobile acquistato (41) - Caso di un soldato che abbia venduto un sacco portato via al nemico entro cui stavano celate lamine d'oro o d'argento (42) -
Leggi concernenti il ritrovamento di tesori (da 43) - Alluvione: casi vari (46 - 48) -
Isola dopo alluvione formatasi in mare aperto, di chi sia (49) -
Considerazioni su carte scritte, pitture, quadri ecc.(da 67)
Nel suo celebre "Vocabolario della lingua italiana" parlando di CHIESA / CHIESE Tullio De Mauro dà le seguenti definizioni
"chiesa s.f. (FO) -
1a spec. con iniz. maiusc., comunità dei fedeli che professano una delle confessioni cristiane: la C. cattolica apostolica romana; C. protestante, C. anglicana, C. luterana, C. evangelica, C. metodista, C. riformata, C. valdese | estens., comunità spirituale formata da tutti i cristiani: Gesù Cristo fondò la C. -
1b per anton., spec. con iniz. maiusc., la chiesa cattolica, sia come insieme di fedeli sia come struttura organizzata: i beni della C.; libera C. in libero Stato; le preghiere della C. per la pace | comunità di rito particolare all'interno della C. cattolica: C. ambrosiana -
1c estens., circoscrizione territoriale religiosa: parroco, vescovo che governa la propria c. -
2 edificio sacro in cui si svolgono pubblicamente gli atti di culto delle religioni cristiane: andare in c.; una c. romanica, gotica, barocca -
3 il clero, la gerarchia ecclesiastica.
La definizione è esaustiva per quanto concerne un dizionario e tuttavia per avere un'idea delle infinite valenze che, nel dettaglio, ai tempi dell'Aprosio e del Gandolfo si conferivano a quel PECULIARE EDIFICIO SACRO = DI CUI QUI SI PUO' VEDERE PARTENDO DALLE VOCI BASILICA E CATTEDRALE UN DETTAGLIATO ELENCO REALIZZATO SULLA BASE DELLA SOTTOSTANTE OPERA DI LUCIO FERRARIS: su tale EDIFICIO SACRO detto in volgare CHIESA dal latino ECCLESIA per un approfondimento pare ancora necessario rifarsi alle sottostanti minuziosissime considerazioni fatte dal già menzionato teologo e giurista francescano Lucio Ferraris nella sua
BIBLIOTHECA CANONICA, JURIDICA... specificatamente alla voce ECCLESIA la cui ampia trattazione è così ripartita:
1 PROLOGO SOTTO TITOLO DELLA VOCE ECCLESIA
e quattro articoli sviluppanti tematiche diverse: per la precisione
ARTICOLO I / Ecclesia in sensu morali capta quoad ejus esse, & principales notas -
ARTICOLO II / Ecclesia quo ad ejus Visibilitatem, Indefectibilitatem, & Infallibilitatem -
ARTICOLO III / Ecclesia materialis quo ad ejus aedificationem, dotatione, & reparationem -
ARTICOLO IV / Ecclesia quo ad ejus Consecrationem, Execrationem, & Reconciliationem -
ARTICOLO V / Varia miscellanea Ecclesiam concernentia.
I PRIMI DUE ARTICOLI
La FAMIGLIA SFORZA fu un'importantissima famiglia che dalla fine del XIV secolo caratterizzò la storia italiana ed europea.
Il nome della casata deriva dal soprannome del suo fondatore, Muzio Attendolo (Cotignola, 1369 - vicino Pescara, 1424), chiamato Sforza (Forte) per la sua prestanza, un capitano di ventura della Romagna al servizio dei re Angioini di Napoli. Fu la dinastia di condottieri italiani che ebbe più fortuna.
Il ramo di Milano
Il primo Duca di Milano fu il figlio maggiore di Muzio Attendolo, Francesco (1401-1466), che acquisì il titolo ducale grazie al suo matrimonio con Bianca Maria Visconti, ultima erede del Duca Filippo Maria Visconti, morto nel 1447. Da questo matrimonio originò il ramo principale della famiglia. Il successore di Francesco I fu Galeazzo Maria (1444-1476), Duca dal 1466 alla morte, che sposò Bona di Savoia. Suo successore fu il figlio Gian Galeazzo (1469-1494), che, a causa della sua debolezza ed inettitudine, in pratica non governò mai direttamente, egli sposò Isabella d'Aragona. La reggenza del ducato fu da subito nelle mani di Ludovico Sforza detto il Moro, che ebbe il titolo di Duca solo a partire dalla morte del nipote; Ludovico il Moro sposò Beatrice d'Este. A riprova del prestigio goduto dal casato milanese in quel periodo vi è il matrimonio celebrato tra Bianca Maria, sorella di Gian Galeazzo e l’imperatore Massimiliano I d’Asburgo. Ludovico il Moro governò sul Ducato fino al 1500, anno in cui fu definitivamente sconfitto e preso prigioniero dai francesi. Dopo che i francesi furono cacciati dall'esercito di mercenari svizzeri dell'impero (1512), il ducato di Milano tornò per alcuni anni nelle mani dei figli di Ludovico il Moro, Massimiliano (1493-1530) e Francesco II (1495-1535), che sposò Cristina di Danimarca, nipote dell'imperatore Carlo V. Costoro, coinvolti nelle guerre tra Francia ed Impero, regnarono ad intervalli e sotto la protezione degli Asburgo, ai quali, dopo la morte di Francesco II senza eredi, passò il ducato.
Il ramo di Pesaro
Il secondogenito di Muzio Attendolo, Alessandro Sforza di Pesaro (1409-1473), fu il capostipite del ramo di Pesaro, della cui città tenne la Signoria dal 1445 al 1500. Giovanni Sforza fu il primo marito di Lucrezia Borgia e venne spodestato del suo titolo dall'ex-cognato Cesare Borgia.
Il ramo di Santa Fiora degli Sforza
Il fondatore del ramo di Santa Fiora fu il terzogenito di Muzio Attendolo, Bosio (1411-1476) Questo ramo ebbe il suo periodo di massimo splendore nel '500, grazie all’accortezza diplomatica ed alle alleanze intessute dal primo conte, Guido, il quale, non solo era spostato con una parente di Paolo III Farnese, ma riuscì a far sposare due dei suoi discendenti con la figlia e la nipote del medesimo pontefice. Grazie a queste strategie, i membri della sua famiglia poterono avere brillanti carriere ecclesiastiche e militari. Nel ‘600, però, vuoi per la dismissione e la vendita di molte proprietà, vuoi per le politiche del Granduca di Toscana, il potere degli Sforza cominciò ad affievolirsi. Nel 1674 grazie al matrimonio tra Federico e Livia Cesarini, una ricca ereditiera romana, la famiglia cambiò nome trasformandosi in Sforza-Cesarini e trasferendosi a Roma.
Linea di Successione
Ramo di Milano
Muzio Attendolo Sforza (conte di Cotignola)
Francesco I Sforza (duca di Milano dal 1450 al 1466)
Galeazzo Maria Sforza (duca di Milano dal 1466 al 1476)
Gian Galeazzo Maria Sforza (duca di Milano dal 1476-94)
Ludovico il Moro (duca di Milano dal 1494 al 1499)
Ercole Massimiliano Sforza (duca di Milano dal 1512 al 1515)
Francesco II Sforza (duca di Milano dal 1521 al 1524)
Ramo di Pesaro
Muzio Attendolo Sforza (conte di Cotignola)
Alessandro Sforza (signore di Pesaro)
Costanzo I Sforza (signore di Pesaro)
Giovanni Sforza (signore di Pesaro)
Costanzo II Sforza (signore di Pesaro)
Ramo di Santa Fiora degli Sforza
Muzio Attendolo Sforza (conte di Cotignola)
Bosio I Sforza (conte di Cotignola, signore di Castell'Arquato)
Francesco Sforza di Cotignola (conte di Cotignola)
Sforzino Sforza di Castell'Arquato (signore di Castell'Arquato)
Guido Sforza di Santa Fiora (conte di Santa Fiora)
Giovanni Sforza di Santa Fiora (conte di Santa Fiora)
Federico I Sforza di Santa Fiora (conte di Santa Fiora)
Bosio II Sforza di Santa Fiora (conte di Santa Fiora)
Sforza di Castell'Arquato (marchese di Castell'Arquato)
Francesco Sforza di Varzi (conte di Cotignola, marchese di Varzi)
Mario I Sforza di Santa Fiora (conte di Santa Fiora)
Federico II Sforza di Santa Fiora (conte di Santa Fiora)
Alessandro Sforza di Segni (duca di Segni)
Mario II Sforza di Santa Fiora (duca di Onano, conte di Santa Fiora)
Ludovico Sforza di Onano (duca di Onano)
Paolo II Sforza dei Conti di Santa Fiora, Marchese di Proceno nato il 12 .6.1602 , morto il 12 .9.1669
Francesco Sforza di Santa Fiora (duca di Onano, conte di Santa Fiora)
Federico Sforza di Segni (duca di Segni) ramo Sforza-Cesarini
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Nel DIRITTO INTERMEDIO uno dei principi basilari è la salvaguardia della EMPTIO o ACQUISTO e della VENDITIO o VENDITA ai fini del buon funzionamento della MERCATURA.
Lucio Ferraris nella sua BIBLIOTHECA CANONICA... affronta, attraverso una grande disanima, la voce EMPTIO - VENDITIO distinguendone la trattazione in vari ARTICOLI
SUPER EXORDIUM CISTERCIENSIS COENOBII
3 Nos cistercienses, primi huius ecclesiae fundatores, successoribus nostris stilo praesenti notificamus: quam canonice, quanta auctoritate, a quibus etiam personis, quibus temporibus, coenobium et tenor vitae illorum exordium sumpserit; 4 ut huius rei propalata sincera veritate, tenacius et locum et observantiam sanctae regulae in eo a nobis per Dei gratiam utcumque inchoatam ament, 5 pro nobisque, qui pondus diei et aestus indefesse sustinuimus, orent, 6 in arta et angusta via quam regula demonstrat, usque ad exhalationem spiritus desudent, 7 quatinus deposita carnis sarcina, in requie sempiterna feliciter pausent.
Incipiunt capitula
1 Exordium cisterciensis coenobii
2 Epistola Hugonis legati.
3 De egressu cisterciensium monachorum de Molismo, et de adventu eorum ad Cistercium,
et de monasterio quod inceperunt.
4 Quomodo locus ille in abbatiam surrexerit.
5 Quod Molismenses aures domini Papae pro redditu Roberti abbatis inquietaverint.
6 Epistola domni Papae pro reditu abbatis.
7 Decretura legati de toto negocio molismensium atque cisterciensium.
8 Commendatio abbatis Roberti.
9 De electione Alberici primi abbatis cisterciensis ecclesiae.
10 De privilegio romano.
11 Epistola Iohannis et Benedicti cardinalium.
12 Epistola Hugonis lugdunensis.
13 Epistola episcopi cabilonensis.
14 Privilegium romanum.
15 Instituta monachorum cisterciensium de Molismo venientium.
16 De tristitia eorum.
17 De morte primi abbatis et promotione secundi, et de institutis atque laetitia eorum.
18 De abbatiis.
I
Exordium cisterciensis coenobii
2 ANNO ab incarnatione domini millesimo nonagesimo octavo, beatae memoriae Robertus molismensis ecclesiae in episcopatu lingonensi fundatae primus abbas, et quidam eiusdem coenobii fratres, ad venerabilem Hugonem tunc apostolicae sedis legatum ac lugdunensis ecclesiae archiepiscopum venerunt, vitam suam sub custodia sanctae regulae patris Benedicti se ordinaturos pollicentes, 3 et idcirco ad hoc liberius exequendum, ut eis et sui iuvaminis apostolica auctoritatea robur porrigeret, constanter flagitantes.
4 Quorum votis legatus ille laetanter favens, tali epistola exordii eorum fundamentum iecit.
II
Epistola Hugonis legati
2 HUGO, lugdunensis archiepiscopus et sedis apostolicae legatus, Roberto molismensi abbati et fratribus cum eo secundum regulam sancti Benedicti Deo servire cupientibus.
3 NOTUM sit omnibus de sanctae matris ecclesiae profectu gaudentibus, vos et quosdam filios vestros molismensis coenobii fratres, Lugduni in nostra praesentia astitisse, ac regulae beatissimi Benedicti, quam illuc hucusque tepide ac negligenter in eodem monasterio tenueratis, artius deinceps atque perfectius inhaerere velle professos fuisse. 4 Quod quia in loco praedicto, pluribus impedientibus causis, constat adimpleri non posse, nos utriusque partis saluti, videlicet inde recedentium atque illic remanentium, providentes, in locum alium, quem vobis divina largitas designaverit, vos declinare, ibique salubrius atque quietius domino famulari, utile diximus fore. 5 Vobis ergo tunc praesentibus - Roberto abbati, fratribus quoque Alberico, Odoni, Iohanni, Stephano, Letaldo et Petro - sed et omnibus quos regulariter et communi consilio vobis sociare decreveritis, hoc sanctum. propositum servare et tunc consuluimus.
6 ET ut in hoc perseveretis praecipimus, et auctoritate apostolica per sigilii nostri impressionem in perpetuum confirmamus.
III
De egressu cisterciensium monachorum de Molismo,
et de adventu eorum ad Cistercium,
et de monasterio quod inceperunt
2 POST haec, tali ac tanta antedictus abbas et sui auctoritate freti, Molismum redierunt, et de illo religioso fratrum collegio socios votum in regula habentes elegerunt, ita ut inter eos qui legato Lugduni fuerant locuti, et illos qui de coenobio vocati, viginti et unus monachi essent; talique stipati comitatu, ad heremum, quae Cistercium dicebatur, alacriter tetenderunt. 3 Qui locus in episcopatu Cabilonensi situs, et pro nemoris spinarumque tunc temporis opacitate accessui hominum insolitus, a solis feris inhabitabatur. 4 Ad quem viri Dei venientes, locumque illum religioni quara animo iamiamque conceperant, et propter quam illuc advenerant habiliorem, quanto saecularibus despicabiliorem et inaccessibilem intelligentes, 5 nemoris et spinarum densitate praecisa ac remota, monasterium ibidem voluntate cabilonensis episcopi, et consensu illius cuius locus erat, construere coeperunt. 6 Nam viri isti apud Molismum positi saepius inter se, Dei gratia aspirati, de transgressione regulae beati Benedicti patris monachorum loquebantur, conquerebantur, contristabantur, videntes se caeterosque monachos hanc regulam sollempni professione servaturos promississe, eamque minime custodisse, et ob hoc periurii crimen scienter incurrisse ; et propter hoc, apostolicae sedis legati auctoritate, ubi praelibavimus, ad hanc solitudinem, ut professionem suam observantia sanctae regulae adimplerent, veniebant. 7 Tunc domnus Odo, dux Burgundiae, sancto fervore eorum delectatus sanctaeque romanae ecclesiae praescripti legati litteris rogatus, monasterium. ligneum quod inceperunt de suis totum consummavit, illosque inibi in omnibus necessariis diu procuravit, et terris et pecoribus abunde sublevavit.
IIII
Quomodo locus ille in abbatiam surrexit
2 EODEM tempore abbas qui advenerat ab episcopo illius dioecesis virgam pastoralem cum cura monachorum, iussu praedicti legati, suscepit, fratresque qui secum advenerant in eodem loco stabilitatem regulariter firmare fecit; sicque ecclesia illa in abbatiam canonice apostolicaque auctoritate crescendo surrexit.
V
Quod Molismenses aures domini Papae
pro reditu Roberti abbatis inquietaverint
2 IGITUR haud multo elapso temporis spacio, Molismenses monachi voluntate domni Gaufredi abbatis sui, qui Roberto successerat, domnum Urbanum Papam Romae adeuntes, postulare coeperunt, ut saepedictus Robertus in locum pristinum restitueretur. 3 Quorum importunitate motus Papa mandavit legato suo, venerabili scilicet Hugoni, ut si fieri posset , idem abbas reverteretur, et monachi heremum diligentes in pace consisterent.
VI
Epistola domni Papae pro reditu abbatis
2 URBANUS, episcopus, servus servorum Dei, venerabili fratri et coepiscopo Hugoni apostolicae sedis vicario: salutem et apostolicam benedictionem.
