Nel XVI secolo in Liguria (proprio mentre, in altro settore agronomico, andava affermendosi un'agrumicoltura d'altissimo livello) comparve un VINO dalla chiara denominazione, il MOSCATELLINO del Ponente, un vino di pregio non comune che nel 600 (secolo in cui peraltro cominciano a comparire i primi trattati scientifici di viticoltura) sarebbe stato esaltato addirittura da eruditi e poeti.
Angelico Aprosio, da buongustaio, ne era un estimatore al punto che ne compose un elogio letterario di una certa efficienza costruendo una attraente immagine della gastronomia intemelia incentrata sulla sinergia intercorrente tra le buone trote del fiume Roja e la classica nobiltà del Moscatellino.
L'aprosiana sarcina encomiastica aprosiana si attualizza nel repertorio della Biblioteca Aprosiana ma non si ferma in tal contesto, il religioso agostiniano, seppur senza esplicitamente soffermarsi a parlare del MOSCATELLINO, aveva già dedicato delle osservazioni sulle varie funzioni del vino: da quella gastronomica, a quella terapeutica sin a quella euforizzante con una consequenziale valutazione morale strutturata su parametri religiosi e fideistici.
Di quest'ultima aveva parlato in un capitolo o Grillo dello Grillaia laddove rivolgendosi all'erudito ed amico Pier Francesco Minozzi redasse il piacevole
GRILLO V = "Se senza ber Vino si possa poetare con eccellenza"
vero e proprio
SAGGIO DI PURISSIMA ERUDIZIONE
entro cui l'erudito intemelio assemblò con gusto e garbata ostentazione di cultura, ma altresì con non irrilevante funzione documentaria, una significativa quantità d'autori, classici e moderni, italiani e stranieri, celebri e misconosciuti, che variamente si contesero letterariamente le discussioni sull'efficacia ispiratrice del "liquore sacro a Bacco".
E tuttavia, mentre scriveva questo, nel suo gioco labirintico e contraddittorio di accostare gli argomenti, Aprosio non mancava di sottolineare i rischi del "tracannare" (vedi p. 35 in fondo del la Biblioteca Aprosiana..., cioè del bere smodatamente, che determinavano ubriachezza, con conseguenze innegabili a SCAPITO DELLA SALUTE (tali da generare i PRIMI INTERVENTI ISTITUZIONALI CONTRO L'ALCOLISMO) né generavano, stando all'esperienze e contro le postulazioni del suo vecchio "Grillo", spiriti poetici alla maniera peraltro che gli pareva stesse proprio accadendo nella sua Ventimiglia, dove appunto molti eran soliti "tracannare" e non "bere".
Ciò che può sembrare moralismo fratesco dovuto a ripensamenti vari dipese forse da varie ragioni.
La prima che il piu' pensoso Aprosio del II '600 quale vicario dell'inquisizione non poteva indulgere oltremodo, senza inviti alla moderazione, verso asserzioni contro cui urterebbero i suoi compiti: si evince la necessità storica di queste sue riflessioni dalla postazione della Chiesa Romana via via maturata avverso gozzoviglie e ubriachezza e basta per questo consultare il sunto di tale grande battaglia contro tutti gli eccessi leggendo, in merito a siffatto argomento,
entro la voce CLERICUS NELLA BIBLIOTHECA CANONICA DI L. FERRARIS specificatamente all'
ARTICOLO V: "NESSUN CHIERICO DEVE DARSI ALLA FREQUENTAZIONE DI BETTOLE E TAVERNE SI' DA EVITARE CRAPULA ED UBRIACHEZZA"
[ che in modo dettagliato biasima CRAPULA - EBRIETAS che inevitabilmente associa alla colpa della GULA (GOLA): valutando che tal voce dell'opera del Ferraris colpevolizza ufficialmente la consuetudine di giudici ed inquirenti usi far INEBRIARE UN REO PER ESTORCERGLI UNA CONFESSIONE].
