SUORE E MONACAZIONE FORZATE
LA VITA NEI CONVENTI
NORME CRIMINALI CONTRO LAICI PROFANATORI DELLA VITA CONVENTUALE E CONTRO SUORE "INDEGNE"
(La ribellione rivoluzionaria alle "Monacazioni forzate").

A proposito di DONNE RIBELLI agli schemi dell'egemonia maschile e sessuofoba - come d'altronde si è già visto - non sono certo da dimenticare le urla ed i silenzi di tante di loro, chiuse nei conventi contro ogni volontà ed aspirazione: il caso di Gertrude, della manzoniana Monaca di Monza è infatti solo l'apice, la sommità di un iceberg inquietante [ed anche mostruoso, sì mostruoso come - fra mille condanne - ebbe in qualche modo coraggio di scrivere la veneziana ARCANGELA TARABOTTI, che fu suora contro la propria volontà, nel suo proibitissimo Inferno Monacale o come nel '700 avrebbe ribadito, con slancio e ragioni morali ben diverse da quelle del moderatissimo Manzoni, un illuminista quale fu Diderot, autore fra l'altro (presentendo e certo anticipando quella Costituzione Civile del clero del 1792 sancita dalla Rivoluzione e, pur tra formidabili opposizioni, accolta come una liberazione sia in molti conventi femminili sia dal clero minore, regolare o secolare che fosse) di una denuncia spietata, ne La Religiosa, degli abusi storici contro le donne: i contorni reali del dramma di Virginia di Leyva e della sua imposta relegazione nel convento di Monza - donde è poi derivato il celebre episodio manzoniano di Gertrude nei Promessi Sposi, si possono comunque oggi leggere in M.MAZZUCCHELLI, La Monaca di Monza, Milano, Dall'Oglio,1961].
Ma per certi versi, visto anche quanto si è poco prima scritto su di lui, è ancora più sorprendente - se non strabiliante - che, presso il fondo aprosiano della Biblioteca Universitaria di Genova, da pagina 398 [linea 2] della mai edita parte II del suo Scudo di Rinaldo (lavoro che ho tuttavia in gran parte utilizzato e trascritto nella mia citata monografia del I numero della "Nuova Serie" dei "Quaderni dell'Aprosiana") si possa scoprire il modo "nascosto", ma probabilmente sincero e certo più energico di quello manzoniano, con cui Aprosio affrontò il tema delle MONACAZIONI FORZATE, problema evidentemente assai più complesso di quanto si creda e certo temuto dalla Chiesa romana alla stregua d'un pericoloso "innesco" per ulteriori polemiche e conseguenti spinte scismatiche.
La maniera con cui ANGELICO APROSIO discusse la questione delle MONACAZIONI FORZATE [occorre però dire che la Chiesa Romana, oltre a vigilare e pubblicare TESTI SPECIFICI onde tutelare le fanciulle da COSTRIZIONI AD OPERA DELLE FAMIGLIE, mirava anche a salvaguardare i RELIGIOSI sostenendo la SELEZIONE DI GIOVANI VERAMENTE CONVINTI E PREDISPOSTI all'esperienza del NOVIZIATO] pare più erudita e forse amaramente sarcastica che fieramente polemica - come invece "vorrebbe sembrare", - ma comunque dovette rivelarsi bastante ad attivare le investigazioni del Sant' Ufficio; forse anche per questa ragione l'opera, che risente spesso e volentieri dell'atmosfera libertina degli "Incogniti" veneziani (senza neppure escludere l'"apostata" Brusoni) e dei contatti culturali - in origine di COLLABORAZIONE EPISTOLARE - con la stessa Tarabotti, fu abbandonata dal frate intemelio allo stato di manoscritto. Infatti entro questo vasto lavoro d'erudizione e di interventi moralistici (ove interagiscono osservazioni discordanti e non raramente in sorprendente antitesi con la salda architettura controriformista ed inquisitoriale cui, in linea almeno formale e di mera precauzionale convenzione, l'Aprosio cercò di identificarsi), si riscontra un'osservazione del frate, sicuramente estranea al giudizio cattolico vigente.
