DONNE E CONDIZIONE FEMMINILE TRA '500 E '600

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INDICE


-AMBIGUITA' E PREGIUDIZI: IL COMPLICATO GIUDIZIO SULLA DONNA NELL'ETA' INTERMEDIA
-UN'IPOTESI SULLO SVILUPPO IDEOLOGICO DI ANTIFEMMINISMO E MISOGINIA NELL'ORIENTE CRISTIANO
-UN'IPOTESI SULL' IMPORTAZIONE CULTURALE DI ANTIFEMMINISMO E MISOGINIA NELL'OCCIDENTE CRISTIANO
-IL COMPLESSO TEOREMA DELLA SENSUALITA' FEMMINILE: "LE DONNE SONO GUIDATE DAGLI STIMOLI DELLA SESSUALITA'"
-LA VERA ESSENZA DELLA FEMMINILITA': SPOSARSI E PROCREARE
-IL COMPLESSO MOMENTO DELLA CONFESSIONE RELIGIOSA DELLE DONNE
-IL DIFFICILE "MESTIERE" DI DONNA.
-LA CREAZIONE DEL MODERNO CONFESSIONALE: UNO SCHERMO CONTRO LE TENTAZIONI DI AMORI PROIBITI TRA CONFESSORE E BELLE PENITENTI
-DOTTRINE MEDICHE ANTICHE SULL'INFERIORITA' FISICA FEMMINILE E RELATIVE CONSEGUENZE
-DOTTRINE MEDICHE ANTICHE SULL'INFERIORITA' MENTALE E PSICOLOGICA FEMMINILE E RELATIVE CONSEGUENZE
-DOTTRINE MEDICHE E TEORIE DI PENSIERO SULL'INFERIORITA' DELLE DONNE: RELATIVE CONSEGUENZE SOCIO-FILOSOFICHE
-[ DOTTRINE MEDICHE E NON SULLA GENERATIONE DI PROLE MASCHILE: LA DONNA COME INGOMBRO E/O PESO SOCIALE IN GIUDIZI MALTHUSIANI DI PIENO XVII SECOLO ]
-(LE) "LUNATICHE": LA DONNA PER IL SUO CICLO BIOLOGICO "PERICOLOSAMENTE SOGGETTA" AGLI "INFLUSSI MUTEVOLI DELLA LUNA"
-(IL) MACROSISTEMA PECULIARE DELLA DONNA LIGURE E DELLA CITTADINA DI GENOVA.
-(LE) "MASSIME CONDIZIONI SOCIALI": LA DONNA NOBILE.
-(LE) MITOLOGIE DEL LAVORO IMPRENDITORIALE: LA DONNA DELLA BORGHESIA
-(LE) MODESTE DONNE DEL POPOLO
-(LE) MONACHE DI CASA
-(LE) SANTE DONNE
-(LE) "SCANDALOSE" DONNE DI PIACERE: RIFLESSIONI SULLA PROSTITUZIONE NELL'ETA' INTERMEDIA
-(LE) "SCANDALOSE" DONNE DI PIACERE: LABIRINTI DI CORTIGIANE TRA VITA REALE E DIMENSIONE LETTERARIA (ALL'"APROSIANA DI VENTIMIGLIA" DAL CASO DELLA "CELESTINA DEL 1527" ALLE PROVOCAZIONI INTELLETTUALI DELLE ERUDITE "LIBERTINE")
-(LE) "SCANDALOSE" DONNE DI PIACERE E IL LORO "MONDO" NEL "DOMINIO DI GENOVA": PROSTITUTE E RUFFIANI
-(LE) "SPAVENTOSE" DONNE AL BANDO DI STATO E CHIESA: STREGHE E FATTUCCHIERE
-VERGOGNE EPOCALI A SCAPITO DELLA DONNA: LA CINTURA DI CASTITA'
-(LA) VITA NEI CONVENTI FEMMINILI: SUORE, SANTE VOCAZIONI E MONACAZIONI FORZATE
-UNO DEI PRIMI TRATTATI SUI DIRITTI DELLE DONNE IN MATERIA CIVILE


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L'Aprosiana è ricchissima d'opere, spesso egregiamente figurate ed incise, perlopiù di scienze naturali, in cui si può "leggere" il conflitto tra passato e presente, tra alchimia e chimica, tra astrologia ed astronomia, tra vecchia e nuova medicina e, via, in termini sempre meno scientifici e sempre più sociologici, sin ai testi di contese "ideologiche" sulle postazioni antitetiche di gruppi umani, ad esempio liberi, schiavi di natura (per dirla con la Politica di Aristotele) e schiavi di guerra, fra importanti e miserabili, e soprattutto sulle postazioni, non meno significative dei consorzi femminili.

Secondo una scala gerarchica di ordine morale e non sociale, ma comunque di un certo peso pubblico, nel sistema maschilista dell'età intermedia godevano di una posizione privilegiata le così dette "DONNE SANTE", tra cui, non di necessità - seppur auspicabilmente - avrebbero dovuto prevalere le Suore o le Monache di clausura: in effetti queste "sante donne" sarebbero risultate ben poco consistenti sotto il profilo quantitativo se , nell'accezione comune, non se ne fosse amplificato il numero identificandole con le donne più pie e ancor più estesamente con le meglio uniformate ai meccanismi delle convenzioni.

Immagine simbolo della santa donna fu in qualche modo, ed ancor più della Suora di clausura, la MONACA DI CASA cioè quel tipo di donna, legata da voti privati, che viveva tra la gente, "nel mondo" come si era soliti dire: nome che col tempo fu però attribuito, in senso più vasto, al genere di donne che, conducendo una vita alquanto religiosa, in pratica non uscivano mai di casa, dedicandosi esclusivamente alle loro istituzionali mansioni domestiche [vedi:E.NAVARRO DELLA MIRAGLIA (1838-1909), La nana, Bologna, 1963, p. 105].
Come corollario di questa "idealizzazione del femminino nella positività" stavano poi, seppur variamente disposte e giudicate a misura degli schematismi impermeabili dell'antifemminismo istituzionale, le donne oggetto - senza dubbio le più numerose - passando attraverso una serie di figure intermedie che congiungevano le postazioni limite dell'onesta madre casalinga e della
meretrice, donne comunque, in potenza od in atto, tutte quante ritenute "tentatrici delle maschili debolezze".

Nel XVI e XVII secolo una particolare attenzione pubblica (distinta da una simultanea riprovazione morale) veniva quindi conferita alle DONNE DI SCANDALO in cui, tanto per esser chiari, non erano identificate soltanto le MERETRICI e le CONCUBINE (che comunque costituivano ad ogni livello un campo di pruriginosa curiosità, moralistica, erudita e non solo!), ma soprattutto quelle poche donne colte e intellettuali che , volendo difendere o qualificare il loro sesso dal deprezzamento maschile, oggi potremmo definire LIBERTINE, nel senso di libere pensatrici, se non addirittura INTELLETTUALI RIBELLI all'antifemminismo imperante.
Queste si possono identificare in seicentesche LETTERATE o in donne dalla cultura e dalla dialettica provocatrici [che continuano amplificandola la tradizione delle ERUDITE DELLA PRECEDENTE GENERAZIONE e che comunque risultano decisamente lontane dalla postazione moderata e ortodossa di altre "intellettuali" come la nizzarda CAMILLA BERTELLI MARTINI] quali, in parte, furono LUCREZIA MARINELLA, la libertina ebrea SARA COPIA SULLAM od ancora ARCANGELA TARABOTTI (Venezia 1604 - ivi 1652), la suora "femminista" in qualche modo celebre per una polemica che la coinvolse in un dibattito serrato avverso la dominante postazione maschilista di cui fu corifeo Francesco Buoninsegni ma alla quale, con parecchi altri in qualche modo travolto dall'ossessione per la ribellione intellettuale e comportamentale femminile, neppure rimase estraneo Angelico Aprosio, dapprima blandamente - e forse ambiguamente - vicino alla religiosa e quindi, alla stregua d'altri antesignani dell'imperante patriarcato, suo inaspettato, intransigente per quanto poco efficace, critico e denigratore (B.DURANTE, Angelico Aprosio il "Ventimiglia": le "carte parlanti d'erudite librarie" in "I Quaderno dell'Aprosiana, N. S.,1993, passim e p.75).






A - Prima riprovevole diversità: "che molte donne vengono fuorviate per eccesso di libertà sessuale"

Il sottotitolo, ben lo si capisce, oggi come oggi è solo una provocazione: ognuno ha certo il diritto di godere della propria sessualità! Questo attualmente è uno stato esistenziale e di costume del tutto accettato senza bisogno di equivoci concettuali o di ridanciane considerazioni: anche se, bisogna pur dirlo, resistono formidabili luoghi comuni - e non solo nel retroterra della degradazione culturale - che arrivano in prevalenza dall'età intermedia e per cui - mentre allo scopo d' offendere un uomo si usa spesso, ma non solo (e non si dimentichi , come presto si capirà, l'emblematico "figlio di puttana"), l'epiteto, magari sottolineato con dovizia d' oscena gestualità, di "cornuto" (e ben si noti, anche questo , come al pari si vedrà, nel senso affatto casuale d' infelice od ignaro o contento o debole consorte d'una femmina-vacca> la variante becco, studiata dall'Aprosio moralista tra risa soffocate di morbosa curiosità, costituisce solo una pur estesa specificazione regionalistica) - la donna, durante un acceso diverbio, è quasi esclusivamente tacciata d'esser "PUTTANA" (variante volgare e popolare per MERETRICE) un epiteto che neppure abbisogna di particolari formalità gestuali: del quale peraltro cagna, troia ed appunto vacca costituiscono varianti animalesche, di provenienza popolare e gergale, con funzione sinonimica e valenza ulteriormente degradante ma comunque sempre strutturata sulla consolidata asse semantica di "femmina oscena e disumanizzata che si concede a chiunque senza freni inibitori" .
Aprosio scrisse tre Grilli sulla questione, senza sbilanciarsi troppo - a suo pensare almeno - ma in fondo abbastanza da rischiare gli strali dell'ufficio inquisitoriale ecclesiastico: e così questi capitoletti della sua Grillaia del 1668 rimasero manoscritti, finché‚ non li editò A.Ida Fontana nel "I Quaderno dell'Aprosiana - Prima Serie" del 1984 sotto il titolo de Il P.Aprosio e la morale del '600 - Note in margine a 4 grilli inediti.
Nella sua pittoresca misoginia il frate si era messo a parlare di sesso con quell'accanimento che dà ragione a J. Solé quando nella sua Storia dell'amore e del sesso nell'età moderna (Bari, Laterza, 1979. p.201) scrive "In realtà, tutta la prima metà del XVII secolo fu improntata a una specie di moda del parossismo erotico fonte di rapimenti, aggressioni e matrimoni scombinati": nell'ambito di questa realtà, sia che ne trattassero giuristi, teologi e moralisti sia che - con maggior, comica giustificazione della "donna furba" che sapesse gabbare un marito stupido - ne scrivessero novellieri e commediografi, la Donna "scostumata" costituiva sempre e comunque uno tra i più elementari scarti riscontrabili dalla norma esistenziale e quindi, di fatto, era in potenza, e spesso in atto aristotelicamente parlando, una Diversa [del resto, per alcuni interpreti di morale, le donne, "scostumate" o quantomeno "tentatrici", lo erano tutte (GIOVANNI DOMENICO OTTONELLI, Della pericolosa conversazione con le donne..., in Fiorenza, nella Stamperia di Luca Franceschini e Alessandro Logi, 1646), se non ben guidate da padri prima e mariti poi (non a caso in quest'epoca proliferavano prontuari sull'argomento come, tra i tanti conservati all'Aprosiana, LUIS DE LEON, Trattato della Perfetta Maritata, Brescia, appresso Pietro Maria Marchetti, 1608)].
A livello del consorzio sociale, in senso penale più che civilistico, allo scopo di intendere sveltamente l'intervento statale avverso le esasperazioni di sessuomania e su un piano - pare quasi superfluo dirlo! - di misoginia, crescente, con disinvoltura, già dal XVI secolo, oltre che i resoconti legislativi, i provvedimenti del "nuovo diritto criminale" e gli interventi predicatori dai pulpiti è interessante scorrere, sul catalogo parzialmente informatizzato dell'Aprosiana, tanti titoli di opere moralistiche attente a sondare i nuovi tempi e, in gran parte, ad analizzare con sempre maggior curiosità, ed avversione, il variegato mondo femminile, in inaspettato fermento e sempre più temuto come elemento di disturbo: al riguardo, sempre dal patrimonio dell'Aprosiana, cito GIOVANNI DAVIDE THOMAGNI, Dell'eccellentia de l'huomo sopra quella de la donna, in Venetia, per Giovanni Varisco e comp., 1565.

