cultura barocca
informat. B. Durante INVASIONE BARBARICA DELLA LIGURIA

Dato che la mia indole di per se stessa indocile avverso l'autoritarismo non motivato (frutto anche d'un'educazione in famiglia alla libertà d'espressione) m'avrebbe indotto a scelte non popolari e soprattutto mai servili ( come quelle che ho fatto rinunciando anche a qualcosa nella carriera ), mi son qui destreggiato prendendo spunto da qualche frammento epigrafico a ricostruire i dubbi sulla vita di fronte ai cambiamenti di Religione d'un comune cittadino di Roma partendo dal giusto presupposto che se le persecuzioni dei Cristiani non son state affatto un'invenzione quanto purtroppo tragica realtà pur se talora immersa talora in forme nuove di mito è da dire che nemmeno la gente dell'Impero di Roma, semplice e non, era così ferocemente avversa come spesso pensato alla Nuova Religione: nessuno del resto può né deve dimenticarsi che, alle origini dei contrasti religiosi, pur nella contrapposizione tra le "fazioni" dei Gentili poi detti Pagani e quella dei Cristiani in effetti, salvo casi estremi di intolleranza, venne meno il rispetto e la riverenza verso le sacerdotesse Vestali.
Certo in tempi più cupi di questi nostri come furono il '500 ed il '600 (specie da quando le. come detto, reali persecuzioni dei Cristiani divennero enfatizzate e pur mitizzate oltre che in guisa predicatoria sotto forma di libellistica agiografica e pubblicistica e la nomea di superstiti pratiche pagane si evolse in stregoneria se non in stregonera eretica e soprattutto in blasfemia quale forma di destabilizzazione dei valori costituiti da Stato e Chiesa)
non solo la lirica poi da me abbozzata ad integrazione letteraria di quanto sopra scritto
[ (qual una sorta di inno alla tolleranza purtroppo resa con voluto e progettato malanimo assetato spesso di potere figliastra dell'incomprensione delle diversità e non solo per gli innumerevoli motivi che qui si propongono ma anche tanto tra religioni di per se stesse contrastanti quanto addirittura nel contesto della medesima Fede, con reciproche ed infamanti accuse, teologiche e non (e qui si cita, anche per la caratteristica del sito, l'urto tra Riforma Protestante e Controriforma cattolica ma lo stesso e in maniera più duratura nel tempo, fin ai giorni odierni, concerne l'Islam) ]

