cultura barocca
VINI E VITIGNI

VINI E VITIGNI

La coltura della vite dall'epoca medievale (in effetti esistono segnali ma ancora troppo vaghi per quanto concerne il periodo romano) fu una costante (per quanto l'ambiente potesse venir danneggiato da calamità varie con conseguente carestia) dell' agro della valle che prende nome dal torrente che l'attraversa, il Nervia (e seppur in misura minore di tutto il contado intemelio, compresa la diramazione occidentale e soprattutto quella levantina).
Nei documenti più antichi [ben studiati da Laura Balletto ma sempre suscettibili di qualche utile integrazione critica] riguardanti l'agro nervino e soprattutto la sua piazza più importante, quella di Dolceacqua (XIII-XIV secolo) la viticoltura (praticata sull'esperienza della grangia benedettina secondo la tecnica architettonica popolare dei muri a secco ideale per recuperare spazio coltivo nelle ridotte proprietà dell'economia curtense ligure) risulta menzionata nei documenti notarili in maniera frequente: la si trova citata sia in atti che riguardano privati cittadini sia il potere ecclesiastico che la vera e propria autorità signorile [peraltro proprio i Signori di Dolceacqua, cioè i Doria, realizzando una via alternativa per raggiungere un loro approdo nell'agro di Ospedaletti e non pagare pedaggio alla Comunità di Ventimiglia, al fine di attraversarne l'agro e raggiungere i porti del Nervia o del Roia, ci testimoniano, più o meno direttamente, che nel XIV secolo il loro dominio sfruttava già commercialmente la buona produttività nei settori agricoli dell'olivicoltura e della viticoltura].
Non mancano comunque utili segnalazioni per quanto concerne altre zone a prevalente carattere rurale come alcune vallicelle periferiche (interessante il caso del vino di Latte) o, sempre a titolo esemplificativo, in prossimità del centro medievale la zona del rio Resaltello: per non dimenticare, procedendo verso levante, l'importante agro pianeggiante di Nervia, la sua naturale prosecuzione nell'agro di Campus Rubeus, il complesso ed enigmatico sistema geografico dell'Armantica/ Almantiqua, diversi siti agricoli e zone rustiche duecentesche dall'odierna località dei Piani di Vallecrosia all'agro di Soldano od ancora l'importante area geopolitica in cui si sarebbe successivamente evoluta la quattrocentesca villa di Bordighera.
Il vino era commercializzato sulla piazza intemelia ma purtroppo non si recupera dagli atti alcuna notazione (se del tipo bianco, rosso, rosato) : soltanto, qualche volta, viene segnalata la zona agricola di provenienza o di produzione.
Si trattava comunque di buon vino da tavola, esportato "a Savona, Arenzano, Voltri, Genova e Chiavari": dopo esser stato imbarcato su navi di vario tipo [comunque soprattutto bucii e quindi leudi] sia all'approdo del Nervia che al porto canale mercantile del Roia).
La vendemmia era precoce ed i vini nuovi comparivano a fine luglio mentre la massa della vinificazione si teneva già a metà di settembre (non essendo ancora avvenuta l'adeguazione gregoriana del calendario esisteva una sfasatura di dieci giorni fra la stima calendariale e quella astronomica).
Botti di varia dimensione e capacità, spesso di pregiato rovere, conservavano il prodotto: nel XIV sec. la commercializzazione del vino di val Nervia sul mercato locale e regionale giunse a 160.000 litri (appena un secolo prima - di Amandolesio, cart. 56-7, annata 1258/9 - a tal quantità era giunto tutto il territorio intemelio compresa la val Nervia, mentre la cifra, dall'annata seguente - a 20.742 litri -, cominciò progressivamente ad incrementare).
Solo nel '400 il vino avrà la denominazione di vermiglio (vin vermiglio) ma basandosi ancora su tecniche generiche di identificazione, come per esempio nell'agro vallecrosino, legate alla segnalazione del luogo di provenienza dei vitigni e di relativa vinificazione: fu questo il caso del vermiglio della fascia longa.
Poi nel '500 comparirà il MOSCATELLINO del Ponente ligure, un vino di pregio non comune che nel 600 (secolo in cui peraltro cominciano a comparire i primi trattati scientifici di viticoltura) sarebbe stato esaltato addirittura da eruditi e poeti.
L' importanza del vino nella civiltà medievale e successivamente nell'epoca intermedia non si limitava tuttavia alla pur eminente funzione alimentare ed eventualmente, con tutti i pericoli congeniti, euforizzante: né le valenze religiose e sacramentali del vino nell'eucarestia potevano giustificare il valore assoluto che gli era conferito.
Ancora nel XVIII secolo importanti TESTI DI MEDICINA sottolineavano l'importanza dell'uso di vari tipi di vino nella preparazione farmaceutica di balsami e bevande terapeutiche variamente utilizzate.
Inoltre un'importanza parallela derivava a questo prodotto dei vitigni della lavorazione agricola dal fatto che da esso si ricava l'aceto, utile in una molteplicità di impieghi.
Propriamente lo si può estrarre dalla fermentazione, ad opera di microorganismi del gruppo Mycoderma aceti, anche di altri liquidi debolmente alcolici come la "birra", il "sidro", la "soluzione di malto", il "glucosio", le "melasse", lo "sciroppo" ma è fuor di dubbio che in ambiente ligure, e comunque panitaliano, l' aceto di vino abbia avuto un ruolo preminente sia nella produzione che nell'utilizzazione.
Il Battaglia, nel suo monumentale Dizionario sotto la voce "aceto", non a caso cita una sequela impressionante di autori che dal medioevo all'ottocento hanno ribadito le funzioni molteplici dell'aceto, sia per rincuorare gli spiriti vitali indeboliti nei malati, sia per disinfettare gli ambienti, si per la profilassi individuale, sia quale componente essenziale in vari medicamenti della medicina sino al XIX secolo.
Fra tante citazioni, più o meno dotte e più o meno corrette, vale la pena di rammentare a proposito dell'aceto solo quella detta del Crescenzi volgar. (4-46): "L'aceto...ha virtù penetrativa e incisiva per la sua sostanza, e costrettiva per le sue qualitadi".
L'aceto veniva per esempio usato nelle grandi manifestazioni di peste bubbonica: i medici attribuendo a questo liquido una funzione profilattica se ne servivano, inutilmente, durante le VISITE AI MALATI per proteggersi.
Nel Dominio di Genova questa convinzione pseudoscientifica era peraltro ancora più radicata che in altre contrade italiane: essa vi era infatti penetrata dalla Francia, attraverso la Provenza, in dipendenza della radicata convinzione popolare transalpina sulla straordinaria efficacia contro le epidemie di peste di un unguento a base di aceto, passato ad una durevole quanto vana celebrità come "Aceto dei sette (o "quattro") ladri".
Se queste fantasie erano viste con riluttanza dai medici più seri ciò non toglie che nella loro farmacopea l'aceto abbia rivestito un ruolo basilare: come si evince, oltre che da tutti i testi medici, dalla lettura di in umportante manoscritto di area ligure-ponentina, noto come CODICE WENZEL redatto da un medico e chimico ligure ponentino (XVIII - primi XIX secolo), di Perinaldo per la precisione, che nel suo vasto ricettario contro le più svariate patologie dell'epoca e soprattutto nei suoi scritti di profilassi e cura del colera (in parte di propria ideazione ma perlopiù desunti da ricercatori italiani e non) proponeva medicamenti in cui la presenza di aceto era una costante indiscutibile.
Proprio a metà XVIII secolo l'aggressione di PARASSITI ai vitigni del moscatello (come delle altre qualità indigene) sarà alla radice di una grave involuzione dell'agricoltura nel Ponente Ligure, soprattutto nella BASSA - MEDIA VALLE ARGENTINA e nelle VALLI DI S. LORENZO la scomparsa del MOSCATELLINO sarà alla radice di una imprevedibile crisi economica che molte famiglie affronteranno con la "tragica arma" dell'emigrazione.
Una SCHEDA CRITICA messaci a disposizione dall'Ist. Intern. di Studi Liguri di Bordighera -redatta grazie agli studi svolti presso il Museo Gallesio-Piume di Genova- permette poi di visualizzare l'evoluzione della viticoltura nel Ponente ligure tra il XVIII secolo e i primi del 1800.