Per intendere meglio tutto ciò bisogna anche tener conto come, nell'epoca che si sta analizzando, in Italia, quanto nell'Europa occidentale, un generale, rapido processo di urbanizzazione e quindi di alta concentrazione di masse popolari spesso alla vana ricerca di qualche lavoro od impiego (col conseguente degrado dell'ambiente rurale e delle campagne), finì per determinare una composizione demografica cittadina in cui si intrecciavano formidabili contraddizioni tra gli splendori dei pochi, lo sviluppo di impreviste difficoltà occupazionali o d'impresa per la piccola e media borghesia quanto per il "ceto popolare storico" (mediamente comunque favorito anche per il frequente possesso delle case d'abitazione) e la miseria di frotte di immigrati, facilmente destinati, nei ricorrenti periodi di crisi e regresso economico, a interminabile disoccupazione ed all'impossibilità d'occupare a lungo le case prese in affitto: in particolari momenti storici di depressione furono quindi parecchi gli immigrati che, contrariamente alle speranze nutrite, dovettero cercare "scampo" dapprima nell'emarginazione o nella disperazione dell'accattonaggio e quindi, attesa la gravità della situazione esistenziale, a conquistarsi una qualche sopravvivenza in alternative delittuose, che, specialmente nei grossi centri mercantili, portuali e bancari, dove trafficanti d'ogni Paese in qualche modo pur dovevano riempire i tempi morti delle lunghe contrattazioni, coincidevano molto spesso nella pratica della ruffianeria e della prostituzione, intorno alle quali ruotava un microcosmo di piccoli criminali, da spregiudicati giocatori d'azzardo (soprattutto a carte e dadi ) a rapinatori di strada o manticularii (quelli che oggi, con discutibile gergalismo da cronaca nera vengono detti "scippatori") ad imbroglioni meno violenti e più smaliziati come ladri, borseggiatori, a veri e propri trafficoni capaci di "cavar puranco le brache" agli sprovveduti: vita, ai margini della città ed in quartieri tanto degradati quanto di cattiva fama, poi meglio detta da "corte dei miracoli", vita nella quale, è evidente, molte giovani immigrate, specie se graziose e disinvolte, volgendosi alla prostituzione eccitavano la venalità di parecchi malavitosi, più frequentemente ruffiani (o ruffiane) che protettori nel senso squallido che oggi si dà al termine, non alieni però dal ricorrere ad alchimisti, medichesse, maghi e fattucchiere (e di qui ingiustamente derivarono terribili sospetti anche per grandi alchimisti equiparati a maghi diabolici; basta il nome di Paracelso per fare un esempio!) onde avere l'ausilio di arti proibite, velenosi filtri o meglio ancora pozioni amorose onde asservire all'altrui o propria libidine qualche immacolata coscienza (su tale modello esistenziale, peraltro già nel '300, Giovanni Boccaccio ci ha lasciato un affresco illuminante ed in qualche maniera premonitore con la novella di Andreuccio da Perugia, piccola gemma del suo Decameron).
Rispetto al XIV secolo il fenomeno, tra '500 e '600, assunse tuttavia, con sveltezza, proporzioni devastanti (del resto, con le scoperte geografiche e l'estensione dei traffici, gli spostamenti di avventurieri e criminali verso le piazze commerciali erano cresciuti a dismisura) e per arginare la nuova delinquenza gli Statuti Criminali, un pò di tutti i Paesi, a volte vennero semplicemente potenziati con varie Riforme o più spesso furono quasi del tutto rifatti da commissioni di giuristi (vedi G.SCARABELLO, Pauperismo, criminalità e istituzioni repressive, in "La Storia", Torino, U.T.E.T. 1987). Nella "Prolusione" alle norme dei Libri criminali genovesi del 1556, si intende come siffatto provvedimento avesse finito per rendersi inevitabile al fine di adeguare la legge penale sia alla contemporanea situazione socio-economica quanto alla moderna realtà di una delinquenza "diversa", più feroce di quella "antica": i giuristi di Genova, nella Prolusione ma un pò in tutto il testo degli Statuti Nuovi dei Crimini, si sforzarono soprattutto di aggiornare il testo penale alla nuova realtà storica, sia contro l'arroganza di crimini nuovi (soprattutto a danno della saldezza istituzionale), sia a scapito della religione (del resto si era in epoca controriformista e si legge spesso nel codice genovese l'accenno a nuove colpe contro la religione - di stregoneria, eresia, apostasia in particolare - e dell'introduzione d'una pena capitale recente, per il Dominio di Genova, quella del rogo, comminato in cooperazione con l'Inquisizione ecclesiastica) sia per controllare la "sfrontatezza" dei diseredati di cui si è detto e più estesamente al fine di reprimere i crescenti attacchi alla pubblica morale ed al comune decoro delle famiglie ( per approfondire questo vastissimo argomento si rimanda chi legge al lavoro, in corso d'edizione in questo 1996 ad opera di chi scrive e della dott. F. Zara pei tipi della Coopers editrice, del testo degli Statuti Criminali genovesi del 1556 , campione significativo d'un fenomeno italiano ed europeo, spesso citati, per opportuni riferimenti, nel presente lavoro; di questa opera si legga , per quanto si è appena detto in merito all' aumento generalizzato di delinquenza e cattivi costumi, l'ampia premessa storica e la "presentazione" fatta alla "Signoria genovese" dai tre giureconsulti incaricati della stesura Nicolò Senarega, Stefano Cattaneo e Pietro Giovanni Chiavica> B.DURANTE - F.ZARA, Figliastri di Dio...., Ventimiglia, Coopers ed., 1996").

A suffragare spesso apertamente questa nuova e più severa impostazione giuridica in particolare a riguardo del dilagante fenomeno della Prostituzione innumerevoli scrittori di varia erudizione tra fine '500 e pieno '600, rifacendosi con intransigenza agli autori greci e romani, che avevano invece trattato l'argomento in maniera sempre più equilibrata e comunque giocosa, presero a dissertare, in forme straordinariamente colpevolizzanti e quasi maniacali, sulla sensualità femminile (che a volte par quasi una loro scoperta sconvolgente, una realtà sconosciuta e per conseguenza ipocritamente ignorata!) e quindi sul coito delle donne e poi ancora sull'intensità dell'orgasmo femminile , fin a farci pensare che essi stessi, vestendosi da moralisti, riuscissero così ad eccitare la loro sessualità illanguidita dal convenzionalismo controriformista e da una specie di autocastrazione, indotta, più che da vera convinzione di purezza, dal timore dei feroci strumenti penitenziali minacciati dal S.Ufficio.

Aprosio è in fondo un esempio pallido di questa morbosità: nel Grillo XVIII rimasto inedito e quindi pubblicato dalla Fontana ["Se sia più libidinoso il sesso Maschile o'l sesso Donnesco"] dimostra di non aver dubbi scrivendo: "Sono libidinosi i maschii, e le femmine, ma più queste di quelli".
Il frate non se la sente però d'entrar di persona nei dettagli e s'avvale, per dimostrare ciò, di un'infinità di esempi: l'autore più citato, espressione d'una misoginia per cui non si riesce più a dar la cifra dei confini esatti fra erotismo e pornografia, è comunque G.B.Sinibaldi che nella sua Geneanthropeiae, sive de Hominis generatione decateuchon (Roma, ex typ. F.Caballi, 1642) costruì un autentico teorema sulla esasperazione sessuale delle Donne [estremismi di incontrollati appetiti sessuali femminili che il Sinibaldi peraltro riprese da quella letteratura magica sulle Streghe che correva dalle Disquisitiones Magicae del gesuita belga Martin Delrio (anche Del Rio> Anversa 1551 - Lovanio 1608 >esperto di inquisizioni e magia ma soprattutto celebre per questo fortunatissimo libro dalle molte ristampe aggiornate)

al De Magia del Torreblanca.
Quest'ultimo in particolare scrisse: "L'intiera tragedia dei SABBA, che queste Streghe o Malefiche compiono assieme al Diavolo ha come scopo principale quegli orribili amplessi col Maligno in veste di Porco, amplessi cui le Donne vengono irresistibilmente attratte per la loro smodata ricerca di orgasmo, nella continua frenesia di piacere sessuale e di interminabili godimenti"( De Magia, c.38, n.16, p.336).

Povere Streghe o Donne, comunque vien da dire!, leggendo il Nevizzani per cui esse "ardono d'un tal fuoco di sensualità da farsi Streghe....in modo da soddisfare la propria libidine coi Demoni i quali, al modo che riferisce il Ponzinibio nel suo trattato sulle Lamie, hanno la capacità di esaudire meglio le voglie continue di quelle coi loro MEMBRI POTENTISSIMI, con quel lor sesso che per essere biforcuto procura alle femmine estremo godimento" (In Sylva Nupt.., lib. I, n.151,p.86).

