DOMINIO DI GENOVA

Il DOMINIO GENOVESE DI TERRAFERMA (dall'unificazione della Liguria ed in particolare dai secoli XV-XVI a quasi tutto il XVIII) non comprendeva la CORSICA, considerata come una dipendenza, e le colonie medio-orientali (come l'antica base di CAFFA).
Nella complessità della sua AMMINISTRAZIONE (e tenendo conto che l'appellativo di CITTA' spettava solo a GENOVA, il territorio del DOMINIO era indicato con la formula DA CORVO A MONACO, DAI GIOGHI AL MARE: limiti estremi della RIVIERA DI PONENTE e della RIVIERA DI LEVANTE (oltre ai limiti di di settentrione e meridione della giurisdizione della Repubblica ed eslcuse le colonie e la CORSICA: particolare oculatezza risiedeva poi nell'indicare l'area strategica di LERICI nell'ESTREMO LEVANTE e l'ISOLA DI CAPRAIA) mentre è facile l'identificazione di MONACO meno nota è quella del CORVO, un sito di non grande rilievo a ponente del Magra.
Il DOMINIO passò quindi attraverso varie trasformazioni, dalla STRUTTURAZIONE QUATTRO-CINQUECENTESCA in cui si mescolavano glorie ed onori impensabili sin a quella TARDA (queste due carte sono recuperate e quindi informatizzate dal volume di C. Costantini, La Repubblica di Genova nell'età moderna vol. IX in "Storia d'Italia", Utet, Torino, 1978) poco prima della "Rivoluzione Francese", quando il territorio venne suddiviso nella serie di "strutture amministrative" di cui la carta riproduce la completezza, secondo la ricostruzione di G. Felloni [in parte errata, a volte di fantasia ma bellissima resta tuttavia una GRANDE CARTA SEICENTESCA DEL DOMINIO opera nel 1608 del Vrints e da questi dedicata al nobile genovese Antoniotto Sivori].
Verso la fine del '600 e per tutto il XVIII secolo venne dodificata una sofisticata procedura di PUBBLICI ONORI che erano dovuti ai massimi esponenti del Governo genovese, del suo apparato militare e di tutto il complesso burocratico: il loro studio può essere un utile contributo per la conoscenza, su scala regionale, delle convenzioni sociali e pubbliche che governarono la Liguria verso la fine del Dominio della Serenissima Repubblica.





Franco Monteverde nel suo saggio Le dinamiche demografiche (pp.513-544) del volume miscellaneo dedicato dalla Einaudi di Torino alla LIGURIA giustamente precisa che i riferimenti sulla demografia ligure sono limitati e che qualche dato globale si ottiene solo dal XVI secolo in relazione sia alla caratata del 1531 che alla Descrizione del Giustiniani.
Dopo di ciò l'autore menziona la Relazione Senarega (verso la fine del '500) ed ancora i censimenti del 1607 e del 1777.
A riguardo delle sparse documentazioni cui allude il Monteverde, a proposito dell'estremo Ponente ligustico, si può citare un censimento provenzale o meglio un FOCATICO del XIV secolo [in qualche modo ancora più interessante se confrontato, per quanto concerne sempre l'ESTREMO PONENTE (in pratica il vasto CAPITANATO DI VENTIMIGLIA), con i dati di un PUBBLICO PARLAMENTO DEGLI UOMINI DI VENTIMIGLIA E VILLE].
Si tratta di uno fra i primi documenti in cui, scientificamente, la popolazione analizzata risulta distinta per FUOCHI.
Col termine FUOCO si indica il corrispondente numerico e statistico di FAMIGLIA (NUCLEO DI FAMIGLIA) vale a dire l'"unità di misura" di ogni computo demografico e lo stesso autore tiene a precisare che mediamente in LIGURIA si tratta di FUOCHI di modeste dimensioni e, ad integrazione del suo assunto, elenca tra le ragioni che contribuiscono a limitare la consistenza dei fuochi "...aborti, alta mortalità infantile, emigrazione, formazione di nuovi nuclei familiari, abbandono dei piccoli, molto frequenti come pratica sostitutiva dell'infanticidio" [comunque praticato seppur relegato nella sfera della magia nera] "scoraggiano la formazione di fuochi estesi"].
Su queste conclusioni una ratifica può essere fornita dall'analisi della filza 1076, in Sala Senarega dell'Archivio di Stato di Genova, voce Senato ove in merito al CENSIMENTO del 1536 si legge:
VENTIMIGLIA 1532 FUOCHI = 6573 ANIME (MEDIA 4,7 ANIME PER FUOCO)
VALBISAGNO DA BOASI A NERVI 3683 FUOCHI E 18265 ANIME (MEDIA 5,0 ANIME PER FUOCO)
VALPOLCEVERA DA SANT'OLCESE A SESTRI CON 5266 FUOCHI E 25220 ANIME (MEDIA 4,8 ANIME PER FUOCO)
Assumendo come punto di comparazione il CAPITANATO DI VENTIMIGLIA si può proporre, per un confronto, un DOCUMENTO DEL 1629 intitolato Descrizione dei luoghi e terre appartenenti alla Serenissima Repubblica di Genova, con dichiarazione degl'introiti ed esiti spettanti alla medesima, compilato d'ordine de' Supremi Sindicatori.
Giova rammentare che la RELAZIONE DEL 1629 fu in qualche modo anticipata da quanto scrissero Gio. Antonio Magini e Ippolito Landinelli nella loro Descrizione dei Luoghi e Terre appartenenti alla Serenissima Repubblica di Genova secondo cui la consistenza demica del Capitanato di Ventimiglia sarebbe ammontata a 1530 FUOCHI per una POPOLAZIONE DI 7000 ANIME: di conseguenza con un'estensione media di ogni singolo FUOCO per 4,58 UNITA' Dal computo numerico si evince che al cadere del primo trentennio del XVII secolo la popolazione del CAPITANATO DI VENTIMIGLIA conta 1516 FUOCHI per una POPOLAZIONE DI 6614 ANIME (e conseguentemente con una desità media dei FUOCHI di 4, 36 ANIME): confrontando questi dati con quelli del CENSIMENTO DEL 1536 si evince in pratica un certo IMMOBILISMO DEMOGRAFICO.
Mentre tra XVII e XVI secolo la POPOLAZIONE risulta quindi NUMERICAMENTE STABILE, con oscillazioni relative, nel XIV secolo (tenendo conto del Focatico provenzale sopra riprodotto) la COMPONENTE DEMOGRAFICA dell'AGRO DI VENTIMIGLIA risulta compressa.
Effettivamente dal FOCATICO non si deduce il numero dei componenti dei FUOCHI ma è altresì vero che questi ammontano globalmente a 859: il che significa che anche attribuendo ad ogni FUOCO la massima estensione finora riscontrata tra XVI e XVII secolo (vale a dire di 4,58 UNITA') si ottiene una popolazione globale di 3934 (3935) PERSONE.
Parimenti è vero che il FOCATICO non riporta i dati su AIROLE e soprattutto su LA PENNA (PIENA).
Nel XIV secolo però AIROLE era semideserta in quanto POSSEDIMENTO DELLA CERTOSA DI PESIO: è fuor di dubbio che LA PIENA, per quanto popolosa, non doveva avere una POPOLAZIONE numericamente troppo discordante dai dati di XVI-XVII secolo sopra riportati.
Sottraendo ai dati globalmente acquisiti il numero di abitanti di PIENA e di AIROLE si ottiene comunque, per i dati acquisibili, la seguente evoluzione statistica tra i caposaldi conosciuti di XIV e XVII secolo:
- XIV SECOLO (anno 1340-'41) AGRO DI VENTIMIGLIA (esclusa PENNA)= 859 FUOCHI = 3934 (3935) PERSONE.
- XVII SECOLO (anno 1629) AGRO DI VENTIMIGLIA (esclusa PENNA)= 1338 FUOCHI = 5629 PERSONE.
La semplice visualizzazione di questa TABELLA permette di dar credito, anche su scala locale del "Capitanato intemelio", a quanto scrive FRANCO MONTEVERDE (p. 519): "Nella seconda metà del XVI secolo la popolazione in tutta l'Europa, compresa Genova torna ad aumentare; ma poiché le disponibiltà alimentari non si accrescono, si ripropone la minaccia di nuove crisi che possono fare da battistrada alle pestilenze. Per far fronte a questo pericolo la nobiltà ritiene opportuno contenere l'emigrazione...L'immigrazione viene consentita solo per alcuni mestieri particolari, come i camalli della compagnia dei caravana o i naviganti, o i massacaen, gli addetti all'edilizia...".
Analizzando invece la SITUAZIONE DENUNCIATA DAL FOCATICO PROVENZALE DEL 1340 si evince una sorta di prolusione alla CRISI DEMOGRAFICA DI XIV - XV SECC. preparata da forme di CARESTIA e di EPIDEMIA che saranno destinate a sublimarsi in quella PESTE DEL 1348 che inciderà fortemente sulla DECADENZA DEMOGRAFICA DEL GENOVESATO (sin a dimezzarne la popolazione): per quanto manchino dati in merito è quindi supponibile che anche il TERRITORIO DI VENTIMIGLIA abbia risentito di un CALO CONSISTENZA DI ABITANTI, potremmo dire sin alla cifra, grossomodo, 2100 / 2000 RESIDENTI, che si computi o non la POPOLAZIONE DI LA PENNA.
Peraltro dallo stesso FOCATICO si ricava l'idea di una progressiva contrazione demografica: basti evidenziare la desertificazione di quella che doveva essere una VILLA RURALE.
A monte di questa situazione il Monteverdi (p. 519 sgg.) rammenta che all'ispirazione sostanzialmente NATALISTA dell'aristocrazia genovese nel medioevo succede dal XVI secolo una globale postulazione MALTHUSIANA quindi incentrata sul teorema del CONTROLLO DELLE NASCITE.
