3 MOLISMENSIUM fratrum magnum in concilio clamorem. accepimus, abbatis sui reditum vehementius postulantium. 4 Dicebant enim religionem. in suo loco eversam, seque pro abbatis illius absentia odio apud principes et caeteros vicinos haberi. 5 Coacti tandem a fratribus nostris, dilectioni tuae per praesentia scripta mandamus, significantes gratum nobis existere, ut si fieri posset, abbas ille ab heremo ad monasterium reducatur. 6 Quod si implere nequiveris, curae tibi sit, ut et qui heremum diligunt conquiescant, et qui in coenobio sunt regularibus disciplinis inserviant.
7 His apostolicis litteris legatus lectis, viros authenticos et religiosos convocavit, et de praesenti negotio quae subter sunt exarata diffinivit.
VII
Decretum legati de toto negotio
Molismensium atque Cisterciensium
2 HUGO, lugdunensis ecclesiae servus, carissimo fratri Roberto lingonensium episcopo: salutem.
3 QUID de negotio molismensis ecclesiae in colloquio apud Portum Ansillae nuper habito diffinierimus, fraternitati vestrae notificare necessarium duximus. 4 Venerunt ante nos illuc cum litteris vestris molismenses monachi, loci sui desolationem. atque destructionem, quam per remotionem Roberti abbatis incurrerant ostendentes, ipsumque sibi reddi in patrem magnopere postulantes. 5 Nullo modo enim aliter sperabant pacemet quietem molismensi ecclesiae posse restitui, vel monastici ordinis vigorem in pristinum statum. Illic revocari. 6 Affuit etiam ibi in praesentia nostra frater Gaufredus, quem eidem ecclesiae in abbatem ordinavistis, dicens se libenter ipsi Roberto velut patri suo locum daturum, si nobis placeret ut eum molismensi ecclesiae remitteremus. 7 Audita igitur vestra et ipsorum. molismensium petitione, relectis etiam domni Papae litteris super hoc negotio nobis directis, totum dispositioni et arbitrio nostro committentis, tandem multorum virorum religiosorum tam episcoporum quam aliorum qui nobiscum aderant consilio, precibus vestris et eorum acquiescentes, molismensi ecclesiae ipsum restituere decrevimus: 8 ita videlicet, ut priusquam redeat, Cabilonem veniens, in manu fratris nostri cabilonensis episcopi, cui secundum consuetudinem caeterorum abbatum professionem fecit, virgam et curam abbatiae reddat, atque monachos novi monasterii, qui ei sicut abbati suo professionem fecerunt et obedientiam promiserunt, ab ipsa professione et obedientia liberos et absolutos dimittat; ac sic ab ipso episcopo professionis quam ei et cabilonensi ecclesiae fecit, absolutionem accipiat. 9 Dedimus etiam licentiam cum eo redeundi Molismum omnibus illis de fratribus Novi Monasterii qui eum secuti fuerint quando a Novo Monasterio recesserit, tali conditione: ut de caetero neutri neutros sollicitare vel recipere praesumant, nisi secundum quod beatus Benedictus monachos noti monasterii praecipit recipiendos. 10 Postquam haec supradicta fecerit, remittimus eum dilectioni vestrae, ut molismensi ecclesiae illum. in abbatem restituatis, ita tamen, ut si deinceps eamdem ecclesiam solita levitate deseruerit, nullus ei substituatur, vivente praefato Gaufredo abbate, absque nostro et vestro eiusdemque Gaufredi assensu. Quae omnia apostolica auctoritate rata esse praecipimus. 11 De capella etiam praedicti abbatis Roberti, et de caeteris rebus quas a molismensi ecclesia recedens secum. tulit et cum eis cabilonensi episcopo atque Novo Monasterio se reddidit, id statuimus: ut omnia fratribus Novi Monasterii salva permaneant, praeter breviarium quoddam, quod usque ad festivitatem sancti Iohannis Baptistae retinebunt ut transcribant, assensu molismensium.
12 Huic autem diffinitioni interfuerunt episcopi Norigaudus eduensis, Walterius cabilonensis, Beraudus maticensis, Pontius belicensis; et abbates Petrus trenorciensis, larento divionensis, Gaucerannus athanascensis, Petrus quoque camerarius, multi alii viri honesti et boni testimonii.
13 Haec omnia abbas ille laudavit et fecit, absolvendo cistercienses ab obedientia quam ei in illo vel in molismensi loco promiserant, et domnus Walterius cabilonensis episcopus abbatera a cura illius ecclesiae liberum dimisit; sicque reversus est, et quidam monachi cum eo, qui heremum non diligebant. 14 Hac ergo ratione apostolicaque dispensatione, istae duae abbatiae in pace et libertate summa remanserunt. Rediens vero abbas, secum pro scuto defensionis has litteras episcopo suo detulit:
VIII
Commendatio abbatis Roberti
2 Dilectissimo fratri et coepiscopo Roberto lingonensi episcopo, Galterius cabilonensis ecclesiae servus: salutem.
3 NOTUM sit vobis fratrem Robertum, cui abbatiam illam in nostro episcopatu sitam, quae Novum Monasterium dicitur, commiseramus, a professione quam. cabilonensi ecclesiae fecit, ab obedientia quam nobis promisit, secundum domni archiepiscopi Hugonis diffinitionem. a nobis esse absolutum. 4 Ipse autem monachos illos qui in praefato Novo Monasterio remanere decreverunt, ab obedientia quam sibi promiserant et professione absolvit, et liberos dimisit. 5 Illum igitur amodo suscipere et honorifice tractare ne vereamini. Valete.
IX
De electione Alberici
primi abbatis cisterciensis Ecclesiae
2 VIDUATA igitur suo pastore, cisterciensis ecclesia convenit, ac regulari electione quemdam fratrem, Albericum nomine, in abbatem sibi promovit, virum scilicet litteratum, in divinis et humanis satis gnarum, amatorem. regulae et fratrum, 3 quique prioris officium et in molismensi et in illa diutius gerebat ecclesia, multumque diu nitendo laboraverat, ut ad illum de Molismo transmigrarent fratres locum, et pro hoc negotio multa opprobria, carcerem verbera perpessus fuerat.
X
De privilegio romano
2 PRAEFATUS Albericus, cura pastorali, licet multum. renitens, suscepta cogitare coepit veluti vir mirabilis providentiae, quae tribulationum procellae sibi creditam domum aliquando concutientes vexare possent, et praecavens in futurum, cum consilio fratrum, transmisit monachos duos, Iohannem et Ilbodum Romam, domnum. Papam Paschalem. per eos exorans, ut ecclesia sua sub apostolicae licae protectionis alis quieta et tuta ab omnium ecclesiasticarum seculariumve pressura personarum perpetuo sederet. 3 Qui fratres, praedicti Hugonis archiepiscopi, Iohannisque et Benedicti romanae ecclesiae cardinalium, Galterii quoque cabilonensis episcopi, litteris sigillatis freti, Romam prospere ierunt redierunt, antequam ipse Papa Paschalis in captione positus imperatoris peccaret, reportantes eiusdem apostolicum privilegium, iuxta vota abbatis sociorum que eius per omnia exaratum. 4 Has epistolas, privilegium etiam romanu: congruum duximus in hoc opusculo relinquere, ut posteri nostri intelligant quam magno consilio et auctoritate ecclesia eorum sit fundata.
XI
Epistola Iohannis et Benedicti cardinalium
2 Domno patri Papae Paschali, et ubique laude eximia praedicando, Iohannes et Benedictus: seipsos per omnia.
3 QUIA vestri moderaminis est omnibus ecclesiis providere et iustis poscentium votis manum porrigere, vestraeque iustitiae adiumento religio christiana fulta debet incrementum sumere, vestram sanctitatem. obnixius deprecamur, quatenus harum litterarum baiulis nostro consilio a quibusdam religiosis fratribus paternitati vestrae missis, aures pietatis vestrae flectere dignemini. 4 Petunt enim ut praeceptum quod de quiete et suae religionis stabilitate a praedecessore vestro domno nostro beatae memoriae Papa Urbano acceperunt, et quod secundum eiusdem praecepti tenorem archiepiscopus lugdunensis tunc legatus, et alii coepiscopi et abbates, inter eos et molismensem. abbatiam, a qua religionis causa discesserant, diffinierunt, vestrae auctoritatis privilegio in perpetuum maneat inconvulsum. 5 Ipsi enim vidimus, eorumque verae religioni testimonium perhibemus.
XII
Epistola Hugonis lugdunensis
2 Reverendissimo patri et domno suo Paschali Papae, Hugo lugdunensis ecclesiae servus: per omnia seipsum.
3 FRATRES isti praesentium geruli, ad paternitatis vestrae celsitudinem tendentes, per nos transitum fecerunt. 4 Et quia infra provinciam nostram videlicet in episcopatu. cabilonensi mansionem habent, humilitatis nostrae litteris apud celsitudinem vestram se commendari petierunt.
5 Sciatis autem eos esse de quodam loco, qui Novum Monasterium vocatur, ad quem de molismensi ecclesia cum abbate suo exeuntes, propter artiorem et secretiorem vitam secundum regulam beati Benedicti, quam proposuerant tenendam, habitandum venerunt, depositis quorumdam monasteriorum. consuctudinibus, imbecillitatem. suam ad tantum pondus sustinendum imparem iudicantes. 6 Unde molismensis ecclesiae fratres et quidam alii adiacentes monachi eos infestare et inquietare non desinunt, aestimantes se viliores ac despectiores haberi apud saeculum, si isti quasi singulares et novi monachi inter eos habitare videantur. 7 Quapropter desiderantissimam nobis paternitatem vestram humiliter et cum fiducia deprecamur, ut fratres istos totam spem suam in vobis post Dominum ponentes et idcirco ad apostolatus vestri auctoritatem confugientes benigne pro more vestro respiciatis et eos et locum ipsorum. ab hac infestatione et inquietudine liberando, auctoritatis vestrae privilegio muniatis, 8 utpote pauperes Christi nullam contra suos aemulos divitiis vel potentia defensionem. parantes, sed in sola Dei et vestra clementia spem habentes.
XIII
Epistola episcopi cabilonensis
2 Venerabili patri Papae Paschali, Galterius cabilonensis episcopus [così si legge in questo SUPER EXORDIUM CISTERCIENSIS COENOBII] : salutem et debitam subiectionem.
3 SICUT sanctitas vestra, ut fideles in vera religione proficiant, ardenter desiderat, sic eisdem vestrae protectionis umbram, vestrae consolationis fomentum deesse non expedit. 4 Suppliciter ergo petimus, quatenus quod factum est de fratribus illis, qui artioris vitae desiderio a molismensi ecclesia sanctorum virorum consilio recesserunt, quos in nostro episcopatu divina pietas collocavit, a quibus transmissi praesentium litterarum baiuli vobis praesentes adsunt, secundum praedecessoris vestri praeceptum, et lugdunensis archiepiscopi apostolicae sedis tunc legati, et coepiscoporum et abbatum, diffinitionem et scriptum, cui rei nos praesentes et eius auctores cum aliis extitimus, 5 vos approbare, et ut locus ille abbatia libera in perpetuum permaneat, salva tamen nostrae personae successorumque nostrorum canonica reverentia, auctoritatis vestrae privilegio corroborare dignemini. Sed et abbas quem in eodem loco ordinavimus, et caeteri fratres totis viribus hanc confirmationem in suae quietis tutelam a vestra flagitant pietate.
XIIII
Privilegium romanum
2 Paschalis, episcopus, servus servorum Dei, venerabili Alberico Novi Monasterii abbati, quod in cabilonensi parrochia situm est, eiusque successoribus regulariter substituendis: in perpetuum.
3 DESIDERIUM quod ad religiosum propositum et animarum salutem pertinere monstratur, auctore Deo, sine aliqua est dilatione complendum. 4 Unde nos, o filii in Domino dilectissimi, citra difficultatem. omnem vestrarum precum petitionem admittimus, quia religioni vestrae paterno congratulamur affectu. 5 Locum igitur illum quem inhabitandum pro quiete monastica elegistis, ab omnium mortalium molestiis tutum ac liberum fore sancimus, et abbatiam illic perpetuo haberi, ac sub apostolicae sedis tutela specialiter protegi, salva cabilonensis ecclesiae canonica reverentia. 6 Praesentis itaque decreti pagina interdicimus, ne cuiquam omnino personae liceat statum vestrae conversationis immutare, neque vestri, quod Novum dicitur, coenobii monachos sine regulari commendatione suscipere, neque congregationem vestram astutiis quibuslibet aut violentiis perturbare. 7 Eam sane controversiae decisionem, quam inter vos et molismensis claustri monachos, frater noster lugdunensis archiepiscopus tunc apostolicae sedis vicarius, cum provinciae suae episcopis aliisque religiosis viris ex praecepto praedecessoris nostri apostolicae memoriae Urbani secundi perpetravit, nos tanquam rationabilem ac laudabilem confirmamus. 8 Vos igitur, filii in Christo dilectissimi ac desiderantissimi, meminisse debetis, quia pars vestri saeculares latitudines, pars ipsas etiam monasterii laxioris minus austeras angustias reliquistis. 9 Ut ergo hac semper gratia digniores censeamini, Dei semper timorem et amorem in cordibus vestris habere satagite, ut quanto a saecularibus tumultibus et deliciis liberiores estis, tanto amplius placere Deo totis mentis et animae virtutibus anheletis.
10 Sane si quis in crastinum archiepiscopus aut episcopus, imperator aut rex, princeps aut dux, comes aut vicecomes, iudex aut ecclesiastica quaelibet saecularisve persona, hanc nostrae constitutionis paginam sciens, contra eam venire temptaverit, secundo tertiove commonita, si non satisfactione congrua emendaverit, potestatis honorisque sui dignitate careat, reumque se divino iudicio existere de perpetrata iniquitate cognoscat, et a sacratissimo corpore et sanguine Dei ac Domini nostri Ihesu Christi aliena fiat, atque in extremo examine districtae ultioni subiaceat. 11 Cunctis autem eidem loco iusta servantibus, sit pax Domini nostri lhesu Christi, quatenus et hic fructum bonae actionis percipiant, et apud districtum iudicem praemia aeternae pacis inveniant.
XV
Instituta monachorum cisterciensium
de Molismo venientium
2 DEHINC abbas ille et fratres eius, non immemores sponsionis suae, regulam beati Benedicti in loco illo ordinare et unanimiter statuerunt tenere, reicientes a se quicquid regulae refragabatur: froccos videlicet et pellicias ac staminia, caputia quoque et femoralia, pectina et coopertoria, stramina lectorum ac diversa ciborum in refectorio fercula, sagimen etiam et caetera omnia quae puritati regulae adversabantur. 3 Sicque rectitudinem regulae supra cunctum vitae suae tenorem ducentes, tam in ecclesiasticis quam in caeteris observationibus regulae vestigiis sunt adaequati seu conformati. 4 Exuti ergo veterem hominem, novum se induisse gaudebant. 5 Et quia nec in regula, nec in vita sancti Benedicti eumdem doctorem legebant possedisse ecclesias vel altaria, seu oblationes aut sepulturas vel decimas aliorum hominum, seu furnos vel molendina, aut villas vel rusticos, nec etiam feminas monasterium eius intrasse, nec mortuos ibidem excepta sorore sua sepelisse, ideo haec omnia abdicaverunt, dicentes:
6 Ubi beatus pater Benedictus docet ut monachus a saecularibus actibus se faciat alienum, ibi liquido testatur haec non debere versari in actibus vel cordibus monachorum, qui nominis sui ethimologiam haec fugiendo sectari debent. 7 Decimas quoque aiebant a sanctis patribus, qui organa erant Spiritus Sancti, quorumque statuta transgredi sacrilegium est committere, in quattuor partitiones distributas, unam scilicet episcopo, alteram presbytero, tertiam hospitibus ad illam ecclesiam venientibus, seu viduis et orphanis sive pauperibus aliunde victum non habentibus, quartam restaurationi ecclesiae. 8 Et quia in hoc computo personam monachi, qui terras suas possidet, unde et per se et per pecora sua laborando vivat, non reperiebant, idcirco haec veluti aliorum ius iniuste sibi usurpare detrectabant.