Proprio nello Scudo di Rinaldo II, Aprosio (forse anche suggestionato dalla NARRATIVA FRANCESE veicolata in Italia dalle traduzioni di Maiolino Bisaccioni) sviluppa un discorso coraggioso e interessante, sull'uso e l'abuso delle MONACAZIONI FORZATE in vigore fra tante famiglie agiate, quasi solo per salvaguardare i patrimoni, sistemando decorosamente i figli cadetti:". . . Come queste [le novizie] vi entrano forzatamente [nei conventi] per la TIRANNIA PATERNA [appunto titolo d'un'opera della Tarabotti, denuncia coraggiosa contro questi abusi di famiglia, edita postuma come La Semplicità Ingannata ma presto, nel 1660, messa all'Indice dei libri proibiti] in vece del PARADISO che vi ritrovano le chiamate da Dio, provano un INFERNO [Inferno monacale fu titolo della più contestata opera della Tarabotti, mai pubblicata ma ben conosciuta fra gli eruditi in forma di copie manoscritte e che comunque le costò una sorta di segregazione forzata nel suo convento veneziano di S.Anna di Castello] nella vita: e voglia Dio non segua lo stesso morendo, come che distintamente possano accomodarsi alle osservanze della Religione. E che ciò sia vero sentasi da uno squarcio d'una frottola [componimento di origine popolare, di contenuto estemporaneo e metrica alquanto libera: dopo il '500 venne invece gradualmente stabilizzando la sua metrica in cui prese a prevalere l'endecasillabo e finì per sviluppare tematiche sempre più varie, talora anche di argomento basso e scurrile: vedi.E. BONORA, Dizionario della letteratura italiana, Milano, Rizzoli, 1977 ,s. v.] di B. Cingoli:
Monacelle incarcerate
Siamo state già molt'anni
Per uscir di tanti affanni
Siamo al secolo ritornate.
Fanciullette semplicette
Pure, et sciocche ne' primi anni
Fummo fatte monacelle
Con lusinghe et inganni
Ci vestiron questi panni
Dipingendo a noi l'inferno
Perche fussimo in eterno
Ne io....[illeggibile]
Spesso a ve[illeggibile] nostre madri
Come fanno ogn'un c'intende
Degli antichi e Santi padri
Già narravan le leggende:
Breve essemplo lega e prende
Un cor puro, e feminile
Perchè è credulo, e gentile
Cosi fummo noi ingannate
Iniqua, o crudel sorte
Fan avversi, amari e tristi.
O feroce, o aspra morte
O terren, che non t'apristi!
Come, madre, acconsentisti
Senza frutto, e con asprezza
Mentre fummo imprigionate.
Nuovamente siam tornate
A le nostre case antiche:
Padri e madri ci han scacciate
Come lor mortal nemiche
Dicon, ch'han troppe fatiche
A dotar l'altre sorelle
Non che lor sian savie e belle Ma or son piu avventurate.
Se i nostri padri antichi
Per lor colpa, e negligenza
Furon poveri, e mendichi
Faccian lor la penitenza,
che vera è quella sentenza:
Chi fa'l mal sia castigato:
A purgar l'altrui peccato
Qual giustitia ci ha dannate.
Questa Dea, ch'al mondo regna
Cieca, sorda, aspra, e fallace.
A chi è madre, a chi madregna
Toglie, e da come a lei piace
A chi guerra, a chi da pace:
Se son piu sorelle l'una
Siede in grembo a la Fortuna
[p.400] L'altra vien da lei scacciata
L'una è sempre in doglia e pianto
L'altra è sempre in gioco, e'n questa
L'una ha vezzo, e'l ricco manto
L'altra il bigio, e'l velo in vista.
Ma Dio buono! quando un padre, ed una madre pensano d'arrolare alla militia di Cristo il figliuolo o la figliuola, pensano forse di dargli il migliore? Se tra figliuoli ve ne sarà qualche discolo, sciocco, inetto e non meno salace di Sardanapalo, si tratta di farlo Frate, o per lo meno Prete. Se la figliuola sarà con gli occhi strambi, con le spalle incurvate, con gambe diseguali, difettosa da cap'a piedi si pensa subito di monacarla. Sovviemmi d'uno il quale haveva un figliuolo maschio e due figliuole femine da mogli diverse: il maschio dalla prima, e le femine dalla seconda. Questa desiderosa, che le figliuole rimanessero di quelle poche facultà che godevano non lassava di persuadere il marito a voler procurare che'l maschio fusse ricevuto in qualche Religione. E perché haveva gran dominio sopra di lui per esser giovane, bella ed egli d'età ad essa di molti anni superiore non s'acquetò per infino a tanto che l'indusse a trattarne".
Gli "Statuti Criminali di Genova" affrontano con rigore (visti anche gli accordi in qualche modo - per quanto non sempre equilibrato - intercorrenti fra Stato e Chiesa, fra giudici laici ed Inquisitori del Santo Uffizio) il "problema" delle suore o comunque delle donne relegate a tempo determinato, di propria scelta o per volontà di famiglia, nei monasteri. Nel libro II degli "Statuti" al capo III si sanzionano per esempio la condanna capitale per chi abbia rapporti sessuali in convento con una suora, multe da 300 a 600 lire, in casi di recidività, per chi entri in convento senza autorizzazione ecclesiastica ed al capo IV si minaccia ancora il supplizio estremo per chi rapisca dal convento suore consenzienti o no.