In epoca medievale DONNE NOBILI risultavano meglio nutrite, contraevano matrimonio abbastanza presto, raggiungevano prima la pubertà e, entrando dopo in menopausa, in forza di una superiore appetibilità sessuale, risultavano più fertili e prolifiche delle popolane.
Secondo l'autore, alla radice di una superiore salvaguardia della loro femminilità, le donne liguri e soprattutto genovesi di ambito aristocratico sin dall'epoca medievale potevano vantare l'affidamento (comunque non esente da storiche opposizioni e sospetti) della prole all'opera di balie e nutrici sì da godere di una invidiata libertà sessuale.

Il Monteverde (p. 520), trattando della SESSUALITA' DELLA DONNA LIGURE DELL'ETA' INTERMEDIA indugia quindi sull'argomento mai semplice della CONTRACCEZIONE nel Medioevo e nell'età intermedia: pratica di cui non nega l'esistenza pur ritenendola principalmente esercitata nell'ambito del mondo, assolutamente irregolare, di cortigiane e prostitute.
L'autore giustamente sostiene che all'epoca la base principale della CONTRACCEZIONE SPECIE SE IN QUALCHE MODO FARMACOLOGICA COME IN EPOCA PAGANA si doveva identificare nell'esercizio di presunte PRATICHE DI MAGIA sin a portare alla perigliosa equazione "DONNA CHE PRATICA LA CONTRACCEZIONE = DONNA PAGANA = DONNA STREGA".
La sostanziale ma non ufficiale condanna della Chiesa cattolica romana avverso l'usanza, già in antico non ignota, di CONTRACCETTIVI MECCANICI (PROFILATTICI - PRESERVATIVI) non ne vanificò però del tutto la fruizione, per quanto empirica, e a dire il vero proprio un medico italiano ne ripropose l'USO quale fondamentale barriera contro l'insorgenza di malattie epidemiche e veneree.
Il Monteverde (p.520) nel vagliare l'essenza in qualche modo sociologica e filosofica del CONTROLLO DELLE NASCITE sembra urtare con un puritanesimo di fondo e quasi per non inficiare la nitidezza delle sue postulazioni si destreggia, peraltro abilmente, in riflessioni però inutilmente "auliche": giudica, con giustezza, difficilmente utili le PROCEDURE CONTRACCETTIVE affidate a qualche TECNICA ERBORISTICA od all'"abilità" di qualche MAMMANA ma si guarda dal fissare gli estremi del problema.
E, senza dubbio, gli estremi del problema, se analizzati in chiave puritana, possono anche sconvolgere.
E tuttavia le interpretazioni ecclesiastico-inquisitoriali in merito alle DIABOLICHE OSCENITA' (come l'ACCOPPIAMENTO PER VIA ANALE) alimentate dalla vastissima letteratura canonica sulla MAGIA NERA E STREGONESCA senza dubbio interagiscono con varie considerazioni del DIRITTO DELL'ETA' INTERMEDIA.
Ad esempio gli stessi STATUTI CRIMINALI di Genova del 1556, seppur fra diverse ambiguità, affrontano in un loro SPECIFICO SPAZIO il basilare quesito sulla complessissima realtà della SODOMIA in cui subdolamente rientrava il tema della OMOSESSUALITA' e specificatamente il tema non tanto della OMOSESSUALITA' FEMMINILE MA IN PARTICOLARE DEL TRIBADISMO
come ricerca fra donne del raggiungimento del massimo piacere possibile senza il rischio, per l'assenza di un partner maschile, del concepimento.







La parola condom (così è conosciuto il profilattico in inglese) probabilmente deriva dal latino condus, che significa "recipiente".
Secondo un'altra teoria il profilattico d'intestino è stato inventato da un medico militare inglese, il colonnello Quondam, e condom sarebbe un'alterazione del suo nome.
Il profilattico non è un'invenzione recente.
L'uomo ha sempre cercato di difendersi dalle malattie veneree e dalle gravidanze indesiderate.
Nell'antico Egitto si usava la tela di lino, mentre i cinesi arrotolavano sottili foglie di carta imbottite d'olio attorno al pene.
I giapponesi ricorrevano ai profilattici fatti col carapace delle tartarughe, mentre gli antichi romani preferivano la vescica di capra.
Dopo il lungo periodo medievale in cui, anche per la dottrina della Chiesa cattolica romana, l'uso dei contraccettivi meccanici era pericolosamente sospettato di peccato se non di connessioni demoniache in forze di cedimenti alle lussurie del Sabba una svolta epocale si ebbe verso il 1564 quando il medico italiano, Gabriele Falloppio, nel suo libro sul Morbo Gallico descrive una procedura sicura contro la sifilide.
Sarebbe bastato utilizzare una guaina di lino bagnata in una soluzione di sale ed erbe per evitare l'infezione.
Il medico sostenne di aver condotto un esperimento su più di 1000 uomini, dei quali nessuno avrebbe contrattato la sifilide grazie appunto allo speciale profilattico inventato da lui.
Nel 1800 si prese quindi ad utilizzare l'intestino di agnello o capra e persino la seta per produrre profilattici.
Questi venivano fissati al pene con un nastro che si trovava al lato dell'apertura ed erano (pericolosamente) riutilizzati.