Questa visione lasciva ed in vario modo terrorizzante dell'universo femminile, peraltro, si caricava variamente - ancor più in Francia che in Italia - di altre valenze negative e di equazioni a dir poco preoccupanti - spesso anche effigiate a livello iconografico - di quel tipo caratteriale facilmente interscambiabile ("presupposta" la debolezza costituzionale della "femmina" biologicamente collegata alla periodicità fisiologica del "mestruo" e di riflesso alla ciclicità perniciosa di "raggi ed umori lunari") che in varie culture (e non solo in quella cristiano-cattolica) rimanda al mitologhema potenzialmente diabolico, di un Giano bifronte volto al femminile, in cui si fondono gli opposti storico-culturali della DONNA LUNATICA che include i sottoschemi della della "donna angelo-donna demonio" e/o della "donna simbolo della vita-donna simbolo della morte".

Comunque a testimonianza della formidabile resistenza dell'antifemminismo più pervicace -pur a fronte di parecchi sviluppi filosofici e di un indubbio progresso sociale della donna a partire da fine XVIII sec./primi Ottocento- vale la pena di assumere a penoso simbolo documentario di moderna sessuomania ed esasperata misoginia quanto ha scritto in questo nostro secolo - anche per giustificare un'affrettata conversione al cattolicesimo, partendo da postazioni decisamente materialiste ed atee - Giovanni Papini nelle sue Testimonianze e polemiche religiose, Milano, 1960, p. 683: "Nessuna creatura quanto la donna si è vantata dell'amicizia e della protezione di Satana, nessuna si è asservita a lui quanto le discendenti di Eva")].

Per onestà intellettuale e compiutezza scientifica è opportuno rammentare che (all'Aprosiana come in tante biblioteche storiche) si trovano pure libri, documenti e vari testimoni culturali connessi a quella magia naturale che ebbe grandi esponenti in Della Porta, Cardano, Agrippa e in un certo modo Fludd: magia naturale che, soprattutto, non bisogna mai confondere con la "magia nera o demoniaca" ma al contrario identificare con quella disciplina straordinaria che "contempla la forza di tutte le cose naturali e celesti". A fronte dei libri inquisitoriali e dei testi di magia nera, la produzione dei colti maghi naturali del Rinascimento è comunque secondaria tra il materiale della biblioteca intemelia e del resto parecchie sottigliezze ermetiche della cinquecentesca magia naturale si stemperarono ovunque per l'insostenibile urto con la colossale e nello stesso tempo tanto rozza quanto energica ideologia orrorifica degli "Atti di fede" (PUBBLICHE MANIFESTAZIONI DI PENTIMENTO E CONTRIZIONE).

Il sistema persecutorio della "Caccia alle Streghe" in effetti sarebbe stato efficiente per lungo tempo in quanto - bisogna pur ammetterlo - era estremamente semplice e comprensibile, giustificato per un verso da quel substrato di MISOGINIA e SESSUOFOBIA di cui si è appena detto ed altresì ben sorretto da un corposo repertorio di colpe e di colpevoli sempre poco sofisticati, sempre "capibili", anche tramite le strade indefinibili del terrore, dalle elementari coscienze d'un pubblico spettatore che, proprio dalla punizione spaventosa di terribili colpe, doveva far scaturire in sè quel processo catartico, cioè di purificazione inconscia, che presupponesse senza doppi sensi la condanna del reo e contestualmente la giustificazione del potere, laico ed ecclesiastico, che avesse sancito quello stato di reità.
Come annota Silvia Parigi (P.ROSSI - S.PARIGI, La magia naturale nel Rinascimento - Testi di Agrippa, Cardano, Fludd, Torino, U.T.E.T., 1989, p.119 n.) l'antico Agrippa, magistrato a Metz nel 1519, salvò dal rogo una contadina accusata di stregoneria ed anche Cardano e Della Porta furono contrari alla "Caccia alle Streghe": per Cardano queste non avevano nessun potere malefico ed erano piuttosto da classificare come delle povere "dementi": tuttavia già il più moderno medico paracelsiano Robert Fludd (1574-1637) - col quale a giudizio del Garin l'ermetismo rinascimentale sembrava aver consumato le sue possibilità, nel momento in cui la "Caccia alle Streghe" raggiungeva il proprio tragico apice - in modo alquanto più oscuro e dogmatico del tollerante e filosofico Cardano scrisse diffusamente sui "Demoni" ed annotò: "....Ricordo [...] di aver udito da un tale in buona fede, nella Svizzera del nord, che i fedeli di un'intera parrocchia, tanto uomini che donne, escluso soltanto il sacerdote, riconosciuti colpevoli di Cacomagia ["magia nera" in definitiva] , erano stati condannati a morte, secondo la legge cristiana. Questi Demoni [che avrebbero aiutato i Cacomaghi] sono, più o meno, del genere dei Lucifugi, e di natura freddissima, secondo la confessione rilasciata ai giudici da una donna del suddetto villaggio, la quale ammise di essersi congiunta carnalmente con il Demone di quel luogo, e di avere vivamente percepito, nel contatto, la sua insopportabile freddezza" (R. FLUDD, Storia metafisica, fisica e tecnica dei due mondi, cioè del maggiore e del minore, ripartita in due tomi secondo la divisione del cosmo (1617-1621) - Tomo primo. La storia del macrocosmo divisa in due trattati. Trattato primo. Del macrocosmo metafisico e dell'origine delle sue creature. Libro quarto. Delle creature del mondo Empireo, capitolo VII).
Con Fludd pare davvero estinguersi la potente energia della magia naturale per lasciare il campo ai teoremi persecutori di Jean Bodin ed in particolare a quel competente meccanismo inquisitoriale che, aggirate del tutto le riflessioni ermetiche della tradizione rinascimentale, finì per sostanziare, con ben pochi dubbi, l'intiero suo meccanismo operativo sopra l'elementare e basilare principio che gran parte delle interferenze dei "Diavoli" a danno dell'umanità ( e lo stesso Fludd nel cap. VI del tomo I della sua Storia del Macrocosmo aveva delineata una partizione dei Demoni per nove gradi o classi abbastanza in sintonia con quella dei testi redatti da parecchi inquisitori ecclesiastici) avvenisse per il tramite dell'anello debole dell'umanità, la Donna "vittima predestinata della sua vanità e soprattutto delle proprie formidabili esigenze d'appagamento erotico". o come in definitiva, e con toni alquanto più rudimentali, s'era soliti dire, schiava del suo Utero [donde lo sviluppo di equazioni ed identità pervicaci (per quanto assimilate da letteratura, ritualità confessionale e visione medica) del tipo Donna-Utero, Donna-uterina e poi, con un accorciamento quasi scontato, uterina o l'uterina per indicare la Donna tanto nel macrocosmo della sua travolgente libidine quanto nella microdimensione di un carattere "lunatico" entro cui interagirebbero molte relazioni-identità tra l'"organo distintivo e base della sua mutevolezza femminina", l'Utero appunto, e le cangianti proprietà dell'astro (la Luna) che varia capriccioso i propri influssi - ora positivi ora no a seconda delle tante fasi - sulla terra medesima, sugli uomini e soprattutto sulle donne (cosa peraltro ribadita da una vasta iconografia, di consumo sofisticato o solo popolareggiante): e da simili conclusioni, ancora, si è evoluta la definizione, certamente aggressiva e maschilista, di Lunatica (sempre per accorciamento da Donna lunatica) posta sì a base di una qualche giustificazione parascientifica dell'isteria femminile ("male tipicamente femminile" su cui si soffermano, con toni a volte seri e più spesso faceti parecchi tomi dell'Aprosiana, non solo d'argomento medico ma ancor più spesso teologico e di varia erudizione) ma altresì eretta quale efficiente mezzo di ridimensionamento a scapito di quella "razionalità femminile" su cui parecchie letterate andavano disquisendo ed al cui riguardo non mancavano "sostenitori in qualche modo eretici" tra il "sesso forte"].

Nel tentativo di essere ancora più esaurienti si può, alla fine, scavare ulteriormente nelle ipotesi del Solè, confrontandole coi dettami del CONCILIO DI TRENTO in merito alla CONFESSIONE ed ai RISCHI DI UNA CONFESSIONE TRA RELIGIOSI GIOVANI E BELLE PENITENTI [peraltro il dibattito sui rischi della confessione era esteso all'onorabilità della donna onesta non solo in caso di una CONFESSIONE RELIGIOSA ma pure nell'eventualità di una CONFESSIONE PRESTATA AI GIUDICI IN TRIBUNALE]: peraltro dalla seconda metà del '500 pure all'interno della struttura ecclesiastica si era andata rianalizzando con estrema attenzione (specie per un attacco abbastanza diretto dei domenicani - ma sostanziale espressione dell'urto ideologico tra vescovi ed ordini religiosi - nei confronti dei gesuiti, che prediligevano il rapporto individuale nella confessione in luogo della sua rigida evoluzione in mero strumento di controllo della disciplina sociale come mediamente istituito dall'autorità ecclesiastica basata sull'autorità territoriale di vescovi e parroci) la relazione spesso problematica tra il confessore - che era prete ma pur sempre uomo e molto spesso giovane - e le penitenti.

Un quesito di difficile comprensione -alterato da diverse interpretazioni storiche e da una reale ristrutturazione dell'istituto della confessione dopo le revisioni del CONCILIO DI TRENTO- è suggerito dalla distinzione tra la normativa suggerita ai confessori istituzionali e gli innovatori Gesuiti.
Per quanto possa sembrare improprio, e nonostante si levino spesso in contrapposizione a ciò voci anche autorevoli, per tutto la II metà del '500 ebbe grande rilevo tra i confessori italiani un prontuario per confessori redatto da MATTEO CORRADORI (Speculum confessorum & lumen coscientiae continens plena norma cofide di & examinandi comissa sceleta coplectens omnes & singulus casus coscientiae occurrentes & necessarios, Venezia, Alexander de Vianis, 1554, in 8°): tale prontuario, oggi molto raro per una sua voluta dispersione, era assai diffuso nel XVI sec. tra i confessori anche per l'utilità di consultazione: il titolo è in latino mentre il testo è in italiano, come conveniva in un'epoca in cui non tutti i confessori mantenevano grande dimestichezza con la lingua classica.
Per utilità di chi lo doveva consultare si nota che indicata la penitenza per alcuni tipi di peccatori gravi era indicata anche la pena da subire.
Il libro, per quanto oggetto di controversie di interpretazione, era alla base di certe convergenze tra le pene comminate dallo Stato e quelle comminate dall'autorità ecclesiastica: semmai, fatto che a sua volta era registrato come un difetto a cui la Chiesa italiana avrebbe cercato di porre un rimedio tramite una presunta opera di moderazione: nel PRONTUARIO DEL CORRADORI si nota infatti una stretta convergenza con parecchie delle norme più severe contro stupratori, sodomiti, ladri, falsari, peccatori sessuali contro natura e via discorrendo.
La rigidità di questi testi confessionali e nello stesso tempo la necessità di porre un freno alle licenze sessuali che avvenivano durante le confessioni fu quindi alla base sia della Riforma del Confessionale sia all'introduzione di nuovi più moderati prontuari per inquisitori: sull'asse puramente giuridica è comunque da registrare come da un lato la giustizia ecclesiastica nel '500 finisse per essere più severa di quella dello Stato divenendo secondo alcuni interpreti più mite nel '600: con la conseguenza che tanto nell'uno che nell'altro caso si svilupparono contrasti giurisdizionali tra legge ecclesiastica e legge penale della Signoria.