9 Ecce huius saeculi divitiis spretis, coeperunt novi milites Christi cum paupere Christo pauperes, inter se tractare quo ingenio quove artificio seu quo exercitio, in hac vita se hospitesque divites et pauperes supervenientes, quos ut Christum suscipere praecipit regula sustentarent. 10 Tunc diffinierunt se conversos laicos barbatos licentia episcopi sui suscepturos, eosque in vita et morte, excepto monachatu, ut semetipsos tractaturos, et homines etiam mercenarios; quia sine adminiculo istorum non intelligebant se plenarie die sive nocte praecepta regulae posse servare; 11 suscepturos quoque terras ab habitatione hominum remotas, et vineas et prata et silvas, aquasque ad faciendos molendinos, ad proprios tamen usus et ad piscationem, et equos pecoraque diversa necessitati hominum utilia. 12 Et cum alicubi curtes ad agriculturas exercendas instituissent, decreverunt ut praedicti conversi domos illas regerent, non monachi, quia habitatio monachorum secundum regulam debet esse in claustro ipsorum. 13 Quia etiam beatum Benedictum non in civitatibus, nec in castellis aut in villis, sed in locis a frequentia populi semotis coenobia construxisse sancti viri illi sciebant, idem se aemulari promittebant. 14 Et sicut ille monasteria constructa per duodenos monachos adiuncto patre disponebat, sic se acturos confirmabant.
XVI
De tristitia illorum
2 ILLUD virum Dei praedictum abbatem et suos aliquantulum moestitiae subdidit, quod raro quis illis diebus illuc ad eos imitandos venerit. 3 Viri enim, sancti thesaurum virtutum coelitus inventum, successoribus ad multorum salutem a profuturum committere gestiebant; 4 sed fere omnes videntes et audientes vitae eorum asperitatem insolitam et quasi inauditam, plus corde et corpore elongare quam approximare se eis festinabant, et de perseverantia eorum. titubare non cessabant; 5 sed Dei misericordia, qui hanc militiam spiritualem suis inspiravit, ad multorum profectum egregie eam amplificare et consummare non cessavit, sicuti sequentia declarabunt
.
XVII
De morte primi abbatis et de promotione secundi,
et de institutis et laetitia eorum
2 VIR autem Domini Albericus, in schola Christi per novem. annos et dimidium regulari disciplina feliciter exercitatus, migravit ad Dominum fide et virtutibus gloriosus, et ideo in vita aeterna a Deo merito beandus. 3 Huic successit quidam frater Stephanus nomine, anglicus natione, qui et ipse cum aliis de Molismo illuc advenerat, quique amator regulae et loci erat. 4 Huius temporibus interdixerunt fratres una cura eodem abbate, ne dux illius terme seu alius aliquis princeps curiam suam aliquo tempore in illa ecclesia tenerent, sicut antea in sollemnitatibus agere solebant. 5 Deinde ne quid in domo Dei, in qua die ac nocte Deo servire devotecupiebant, remaneret quod superbiam aut superfluitatem redoleret, aut paupertatem custodem virtutum quam sponte elegerant, aliquando corrumperet, 6 confirmaverunt ne retinerent cruces aureas seu argenteas nisi tantummodo ligneas coloribus depictas, neque candelabra nisi unum ferreum, neque thuribula nisi cupraea vel ferrea, neque casulas nisi de fustaneo vel lino, sine pallio auroque et argento, neque albas vel amictus nisi de lino, similiter sine pallio, auro et argento. 7 Pallia vero omnia et cappas atque dalmaticas tunicasque ex toto dimiserunt; sed calices argenteos non aureos, sed si fieri poterit deauratos, et fistulam argenteam, et si possibile fuerit deauratam, stolas quoque ac manipulos de pallio tantum, sine auro et argento retinuerunt. 8 Pallae autem altarium ut de lino fierent et sine pictura plane praecipiebant, et ut ampullae vinariae sine auro et argento essent.
9 Illis diebus in terris et vineis ac pratis curtibusque eadem. ecclesia crevit, nec religione decrevit. 10 Ergo istis temporibus visitavit locum illum Deus, viscera misericordiae suae effundens super se petentes, ad se clamantes, coram se lacrimantes, die ac nocte longa profundaque suspiria trahentes, et fere ostio desperationis appropinquantes, pro eo quod successoribus pene carerent. 11 Nam tot clericos litteratos et nobiles, laicos etiam in saeculo potentes et aeque nobiles, uno tempore ad illam Dei gratia transmisit ecclesiam, ut triginta insimul in cellam novitiorum alacriter intrarent, ac bene contra propria vitia et incitamenta malignorum spirituum fortiter decertando, cursum suum consummarent. 12 Quorum exemploc senes et iuvenes, diversaeque aetatis homines in diversis mundi partibus animati, videntes scilicet in istis possibile fore, quod antea impossibile in custodienda regula formidabant, postead illuc curreree, superba colla iugo Christi suavi subdere, dura et aspera regulae praecepta ardenter amare, ecclesiamque illam. mirabiliter laetificare et corroborare coeperunt.
XVIII
De abbatiis
2 ABHINC abbatias in diversis episcopatibus ordinaverunt, quae tam larga potentique benedictione Domini in dies crescebant, ut infra octo annos, inter illos qui de cisterciensi coenobio specialiter fuerant egressi, et caeteros qui ex eisdem fuerant exorti, duodecim coenobia constructa fuerint inventa.
L'elemento tossicologico nella stregoneria e nel demonismo medioevale
di
S. Marszalkowicz in AA.VV., Lavori di storia della medicina compilati nell'Anno Accademico 1936-37-XV, Arti Grafiche Bodonia, Roma, pp. 80-93, 1938
Un punto di fondamentale importanza nella patogenesi del demonismo medioevale, è costituito dall'elemento tossicologico, rappresentato da filtri, pomate, fumigazioni, polveri, confezionate su base di tossici vari. Pur essendo universalmente nota l'esistenza di questo ricettario nel laboratorio della strega, non ci è sembrato che ad esso fosse data la importanza che merita; importanza fondamentale e staremo quasi per dire conditio sine qua non alla effettuazione della demonologia e del satanismo medioevale, tanto che si può affermare che esso altro non è che l'espressione di un delirio tossico in individui psichicamente tarati, svolgentesi in una particolare atmosfera che indirizzava il detto delirio verso determinate espressioni.
Al delirio tossico noi infatti dobbiamo attribuire il fattore fondamentale del satanismo, e cioè il fattore sensistico, pur essendo allucinatorio.
Non per questo però esso fu meno potente ad agire sulla mentalità dei soggetti, i quali, non rendendosi conto del lato patologico e dell'azione farmacologica delle droghe usate, giuravano d'aver realmente visto Satana, di averlo adorato e di essere stati con lui al sabba. La sicurezza di queste persone, che suggellavano col rogo e con la tortura la verità delle loro asserzioni, agiva potentemente sulla suggestionabilità della massa, ed era confermata dalla potente fede; e così, quale catena ininterrotta, e quale circolo vizioso, il demonismo si protrasse fino ad epoche relativamente recenti, anche se menti illuminate e precorritrici fecero intravedere, da tempo, il lato patologico del fenomeno.
Le droghe usate dalle streghe nelle loro funzioni sataniche sono conosciute, se non tutte, almeno in gran parte.
Sappiamo così che esse agiscono in virtù di alcaloidi contenuti nelle piante prescelte, alcaloidi che hanno potere di provocare stati allucinatori a carattere, quasi sempre, terroristico.
Tali, per esempio, l'oppio, il giusquiamo, il solanum nigrum, la mandragora, la belladonna ecc. E se non tutti gli alcaloidi contenuti in queste piante sono capaci di provocare direttamente l'allucinazione, sono sempre dotati di un potere sinergico, che aumenta l'azione dell'alcaloide principale.
Si potrà obiettare facilmente che non esiste una droga capace di provocare una particolare allucinazione, sempre improntata allo stesso soggetto che, nel caso nostro, è Satana e l'ambiente satanico.
A questa obiezione possiamo rispondere che è fatto risaputo, che il soggetto circondandosi di un determinato ambiente ha la possibilità di indirizzare a suo piacimento il corso dell'allucinazione che interverrà dopo l'assunzione della droga.
Questa avvertenza è notissima ai fumatori d'oppio dell'estremo oriente, ai bevitori, mangiatori e fumatori di haschisch, i quali si circondano di una atmosfera favorevole al corso che essi vogliono dare all'allucinazione.
Uno dei più geniali consumatori di haschisch, il Baudelaire che ha scritto una delle più smaglianti pagine di tossicologia voluttuaria col suo libro intitolato I paradisi artificiali ci assicura che nel celebre albergo Pimodan, dove si adunavano i mangiatori di haschisch, la formazione dell'ambiente era una delle condizioni essenziali per il futuro svolgersi dell'allucinazione.
Quale migliore ambiente, per l'attuarsi di un'allucinazione satanica, di quello che circondava le streghe? Ambiente psichico, ambiente materiale. Sia che si trattasse del misterioso laboratorio, dove fumavano i ceri di grasso umano (veri o creduti, ciò era lo stesso per il potere di suggestione) dove il teschio ghignava nella penombra rossastra, dove il gufo mandava il suo lamento, dove la pergamena fatta con pelle di bambino (vera o presunta) attendeva la firma diabolica, dove il circolo magico tracciato in terra, doveva difendere lo stregone dall'impeto satanico; sia che si trattasse della stanza usuale, dove la strega, nuda, si ungeva con l'unguento tossico con tutta l'aspettativa tesa verso il prossimo sabba, di cui già pregustava l'orrida attrattiva, creandosi un ambiente psichico, interno, perfettamente satanistico; sia nell'un caso che nell'altro, l'allucinazione non poteva essere diversa da quel carattere in cui la strega, in cui la società tutta era immersa.
L'ambiente era universale. Satana era da per tutto e tutto insidiava; era nelle cattedrali misteriose, era nei chiostri silenziosi, era nelle notti lunari e in quelle di procella, era nel gatto che sprizzava scintille, era nel cane che ululava alla luna, poteva essere nel cibo quotidiano di cui si cibava la monaca, era infine nella mente di tutti, ribadito dalle mille torture che asserivano la sua presenza, dalle mille fiamme dei mille roghi che avevano bruciato i suoi sacerdoti, dai racconti ingranditi dall'immaginazione o creati di sana pianta, o fedeli riproduttori dei deliri tossici. Nel demonismo credevano i dotti, credevano gl'ignoranti, credevano i giudici, credevano i carnefici; folgoravano i predicatori, maledivano gli ascetici scrittori e i teologi. La strega, figlia di strega, era nata in quell'ambiente che veniva concentrato e distillato nelle pareti domestiche. Essa sapeva di essere figlia del demonio, essa sapeva che doveva esser sua, in un mostruoso incesto, anima e corpo: essa sapeva che al principe delle tenebre era legata in vita ed oltre il rogo fiammeggiante simbolo terreno dell'inferno che doveva essere la tomba eterna della sua anima dannata.
Tale era l'ambiente: tragico, esasperante, tale da sconvolgere, con la certezza dell'allucinato, le menti più solide.
E tale, necessariamente doveva essere l'allucinazione prodotta dai tossici usati.
E quale azione avrà dovuto esplicare questo fattore allucinatorio sulla patogenesi del demonismo? Un'azione fondamentale: la stessa azione fondamentale che in qualsiasi forma delirante esercita l'elemento allucinazione.
Esso rappresentava, infatti, l'unico dato sensoriale, per falso che esso fosse: era l'unico mezzo col quale la strega veniva a contatto di sensi (così essa credeva fermamente) con la potenza infernale; l'unico mezzo, cioè, che dava una apparenza di assoluta sicurezza alla dottrina ed alla religione satanica.
Per tale ragione noi non esitiamo ad affermare che l'elemento tossicologico rappresenta nel demonismo medioevale, in tutte le sue numerose diramazioni della stregoneria, della magia nera ecc. un elemento basale, e tale da farci interpretare tutto il quadro morboso alla stregua di un delirio tossico, con allucinazioni, svolgentesi su di un terreno psichicamente tarato.
La stregoneria e la demonologia hanno il loro inizio nella preistoria. I popoli primitivi hanno i loro stregoni - sacerdoti che hanno il potere di curare malattie e di evitare i danni provocati da invisibili forze soprannaturali, o al contrario provocare questi mali invocando le stesse forze. I mezzi per agire sono formule magiche, incantesimi, preghiere, sacrifici e differenti droghe credute magiche. Gli stregoni per agire, dovevano essere in estasi prodotte con movimenti ritmici o più spesso con stupefacenti.
Specialmente le donne che per preparare il cibo dovevano raccogliere differenti piante sui campi e nei boschi o d'altra parte erano le naturali "infermiere" appresero le proprietà curatrici e velenose di molte piante. Se qualcuna aveva più larghe conoscenze, era rispettata dai vicini come strega o donna saggia. Data la interpretazione magica de l'ordine delle cose, anche queste piante erano ritenute magiche. A volte erano credute incarnazioni di divinità e si tributavano loro speciali riti. La strega insegnava questa scienza alla figlia che veniva consacrata fin dall'infanzia. Con lo sviluppo della cultura, le religioni divenivano più idealistiche e si concentravano già nei tempi, dove i sacerdoti esercitavano anche la pratica medica. Ma il pensiero magico sebbene affievolito non scomparve, né la gente poteva sempre recarsi nei tempi, onde le streghe conservarono la loro funzione. Conoscendo esse le azioni farmacologiche delle piante conobbero anche la loro azione velenosa: divennero, così, preparatrici di veleni. In questo stato esisteva la stregoneria negli ultimi secoli del mondo classico.
Non differentemente si comportarono i popoli nordici che invasero l'impero Romano. Essi, come tutti i popoli primitivi avevano le loro streghe-sacerdotesse e medichesse. Come tutti gli altri popoli avevano le loro maggiori feste nei tempi critici delle stagioni, cioè il 30 aprile giorno critico della primavera, il 24 giugno, (giorno di S. Giovanni Battista, giorno più lungo dell'anno) e più di rado il 21 dicembre, (giorno di S. Tommaso, giorno più corto). Queste feste a carattere propiziatorio per ottenere la fertilità, erano ricche di riferimenti simbolici, o materiali, alla generazione. Il phallus e il capro (bestia prolifica) erano particolarmente onorati, con culti spesso osceni fino alla congiunzione con la figura simboleggiante la divinità o anche coi capri, sue bestie sacre.
I popoli germanici trovarono tracce di riti analoghi nei popoli invasi: il culto per Dionisio, Bacco, Priapo, Sabasio (una divinità frigia). Queste tradizioni hanno avuto il loro influsso, sia sulla modalità dei riti, sia probabilmente sulla denominazione sabba (festa di Sabasio).
L'intervento del Cristianesimo tentò sradicare queste costumanze doppiamente condannabili, e dove non poté conseguire l'abolizione operò, almeno, la trasformazione.
Così le principali feste pagane, debitamente trasformate, furono adottate dal cristianesimo (p. e. la festa del 24 giugno è divenuta la festa di S. Giovanni) e presero sia la forma, che il contenuto puramente cristiano. Anche le divinità pagane trovarono il loro posto nella nuova religione trasformate in demoni e spiriti maligni.
Fu così che la strega sebbene cristiana, rimase a causa del mestiere legata alle sue divinità, che il Cristianesimo aveva trasformato in demoni. Di qui il culto infernale.
Come nei tempi pagani, essa ha dato talvolta alla luce figli concepiti nei rapporti incestuosi; essendo questo il privilegio dei grandi sacerdoti in alcune religioni primitive; questo sembrava dar loro proprietà magiche straordinarie, forse appunto per il carattere perverso e anormale dei rapporti.
Il sabba, la festa orgiastica pagana si è trasformata col passare dei secoli o nella "Messa nera" a o nel sabba delle streghe.
Le "messe nere" si celebravano con partecipazione di grandi folle. Il rito era costituito da una parte, dai vecchi riti pagani del fallismo e delle feste orgiastiche consacrate dalla strega; dall'altra dai riti cristiani fatti al contrario in onore del Satana, e consacrati abitualmente da un prete. Queste messe erano specialmente frequenti nella Francia Meridionale ed anche Centrale, dove le influenze delle Sette Orientali come i Manichei era risentita e specialmente dopo il ritorno dalle Crociate.
In altri Paesi dove la popolazione non veniva a partecipare alle feste, le streghe stesse si radunavano in luoghi appartati e non visitati, come cimiteri, rovine, che sembravano anche essere i posti preferiti dagli spiriti; od anche nell'abitazione d'una strega.