L' economista inglese THOMAS R. MALTHUS (1766-1834) è legato al saggio sugli effetti dell'incremento della popolazione [Saggio sulla rendita (1815)] ove sostenne che la crescita della popolazione, non trovando riscontro in un uguale aumento delle sussistenze alimentari, avrebbe provocato in breve tempo un collasso socio-economico dell'intero sistema.
Ha ragione il Monteverde (p.522, nota 41) laddove afferma che proprio un detto ligure ben sintetizza la propensione malthusiana della gente ligure: "Chi n'ha un n'ha nisciun, chi n'ha dui n'ha un, chi n'ha trei g'ha un diau pè in davvei" (cioè: "Chi ha un figlio non ne ha nessuno, chi ne ha due ne ha uno, chi ne ha tre ha un diavolo per davvero").
Il proverbio tramanda nel vissuto una visione esistenziale ispirata al controllo delle nascite che si scontra con quella NATALISTA propra di ambito toscano e veneto, peraltro ribadita dall'elaborazione del citato proverbio:"Chi n'ha due n'ha uno e chi n'ha uno n'ha punti" - "Chi n'ha do ghe n'ha un, chi ghe n'ha un, n'ha nissun").
A. Greppi al proposito scrive:"Al contrario di quanto appare nello studio della popolazione di Ginevra, dove il fenomeno della limitazione delle nascite comincia a verificarsi a partire nelle generazioni successive al 1650, nelle famiglie di Genova questo fenomeno appare già nelle generazioni anteriori al 1600, ed è del tutto simile a quanto avviene nelle popolazioni recenti" (Indagine demografica nell'aristocrazia genovese nei secoli XVII e XVIII, tesi di laurea, Genova, a. a. 1990, p. 131).
J. Favier, l'oro e le spezie, Milano, 1990, p. annota quindi: "La borghesia di affari che ricorre meno frequentemente dell'aristocrazia feudale a quelle due risorse del cadetto che sono la Chiesa e il servizio come soldato stipendiato, pratica comunque il malthusianesimo di chi non intende dividere né il patrimonio né i vantaggi professionali".
Genova costituisce certo l'iperfenomeno ligure ed al proposito scrive il Monteverde (p.522):"...mentre in popolazioni a scarsa densità il sistema parentale guida la scelta del coniuge e il numero dei figli, in quelle ad alta densità prevale l'autonomia delle coppie. Sicché nei sestieri di una città che soffre una densità abitativa senza eguali nell'area mediterraneo esistono le condizioni che sollecitano le coppie dei ceti popolari de maìnna, ossia della costa a non aggravare ulteriormente una situazione già così drammatica".
Per quanto concerne il PONENTE LIGURE, il Capitanato di Ventimiglia testimonia quel consolidamento di un'interpretazione malthusiana della vita propria della Liguria marittima: anche nel contesto di questo capitanato di costa finisce per assistersi al sempre minor numero di seconde nozze soprattutto di vedove aristocratiche (avvenivano invece più frequentemente le seconde nozze di vedovi seppur obbligati a pagare la folklorica tassa del chiarivari), l'incitamento dei figli, sia maschi che femmine, a prendere il celibato religioso (monacazione forzata o non), ed ancora la tarda emancipazione dei figli maschi specie di contesto nobiliare e tenendo conto comunque sia del trattamento dei figli cadetti ritardato conseguimento, in confronto alla situazione odierna, della maggiore età.
In merito a ciò P. L. Levati (I dogi di Genova, 1914, p.133) ha riporato la seguente osservazione:"Molti primogeniti differiscono tanto ad ammogliarsi che vengono a un perpetuo celibato...mai pressano la mano a maritarsi di alcuno dei loro fratelli, tal che si vedono molte case numerose di maschi, terminare in quell'istessa generazione senza successione alcuna".
Il Monteverde (p.523 e nota 46), onde segnalare una possibile interferenza negativa sui temi della contraccezione e del controllo delle nascite a partire dal XVI secolo scrive:"Con il Concilio di Trento la Chiesa a proposito della contraccezione impone penitenze più pesanti se essa viene consumata all'interno del matrimonio, più leggere se fuori di esso".
Per intendere la logica dei FLUSSI DEMOGRAFICI dal XVI secolo può essere utile valutare la rinnovata postazione della Chiesa postridentina ed analizzare il CANONE CONCILIARE che appunto affronta e svolge il delicatissimo tema del MATRIMONIO.
A riguardo di siffatto CANONE, oltre al sostanziale CAPITOLO VIII che risulta connesso con un'esplicita condanna del concubinaggio e di ogni forma di licenza sessuale volta al solo soddisfacimento sessuale, risulta interessante valutare le sanzioni in merito a: precetti del matrimonio: obblighi di parroci, testimoni, sposi ecc. (cap. I) - proibizione di contrarre matrimonio per affinità di parentele (cap.II-V) - matrimonio riparatore: sponsali tra rapitori e rapite (cap.VII) - imposizione coatta di matrimonio - tempi leciti per gli sponsali.
La LEGGE DI GENOVA per parecchi versi, quasi nello stesso tempo, recupera più o meno autonomamente siffatte postulazioni: a precindere dalla terribile severità sancita contro i profanatori dell'istituto della famiglia (cioè gli ADULTERI) lo Stato rivela molteplici convergenze con le sanzioni proposte dalla Chiesa e soprattutto in merito all'atteggiamento da tenersi tanto per i MATRIMONI CLANDESTINI
quanto al tipo di OBBLIGHI DOVUTI DA RAPITORI DI DONNE PER RAGIONI SENTIMENTALI E/O SESSUALI.
In secoli come il XVI ed il XVII, caratterizzati ovunque da un clima di violenza, non mancarono peraltro coloro che volendo contrarre MATRIMONIO CLANDESTINO CONTRO LA VOLONTA' DELLE FAMIGLIE obbligarono appunto con la violenza CURATI e PARROCI a presenziare all'affermazione degli sposi.
La CHIESA si interrogò sulla QUESTIONE e pur ritenendo doversi reprimere la COSTRIZIONE esercitata avverso i suoi SACERDOTI dovette riconoscere la LEGITTIMITA' DEI MATRIMONI A SORPRESA, per usare una terminologia manzoniana, come si evince da questo volume di G. B POSSEVINO ove si legge: "Si Parochus, per dolum vocatus, si vi detentus, si casu intersit, & consensum sponsorum expressum, intelligat; etiam si dicat -In hoc matrimonium non consentio- nec illa proferat verba -Ego vos in matrimonium coniungo-. Matrimonium, ex hoc capite, validum erit: solam enim morale praesentiam Synodus Tridentinus Requirit. Vide Sanchez loco citato atque Declarationes Concilii, sect. 3, Declar. 38 & 52 (da tradursi: "Pur nell'evenienza che un Parroco, ingannevolmente chiamato o accidentalmente presente, presenziando alla pubblica attestazione di consenso dei due sposi, abbia espresso la sua opposizione alla sanzione degli sponsali nè abbia pronunciata la frase "vi congiungo in matrimonio", il citato matrimonio, secondo questo capitolo, sarà valido a tutti glie effetti atteso che per esser tale basta del sacerdote la sola presenza morale come ha affermato il Sinodo tridentino e stante sia all'interpretazione, a luogo detto, dello Sanchez e le stesse Dichiarazioni del Concilio di Trento - specificatamente alla sezione II, Dichiarazione 38 & 52").