In questo arco di tempo si sviluppò con una certa rapidità in Italia (dopo che in Spagna) una nuova definizione formale del reato già noto come "sollicitatio ad turpia" soprattutto nel tentativo di frenare la "vitiosa curiositas" cioè la presunta paraerotica propensione, denunciata in vari confessori, per la descrizione di ripetuti atti sessuali: di tresche tra i confessori e le loro penitenti, la storia, remota e no, del Cattolicesimo era già ricca e per parecchi versi correggibile come scrisse Erasmo da Rotterdam (Exomologesis sive modus confitendi, in Opera, V, Lugduni Batavorum 1704, coll.146-170) ma la Chiesa romana, alle prese con "Lutero" e la Controriforma, non seppe far altro che irrigidire le sue postazioni, con una difesa assoluta del celibato e sanzioni precise sul dovere dei penitenti di raccontare ogni cosa al proprio confessore, senza tralasciare alcunché‚ (A.PROSPERI, Penitenza e Riforma, in "Storia d'Europa - L'Età Moderna sec. XVI - XVIII", vol. IV, Einaudi, Torino, 1995, p.243-245).

Per intendere quanto la DONNA si "andasse aprendo" -specialmente in assenza di una CODIFICAZIONE precisa della CONFESSIONE divenuta sempre meno uniforme con lo scorrere dei secoli- un triste spazio culturale quale "tentatrice peccaminosa", anche nei confronti degli ecclesiastici (e in funzione di ciò non a caso due vescovi come Gian Matteo Gilberti e CARLO BORROMEO - coadiuvati dall'eminenza grigia di Niccolò Ormaneto - inventarono il MODERNO CONFESSIONALE CATTOLICO) basta soltanto leggere quanto ha scritto Josè Toribio Medina (Historia del Tribunal de la Inquisiciòn de Lima, Santiago del Cile 1956, I, pp. 99 e seg.) sulla vicenda di Francisco de la Cruz, in Perù (1576-'78) in cui venne coinvolto il gesuita Luis Lopez per via dei suoi rapporti peccaminosi con le penitenti ed ancora può esser utile considerare le riflessioni fatte nel 1605 dall'Inquisizione Romana, che impose ai gesuiti operanti a Milano di non recarsi più nelle case delle donne a portare la confessione, evitando quelle occasioni di particolare intimità che, a detta di molti, degeneravano spesso in storie d'amore o di sesso ed annullando nel contempo gli ordini eventualmente da loro dati a quelle stesse femmine di non valersi in alcun modo d' altri confessori, quasi fossero dei rivali in fatti di cuore (Biblioteca Nazionale di Napoli, ms. Brancacc. I, B 7, c.42 rv).

Riflessioni, tutte queste, che vertono - lo si è scritto ma lo si è comunque intuito - su un irrigidimento moraleggiante epocale al cui centro sorgeva sempre la donna, anello debole della catena non perché figlia di Eva (questa era una giustificazione teologica, tanto fragile e in senso filosofico inconcludente quanto all'opposto ben accetta e radicata per evidenti convenienze dell'intero complesso egemonico) ma perchè Donna e quindi strumento di scambio in una società maschilista irrigiditasi quasi di colpo (da un lato e dall'altro delle sue "frontiere", cattolica o riformata che fossero) entro atteggiamenti di interessata quanto superstiziosa sessuofobia. In effetti il piacere femminile nella sfera erotica dipendeva dalla fortuità e dai rapporti sentimentali con un compagno che poteva (in modo estremamente raro) esser innamorato, delicato e nello stesso tempo passionale o (assai più frequentemente) ruvido, sbrigativo ed ignaro d'ogni slancio affettuoso e, anche in questo caso, non è il luogo di fare dei distinguo tra ambiente cattolico romano e riformato, fra postazione ideologico-morale dei vari Stati e Chiese: del resto, a metà XVI secolo, non esistevano grandi differenze contenutistiche fra la rigidità degli oratori luterani, che lanciarono una sorta di crociata contro i bordelli di Ulm, Regensburg e Norimberga, e l'estrema severità penale, in materia di "illeciti sessuali", della Ginevra calvinista, oppure fra il contenuto dell' editto imperiale di Ferdinando I (che istituì la Keuschheitscommission o "Commissione per la Castità") e quello di molti, rinnovati, manuali cattolici per confessori in cui ormai s'era giunti a denunciare, anche, la passione nel matrimonio d'amore, ad equiparare nella colpa (sic!) tanto il marito libidinoso quanto la moglie fedele e innamorata, ad analizzare e condannare certe posizioni erotiche giudicate contraddittorie rispetto ai valori riconosciuti della morale e della fede [si trattava di qualsiasi alternativa alla posizione "biblica" dell'accoppiamento, con la donna supina e l'uomo dominante> si intendevano cioè positure che - in altri tempi, antichi e posteriori - rientrarono (e rientreranno) felicemente nella costumanza del giusto godimento sessuale, come la posizione detta more canino o retro (che non coincide affatto colla sodomia), riprovata da ogni fede del secondo '500 perchè avrebbe condotto ad un'identificazione fra il coito umano e quello animale, e soprattutto si aborriva, ovunque, dalle istituzioni ecclesiastiche e dal sistema egemonico, la positura innaturale (sic!) definita mulier supra virum in quanto, stando la donna al posto dell'uomo (almeno in rapporto alle convenzioni riconosciute come lecite!) e quindi in apparente condizione egemonica (sì da poter muovere il suo corpo "lascivo naturalmente" al modo libero e migliore per eccitarsi e godere) ne sarebbe derivata un'esplicita preferenza al fine del godimento rispetto a quello della procreazione ed un'alterazione strutturale dell'icona od immagine istituzionale della donna passiva a fronte dell'uomo attivo, pericolosamente sostituita dalla figurazione opposta della femmina dominante su un uomo inerte (ed in una società sessuofoba e conservatrice queste innovazioni di comportamento sessuale son ogni volta trasfigurate dal delirio di un sistema traballante a presupposti di innovazioni destabilizzanti: non a caso certe sfortune di un idolo, di A.Aprosio, quale fu G.B.Marino e del suo Adone, il poema dove un giovane bellissimo è in fondo cera malleabile fra le mani d'una dea come Venere che è però eminentemente donna libera e sensuale , dipesero proprio dall'introduzione in letteratura della femmina dominante, per alcuni interpreti pericolosissimo preludio ed invito, forse, ad oscenità erotiche ma soprattutto anticipazione ideologica d'un più esteso scardinamento dei rapporti concretizzati di sudditanza della donna rispetto all' uomo: fenomeno che in definitiva pagò e patì, specie nell'inconscio, anche il Tasso laddove, terrorizzato dall'Inquisizione, aveva finito per sostituire la splendente Gerusalemme Liberata con quella pallida Riconquistata in cui donne ed eroine eran diventate smunti manichini e donde era stata bandita l'eccitante Armida, la femmina che era maga soprattutto perché era seducente e sensuale)].
Certe riprovazioni predicatorie avverso l'esasperazione del godimento sessuale femminile sono in conclusione da ridurre ed analizzare nel complesso di quel globale (e spesso contraddittorio) processo di moralizzazione che segnò a fondo il secondo '500 e tutto il '600: in realtà la prevalenza sessuale (ed anche violenta) del maschio (come pure la sua giustificazione legale) fu un fenomeno costante, irreversibile anche se pure contro di esso si stavano levando impreviste riprovazioni oratorie e giuridiche. Le ragioni erano molteplici e correvano dalla necessità sociale di mettere un freno agli eccessi sessuali di tanti soldati ormai "scientificamente" dediti a frenetici saccheggi, quanto ancora all'obbligo sanitario d'arginare il diffondersi della sifilide ed altresì all'esigenza di reprimere (per salvaguadare in particolare "giovinetti d'onesta condizione") il proliferare di sodomia ed omosessualit…: in questo meccanismo sostanzialmente rientrava la storica condanna della masturbazione (od "onanismo" dal biblico peccato di Onan, punito da Dio per aver sparso a terra il proprio sperma). La masturbazione tormentò, stranamente i pensieri d'un esercito di teologici e la sua condanna finì per estendersi, con terribili ed ingiustificate componenti psicologiche, nella sfera dell'indagine medica e dell'analisi mentale sin a strutturare, in tempi relativamente recenti, formule, a sostegno di complicanze patologiche fisiche e mentali, tanto terrifiche quanto ad effetto per generazioni di adolescenti, del genere, per intendersi, che "la mano del masturbatore sia in pratica quella d'un aspirante suicida". Alle origini di una condanna spietata quanto priva di motivi scientifici risiedeva un giudizio religioso e morale, in pratica, paneuropeo: in definitiva la masturbazione era bandita sin ai limiti del peccato mortale (per quanto non perseguibile penalmente vista l'estrema diffusione) in quanto molti teologi (forse, pure a fronte di un calo evidente delle nascite sia legittime che prematrimoniali) avevano maturata la convinzione che la masturbazione (e la pratica non facile comunque del coito interrotto) fossero divenute una colpevole abitudine di tante coppie sposate che (a prescindere da rudimentali forme anticoncezionali) preferivano raggiungere il piacere per via di queste pratiche erotiche piuttosto che correre il rischio (soprattutto economico) di gravidanze indesiderate.
La convinzione teologica, partita da un certo studio delle nuove abitudini all'interno della vita di coppia, si estese sveltamente alla valutazione del vero e proprio autoerotismo, praticato dal singolo individuo escluso, per varie motivazioni, da complete esperienze etrosessuali: in questo caso si puù allora affermare che un testo base per le confessioni sia divenuto, con rapidità, la Instructions pour les Confesseurs du Diocesse de Chalon-sur-Saone (Lione, 1682) in cui si fornivano i consigli ritenuti migliori, più utili e soprattutto prudenti (in particolare anche per pedagoghi e genitori) onde distogliere gli adolescenti da un peccato giudicato "perverso" (assieme a quelli di omosessualità-sodomia, coito interrotto e zoofilia od accoppiamento con animali) in quanto l'orgasmo e l'eiaculazione non avrebbero mai corrisposto al fine naturale e religioso della procreazione.
Ad una prima analisi sorprende, dall'attenta lettura di questo e dei tanti manuali che ne trassero ispirazione, che tale delirante processo di colpevolizzazione venisse esteso eminentemente alla masturbazione maschile (proprio contro l'indulgenza storica verso questo sesso) mentre la maggior parte dei confessori e dei medici di estrazione cattolica consentiva la masturbazione femminile pur sotto termine meno urtante di manipolazione, tanto in preparazione della penetrazione maschile quanto del conseguimento dell'orgasmo femminile una volta che lo sposo avesse precedentemente eiaculato. La ragione vera di queste scelte non dipendeva però da ignoranza nè da un imprevedibile permessivismo a favore della sessualità femminile; in effetti tanto i teologi, soprattutto quelli attenti ai meccanismi del concepimento, quanto i medici continuavano a dipendere, nella gran maggioranza, dal magistero della scienza di Galeno (per cui l'appagamento femminile, visto che esisteva, doveva pur collegarsi a qualche volontà divina) arricchita per un verso dal convincimento che il "liquido seminale" femminile, liberato dall'eccitazione sessuale ed estremizzato dal conseguimento dell'orgasmo, fosse biologicamente essenziale quanto quello maschile al concepimento e che d'altro canto la contestualità di versamento di "fluido femminile" e di "sperma maschile", favorita dalla simultaneità o quasi dell'orgasmo, determinasse la generazione di figli più belli, forti e sani (v.SARA F. MATTHEWS GRIECO, Corpo, aspetto e sessualità in Storia delle donne..., Laterza, Bari, 1995, III,pp.82-84: sull'argomento, all'Aprosiana si conservano testi di grande rarità, che renderebbero possibile a parecchi studiosi ulteriori utili approfondimenti, basta ricordare a titolo esemplificativo: ADRIAAN VAN DE SPIEGEL [Adrianus Spigelius], De formato foetu ["La forma del feto"], Francofurti, Impensis Matthei Meridiani, Typis Casperis Rotebii, 1631 e S. PINEAU, De verginitatis notis, graviditate et partu...["Le caratteristiche della verginità, della gravidanza e del parto..."], Lugduni Batavorum, Apud Franciscum Hegerum, 1641).