e qui proposta con il titolo di
" GAIO VALERIO OSIANO E I MAGHI DELLA CITTA' DEL DOLORE(CLICCA E LEGGI) "
giammai avrebbe ottenuto l'Imprimatur ma probabilmente sarei stato accusato di Eresia e magari sarei finito sul Rogo come altri di me infinitamente più grandi.
Per alcuni fra questi la Biblioteca Aprosiana straordinaria seicentesca creatura dell' agostiniano ventimigliese Angelico Aprosio fu davvero una straordinaria realtà sapienziale per trovar rifugio onde conservarvi libri pericolosi a fronte dell'Inquisizione atteso che "il Ventimiglia" fece sì in modo da esser Vicario del Sant'Uffizio ma, pur rispettando i suoi doveri, anche per operare ai fini della sua immane curiosità gestendo con relativa sicurezza anche "oggetti formalmente pericolosi" cioè per esser espliciti leggere e depositarvi libri anche proibiti (a titolo d'esempio basta registrare l'interesse per tanti autori dannati con la citazione esplicita in libri propri opere dai contenuti erotici sì da riprendere in vari suoi scritti spunti della Cerva Bianca di Antonio Filheremo Fregoso con riflessioni varie sulla teoria epocale delle Due Veneri (Terrestre e Celeste) quanto del dibattito su quella dei Due Amori ("Eros" - "Anteros") senza trascurare la lettura e il recupero anche criptico fatto in altre sue opere ancora di autori indubbiamente affrontanti tematiche, specie in un ambito provinciale, giudicate assolutamente inopportunne per un buon religioso, come gli scritti indubbiamente dai contenuti sensuali e lussuriosi, per citare autori chiaramente ripresi da Aprosio in ulteriori parti delle sue opere, degli eruditi libertini napoletani Ernando Tivega e Clemente Barrera. Senza poi dimenticare la lettura certa da parte di Aprosio se non il possesso (quantomeno a Venezia) di Palingenio Stellato e del suo Zodiacus Vitae (vedi p 95 dello Scudo di Rinaldo I) e nel caso non riprovato quanto avrebbe dovuto docuto fare un religioso (avverso un autore eretico assai letto in area riformata tanto da esser poi arso, in ambito cattolico, sul rogo post mortem, disseppelitone il cadavere, coi suoi libri, non tanto o non solo per le effettive osservazioni sulla corruzione di parte del clero ma soprattutto per le panteistiche sanzioni nella sua opera di una forza o magnetismo universale -fatto di "simpatie e antipatie cosmiche"- capace di animare e vivificare sia il microcosmo che il macrocosmo ) od ancora il possesso di volumi di autori dannati come Gregorio Leti o al limite come qui si legge per la conservazione, tra i manoscritti dell'Aprosiana, di questa "Pasquinata" avversa ai membri di un Conclave del '600 e quindi ascritta ai "Libelli Famosi" con la conseguenza di rientrare senza neppur bisogno di ascrizione all'Indice tra i "Libri dannati, proibiti, maledetti ecc. ecc.
[ ma i provinciali contestatori d'Aprosio per l'erezione della Biblioteca, che erano eminentemente religiosi
(fra cui certamente il più accanito fu un religioso che doveva avere buone conoscenze anche in ambito politico, tal Tragopogono -Aprosio anche dopo la morte di questi mai lo nominò a dimostrazione della sua appartenenza ad una famiglia di importanza socio-economica in loco- e che fra tanti espedienti contro l'impresa culturale de "il Ventimiglia" gli aizzò contro -definendolo sperperatore del bene pubblico per un'iniziativa a proprio tornaconto- anche gruppi di popolani quelli definti da Angelico "Figliuoli della Terra" )
non avevano la taratura culturale metropolitana e in particolare veneziana idonea a
cogliere e denunziare gli aspetti che avrebbero davvero reso pericolante l'iniziativa di erigere una "Libraria" così "moderna" e così "poco fratesca" in Ventimiglia
Ed è fatto reale che neppure mancarono lamentele, più esattamente che interventi polemici, di alcuni
nobili locali ed amministratori di Ventimiglia toccati da certe critiche del frate ma è altresì vero che -prescindendo forse da alcuni legati ad ecclesiastici conservatori- nessuno ingaggiò con il frate contenziosi accesi forse dati anche i tempi e la realtà storica preminente in merito alla separazione per l'economico tra Ventimiglia e la Magnifica Comunità degli Otto Luoghi ]