Nella sua trattazione ancora il Monteverde (p. 524) analizza quindi la graduale affermazione nel DOMINIO GENOVESE la linea comportamentistica della doppia morale.
In particolare nell'ambito dell'alta aristocrazia viene sanzionata dall'usanza sociale (ma risulta altresì sancita negli stessi contratti notarili) la figura del cicisbeo che comporta, con tutti i mascheramenti del caso, un consequenziale, superiore dispiegamento di libertà sessuale e comportamentale, di cui in qualche modo si hanno relazioni moralistiche (non prive di predicatoria condanna) come a proposito di quanto lasciò scritto Angelico Aprosio nel contesto del suo Scudo di Rinaldo II in merito al tema sempre pruriginoso di BALLI E VEGLIE.
Scrive in merito a tutto ciò il citato Greppi: "La crisi della nuzialità si manifesta con un maggior numero di donne e di uomini votati al celibato, con una minore frequenza di seconde nozze; i matrimoni sono sempre più tardivi, nelle famiglie dell'aristocrazia genovese il celibato definitivo aumenta per gli uomini di circa il 28 per cento nelle generazioni anteriori al 1600, a più del 40% nelle generazioni tra il 1650-74".
P.L.Levati (I dogi di Genova, Genova, 1914, p.133) al riguardo (recuperando un giudizio a suo dire espresso nel 1747 da Francesco Doria) scrisse:"Prive di eredi molte casate si estinguono. Tra le molte disavventure della Repubblica, massima al certo è quella di tante famiglie patrizie che si vanno tutto dì estinguendo".
Ancora il Monteverde (p. 524) ha puntualizzato:"Per quasi tre secoli, dalla metà del Cinquecento alla prima metà dell'Ottocento, la popolazione a Genova si stabilizza tra le 50.000 e le 70.000 anime, o le 90.000 se si aggiungono le parrocchie comprese nella nuova cinta muraria della metà del Seicento. Si tratta di circa un quinto della popolazione ligure al censimento del 1607, che risulta di circa 314.000 anime".
Non v'è motivo di dissentire dal Monteverde laddove accusa questo calo demografico ed il susseguente ristagno all'emarginazione commerciale di Genova, priva del resto di un adeguato retroterra: non è un caso che mentre la capitale ligure registra siffatto immobilismo l'olandese Amsterdam che nel XVI secolo contava appena 15.000 residenti, in forza dei commerci atlantici, sia diventata un popoloso centro portuale, ricco ai primi dell'Ottocento di ben 210.000 anime.
Ancora il Monteverde elenca, prendendo a campione alcuni significativi centri del Dominio, lo stagnamento demografico ligustico: in funzione dei dati censiti nel 1799 mentre Genova conta 90.835 residenti Savona (che raggiunse i 15.000 abitanti nel 1608) risulta popolata al 1798 da sole 7.444 persone.
Albenga nel 1809 ha appena 2100 cittadini (cifra realmente irrisoria se si calcola che la località nel 1376 era stata censita per 3300 abitanti).
Parimenti un calo demografico si constata a La Spezia che, coi casali e quindi con Lerici e Portovenere) giunse a contare 12.000 cittadini (solo 3.000 entro la cinta delle mura) che nel 1806 risultano aesser scesi a 10.600.
Le tracce di una ripresa demografica datano comunque proprio dalla fine del XVIII secolo, epoca in cui si raccolgono dati demografici davvero sconsolanti: il recupero dipende da diversi fattori secondo il Monteverde e tra questi, oltre a migliorate dotazioni terapeutico-profilattiche, lo studioso elenca certi progressi agronomici tra cui la coltura del MAIS e l'impianto, in vero non tanto facile, della coltura dei POMI DI TERRA (PATATE)





Ancora il Monteverde (pp. 525 sgg.) scrive:"Già prima degli anni francesi [cioè del passaggio della Liguria alla dominazione francese] il tasso di mortalità in Liguria aveva registrato una netta flessione, tranne che a Genova dove la flessione risulta più contenuta; avevano contribuito sia il miglioramento delle condizioni igieniche ed economiche delle popolazioni, sia la scomparsa della peste e il declino della mortalità infantile, ma non della tubercolosi e dei contagi propri delle città di mare".
Nel medesimo luogo lo stesso autore scrive:"Nei primi anni Ottocento l'intera Liguria viene a far parte della Francia, uno stato centralizzato ed efficiente che propaganda la fecondità quale mezzo per rinsanguare le leve, introduce lo stato civile e il codice napoleonico, sottomettendo così la sfera dei rapporti privati alla politica e sconvolgendo valori e costumanze secolari" come quella antica ma discutibile dei LEGATI E/O LASCITI TESTAMENTARI PER FINI SOCIO-ASSISTENZIALI.
Sulla mortalità (e comunque più estesamente sulla salute pubblica) incidono comunque per tutto il XIX secolo, fra le numerose patologie tradizionali, le epidemie di COLERA.
L'ottocentesca Relazione della commissione sul centro storico di Genova non a caso porta registrato: "Abbiamo ancora un terzo e potente vizio generale alla città il quale contribuisce ad innalzare per noi la media della mortalità, sopra quella di quasi tutte le città d'Europa: vogliamo accennare a quella intricata rete di condotti che, raccogliendo le immondezze delle case, unitamente alle acque del suolo, per versarle nel porto, costituisce un fomite di esalazioni deleterie, avvelenatrici dell'aria che respiriamo e dell'acqua che beviamo".
La Relazione non costituì però fenomeno a sè: essa rientrava in una serie di studi e di proposizioni miranti [dopo secoli di TRASCURATEZZA colpevole e/o ignorante avverso SANITA' PUBBLICA, PREVENZIONE, PROFILASSI E CURA DEI SISTEMI FOGNARI] a migliorare sempre più le CONDIZIONI IGIENICHE non ancora soddisfacenti e causa di problemi vari in MOLTEPLICI CENTRI DELLA COSTA LIGURE DA GENOVA A TUTTO IL PONENTE.
Peraltro non era solo un problema di SCOLO DELLE ACQUE NERE e di adeguate RETI FOGNARIE: molti problemi erano determinati dal RISTAGNO DELLE ACQUE e da varie forme di perniciosi IMPALUDAMENTI, cosa che era ben esemplificata nel PONENTE LIGURE e precisamente nell'AGRO DI VENTIMIGLIA.