B -Santa o Puttana: gli estremi della femminilità di Stato.

Se la Donna nel variegato panorama delle possibili Diversità costituiva quindi di per se stessa un soggetto "interessante", di sicuro vi erano Donne ancora più "interessanti" e "a rischio", maggiormente soggette a questa esasperazione dei loro aspetti nocivi: lasciando da parte le Streghe, che quali adepte ed amanti di Satana costituivano in qualche modo l'eccesso extraistituzionale, e relegando le Donne normali entro i ruoli gregari e passivi d'un indubbio ma auspicato (dal sistema patriarcale delle famiglie!) grigiore esistenziale, le femmine in grado di esorcizzare scandali diversi, ma ugualmente pruriginosi, erano proprio quelle che stavano ai margini contrapposti della condizione donnesca convenzionale, da un lato le Puttane e dall'altro, per parecchi uomini e non solo per lo squallido manzoniano Egidio, Donne straordinariamente eccitanti come le "Suore", sia che fossero Suore nel senso esplicito del termine o Sante Donne, nell'idea allora comune di Monache di casa, sia ancor meglio che non fossero poi "Suore Sante" quanto "Suore scontente".

G. LEOPARDI - che aveva ben vivi il problema delle "monacazioni forzate" e la viva, concreta impressione della "storia di una povera Monaca....che disperata essendosi monacata per forza, si uccise gettandosi da una finestra del suo monastero" pure scrisse nello Zibaldone, n.2381 seg. (2 febbraio 1822) "Giovinette di quindici o poco più anni che non hanno ancora cominciato a vivere, non sanno che sia vita, si chiudono in un monastero, professano un metodo, una regola di esistenza, il cui unico scopo diretto e immediato si è di impedire la vita": v. G.LEOPARDI, Tutte le Opere, a cura di Walter Binni, Firenze, Sansoni 1969, vol.II, p.616, col.II> peraltro Luigi Carrer (Venezia 1801-1850) più esplicitamente ancora poetò: "Giovine appena/ fui monacata;/ ohimè, qual pena/ vedermi in grata" in Poeti minori dell'Ottocento, a cura di L.Baldacci, Milano-Napoli, Ricciardi 1958, p.203].
Certamente, nell'età intermedia (ma in fondo ancora ai nostri giorni) proprio queste due categorie di Donne hanno eccitato le riflessioni più pruriginose, le demonizzazioni più isteriche ed all'opposto le sublimazioni maggiormente articolate sin alle soglie opposte d'una sorta di finta divinizzazione o di una incuriosita dannazione. Da un lato stava dunque la Suora o Monaca, talora Donna Santa talora Donna ambigua, dall'altra risiedeva la Pubblica peccatrice , la Puttana, entrambe - per quanto in maniera contraddittoria - strettamente legate all'energia sempre dirompente della sessualità, o per essere precisi di una sessualità da un lato repressa alla stregua di colpa [qualche volta però segretamente esaltata quale lasciva provocazione da reprimere nel delirio sado-masochista di tormentanti autoflagellazioni e punizioni corporali> caso celebre fu quello dell'orsolina Jeanne des Anges, superiora del convento francese di Loudun, donna dalla formidabile sensualità masochista presto coinvolta nelle torbide avventure del padre gesuita Grandier accusato di connivenze col Demonio, arrestato nel 1633 ed arso sul rogo senza mai aver nulla confessato (J.DES ANGES, Storia della mia possessione, Palermo, Sellerio 1986 passim): l'anoressia divenne comunque una scelta quasi costante e così pure l'uso di un abbigliamento che doveva tormentare e ferire il corpo; si rammenti, in altri casi limite, l'uso di cilici con ganci di ferro che dilaniavano le carni delle penitenti su cui poi queste spargevano sale ed aceto o deponevano vermi carnivori [fra tante esasperazioni è da citare quella della clarissa cappuccina Maria Maddalena Martinengo di Barco (1687-1737) persino accusata di fanatismo eretico vista la sua terribile consuetudine di riempire il vuoto mentale dell'esistenza con implacabili e compiaciute sofferenze, come si evince leggendone l' Autobiografia] e per altro verso di una libidine mercenaria vissuta come mestiere ambiguamente sospeso su una violazione di quanto fosse lecito e, sorprendentemente contro certe costanti epocali di cui si è scritto prima, "attività" qualche volta ritenuta necessaria "per estrema ragione" e persino (occultamente) incoraggiata dalle stesse istituzioni - doverosamente e falsamente moraliste sia nelle costumanze suggerite all'opinione pubblica che nelle codificazioni giuridiche - al fine di controllare la popolazione maschile, frenarne le licenze avverso le donne oneste, reprimerne, per quanto possibile, le pratiche, ancor più condannate dall'etica di volta in volta corrente, di Sodomia, Omosessualità, Zoofilia e Masturbazione.

C - La Puttana (Prostituzione femminile).

Sulla Donna meretrice o puttana [e di conseguenza sull'inesausto sforzo di mantenersi intatte e non essere neppure sfiorate da alcun sospetto] ha diffusamente scritto A.OMODEO (Il ruolo sociale della donna nel seicento italiano attraverso le immagini in AA.VV, Il Gran Secolo di Angelico Aprosio, Sanremo, 1981, p.77):"La legge sociale vuole che le donne debbano per conquistare una vita matrimoniale (un posto nella società) conservare la verginità. La verginità si conserva in modo molto semplice, attraverso la segregazione e il non contatto con l'altro sesso. Nella realtà pratica questo significa escludere le donne vergini da qualsiasi tipo di lavoro che si svolga al di fuori della porta di casa [da questa esigenza di salvaguardare la verginità o la castità femminile l'orrore della cintura di castità - strumento reale, in ferro, con una sorta di lucchetto, causa di gravi infezioni ai genitali femminili anche quando "portato" per il tempo massimo possibile di 2/3 ore - fatta indossare, quale espressione di tortura ideologica, da padri padroni o da mariti padroni alle loro donne specie durante i viaggi per nave al tempo dell' "aria" sul ponte].
Basta
[scrive la Omodeo] varcare materialmente il limite della soglia che si apre l'avvio alla "prostituzione".
Se le bambine di dieci anni scendono in cortile a prendere l'acqua, vengono automaticamente escluse dalla dote: è stata intaccata la loro verginità. Al di là della soglia della casa, da ragazza si diventa puttana
"["Statuti Criminali" di Genova del 1556, lib.II,capo 4 "Supplizio capitale per rapitori di vergini pur consenzienti di qualsiasi grado sociale - si concede però l'alternativa del matrimonio riparatore"; capo 63 "da 200 a 500 scudi d'oro d'ammenda per chi abbraccia e bacia in pubblico donne (vedove o da marito) non consenzienti, di buona fama, ed esilio triennale dallo Stato; da 50 a 300 scudi d'oro per chi compie simili reati avverso donne di modesta condizione e un biennio d'esilio"].