Fin dal tempo delle vere feste pagane, dopo l'uso dei filtri inebrianti, le streghe avevano illusioni e allucinazioni di divinità e spiriti. L'uso di questi filtri magici si conservò, dando alle streghe la illusione di essere in volo, di incontrare gli spiriti e di avere con loro rapporti.
Col tempo la tecnica si sviluppò. Alla fine del secolo XIV impararono a confezionare unguenti, stupefacenti, ed il "mezzo di comunicazione" divenne il manico della scopa. Le streghe si spogliavano, inforcavano il manico della scopa, bevevano "bevande diaboliche" o facevano fumigazioni con erbe magiche. Dal secolo XIV invece, per lo più, si ungevano con unguenti speciali tutto il corpo, sotto le ascelle, gli inguini, introducevano l'unguento anche nell'orifizio anale e vaginale, cercando di introdurlo il più profondamente che era possibile. Dopo qualche tempo sembrava loro di volare per il camino verso il grande convegno che, secondo il paese, era Benevento, Toledo, Brocken ecc.
La Chiesa cristiana, ammettendo la forma degli spiriti maligni che considerava nemici di Dio, combattè con ogni arma la stregoneria, non più considerata come residuo del paganesimo, ma come empia lotta contro Dio, con l'alleanza contro i suoi nemici. Le streghe, erano inoltre imputate di danneggiare i fedeli, con l'aiuto di Satana, uccidendo con lo sguardo i feti nelle incinte, causando malattie ecc. E ancor peggio, con le efficaci cure "facevano propaganda" per il diavolo e allontanavano i fedeli da Dio. Contro la stregoneria, come contro l'eresia, v'era in questi tempi una arma-il rogo.
Ma il rigore dei tribunali, gli strazi delle torture non raggiunsero il desiderato effetto di far cessare le epidemie di demonismo.
Ogni processo di stregoneria suscitava una grandissima impressione. Le particolarità che le streghe raccontavano sui loro sabba, subito si diffondevano in tutta la località. Molte donne per curiosità provavano questi unguenti e filtri diabolici e.... davvero volavano al sabba e sembrava loro di essere streghe. Tutto ciò, unito ad una costituzione isterica, ad una diffusione di suggestionabilità data da l'indole dei tempi, dall'ignoranza, dall'azione intimidatrice della Chiesa, dei Tribunali fece sì che la stregoneria e il demonismo crescessero a dismisura.
Sintomo sicuro che la sospettata fosse strega, era un'area anestetica, che il diavolo imprimeva sul corpo della donna dopo il patto. In epoca di generale isterismo non era difficile trovare queste "stigmate isteriche" e non ci si deve meravigliare, che piccoli paesi come Trier abbiano mandato ciascuno in un anno 6-7000 "streghe" al rogo. Le condanne raggiunsero un livello così alto, che i governi erano costretti ad intervenire per interrompere questi processi. Già da tempo si sentivano voci, specialmente di medici, che queste streghe fossero semplici psicopatiche; subito erano costretti a tacere sotto la minaccia dell'Inquisizione: "Chi dubita dell'esistenza del male, non crede neanche nel bene"; o ancor peggio, sotto la minaccia di accusa di essere stregoni e di volere in questo modo salvare i propri amici.
Allorchè questi eccessi diminuirono, diminuì anche il numero delle streghe. Con la nascita del razionalismo scientifico le superstizioni perdettero molti fedeli. Nel tempo "dell'assolutismo illuminato" non si facevano più processi di stregoneria. Se vi fu nel regno di Luigi XIV un processo della strega Voisin, non era più per stregoneria, ma per avvelenamenti ed omicidi.
Dei rapporti che già abbiamo accennato, fra isterismo e stregoneria hanno scritto molti. Passeremo dunque senz'altro alle allucinazioni e visioni diaboliche, prodotte dagli stupefacenti usati dalle streghe, cercando di ravvicinare la loro azione farmacologica alle visioni infernali del demonismo, sempre tenendo presente l'indirizzo del delirio dato dalle circostanze ambientali.
Cominceremo dal probabile meccanismo delle allucinazioni.
I veleni che producono allucinazioni ed illusioni, agiscono, secondo lo schema comune delle allucinazioni, con offuscamento del sensorio e della coscienza, e con l'eccitazione dei centri rappresentativi. I vari tossici hanno queste due proprietà in modo diverso. L'offuscamento può essere relativamente poco palese; se invece l'eccitazione dei centri è molto forte, può con meccanismo psicogeno "bloccare" i centri sensoriali, e viceversa. Dalle alterazioni provocate nelle funzioni psichiche, dall'azione sulla cenestesi, dipendono la coordinazione delle immagini, l'indole spiacevole o piacevole; dalle suggestioni precedenti alla intossicazione dipende il "tema" delle allucinazioni. Con lo stesso meccanismo in rapporto ai momenti necessari sopra descritti, possono comparire illusioni e sogni tossici significativi; spesso anche il quadro dell'intossicazione passa dalla illusione alla allucinazione e finisce con il sogno.
Passiamo ora alle droghe, sicuramente od anche probabilmente usate per questo scopo.
La conoscenza delle piante usate dalle streghe per la confezione delle loro pomate, dei loro soffumigi e delle loro bevande ci proviene da più fonti.
Prima di tutto i libri che trattano di magia fanno spesso allusione a questa o quella pianta e alle virtù che le sono inerenti; i libri di materia medica, nell'elencare le virtù delle varie erbe, menzionano anche quelle che vengono usate dalle streghe, per i loro filtri.
Gli atti dei processi, i libri inquisitoriali, le confessioni delle streghe, hanno spesso riferimenti che sono utili a questo scopo. Si ha una larga conoscenza dei filtri delle streghe e delle bevande delle streghe a base di decozioni di semi di giusquiamo, somministrati dai giudici ai condannati a morte per diminuire le sofferenze della esecuzione [non raramente però (aggiungiamo noi) concessione fatta solo a chi si poteva permettere queste soluzioni e se non concesse -attese le ambiguità del Diritto Intermedio si ricorreva alla corruzione di qualche funzionario della giustizia che avesse relazione con gli esecutori e l'estremo supplizio: ma molto di questo era possibile quasi solo a chi poteva pagare tal triste servizio = al pari di quello di avvalersi dietro grandi somme versate d'una speciale ed efficiente quanto costosa macchina di morte o quantomeno di pagare segretamente il Boia onde non ubriacarsi -come spesso accadeva per vincere l'inevitabile ripugnanza- ed eseguire, specie la decapitazione, con un colpo preciso senza oscene ripetizioni]. Infine abbiamo la testimonianza della tradizione popolare che continua a chiamare ancora erba del diavolo, erba delle streghe ecc. alcune piante di nota azione farmacologica stupefacente o allucinante (mandragora, giusquiamo, belladonna ecc.).
Le identificazioni che noi seguiamo, sono quelle che sono divenute oramai ufficiali e che sono riconosciute da tutti coloro che si sono occupati dell'argomento.
Tralasciando quelle di origine non europea (cannabis indica, Anhalonium Levinii) osserveremo solo quelle più comuni ai nostri paesi.
Fra quest'ultime, le più attive sono, le solanacee, che erano appunto quelle principalmente usate: accanto al gruppo dell'Atropa Belladonna e del Hyoscyarnus niger, contenenti gli alcaloidi tropeinici, è il gruppo con azione allucinatoria meno notevole del Solanum contenente l'alcaloide glucosidico solanina.
Fra gli alcaloidi tropeinici sono preponderanti la iosciamina (tropato di atropina) levogira, la iosciamina racemica o atropina e la scopolamina o ioscina.
Osserviamo, di questi alcaloidi, solo l'azione sul sistema nervoso centrale.
L'atropina agisce provocando eccitazione motoria e psichica, insieme con offuscamento del sensorio e della coscienza. I sintomi appaiono già dopo la somministrazione di 5-10 mg. L'avvelenato, presenta fuga d'idee, loquacità, voglia di camminare, di correre, che contrasta con le vertigini, i tremori degli arti, l'andamento titubante e l'impossibilità di reggersi sui piedi. Compaiono allucinazioni visive e dell'udito, con eccitamento maniacale, accompagnato da riso convulso, o talvolta eccitamento furibondo. Il più delle volte, il delirio è di natura triste per le sofferenze in mezzo alle quali si svolge, ma può anche essere allegro.
Le allucinazioni visive ed acutistiche sono accompagnate da abolizione della vista, udito e tatto. E' anche diminuita la sensibilità generale. Dopo qualche tempo diminuisce l'irritazione e si cambia in stanchezza e sonnolenza. Dopo grandi dosi l'avvelenato diviene soporoso, comatoso, la temperatura cade, il polso diviene piccolo e si ha morte con sintomi d'asfissia.
La scopolamina è il più velenoso degli alcaloidi contenuto nella belladonna. Già somministrando una dose di 0,5 mg., compare in seguito ad uno stato più lieve d'esaltazione, inceppamento della lingua, ottundimento psichico, senso di peso al capo, come se vi fosse posto sopra un corpo pesante; si ha inoltre la impressione che una forza invisibile chiuda le palpebre; la vista è confusa, gli oggetti sembrano aver preso una forma allungata; ad occhi aperti si hanno le allucinazioni visive più varie, ad es. un cerchio nero su fondo argenteo. Poscia le palpebre si chiudono al sonno. Il sonno è pieno di fantasmi. Nell'avvelenamento da scopolamina l'allucinosi è più spiccata che non in quello da atropina. Esistono anche allucinazioni visive di indole terrifica, allucinazioni disgustose dell'olfatto e del gusto, che possono essere messe in rapporto con i cibi disgustosi che costituivano i banchetti infernali.
L'atropina e la scopolanina penetrano abbastanza facilmente per mezzo della cute e della mucosa, con le bevande, le pomate, e gli impiastri. Penetra anche col fumo attraverso ai polmoni, come vediamo nell'azione delle sigarette antiasmatiche. Penetra rapidamente nel circolo ed estrinseca la sua azione quando viene somministrata per retto. Tutti questi modi erano attuati dalle streghe (pomate, fumigazioni, bevande ecc.).
La dose letale di questi alcaloidi è relativamente alta; frequentemente, anche dopo avvelenamento con sintomi assai gravi, avviene la guarigione.
Le streghe, naturalmente, non usavano gli alcaloidi, ma le piante che li contengono. Fra le più note era l'Atropa belladonna, chiamata anche "erba delle streghe", pianta perenne che cresce nei luoghi montuosi ed ombreggiati dell'Europa centrale e meridionale. Contiene 0,30% fino a 0,80% di atropina; l'alcaloide è contenuto nelle foglie, nella radice e nel frutto. Il contenuto in scopolamina è scarso ed il quadro di avvelenamento è uguale a quello per atropina. Solo quando si somministra per bocca compaiono nausea e vomiti per azione irritante dei componenti accessori sullo stomaco.
Forse per evitare questi inconvenienti, come pure per il rapido assorbimento per la mucosa rettale, preferivano, le streghe, l'introduzione per via cutanea.
La Datura stramonium vegeta in quasi tutta l'Europa e Turkestan; gli alcaloidi sono contenuti nelle foglie e nei semi. Era conosciuta col nome di pane spinoso, erba del diavolo, erba delle streghe, erba dei demoniaci.
Oltre ad illusioni ed allucinazioni, provoca frequentemente uno stato di stupore psichico con amnesia retrograda ed anterograda. Gli avvelenati presentano delirii che talvolta ricordano gli schizofrenici o "ebbrezza lucida" ed esercitano differenti atti in modo puramente automatico. Nonostante l'apparente coscienza hanno l'attenzione e la capacità assimilativa totalmente paralizzata. Di questa azione facevano uso, i ladri per stupefare le vittime, od anche per crimini libidinosi. Quando cessa lo stupore, rimane ancora una certa confusione mentale con tendenza, a riempire le lacune amnesiche con confabulazioni. Tra le descrizioni riguardanti le streghe, ve ne sono alcune che potrebbero essere interpretate come stati di avvelenamento con stramonio. Sembra che la leggenda della maga Circe voglia alludere allo stramonio indicando il veleno usato da essa.
Il Hyoscyamus niger è una pianta biennale comune in Europa. Gli alcaloidi si trovano nelle foglie, nei semi e nelle frutta. Per la presenza di scopolamina in un grado superiore, l'azione di questa si estrinseca con maggiore evidenza; i sintomi periferici sono simili all'avvelenamento con belladonna, mentre quelli psichici differiscono. La più importante differenza è la maggiore azione ipnotica e il minore eccitamento motorio; si ha la mancanza dello stimolo a saltare, ridere ed altre esagerazioni dei movimenti, si producono cefalea, vertigine, diminuzione della sensibilità, sussurrio nelle orecchie, ambliopia, fotofobia, afonia o laloplegia, diminuzione dell'olfatto, assopimento, sonnolenza con allucinazioni visive, dell'udito, sonno profondo con sogni spaventosi, come nella descrizione dell'avvelenamento da scopolamina. Si noti come la maggioranza di questi tossici diano luogo a allucinazioni terrificanti.
La sua azione allucinante è molto spiccata e già nella antichità la chiamavano "Apollinaris" - producente spirito profetico.
L'Atropa Mandragora, pianta dell'Europa meridionale, era molto nota come erba magica, ma la sua azione non differisce molto da quella delle piante sopra ricordate. Il sugo della pianta fresca, le radici e le frutta, contengono le iosciamine, la scopolamina e la mandragorina.
Nella sua azione si avvicina al giusquiamo. Provoca allucinazioni con eccitazione maniacale o melanconia e sonno profondo in genere a carattere scopolaminico.
Era molto nota come erba distintamente magica, oltre che per l'azione farmacodinamica, per la forma biforcata della radice che fu paragonata alla figura umana. Si chiamava anche "antropomorphon" o "semihomo ". Da questo hanno l'origine le leggende sul pericolo mortale di strappare la pianta e l'uso delle radici come amuleti, come pure l'idea che essa sia la rincarnazione dello spirito del fuoco.
La Mandragora era anche usata frequentemente dalle streghe perché contiene gli stessi alcaloidi e per le sue virtù farmaco-dinamiche, che la rendono simile al giusquiamo.
Al gruppo del solanum appartengono le solanacee d'azione allucinante più debole: il Solanum dulcamara, comune nell'Europa Meridionale, ed il solanum nigrum, presente in tutta Europa. Il principio attivo è la solanina, alcaloide glucosidico.
Essa provoca ansia ed inquietudine genera le, cefalea, senso di ebbrezza, eccitamento maniacale, ninfomania, sogni spaventosi o più spesso impossibilità di addormentarsi.
L'oppio è l'estratto di teste immature di papavero, specie Papaver somniferum.
L'azione dell'oppio, principalmente dovuta alla morfina, è caratterizzata da allucinazioni spesso di carattere erotico, delirii, e successivamente sopore e sonno. Avvelenamenti gravi danno uno stato comatoso, che si trasforma in morte.
La frequenza delle allucinazioni e dei delirii, negli oppiofagi e fumatori in Oriente, si spiegano in genere o colla differente reazione delle razze orientali all'oppio, o con il differente contenuto in alcaloidi, dell'oppio orientale.
L'azione principale del nostro oppio si esplica nell'analgesi, nell'euforia, e nell'indifferenza completa verso tutto ciò che non è il proprio "io".
In piccole dosi potrebbe essere stato aggiunto alle solanacee per calmare un poco la loro azione eccitante. E' ammissibile che sia stato usato insieme con la belladonna, stramonio o giusquiamo od anche con l'aconito per confezionare i filtri analgesici e calmanti per poter sopportare le torture ed il rogo.
Questo ottundimento ottenuto con le solanacee usate nei filtri analgesizzanti, spiegherebbe anche la condotta di molte streghe ai processi, quando senza alcuna ragione si accusavano di molti delitti che aggravavano la loro pena.
L'Agaricus muscarius è un fungo velenoso noto per contenere l'alcaloide muscarina, eccitante del parasimpatico. Ma oltre questo alcaloide e sostanze volatili che sono velenose per le mosche, si trova in esso una sostanza ancora non precisata che ha azione stupefacente. In maggiore quantità questa sostanza si trova nei funghi che crescono nei paesi settentrionali. Sono ancora in uso per questo scopo fra i popoli della Siberia settentrionale. Nonostante che l'uso dell'Agaricus muscarius per questo scopo sia ignoto, in Europa, non si può affermare categoricamente che fosse sconosciuto alle streghe dei paesi nordici. Questa sostanza stupefacente presa per bocca, viene emessa inalterata con l'urina così che gli indigeni bevono le proprie urine per ubriacarsi. Azione: la coscienza sul principio è conservata o si ha per un certo tempo un lieve obnubilamento di essa, che permette però al soggetto di star in piedi e di esercitare la sua volontà. In questo stato egli ha la sensazione di una felicità interna completa. Ha anche allucinazioni e illusioni e parla con persone presenti solo nella sua immaginazione. Si sente ricco, vede cose assai belle, ecc. Interrogato risponde ragionatamente ma sempre riferendosi ai fantasmi che in quel suo stato di ebbrezza sono per lui realtà. Altri invece sono tristi, piangono o sono in eccitazione motoria.