In tutto questo contesto di discorso sui vini non si può tuttavia dimenticare mai quello sul VINO ECCLESIASTICO cioè finalizzato ai sacri riti: in merito al quale nel tempo vennero sancite le specifiche norme religiose ma anche le doverose norme di regolamentazione per salvaguardarlo e tutelarne l'uso od abuso in senso anche spiccatamente profano: non per nulla la stessa Chiesa mirò, per altro verso rispetto alle pubbliche istituzioni, a regolamentare l'attività dei "luoghi" maggiormente deputati alla vendita del vino ad avventori abituali o di passaggio vale a dire le
************LOCANDE E TAVERNE************
Ma in definitiva la basilare preoccupazione degli Stati e nella fattispecie della Repubblica di Genova concerneva i non religiosi e soprattutto quei non religiosi armatiche erano i soldati, tanti nella piazza strategica di Ventimiglia, litigiosi soprattutto per i fumi del vino e sempre propensi a duellare: la suggestiva DESCRIZIONE DI UNA SEICENTESCA SFIDA A DUELLO AVVENUTA PROPRIO A VENTIMIGLIA TRA DUE SOLDATI rafforza vieppiù le postulazioni di un celebre criminalista del XVII cioè ANTONIO CONCIOLI che apertamente collega, quale causa-effetto, l'UBRIACHEZZA all'AGGRESSIVITA' e quindi alla PROVOCAZIONE A DUELLARE CON LA CONTESTUALE CONDANNA DELLA MONOMACHIA COME PIU' SPESSO ALL'EPOCA SI CHIAMAVA IL DUELLO.
Parimenti poterono influenzare le considerazioni aprosiane alcuni nuovi elementi quali le conoscenze maturate per la frequentazione dei nuovi medici e quelle dovute alla narrazione variamente raccolta dei tanti viaggiatori per il Mondo Nuovo.
E molte delle classicheggianti certezze aprosiane decaddero con probabilità a fronte anche della lettura di libri nuovi in cui il "bene" del bere vino era messo in discussione al modo che scrisse Paolo Mini nel suo Discorso della natura del vino, delle sue differenze, e del suo uso retto... od alla maniera che relazionarono tanti autori di cronache che raccolsero la narrazione di marinari ed avventurieri che erano andati scoprendo l'effetto pernicioso che proprio il vino, l'antico "nettare degli dei", bevuto senza criterio andava esercitando sulle
POPOLAZIONI AMERINDIANE DEL MONDO NUOVO
in particolare.
Queste considerazioni sul vino e sul vino ligure già di per se stesse sono interessanti ma non coniugano ancora abbastanza l'Aprosio buongustaio con l'Aprosio erudito e bibliotecario, l'uomo che trasmise questa sua curiosità alimentare e scientifica all'amato discepolo Domenico Antonio Gandolfo: in effetti trattando di siffatto argomento non si può restare nel campo dei banchetti e/o della gastronomia ma risulta doveroso menzionare i preziosissimi libri (ed un'autentica rarità) di enologia che si conservano tuttora alla "Libraria di Ventimiglia".
1 - Castore Durante, Il tesoro della sanita' di Castor Durante da Gualdo nel quale s'insegna il modo di conservar la sanità, et prolongar la vita, et si tratta della natura de' cibi, et de' rimedij de nocumenti loro ..., In Venetia, appresso Gio. Battista Cestaro, 1646
2 - Pietro Paolo Fuscone , Trattato del bere caldo, e freddo di Pietro Paolo Fuscone ... dove si disputa, se conviene generalmente a tutti cosi sani, come ammalati, e in particolare a' podagrosi il bevere del continovo l'acqua col vino, tanto calda quanto si può sofferire, overo molto fredda con neve, opure come ci vien data dalla natura ..., In Genova, appresso Giuseppe Pavoni, 1605
3 - Paolo Mini,Discorso della natura del vino, delle sue differenze, del suo uso retto..., in Firenze, presso G. Marescotti, 1596
4 - Paolo Aresi, Pauli Aresii derthonensis Episcopi, De aquae transmutatione in sacrificio Missae, hoc est an in sacrificio Missae aqua mista vino in sua substantia permaneat, vel, in quid aliud, si non maneat, convertatur disputatio, Derthonae : typis Nicolai Violae (Derthonae : apud Nicolaum Violam, 1622). - [44], 250, [1] p. ; 8°
5 - Gaspare Colombina, Il bomprovifaccia per sani et ammalati, In Padova, per Pietro Paolo Tozzi, 1621.