Naturalmente un caso particolare, in cui lo Stato genovese [il cui "diritto criminale" - come detto - incarnava nella sostanza e spesso nella forma quello di tutti gli Stati italiani ed europei] individuava una tra le cause prioritarie dell'emarginazione femminile nella "Prostituzione" era il crimine dello Stupro cui gli Statuti Criminali dedicano parte del Capitolo III sempre del Libro II, qui trascritto per intero in traduzione ed in cui, a riprova d'uno storico difetto di una lunga tradizione giuridica sulla questione, molto spesso la Donna (adultera o provocatrice ma anche incolpevole che sia) risulta infangata, colpevolizzata oltre ragione e quasi sempre punita al di là di ogni lecita misura:
"(Libro II, Cap.III) Sugli adulteri e gli stupratori /Qualora una donna sposata abbia commesso adulterio, senza esservi stata costretta, venga punita con la morte e tutti i suoi beni, compresa la dote, passino al marito ed ai suoi figli: a titolo esemplificativo si prenda sempre risoluzione di supplizio estremo nei riguardi della donna che abbia abbandonato il tetto coniugale.
Venga altresì condannato a morte l'uomo che abbia avuto rapporti carnali colla moglie di un altro in luogo diverso dalla sua solita abitazione.
Non debba invece un uomo patir condanna alcuna o minima pena nel caso si sia congiunto, nei modi come sopra, con una sposata impudica, che si prostituisca o che lucri del proprio corpo o sul cui mercimonio sessuale possano testimoniare tre persone di provata attendibilità od anche soltanto tre individui qualsiasi, purch‚ attestino sotto i vincoli del santissimo giuramento d'aver avuto colla stessa rapporti sessuali di qualsivoglia genere: soltanto la donna in tal circostanza debba esser condannata a morte. Allorchè‚ un uomo, a casa sua propria, abbia stuprato la sposa di un altro sia condannato a pagare un'ammenda che va da cinquanta a cinquecento lire e venga invece fustigato soltanto qualora non abbia versato quanto dovuto entro quindici giorni. Nella ben trista eventualità che abbia poi fatto della donna una propria concubina, lo stesso debba però essere senza meno condannato a morte. Infine, sempre alla pena capitale sia inviato chiunque, in qualsiasi altro luogo che la sua medesima abitazione, abbia usato violenza ad una sposa altrui.
Un uomo od una donna responsabili d'aver commesso incesto siano condannati a morte anche se sian stati vicendevolmente consenzienti.
Venga poi mandato a patir la pena capitale colui che, entro le mura di un convento od anche fuori di quello, abbia avuto rapporti carnali con una donna, fosse anche consenziente, che abbia votato a Dio la sua vita e che abbia indossato l'abito monacale. Non sia peraltro lecito ad alcun laico, se non per speciale concessione delle autorità religiose, entrare di giorno o di notte in un pio monastero. Chiunque abbia fatto ciò venga multato, dopo la prima trasgressione, per trecento lire e, dalla seconda in poi, sino a seicento per tutte le volte che si sia reso colpevole. Nel caso che entro un mese il reo non abbia pagato l'ammenda venga allora corporalmente punito con tre giri di corda oppure, oltre i confini di Genova e distretto, sia recluso per un triennio sulle triremi come galeotto. Chiunque poi, senza consenso dell'autorità ecclesiastica, abbia ospitato una religiosa nella sua casa d'abitazione od in qualche modo abbia con lei vissuto sotto lo stesso tetto sia punito con un'ammenda di duecento lire.
Chi abbia tolto la verginità ad una fanciulla intatta e pura, anche se consenziente, debba pagare ammende da cinquanta a cinquecento lire e se, cosa da presumersi nella fattispecie salva la prova del contrario, l'abbia puranco traviata, oltre alla pena sopraccitata, tal seduttore sia tenuto a farne la dote nuziale su indicazione del magistrato che calcolerà la riparazione secondo ceto e censo delle persone in causa.
Nessuno osi d'altronde insidiare la pace di lecite nozze e da tutti si abbia estremo rispetto dell'onore muliebre. Pertanto si stabilisce che al riguardo il diritto di muovere accuse, deferire o denunziare in occasione d'adulteri, stupri, incesti, spetti ai parenti più prossimi, precisamente al padre, al fratello, allo zio paterno, a quello materno ed al marito, purch‚ tutti costoro siano in effetti mossi ad agire da dolore autenticamente sincero. Qualora tuttavia il marito della donna accusata d'adulterio si trovasse a Genova e nel distretto, nessun altro, fuor di lui, venga però ammesso a sporgere denunzia d'adulterio: solo nel caso che egli si trovi lontano, i parenti prossimi di cui si è fatta menzione in precedenza possano adire alla denunzia.
Fatta l'accusa da qualsivoglia fra questi, sia per adulterio, violenza sessuale, stupro od incesto, non si istituisca inquisizione al di sopra di lui o di qualsiasi altro di quei congiunti prima menzionati e l'inquisizione stessa sia tenuta nel rispetto formale degli statuti e del diritto comune allorquando negli stessi Libri dei Malefici manchi qualcosa al riguardo della causa in fieri.
In tutti i casi inoltre in cui ad un adultero o a un'adultera debba essere inflitta una pena corporale non si faccia alcuna differenza o riguardo per il sesso qualora entrambi i rei siano caduti in potestà della magistratura: se altrimenti uno solo Š stato catturato, mentre costui o costei vien tormentato, quello o quella che sia contumace risulti bandito da esule fin a quando non venga a scontar la pena.
Al marito che abbia accusato di adulterio la propria moglie, ed anche a quanti in subordine al coniuge od al padre, abbiano promosso identica accusa ad un'altrui sposa sia tuttavia lecito, in qualsivoglia momento, purché anteriormente alla pubblicazione della sentenza, ritirare la denuncia, alla condizione però di non poter nuovamente muovere accuse alla stessa donna per il medesimo crimine. Dell'identico beneficio possa altresì usufruire l'uomo accusato di adulterio. Allorchè una moglie accusata d'adulterio venga liberata sia quindi affidata al marito, che la dovrà accogliere nella propria casa. Ed al proposito si deve intendere per casa non tanto la proprietà dell'alloggio od abitazione quanto il domicilio. Per tal ragione questa norma ha vigore sia che uno risieda in casa di proprietà o a pigione od ancora in abitazione altrui a titolo gratuito oppure in locanda ed ospizio: e la stessa vige altresì a riguardo di chi abita in poderi o case rurali, nella misura però che si intenda domicilio il sito in cui si tenga abitualmente dai Sindicatori il censimento dei luoghi."
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Nel suo citato studio la Omodeo esamina peraltro le fasi, fortunate e no dello stato di puttana o meretrice: le Cortigiane - le mantenute, belle e giovani, dei potenti - godevano di notevoli vantaggi (economici e pure di libertà nella vita di relazione) ma potevano decadere di colpo se si innamoravano ed anteponevano "le ragioni del cuore" al solito amante pagatore: sfortuna, scelte sbagliate, malattie veneree (in particolare la temutissima sifilide "appena giunta" dalle Americhe), sfiorimento e vecchiaia significavano per molte Cortigiane la rovina e l'andare a vivere sotto un ponte prima di morire in qualche ospedale per poveri. La Omodeo giudicando panitaliane le norme papali contro prostitute (norme statutarie cui si è riferita per la sua indagine) scrive altresì "Si confiscano d'ufficio tutti i beni materiali, oltre ai denari, alle meretrici. esse non possono avere eredi, i loro beni non sono trasmissibili, ma destinati ad istituzioni preposte alla salvezza di giovani anime femminili da strappare al mercimonio dei corpi. Le meretrici inoltre sono escluse dai cimiteri e inumate in terra sconsacrata".
Sostanzialmente, non solo in Italia ma un pò in tutta Europa, il diritto intermedio si regolava contro le Prostitute secondo linee abbastanza simili, in gran parte risalenti al diritto romano, anche se nella Roma papalina, dopo un lungo periodo di permissività, le sanzioni contro queste donne ed i loro complici erano diventate, in linea almeno teorica, più severe che altrove, vista anche l'esigenza della Chiesa di rispondere alla "rivoluzione" luterana (e calvinista) con un processo di moralizzazione più intransigente rispetto a quello degli altri Stati cattolici, anche per "pubblicizzare" l'attivismo del Santo Ufficio e dell'Inquisizione ecclesiastica.

A parte quanto si è già detto in merito ad eventuali abusi contro le donne (oltre alle riflessioni sulle MERETRICI e meno scopertamente sulle CONCUBINE per cui si rifanno implicitamente al LIBRO XXV del DIGESTO GIUSTINIANEO [vedi Dig.25.7.0., De concubinis ]), gli STATUTI CRIMINALI DI GENOVA del 1556 (Genuae, cura Antonij Belonij, 1557) parlano specificatamente delle Prostitute (e del loro "ambiente") nel contesto di due soli articoli, in cui soprattutto si mira a circoscrivere l'attività di tali donne, ad evitare l'occasione di scandalo, ad impedire l'istituzione di "bordelli" in case di "civile abitazione"; si tratta di una normativa sostanzialmente dirigistica che assume maggior rigore nei riguardi di quei genitori e di quegli sposi che prostituiscano le loro figlie o mogli: in effetti, come sotto si può leggere nel Capitolo VI, le pene contro ruffiani e lenoni, specie se parenti, sono più pesanti che per altre colpe di cui si parla negli Statuti ma il fatto, oltre che ad una certa equiparazione ai dettami della Chiesa, dipendeva prioritariamente dalla necessità di salvaguardare l'ordine istituzionale, impedendo che donne di famiglie, soprattutto borghesi ed aristocratiche, si coinvolgessero in fenomeni di prostituzione creando grave detrimento al patrimonio della casata e quindi all'equilibrio di uno Stato, come quello genovese, ben strutturato sulla saldezza dell'economia della famiglia, sua asse portante (da qui deriva la notevole intransigenza verso genitori e sposi "sfruttatori", in altri "capitoli" alquanto "giustificati" nei loro interventi anche pesantemente punitivi sulle donne più giovani di casa):

"Capitolo V (5)/ Che nè a donne di cattiva fama nè a lenoni e ruffiani si conceda d'abitare sotto lo stesso tetto con onesti cittadini/ Nessuna meretrice o donna di mala fama, alcuna ruffiana e tantomeno lenoni o seduttori possano abitare nello stesso caseggiato ove risiedono uomini e donne di onesta condizione e di buon nome. Qualora le autorit… abbiano accertata l'insolvenza di questa norma ed il magistrato sia stato edotto, grazie anche al concorso di tre giurati, che una qualche donna tenga condotta pubblicamente impudica o che un uomo eserciti il lenocinio, i rei siano obbligati a lasciare tale abitazione entro tre giorni oppure vengano frustati in pubblica piazza [pena della berlina e della fustigazione] sempre che non abbiano soddisfatta questa imposizione. Qualora i rei, in tempo susseguente, riprendano dimora nella stessa abitazione donde furono espulsi, oltre i confini di Genova e suo distretto, vengano relegati per un quinquennio sulle triremi [incatenati ai remi dei vascelli di Stato]. Allorch‚ si contravvenga a quanto sopra restino obbligati tutti i colpevoli a pagare l'ammenda di cento lire.-- Capitolo VI (6)/ Che nessuno osi esercitare meretricio o lenocinio nella citt… di Genova/ Il lenone o la ruffiana, o comunque qualsiasi individuo d'entrambi i sessi, che abbiano attentato per lucro alla pudicizia di fanciulle da marito o di legittime spose, una volta catturati, incatenati e finalmente condannati, siano frustati in pubblico in occasione del loro primo delitto: e quindi, col ferro incandescente, vengano marchiati in fronte [ nota di infamia]. Ai recidivi si amputino quindi le nari e vengano condannati a perpetuo esilio, espulsi per sempre oltre i confini di Genova e del suo distretto. Coll'espressione "tentare la pudicizia" si deve intendere il far in modo che una donna da ritrosa ed onesta venga indotta a fare lasciva ostentazione e mercimonio del proprio corpo. Di conseguenza, essendo cosa vergognosissima svendere per lucro la castità dei propri nati, i genitori che prostituiscono le figlie debbano essere puniti col taglio del naso: i giudici provvederanno poi a loro insindacabile arbitrato, caso per caso, soltanto nell'occasione in cui le figlie abbiano testimoniato d'essersi consenzientemente prostituite. Il marito d'infima condizione che abbia tratto guadagno dal meretricio della consorte, sarà frustato e verrà esiliato per dieci anni da Genova e distretto a meno che non venga recluso come galeotto sulle triremi per la durata di un quinquennio. Un cittadino d'onesta condizione verrà al contrario esiliato in perpetuo da Genova e distretto mentre la metà dei suoi beni sar… trasferita nelle casse del fisco repubblicano: non stupisca la severità di tal pene perchè chi, fattosi lenone o ruffiano della propria sposa, ne ha prostituiti corpo e piaceri ha realmente commesso un grave delitto avverso la società tutta.".