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"Nell'ampia insenatura posta sull'estremo lembo della Liguria Orientale, compresa tra la Punta del Mesco e capo di Monte Negro, alle falde di monti scoscesi e dirupati presso la riva del mare, occhieggiano cinque paesi.
Da levante verso ponente sono, Riomaggiore, Manarola, Corniglia, Vernazza e Monterosso.
Riomaggíore che vina vernacia noncupata rocesi et amabilia gignit con Manarola benigno ac dulci fructu pari modo dotatam, entrambi ben difesi rupibus arduis.
Vernazza ob effectu vini et lepore eius sic denominata et muro forti et turribus ambita con Monterosso oppidum arduo muro tutum et in pari beneficio vini cum prescriptís constitutum.
Al centro, fra loro, aggrappata ad un'alta rupe a picco sul mare, quasi in funzione di sentinella avanzata, sorge Corniglia simili fertilitate et vini qualitate fruens lortitudine asperitatis scopulorum tutissimus situs.
Visti dal mare, questi cinque paesi, paiono grosse ninfee sorte e fiorite tra un groviglio di rocce.
Posti tra l'erta ed il mare, hanno tutti suolo aspro e forte per natura, silvestre nella parte montana, ricoperta di folta vegetazione che richiama la flora di Sicilia, d'Africa e di Spagna, coltivo invece, nella parte più bassa dove l'ulivo, la vite ed il limone paiono contendersi il poco terreno che ad essi serve di alimento.
Sono, poi, di una bellezza che non si sa dove finisca la natura e dove l'arte cominci, che l'una e l'altra, dopo mille inaspettati contrasti, si compongono in tale soave armonia di forme e di colori che lascia estasiati e fa esclamare a chi l'ammira questo è veramente un paradiso in terra.
Le lor case, costruite sovente su pendii scoscesi, sono addossate le une alle altre, a piani rialzati secondo la morfologia del terreno o lungo il corso dei torrenti, tinteggiate a vivaci colori che fanno da contrasto col grigio della roccia e col verde che le circonda.
Le strade, strette e tortuose, sono poste a ventaglio, tendenti dal mare verso l'alto e le piccole piazze sono polmoni da cui traggono respiro.
Formano così, un complesso edilizio che, ancora oggi, serve da riparo contro i venti flagellanti del mare come contro quelli gelidi di tramontana ed i monti, posti a corona, consentono l'aleggiar delle brezze di mezzogiorno così come impediscono alla neve d'indugiarvi l'inverno.
Divisi fra loro da una quasi uguale distanza formano insieme quel territorio che da vari secoli è conosciuto col nome di Cinque Terre.
Ma tale denominazione non sorse di improvviso.
Gli antichi storici e geografi greci e latini non ne fanno alcun cenno e, almeno, fino a tutto il secolo XIV è completamente sconosciuta.
Solo agli inizi del secolo XV si ha notizia della esistenza di un territorio denominato quattro terre.
Con deliberazione 20 Febbraio 1408 il Governo Genovese nomina Podestà di Vernazza, Corniglia, Manarola e Riomaggiore - ad potestatiam Vernacie, Cornilie, Manarolie et Rimazorii - un certo Francesco Alpano e, contestualmente a scrivano di queste quattro terre scriba quattuor terrarum il Notaio Graffagna (A. S. G. Diversorum, 1408).
La denominazione di Cinque Terre compare per la prima volta, con l'aggiunta di Monterosso, nell'anno 1419 allorquando l'umanista e geografo Giacomo Bracelli Notaio e Cancelliere della Serenissima Repubblica di Genova, forse prendendo lo spunto dalla precedente quattro terre, l'introdusse nella Orae Ligustícae Descriptío dicendo et haec quinque loca vocantur quinque terre.
A questa descrizione, lo stesso Bracelli, ne fa seguire una seconda in data primo Aprile 1448, ma mentre nella prima le chiama Cinque Terre, nella seconda le definisce Cinque Castelli.
Inde in ora castella quinque dice paribus prope intervallis inter se distantia, Mons Ruber, Vulnetia, quam nunc Vernatiam vulgus nominat, Cornelía, Manarola, Rivus Maior non in Italía tantum, sed apud Gallos Britannosque ob vini nobilitatem celebría. Res spectaculo digna videre montes non declives modo sed adeo praecipites ut aves quoque transvolando fatigent, saxosos, nihil humoris retinentes, stratos palmite adeo ieiuno et gracili hederae quam viti similiter vídeatur. Hinc exprimi vindemiam qua mensas regias instruamus.
Sostanzialmente le due descrizioni riportano gli stessi concetti che furono prima ripresi da Flavio Biondo di Forli, pur esso umanista, geografo e Segretario Apostolico e che scrisse sulla falsariga del Bracelli e, poi da Leandro Albertí che tradusse quasi alla lettera la descrizione fatta dal Biondo.
Infine, l'annalista genovese Monsignor Agostino Giustinianí, Vescovo di Nebbio in Corsica, vissuto tra il 1470 ed il 1536, è quello che delle Cinque Terre dà la migliore e più particolareggiata descrizione negli Annali della Repubblica di Genova.
E lassato Levanto egli dice occorrono le cinque terre la prima delle quali è nominata Monterosso, qual comprende centovinti foghi, et sopra di esso un monte nominato Soviò, dove è edificato un tempio in honore di S. Maria Maddalena habitato da monachi bianchi. Viene poi al lito del mare Vernazza con centotrenta foghi, et poi sul monte Corniglia con cinquanta, et appresso alla marina Manarola con cinquanta fogbi et l'ultima Rivo Maggiore, nominata volgarmente Rimazò, pur essa alla marina con centovinti foghi. Et su alla montagna una divotione nominata nostra Donna de Monte Negro. Et queste cinque terre pigliano quindeci miglia di spacio, cioè da Levanto infino a Portovenere quasi in ugual distanza l'una dall'altra, et qui si vede quanto vaglia et possi l'ingenioso intelletto bumano il quale con la industria sua provvede a quel che la natura ha negato, per che questo è tanto erto e sassoso che non solamente è difficultoso alle capre montarli, ma è quasi difficultoso al volare degli ucelli, arido et seco et non dimeno tutto pi eno di fruttifere vigne, alla vindemia delle quali in qualche luoghi è necessario che gli buomini si calino dalle rupi, ligati nel mezzo per una corda et vindemiano uve dalle quali si esprime il vino tanto eccellente quanto dir si possa et non è Barone, Princípe né Re alcuno qual si reputi a grande honore quando alla sua tavola si porge vino delle cinque terre, et da qui vie. ne che la lama di questo territorio è celebre non solamente in Italia ma quasi in tutto il mondo.
L'agricoltura comincia a rifiorire al termine del suo sonno secolare iniziatosi con la caduta dell'Impero Romano di Occidente e protrattosi fino al primo formarsi dei regni barbarici.
Tra l'VIII ed il X secolo Chiese, Monasteri, Cenobi, Vescovi e Abbati rientrano in possesso delle terre già di loro proprietà, ed altre ne acquistano per metterle in coltura dandole ad roncandum e ad pastinandum.
Così l'aratro si spinge tra gli sterpeti, sorgono numerosi i muri di sostegno, le acque vengono incanalate, le paludi bonificate, il vasto mantello delle foreste di cui la stessa pianura è ricoperta, risuona dei colpi della scure che lo va abbattendo e del crepítar delle fiamme che lo va incenerendo, scompaiono le altae solitudines della valle padana e della Toscana quali si presentavano agli occhi dei viandanti e degli stessi barbari invasori.
Dove prima erano selve e paludi sorgono luoghi abitati, molti dei quali da esse prendono il nome.
La bonifica di tante terre prima incolte ed abbandonate, l'interesse sempre più vivo dei proprietari di sfruttare la loro inerte ricchezza, il permanente stato di guerra feudale, lo sviluppo del feudalesimo e la moltiplicazione e divisione dei vari rami delle grandi famiglie, le continue scorrerie di Ungheri, Slavi, Saraceni lungo le coste italiane spiegano il pullulare dei villaggi e dei castra che rappresentano in parte, accrescimento assoluto e, in parte, spostamento e concentrazione di abitanti come spiegano il risorgere di molte vecchie mura cittadine semidistrutte o la costruzione, già nel secolo, di nuove cerchie più ampie delle antiche.