In base ad una disposizione testamentaria, registrata il 27-II-1561 negli atti del notaio intemelio Pellegrino Macario (in Archivio di Stato di Genova - Banco di S. Giorgio - Cartulario delle Colonne, SL, 1735, c. 299 recto), un ricco abitante di Vallecrosia, tale Giovanni Aprosio figlio del defunto Marco, stabilì che metà delle rendite dei capitali che egli aveva investito in una Colonna del banco S. Giorgio di Genova dovesse annualmente essere distribuita tra la popolazione di Vallecrosia, a guisa di perpetuo sussidio di rimpetto ad eventuali, possibili difficoltà economiche: l'altra metà della somma doveva invece essere reimpiegata sotto forma di LUOGHI [LUOGO] in tale Colonna (le Colonne del hanco di S. Giorgio erano Registri detti cartolari, dell'amministrazione del debito pubblico o compere; in numero di nove venivano rinnovati ogni anno, vi erano elencati in ordine alfabetico tutti i creditori, con la specificazione della quota del loro credito ) (Vedi AA.VV., Archivio di Stato di Genova, in Guida Generale agli Archivi di Stato Italiani , Roma, 1983, p. 340).
Di anno in anno meta le rendite del patrimonio sarebbero state distribuite sotto forma di sussidi alla popolazione (previo la riscossione e l'oculata distribuzione garantita da tre Massari delle chiese vallecrosine di S. Antonio, S. Bernardo e S. Sebastiano) mentre la restante metà sarebbe andata a rimpinguare il patrimonio in deposito e quindi a potenziare il futuro reddito, con crescente vantaggio degli abitanti del borgo.
Ecco qui di seguito espressa nel latino originale del documento la parte pregnante e di quell'antico legato testamentario:
... Joannes Aprosius q. Marci de Vallecrosa villa Vintimillis...videlicet repectu proventorum dimidie dictoram locorum et emendorum seu collocandorum annuatim multiplicetur...Reliqua vero dimidia ipsorum locorum et aliorum emendorum seu collocandum singulis annis in perpetuum exigatur per tre Massarios Ecclesiorum Sancti Antonis, Sancti Bernardi et Sancti Sebastiani ville Vallis Crozie annuatim, omni dolo et fraude remotis, elligendos, quos in hac parte suos Fideicommissarios et executores constitut, eligit, et deputavit qui quidem Massarii sic annuatim elligendi et executores teneatur, et debeant ex ipsa dimidia ipsorum proventum singulis annis in perpetuum elemosinam generale facere Dei amore et in sussidium anime ipsiusque Ioannis et distribuere in et per totam dictam Villam Vallis Crozie, omnibus et singulis personis dicte Ville et que seu quibus tunc temporis reperirentur in ea et hoc in observatione codicillo dicti q. Joanni, receptorum per Pellegrum Maccarium civitatis Vintimilis loci Campirubei notari in anno 1561 die 27 mensis februarij....
Il legato si rivelò particolarmente utile per la popolazione di Vallecrosia nei primi decenni del XVIII secolo.
In quei tempi le cose andavano malissimo per il borgo: le annate dei raccolti erano state ingrate ed in pratica l'intiera comunità si trovò all'improvviso, sull'orlo di un collasso.
Per far fronte a tutto ciò rimase un unico espediente, quello di appellarsi alle massime autorità genovesi onde poter stornare dal deposito, in cui era impiegato il capitale dell'antico benefattore, la somma di 12.000 lire da impiegarsi nell'acquisto di grano da distribuirsi tra la popolazione.
I gestori della Comune di Vallecrosia inviarono pertanto una petizione al Senato della Repubblica e questa, a vari livelli, venne dibattuta.
Serenissimi Signori
Gl'Agenti del Luogo di Valle Crosia, Giurisditione del Capitanato di XXmiglia come Deputati dal Quale Parlamento esposero a vostre Signorie Serenissime qualmente da due anni a questa parte le raccolte sono state molto scarse, massime in quest'Anno che manca il frutto dell'Ulivi per caosa della Siccità; l'anno passato però, che furono poche, si andò detto Luogo alla meglio sostenendo, ma in questo d'ora non trovano forma di sostentarsi, travandosi in grandi necessità e miserie, stando appoggiato il suo necessario per mantenersi con suddette Raccolte, ed avendo altresì... a Vostre Signorie Serenissime avere il Luogo di Vallecrosia in S. Giorgio una Collonna descritta dal Cartulario S.L. in Testa e Credito dell'ora fu Giovanni Aprosio q. Marco dell'istesso Luogo ascendente a quasi trecento luoghi, la metà de proventi della quale va in Moltiplico e l'altra si distribuisce secondo l'Intenzione di Suddetto ora fu Gio. Aprosio, così supplicarono li detti Agenti e Deputati dal detto Popolo con la maggior premura la paterna clemenza delle Signorie loro Serenissime a degnarsi derrogare lire 12.000 da suddetta Collonna da impiegarsi nella compra di tanto Grano ad effetto di sollevare detto povero luogo da tante miserie da' quali resta al punto appresso. Di quali preci le Vostre Signorie Serenissime delberarono il dì 3 corrente che se mene trasmettesse copia, percheé riconosciuto l'esposto e sentiti tutti quei che anchessi stimato dover udire, quindi dovessi riferire a vostre Signorie Serenissime.
In essecuzione dei pregiati loro Commandi devo rapportarle aver riconoscinto dalle informazioni presenti che resta detto luogo al presente nelle riferite miserie, come pure da deliberazione di Generale Parlamento del 15 Giugno prossimo passato ricevuta dal Notaio Angelo Gaetano Aprosio, sono concorsi tutti i Capi di Casa a dar facoltà alli Agenti di detto Luogo di ricorrere a Vostre Signorie Serenissime per supplicarli a volersi degnare derogare le dette L. 12.000 da suddetta Collonna per comprarne tanto grano al riferito fine, il che eseguito devo rapportare a Vostre Signorie Serenissime alle quali faccio profondissima Riverenza di Vostre Signorie Serenissime.
S. Remo 24 novembre 1734. Umilissimo Servitore Camillo Doria
".
L'operazione non andò immediatamente in porto per il tergiversare del Senato più che per lentezza del citato Doria Commissario di Sanremo: il Doria dovette anzi intervenire presso il massimo organo genovese il 31-III-1735 con una missiva di simile tenore, nella quale si ribadivano le tematiche della precedente ma nello stesso tempo si evidenziavano ulteriori difficoltà degli abitanti di Vallecrosia, ormai giunti alla disperazione.
In quest'ultimo documento si legge infatti tra l'altro:
" ... le quali preci (degli abitanti del borgo) da questo Trono sono state pro informazione tramandate a quel Sig. Commissario di Sanremo, quale dopo aver preso quelle informazioni stimate più proprie ne ha mandata la relazione quale a caosa delli affari pubblici non si è potuta ancor leggere ed in tanto non ha potuto fare a meno detto luogo di non portarsi in S. Remo da Monsieur Dubrue per aver dal Medesimo qualche sollievo, quale le dato tanto grano per L. 5.000 circa, ma ora dificoltando il Medesimo con altri di soccorrere il detto luogo senza l'approvazione delle loro Signorie Serenissime, così supplica la loro paterna clemenza a degnarsi concedere la facoltà di potersi far imprestare tanto danaro o prendere tanto grano per la somma di L. 12.000... ".
Le reiterate petizioni degli abitanti di Vallecrosia che, pur avevano come punto di riferimento il deposito di quel cinquccentesco Aprosio che si era andato col tempo rimpinguando, stanno a dimostrare l'eccezionale gravità di tale momento: per questo si richiedeva un intervento altrettanto eccezionale, soprattutto per evitare i rischi reali dello spopolamento o degli usurai.
Per quanto ricostruibile dai dati oggi acquisiti l'operazione si concluse positivamente: ed il borgo potè salvarsi da un colpo mortale: i due documenti di cui sopra, con il successivo atto di documentazione degli eventi delle petizioni, sono custoditi presso l' Archivio di Stato di Genova - Magistrato delle Comunità - n. 311, 1-3, 1734, 24 - XI e postea).