Ma alla Biblioteca Aprosiana si conserva un'autentica rarità (sia per il limitatissimo numero dei volumi noti sia per alcune postulazioni sorprendenti) e, precisamente, si tratta di:
Francisci Scacchi fabrianensis, De salubri potu dissertatio, Romae : apud Alexandrum Zannettum, 1622. - [10], 235, [10] p. : 2 ill ; 4° [Capitolo I.Quale bevanda sia salutare se fredda,calda o tiepida. II.Se gli antichi bevessero la bevanda fresca o calda. III.Quale bevanda sia stata più comune presso gli antichi: se fredda o calda o tiepida. IV.Come debba essere fredda la bevanda salutare. V.In quali modi la bevanda non naturalmente fresca possa essere rinfrescata nella stagione estiva. VI.Quale modo di raffreddare sia più conveniente alla salute. VII.Come ci si possa difendere dal danno di una bevanda ghiacciata e quando questo genere di bevanda debba essere assolutamente evitato. VIII.Se sia meno nocivo rinfrescare l’acqua o il vino. IX.Se la bevanda eccessivamente fredda o calda o tiepida possa talvolta essere conveniente alle persone sane, e come alcuni si sforzino a torto di dimostrare che la bevanda ghiacciata ssia utile d’estate. X.Se d’estate convenga più moderare il calore dell’aria o rinfrescare la bevanda con qualche mezzo. XI.Se l’acqua o il vino debba essere detto bevanda fresca e naturale. XII.La bontà ed il difetto delle acque. XIII.La purificazione delle acque cattive. XIV.L’origine del vino e le differenze dei vini. XV.Come il vino debba essere diluito, dell’uso del vino secondo l’età, la costituzione, l’abitudine, l’occupazione, la stagione e la condizione fisica. XVI.Come il vino sia salutare o nocivo. XVII.Se il vino sia nutriente. XVIII.La sete vera e quella falsa nelle persone che stanno bene. XIX.Quale quantità della bevanda sia adatta a ciascuno nella cena e nel pranzo e se si debba bere in un’unica volta o in più volte. XX.L’ubriachezza deve essere evitata, conosciuta e respinta. XXI.Se il vino frizzante, comunemente detto piccante, sia utile alla salute. XXII. Se dopo la frutta si debba bere il vino o l’acqua.]
Francesco Scacchi medico di Fabriano (AN), vissuto tra l'7/11/1577 e l' 11/3/1656 e nel 1622 certifica scientificamente la sinergia tra champagne e medicina: ai primi del ‘600 in Europa si contano sei trattati medici sull’acqua e sul vino; Scacchi interviene con questo suo volume sul “bere sano”
nel contesto di una medicina tutta laica. E può permettersi simili considerazioni, atteso che nonostante l'odierno semioblio, Scacchi era e rimane figura di grande prestigio: in vita svolge le mansioni di medico del potente Cardinale Bandini legato pontificio vantando, come ulteriore credito, l'appartenenza ad una famiglia di clinici illustri, da generazioni sì da poter contare fra gli avi il medico personale di Carlo VI re di Francia ed il medico personale della regina Elisabetta d’Inghilterra. In merito a questa sua pubblicazione, connessa alla storia basilare dell’enologia, i promotori della Giornata di Studi su Francesco Scacchi, Fabriano, 5 giugno 2004 (Colabella M., Cruciani G.F., Garofoli C., Lunelli F., Manni A., Martinelli G., Sbaffi F., Valentini A.) hanno competentemente documentato come lo
Scacchi diede le indicazioni complete de la méthode champenoise 46 anni prima di Dom Perignon.
Questo suo libro (di cui a Fabriano il 27 novembre 2000 presso la Sede Centrale della Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana e della Fondazione omonima, è stata presentata una pregevolissima ristampa) risulta costituito da ventidue capitoli ricchi di considerazioni mediche in merito alla valenza igienico-sanitaria del bere (vino, acqua ed altro) o no , se caldo o freddo, se digiuni o dopo pranzo ecc..
L'opera contiene molti riferimenti ad autori classici tra cui citatissimi risultano Claudio Galeno (II - III secolo d. C.) Plinio il Vecchio (I secolo d. C.).
Più ampio fra tutti risulta il terzo capitolo, di 31 pagine, dal titolo Quale bevanda sia stata più comune presso gli antichi: se fredda o calda o tiepida. Nel capo sesto si possono poi osservare incisioni di recipienti metallici usati per scaldare le bevande che vennero osservati direttamente al tempo in cui la delegazione giapponese giunta presso Paolo V a Roma nel 1615 ne fece uso per ottenere il thè ed il sakè.