Villaggi, castelli e città protette da solide mura come accolgono da fuori e proteggono la popolazione che cresce, così accelerano il ritmo del suo crescere entro e nelle immediate vicinanze delle mura.
E, con la tranquillità progredisce anche l'agricoltura.
Come in Toscana, Garfagnana e Lunigiana, anche se favorite dalle precedenti coltivazioni ivi effettuate dai Romani durante l'epoca dell'Ager Lunensis, sorsero e fiorirono uliveti e vigneti, così non è da escludersi che ciò si sia verificato anche nelle Cinque Terre pur tenuto conto che, ancora nel secolo X, esse costituivano zona a sé, quasi fuori del mondo, lontana da ogni itinerario, formata esclusivamente da terreni montani, boscosi, aspri e scoscesi, inadatti quindi, per il loro stato selvaggio a qualsiasi coltivazione.
Forse proprio per questo, gli stessi Romani non ritennero di farvi sorgere proprie colonie non trovandosi nelle Cinque Terre località che siano contraddistinte dal tipico suffisso che forma l'inconfondibile caratteristica dei toponimi fondiari che conobbero l'occupazíone romana e gli ordinamenti civili dell'Urbe. Ad ogni modo anche se nell'atto 19 Agosto 1051, col quale il Marchese Alberto IV detto Rufo figlio di Adalberto III fa donazione al Monastero di San Venerio, si accenna soltanto agli uliveti posti justa Ecclesia Sancti Michaelis, ossia presso la Chiesa di San Michele di Fontona, nella vallata di Levanto, non è senz'altro da escludere che vi esistessero pure vigneti, anche se di modeste proporzioni perché, almeno in Liguria, la vigna e l'ulivo hanno sempre vissuto e prosperato in stretta vicinanza tra loro.
D'altra parte Fontona, mediante La Colla, confina con Monterosso di cui, già nel 1056, era Signore il Marchese Guido I del fu Adalberto II, zio paterno dello stesso Marchese Alberto IV detto Rufo.
Questa circostanza fa perciò, fondatamente pensare che anche a Monterosso, zona del resto, assai meglio esposta che non quella di Fontona, fosse in atto la coltivazione dei terreni e vi sorgessero quindi, con uliveti anche vigneti.
Dei quali potrebbe aversi indiretta conferma dal ricordo dei vigneti della vicina Vernazza tramandato, sia pure incidentalmente, dal poeta e Notaio Ursone de Sigestro nel suo epinicio celebrante la vittoria riportata dai Genovesi nel 1242 sull'Imperatore Federico II.
Comunque, intorno al luogo di produzione ed alla qualità del vino delle Cinque Terre, molto si è discusso e tuttora si discute da storici e studiosi.
Già Plinio, accennando ai vini d'Italia, fa notare che fin dai suoi tempi per il vino dell'Etruria teneva la palma Luni, secondo il Promis, col prodotto di viti chiamate Apiane e che egli vorrebbe riconoscere nell'Amabile delle Cinque Terre menzionato da Giuniore filosofo tra i quattro vini più celebri d'Italia col nome di «vinus tuscus». Però Flavio Biondo osserva che Plinio, pur tanto diligente nel notare i luoghi di produzione vinicola delle regioni d'Italia, non fa alcun cenno ai vini delle Cinque Terre, salvo che non abbia inteso comprenderli fra quelli da lui chiamati vina lunensia., Pensa, quindi, che i vini descritti da Plinio piuttosto che in Lunigiana fossero prodotti in Liguria dove il vino doveva essere ritenuto di poco pregio se è vero quanto si legge in Marziale (111,82) che l'astuto padrone di casa si faceva mescere vino vecchio mentre ai convítati offriva vino ligustico il quale, al dire di Columella (XII, 2) era asprigno e condito con pece. L'agronomo Gerolamo Guidoni di Vernazza, in una sua memoria scritta nel 1823, afferma che il vino lunense degli antichi Romani che, al dire di Plinio, portava il vanto di tutti quelli della Toscana, non era altro che il vino delle Cínque Terre che andava in Francia ed in Inghilterra e annoverato tra i migliori vini d'Italia.
Il Boccaccio ricorda il vino di Corniglia definendolo vernaccia di Corniglia per non confonderlo con la vernaccia di Toscana e, nel Decamerone, gli attribuisce anche proprietà medicamentose onde Ghino di Tacco sarebbe riuscito ad ottenere la guarigione dell'Abate di Cluny con un gran bicchiere di vernaccia di Corniglia di quello dello Abate medesimo.
Lo ricordano altresì Dante ponendo Papa Martino IV ch'ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia in Purgatorío a purgar per digiuno l'anguille di Bolsena e la vernaccia, e Fra Salimbene da Parma che nella Cronaca del 1285, dice di essere stato più volte a Chíavarí in riva al mare presso Lavagna dove et ibi prope vinum vernaccia habetur et vinum terrae illius optimum est.
Infine il Petrarca il quale nel 1347 fu ospite di Genova e del suo Doge Giovanni da Murta, alla cui mensa certamente assaporò il caratteristico vino bianco della collina di Murta che, secondo la tradizione, aveva il merito di alleviare le pene delle anime penitenti, nel suo poema latino l'Africa ricorda i gioghi ed i vigneti di Monterosso che così canta:
Hinc solis vineta oculo lustrata benigno Et Baccho dilecta nimis montemque rubentem Et juga prospectant Cornelia palmite late.
Ancora nel XV secolo qualunque vino prodotto in Liguria era chiamato vinum vernaccia e vinum vernaccie: questo è, infatti, l'appellativo generico col quale nello Statuto della Gabella delle Vicarie lucchesi del 1372 erano chiamati i vini importati in Toscana dalla Liguria.
I quali, sia all'entrata che all'uscita, erano sottoposti ad una tassa di dieci lire onde una speciale ordinanza avvertiva i carrettieri vinum vernaccie de quolibet curru ogni carro constava generalmente di ventiquattro barili tam in introitu quam in exitu lib. decem. Et intelligatur prosegue la stessa ordinanza vinum vernaccie quolibet vínum riperie janue.
Quindi vino che poteva essere tanto delle Cinque Terre come di Bonassola; di Moneglía come di Cogorno; di Rapallo come di Recco; di Coronata come di Murta; di Voltri come di Varazze o di qualsiasi altra località della Liguria compresa fra Ventimiglia e Portovenere. Ad ogni modo il vinum vernaccia non era prodotto soltanto in Liguria ma, ancora nel secolo XV, anche nel Bolognese, nel Piacentino, nel Bresciano, nel Trentino, in Toscana ed in Sardegna.
Nonostante il linguaggio laudativo, il vino delle Cinque Terre non fu mai prodotto in soverchia abbondanza anche perché ancora nel secolo XVI molti terreni erano incolti il Padre Don Antonio Bono da Monterosso, Benedettino ne Il Tesoro della Cervara ricorda l'esistenza- di terre senti cioè terre incolte ed oggi la superficie coltivata a vigneto non supera la decima parte dell'intiero territorio.
Così la produzione vinicola fu di soli diecimila ettolitri nel 1531 ; tra i venticinquemila ed i trentamila ettolitri dal 1823 al 1825 e di circa cinquantamila ettolitri nel 1891 e, a tale data il prezzo del vino comune da pasto era di venti lire per ettolitro e di quaranta lire per l'Amabile con tendenza a diminuire per la sleale concorrenza che gettava sul mercato vino ammantato con l'etichetta delle Cinque Terre ma che, in realtà, altro non era che vino abilmente manipolato.
Questo abuso dice l'agronomo Lorenzo Galleno di Vernazza è conosciuto e denunciato, perciò si asseconda il progresso o si subisce con danno. L'Amabile delle Cinque Terre è unico nel suo genere, gareggia coi migliori vini di Italia, di Francia e di Spagna e tanti altri celebratissimi vini supera. Sua prima prerogativa è quella di essere figlio della vite, il che non è poco in questi tempi di polveri emantiche, di bicarbonato ed altro. L'Amabile...celebratissimo dagli antichi, ci sia fonte come ai nostri padri d'onesta invidiabile prosperità...."[Le Cinque terre - on WEB Di G.B.Gritta ]