Col seguente testamento ed il legato che esso comportava Marco Antonio Lamberti ricco abitante di Vallecrosia nel XVII secolo pose le basi per una serie di iniziative socialmente utili:
" Nel nome del Signore sia l'anno della salute nostra 1680 correndo l'indizione terza secondo il corso di Genova giorno di Venerdi li 22 del mese di Novembre alla sera ad un'hora di notte circa accesi li lumi a sufficienza.
Essendo che a qualsivoglia de Mortali è decretato il morire, et essendo questa cosa certissima, e non essendo cosa più incerta dell'hora della morte, quale buon huomo virtuoso e timoroso di Dio deve sempre havere in sua memoria, quali cose tutte desiderando, il nobile Marc'Antonio Lamberti del q. Pietro del Luogo di Vallecrosia Giurisdizione di XXmiglia da me Notaio pienamente conosciuto sano per la Dio gratia di mente, senso, loquela ed intelletto et essistente in sua buona e perfetta memoria e desiderando di far l'infrascritto suo testamento nun cupativo, che si dice senza scritti, ha disposto et ordinato di sè e di tutti li suoi beni in tutto come in appresso.
Primieramente quando accaderà che esso passi da questa all'altra vita ha raccomandato e raccomanda l'anima sua all'Altissimo Creatore Padre, Figlio e Spirito Santo, alla Beatissima Vergine e tutta la Corte Celeste, il suo corpo poi vuole che sia sepolto dove meglio piacerà all'infrascritto suo herede.
Item ha lasciato e lascia all'hospitale di Pammatone di Genova soldi cinque per una volta tanto, se saranno domandati.
Item altri soldi cinque alle opere pie di Gierusalemme per una volta tanto come sopra.
Item ha lasciato e lascia all'oratorio della S.S. Concetione del presente luogo tutte le raggioni, et attioni che competono a detto Testatore contro del Reverendo Padre Francesco Sachero q. Giuseppe del presente luogo suo debitore in vigore di una polizza che resta appresso di Capitano Gio Batta Aprosio di detto Luogo di Vallecrosia zio di detto testatore e con le raggioni di un'istromento ricevuto dal Notaio Gio. Francesco o sia Giuseppe Fizzeri o sia le somme in essi contenute.
Item ha lasciato e lascia parimenti all'Oratorio della S.S. Concetione la metà di un capitale di Lire cinquanta coi suoi frutti decorsi e da decorrere sopra detto capitale dovutolo da Pietro Antonio q. Michele di detto luogo di Vallecrosia.
Item ha lasciato e lascia a titolo di legato e per amor di Dio al Sig. Giuseppe Sapia di Gio. Francesco del presente luogo tutte le raggioni et attioni che competono a detto testatore come herede della q. Domina Geronima sua moglie ne beni et heredità della quondam Maria Cattarina Madre di datta quondam Domina Geronima per sue doti senza veruna...
Item ha liberato e libera il detto D. Giuseppe Sapia suo procuratore da tutto quello e quanto il medesimo fosse tenuto al tempo della morte di esso Testatore per l'exationi fatte de beni del medesimo.
Item ha ordinato, et ordina che delli frutti
(interessi, rendite) di tutti li suoi beni essistenti nel territorio di Vallecrosia esclusa una terra possessiva chiamata la piana o sia chiana in primis et omnia se ne faccino celebrare messe 500 per l'anima di esso Testatore et in appresso: se ne paghino tutti li debiti, se ve ne saranno, e compito questo ha ordinato et ordina che li detti frutti siano applicati come sino d'hora li applica per Mercede o sia elemosyna di una messa quotidiana da celebrarsi nella Chiesa Parrocchiale di Sant'Antonio da Padova per l'anima di esso testatore e della q. Geronima sua moglie con facoltà al detto Capitano Gio.Batta Aprosio suo zio di trattenersi detti effetti, pagando l'elemosina di detta Messa Quotidiana o pure assegnare al Sacerdote che da esso, e i suoi successori sarà eletto in perpetuum il frutto dei medesimi.
Item ha ordinato et ordina che del frutto delli effetti che da esso testatore ha in S. Remo in primis et omnia se ne compri un' HOROLOGIO con tutto quello che vi occorre per ponerlo in piedi da reponersi in detto Luogo di Vallecrosia
[ propriamente Vallecrosia Medevale (vedi iconografia antica) centro dell'omonima valle], ove piu piacerà a detto Capitano Gio. Batta suo zio, e fornito questo ha ordinato e ordina che il frutto de medesimi effetti annualmente si spenda, e si impieghi per il mantenimento della Predica della Quaresima in perpetuum nel Luogo di Vallecrosia dando facoltà all'infrascritto suo herede che capitando occasione opportuna di ritirare li detti effetti cioè le terre che sono nel presente luogo a livolaro, e Massero possa farlo ed collocare il prezzo de medesimi in censi, o altri effetti, da quali probabilmente si possa sperare il mantenimento di detta Predica avanzando qualcosa debba, e possa l'infrascritto suo herede trattenerselo.
Ha lasciato e lascia a titolo di legato a detto Oberto Vigeri o suoi heredi della Città di Genova lire cento per una volta sola da cavarsi dalli frutti delli effetti sopra nominati prima di dare principio a legati perpetui
[detti legati, lasciti, testamenti divenendo con il tempo causa di contenziosi continui e impoverimenti di intere casate furono alla fine soppressi e/o modificati dai .Provvedimenti di Napoleone Bonaparte]
Tutti li altri suoi beni mobili et immobili, ragioni et attioni a detto Testatore spettanti, e possano spettare per l'avvenire in qualsivoglia modo per qualsivoglia raggione e occasione, e causa niuna exlusa salve sempre le cose dette di sopra ha instituito e instituisce suo herede universale e di sua propria bocca ha nominato e nomina bernardino Aprosio figlio del detto Capitanio Gio Batta suo zio...
".
Come si legge dalle pp. 291 sgg. del volume storico su Vallecrosia Bernardino Aprosio non ottemperò puntualmente ai suoi doveri, che soddisfece solo dopo ripetute sollecitazioni.
Per far sistemare il pubblico orologio gli abitanti di Vallecrosia dovettero infatti appellarsi al Senato di Genova l'11 febbraio 1696:"Il Capitan Bernardino Aprosio erede del detto Lamberto non ha mai curato dopo la morte del Testatore adempire la di lui volontà" (in Archivio di Stato di Genova, Magistrato delle Comunità, n. 307).
Dopo gli interventi di Senato e Magistrato delle Comunità essi ottennero finalmente soddisfazione ed infatti si legge (custodito in una Miscellanea di documenti - XVII/XVIII secc. dell'"Archivio Storico del Comune di Vallecrosia", n. 14) il seguente appunto:"1717, 25 novembre. / Si è posto nel Campanile nuovamente fabbricato [della restauranda -cosa ormai inevitabile data l'usura e le infiltrazioni- e come qui si vede molto antica e gloriosa Chiesa Parrocchiale di S. Antonio in Vallecrosia Medievale] l'Orologio comprato dalli eredi del quondam Marc'Antonio Lamberti per il prezzo di Lire 300; da essi ancora pagate Lire 150 per conto del timpano, impiegate nella fabbrica del medemo Campanile come appare nelli atti del notaio Gulliermi
".