E'all'interno del breve capitolo XIV (di 7 pagine), intitolato De origine vini et vinorum differentiis che l'autore affronta espressamente la storia dei vini: nel successivo poi analizza vini piceni (cioè marchigiani) scrivendo tra l'altro "..., anche i vini piceni potrebbero risultare di primissimo ordine, visto che siffatte contrade provvedute dalla natura di colline non solo numerose ma altresì favorite dalla natura, aperte e fruttifere, permettono che tutte le vigne abbiano splendida positura, di maniera che per la fertilità dei luoghi non avrebbero affatto necessità di concime, per quanto poi sia usanza comunque di concimarle, sicché le uve diventino più abbondanti,..." (trad. libera).
Il capitolo XVI parla del rapporto fra donne e vino: enon si può negare che l'autore indulga in qualche osservazione pruriginosa come quella che detta "Mulieres in Gallia, ac Neapolis donec viro non copulantur abstemiae sunt o come ancora quando, in maniera ancora più stravagante, si fa cenno alle donne cinesi e giapponesi.
Ad inizio del XVII capitolo finalmente l'autore afferma, alla maniera dei moderni dietologi, che il vino è un alimento vero e proprio.
Ai giorni nostri il più interessante è verosimilmente il capitolo XXI che si intitola Se il vino frizzante, comunemente chiamato piccante, sia utile alla salute: la valenza basilare di questo capitolo è rappresentato dalla descrizione dei metodi con cui si rendevano frizzanti i vini a quel tempo. In poche parole vi si descrive come era realizzata la rifermentazione dello spumante in bottiglia, argomento che mina una sorta di assioma enologico che ha sempre sancito una sorta di primato francese in merito a tali vini. Dall'analisi ne deriverebbe, secondo alcuni interpreti, che simile procedimento sarebbe stato esportato dall'Italia presso i monaci
benedettini di Hauteuil ove si suppone che in seguito sia stato appreso da Dom Perignon quasi mezo secolo dopo le considerazioni scientifiche di Scacchi.
Occorre comunque rammentare che osservazioni molto prossime a quelle dello Scacchi furono sviluppate già in tempi pregressi da
Andrea Bacci [Bacci, Andrea [vissuto tra 1524 e 1600], De naturali vinorum historia de vinis Italiae et de conuiuijs antiquorum libri septem Andreae Baccii ... Accessit de factitiis, ac ceruisiis, deque Rheni, Galliae...., Romae: Muzi, Niccolo, 1596]: sia Scacchi che Bacci non erano fautori di potenziali qualità terapeutiche dei vini frizzanti, che anzi consigliavano di gestire con prudenza, a differenza di quanto sostenuto da altri eruditi come
Baldassarre Pisanelli Trattato della natura de' cibi, et del bere. Del signor Baldassare Pisanelli, medico bolognese. Nel quale non solo tutte le virtu, & i vitij di quelli minutamente si palesano; ma anco i rimedij per correggere loro difetti copiosamente s'insegnano: tanto nell'apparecchiarli per l'vso, quanto nell'ordinare il modo di riceuerli. ... In Genova : appresso Gieronimo Bartoli, 1587).
Angelico Aprosio (come poi il suo discepolo D. Antonio Gandolfo) fu un buon predicatore o comunque un predicatore ricercato specie in occasione dei Quaresimali alla maniera che correva usuale ai suoi tempi è che si sarebbe protratta ancora sin al XIX secolo al punto di suscitere veri e propri contenziosi.
L'attenzione conferita all'Aprosio critico-letterario, all'Aprosio antifemminista ed all'Aprosio polemista, all'Aprosio bibliotecario, pare evidente da questa disanima sulla sua personalità, ne ha fatto perdere o condizionare molteplici aspetti, non sempre facili da recuperare.
Quale PREDICATORE OD ORATORE SACRO Aprosio mirò dopo iniziali propensioni all'erudizione ed al concttismo sulla scia del Panigarola di attenersi alla GRANDISSIMA TRADIZIONE non lesinando dall'avvalersi per il suo delicato impegno di OPERE AGIOGRAFICHE TANTO CELEBRI QUANTO POPOLARI come ad esempio il qui
INTEGRALMENTE DIGITALIZZATO VOLUME
de il
"LEGGENDARIO DELLE VITE DE' SANTI DI N. MANERBI (MANERBIO) CHE PROPONEVA AD UN VASTO PUBBLICO LA LEGENDA AUREA DI J. DA VARAGINE".