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SPEZIE - LE SPEZIE -
VIA DELLE SPEZIE

(VEDI ANCHE L'OPERA SEICENTESCA DEL MERCANTE DI SPEZIE SEICENTESCO POMET)

Pepe - Piper nigrum
Zafferano - Crocus Sativus
Zenzero - Zingiber officinalis
Anice
Cardamono - Elettaria cardamomum
Coriandolo - Coriandrum sativum

Fieno greco - Trigonella foenum-graecum
Garofano [Chiodi di garofano]
Cumino - Cuminum cyminum
Ginepro - Juniperus communis
Noce moscata - Myristica fragrans
Paprika - Paprica - Capsicum annum
Cannella - (Cinnamomo)









La Cannella è una droga che si estrae dalla corteccia di un arbusto originario della Cina e dell'isola di Ceylon e in genere dei tropici: si tratta scientificamente del cynnamomum zeylanicum utilizzato in particolare nell'industria dei profumi.
Di cannella si conoscon altre qualità come la cannella di ceylon o cannella della Regina.
La cannella messa in commercio è in cilindretti del diametro di circa un centimetro e della lunghezza di 7 / 8 centimetri: sono fragili, leggeri ed hanno un odore gradevole ed un sapore aromatico.
La cannella viene usata per condimenti e per la preparazione di liquori mentre in farmacologia le sue principali qualità terapeutiche risoltano quelle digestive ed antinfluenzali.

E' lo Zenzero (zingiber officinalis della famiglia delle Zingiberacee) una pianta erbacea aromatica dal cui rizoma tuberoso si ricava una droga piccante utilizzata dalla medicina per le sue virtù toniche, febbrifughe e antiscorbutiche, dalla cucina come condimento, e per la fabbricazione di liquori.
In Inghilterra con lo zenzero si produce del vino e della birra molto graditi agli anglosassoni.

Re delle spezie, il pepe ha dominato il commercio europeo delle spezie fin dai tempi del Medioevo ed è stato lo stimolo principale che spinse alla ricerca di nuove rotte verso l'Oriente. Questo condimento era già apprezzato nella Roma antica, nella varietà del pepe lungo con la quale tentarono di corrompere il re dei Visigoti per evitare il sacco di Roma, nel 408 d.C. . Il pepe percorse la via delle spezie che partiva dall'Asia per parecchi secoli, un commercio controllato dagli arabi islamici. Dopo la caduta dell'Impero bizantino fu Venezia l'unico agente per la distribuzione del pepe e delle altre spezie in Europa e punto di raccolta dell'oro che veniva mandato in Oriente come pagamento. Oggi l'India è al primo posto nel mondo per la produzione del pepe seguita da Indonesia, Malesia, Madagascar e Brasile.
Descrizione, raccolta e conservazione>
Facente parte della famiglia delle Piperaceae, la pianta del pepe è una pianta tropicale rampicante che cresce, se coltivata, anche fino a 4 m. ha foglie verde scuro e grappoli di bacche verdi se acerbe e rosse se mature.
Le bacche, una volta raccolte, devono essere essiccate e variano per grandezza e qualità. Devono tuttavia essere della stessa dimensione, colore, dure e prive di polvere. Il pepe in grani si conserva per periodi molto lunghi in recipienti a chiusura ermetica.
Varietà di pepe
Pepe nero -Le bacche sono acerbe e sono fatte essiccare per 7-10 giorni al sole fino a che assumono un color nero. Si possono trovare intere o macinate.
Pepe bianco -Le bacche rossastre, quasi mature, sono messe in acqua fino a perdere la pellicola esterna prima di essere essiccate; più piccole di quelle nere hanno sapore meno forte, si trovano intere o macinate.
Pepe verde -Le bacche verdi, acerbe, sono conservate in salamoia o in aceto, si riducono facilmente ad una pasta, hanno un sapore fresco, non troppo piccante ma aromatico.
Pepe rosa -Sono le bacche quasi mature di un albero dell'America del sud, si trovano in salamoia o essiccate, hanno un sapore aromatico resinoso. Se consumate in grosse quantità possono essere tossiche.
Pepe lungo -Sono piccoli frutti neri di forma conica lunghi circa 1,5 cm; hanno un gusto intenso ma piuttosto dolce. Usato raramente in Occidente è comune invece in India ed Estremo Oriente.
Pepe mignonette -E' una miscela di bacche, bianche e nere, macinate grossolanamente. È comune in Francia come condimento da tavola.
Uso in cucina
È usato in tutto il mondo come condimento da tavola e per insaporire tutti i tipi di piatti salati; i grani interi si usano nei brodi, nelle miscele per salamoia, in alcuni salami e salsicce. Il pepe bianco sostituisce quello nero nelle salse bianche ma solo per un fatto estetico; i grani di pepe verde invece schiacciati si aggiungono a burro, salse alla panna per pesce, anatra, pollame e filetti di manzo.

Se il pepe è il re delle spezie, lo zafferano è la regina: molti uomini nel passato hanno rischiato la vita per questa spezia, rara e preziosa come l'oro. Noto fin dalla preistoria fu quasi sicuramente introdotto in Europa dagli Arabi nel X secolo anche se alcuni ritengono che siano stati i Fenici a portarlo in Spagna, nazione tradizionalmente legata a questa spezia. L'uso dello zafferano si è diffuso soprattutto in presenza di una società aristocratica in grado di appezzarne le qualità culinarie affiancata da una classe di schiavi in grado di sopportare le fatiche legate alla sua coltivazione. I Romani lo usavano per ricoprire le strade creando un tappeto dorato per Principi o Imperatori.
Descrizione e raccolta
Il crocus sativus fa parte della famiglia delle Iridaceae; la pianta che cresce fino a 15 cm ha un fiore color violetto che fiorisce per un breve periodo di due settimane in autunno. Ogni fiore ha solo tre stimmi gialli che devono essere colti manualmente all'alba prima che il sole sia troppo alto. I fiori si scartano, mentre gli stimmi vengono essiccati. In questo processo si perde l'80% del peso ma s'intensifica notevolmente il sapore. Il risultato è che sono necessari 200000/400000 stimmi per ottenere 1 Kg di zafferano.
Conservazione
Si può trovare in polvere in piccoli pacchettini oppure in stimmi interi. È consigliabile comprare gli stimmi filiformi e metterne a bagno un pizzico in acqua tiepida per svilupparne colore e aroma prima di aggiungerli ai cibi nella fase terminale di cottura. Va conservato in recipienti a chiusura ermetica lontano dalla luce.
Uso in cucina
Usato nelle regioni mediterranee per insaporire qualsiasi piatto a base di riso e pesce come la bouillabaisse, la paella, il risotto alla milanese, nelle regioni medio-orientali si usa anche in budini e dolci di riso, nei pilau della cucina mongola; in Gran Bretagna infine viene utilizzato per la preparazioni di tradizionali torte e ciambelle allo zafferano.

Il Garofano (eugenia caryophillata della famiglia delle Mirtacee) propriamente è un albero alto sino a 10 e 12 metri coltivato a Zanziber, nelle Indie orientali, nel Madagascar e nelle Americhe.
A livello alimentare e di fitoterapia ciò che importa di questo albero sono i chiodi di garofano cioè i fiori non sbacciati che appunto assumono nome di chiodi di garofano.
E' caratteristico il loro aroma, noto fra le spezie per l'uso che se ne fa in cucina: a livello di fitoterapia i chiodi di garofano servono per realizzare delle droghe stimolanti, stomachiche, eccitanti alla digestione.