Morto il Tragopogono il 29/XII/1661 (pag. 193 in fine de La Biblioteca Aprosiana, quindi nel contesto di una polemica assai lunga ed avendo già Approsio acquisito l'incarico di Vicario della Santa Inquisizione per la Diocesi di Ventimiglia gli altri ecclesiastici in qualche maniera avversi all'erudito agostiniano come spesso accade poco se non per nulla alimentarono la querelle e la polemica si assopì sin a svanire = ecco la ragione per cui Aprosio crudamente per un religioso descrisse quasi alla stregua d'una divina manifestazione di volontà a pro della sua Biblioteca la repertina dipartita del Tragopogono che però giustamente riteneva il motore di tutte le opposizioni. Se costui vivendo avesse compreso la portata della questione, dati anche gli ultimi passi che andava compiendo e che in teoria sarebbero stati in grado di attivare perigliose inchieste di ordine ecclesiastico, avrebbe potuto scoprire -proseguendo testardamente nella sua opera- d' aver facoltà d'esser letale accusando, nell'ambito di possibili dibattiti e con efficienza oltre che un non escludibile successo, la Biblioteca d'Aprosio (magari con il soccorso di qualche erudito apertamente avverso ad Angelico: e non mancavano!) di inopportunità e inadeguatezza, specie in rapporto al luogo di conservazione cioè un convento atteso il fatto come Aprosio stesso ben sapeva che
era solo formalmente fratesca al contrario di come avrebbe dovuto essere cioè esclusivamente fratesca dato il luogo di conservazione ma non tale di fatto per la presenza di volumi che non avrebbero dovuto "stare" in una biblioteca per religiosi
e che, ingannando parecchi studiosi dell''800 parve più fratesca di quanto l'ideò il creatore, in rapporto all'
assimilazione ottocentesca della "Libraria" -realmente e solo fratesca- del soppresso Convento dei Francescani dell'Annunziata: i cui volumi d'argomento religioso finirono per integrare un aspetto abbastanza fragile dell'Aprosiana originale =
prescindendo da quest'ultimissima considerazione concernente il futuro dell'Aprosiana
tutto quanto sopra si è detto [non ultimo gli pseudonimi sempre usati per il Tragopogono senza esplicitarne il casato] contribuisce a spiegare perché Aprosio abbia usata sempre più prudenza se non segretezza, ricorrendo pure alle scritture criptate nell'esprimere i pensieri sin al punto d'annotare :
Sarà d'uopo iscrivere sempre a misura, fuor di liti e con bone carte in mano [documenti e prove oggettive, verosimilmente!] ché già troppo dannificò una volta l'esser detto Poeta e a guisa di probatione a me ma a molti la storia mostra che i pensieri contrari alla moltitudine crean ispesso non bisbiglii ma puranco tormenti dannificanti, anche per altrui invidie, chi non isegue il gregge [la frase è estrapolata da una sarcina de Le Antichità di Ventimiglia ma, attesa la lunga "querelle" con il Tragopogono ed altri in merito all'erezione della Biblioteca di Ventimiglia, ben si adatta al timore aprosiano che si intuisca l'evoluzione del suo pensiero, potenzialmente più che censurabile in vari campi, anche teologici ed esistenziali, specie trattandosi di Vicario della Santa Inquisizione]
*******
Purtroppo molte di queste "pericolose rarità libresche da tener celate e da far leggere ai pochi di cui potersi fidare" (come anche gran parte della quadreria e delle raccolte antiquarie son andate disperse con altri volumi tanto legittimamente consultabili quanto rari e pregiati
[ parte per le depauperazioni patite dal tempo della Guerra di Successione al Trono Imperiale d'Austria (si veda in particolare la terribile "Battaglia del Convento e della Bibiblioteca del gennaio 1748") parte ancora per le discutibilissime revisioni napoleoniche, causa di spostamento e dissipazione di parecchio materiale attivandosi anche e purtroppo uno sciagurato mercato antiquario, anche illegale specie con la soppressione parimenti napoleonica dell'ordine agostiniano che custodiva tale meraviglia (i religiosi praticamente privi di sovvenzione per sopravvivere prima della definitiva dispersione dovettero vendere libri ed oggetti antichi a privati collezionisti!) e quindi con la gestione della Biblioteca affidata ad un'amministrazione laica comunale, dai primi dell'800 presa da ben altri urgenti e drammatici problemi che la tutela della cultura]
ma la Biblioteca Aprosiana può ancora ridiventare quel che fu, un eccelso "Santuario Laico" libresco ed artistico ma anche antiquario, legato alla tradizione del collezionismo di reperti classici !che molte nuove postulazioni gli avrebbero suggerito sulla valutazione del mondo antico greco e soprattutto romano tanto che sarebbe rimasto gratificato oltre ogni comprensione se avesse scoperto tra le antiche carte una lirica prossima a quella qui proposta (ma purtroppo si tratta solo di un moderno apocrifo, costruito per suggerire una riflessione sulle lotte religiose che generano odi pervicaci!) in cui si evidenzia quel discorso sui contrasti religiosi, sulla tolleranza, sulle presunte diversità nell'approcciarsi alla fede in merito alle quali l'ultimo, più quieto, Aprosio era andato maturando pensose riflessioni.