Si ha spesso macropsia: un piccolo foro gli sembra un terribile abisso. I suoi atti sono conformi a tali suoi errori di visione. Gli sciamani usano questo fungo per produrre l'estasi.
Altre erbe, il cui uso da parte delle streghe è però dubbio, sono il luppolo, la cicuta, il colchico.
Il luppolo (Humulus luppulus) oltre i principi amari, che agiscono in modo eccitante sulla mucosa gastrica, ha anche un'azione inebriante lieve. Produce cefalea, ottundimento e stupore, debolezza delle gambe e sonnolenza. In genere è poco velenoso. Potrebbe essere stato aggiunto ai farmaci diabolici per produrre più rapidamente il sonno e per la sua azione sedativa. Una simile azione inebriante, sia per azione narcotica diretta, sia per la dilatazione dei vasi del cervello, (azione di nitrito d'amile) l'hanno gli olii eterei, contenuti in molte altre erbe.
Alcuni AA. descrivono come erbe "magiche" l'elleboro, la cicuta terrestre (Conium maculatum) ed il colchico (Colchicum autumnale). Ma la loro azione sul sistema nervoso centrale è legata a dosi troppo forti, che hanno dovuto procurare, prima, gravissimi disordini organici, onde non è presumibile che sieno tutte usate a scopo puramente allucinatorio.
Dalle descrizione suddette sembra che le erbe principali (oltre l'agaricus, la conoscenza dell'azione stupefacente del quale da parte delle streghe è dubbia), fossero del gruppo delle piante tropeiniche, essendo la loro azione allucinante la più forte, ed in dosi poco tossiche, e la loro dose letale, relativamente alta. Non parliamo già dei casi di ipersensibilità, quando dosi piccolissime producono sindromi cerebrali.
Le altre erbe erano probabilmente usate per lo più come sinergiche sia nell'azione eccitante che sedativa, e producente offuscamento sensoriale. Le streghe avevano senza dubbio larghe conoscenze dell'azione sinergica di queste erbe, e forse di molte altre, in questa descrizione non ricordate. Tutti gli Autori sono d'accordo nell'asserire che esse sapevano combinare le erbe in modo da produrre la desiderata azione allucinante.
Tale ci appare, dopo questa breve disamina, la demonologia medioevale, considerata specialmente nella sua parte di relazione sensistica con il mondo preternaturale: un delirio tossico (talvolta sopra costituzione isterica), provocato da farmaci dati in forma di pomate, fumigazioni e bevande e indirizzato verso speciali forme diaboliche dall'ambiente psichico in cui il soggetto viveva.
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In seguito alle vicende del 1848-49, si assiste in quasi tutti gli stati italiani ad un generale ritorno a regimi assolutistici: il solo sovrano che mantiene fede allo Statuto è, Vittorio Emanuele II . Così superata la crisi del '49, il ministero d'Azeglio procede ad importanti riforme legislative con le leggi proposte dal guardasigilli Siccardi (1850), vengono aboliti il foro ecclesiastico, dell diritto d'asilo e si limitano le proprietà del clero.
OFFICII NOSTRI
ufficio divino loc. s. m. lit.:
1 preghiera liturgica composta di salmi, inni, brani delle sacre scritture e patristici, che viene recitata ogni giorno in ore canoniche dai preti secolari e dai religiosi consacrati: dire, recitare, cantare l'u. divino
- 2 estens., libro o breviario che contiene tali testi
La Chiesa Romana tuttavia da tempo aveva percepito i pericoli insiti in particolare nel principio generale dell'IMMUNITA' ECCLESIASTICA e per diretta conseguenza nell' abuso del DIRITTO D'ASILO ECCLESIASTICO vera e propria via di scampo da giuste condanne per una marea di criminali e delinquenti pericolosissimi (problematiche connesse ad una troppo frequente concessione del "diritto d'asilo" furono spesso evidenziate dal diritto degli Stati come qui si apprende dai cinquecenteschi Statuti criminali
della Repubblica di Genova leggendo questo comma del Capitolo LXXI dettante Resti interdetto a chiunque di dar ospitalità a Ribelli messi al pubblico bando e nel pieno XVII secolo gli eccessi della concessione del "diritto d'asilo" fu ben colta
da Papa Innocenzo X (1644-1655) che entro il suo progetto di riforma della vita claustrale, con molti altri interventi, ritenenne di dover abolire vari piccoli conventi in Italia atteso che mancando di fondi e sovvenzioni per sopravvivere non pochi erano quelli
che andavano offrendo troppo liberamente -tra lo scontento degli Stati- dietro adeguato compenso sotto forma di elemosina diritto d'asilo ecclesiastico ad un numero esorbitante di delinquenti di diversa estrazione.
Di questa riforma della "vita caustrale" voluta papa Innocenzo X dovette occuparsi l'erudito ventimigliese Angelico Aprosio, eletto proprio nel 1652 "Vicario Generale della Congregazione Agostiniana Genovese della Consolazione", che si trovò
tra fortissime resistenze e tanti problemi a sovraintendere, per quanto di sua competenza, alla "soppressione di diversi piccoli conventi" = cosa che lo portò ad occuparsi del delicatissimo probleme della soppressione di piccoli conventi che, mancando di fondi, si sovvenzionavano per sopravvivere tramite una esasperata concessione del diritto d'asilo ecclesiastici chiave di volta, dietro pagamento, per molti furfanti di sfuggire alla giustizia ordinaria.
La storia di questo lavorio intellettuale forgiato su principi di giusto revisionismo, peraltro non risolta nel '600, si legge in ampia parte nella cronistoria dell' ABUSO DEL DIRITTO D'ASILO qui proposta digitalizzata sotto la
VOCE = IMMUNITAS ECCLESIASTICA ET ECCLESIARUM nella BIBLIOTHECA CANONICA... di Lucio Ferraris anche se occorre in questa sede assolutamente consultare le settecentesche Officii nostri di Benedetto XIV e
Pastoralis officii di Clemente XIII che rappresentarono ridimensionamenti fondamentali dei principi di immunità ecclesiastica e di diritto d'asilo.
I doveri del nostro Ufficio non solo Ci impongono l’impegno di rispettare scrupolosamente e di dar corso alle Leggi dei Sacri Canoni e alle Costituzioni dei Romani Pontefici Nostri Predecessori, nella interpretazione delle quali nessun dubbio o ambiguità è dato riscontrare; ma anche Ci richiedono di provvedere ad amputare e rimuovere, pubblicando opportune dichiarazioni, una nascente messe di dubbi circa alcune di quelle leggi.
1. E invero il Nostro Predecessore Papa Gregorio XIV di felice memoria, avendo presente la provvida sanzione del Diritto Canonico, per la quale appunto, sotto il titolo De homicidio volontario, vel casuali cap. I, era stato rinnovato l’antico precetto della Legge dettata da Dio nell’Esodo: Se alcuno intenzionalmente e proditoriamente avrà ucciso il suo prossimo, lo trascinerai via dal mio Altare e lo manderai a morte, attraverso la Sua Costituzione, edita nell’anno dell’Incarnazione del Signore 1591, il 24 maggio, che comincia: "Cum alias", decretò che non si doveva affatto accordare l’immunità Ecclesiastica a coloro che avessero ucciso in modo proditorio il loro prossimo e che si fossero poi rifugiati nelle Chiese e nei luoghi sacri. Inoltre anche il Papa Benedetto XIII Nostro Predecessore, di venerata memoria, che ha accresciuto il Nostro prestigio, ha pubblicato, nell’anno della Incarnazione del Signore 1725, il giorno 8 giugno, una Costituzione che comincia con Ex quo divina che escluse e respinse dal beneficio dell’immunità Ecclesiastica non solo coloro che avessero compiuto in modo proditorio (come detto sopra) un omicidio, ma anche gli uccisori del loro prossimo con premeditata decisione. Infine il recente Predecessore Nostro Clemente Papa XII, di santa memoria, nella sua Costituzione che comincia con In supremo justitiae solio, pubblicata nell’anno della Incarnazione del Signore 1734, il 1° gennaio, volle e decretò che del beneficio della predetta immunità per nulla godessero coloro che in una rissa avessero compiuto un omicidio, purché l’omicidio non fosse stato accidentale o conseguente alla propria difesa.
2. Inoltre gli stessi Predecessori già ricordati, Benedetto e Clemente, a quei delitti che erano compresi nel Diritto Canonico e nella Costituzione Gregoriana, ne aggiunsero parecchi altri; stabilirono che chi li avesse commessi sarebbe stato escluso dal predetto diritto d’asilo e dalla facoltà di rifugiarsi presso le Chiese e i luoghi sacri e religiosi; soppressero, con dichiarazioni e definizioni, varie questioni e controversie sollevate da Dottori interpreti del predetto Diritto e delle Costituzioni Apostoliche che trattano della immunità locale, come si può desumere dallo spirito di quelle stesse Costituzioni e anche da una delle nostre Istituzioni che pubblicammo quando reggevamo la Chiesa arcivescovile di Bologna (per l’istruzione di quel popolo affidato alla Nostra sollecitudine) e che è stampata nel secondo tomo delle Edizioni Italiche n. 21, mentre nella edizione latina portano il numero 61.
3. Oltre a ciò, si stabilisce come possa una Curia Ecclesiastica, nel caso di un delitto in tal modo contemplato, procedere alla cattura del delinquente dal luogo immune e trasferirlo alle proprie carceri, avendo il nominato Predecessore Benedetto stabilito che, circa la qualità del delitto in questione e della persona incriminata, vi fosse un congruo numero di quegli indizi che solitamente vengono reputati sufficienti a decretare la cattura. Per essere poi legalmente in grado di rimettere e consegnare il prigioniero ai Ministri e ai Funzionari della Curia Secolare, Benedetto aveva decretato che dal processo informativo istruito contro lo stesso prigioniero dovevano risultare indizi che conforme alle norme del diritto si chiamano ultra torturam; successivamente l’altro Predecessore Clemente XII più ampiamente dichiarò che quante volte risultasse al giudice Ecclesiastico, dagli indizi raccolti non oltre la tortura ma soltanto attraverso la tortura, che il delitto contemplato era stato commesso dal prigioniero, egli stesso poteva rimettere e consegnare il prigioniero alla Curia secolare. D’altronde gli stessi Predecessori non vollero che per alcun verso fosse sminuita l’Autorità Ecclesiastica in ragione di quanto detto, né che fosse colta occasione alcuna di ledere la giustizia. Piuttosto stabilirono che mai si potesse procedere alla cattura di tali delinquenti in luogo immune senza l’autorizzazione del Vescovo e senza l’intervento di persona Ecclesiastica incaricata dallo stesso Vescovo; e che mai si potesse affidare e consegnare gli stessi prigionieri (anche quando concorrano i predetti indizi) ai Funzionari della Curia secolare, se non in forza di quella legge (da rispettare sotto minaccia di gravissime censure) per cui devono essere restituiti alla Chiesa o al Luogo immune gli stessi prigionieri, fino a quando non siano chiariti e confutati tali indizi nel corso del processo.
4. Poiché quelle norme che dal ricordato Predecessore Clemente furono aggiunte alle sanzioni del comune diritto e delle Costituzioni Gregoriane e Benedettine, non si estendevano affatto oltre i confini dei Domini temporali della Sede Apostolica, ci parve opportuno estenderle anche alle altre regioni, i cui Principi ne facessero richiesta. Pertanto nei Concordati che furono stipulati sia nell’anno 1741 col carissimo in Cristo figlio Nostro Carlo, illustre Re delle Due Sicilie, sia, nell’anno seguente 1742, con l’altro parimenti carissimo in Cristo figlio Nostro Carlo Emanuele, illustre Re di Sardegna, concedemmo che nei Domini degli stessi Re avessero vigore le premesse disposizioni e le altre contenute nella predetta lettera di Clemente; di poi estendemmo ed ampliammo i Concordati anche ad altri Domini di Principi che ne facevano richiesta, pubblicando una specifica lettera (di cui un esempio è dato vedere nel primo Tomo del Nostro Bullario, Constitut. 88), che comincia: Alias felicis.
5. Invero, poiché tutte queste misure adottate dai predetti Nostri Predecessori e da Noi stessi non bastarono a togliere di mezzo o a prevenire completamente tutte le questioni che di solito insorgono nei Tribunali sia circa la natura degli omicidi da considerare in relazione ai prigionieri, sia circa il modo di applicare le predette Costituzioni nei vari casi di tali omicidi e di altri delitti dei prigionieri, giudicammo che Ci fosse riservato questo ulteriore compito, di non tollerare che in nessun modo rimanessero inerti, di fronte alle difficoltà e ai dubbi, le regole d’intervento in tali questioni, con le quali molto spesso è necessario soppesare e condurre a termine gli atti processuali sia dei Giudici Ecclesiastici, sia Secolari.
Pertanto, dopo aver soppesato prontamente ogni questione e aver udito non pochi Venerabili Fratelli Nostri Cardinali di Santa Romana Chiesa e altri autorevoli uomini e periti in Diritto Canonico ed esperti in processi criminali, per Nostra decisione e per quella pienezza di Autorità Apostolica che esercitiamo, decretammo di dichiarare il pensiero Nostro e dei Nostri Predecessori e di porre di nuovo alcune questioni nel seguente modo.
6. E in primo luogo, mentre nella ricordata Costituzione del Predecessore Gregorio che comincia con Cum alias si enumerano quei delitti che devono essere considerati esclusi dal beneficio della immunità Ecclesiastica e si fa menzione solamente dei delinquenti Laici, e solo di essi ha anche parlato l’altro Predecessore Benedetto nella sopracitata Costituzione che comincia con Ex quo Divina, piacque al lodato Predecessore Clemente XII estendere ed ampliare la sua Costituzione che comincia In supremo Justitiae solio anche agli Ecclesiastici di ogni grado e ordine che hanno perpetrato un omicidio con volontà premeditata, in modo che essi, in ogni caso, non possano godere della immunità Ecclesiastica; purché tuttavia il processo per l’omicidio da loro commesso sia riconosciuto dal loro giudice Ecclesiastico competente e da questo i colpevoli, se furono riconosciuti tali prima della pena del sangue, siano puniti dopo aver prestato degna attenzione alle prescrizioni dei Sacri Canoni.
7. Inoltre, poiché fu avanzato il dubbio se entro questo ampliamento ed estensione del Predecessore Clemente siano compresi anche gli insegnanti degli Ordini Regolari e gli alunni, Noi, per togliere ogni dubbio in materia, decidemmo e dichiarammo che saranno da includervi tutti e ciascuno di qualunque Ordine, Congregazione, Compagnia e Istituto regolare, tanto i Professi in tali Sodalizi quanto gli aggregati di qualunque modo, di qualunque grado e condizione fossero, anche se insigniti di qualche privilegio degli stessi Ordini o di qualunque altra espressa e distinta menzione personale e dei loro Ordini: siano compresi nella censura della presente e delle precedenti Costituzioni. Se accadesse mai (Dio non voglia) che qualcuno avesse perpetrato un omicidio premeditato, dovrà essere escluso dal beneficio della Immunità Ecclesiastica, secondo il dettato delle stesse Costituzioni di Benedetto e di Clemente.
8. E poiché il ricordato Predecessore Clemente, con speciale decreto pubblicato nel giorno 5 ottobre dell’anno 1736, dichiarò espressamente che anche le donne che avessero commesso qualche delitto di tal fatta (da doversi considerare fra quelli esclusi dal beneficio della Immunità locale in conformità delle disposizioni già dette) dovevano essere giudicate con diritto pari a quello degli uomini e che nel disposto della sua Lettera che comincia In supremo Justitiae solio devono essere comprese assolutamente in modo equo, Noi, secondo lo spirito di questa Nostra Costituzione, approviamo e confermiamo la predetta dichiarazione e aggiungiamo ad essa l’intatta forza di una legge inviolabile, secondo la quale occorre essere giudicati nei casi che si presentano. Decidiamo del pari e confermiamo, in base al disposto dello stesso Clemente e di questa Nostra Costituzione, che anche i soldati siano compresi in tutte e per tutte le disposizioni, né si può favorirli o attribuire ad essi, in tal materia, alcun privilegio militare.