È una delle spezie più antiche, diffusa tra gli Egiziani, i Greci e soprattutto i Romani che la usavano per insaporire piatti a base di pollo, maiale, verdure e piccoli dolcetti speziati che venivano servirti come digestivo.
Conosciuto in Inghilterra fin dal XIV sec. Era utilizzato nella preparazione di torte, pane e dolciumi tra i quali il famoso pan di zenzero, venduto nelle fiere di paese fin dall'epoca elisabettiana.
Sebbene non siano parenti dal punto di vista botanico ci sono tre piante che rispondono al nome di anice. Sono: l'anice verde (Pimpinella anisum), l' anice stellato (Illicium verum) e l'anice pepato (Xanthoxylum piperitium).
L'anice verde viene coltivata soprattutto per i suoi semi. È una piantina originaria dell'Oriente, alta circa 60 cm. I suoi fiori bianco-giallastri sono seguiti da piccoli semi ovali, apprezzati per secoli per le loro proprietà aromatiche e salutari. Ancora oggi l'anice viene utilizzato come rimedio digestivo ed è uno degli ingredienti dei medicinali contro la tosse. I semi vengono impiegati per aromatizzare torte, pane, dolci e pasticcini; nell'Europa settentrionale viene aggiunta a formaggi e cotti insieme a verdure come il cavolo. I semi di anice si sposano molto bene con il pesce.
L'anice stellato proviene dalla Cina: i frutti a forma di stella vengono essiccati e costituiscono l'ingrediente di base di molte ricette cinesi a base di maiale, anatra, pollo e manzo.
L'anice pepato, infine, molto piccante ed aromatico viene usato soprattutto nella cucina cinese ed è una delle spezie, insieme a anice stellato, chiodi di garofano, semi di finocchio e cassia a costituire la miscela in polvere nota come "cinque spezie cinesi".

Il cardamono è una spezia esotica molto antica. Originaria delle foreste tropicali d'Oriente si dice crescesse nei Giardini Pensili di Babilonia e, senza dubbio, fu portata dall'Est in Grecia e a Roma dove veniva usata nella preparazione di profumi. Ne "Le mille e una notte" se ne magnificano le proprietà afrodisiache ed il suo aroma evoca i piaceri dell'Oriente.
È una delle spezie più costose, viene usato ampiamente in India nei piatti a base di riso per le festività come il pilau e il biriani, spesso associato a mandorle, zafferano ed altre spezie.
È un ingrediente del garam masala, la miscela di spezie largamente usata in Oriente, e del famoso caffè arabo.
Descrizione, coltivazione, descrizione
Il cardamono cresce spontaneo o in piantagioni nelle foreste tropicali, si propaga per semi o radici e le capsule con i semi si raccolgono a fine autunno prima che maturino. Appartiene alla famiglia delle Zingiberaceae, la pianta ha lunghe radici tuberose, foglie e fiori verdi e bianchi con venature color porpora. Le capsule, che si trovano alla sommità degli steli, sono marroni o verdi, contengono i semi di colore marrone o nero.
Il cardamono si può trovare in capsule essiccate, come semi sciolti o come polvere: è preferibile acquistare le capsule intere ed usare i semi macinandoli all'occorrenza. I semi, interi o in polvere perdono rapidamente aroma.
Usi in cucina
Ampiamente usato nei paesi arabi per aggiungere un sapore dolce ed intenso a svariate pietanze e al caffè. È una spezia essenziale nei piatti a base di riso in India e Pakistan, in Scandinavia si usa in pasticceria, in salamoie, in punch e vini alle spezie.

Conosciuto anche con il nome di "prezzemolo cinese", il CORIANDOLO appartiene alla stessa famiglia del cumino, dell'aneto, del finocchio e naturalmente del prezzemolo. Coriandrum deriva dal greco ed indica genericamente 'un qualcosa che fa bene all'uomo'. Sativum deriva invece dal latino e vuol dire 'adatto ad essere coltivato'.
Originario del Medio Oriente trova impiego fin dalla più remota antichità come pianta aromatica e medicinale ed in alcune tombe egizie viene raffigurato come offerta. I Romani lo usarono moltissimo ed Apicio ne fa la base di un condimento chiamato appunto 'Coriandratum'.
Secondo Plinio mettendo alcuni semi di coriandolo sotto il cuscino al levar del sole si poteva far sparire il mal di testa e prevenire la febbre.
Il coriandolo è uno degli aromi più costanti della nostra tradizione; dai semi rivestiti di zucchero prendono nome i coriandoli di Carnevale in un secondo momento pallottoline di gesso, ora dischetti di carta multicolori.
Descrizione
E' una pianta erbacea annuale che appartiene alla famiglia delle Ombrellifere. La radice è sottile e poco ramificata, il fusto eretto, alto circa 30-50 cm, la parte superiore è invece ramificata.
Le foglie inferiori sono appena incise e provviste di gambo, quelle superiori sono frastagliate e senza gambo. I fiori possono essere bianchi o rosa, riuniti in ombrelle. Il frutto è a forma di globo di un colore giallo paglierino.
Vegeta bene in tutta l'Europa meridionale d orientale. Si adatta a qualsiasi tipo di terreno purchè ben esposto e soleggiato.
Raccolta e conservazione
Si usano i frutti che nascono in Giugno-Luglio. La raccolta delle ombrelle, recise insieme al loro gambo, deve avvenire al mattino presto quando ilo coriandolo è ancora umido di rugiada. Vanno quindi essiccate subito altrimenti si riscaldano perdendo molte proprietà. Le ombrelle vengono quindi riunite in mazzi ed appese in luoghi ombreggiati, quando sono ben essiccate si battono all'interno di un sacchetto per separare i frutti dai peduncoli che li sostengono. I frutti si conservano poi in recipienti di vetro. I semi si dovrebbero conservare interi poiché la polvere di coriandolo perde aroma molto facilmente.
Uso in cucina
Numerosissimi gli impieghi culinari del coriandolo. Entra nella preparazione di alcuni salumi, insaporisce verdure carne e pesce. I semi vengono utilizzati come spezia. Questi sono meno piccanti delle foglie, sono dolci con un lieve sapore di limone. Macinati i semi di coriandolo costituiscono l'ingrediente principale del curry e del garam masala. Le foglie, in Oriente, sono utilizzate al posto del prezzemolo.
In erboristeria
Infuso contro i dolori di stomaco: lasciare in infusione in una tazza d'acqua caldissima,5 minuti, 5 g di frutti di coriandolo essiccati. Filtrate, zuccherate e bevete dopo i pasti

Questa pianta, che come spezia è associata alla cucina indiana, è stata usata in Occidente come medicamento e come foraggio per bestiame. Già nell'XI secolo, il medico arabo Avicenna, prescriveva il fieno greco come rimedio per il diabete, un uso che si è tramandato fino ai nostri giorni. È tuttora usato per abbassare la pressione, nei contraccettivi orali, in veterinaria. Come spezia, dal sapore forte e piccante, è un ingrediente fondamentale nelle polveri di curry. I semi di fieno greco germogliati hanno un successo crescente in Occidente soprattutto nei ristoranti vegetariani: aggiunti alle insalate sono rinfrescanti e nutrienti.
Descrizione, coltivazione, conservazione
È una pianta, facente parte della famiglia delle Leguminosae, delicata che necessita di un clima temperato e che deve essere accuratamente protetta. Le piantine vanno distanziate di almeno 20 cm e messe in un terreno ben drenato, fertile e molto soleggiato. Sono annuali a foglie strette e dentellate, con fiori gialli o bianchi simili a quelli del pisello, ciascuno die quali contiene dai 10 ai 20 semi. Crescono fino a 60 cm e maturano in circa 4 mesi. I semi essiccati si possono trovare interi o in polvere, se interi vanno leggermente tostati prima dell'uso; la polvere, si troiva in commercio ma è spesso amara e piccante; i germogli vanno utilizzati quando hanno sviluppato due foglioline.
Usi in cucina
I semi vengono impiegati principalmente nelle polveri di curry, soprattutto in India e nello Sri Lanka, in salamoie ed in chutney, in piatti a base di verdura e dhal (purè di lenticchie), in alcune zone dell'Africasi mangiano cotti in acqua come i fagioli.

I semi di cumino provengono da una delicata pianta annuale originaria del Mediterraneo orientale e dall'Africa del Nord. E' una spezia molto antica, nominata anche nel Vecchio Testamento.
Descrizione, coltivazione e conservazione
La pianta del cumino, che fa parte della famiglia delle Ombrellifere, preferisce climi molto caldi, cresce fino a 25 cm. Sono necessari 4 mesi affinché la pianta maturi, è preferibile dunque seminare i semi all'inizio della primavera e trapiantarli poi in un terreno soleggiato e ben drenato. I semi vanno raccolti quando iniziano a cambiare colore e vanno messi a maturare prima e seccare poi in sacchetti di carta appesi in un luogo ben aerato. Si possono trovare interi o in polvere anche se, una volta macinato, tende a perdere sapore e aroma.
Usi in cucina
Delicatamente aromatico il cumino è un ingrediente fondamentale nelle cucine del Nord Africa, del medio Oriente, dell'India. In Spagna e Portogallo è usato per aromatizzare salsicce, riso e verdura stufata. In Marocco il caratteristico aroma pervade i chioschi dove vengono arrostite le 'brochette' (kebab) carne fortemente speziata in cui predomina l'aroma del cumino. Una leggera tostatura impartita ai semi in una padella senza condimento esalta l'aroma ed il sapore del cumino.