La VITA NEI CONVENTI FEMMINILI era controllata da leggi severe e vi esercitavano un ruolo egemone le suore che, per accordi di famiglia e leggi del maggiorasco o maggiorascato, vi si relegavano provenendo dai ceti nobiliari e patrizi, senza alcuna vocazione (a monacazioni forzate e coinvolgimenti sentimentali di suore in fatti delittuosi non si manca di far cenno negli Statuti di Genova alla rubrica Dei rapimenti del lib.II o "Delle Pene"). Nelle case religiose le donne plebee erano in genere obbligate a lavori di fatica nonostante le ordinanze dei vescovi contro queste discriminazioni. I conventi (come ancora si evince dalle rubriche degli "Statuti Criminali di Genova") costituivano un contenitore della popolazione femminile eccedente: da un lato vi si attuava una pianificazione della distribuzione sociale delle donne, isolandovi quelle che avrebbero potuto costituire "un gruppo a rischio", non facilmente controllabile dalla famiglia patriarcale, d'altro canto - fatto positivo non auspicato dall'egemonia laica ecclesiastica, maschile e maschilista - i conventi rappresentavano l'unica struttura socio-culturale in grado di formare le donne sui parametri intellettuali in auge e dar loro (come appunto nel caso della Tarabotti) le capacità culturali di confermare i valori costituiti od al contrario di contestarli con acutezza di interventi.
Dopo il Concilio di Trento, visto che le norme degli "Statuti Criminali" di ogni Stato, se avevano qualche forza contro i profanatori della vita nei conventi, ben poca energia possedevano contro la connivenza di tante religiose scontente o fatte tali dal principio delle monacazioni forzate, si giunse ad un inasprimento delle pene contro tutte le Suore variamente colpevoli, anche di reati comuni, commessi internamente al convento e quindi giudicabili dall'autorità della Chiesa per effetto dei principi giuridici dell'immunità e del foro ecclesiastici.
Nel caso di Religiose o Monache ree di gravi colpe come "i ladronecci, i tradimenti, gli spergiuri e l'impudicizie", oltre a varie penitenze, successive alla "confessione ed al pentimento" od al "castigo segreto" comminabile per sentenza delle autorità ecclesiastiche, non era più concessa l'espulsione dal convento ma veniva imposta una serie di segregazioni (come ricorda ancora una volta il citatissimo episodio manzoniano della Monaca di Monza) alla maniera che scrisse PAOLO RICHIEDEI [Regola data dal Padre S.Agostino alle Monache..., per il Rizzardi, in Brescia, 1687], p.172:"[in antico era consuetudine che] se convinta (rea confessa) una (suora) Delinquente, e punita secondo le qualità del delitto, s'ostinasse maggiormente in quello (delitto), e non volesse obbedire, ricusando la penitenza a lei ingiunta, come incorregibile, e contumace (recidiva), resti priva del commun consorzio e compagnia dell'altre e quand'ella volontariamente non si risolvesse di lasciare il Monistero, sia scacciata a forza da quello...[ma attualmente contro questa usanza] per decreto nondimeno espresso dalla Sacra Congregazione sopra i Regolari (frati e monache), dato sotto li 27 di Maggio 1603, resta ora totalmente interdetto non volendo per ogni modo che per qualunque grave delitto possa scacciarsi dal Monistero Religiosa alcuna professa, mentre ciò apporterebbe non poco scandalo e darebbe facilmente occasione a qualche Monaca inquieta e contumace, la quale avesse avversione e ripugnanza alla vita claustrale e religiosa di far ogni male, per mettere in necessità i Superiori di scacciarla e rimetterla al Secolo (alla vita laica del mondo). Il che farebbe a lei bel giuoco, riportando essa da ciò in vece di castigo ogni piena libertà di godersi il Mondo di nuovo e d'andar all'Inferno per quella strada, che sarebbe di suo maggior aggradimento e sodisfazione.