Nel borgo di Vallecrosia, ancora ai primi del XIX secolo e come in altri paesi liguri, non esisteva una scuola comunale (cioè una scuola amministrata coi fondi dell'amministrazione comunale) ma, dal 1632, una Scuola Pubblica di leggere, scrivere ed elementi di Lingua Latina (questi ultimi impartiti a pagamento e su richiesta = 9 allievi su 32 nel 1822: con pochi soldi, da 30 anni, il Parroco Pasquale Aprosio teneva scuola con buoni risultati ed era benvoluto! Fu lui che, in margine ad una Circolare dello Spinola, Viceintendente di Sanremo, con cui (21-IX-1820) si chiedeva quali siano i Libri d'Insegnamento de' quali si fa uso nelle Scuole elementari, scrisse con preziosa grafia: L'Alfabeto, ovvero Salterio così detto comunemente, l'Uffizio della Beata Vergine, Rudimenti della Lingua Latina, Gramatichetta, La Grammatica Porresi, Cornelio Nipote (pubblica lettera in "Archivio storico del Comune di Vallecrosia - Libro della corrispondenza", ad anno 1820; ).
Ora, in base alle Regie Patenti del 23 Luglio 1822 le scuole comunali e di latenita sarebbero state incompatibili: ma si cercò di conservare lo stato delle cose ed il lavoro per il buon Aprosio, anche perché a Vallecrosia sarebbe impossibile dividere le due scuole perché non vi sarebbe chi volesse incaricarsene per una sì modica paga (verso la fine degli anni '20 però gli eredi obbligati a far rispettare il legato entrarono in disaccordo fra loro e con il Comune e smisero di versare il dovuto per il mantenimento della scuola obbligando l'amministrazione ad aprire un contenzioso: la lite durò a lungo e, fra mille compromessi e momentanee soluzioni, una risoluzione definitiva dell'istruzione in Vallecrosia si raggiunse solo con le pubbliche, ottocentesche e globali, trasformazioni dell'istruzione: vedi di seguito la Petizione dell'Amministrazione di Vallecrosia all'Intendente della Provincia del 1828).




"Al Delegato della Riforma li 9 9bre 1824
Domenica scorsa 7 del corrente convocai questo Comunale Consiglio per consultarlo circa la scuola pubblica, ed indi fornire a V.S. Ill.ma i schiarimenti dimandatimi. Dietro dunque le informazioni avute ecco quanto mi occorre significarle. Non abbiamo qui scuola Comunale
(si intende 'scuola gestita con i contributi dello Stato') perché sarebbe impossibile pagarne il Maestro coi fondi pubblici essendo la nostra Comune priva di rendite. Esiste però una Scuola Pubblica di leggere, scrivere, ed elementi di Lingua latina, che si arenpisce da un solo Maestro in forza d'una lascita istituita sin dal 1632 da certo Gio: Battista Aprosio. I fondi assegnati dall'istitutore a quest'oggetto devono anche servire per una Messa da celebrarsi sull'Altare del S.S. Rosario di questa Parrochia come si rileva da una lapide marmorea che esiste in detta Chiesa. Tali fondi sono ora posseduti dagl'Eredi di Bartolomeo Lamberti fu Ignazio, che fanno, e fecero sempre adempire il legato mediante l'annua somma di L. 100 fu B. (il Sindaco che scrive non prevede ancora che di lì a poco sarebbe insorto un contenzioso con nuovi eredi che non ottemperano invece questo loro obbligo testamentario) Il Maestro attuale della Scuola è questo Reverendo Parroco che ha tale incarico da 30 circa anni. Ho riandato il Regolamento annesso alle Regie Patenti 23 Luglio 1822 e osservo, che non prevede simili casi. E' vero che parla delle Scuole Comunali, e di latenità come di due Scuole separate da farsi da diversi Maestri, e ciò deve neccessariamente praticarsi nelle Città, e ne luoghi dove vi sono i comodi; ma non proibisce espressamente ad un solo Maestro di fare l'una, e l'altra. Nel caso nostro poi stante l'istituzione anzidetta, sarebbe impossibile dividere le due scuole perché non vi sarebbe chi volesse incaricarsene per una sì modica paga. L'articolo 78 del precitato regolamento permette il privato insegnamento degl'Elementi di lingua latina in quei luoghi dove non vi sono scuole pubbliche di tal sorta; ciò mi fa credere che l'Eccelentissimo Magistrato della Riforma non avrebbe difficoltà di accordare che il Maestro di leggere, e scrivere potesse anche insegnare gli Elementi di lingua latina avuto riguardo al piccol numero degl'Alunni che fornisce il Comune.
Questo è quanto possa dirle in adempimento delle promesse mie, e sempre pronto a cooperarmi a vant aggio del pubblico insegnamento ho il bene di raffermarmi coi sensi della più perfetta considerazione.
(Sindaco Aprosio).