Le bacche di ginepro, note soprattutto perché danno al gin il particolare sapore, hanno un gusto dolce e aromatico e sono una spezia comune nella cucina dell'Europa settentrionale. Conosciute fin dai tempi biblici, le bacche e le foglie erano usate come cura contro la peste e il morso dei serpenti.
Descrizione, coltivazione e conservazione
Il ginepro cresce con facilità nelle regioni settentrionali a clima temperato, ma ha bisogno di un terreno calcareo e ben soleggiato. Le bacche sono prodotte solo dalle piante femminili, della famiglia delle Cupressaceae, e si raccolgono in autunno dopo 3 anni di maturazione. Sono di colore nero-blu quando mature e di 7-10 mm di diametro e facilmente triturabili. Le piante possono esistere a cespuglio o ad albero.
Usi in cucina
Usato per aromatizzare la selvaggina dalla carne scura come il cervo, piccione selvatico e cinghiale il ginepro si abbina bene anche al maiale e a molti piatti invernali come lo stufato. È un ingrediente importante nei patè di selvaggina e si sposa bene con ripieni a base di castagne e frutta e con le verdura della famiglia del cavolo. Una gelatina di mele al ginepro la tradizionale gelatina di ribes che accompagna agnello e selvaggina. È usato anche nella preparazione di gin ed altri liquidi amari.

La noce moscata, anche se era già nota in Inghilterra ai tempi di Chaucer, divenne una spezia universalmente richiesta solo quando, all'inizio del XVI sec, furono scoperte le isole delle spezie (le attuali Molucche). Si tratta di uno di quei prodotti il cui monopolio fu causa di ostilità e intrighi tra gli Stati europei che esercitavano il commercio tra il XVII e il XVIII secolo.
Il suo gusto dolce, raffinato e il profumo di bosco che sprigiona la rese una spezia quasi magica e talmente apprezzata che era costume portare con sé una piccola grattugia in modo da poterla aggiungere al cibo o al vino caldo.
È una spezia ancora molto usata in cucina normalmente abbinata a dolci, budini, creme e torte ma anche a purè di patate e cavolini di Bruxelles lessati. In Italia viene spesso aggiunta a ripieni a base di carne, formaggio o spinaci per tortellini, ravioli o cannelloni.
Descrizione, coltivazione, conservazione
La pianta della noce moscata, della famiglia delle Myristicaceae, cresce rigogliosa nelle regioni a clima tropicale insulare come le Molucche (Indonesia) e le isole Grenada (Indie occidentali). È un albero sempreverde che cresce fino a 10 m e impiega 10-15 anni per maturare ma poi produce 1500/2000 noci moscate all'anno per circa 70 anni; gli alberi femminili producono i frutti. La noce moscata è un seme marrone, racchiuso in un involucro lucido circondato da una membrana rossastra con una trama simile a un merletto: il macis.
Si può trovare in semi interi, marrone scuro o bianchi (decolorati) oppure macinata. È preferibile comprare i semi interi, conservarli in un recipiente a chiusura ermetica e grattugiarli al momento dell'uso.
Uso in cucina
È usata soprattutto in torte e piatti dolci; in pietanze salate, in particolar modo in Medio Oriente anche in salsicce, patè, carni conservate ma anche con uova, formaggi, spinaci, broccoli; per aromatizzare bevande alcoliche come vino bollito, egg-nog (bevanda inglese preparata con birra e uova), punch al rum e frutta.

I primi a coltivare il Capsicum annum, una pianta tropicale in una regione a clima temperato furono gli Spagnoli, in seguito, con il passare del tempo esso subì un'evoluzione diventando il delicato e dolce peperone, nato in Spagna con il nome di pimento. Questa stessa pianta, essiccata e macinata diventa una spezia: la paprika. Molti conoscono il suo sapore attraverso il 'gulash' un piatto tipico dell'Ungheria ma comune a tutta l'Europa orientale. Ed è proprio l'Ungheria, in cui la paprika è entrata per opera dei Turchi, che produce la paprika di migliore qualità in una grande varietà di gradazioni: da quella dolce e delicata a quelle molto piccanti.
Descrizione, coltivazione e conservazione
È una pianta piuttosto resistente che può crescere, se ben protetta, anche nelle regioni temperate del Nord Europa. I semi vanno seminati in serra all'inizio della primavera ed i germogli invece si piantano all'inizio dell'autunno. Il raccolto si effettua a fine estate. La pianta, erbacea, della famiglia delle Solanaceae, raggiunge i 50-150 cm, ha fiori bianchi e frutti verdi che diventano rossi maturando. La polvere, dal coloro rosso vivo fino al marrone rossastro proviene dal frutto essiccato di alcune specie grosse e dolci di Capsum. Va conservata in recipienti a chiusura ermetica, lontano dalla luce.
Usi in cucina
È tradizionalmente usata per dare colore ed un delicato sapore di peperone a minestre e salse a base di carne. Il suo gusto si sposa anche con le verdure e con i formaggi cremosi, scampi ed altri crostacei. In Spagna e Portogallo è usato in molti piatti tra cui le salsicce 'chorizo'. Deve essere consumata velocemente poiché se conservata a lungo tende a scurirsi, a perdere aroma ed acquista uno sgradevole sapore stantio.













Il centro di tutta l'opera di redenzione, compiuta da Gesù Cristo, è il mistero pasquale, ossia la crocifissione, morte e risurrezione del Redentore.
Ogni anno la liturgia celebra questo mistero a Pasqua, fondamento dell'anno liturgico, per cui ne prolunga il riverbero per tutto l'anno.
Per preparare i fedeli ad un evento così grande, che li coinvolge in profondità sì da trasformarne la vita, è stata istituita la quaresima.
Questa fu fissata nella forma attuale nei secoli IV e V, ma S. Leone Magno ne attesta l'origine apostolica.
Essa è caratterizzata da un duplice aspetto, che occorre ogni anno rivivere perché raggiunga il suo scopo: un aspetto battesimale e un aspetto penitenziale parimenti sostenuti nel passato da grandi manifestazioni di oratoria sacra ascritte mediamente sotto la nominazione di PREDICHE QUARESIMALI.









La preparazione al battesimo, che poi si amministrava durante la grande veglia pasquale, veniva intensificata nell'ultimo periodo.
E' così sorta l'occasione per tutti i fedeli di ricordare e rafforzare quel sacramento che sta a fondamento della vita cristiana perché ci unisce a Cristo e alla Chiesa. Perciò nella quaresima si intensifica l'istruzione religiosa attraverso un più frequente ascolto della Parola di Dio, e si dedica più tempo alla preghiera.
Nei nostri tempi non sono più in uso i quaresimali, ossia le solenni predicazioni di quaranta giorni, che un tempo si facevano in tutte le parrocchie nel periodo della Quaresima (ed al riguarda giova rammentare la figura del secentesco erudito ventimigliese Angelico Aprosio che fu predicatore di quaresimali e della cui qualità di oratore sacro sono purtroppo andate perse -o comunque risultano introvabili- le un tempo celebri Lezioni Sacre sopra Giona).
La predicazione dei quaresimali era sorta nel XIII secolo, con la fondazione degli ordini mendicanti ( francescani e domenicani in particolare) e verteva prevalentemente sulla passione di Cristo.
Poi il Concilio di Trento dispose che la predicazione del quaresimale servisse di istruzione per i fedeli, ossia fosse l'occasione per una vera e propria catechesi.
Illustri altri predicatori si succedettero, attraverso i secoli, nell'estremo ponente ligure: tra i nomi più celebri -e con ragioni storiche- si rammentano S. Bernardo di Chiaravalle e S. Bernardino da Siena anche se proprio la penna salace di Angelico Aprosio delineò in una sua opera i connotati della graduale crisi della PREDICATORIA SACRA E DEI QUARESIMALI peraltro dovuta al fatto che questi erano mantenuti in essere in virtù (onde alloggiare e retribuire i migliori predicatori) di LEGATI E LASCITI TESTAMENTARI che, con lo scorrere del tempo, gli eredi di chi aveva fatto il legato o lascito, non intendevano più onorare come nel caso di questo EMBLEMATICO ESEMPIO











Il secondo aspetto della quaresima è quello penitenziale, che già viene espresso pubblicamente fin dal primo giorno, ricevendo sul capo la cenere, il Mercoledì delle Ceneri.
La quaresima è sempre stata caratterizzata dalla pratica del digiuno e di opere di penitenza, quali il pentimento e la riparazione dei peccati, attraverso le opere di carità: peraltro La durata di quaranta giorni è ispirata al simbolismo biblico, che dà a questo tempo un particolare valore salvifico-redentivo; più volte ne troviamo esempi nell'Antico Testamento e dal Vangelo stesso ne abbiamo il suggerimento, dai quaranta giorni passati da Gesù nel deserto, quasi in preparazione alla sua vita pubblica. Ora il digiuno obbligatorio, come minima espressione di questo aspetto penitenziale, si limita all'astinenza dalle carni tutti i venerdì, a cui si aggiunge anche il digiuno vero e proprio il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo.