" GAIO VALERIO OSIANO E I MAGHI DELLA CITTà DEL DOLORE"

Figlia cosa mai hai fatto?

Io giunsi col tuo nome sulle labbra,
Fin là dove terra e mare si confondono,.
Portavo con me due legioni contro i Barbari,
Ancora una volta, retorica da Cesari, avevo un antico dovere:
Vendicare la disfatta di Varo e con essa la vergogna di Roma!

Col tuo nome su uno stanco sorriso
Entrai in una selva ricoperta di cadaveri:
Ma il nemico mi sfuggiva, sol balzando nel buio,
Pari al lupo, ad uccidere e spaurire i compagni: in incubi
Notturni il fantasma di Varo mi indicò oscene vie di fuga!

Da una baldracca di Magonza, in maschera di profetessa,
Comprai una vecchia tanagra e il pontefice scavò una favissa,
Davanti all'altare del campo, fra il vento di ghiaccio, e lì
Posi la santa immagine, mentre le parole del prete imbrattavano
Frasi fatte: usi vecchi, da donnicciuole, comprai per te!

Non pregai gli Dei del ritorno, nè Apollo biondocrinito,
Ma la forza che tutto abbraccia perché rivedessi, sano,
Mio nipote: ripensai il tuo sguardo e gli occhi onesti del tuo sposo,
Ripensai una casa quieta ove tornare vecchio e felice: ma ero lì,
Nel fango del Nord, fingendo vendette, per far conquiste al molle Cesare!
*******

La Dea Febbre, come impauriti dicono i semplici, impietosa
Scavò morte e paura fra i soldati, ormai dubitosi pur di me:
Molti fuggirono verso il niente, altri si persero in nevose bufere:
Io invece volevo ritornare per il sorriso, e per i tuoi occhi neri!

All'Elba bevetti vino aspro e scuro sangue di vinti selvaggi,
Al Reno, stanco, trattai una tregua ma fummo traditi :
Di notte ci assalirono con lance fiammeggianti a noi ignote,
Poi con oscuri idoli di fuoco ci tormentarono: ostili al nostro esistere.

Quella che chiamano Selva Oscura, ci avvolse come un sudario:
Affamati cacciammo cinghiali grandi al pari di tori cretesi.
Neppure disdegnammo carne dura e birra aspra, da poveri:
Fu allora, in un livido crepuscolo che vedemmo la Città dei Maghi.

I Maghi, presto lo sapemmo, son preti barbari ch'adorano la Morte:
Educano i lor bimbi nel dolore e scuotono bipenni di ferro.
La città ha tondo circuito per esser, alla vista, sempre uguale:
Le case son capanne, tranne il tempio del Dio dolore: in pietra grezza!

Il Dio Dolore nega il perdono: a pochi miei soldati fatti prigioni,
I Maghi, orando in lingua arcana, strapparono gli occhi:
Avean essi visto l'immagine del Dio, negata invece a cotesti
Germani, che pregano, tremanti, guardando sol per terra.

Gli ipocriti Maghi, dal nascimento dividon le genti in sette:
Chi lavora, chi insegna, che legge e son pochi, chi prega,
I più combattono, anche certi bambini, con rozze spade lunghe:
E sopra ogni cosa odiano chi pensa ad un Dio diverso !

La Città del Dolore resistette per trecento giorni :
I vivi mangiavano i morti onde difendere il lor Dio.
I Preti s'ingrassavano con pasti d'antiche riserve
Frutto di feroci razzie: eran essi crudeli e sciocchi.

Dopo quel tempo, senza aiuto e senza cibo,
Gli ipocriti Maghi chiesero l'obolo del Dolore:
Per un Dio di legno ch'eressero in alto, sulla vetta
Del tempio, tra pietre e poco marmo, ornati di fiamme.

Ognuno dei folli, invasato da canti, baciò il suo vicino,
Mangiò poi dell'erba strana, rinsecchita e balbettò preci
A noi ignote: nel giunto silenzio il Mago Massimo poi parlò
Di dolore e vendette, di Dio e del suo Inferno di fuoco.

Le porte s'apersero una notte ed ognuno ne uscì urlante,
I Maghi resero lucente il cielo con dardi di pece e fuoco:
Le stelle impallidirono e una pioggia ardente cadde su di noi:
Avanzaron nel fango come bestie da soma impazzite, bavose d'ira.

Osannando quel lor Dio investirono la legione prima : spinti
Via, lontano, tornarono guidati dalle frecce dei Maghi; respinti
Ancora, tornarono e così accadde per ben sette volte. I caduti
Sul campo, fuggendo, calpestavano: alcuna pena induceva al soccorso.