"L'Anno del Signore mille otto cento vent'otto, ed alli venti nove del mese di Decembre in Valle Crosia nella Sala Comunale.
Il Consiglio Comunale di Valle Crosia convocato in raddoppiata conga d'ordine del Sig. Paolo Vincenzo Aprosio Sindaco, si è riunito nella Casa Comunale previo il suono della Campana, e l'avviso verbale recato ad ognuno degl'Amministratori dal pubblico serviente Ampeglio Aprosio, come il medesimo qui riferisce.
Sono intervenuti alla congrega oltre il prefato Sig. Sindaco i Sig.ri Giacomo Filippo Aprosio, Gio Battista Aprosio, e Giuseppe Soldano Consilieri, ed i Sig.ri Pietro Lamberti, Giuseppe Gandolfo, Sebastiano Curti, Antonio Aprosio Aggionti. Presente il Sig. Francesco Aprosio Castellano. Assistente il Sig. Gaetano Aprosio Secretaro, niuno assente.
Aperta la seduta il Sig. Sindaco espone, che sin dall'Anno 1632 il fu Giovanni Battista Aprosio di questo luogo, con suo final testamento rogato Notajo Marc'Antonio Lamberti avrebbe istituito un legato perpetuo di certe messe da celebrarsi sull'Altare del SS. Rosario eretto in questa Chiesa Parrochiale, imponendo obbligo al Cappellano
pro tempore d'istruire gratis la Gioventù del Comune insegnando a leggere, scrivere, ed anche i primi rudimenti della Grammatica, al cui effetto lasciò varj beni fondi ordinando a suoi eredi di venderli, e collocarne il prezzo ad annuo perpetuo censo, e prodotto farne adempire il legato suddetto in perpetuo.
Che coll'andar del tempo essendo il suddetto legato stato diviso fra le famiglie d'Ignazio Lamberti e Carlo Lamberti, restando al primo l'onere della Scuola, ed al secondo quello della celebrazione delle Messe, questi in virtù d'una legge dell'ex Governo Ligure ne avrebbe redonta la porzione pagandone tutt'ora annuo interesse all'Ospedale di Ventimiglia.
Che ciò malgrado i successori dell'Ignazio Lamberti feccero sempre adempire, e provvidere di Maestro di Scuola questo Comune, e solamente tralasciarono l'adempimento da un'anno a questa parte; motivo per cui, dopo averne informato l'IIl.mo Sig. Riformatore della Provincia furono chiamati nanti del Consiglio Comunale i Signori Gio Battista e Bernardo fratelli Lamberti, ed il Sig. Angelo Lamberti investiti del pio Patronato dell'Opera suddetta, e furono invitati a dire i motivi per cui ne tralasciaro no l'adempimento, su di che i fratelli Gio Battista, e Bernardo Lamberti risposero che per quanto loro riguarda non dissentivano, e non avrebbero mai dissentito di adempiere al loro dovere, ed il Sig. Francesco Aprosio nella sua qualità di Tutore del summentonato Angelo Lamberti allegò in primo luogo che non si potrebbe provare essere il suo minore al possesso de beni lasciati pel pubblico insegnamento, ed in secondo luogo, che quando anche ciò si provasse da che il Pio benefattore avrebbe istituito per Maestro di Scuola il Capellano destinato alla cellebrazione delle Messe, e mancando il medesimo per la redenzione del legato il suo minore non poteva esser obbligato senza adempimento dell' intiera disposizione del testatore.
Che frattanto il Paese sfornito di Maestro di Scuola a danno gravissimo della pubblica istruzione, si rende di tutta importanza prendere quei provvedimenti che il Consiglio crederà utili, e vantaggiosi al pubblico bene.
Il Consiglio vista la proposta, considerando, che sebbene sia a decidersi se il Carlo Lamberti abbia potuto, o no reddimere la sua porzione di legato, tuttavia l'aver egli ciò operato non formerebbe una ragione agl'eredi dell'Ignazio Lamberti, onde esimersi dall'onere della Scuola.
Considerando altresì che la parte toccata in sorte al detto Ignazio fu suddivisa fra i suoi figlj, e nuovamente fra i figlj de figlj; Che promettendo gli uni di adempire all'obbligo, e ricusando gli altri, col mostrarsi eziandio alieni da ogni amichevole componimento non rimarrebbe altra via che quella di muovere contro di essi azion giudiciale.
Considerando infine, che il Pio benefattore avrebbe nominati, ed istituiti fideicommissarj, ed esecutori testamentarj del legato i Priori pro tempore della suddetta Capella del SS. Rosario, e perciò resterebbe a vedere se fosse competente ai medesimi richiamare al loro dovere i trasgressori dell'Opera.
Per questi ed altri motivi il Consiglio stabilisce d'unanime consenso di unire al presente copia dell'articolo del testamento riguardante l'oggetto, e sottoporlo, in colle ragioni sopra espresse, all'esame dell'Ill.mo Sig. Intendente della Provincia, supplicandola nel caso che creda neccessaria una lite a questo riguardo, e che competa alla Comune lo intavolarla voglia a ciò autorizarla degnandosi intercederle presso di chi spetta l'Ammissione al beneficio de Poveri giacché per la scarsezza de suoi redditi
(il Comune) sarebbe incapace di sostenerla.
P. V. Aprosio- Sindaco
Gio Batta Aprosio
Giuseppe Soldano
Giacomo Filippo Aprosio
AHtof~io Aprosio Giuseppe Gandolfo
Sehastiano Curti
Francesco Aprosio - Castellaro
G. Aprosio - Secretaro
"
(in "Archivio Comunale di Vallecrosia - Libro delle deliberazioni..., 1828").





LIBERTA' EGUAGLIANZA
Il
Governo Provvisorio considerato che le disposizioni testamentarie imponenti vincoli ed obblighi perpetui sopra beni temporali, sono incompatibili colli principi della Democrazia.
Considerando, che la multiplicità delle perpetue Capellanie, o Legati di messe caggiona gravi inconvenienti; e che li frequenti casi dell'inadempimento di esse inquietano la coscienza de Cittadini.
Considerando i diversi mottivi esposti nelle molte petizioni state presentate all'oggetto di ottenere deroghe asomiglianti Disposizioni: DECRETA N° 1 - Le Capelanie o Legati oppure obblighi di messe perpetui o lasciate a Conventi, Monasteri, Chiese, Confraternite, o altri Luoghi Pii, per le quali è stato destinato, e già assegnato da respetivi institutori in dilazione di esse il fondo o in beni stabili, o in luoghi de monti ononche situati pasato a mani, ed amministrazioni di detti Conventi, Monasteri, Chiese, Parrochie, Confraternite, o altri Luoghi Pii, saranno per ora conservate, non si potrà però in caso di diminuzione, o anche di totale deperizione del fondo avere regresso contro l'eredita, beni, e sucessori del Fondatore, o Disponente, o altri obbligati per il suplemento, o rimpiazzo, ma si intenderà assegnato quel fondo tassativamente, e non dimostrativamente, non ostanti qualsivoglia espressioni del testamento, o disposizione.
N° 2 - Tutte le altre Capellanie, Legati, ed obblighi perpetui di messe, comprese quelle, che dovessero adempirsi da Regolari si potranno redimere dalli Eredi de respettivi Testatori, o Disponenti passando il quarto del Capitale ragguagliandolo al quarto per cento corrispondente al onere medesimo, ed in mancanza o beneficio di quello del Luogo più vicinico nella Centrale dello Spedale di Pammatone".
(Su questo documento non risultano né data né mittente. Esso è situato a pag. 2 verso, tra due documenti con data 23 Brumaire anno 6° della Rep. Francese e 22 Gennaio 1798 anno primo della Repubblica Ligure.)





Il moderno impianto del sistema scolastico italiano risale alla LEGGE CASATI del 1859, concepita per unificare i sistemi scolastici di Lombardia e Piemonte e quindi estesa al nuovo Regno unitario.
Essa prevedeva l'ISTRUZIONE ELEMENTARE PUBBLICA E OBBLIGATORIAaffidata ai comuni ed un sistema superiore concepito sulla base del modello francese (risultavano marginali in tale programmazione i SETTORI TECNICI).
La LEGGE COPPINO del 1877 riconfermò l'OBBLIGO SCOLASTICO e lo estese sino all'età di 9 anni.
La LEGGE DANEO-CREDARO del 1911 si propose di risolvere un problema ormai annoso: molti COMUNI specialmente i piccoli e comunque i meno ricchi avevano considerevole difficoltà a sostenere gli obblighi gestionali di una SCUOLA PUBBLICA.
Questa venne gradualmente trasfpormata in SCUOLA PUBBLICA DI STATO che contribuì non poco al superamento della piaga dell'analfabetismo (in Italia globalmente attestato sul 38% della popolazione al momento dell'approvazione della legge, destinata a governare la scolarità italiana almeno sino all'applicazione della RIFORMA DI GIOVANNI GENTILE del 1923).
In questa sequenza di IMMAGINI è possibile visualizzare il contenuto del LIBRO SCOLASTICO di un ALLIEVO DELLE ELEMENTARI IN ITALIA (propriamente l'esemplare appartenne ad un ALLIEVO DI III E IV CLASSE DELLE SCUOLE ELEMENTARI DI VENTIMIGLIA TRA 1880-1890): LIBRO SCOLASTICO che, come si vede, era frutto dell'ACCORPAMENTO o RILEGATURA in un VOLUME MISCELLANEO di DIVERSI VOLUMETTI O TRATTATELLI AD USO DIDATTICO.
E precisamente un LIBRO DI EDUCAZIONE CATTOLICA - un LIBRO DI GRAMMATICA ITALIANA - un COMPENDIO D'ARITMETICA, DI GEOMETRIA E DI SISTEMA METRICO DECIMALE - un VOLUME DI SCIENZE NATURALI - un SILLABARIO GINNASTICO ILLUSTRATO - un LIBRO DI LETTURE.