( Proteste dei residenti di Vallecrosa per l'inadempimento del Legato delle Prediche sacre )
"Al V. Intendente li 18 Dicembre 1824
Vengo incaricato da questo Comunale Consiglio ad informare V.S. Ill.ma e chiedere il Suo Consiglio circa l'Oggetto seguente.
Sin dall'anno 1680 fu istituito da certo
Marc' Antonio Lamberti di questo Comune un Legato per il mantenimento della Predica nella quaresima in perpetuo nel luogo di Vallecrosia.
A tale effetto furon lasciati dei Beni situati nel territorio della Città di S. Remo con facoltà agl'Eredi di poterli vendere, e collocarne il prezzo in Censi, od altri effetti, da quali si potesse sperarne il mantenimento di detta Predica.
Amministratore di questa Lascita fu istituito l'Erede medesimo e suoi Successori, che effettivamente vendettero i fondi suddetti collocandone il prezzo su altri beni situati in questo territorio, i quali sono ora passati in successione per una metà agl'Eredi della fu Teresa Aprosio moglie del Sig. Giuseppe Ballauco di Bordighera, e per l'altra metà al Sig. Luca Aprosio fu Paolo Luigi di questo Comune.
Frattanto il legato non si fa adempire già da varj Anni, e questa popolazione va mormorando ora contro la negligenza del Parroco, ed ora contro quella del Sindaco, e dell'Amministrazione Comunale.
I Sindaci miei antecessori non si sono mai immischiati in quest'affare perché forse credevano non fossero di loro giurisdizione.
Io però e questo Consiglio, sul dubbio se ciò possa competerci o no, e per far anche cessare sul nostro conto le lagnanze del Popolo abbiamo pensato consultarne V.S. Ill.ma pregandola, in caso di sua decisione affermativa a volerci indicare la maniera con cui ci dobbiamo condurre se per caso i suddetti Eredi ricusassero di adempire agl'obblighi loro, dietro un nostro amichevole invito. Prego la bontà Sua a volermi onorare d'un gradito riscontro, e nuovamente passo a raffermarmi con tutto il rispetto.
[ s. Aprosio ]

(in Archivio Comunale di Vallecrosia - Libro della corrispondenza, a. 1824 ) .


(Lite tra Comune e discendenti del Lamberti per le Prediche sacre)
"L'anno del Signore mille ottocento venticinque, ed alli venti del mese di Gennajo in Vallecrosia nella Sala Comunale.
Il Consiglio raddoppiato della Comune di Vallecrosia convocato d'ordine del Mto Ill.re Sig. Sindaco in seguito alla lettera dell'Illmo Sig. Intendente della Provincia in data delli 23 Xbre 1824 n. 2590, si è riunito nella Casa Comunale previo il suono della Campana, e l'avviso verbale recato ad ogn'uno degl'Amministratori dal pubblico serviente come da sua relazione.
Sono intervenuti alla Congrega oltre il prefatto Sig. Sindaco li Signori: Bernardino Lamberti, e Sebastiano Curti Consiglieri Ordinari, e li Signori Paolo Vincenzo Aprosio, Giacomo Filippo Aprosio, e Gio Batta Cassini Consiglieri Aggionti. Presente il Sig. Antonio Aprosio Castellano, Assistente il Sig. Gaetano Aprosio Secretaro. Assenti li Sig. Secondo Lamberti Consigliere Ordinario, e Giuseppe Biamonti Consigliere Aggionto abbenché come sopra legalmente avvisati.
Aperta la Seduta il Sig. Sindaco Presidente espone, che il nobile Marc' Antonio Lamberti di questo Comune in suo finale testamento dei 22 Novembre 1680 rogato Notaro De Benedetti notajo nella Città di San Remo, lasciò varj beni feudi, su cui impose l'obbligo annuo, e perpetuo al suo Erede di far adempire la predicazione nella Chiesa Parrocchiale di questo Comune nel tempo quaresimale; che rimanendo tale legato Pio inadempito già da varj anni Egli ha dovuto invitare con d'Uffizio dei 27 Dicembre p.p. li Sig. Luca Aprosio fu Paolo Luigi, Luigi Giacomo, ed Ampeglio fratelli Ballauco del Sig. Notajo Giuseppe Eredi Mediati del predetto Istitutore ad intervenire alla presente congrega all'oggetto di far conoscere a questo pubblico i motivi per cui hanno Essi cessato di provvedere questa Popolazione d'un Predicatore nella Quaresima; Che in seguito d'un tale invito trovandosi qui presente il Sig. Luca Aprosio, ed i Signori Ballauco essendosi scusati d'intervenire all'Adunanza con loro lettera responsiva dei 29 Dicembre suddetto, si rende neccessario, che il Consiglio, sentito il Sig. Luca Aprosio, ed esaminata la citata risposta de Sig. fratelli Ballaucco, prenda quelle determinazioni, che crederà le più opportune, e vantaggiose a questa Popolazione.
Il Consiglio udita la proposta del Sig. Sindaco. Udito pure il Sig. Luca Aprosio uno de' Eredi Mediati dell' Istitutore , il quale osserva , che le vicende, e critiche circostanze della sua famiglia avendolo obbligato ad alienare la totalità de suoi beni resta ora impossibilitato di far adempire la predicazione in questa Parrocchia malgrado le sue buone intenzioni a questo riguardo.
Vista ed esaminata la lettera responsiva delli Sig.ri fratelli Ballaucco dalla quale, tutto che evasiva, risulta che essi non disconvengono di adempiere all'obbligo a cui possono esser tenuti in virtù d'un titolo. Considerando in fatto che l'intenzione del Nobile Marc'Antonio Lamberti, manifestata in detto suo finale testamento, fu che il suo Erede, e Successori facessero eseguire annualmente, ed in perpetuo la Predicazione nella Queresima, in questa Chiesa Parrocchiale assegnando a tale oggetto i fondi neccessarj; Che l'Erede istituito in detto Testamento fu il Sig. Bernardino Aprosio figlio del Capitan Gio Battista a cui successe il proprio figlio Sig. Notajo Angelo Gaetano; Che questo morendo lasciò dopo di sè abile a succedergli il Sig. Ampeglio Aprosio di lui figlio legittimo, e naturale; Ma che questi avendo ripudiato all'Eredità Paterna fu addita, e raccolta con tutti gli oneri annessi alla medesima dalla Sig.ra Teresa Aprosio una delle figlie di detto Sig. Notajo Angelo Gaetano, della quale rimasero unici Eredi Testamentarj, e ciascuno per metà il detto Sig. Luca Aprosio, e la Sig.ra Teresa Aprosio moglie del Sig. Notajo Giuseppe Ballaucco, ora rappresentata dalli detti Sig.ri fratelli Ballaucco unici di lei figli, ed Eredi; Che tanto l'uno quanto l'altro delli detti Eredi feccero adempire al Pio Legato di cui si tratta sino all'anno mille ottocento dieci sette.
Considerando in dritto, che gli Eredi sono tenuti ai carichi dell'Eredità ciascuno personalmente per la sua Virile, ed ipotecariamente per il tutto; Che conseguentemente, ed in conformità di tal principio l'interesse della Comune esige di agire contro i detti Sig.ri Luca Aprosio e fratelli Ballaucco Eredi mediati dell'Istitutore più tosto, che contro i terzi possessori de beni già appartenuti al Sig. Luca Aprosio; poiché una lite contro questi, oltre all'esser dispendiosa, l'esito ne sarebbe dubbioso trattandosi di stabilire l'anteriorità d'ipoteca.
Per tali motivi il Consiglio unanimemente delibera quanto segue.
1° Sarà tentato, pria d'ogni cosa un'amichevole convegno colli Sig.ri Luca Aprosio, e fratelli Ballaucco in via Amministrativa, per mezzo del quale saranno assegnati i fondi necessarj per far fronte allo Stipendio annuo d'un Predicatore, e ne verrà assicurato il reddito in tutt'altra maniera. Si transigerà pure sull'annate arretrate, in cui non si è adempito all'obbligo sopra indicato. A tale effetto si prega la bontà dell'Ill. Sig. V. Intendente di voler accordare nante del suo Uffizio, e fissare un'udienza a cui saranno chiamati li detti Sig.ri Aprosio, e fratelli Ballaucco non che il Sig. Sindaco di questo Comune, che resta a ciò da Consiglio Delegato.
2° Esauriti tutti i mezzi di conciliazione li detti Sig.ri Aprosio, e fratelli Ballaucco nella loro qualità di Eredi Mediati dell'Istitutore della Predica saranno Azionati dalla Comune nante del Tribunale competente per ottenerli condannati personalmente ciascuno per la sua propria virile, ed ipotecariamente per il tutto al pagamento dello Stipendio annuo d'un Predicatore sul tempo Quadragesimale. Perciò si supplica l'Ill.mo Signor Avvocato Fiscale presso l'Ill. Regio Tribunale di Prefettura sedente nella città di San Remo, di degnarsi accordare a questa Comune l'assenso per sostenere, e condurre a fine una simil lite a tenor dell'art. 32 Tit. 3° del Regio Editto 27 Settembre 1822. Si supplica parimente l'Ill.mo Sig. V. Intendente della Provincia a degnarsi d'intercedere presso l'autorità dell'Ill.mo Sig. Prefetto di detto Regio Tribunale l'ammissione di questa Comune al benefizio de poveri per intrapprendere e terminare questa lite, stante che i redditi della medesima sono appena suflicienti a far fronte alle spese strettamente neccessarie, ed indispensabili della Comune, o di provvedervi in tutt'altra maniera, che meglio stimerà.
3° Finalmente saranno elette dal Consiglio in caso d'una lite a tal riguardo un Sig. Avvocato, ed un Sig. Causidico per agire a favore della Comune presso il prefatto Regio Tribunale.
G. B. Aprosio - Sindaco
Bernardino Lamberti
Sehastiano Curti
Giacomo Filippo Aprosio
Paolo Vincenzo Aprosio
Gio Batta Cassino
Antonio Aprosio - Castellano
G. Aprosio - Secretaro
".
(in A.C.V. - Libro delle deliberazioni, 1825).

