Cosa [aggiunge l'autore] che non deve nè può dubitamente farsi, ne meno in virtù del jus commune (diritto comune)...il quale concede bensì che possa levarsi una Monaca scandalosa e incorregibile da un Monistero poco osservante (dal regolamento interno abbastanza permissivo) e relegarsi in pena in un altro d'esatta e rigorosa osservanza (praticamente imprigionandola a vita o tempo determinato, anche "murata" con un "forame" per ricevere cibo e liberarsi della varia sporcizia, in una cella di reclusione in un Monastero di rigida disciplina o "Monastero di correzione"), ma non già di restituirla a Parenti o rimetterla al Mondo (libera nella società) che sarebbe un perderla...non dovrà dunque alcuna per qual si voglia eccesso o delitto enorme, quand'anche fosse incorregibile...scacciarsi dal Monistero ma punirsi e castigarsi...anche con la carcere formale nel Monistero medesimo (come nel caso della Monaca di Monza) o sequestrarsi almeno dal consorzio dell'altre, dovendosi aver da tutte come scommunicata...chi non vuol la manna, sostenga la verga, e chi ricusa d'emendarsi con le dolcezze, s'emendi sotto la sferza. Così deve farsi, afferma su questa stessa considerazione anche San Gregorio Papa, e deve farsi non tanto per correggere un solo, quanto per emendar molti in quel solo...".
Tutte queste considerazioni non sono affatto casuali e inducono davvero a riflettere come la Donna, nella gran parte dei casi, durante l'età intermedia fosse poco più di un oggetto, da trattare alla stregua di una cosa e da eludere in vari casi, estraniandola dal consorzio civile, come una diversità in grado di diventare una mostruosità (magari per qualche diabolica "convenzione") ogni qualvolta tendesse ad eludere i meccanismi nei cui confini era stato delineato lo spazio, molto limitato, concesso alla sua azione sociale, qualunque fosse il suo ceto ed il suo ruolo pubblico: ogni ricerca di autonomia poteva essere condannata con una sorta di BANDO dal nucleo della famiglia, qualsiasi rapporto sessuale che fosse stato frutto di un vero sentimento d'amore era spesso mascherato, in quanto non conveniente alle strategia del casato o dei genitori, come azione turpe, se non diabolica, da reprimere senza esitazione e con severità estrema
Come detto la donna era sempre, per radicata convenzione dell'alto Medioevo, vittima potenziale del MALE, preferibile bersaglio del Maligno, fragile "oggetto" della casa, anello debole delle istituzioni e della morale: la sua relegazione socio-economica era di per sé la risultanza di un sistema condizionante eppure ogni volta, ed in qualsiasi tempo, siffatta relegazione poteva esser sovraccaricata dalla forza di rinnovate istanze reazionarie, non escluse quelle energie culturali di retroguardia che, sulla soglia degli estremismi, fossero addirittura in grado di giudicarla non solo "vittima predestinata" della "Bestia" o Mostro od Uomo Nero che fosse, ma di ritenerla capace essa stessa, per magia o colpevole disposizione morale, di risultare connivente della Bestia stessa e "genitrice" di colpevoli, incomprensibili mostruosità.

"Rivolta" contro le "Monacazioni forzate
"E anche noi saremo madri..." suggerisce l'IMMAGINE DI SUORA dipinta nel 1792 da Jean-Jeacques Lequeu sotto gli effetti anticlericali della Rivoluzione francese: l'immagine, polemica e sensuale della suora che, lascivamente si scopre il seno alludendo esplicitamente alla sua femminile, costituì un vero manifesto della Costituzione Civile del Clero successiva agli eventi rivoluzionari francesi: nel gesto, indubbiamente provocatorio, par liberarsi tutta la rabbia femminile contro la barbara usanza delle Monacazioni Forzate.
Tuttavia, benchè la Chiesa stessa avesse tentato di arginare l'abuso delle M. forzate e nonostante gli scritti polemici contro tale abuso di vari intellettuali come Leopardi e Carrer, l'usanza in tutta Italia, e soprattutto nel Meridione (per non dividere fra eredi il patrimonio di famiglia e contemporaneamente controllare rigidamente la condizione sociale del sesso femminile) sopravvisse a lungo anche violando le ottocentesche proibizioni legislative degli Stati (per il Nord dell'Italia e quindi anche per il territorio della Repubblica di Genova furono importanti i dettami del moderno Codice Napoleonico) o delle Province italiane di Stati stranieri (Gazzetta Ufficiale di Milano del 29 giugno 1853).
La scrittrice veneta Caterina Percoto, scrivendo a Giovanni Verga una lettera il 2 marzo 1872 in merito al suo romanzo Storia di una Capinera (che è poi storia di una Monacazione forzata ottocentesca nel catanese maturata su personali conoscenze del narratore siciliano), tenne a precisare che "...la sua bella Capinera...tocca con tanto cuore, una delle più dolorose piaghe che affliggono nel mio sesso la nostra società. Qui nel Veneto, grazie al codice Napoleone, è sparita da un pezzo la trista consuetudine di sacrificare alla vita monastica le povere nostre giovinette; ma dura tuttavia il barbaro costume di educare le donne alla clausura..."(CATTANEO, p.110).