Opimio, esperto legato della legione, fece strage di loro!
Ma poi giunsero i Maghi con le bipenni, coperti di ferro,
E la legione vacillò: donne e bambini, senza balocchi od amore,
Vecchi e soldati, per nulla a sé badando, come belve, squartarono i nostri.

Per ognuno di noi i Germani caddero in dieci, almeno, o più:
Compresi poi il perché. I Maghi usavan l' "Arma santa",
Così era detta la bipenne, per uccidere fra i loro, feriti e vili,
E pregavano: cessai da quel momento di credere in qualsiasi Dio!

Pregarono poi di nuovo: ed eran tanti che tremava la terra!
Fecero marcia su noi, per uno stadio od ancor più, sotto
I dardi saettanti: eran pitturati, ormai resi folli dalla pianta magica:
Dietro, ogni vivente mietendo, seguivano i Maghi, con bipenne e fuoco.

Fui più abile o fortunato di Opimio o fui ben istruito dalla sua fine!
Feci far quadrato al modo antico ed avanzammo senza aspettare!
I fuochi si spensero sugli scudi e le nostre aste si tinsero di sangue:
Tremavo per quella religione di folli o forse per quei poveri credenti.

Feci ardere, coi suoi Maghi, la Città e ordinai di romperne il circuito:
Liberai i vinti e, liberi dalla malia dell'erba quanto dai preti, me ne parvero lieti.
Quindi, dolente per tante inutili morti, feci abbattere la statua del Dio,
Per nessun Dio s'uccide a piacimento né si tradiscono amici, figli, sposi e vita!

Fu amaro il trionfo e ben povera la preda, se preda mai sognammo:
Quell'infelice regione al suo ignoto destino per sempre lasciammo:
A Cesare sarebbe bastato aver vinto i Germani, ed invece a me
Fu sufficiente l'aver vinto quel lor falso Dio, di sangue tinto e di dolore.
**************

Figlia che hai fatto?

Vedova e d'animo mutata ti ho trovata fra nuovi Maghi:
Nella bella Roma a pregar un altro Dio del Dolore!
Mio nipote mi disprezza, gli schiavi ormai son padroni,
I Maghi han i miei preziosi e i ricordi di tua madre.
Hai detto che posso ucciderti ma che nulla rinneghi!
Sfodero la spada e impallidisci ...ma...ma credi mai tu
Che un padre innamorato possa uccidere così......?
Rinfoderai il gladio, che l'ira, stolta consigliera, m'avea
Fatto estrarre...e subito gridaron ai miracoli d'un tal Cristo!
Quando ritornai, triste, sui miei passi sentii ignote preci,
Preghiere d'Oriente inciampavano sulle tue labbra,
V'era odio per me nei tuoi occhi, ancora belli ma di cruda beltà,
Dafne, figlia per cui sopravvissi alla morte!: nell'avita dimora,
Solitaria, da vecchio infelice, contro tutti i sogni fatti, io piansi,
Io che terreo ma senza lacrime, vidi e sopportai ogni orrore,
Piansi disteso sulla grande Madre Terra: ché avevo lasciata,
Per dovere senza gloria, una figlia e tutti i vecchi, onesti diletti!
Tu sei Ladra del mio cuore e, qui nel cuore sacro dell'Impero,
Il tuo Dio ha vinto: perché nessuno può sconfiggere un Dio
Fatto di paura e difeso da Maghi...ora so che risorgerà
Puranco tra i Germani, la Città del Dolore per cui tanti sparvero nel nulla!
Piansi per aver perduto tutto e, finalmente, da rabbioso furore preso
Corsi sin al Larario, che tanto venerava tua madre, e nel fango della latrina,
Disperato, senza futuro ma anche senza passato, gettai gli Dei impotenti,
Quelli che venerammo, fatti solo di gioia e felice speranza, quelli
Che tua madre, oh presto m'accolga!, giovane, coi biondi capelli sciolti,
Ogni giorno pregava, accarezzando il ventre tumido ove ti celavi
...proprio tu, attesa con l' amore che oggi hai tradito!

[di Bartolomeo Ezio Durante]


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