Queste ultime considerazioni, ben si vede, comportano una stretta relazione, culturale e giuridica, tra la figura della Puttana e quella degli eventuali Lenoni o Ruffiani/-e od ancora Mezzani/-e: si tratta di un "rapporto" storicamente arcaico e non privo di interferenze culturali d'ascendenza molto antica, di cui, dalla classicità, sono recuperabili degli archetipi d'arte vera nelle commedie di Plauto e di Terenzio, ove la caratterizzazione teatrale di Mezzano o Ruffiana in sostanza rispondeva ai connotati criminali istituzionali del (o della) "parassita di prostitute", una figura abbastanza sordida, sempre cinica ed avida, qualche volta persino violenta a scapito della sua eventuale "pupilla" [ ed in questo, anche con sorprendente attendibilità, il teatro romano anticipava e descriveva l'immagine squallida dello "sfruttatore" - uomo e donna che fosse o sia - alla stregua di un "prototipo", per certi versi "artigianale", del moderno protettore (figura - per svariate trasformazioni socio-economiche e culturali - ormai decisamente maschile e penalmente ben connotata)].
Tra '500 e '600, nell' evoluzione (sotto forma di persecuzioni più o meno severe) come nell'incremento (a ragione di problematiche scelte esistenziali, specie per conseguenza di un irrazionale processo di inurbamento) della Prostituzione e dell'intiero suo "apparato", Ruffiano/-a o Mezzano/-a vennero in qualche modo rivisitati culturalmente e, nonostante le sanzioni penali di cui si è appena detto, risultarono dimensionati entro gli schemi di un rinnovato ma comunque temporaneo metro di valutazione che rifletteva un giudizio pubblico, evolutosi soprattutto in ambiente libertino ed anticlericale, entro cui oscillava in precario equilibrio la volontà di giustificare, o comunque perdonare, la "donna perduta" ed il "dovere cristiano/ istituzionale" di disprezzarne il coraggio, il talento e l'intelligenza come ben scrive E.A.NICHOLSON (Il teatro: immagini di lei in Storia delle donne..., Laterza, Bari, 1995, III, p.293).

Aprosio, per vari aspetti "figlio spurio" del libertinismo veneziano degli INCOGNITI, e l'Aprosiana, biblioteca dai volumi rari e soprattutto dai molti tomi ricchi d'argomentazioni misogine ed volte (contraddittoriamente) femministe se non - in qualche occasione - pornografiche, si pongono per certi aspetti al vertice di queste discussioni e forse, ad un'indagine più massiccia, potrebbero essere prima scoperti e quindi strutturati come imprevedibili ed imprevisti serbatoi di materiale documentario pressoché sconosciuto sulla questione.

Non è forse casuale che proprio all'Aprosiana si conservi, tra altri interessanti documenti, una rarissima e preziosissima edizione ("parigina del 1527") della Tragicommedia di Callisto e Melibea di Fernando de Rojas, meglio nota come LA CELESTINA dal nome della "vecchia puttana" fattasi Mezzana che in definitiva domina la scena, orchestrando le vicende sentimentali ed erotiche dei due protagonisti.
Il volume, che Aprosio conservò sempre con particolare gelosia (e timore, probabilmente, d'esserne scoperto - proprio contro i suoi doveri di frate e censore - fruitore ed ammiratore!), era in fondo la "Summa" delle momentanee visioni d'una morale a suo modo "di frontiera ed antistatutaria sia in linea giuridica che ecclesiale" donde la Mezzana, con una certa sorpresa, emergeva quale una figura sociale (ancor prima che teatrale) in cui si coniugavano il male dei giudizi tradizionali (Celestina, nel rispetto di certi canoni interpretativi, è un'avvinazzata certamente avida e non priva d'atteggiamenti "stregoneschi") ed il bene, anche un pò ambiguo ma tutto sommato piacevole della morale libertina (ancora Celestina sa svolgere parecchi mestieri, si intende di medicina e piace ai clienti, a Callisto in particolare, da cui "spreme soldi" ma al quale regala "fantasie e meraviglie" barocche come fughe eccellenti da una vaga noia dell'esistere).
L'Aprosio bibliofilo, ma altresì "inquisitore controriformista", probabilmente intuì solo di scorcio certe fluttuazioni di questa crescente visione della vita sociale ma, per quanto recitano le sue opere moralistiche edite e no (i due Scudi di Rinaldo e La Grillaia del 1668 in particolare) e al modo in cui suggeriscono altre opere da lui raccolte (dalla Lena dell'Ariosto a La Cortigiana dell'Aretino, che sono di sicuro debitrici della Celestina) il frate ebbe presente l'evolversi di un contesto sociale in cui l'astuzia, ben connessa ad ingegno ed avidità, per vari aspetti, sembrava caratterizzare sempre più le donne (sposate, puttane od anche ruffiane) a scapito di una stolidità patriarcale [aggrappata a troppi luoghi comuni, che in più d'un'occasione egli inquadrò negli schematismi del ridanciano (non son da dimenticare le sue dissertazioni sul Bekko - cioè‚ "il Cornuto" - in capitoli anche blasfemi della Grillaia che tuttavia si guardò dallo stampare)].
A fronte dell'analisi di questa "creatività femminile", che era comunque indizio di una più vasta riscossa del "sesso debole", Aprosio, almeno pubblicamente, si trovò nella necessità "sociale e [si potrebbe dire] professionale" di deprimerla e deriderla (vedi la diatriba con la Tarabotti) pur se, a livello privato, restano aperti molti punti di domanda sulla sua personalissima postazione ideologica come sulla genuinità delle convinzioni di fondo. Anche leggendone parecchie lettere dall'"Epistolario" genovese si ha infatti, più d'una volta, l'impressione di contemplare un maschilista intelligente ma pratico che, da un lato, compiangeva quanto gli risultava ineluttabile (la riscossa del sesso donnesco!) e dall'altro, con dovere quasi istituzionale, "suonava" per uomini che sentiva già vinti un' insignificante "buccina da battaglia" contro le donne, scrivendo ora qualche aneddoto antifemminista ora qualche satira senza energia in cui si intuisce il timore, in vero non sempre iracondo, per una donna prossima e ventura, che presto "avrebbe gabbato" la prosopopea maschile: un tipo nuovo di donna che, in tempi a venire ma neppure lontani, il Goldoni (trattando finalmente dell'arguzia di "femmine oneste" o di "spose comuni" ed abbandonando il ripiego letterario della Mezzana pur sempre sita fuori delle costumanze morali) avrebbe fatto trionfare sulla scena (riflesso non casuale degli eventi mondani) quasi a monito contro la sclerotizzazione di una società maschile e maschilista che, alla lunga, per ignavia e mancanza di competitività sul fronte delle dispute fra i sessi, era divenuta stolida ed inerte fra le "mani" di donne intelligenti ( basta citare Mirandolina!) ed ormai provviste (specie se di ambiente piccolo borghese, come appunto la "Locandiera") d'una autonomia socio-economica non più dipendente dalla sfera "sempre troppo banalmente esecrabile" della sessualità venduta.

FLUDD, Robert (Milgate House, Kent 1574 - Londra 1637). Medico, filosofo ed esoterista inglese. Viaggiò e studiò per varie parti d’Europa prima di esercitare la medicina in Londra ispirandosi ad indicazioni terapeutiche in qualche modo prepsicosomatiche e che risentivano dell’influsso di Paracelso di modo che nelle indicazioni curative previlegiò i rimedi a base minerale. Dal 1606 volse la sua attenzione verso l’occulto, l’esoterismo e l’ermetismo (forse per i contatti con la setta storica dei Rosacroce): questa postazione gli valse polemiche e scontri anche feroci e nello stesso tempo alimentò intorno alla sua figura la nomina di mago e di curatore cui non furono estranei i soliti sospetti di indagini proiettate nel campo dell’illecito.

BORROMEO, Carlo, Santo [canonizzato da Pio V nel 1610] (Roma 1538-Milano 1584). Della nobile dei Borromeo e nipote di Pio IV, fu da questo nominato cardinale diacono a 22 anni nel 1560, ricevendone compensi ed onorificenze.
Partecipò alle ultime sessioni del Concilio di Trento, contribuendo all’elaborazione del Catechismo romano ad uso dei parroci. Dal 1563 fu fatto sacerdote ed arcivescovo della diocesi di Milano ma ne prese possesso nel 1565, intraprendendovi una lotta tenace contro le infiltrazioni protestanti ricorrendo all’Inquisizione ma anche esercitando, tramite istituzione di Seminari, una moderna preparazione del clero, sul quale esercitò un rigoroso controllo per moralizzarne la condotta (nel contesto di queste iniziative rientra appunto la sua revisione nelle procedure della confessione e specificatamente l’istituzione dei confessionali). Ad onta di questa severità godette di grande ammirazione tra il popolo, fra il quale si adoperò con zelo ai tempi della pestilenza del 1576-’77 (P.GIUSSANO, Vita di S.Carlo Borromeo. Prete Cardinale del titolo di Santaprassede Arcivescovo di Milano, Stamperia della Camera Apostolica, Roma 1610).

AGRIPPA, von Nettesheim Heinrich Cornelius (1486 Colonia - 1535 Grenoble) Medico, storico, diplomatico ed alchimista tedesco: fu anche astrologo e ricercatore di scienze occulte. Insegnò in varie Università europee ma venne spesso osteggiato per la reputazione di mago. Ed infatti la morte lo colse proprio in carcere ove era stato rinchiuso per presunte colpe di magia. Tra i suoi scritti spicca - fondamento della magia naturale ingiustamente confusa con la magia nera - il De occulta philosophia del 1531.

DELLA PORTA, Giambattista (Napoli 1535 - ivi 1615) filosofo, erudito e letterato. Fu pure scienziato, studioso di ottica, inventore e ricercatore dei misteri della natura: interpretò in modo esemplare lo spirito rinascimentale della forza di quella magia naturale che darebbe nerbo a tutte le entità dell’universo. Anche per questi suoi vari interessi fondò a Napoli nel 1560 l’ Accademia dei segreti della natura. Oltre che opere letterarie, versi, scritti anche di gusto popolareggiante, ben 16 commedie ed alcune tragedie, di cui però solo una (il Giorgio del 1611) risulta nota, il Della Porta compose in latino trattati di mnemotecnica, fisionomia, ottica e soprattutto quel De magia libri naturali libri IV del 1589 ove esplicò la sua teoria magica del mondo.

CARDANO, Girolamo (Pavia 1501 - Roma 1576). Fu autore eclettico, di impronta rinascimentale: erudito e letterato, filosofo, inventore, naturalista, indagatore dell’occulto oltre che fisico, matematico e medico. Nell’Ars Magna del 1545 affrontò a fondo il tema dell’algebra e pose le fondamenta delle teorie delle equazioni algebriche conferendo rilievo alle relazioni intercorrenti tra coefficienti e radici. Pensatore acuto (De subtilitate del 1547) interessato alla magia naturale indagò le forze della natura (De rerum varietate del 1557) subendo però accuse d’aver condotto indagini illecite: per questo conobbe il carcere dell’Inquisizione. Il suo nome è connesso all’invezione del giunto cardanico.