Ed in particolare ispirandosi all'ICONOGRAFIA SACRA (cui consigliava a pittori e scultori di attenersi) che caratterizzava -ormai quasi sempre con un corposo accompagnamento di STAMPE ed INCISIONI- il testo di queste celebri opere Aprosio per esempio condannò
OGNI FORMA DI ABUSO NEL CAMPO DELLE ARTI FIGURATIVE, SPECIALMENTE IN MERITO A PITTURE E SCULTURE ("IMAGINES") DI PERSONAGGI SACRI O, COMUNQUE, DI AMBIENTAZIONE ECCLESIASTICA.
Nel merito più generale dell'opera delicata dei PREDICATORI Aprosio fu invece solito concentrare le sue critiche avverso quegli Oratori Sacri che dal pulpito esacerbavano il proprio ruolo in forza iridescenze orali, verbali e gestuali che sfioravano l'irresponsabilità.
Contro questa nuova moda del criticare egli redasse due interventi alquanto mordaci e non privi di significato.
Il primo di essi lo incontriamo nello Scudo di Rinaldo edito al capitolo 40.
Il secondo, più modulato e melanconico ma anche meglio organizzato secondo le direttive dei canoni e degli interpreti, lo troviamo nella Grillaia e precisamente al Grillo 50 ove l'autore giunge ad esprimere il timore che sulla scorta di una sempre più forte attrazione epocale per gli spettacoli ed il teatro (vedi indici) anche la Chiesa possa trasformarsi in una sorta di Teatro dal cui palcoscenico si esibiscano non seri predicatori ma sorta di religiosi divenuti saltimbanchi: ai non latinisti può sfuggire, ma ad Aprosio ed ai suoi interlocutori che avevano gran dimestichezza non poteva sfuggire, che "ciò che è primo e quanto è ultimo" nella cultura latina rappresenta il fulcro dei concetti, la sublimazione di tutti i ragionamenti e, notiamolo bene, entrambe queste due lunghe digressioni contro i cattivi predicatori sono poste a conclusione di entrambe le due opere.
Contese, rivalità, invidie possono risiedere alla base delle postulazioni aprosiane ma, certamente, egli era un moderato di buon senso che rifuggiva dalle fantasie e dalle frenesie che stavano infestando i pulpiti e che venivano svendute a caterve perchè un predicatore di grido, capace cioè di allettare la folla, era in grado di chiedere alle comunità un compenso sempre più alto (per le prediche quaresimali ma anche in altre occasioni allora ci si rivolgeva a veri e propri professionisti della parola capaci di surrogare il parroco o rettore locale spesso incapace per i limitati orizzonti culturali ed esistenziali di proporre le immagini ad effetto al tempo tanto gradite).
Proprio da prediche fuori misura, quelle che per Aprosio si tenevano da veri e propri buffoni se non pazzoidi: Aprosio, mordace ma anche intelligente, nel citato passo dello Scudo di Rinaldo ci propone, per esemplificazione, un fra tanti eccessi e precisamente il giuoco linguistico fatto da un predicatore alla moda parlando del biblico "Gazophilacium" e pronunciato, per una sorta di bizzarra scelta di pronuncia, in un cacofonico ma parimenti volgare "Cazophilacium" (se non a seconda del suon "Cazzophilacium") veramente inopportuno trattandosi di un'orazione fatta davanti ad un pubblico priritariamente femminile e di religiose.
Tra i due interventi aprosiani sulla PREDICAZIONE RELIGIOSA corrono però differenze sostanziali che rendono, a leggerlo, quello dello Scudo di Rinaldo un discorso moralistico che non sfugge all'iridescenza dell'erudizione (e quindi ai difetti della moda, in questo caso la moda letteraria) fine a se stessa e si disperde alquanto nella ricerca della "meraviglia".