Il CARNEVALE [anticamente detto anche CARNOVALE = Il nome deriva dall'adattamento della perifrasi latina CARNEM (LE)VARE con dissimilazione della seconda R in L, concetto peraltro riferito al "banchetto d'addio alla carne che si celebra la sera innanzi il mercoledì delle Ceneri"] costituisce nel BEN REGOLAMENTATO MECCANISMO CALENDARIALE SIA LAVORATIVO CHE FESTIVO della complessa EPOCA INTERMEDIA il periodo che intercorre tra la festa dell'EPIFANIA e l'inizio della QUARESIMA e particolarmente il giovedì, la domenica ed il martedì antecedenti il giorno delle CENERI.
Per un approfondimento di veda anche qui l' ELENCO DETTAGLIATO DIGITALIZZATO DAL TESTO ORIGINALE DI TUTTE LE FESTIVITA' DEI MESI secondo il LEGENDARIO DEI SANTI di Jacopo da Varagine.
Nel corso del CARNEVALE DEL PASSATO (UNA DELLE POCHE FESTE IN CUI SI DAVA SFOGO ALL'ALLEGRIA SI' DA POTER CONIARE L'ESPRESSIONE SEMEL IN ANNO LICET INSANIRE) eran molto frequenti e leciti sia i DIVERTIMENTI che i GIOCHI che ancora LICENZA E TRASGRESSIONE -COME QUI SI VEDE- NEL MODO DI ABBIGLIARSI E VESTIRSI e puranco la PARTECIPAZIONE A SPETTACOLI VARIAMENTE RITENUTI RIPROVEVOLI al punto che tutto ciò risultava spesso accompagnato da peculiari manifestazioni e tradizioni folcloriche [oltre le MASCHERE uno dei simboli storici della gaia festività era costituito dal getto dei CORIANDOLI].
Nel corso della storia della "GIOIOSA RICORRENZA" invero mai facile -anche per il timore di CONNESSIONI TRA CARNOVALE E SOPRAVVIVENZE DI RELIGIONI PRECRISTIANE E PAGANESIMO, NON DI RADO CONNESSE AD ACCUSE DI RECUPERI AD OPERA DI STREGHE E STREGHERIA- non son certamente mancate le disapprovazioni degli ECCESSI DEL CARNEVALE inteso quale epoca sia di SREGOLATEZZE NEL MANGIARE E NEL BERE quanto nelle LICENZE SESSUALI dalle frange più puritane e conservatrici destinate a severe PUNIZIONI PRETERNATURALI E NON :
una delle quali era vista nel contrarre una
MALATTIA, SPECIE UNA MALATTIA DEVASTANTE E INCURABILE COME IL "CANCRO"
E POI, PEGGIO ANCORA, LA "NUOVA DIABOLICA" MALATTIA DEL SESSO PROIBITO = LA SIFILIDE
.
Invero la SUPERSTIZIONE DILAGANTE NEL PASSATO si riferiva a due tipi possibili di PUNIZIONE PRETERNATURALE.
In primis era menzionata come conseguenza della "PERDIZIONE CARNASCIALESCA" una PUNIZIONE DIABOLICA = cioè la cattura di alcuni individui ("lasciatisi troppo andare alla trasgressione") entro l' "ANTRO DELLA BESTIA" cioè nella rete maligna tesa con varie forme di inganni, fatture, tentazioni, artifici magici dell' "UOMO NERO" (FIGURAZIONE DIABOLICA IN CUI SI CONCENTREREBBERO DEMONI, STREGHE, VAMPIRI, UNTORI, LICANTROPI ECC. ECC.) = ed in questo caso la conseguenza terminale sarebbe stata la SCHIAVITU' AL MALIGNO E LA DANNAZIONE ETERNA.
In seconda istanza si faceva cenno a forme di PUNIZIONI DIVINE = CON LA CONSEGUENZA IMMEDIATA DELLA PERDITA DELLA VITA.
La storia dell'umanità è così densa di GRAVI CALAMITA' DI OGNI SORTA che non raramente i moralisti estremi poterono trovar conforto da eventi reali per giustificare le loro funeste precognizioni: finchè il PENSIERO ILLUMINISTA e non altimi alcuni ILLUMINATI RELIGIOSI COME QUESTO SETTECENTESCO DOMENICANO SPAGNOLO provarono l'assoluta infondatezza di queste superstiziose credenze.
Senza poter impedire il casuale ritorno per particolari contingenze di questi MOSTRI DELL'INCONSCIO GENERATI DALLA SUPERSTIZIONI.
E così da qualcuno si parlò ancora di PUNIZIONI DIVINE, COME PER ESEMPIO IN MERITO AL TRAGICO ANNO 1887 quando un micidiale TERREMOTO (di per stesso da sempre giudicato PRECOGNIZIONE DELLAPOCALISSE CON L'APERTURA DEL SESTO SIGILLO) investì con estrema virulenza la LIGURIA OCCIDENTALE, AL MODO CHE DETTAGLIAMENTE SI LEGGE IN UN MANOSCRITTO DI G.B. ZUNINI PARROCO DI POMPEIANA E POI DI S. AGOSTINO IN VENTIMIGLIA, che tra tanti altri danni, causò la cancellazione dell'antico
"BORGO DI BUSSANA"].





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