9. Inoltre, poiché nella predetta Costituzione del Predecessore Clemente sono esclusi dal beneficio della predetta Immunità tutti e ciascuno, tanto Laici che Ecclesiastici, inquisiti e processati, perseguiti in contumacia e condannati per causa e in occasione di un omicidio, anche commesso nel corso di una rissa, con le armi o sia con arnesi idonei per loro natura ad uccidere, purché l’omicidio non sia stato causale o dovuto alla propria difesa, spesso avvenne di discutere se si debba considerare escluso dal beneficio d’Immunità locale colui che non accidentalmente o per legittima difesa in una rissa commise un omicidio o con un bastone o con un sasso che, beninteso, non sono armi, se così si possono definire, e comunque non sono di solito considerate armi per loro natura idonee ad uccidere, Noi dunque, nel chiarire un tal dubbio, stabilimmo che qualunque omicida, sia uomo sia donna, sia Laico sia Ecclesiastico secolare o regolare di qualsivoglia Ordine che anche con un bastone o con un sasso abbia ucciso il suo prossimo, non può affatto godere del diritto di asilo ecclesiastico, quando sia accertato dalle circostanze del delitto che il suo atto, anche se compiuto in una rissa non per accidente o per necessaria autodifesa, fu commesso per odio e con intenzione e volontà di nuocere. Questa Nostra definizione è conforme alla Legge Divina che si trova nel Libro dei Numeri, dove, designati i luoghi d’asilo per coloro che involontariamente avessero effuso il sangue del prossimo, così si prosegue: Se alcuno avrà ferito di spada e il ferito ne morirà, sarà reo di omicidio ed egli stesso dovrà morire. Se avrà lanciato una pietra e il colpo avrà ucciso, sia punito allo stesso modo. Se chi è percosso da un bastone morirà, sarà vendicato col sangue del picchiatore. Il parente dell’ucciso ucciderà l’omicida; non appena sarà catturato, lo uccida. Se un tale per odio avrà colpito un uomo o in un agguato gli avrà lanciato qualcosa o, come nemico, lo abbia percosso di mano e lo abbia ucciso, il picchiatore sarà reo di omicidio; il parente dell’ucciso, non appena avrà trovato l’uccisore, lo sgozzerà. Che se poi per caso e senza odio e inimicizia avrà compiuto alcuno di quegli omicidi e ciò sia stato provato al cospetto del popolo e fra il colpevole e il vicino di sangue la questione sia dibattuta, l’innocente sarà sottratto alla mano vendicatrice e per sentenza sarà ricondotto nella città nella quale si era rifugiato e quivi rimarrà finché il Grande Sacerdote, che fu unto dall’Olio Santo, non morirà (Nm 35,16-25).
10. Accade poi negli omicidi (ciò che non ha luogo negli altri delitti denunciati) che chi sia stato percosso o colpito non muoia all’istante ma che piuttosto sopravviva per qualche ora o qualche giorno. Frattanto il picchiatore, rifugiandosi in una Chiesa o in altro luogo immune, gode del diritto d’asilo di cui non può essere privato come omicida finché chi è stato percosso da lui rimane fra i vivi; mentre da quello stesso luogo immune egli non tralascia di spiare con ansia la vita del ferito, se capisce che questi potrà vivere a lungo, in nessun modo si allontana dal rifugio raggiunto; quando poi viene a sapere che quegli ha perso la vita in seguito alla ferita infertagli, presa la fuga eludendo la sorveglianza dei magistrati, in buon punto provvede a se stesso e si sottrae alle meritate pene. Poiché da coloro che sono preposti all’amministrazione della giustizia a Noi fu detto che un tale fatto accade spesso, e certo non senza grave danno della pubblica tranquillità per la speranza d’impunità che i facinorosi concepiscono, convinti di poter evadere nel medesimo modo, gli stessi magistrati ci hanno chiesto di rimuovere con gli opportuni rimedi della Nostra previdenza un male di tal fatta.
11. Perciò Noi, per consiglio dei predetti Nostri Fratelli e di altri saggi, con la presente lettera giudichiamo e decidiamo che, quando un violento si rifugi in una Chiesa o in altro Sacro o Religioso luogo, se i chirurghi chiamati ad esaminare la ferita avranno riferito essere presente un grave pericolo di vita, allora sia consegnato alle carceri il violento, dopo averlo strappato dal luogo immune, rispettando le procedure; e che in forza di questa legge, egli sia restituito alla Chiesa, qualora il ferito sopravviva oltre il tempo stabilito dalle leggi e per di più subisca le stesse pene alle quali (nelle ricordate Lettere di Benedetto e di Clemente) sono sottoposti coloro che rifiutano di restituire il delinquente loro affidato in base a indizi sufficienti per torturarlo dopo che il delinquente avrà chiarito gli indizi in sua difesa
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12. E invero nella citata Costituzione del Predecessore Gregorio circa la facoltà di chiedere l’estradizione dei delinquenti da luogo immune nei casi previsti, fu stabilito che tale facoltà appartenga solo ai Vescovi e agli altri Prelati superiori ai Vescovi e non già agli altri inferiori ai Vescovi, anche se gli altri sono Ordinari o di Nessuna Diocesi. Cosicché, verificandosi il caso delittuoso in luogo escluso e non sottoposto ad alcuna Diocesi, allora tale affare sia affidato al più vicino Vescovo, come fu confermato anche dall’altro Nostro Predecessore Benedetto nella sopracitata sua Costituzione; la stessa norma Noi pure approviamo e confermiamo ai sensi della presente Lettera. Ma poiché su tale argomento furono a Noi riportate non poche lagnanze che certe Curie Ecclesiastiche avanzarono a nome dei Funzionari della Curia Secolare, e convennero di rinviare la cattura dei delinquenti, nei casi contemplati, più a lungo del lecito, Noi con ogni premura e impegno persuadiamo e con riguardo ordiniamo che gli stessi Venerabili Fratelli Vescovi e gli altri superiori Presuli delle Chiese facciano in modo di rimuovere ogni occasione di querele per questo genere di questioni, e ogni volta che si tratti di delinquenti nei casi previsti, non ricusino di raccogliere gli opportuni indizi contro di essi; e se ammettono che quegli indizi, richiesti conforme alle premesse, sono veramente sufficienti, quanto prima decidano di trarre fuori gli stessi delinquenti dal luogo immune, affinché siano detenuti o nelle carceri episcopali in nome della Chiesa, o siano trasferiti con le debite cautele alle carceri della Curia Laicale, ove saranno ristretti in nome della stessa Chiesa. Infatti non si può invocare l’obbligo dello zelo Ecclesiastico nell’impedire il corso della giustizia, prescritto dalle Costituzioni Apostoliche contro i facinorosi, ma piuttosto nell’affermare e sostenere l’immunità della Chiesa e di tutti gli altri luoghi Ecclesiastici e i diritti personali, quando accada che siano infrante e violate le prescrizioni delle sacre leggi. Quando tuttavia riteniamo che tali indugi intervengano soprattutto se i predetti acclarati delitti sono perpetrati non nelle Città ma in Diocesi, in luoghi remoti dalla sede della Curia Ecclesiastica, per questo motivo Noi tramite questa stessa Lettera concediamo facoltà e comunichiamo ai predetti Vescovi e agli altri Superiori Prelati che ogni volta che saranno interpellati circa casi di tal genere da parte della Curia laicale, potranno affidare ai loro Vicari foranei o alle altre persone ecclesiastiche da deputare a tale funzione da parte degli stessi superiori, l’incarico di raccogliere gli indizi giuridicamente necessari per la cattura, affinché, esaminati appunto tali indizi, gli stessi Superiori, conforme al diritto, siano al più presto idonei alla cattura dei delinquenti.
13. E certamente tutte queste disposizioni che fin qui annunciammo, definimmo e prescrivemmo sia in questa Nostra Urbe, sia a Bologna, Ferrara, Benevento e in tutte le altre città, terre e luoghi direttamente o indirettamente soggetti a Noi e alla Santa Romana Chiesa e che richiedono una speciale e distinta menzione, e nelle Curie Ecclesiastiche e Secolari dei quali luoghi, anche Baronali, come anche in altri Regni, Province e Possedimenti ai quali le citate Costituzioni dei Nostri Predecessori, sia con particolari concessioni (come sopra è detto), sia per mezzo di Concordati furono estese e ampliate (fin dove appunto si distinguano convenientemente, ma in armonia con gli stessi Concordati, dai quali in nessun modo intendiamo derogare), vogliamo che siano rispettate in ogni caso e decidemmo che abbiano perpetuo fondamento e che raggiungano e ottengano i loro dovuti effetti in tutti i singoli Domini, Regni e Luoghi, tanto dai Giudici delle Curie Ecclesiastiche che Secolari, dai Magistrati, dai Funzionari, dai Ministri e da tutti coloro i quali hanno e avranno competenza pro tempore in materia.
14. Ciò che nelle citate Costituzioni dei Nostri Predecessori, sotto minaccia di gravissime pene, fu vietato, e cioè che né le Curie Secolari né i loro Magistrati, Giudici e Funzionari catturino, portino via dalle Chiese, dai Monasteri e dai luoghi sacri o imprigionino, anche nei casi previsti, un delinquente senza l’intervento dell’Autorità Ecclesiastica, o che osino o presumano di giungere in qualche modo a dichiarare che dai predetti prelevati sono stati commessi crimini previsti nelle Costituzioni degli stessi Predecessori (mentre questa facoltà, come si è detto, è riconosciuta appartenere ai soli Vescovi), Noi con sentimento, autorità e insistenza confermiamo e ordiniamo anche ad essi, e a tutti coloro ai quali questa funzione compete e competerà in avvenire, di rispettare le presenti norme sempre, senza eccezione. Abbiamo deciso e sancito che chi agirà in senso contrario e i trasgressori debbano incorrere in quelle stesse pene che sono state indicate nelle predette Costituzioni, ritenendo che si debbano considerare fra i trasgressori anche coloro che, disprezzando l’Autorità Ecclesiastica e le Sanzioni canoniche, trascurano il prescritto ricorso ai Superiori Ecclesiastici, presumono di poter assediare i Luoghi immuni e vietano che siano portati alimenti a coloro che si proteggono in un Sacro rifugio, o altrimenti li costringono a darsi in potere della Curia Secolare. Noi infatti decidiamo e dichiariamo che coloro che hanno osato tanto, sia che fuggano da delitti accertati, sia che si trovino inquisiti di altri non accertati, incorrano in tutte e nelle singole pene e censure previste contro chi viola l’Immunità Ecclesiastica secondo il diritto e le pene annunciate e prescritte nelle predette Costituzioni Apostoliche. Certo non ignoriamo che anche in altri tempi ricorrevano spesso azioni violente, ma insieme sappiamo che dalla Chiesa furono sempre condannate e proscritte; e ciò dimostrano a sufficienza quegli Statuti che furono raccolti in parecchi Concili Provinciali, allo scadere del decimoterzo e decimoquarto secolo della Chiesa. Ivi infatti sono ricordati gli assedi delle Chiese, la sottrazione degli alimenti e gli altri espedienti per i quali coloro che si erano rifugiati nelle Chiese erano costretti alla resa; tutti quelli che avranno osato tentare tali azioni, saranno feriti dalla spada dell’anatema. E Noi dunque che non possiamo né vogliamo abbandonare lo spirito della Chiesa tante volte apertamente manifestato circa le questioni predette e dai Nostri Predecessori costantemente rispettato, fedeli in tutto a tale spirito, giudichiamo e dichiariamo che tutti e i singoli che abbiano osato usare violenza in tal modo contro coloro che si trovano sotto la tutela dell’Immunità Ecclesiastica, oltre alle altre pene e censure prescritte e sancite e da applicare senza altra dichiarazione contro quelli che violano la stessa immunità, come si è detto, saranno privati e considerati indegni di ogni beneficio e privilegio del rifugio e dell’asilo Ecclesiastico, tanto presso le Chiese e i luoghi immuni da loro così violati, quanto presso le altre Chiese e i Luoghi Sacri e Religiosi e saranno da giudicare alla stessa stregua di tutti coloro che fanno violenza sui rifugiati o li catturano di forza e li portano via dalla Chiesa o da altro luogo immune; il lodato Predecessore Benedetto XIII, nella sua citata Costituzione, dichiarò invero che "essi non potranno né dovranno mai godere non solo della immunità della Chiesa che hanno violato, ma anche di ciascuna altra Chiesa". E Noi giudicammo che anche i predetti siano da ascrivere nel numero dei violenti.
15. Infine poiché, come abbiamo appreso, tra le Curie del nostro Dominio Temporale e di non pochi Domini confinanti, è invalsa una certa consuetudine, per cui coloro che abbiano commesso delitti di una certa specie nell’uno o nell’altro di tali Domini e si siano rifugiati entro i confini dell’altro, siano catturati nella Curia vicina a quel Dominio in cui fu commesso il delitto e consegnati alla stessa Curia. E quando, come a Noi fu riferito, accada talvolta di frapporre indugio in tali trasferimenti, per il fatto che quei delinquenti si erano messi al sicuro nelle terre verso cui erano fuggiti, sotto la tutela di una Chiesa o di alcun altro Luogo immune, allora Noi, volendo opportunamente congiungere le ragioni della Immunità Ecclesiastica con la retta amministrazione della Giustizia e con la tranquillità dello Stato, deliberammo e ordinammo che se tali fuggitivi avranno commesso un delitto di quelli che sono compresi nelle predette Costituzioni Apostoliche e nel Dominio temporale della Chiesa Romana, si raccolgano e si accumulino gli indizi (richiesti per procedere alla cattura) da parte del Vescovo Diocesano o da quello più vicino a quel luogo ove fu commesso il delitto. Quegli indizi, poi, senza indugio siano trasmessi al Vescovo dell’altro luogo in cui il delinquente trovò asilo, affinché con la sua autorità e con l’intervento di persona Ecclesiastica si possa procedere alla sua estradizione dal Luogo immune. Con lo stesso criterio si deve procedere se nei predetti Domini di altri Principi, nei quali vige la consuetudine della citata consegna, viene commesso un delitto di tale specie: ciò, sia in forza delle Costituzioni Gregoriana e Benedettina, sia a motivo del Concordato con la Sede Apostolica, sia per estensione di altra Costituzione di Clemente XII richiamata espressamente dalla Sede Apostolica.
Vogliamo e ordiniamo che il Vescovo, al quale la materia compete in forza del luogo in cui il delitto fu commesso, provveda a che siano raccolti gli accennati indizi necessari per la cattura, e li trasmetta al Vescovo dello Stato Ecclesiastico nel cui territorio il reo del delitto scelse l’asilo, affinché, con l’autorità di questo Antistite, fatti salvi i principi da rispettare, il delinquente possa essere estradato dal luogo del rifugio e, se così esige la norma, essere consegnato alla Curia esterna che ne fece richiesta.
Vogliamo tuttavia che in ognuno dei casi predetti, nei quali si tratti soltanto dei delitti descritti più sopra, siano osservate rigorosamente le leggi e le procedure sia delle Costituzioni di Clemente sia dei Concordati, sia ovviamente quando il delinquente sia ristretto nelle carceri in nome della Chiesa, sia anche quando, solamente da parte dei Vescovi, sia espresso un giudizio negativo finché da tutti gli altri Giudici Ecclesiastici si dichiari (in base agli indizi, come si è detto, sufficienti alla tortura) se il delitto, di cui si tratta, debba essere annoverato tra quelli descritti o meno; e infine, anche nel caso che si riferisce all’obbligo di restituire il reo sulla scorta delle citate Costituzioni, fino a quando costui nel corso del processo non avrà emendato e attenuato gli indizi che sono contro di lui.