La sarcina della Grillaia non solo è pensosa, meno pregna di erudizione e piuttosto di ricca di critiche ammonizioni ma si collega obbligatoriamente al contenuto del GRILLO XXXX: e il fatto non è da poco, perchè l'autore oltre che a proporre un discorso più completo ed organizzato finisce per scendere dal "moralismo dell'erudizione" al "moralismo correlato al diritto canonico" cioè alla reprensione ufficiale e professionale di tipo inquisitorio.
Da qui emerge la SOSTANZIALE DIFFERENZA fra i ludi eruditi seppur moraleggianti dello SCUDO DI RINALDO I e le postulazioni giuridiche, proprie di chi ha avuto ormai esperienza con Inquisizione e Sant'Ufficio, dell GRILLAIA.
Sia il GRILLO L che il GRILLO XXXX, nella loro pensosa seriosità, coimplicano postulazioni ignote all'apparente simile dissertazione dello Scudo di Rinaldo I: in essi compare la lettura attenta di TESTI DI DIRITTO CANONICO e degli argomenti correlati al tema.
Utilizzando a guisa d'esempio e traccia ideologica questo celebre TESTO ANTIQUARIO non solo, per quanto più scientificamente, si recuperano osservazioni aprosiane proprie dei brani estrapolati dalla sola Grillaia ( "Cosa sia la predicazione religiosa" - "Come debba organizzarsi una predica religiosa" - "Quale debba essere un giusto esordio della stessa" - "Qual debba essere lo sviluppo della argomentazione" - "Come si debba strutturare l'epilogo della predica" - "Che il predicatore debba ricorrere ad una prosa emendatam senza frizzi, scherzi, gesti teatrali, soprattutto senza invenzioni, magari di falsi miracoli o di eventi irreali" - "Che la pronuncia e la gesticolazione siano ispirate ad onesta moderazione, avvalendosi nella propria terra d'origine del linguaggio natio a tutti comprensibile e solo in terra straniera usando lingua altrui, comprensibile alla gente del luogo, dopo averla ponderosamente studiata") ma si recupera l'osservazione di non poco peso che il predicatore deve assolutamente evitare espressioni e gestualità rozze ed indecorose che possano sollecitare qualche idea pericolosissima di turpitudine.
( Proteste dei residenti di Vallecrosa
per l'inadempimento del Legato delle Prediche sacre )
"Al V. Intendente li 18 Dicembre 1824
Vengo incaricato da questo Comunale Consiglio ad informare V.S. Ill.ma e chiedere il Suo Consiglio circa l'Oggetto seguente.
Sin dall'anno 1680 fu istituito da certo Marc' Antonio Lamberti di questo Comune un Legato per il mantenimento della Predica nella quaresima in perpetuo nel luogo di Vallecrosia.
A tale effetto furon lasciati dei Beni situati nel territorio della Città di S. Remo con facoltà agl'Eredi di poterli vendere, e collocarne il prezzo in Censi, od altri effetti, da quali si potesse sperarne il mantenimento di detta Predica.
Amministratore di questa Lascita fu istituito l'Erede medesimo e suoi Successori, che effettivamente vendettero i fondi suddetti collocandone il prezzo su altri beni situati in questo territorio, i quali sono ora passati in successione per una metà agl'Eredi della fu Teresa Aprosio moglie del Sig. Giuseppe Ballauco di Bordighera, e per l'altra metà al Sig. Luca Aprosio fu Paolo Luigi di questo Comune.
Frattanto il legato non si fa adempire già da varj Anni, e questa popolazione va mormorando ora contro la negligenza del Parroco, ed ora contro quella del Sindaco, e dell'Amministrazione Comunale.
I Sindaci miei antecessori non si sono mai immischiati in quest'affare perché forse credevano non fossero di loro giurisdizione.
Io però e questo Consiglio, sul dubbio se ciò possa competerci o no, e per far anche cessare sul nostro conto le lagnanze del Popolo abbiamo pensato consultarne V.S. Ill.ma pregandola, in caso di sua decisione affermativa a volerci indicare la maniera con cui ci dobbiamo condurre se per caso i suddetti Eredi ricusassero di adempire agl'obblighi loro, dietro un nostro amichevole invito. Prego la bontà Sua a volermi onorare d'un gradito riscontro, e nuovamente passo a raffermarmi con tutto il rispetto.
[ s. Aprosio ]
(in Archivio Comunale di Vallecrosia - Libro della corrispondenza, a. 1824 ) .