INDICE DEI LIBRI PROIBITI>Conc. di Trento - Sess.XVIII - 26/II/1562 (ALBERIGO, pp.628-629> "Decreto sulla scelta de' libri/ Il sacrosanto concilio ecumenico e generale Tridentino, legittimamente riunito nello Spirito Santo, sotto la presidenza degli stessi legati della sede apostolica, confidando non nelle risorse umane, ma nella protezione e nell'aiuto del signore nostro Gesù Cristo, che promise di dare alla sua chiesa le parole adatte e la sapienza, a questo principalmente tende: a poter ricondurre una buona volta la dottrina della fede cattolica - inquinata e appannata, in molti luoghi, dalle opinioni di molti, che la pensano in modo contrastante, - all'antica purezza e splendore, a riportare i costumi, lontani dall'antico modo di vivere, ad un comportamento migliore e a rivolgere il cuore dei padri verso i figli e il cuore di questi verso i padri. Poiché, dunque, esso ha dovuto constatare che in questo tempo il numero dei libri sospetti e pericolosi, nei quali si contiene una dottrina impura, da essi diffusa in lungo e in largo, è troppo cresciuto, - e ciò è stato il motivo per cui molte censure in varie province, e specialmente nella città di Roma, sono state stabilite con pio zelo, senza però che ad un male così grave e così pericoloso giovasse alcuna medicina,- questo sinodo ha disposto che un gruppo di padri scelti per lo studio di questo problema, considerasse diligentemente cosa fosse necessario fare e ne riferissero poi allo stesso santo sinodo, perché esso possa più facilmente separare, come zizzania, le dottrine varie e peregrine dal frumento del vero cristiano, e con maggiore opportunità prendere una deliberazione e stabilire qualche cosa di preciso sulle questioni che sembreranno più opportune a togliere lo scrupolo dall'anima di parecchia gente e rimuovere le cause di molti la

L' istituzione acquisì struttura unitaria e gerarchica, alle dipendenze della "CONGREGAZIONE DEL SANTO UFFIZIO", preposta alla difesa del cattolicesimo, alla persecuzione dei riformati e al controllo dei volumi editi (INDICE DEI LIBRI PROIBITI) coll'imprimatur ("si pubblichi") se leggibili da tutti, oppure in censurati di I o II classe se leggibili da persona preparata (come certi testi erotici) o proibiti come la Bibbia riformata di Lutero.

Dal '500 al '600 l'Inquisizione venne potenziata e saldamente regolata anche con l'istituzione dell'ordine dei GESUITI teorici, in base ai dettami del loro fondatore, dell'uso ed abuso sin paranoico, dell'ESAME DI COSCIENZA: nel suo EMBLEMA, non a caso, mentre il ramo d'ulivo simboleggiava la clemenza incombeva minacciosa la spada ad indicare una giustizia che spesso fu intransigente e frequentemente temibile: essa così condusse una campagna contro i diversi che "infestavano" città e contadi, tra cui eretici, stranieri, ebrei ma anche donne, magari già emarginate dal consorzio sociale (ad es. ragazze madri cacciate di casa) che conducevano vita dura vendendo filtri terapeutici o ritenuti capaci di far innamorare chi li bevesse (pocula amatoria) od anche di uccidere.

Mentre l'Inquisizione perseguiva costoro come sicari del Demonio, in un'atmosfera socio-storica che sotto l'incubo della PESTE si tingeva di IMMAGINI APOCALITTICHE DA FINE DEL MONDO, il diritto penale seguiva pari criteri per combattere il proliferare di maghi e fattucchiere (tal mestiere visto il perpetuo abbondare dei gonzi, era diventato fruttuoso: specie per le promesse di pozioni "salvavita" contro CARESTIE, PESTILENZE E/O ALTRE SVENTURE e FATTURE) che per frenare il diffuso acquisto di VELENI presso streghe, alchimisti ed erboristi spregiudicati e criminosi onde commettere delitti avverso parenti o nemici vari






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Mario Damonte (pp.94-95 e note) analizza con la sua peculiare attenzione l'edizione del Viaje de Turquia o Peregrinaciones de Pedro de Urdemalas titolo preferito da Marcel Bataillon.
Nell'opera la presenza del "genovese" (inteso sia come individuo che come sistema di vita) risulta indubbia.
Alla città ligure viene dedicata una menzione sin dalle prime pagine del discusso dialogo ed infatti il protagonista Pedro entrando nelle merito delle fondazioni degli ospedali cui fanno cenno i suoi interlocutori menziona uno dei commerci più redittizi dell'attività mercantile di Genova, quello del marmo.
Un pò come avviene a riguardo de La Rosalinda di Bernardo Morando da questo punto quasi si sprecano le citazioni su Genova, la Liguria ed il suo Dominio.
Pedro, in merito poi alle DONNE definisce que son muchas y hermosas: in definitiva riprende un luogo abbastanza comune sul fascino della femmina genovese e, più estesamente, ligure.
Questa considerazione sul fascino e la liberalità comportamentale della donna genovese data dal periodo umanistico atteso quanto ne scrisse (p.519, nota 32) Silvio Enea Piccolomini (peraltro passato alla storia col titolo di papa Pio II) che presentò GENOVA come paradisum feminarum ubi mulieribus nihil desit voluptates ("paradiso delle femmine ove tutti i piaceri son concessi alle donne") ed ancor più in dettaglio trattando delle DONNE GENOVESI un pò acremente le rappresentò sine lege mariturum atque imperio ("emancipate dall'autorità maritale e di conseguenza particolarmente disinibite").
Del resto il Belgrano (p. 144) cita Giambattista da Udine che nella Lacrimosa novella di due amanti genovesi al riguardo aveva scritto: "...di bellissime, gentili e cortesi donne, più che altra città d'Italia, era ed è oggi adornata [Genova]".
Ancora il Belgrano (p.454) rifacendosi ad un testo basilare, che in qualche modo anticipa l'etnologia (cioè quello di Cesare Vecellio, Habiti antichi et moderni di tutto il mondo, Venezia, 1598) a riguardo delle donne di Genova annota "Sulla fronte arricciavano i capelli, rinchiudevano le trecce nella reticella, oppure in veli trasparenti di seta, vergati d'oro e di giallo; e farneticando come ringrandir la persona, si venivano con questi formando sul cucuzzolo una punta, lasciando che il resto bellamente cadesse sulle candide soalle. Ornavano inoltre il capo di qualche bel mazzo di fiori e portavano zoccoli ricchi d'oro e di perle e di un'altezza mediocre".
Le popolane (ancora il Belgrano, p. 267) "portavano anch'esse al fianco la borsa, ma aggiungevano l'acoraiuolo, ed in mano tenevano continuamente dei fiori".
L'autore spagnolo del Viaje pare citare un'abitudine storica delle donne genovesi quando, quasi allo stesso modo, annota: ...los turcos son muy amygos des flores, como las damas de Génova": del resto simile osservazione appartiene anche alle ricerche condotte dallo Staglieno (p. 53).
Queste peculiari vanità femminili, come si evince ancora dagli scritti del citato Damonte, avrebbero fatto parte sì della cosmesi femminile e particolarmente delle dame genovesi ma di una cosmesi adattata all'esaltazione del loro fascino a riguardo delle feste cui amavano partecipare con una liberalità superiore alle altre italiane: alla domenica e nei giorni di festa usano recarsi nelle ville lungo il Bisagno dove danzano tutto il giorno con chi vogliono.
Lo stesso Giambattista da Udine, già menzionato dal Damonte (p.94, nota 18) aveva espresso meraviglia per la spregiudicatezza delle donne di Genova di cui, comunque, aveva esaltato la grande bellezza. "per donna santa e casta che tenuta...nella città sia, tra l'altre comparire non potrebbe, se di amante fosse priva.
Sulla presunta liberalità sessuale e comportamentale delle donne genovesi in effetti si era espresso apertamente Francesco Bosio, vescovo di Novara, invitato a Genova in qualità di visitatore apostolico da papa Gregorio XIII che dalla sua sede di Milano scrisse (come ancora riporta il Belgrano a p. 449) in questi termini alla Signoria il 4 dicembre del 1582: Sarebbe molto espediente...moderare la troppo larga libertà delle donne...proibire le veglie.
E del resto ancora lo Staglieno (p.13) precisa nel suo lavoro che le donne genovesi: aveano agio di divertirsi a loro talento" nelle villeggiature "sulle ridenti colline di Albaro di Sampierdarena, della Polcevera, delle due riviere, ed anco d'oltre Appennine"







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Le leggende affermano che le Cinture di Castità sono state utilizzate per la prima volta ai tempi delle crociate, per preservare la castità delle mogli dei cavalieri.
Queste teorie sono pura fantasia, in quanto non ci sono prove storiche a supportare questa tesi.
Sussistono semmai ben più serie motivazioni pratiche che inducono a suggerire l'infondatezza di tale teoria.
E' infatti sostanzialmente impossibile indossare senza interruzione una cintura di castità per periodi così lunghi (mesi o anche anni) e non essere colte, per ragioni igienico - sanitarie, da irreversibili forme infettive e di setticemia.
Alcuni storici italiani ritengono che la Cintura di Castità sia stata utilizzata per la prima volta in Italia, probabilmente tra il XIV ed il XV secolo.
E' chiamata infatti il Congegno fiorentino in un documento, datato 1405, conservato nella Biblioteca di Gottinga, in Germania.
Molte delle cinture storiche che sono conservate nelle collezioni di musei europei sono state utilizzate da donne nobili ed esclusivamente per periodi brevissimi, specie, come detto, per prendere un poco d'aria sulla tolda di navi maleodoranti nella deprecabile necessità di un viaggio per mare, stando in mezzo a giurme di galeotti e marinai già poco raccomandabili per carattere e spesso sconvolti da prolungata astinenza sessuale.
La Cintura conservata nel Palazzo dei Dogi di Venezia apparteneva alla sposa di Francesco II di Carrara, mentre le cinture custodite nel museo di Cluny a Parigi sembra siano state commissionate da Enrico II per sua moglie Caterina De Medici e da Luigi XIII per Anna D'Austria.
Nel 1750 Freydier de Nimes pubblicò la prima requisitoria contro l'uso dei lucchetti e delle cinture di castità, in cui sosteneva che Francesco II di Carrara fosse l'inventore della Cintura e di altri dispositivi simili, come l'ostacolo che usava per sua moglie.
La maggioranza delle cinture antiche sono conformate in maniera simile, con la classica cintura addominale, posta nel punto più stretto della vita, unita ad una banda che copre pube ed ano, con le superfici interne ricoperte di velluto o di pelle.
Le cinture erano normalmente chiuse con un solo lucchetto, avanti o dietro.
In effetti circolano sui mercati antiquari altre cinture che, nonostante siano state datate prima del XV secolo, sono riproduzioni di vecchie cinture realizzate in tempi recenti, solitamente durante il XIX secolo.






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