16. Vogliamo infine che la presente Lettera e i suoi contenuti abbiano potere e forza di perpetua validità e i suoi integri e pieni effetti nei luoghi e nei Domini predetti e, con particolare riguardo, in qualsiasi luogo e popolo; che sia rispettata da tutti e dai singoli ai quali è rivolta e in ogni caso si rivolgerà anche in futuro secondo le circostanze, sotto la minaccia delle pene e delle censure previste, in cui devono tosto incorrere i trasgressori; e così, e non altrimenti, come nelle premesse, decretiamo che sia applicata da tutti i Giudici Ordinari e Delegati, anche dai Cardinali della Santa Chiesa Romana, anche dai Legati de latere, da tutte le Congregazioni dei Cardinali e dai Nunzi della Sede Apostolica, nonché dalle Curie secolari, dai Magistrati, e da chiunque altro sia o sarà investito di qualsivoglia carica o potere, anche se degno di particolare nota e menzione, e da quanti, in qualsiasi altro modo, abbiano facoltà e autorità di giudicare e di interpretare; e sia nullo e inefficace il giudizio che, da chicchessia o da qualsiasi autorità, scientemente o per ignoranza espresso, indicherà di operare diversamente.
17. Nonostante le premesse e tutte le altre Costituzioni Apostoliche, le Regole e le Ordinazioni e ogni Legge Ecclesiastica o Secolare, gli editti, gli scritti, gli usi e le consuetudini anche immemorabili; i privilegi, gl’indulti, le facoltà, le persone d’ogni sorta degne di speciale menzione e illustri per quale e quanta vuoi sublime carica e autorità, e anche oberate di qualsivogliano urgentissime cause, o gli Ordini di Regolari, anche di Mendicanti, di Militari e anche di San Giovanni Gerosolimitano, o di Monaci, o le Congregazioni di Chierici Regolari, le Società e gl’Istituti, anche della Compagnia di Gesù, e tutti gli altri che vanno sotto qualunque forma e denominazione, e con qualunque clausola e decreto, anche affini per obiettivi e per pienezza di potere, concessi concistorialmente o in qualunque modo contrario a quanto premesso, anche se più volte confermati e rinnovati: A tutti questi ed ai singoli – i concetti, la forma e le finalità dei quali, anche se impliciti e riservati, con la presente Lettera s’intendono pienamente espressi – Noi, da questo ufficio, con piena conoscenza e potestà, ai sensi di quanto premesso, deroghiamo; e vogliamo sia derogato, respinta ogni eccezione contraria. Se ad alcuni, tutti assieme o separatamente, sia stato concesso da questa stessa Sede che in nessun caso, o al di fuori di certi casi, e per cause diverse, non possano essere scomunicati, sospesi o interdetti, se non per Lettere della stessa Sede, i medesimi facciano piena e motivata menzione di tale Indulto, parola per parola.
18. Affinché, poi, la presente Lettera e il suo contenuto siano recati a conoscenza di tutti, e affinché nessuno osi allegare l’ignoranza della materia, vogliamo che la Lettera sia pubblicata alle porte della Chiesa di San Giovanni in Laterano, della Basilica del Principe degli Apostoli dell’Urbe, della Cancelleria Apostolica, della Curia Generale Innocenziana e negli altri soliti e consueti luoghi dell’Urbe, per mezzo dei Nostri Cursori, come è di costume; vogliamo che copie di essa siano affisse, in modo che così pubblicate e affisse, tutti e ciascuno – cui essa è rivolta e sarà rivolta in futuro – ne dispongano, come se a ciascuno di essi fosse comunicata e notificata personalmente; vogliamo anche che le copie di essa, anche a stampa, purché sottoscritte di pugno da un pubblico Notaio e munite del sigillo di persona dotata di dignità Ecclesiastica, abbiano in ogni luogo la stessa fiducia che si avrebbe per la presente Lettera se fosse esibita e mostrata in originale.
19. Pertanto a nessuno sia lecito violare questa pagina delle Nostre dichiarazioni, definizioni, ordinazioni, affermazioni, proibizioni, mandati, decreti e volontà, od opporsi ad essa con atto temerario. Se qualcuno poi avrà osato tanto, incorrerà nell’indignazione di Dio Onnipotente e dei Beati Pietro e Paolo suoi Apostoli.
Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, nell’anno 1749 dell’Incarnazione del Signore, il 15 marzo, anno decimo del Nostro Pontificato.
Classificazione delle chiese (1) -
Basilica (2 - 4) -
Cattedrale (5) -
Collegiata - Collegiate (6) -
Chiesa Matrice (7) -
Chiese Filiali (8) -
Chiese Battesimali (9) -
Chiese Parrocchiali (10) -
Assimilazione fra Chiese Parrocchiali e Filiali (11) -
Chiese Battesimali dette anche Matrici (12) -
Licenza episcopale per edificare una nuova chiesa (13) -
Licenza episcopale anche per chi già detiene il privilegio di edificare (14) -
Il Vescovo deve concedere sempre licenza di edificare senza ragionevole motivo in contraio: altrimenti è concesso ricorso (15) -
Licenza episcopale non richiesta per edificare un Oratorio in casa propria (16) -
Per edificare una chiesa con un monastero di regolari oltre al consenso del Vescovo è richiesto quello del Papa (17) -
Privilegio di Clemente IV ai Frati Mendicanti che per lo spazio di 300 canne dal loro complesso da altri Mendicanti o Monaci non si edifichino monastero e chiesa (18) -
Revisione di detto privilegio: ridimensionamento della distanza a 140 canne (19) -
Del privilegio delle 140 canne gli Ordini Mendicanti possono valersi contro altri Mendicanti ma pure contro esponenti di qualsiasi Ordine (20) -
Tale privilegio vale anche contro Presbiteri secolari che vivono in comunità (21) -
Ancora il privilegio vale anche contro Presbiteri qualsiasi chiesa di una Congregazione di laici (22) -
Tale privilegio non vale per i Gesuiti cui è concesso di edificare convento e chiesa entro lo spazio delle 140 canne (23) -
Tale privilegio ha vigore anche nel caso della traslazione di chiesa e convento (24) -
In forza di tale privilegio non si può tuttavia inibire l'ampliamento di un convento legittimamente eretto (25) -
Non essendo avvenuta una legittima edificazione si consentirà solo una piccola chiesa (26) -
Il "privilegio delle 140 canne" non ha vigore a fronte di Ospizi di Regolari, che non hanno chiese, o di Seminari (27) -
Il "privilegio delle 140 canne" può non decadere per carenza d'uso (28) -
Contro il "privilegio delle 140 canne" al Vescovo non è concesso innovare alcunché (29) -
Non è da pensare che questo privilegio sia stato abrogato in forza dei contenuti delle Bolle papali di Clemente VIII, Gregorio XV, Urbano VIII e Innocenzo X (30) -
Considerazioni di diversi interpreti sul "privilegio delle 140 canne" (31) -
La misurazione delle "140 canne" deve avvenire per linea d'aria e non per via di terra (32) -
La lunghezza di ogni "canna" deve corrispondere alla misura di "otto palmi" (33) -
Perchè si possa costruire una chiesa si richiede che goda di una dote sufficiente ai suoi servizi, alle esigenze del culto ed al mantenimento dei suoi ministri (34) -
Obblighi dell'edificatore di una chiesa e dei suoi eredi (35) -
Quando l'edificatore di una chiesa manchi di mezzi per dotarla benchè la stessa sia stata eretta su consenso del Vescovo, spetti a quest'ultimo contribuire alla dote della stessa (36) -
Ed il Vescovo debba fare di proprio senza alcun detrimento della chiesa (37) -
Una Cappella può esser eretta senza dotarla (38) -
Questo purchè alla Cappella non spetti qualche peculiare beneficio (39) -
La dote da assegnare deve esser adeguata per le sigenze dei ministri, delle luminarie e delle altre necessità (40) -
Per sapere se una dote da assegnare ad una nuova chiesa di Regolari attualmente si devono attendere, per comando di Urbano VIII, i decreti della Sacra Congregazione del Concilio (41) -
Onde erigere una chiesa si dev ben investigare che non sia di pregiudizio di altra chiesa, specie se di una Parrocchiale (42) -
Concedendosi dal Vescovo l'erezione di una nuova chiesa ma risultando questa in pregiudizio di una Parrocchiale, il Parroco di questa può appellarsi contro la licenza concessa (43) -
Se però nella concessione di una nuova chiesa il Vescovo tuteli i diritti della Parrocchiale allora non è richiesto il parere del suo Parroco nè questo può opporsi all'edificazione (44) -
Decreti vari in merito a questo argomento (da punto 45 a punto 50 compreso) -
Prima che si edifichi una nuova chiesa il Vescovo deve recarsi sul luogo della costruzione e lì, pubblicamente, deve indicare il sito dell'atrio, sistemare una croce e apporre la prima pietra (51) -
Al vescovo è tuttavia concesso di demandare ad altri l'affissione della croce e la sistemazione della prima pietra (52) -
Per erigere una nuova chiesa è concesso costringere un possibile vicino a vendere la sua casa od altro sito (53) -
Per erigere una nuova chiesa qualcuno può esser tenuto a vendere la propria casa anche se non è attigua alla chiesa erigenda ma di fronte ad ad essa divisa dalla pubblica via (54) -
Pur se sia legata da un fidecommisso una casa vicina alla chiesa erigenda od amplianda può, per obbligo, doversi vendere (55) -
E lo stesso vale nel caso che la casa sia stata proprietà di un'altra chiesa od opera pia (56) -
Perchè una casa od un possedimento si debbano vendere per l'erezione d'una chiesa nuova sono però da rispettare quattro condizioni (57) -
La prima è che si paghi il giusto prezzo (58) -
La seconda è che tale vendita sia del tutto necessaria (59) -
La terza è che tale casa sia contigua e più vicina delle altre (60) -
La quarta è che tale vendita non risulti di grave pregiudizio per chi vende e di poco frutto che l'erigenda chiesa (61) -
Concorrendo siffatte quattro condizioni il possessore della casa può esser costretto a venderla, altrimenti no (62) -
Per restaurare una chiesa cadente in rovina ci si attenga alle consuetudini dei luoghi (63) -
Non vigendo peculiari consuetudini dei luoghi la chiesa rovinante debba ripararsi sfruttando i suoi redditi (64) -
Qualora la chiesa non abbia redditi o piuttosto redditi adeguati alle necessità di restauro ma sia una Parrocchiale proprio il Parroco debba concorrere economicamente ai lavori (65) -
Non trattandosi invece di chiesa Parrocchiale debbano concorrere alle spese quanti in essa detengano un beneficio (66) -
Trattandosi di una chiesa i cui beneficiati non abbiano risorse sufficienti alle spese dei lavori di restauro debbano concorrere anche i Patroni, i Parrocchiani e tutti quanti in essa ricevono i Sacramenti e gli altri Divini Servigi (67) -
I restauri di una Cattedrale tocchino al Vescovo qualora abbia redditi superflui oppure la chiesa medesima non goda di redditi speciali per il mantenimento dell'edificio e non sussista qualche lecita consuetudine in contrario (68) -
Ma un vVescovo può non godere di redditi superflui per far riparare la cadente sua Cattedrale: sarà legittimo obbligare a concorrere i canonici che godono di redditi eccedenti le necessità (69) -
Ma può accadere che né il Vescovo né i Canonici godano di redditi superflui alla bisogna: allora il Vescovo con il Capitolo potrà ingiungere ad altri inferiori Chierici di contribuire del proprio possedendo il superfluo od ancora potrà destinare i frutti dei Benefici ai restauri necessari per la chiesa (70) -
Quanti debbano provvedere al restauro della chiesa non siano esenti dal contribuire anche a quello dell'abitazione del Rettore della stessa (71) -
Di più, gli stessi (mancando redditi sufficienti alla chiesa e non sussistendo contraria e legittima consuetudine) debbano economicamente provvedere anche al rinnovo e/o restauro dei paramenti ed ornamenti ecclesiastici (72) -
In merito a tutte queste cose si registra qui un recente decreto (73) -
Nei tempi antichi, edificandosi una chiesa, si badava che il suo capo o l'altare maggiore guardassero verso oriente (74) -
E non senza ragioni si badava che le chiese fosser costruite guardando ad oriente (75) -
Si riporta a questo punto la prima ragione (76) -
Si riporta a questo punto la seconda ragione (77) -
Si riporta a questo punto la terza ragione (78) -
Si riporta a questo punto la quarta ragione (79) -
Attualmente, benché più motivato di ogni altro, questo metodo di costruzione e posizionamento non è tuttavia assolutamente necessario (80) -
La forma delle chiese, di cui si valevano i fedeli sin dal tempo degli Apostoli, è immutata, piuttosto lunga e a guisa di nave (81) -
La chiesa è divisa in tre parti o stazioni. La prima è il Sacrario o Presbiterio o Sancta Sanctorum, la seconda è il Coro, la terza è la Nave o navata (82) -
Il Sacrario o Presbiterio o Sancta Sanctorum è quella stazione che dall'Altar maggiore volge verso la la chiesa (83) -
Perchè si chiama Presbiterio? (84) -
Il Presbiterio è la parte più nobile della chiesa (85) -
Perchè si chiama Sancta Sanctorum? (86) -
Perchè si chiama Sacrario? (86) -
La seconda parte della chiesa si chiama Coro; da dove deriva ciò? (da 88 a 89) -
Quando iniziò la costumanza di cantare alternativamente i Salmi (da 90 a 91) -
La terza parte della chiesa si dice nave da cui navata servendo per ricettacolo dei laici che assistono ai Riti Divini (92) -
In questa parte della chiesa un tempo i maschi risultavano divisi dalle femmine: i maschi stavano nella parte destra della nave e le femmine nella sinistra (93) -
E ciò fu stabilito dagli Apostoli medesimi (94) -
Aggiunte e commenti di mano diversa da quella dell'autore dell'opera -
ARTICOLO IV - VOCE ECCLESIA - SOMMARIO -
Cosa si intenda per Consacrazione di una chiesa (1) -
Secondo il diritto ordinario solo il Vescovo del luogo può consacrare una chiesa (2) -
Il Vescovo cioè deve essere proprio il titolare della Diocesi entro i cui confini è da consacrarsi la chiesa in questione (3) -
Il Vescovo di un'altra Diocesi non può consacrare una chiesa senza il permesso del titolare della Diocesi cui essa appartiene (4) -
Il Vescovo di un'altra Diocesi che consacri una chiesa senza il permesso del titolare della Diocesi cui essa appartiene viene sospeso per un anno dall'esercizio dei Pontificali e dalla celebrazione delle Messe (5) -
E tuttavia rimane valida la consacrazione di una chiesa fatta dal Vescovo di un'altra Diocesi senza il permesso del titolare della Diocesi cui la chiesa appartiene (6) -
Un Vescovo non può delegare la consacrazione di una chiesa ad un altro sacerdote che non ricopra la dignità episcopale (7) -
I Regolari hanno il privilegio di benedire solennemente le proprie chiese per potervi celebrare le Messe come se fossero state consacrate da un Vescovo (8) -
Inoltre i Regolari hanno il privilegio di far consacrare le loro chiese da qualunque Vescovo rutte le volte che il loro Vescovo diocesano, da loro richiesto secondo la giusta normativa, non abbia volto procedere alla consacrazione o l'abbia procrastinata per oltre quattro mesi (9) -
Siffato privilegio non è stato cassato dai deliberati del Concilio di Trento (10) -
Le chiese possono consacrarsi in qualsiasi giorno, anche non festivo (11) -
La consacrazione tuttavia non può avvenire se non nel contesto di una Messa (12) -
In ragione di ciò pecca il Vescovo che proceda alla consacrazione senza la celebrazione di una Messa (13) -
La consacrazione tuttavia conserva la sua validità (14) -
Le Cattedrali e le Parrocchiali dotate di più altari nelle città si devono consacrare entro un anno e nella Diocesi entro un biennio dopo che siano state restaurate (15) -
La chiesa che sia già stata consacrata non può poi esserlo una seconda volta (16) -
Però, ignorandosi od anche dubitandosi se sia stata davvero consacrata, è necessario procedere alla sua consacrazione (17) -
Non è però da consacrarsi una chiesa prima che si sia provveduto alla sua dotazione (18) -
Risulta di fatto sconsacrata una chiesa che totalmente o per la maggior parte sia andata distrutta e quindi sia stata riparata: in tal caso necessita di nuova consacrazione (19) -
Al contrario una chiesa che sia stata restaurata poco per volta nel tempo nelle sue parti ma abbia continuato a servire i fedeli non deve esser riconsacrata anche se a fine lavori l'edificio non conservi più alcuna traccia dei materiali con cui fu fatta la primigenia fabbrica (20) -
In tale eventualità risulta sufficiente che la parte nuova, volta per volta, venga esorcizzata con acqua benedetta (21) -
Nel caso che non tutta la chiesa e neppure la sua maggior parte sia stata rifatta, ma solo una porzione minore come per esempio il tetto non essendo state toccate le pareti, non sussisterà esigenza di nuova consacrazione (22) -
Trattandosi di chiesa distrutta da un incendio in modo tale che totalmente le pareti interne sian state del tutto o per la maggior parte devastate e rovinate, per quanto non corrano pericolo di precipitare o ruinare, deve provvedersi a nuova consacrazione (23) -
Nel caso di ampliamento d'una chiesa preesistente, risultando la parte nuova minore della primigenia, non occorrerà riconsacrazione ma basterà aspersione di acqua benedetta sulla parte nuova (24) -
Al contrario nel caso di ampliamento d'una chiesa preesistente, risultando la parte nuova maggiore della primigenia, sarà allora doveroso procedere ad una riconsacrazione (25) -
Son molti i casi in cui una chiesa risulta profanata ed abbia bisogno di esser purificata. Il caso per eccellenza si verifica quando in essa si sia versato molto sangue umano in dipendenza di una volontaria, ingiuriosa e peccaminosa azione(26) -
Il sangue sparso, perchè la chiesa risulti profanata, deve però essere umano (27) -
La chiesa risulta profanata sia che si sia sparso sangue proprio che sangue d'altri (28) -
Ma perchè si attui tale profanazione lo spargimento di sangue deve essere considerevole (29) -
Una chiesa non risulta profanata se non è scorso sangue anche se al suo interno qualcuno con estrema violenza abbia bastonato altra persona (30) -
E' anzi doveroso precisare che non sussiste profanazione anche se è scorsa gran quantità di sangue ma giammai in dipendenza di una peccaminosa e grave aggressione: se infatti l'aggressione sarà stata di lieve entità ma per caso il sangue versato sarà stato molto non si dovrà parlare di profanazione (31) -
Nel caso però di un'epistassi nasale abbondante dovuta a violenti percosse tra giovani di oltre quattordici anni sussisterà profanazione (32) -
Comunque perchè esista profanazione è sempre necessario che ciò accada in dipendenza d'una azione volontaria (33) -
Ed ancora per causar profanazione lo spargimento di sangue deve dipendere in ogni caso da un'aggressione ingiuriosa (34) -
Ed ancora per causar profanazione è obbligatorio che lo spargimento di sangue abbia la sua causa all'interno della chiesa (35) -
Il secondo caso di profanazione d'una chiesa è quando vi si perpetra un omicidio volonario ed ingiurioso, anche senza spargimento di sangue, sia riguardo a sè sia riguardo ad altri (36) -
Perchè si verifichi profanazione della chiesa è necessaria la perpetrazione di un omicidio volontario ed ingiurioso giacché in occasione d'un omicidio casuale o fatto senza intenzione di ingiuriare ma solo per propria legittima difesa non si può parlare di profanazione (37) -
Una chiesa si profana per la morte perpetratavi a danno d'un reo anche se sentenziata da un giudice (38) -
Al contrario la chiesa non risulta profanata se il medesimo giudice o qualunque altro giusdicente dal tetto o dalle pareti della medesima chiesa faccia sospendere o impiccare un uomo colpevole (39)<
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Se qualchuno esternamente alla chiesa riceva una ferita mortale e quindi muoia per tale ferita all'interno della chiesa non è da ritenersi che per ciò la chiesa risulti profanata.Lo sarà invece se i fatti si svolgeranno al contrario di quanto appena detto (40) -
Se qualcuno, stando all'interno della chiesa, ucciderà qualcuno che invece risuletrà trovarsi al suo esterno, la chiesa stessa non risulterà profanata: anche qui se i fatti si svolgeranno al contrario sussisterà invece profanazione (41) -
Si propongon e si risolvono alcune obiezioni (da 42 a 43) -
Sussisterà profanazione della chiesa se qualcuno al suo interno, per difesa della fede, verrà ucciso o martirizzato (44) -
Il terzo caso per cui una chiesa risulta profanata si riscontra quando del liquido seminale umano, criminosamente e volontariamente, viene sparso al suo interno: e ciò in ogni caso, che il liquido seminale sia di uomo o donna, di eretico o di infedele (45) -
All'opposto la chiesa non risulta profanata se lo spargimento del liquido seminale avviene durante il sonno (46) -
Parimenti non sussiste profanazione nel caso della eiaculazione che qualcuno abbia contro la sua volontà per costrizione o nel caso si tratti di dispersione di sangue mestruale femminile (47) -
Una chiesa non risulta profanata per lo spargimento, anche volontario, di liquido seminale qualora ciò avvenga sul tetto della chiesa stessa o nei suoi sotterranei, in qualche caverna o cella, o coro, sacrestia, campanile, tribuna e confessionale siti esternamente al corpo della chiesa (48) -
La chiesa viene invece profanata se vi avvenga un carnale congiungimento coniugale senza una necessità assoluta (49) -
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Il quarto caso di profanazione d'una chiesa si verifica allorquando in essa si seppellisce, contro la normativa, qualche scomunicato od infedele (51) -
Ed avviene profanazione se il cadavere sepolto è quello di qualsiasi infedele, anche se trattasi di infante. Anzi, con probabilità, la stessa profanazione avviene pure se la sepoltura riguarda un unfante non battezzato seppur figlio di genitori fedeli (52) -
uest'ultima questione è però dibattura: e può esser probabile anche una sentenza contraria, di non profanazione, in merito alla sepoltura d'un infante non battezzato ma figlio di genitori di pura fede cattolico-cristiana (53) -
Qualora in una chiesa siano stati inumati degli eretici nominalmente mai denunciati seppur conosciuti non si ritiene che la sacra fabbrica sia stata profanata(54) -
Parimenti la chiesa non è da giudicarsi profanata venendovi sepolto un individuo morto in duello ma mai denunciato (55) -
Tutti i summenzionati casi di profanazione hanno vigore se pubblicamente avvenuti o resi di pubblica conoscenza (56) -
se tali casi in origine siano rimasti ignoti ma poi siano diventati pubblicamente notori la chiesa è da ritenersi profanata dal momento in cui si ebbe esatta conoscenza dei fatti: di conseguenza la chiesa deve essere riconsacrata (57) -
Effetti della violazione di una chiesa (58) -
Se qualcuno in una chiesa pubblicamente profanata celebra una Messa o tratta gli Uffici Divini od ancora seppellisce un defunto pecca mortalmente e però non lo si fa irregolare né lo si sospende (59) -
Qualora un sacerdote solo in forza del sacramento della Confessione sappia che la chiesa sia stata profanata potrà continuare lecitamente a celebrare in essa e non sussisterà obbligo d'alcuna riconsacrazione (60) -
Quando nel corso della celebrazione d'una Messa una chiesa viene pubblicamente profanata se tale profanazione risuletrà avvenuta prima del Canone sarà subito da far cessare il sacrificio: cosa non da farsi se ciò accadrà dopo il Canone (61) -
Venendo profanata una chiesa lo risulterà anche il cimitero ad essa contiguo: cosa che non avverrà sorgendo lontano da essa il cimitero stesso (62) -
Al contrario venendo profanato il cimitero, seppur contiguo alla chiesa, la profanazione non sarà da intendersi estesa anche a quest'ultima (63) -
Verificandosi il caso che esistano due o più cimiteri ma che uno solo venga profanato, siffatta profanazione non dovrà ritenersi estesa dall'uno all'altro cimitero pur se tramite una porta i due risultino in comunicazione diretta(64) -
La purificazione di una chiesa profanata nel caso che precedentemente sia stata consacrata non può avvenire se non per opera del Vescovo diocesano o, su consenso di quest'ultimo, per opera di un altro Vescovo: e bisogna precisare che al Vescovo diocesano non è concesso delegare alcun altro semplice sacerdote.
(65) -
In merito a quest'ultima considerazione si riproducono qui vari Decreti (66) -
Solo per previlegio o commissione del Sommo Pontefice la purificazione d'una chiesa profanata può avvenire ad opera di un semplice sacerdote (67) -
Ai Prelati Regolari spetta il privilegio di purificare le chiese profanate, a loro soggette, anche se sian state prima consacrate, tramite l'aspersione d'acqua benedetta da loro stessi: e ciò nei casi che il Vescovo sia lontano oltre due diete o che debbano avvalersi d'acqua benedetta dal Vescovo stesso (68) -
Di detto privilegio di purificare le loro chiese con acqua per essi benedetta vale non solo quando la Sede Ordinaria Episcopale dista oltre due diete ma anche quando il Vescovo parimenti è lontano per qualche sua motivata assenza oppure non è reperibile per sua morte, rinuncia, deposizione, esilio e simili cose (69) -
Si precisa qui che ogni "dieta" corrisponde alla misura di "20 miglia italiane" (70) -
Allorquando la chiesa profanata non sia stata consacrata ma soltanto benedetta, può venir purificata ad opera di qualsivoglia semplice sacerdote per semplice aspersione d'acqua lustrale (71) -
Non sussiste esigenza che l'acqua, per purificare una chiesa non consacrata, sia stata benedetta dal Vescovo (72) -
Si consacri e si purifichi il cimitero secondo le stesse modalità e dalie stesse persone, per cui risulta esser stata consacrata e purificata la chiesa (73) -
Nuove Aggiunte di mano diversa rispetto a quella dell'autore -
ARTICOLO V - VOCE ECCLESIA - SOMMARIO -
Paragrafi 1 - 36: precedenze, privilegi, divieti durante le funzioni e le solennità -
Il Vescovo per giusta causa può spostare ad altro giorno più congruo onde evitare la conconcorrenza di altri offici la festa della consacrazione della chiesa (37) -
Le chiese possono essere intitolate ai Santi dell'Antico Testamento (38) -
Di norma è consentito suonare musica nella chiesa attenendosi alla normativa qui citata nel testo (39) -
Il Vescovo secondo la Costituzione di Alessandro VII del 23 aprile 1657 può sancire che nella chiesa con accompagnamento musicale si cantino solo composizioni sacre, di devozione ed ecclesiastiche (40) -
Il Vescovo in forza del Decreto del Concilio di Trento c. 8, sess. 22, de celebrat. Miss. può proibire, salvo che non sussista contraria consuetudine, che nelle chiese e nei pubblici oratori si cantino e si accompagnino con musica composizioni in vernacolo, anche qualora si tratti di canzoni di contenuto spirituale (41) -
Il Vescovo non può impedire ai Musici e/o agli Ufficiali delle Chiese di cantare con accompagnamento musicale se non dopo aver prima convocato il Maestro della Cappella dell Cattedrale(42) -
Per Decreto generale della Sacra Congregazione Episcopale si tollera la musica nella parte esterna delle chiese delle monache, laddove sussita tale locale consuetudine; non è invece tollerato ciò nei luoghi in cui l'usanza non è praticata né si ritiene di doverla concedere ex novo (43) -
Per rispetto della chiesa si ritiene di poter far allontanare operai ed artigiani che nei pressi dell'edificio vadano strillando scompostamente: parimenti si possono allontanare persone infami e sordide in grado di disturbare la pratica dei divini uffici. In nessuna casa contigua alla chiesa debbono trovarsi taverne ed alberghi atti ad ospitare persone atte all'uso di armi,commedianti e persone di tale genere. Come dettano i titoli qui registrati non possono risiedere meretrici presso la chiesa nè presso un monastero di monache ed è lecito allontanarle, comprese quelle che abitano non vicino alla chiesa o convento ma anche solo sulle vie che ad essa portano (44) -
Non è consentito costruire stalle contigue alla chiesa perché in ragione del fetore e dello strepito fatto da cavalli ed altri animali ivi custoditi si porterebbe vergogna alla pratica del culto (45) -
Di norma è consentito suonare musica nella chiesa attenendosi alla normativa qui citata nel testo (46) -
Di conseguenza compete ad ogni chiesa il privilegio di far sistemare altrove stalle od altri locali sordidi sia a ragione del fetore che delle cose sordide e dell'immondizia, che è sempre necessario stornare dall'ingresso della chiesa (46) -
In dettaglio se sopra una stalla, contigua alla chiesa, si è costrutto un fenile esso è subito da rimuovere per l'irreparabile pregiudizio e per il pericolo di possibili incendi (47) -
A completamento di queste riflessioni si propone qui una Enciclica di Papa Clemente XI nella quale a Patriarchi, Arcivescovi, Vescovi ed altri Ordinari d'Italia e delle Isole si raccomanda particolarissima cura delle chiese (48) -
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Testo in italiano; incipit = biasimo per il degrado di molte chiese che dovendo esser "Case di Orazione" paion ridotte a "Case di libertà e peccati" -
Segue l'invito a tutti i prelati di esaminare la presente Enciclica e le pregresse per "restituire alla Casa di Dio la riverenza ed il rispetto che l'è dovuto" -
I - Invito a valersi di Prediche, Sermoni, Editti e Lettere Circolari per richiamare la popolazione al rispetto delle chiese, minacciandosi sanzioni divine" -
II - I Confessori saranno invitati ad ammonire in tal senso i penitenti" -
III - In particolare le donne dovranno entrare nelle chiese vestite decorosamente e con modestia, rinnegando abiti ed acconciature provocanti, cose tutte idonee a suscitare pensieri ed atti peccaminosi -
IV - Non si conceda più agli uomini di sedersi mescolati alle donne ma per i due sessi si impongano spazi distinti: nè si conceda ad uomini e donne di intrattenersi nelle chiese in conversazioni che possano esser fonte di "indecente comunicazione" -
V - Anche invocando l'ausilio del Braccio Secolare si faccia in modo di allontanare dalle chiese adunanze che comportino strepiti od addirittura comportino trattative d'affari: in più si badi che coppie dei due sessi furtivamente non amoreggino in luogo sì sacro -
VI - Si vigili che al Sacrificio della Messa i fedeli assistano compiutamente sia nello spirito che negli atteggiamenti -
VII - Gli Ecclesiastici diano per primi l'esempio mai comportandosi negligentemente e in modo da scandalizzare i fedeli -
VIII - Siffatta modestia di Ecclesiastici e fedeli si tenga durante le Processioni evitando "discorsi vani e portamenti indecenti" -
IX - Ed ancor più s'invigili durante "le processioni in cui si porta il Santissimo Sacramento, o nelle Feste Solenni, o il Santo Viatico a gli Infermi" -
X - le feste e Solennità si celebrino con modestia e senza spettacoli, conviti esagerati e profane manifestazioni: tutto si svolga nel rispetto formale e cronologico dei Sacri Riti e delle Rubriche. Si badi che alle ore 24 cessino tutte le Funzioni e le chiese vengano chiuse ai fedeli -
XI - Violandosi il precedente punto le Feste potranno venir abolite e le chiese inadempienti potranno esser colpite da Interdetto -
XII - Minacciando severe pene si inibisca a Poveri e Mendicanti di entrare in chiesa, durante il culto, chiedendo l'elemosina agli astanti fedeli -
XIII - Spetti ai Parrochi vigilare sul rispetto di tutti i punti sopra scritti: i negligenti saranno denunciato al loro tribunale e giustamente castigati se mancanti -
XIV - Spetti lo stesso compito ai Superiori Regolari che, se negligenti, potranno anche sser denunziati alla Sacra Congregazione sì da esser privati dei loro Uffici od anche puniti con pene più severe -
EXPLICIT - FIRME - ROMA 26 LUGLIO 1701 -
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Non si possano tenere nelle chiese giuochi teatrali (49)-
Sia altresì proibito che vi avvengano Rappresentazioni o Commedie sia profane che sacre: quanti ne abbiano dato il permesso siano puniti. (50)
In merito a rappresentazioni pie capaci di elevare gli animi i pareri degli interpreti non sono sempre concordi (50)-
In relazione a ciò la Sacra Congregazione suole però concedere la licenza però a queste condizioni (50 continuazione):
I - Che le rappresentazioni si tengano esternamente alla chiesa-
II - Che gli "attori" siano sacerdoti o chierici od altri pii uomini-
III - Che le rappresentazioni si tengano di giorno e mai di notte-
IV - Che l'Ordinario abbia prima visionato ed approvato i contenuti-
V - Che ogni cosa avvenga piamente senza suscitar scandali-
Nuove aggiunte di mano diversa da quella dell'autore-