L'organizzazione medievale dei due sistemi
vallivi, entrambi privi di valichi naturali verso il
Piemonte, si attesta prima del Mille attorno alle
chiese matrici di S. Maria dei Piani (per le valli
del PRINO e di CARAMAGNA) e di S. Maria
Maggiore (per la valle Impero).
Verso il sec. XI i due territori, pur
appartenenti entrambi al comitato e alla diocesi
di Albenga, appaiono amministrativamente ben
distinti.
Quello di PORTO MAURIZIO per una parte
era infeudato all'abbazia di Santa Maria e di
San Martino dell'isola Gallinara, per l'altra, a
partire dal 1028, al monastero di Caramagna in
Piemonte.
Quello di ONEGLIA apparteneva invece
al controllo diretto del Vescovo di Albenga.
Siffatta distinzione geopolitica si evince, a riguardo di Porto Maurizio, analizzando il diploma concesso (28 maggio 1028) dal marchese arduinico Olderico Manfredi al citato monastero benedettino di S.Maria di Caramagna.
Dall'analisi dell'atto si intende che il sito di Porto Maurizio apparteneva al Comitato di Albenga.
Secondo la donazione il monastero piemontese, fondato proprio da Olderico, ebbe metà della curtis di Pradarolio (l'area del torrente Prino) e caramaniola, appunto il torrente Caramagna con metà del suo castello, cappella e torre (la restante metà era invece di pertinenza del cenobio dell'isola Gallinara.
Secondo l'interpretazione di Romeo Pavoni (p. 116, nota 31) (che comunque si rifà ampiamente alle osservazioni del Lamboglia nel suo Topografia storica dell'Ingauna..., pp. 79 - 80) l'inclusione della chiesa di S. Gregorio nella curia del Prino e, probabilmente, nel piviere di Santa Maria dei Piani sembra indicare che il confine tra i due Comitati [Contea di Ventimiglia e Contea di Albenga] seguisse nella valle superiore del San Lorenzo il ramo del torrente di Pietrabruna, che scende dall'odierno Monte Sette Fontane, sempre però sulla dorsale del Monte Faudo. Tuttavia, poiché lo stesso Lamboglia ha affermato che "a riconoscere i limiti del primitivo piviere e del corrispondente pago non ci aiuta quindi che la topografia, la quale rende naturale che vi appartenessero tutti i vici verso il mare", non si può escludere che la chiesa di S. Gregorio non appartenesse in origine al piviere del Prino, ma che vi venisse poi compresa in quanto dipendenza dell'abbazia della Gallinara".
Nel 1100 PORTO MAURIZIO, in virtù di alleanze stipulate con l'emergente città di Genova, gradualmente, si emancipò tanto
dalla giurisdizione di Albenga, che da quella dei marchesi di Clavesana, diventando centro marinaro indipendente con proprio distretto formato dai terzieri di San Maurizio, San
Giorgio e San Tommaso.
Il TERZIERE (cioè la terza parte amministrativa di un un unico territorio soggetto ad identica giurisdizione) di S.GIORGIO comprendeva tutta la valle sino a PRAROLA, quello di S.GREGORIO si estendeva sin al lontano paese di PIETRABRUNA ed infine il "Terziere" di S. TOMASO di DOLCEDO -destinato a diventare presto il più importante, ricco e popoloso di tutto il COMUNE DI PORTO MAURIZIO- prese il nome dalla CHIESA PARROCCHIALE di quest'ultimo paese.
Nel 1241, favorito dalla Repubblica, divenne sede di un Capitano, rappresentante della Signoria
per il territorio occidentale del DOMINIO DI TERRAFERMA.
ONEGLIA (di cui presso l'Archivio di Stato di Genova si conserva sì una CARTA ANTICA ma non abbastanza antica da risolvere le molte ombre su questo periodo della sua storia) rimase fino al 1298 sotto la signoria del Vescovo di Albenga con un territorio distinto in Valle Inferiore e Valle Superiore.
Centro della Valle Inferiore era CASTELVECCHIO che controllava
la Ripa Uneliae, il Borgo e la Costa.
La Valle
Superiore era quindi suddivisa in due castellanie: quella di Bestagno con i borghi di
Pornassio, Villa Viani, Sarola e Olivastri e
quella del Monte Arosio con Gazzelli,
Chiusanico, Cosio, Chiusavecchia, Torria,
Testico e Poggio Bottaro.
Di questa organizzazione di tipo comunale non parteciparono invece alta valle del Prino e
quella del Maro.
Nella prima si consolidò il dominio dei conti di Prelà, mentre nell'altra
ai Clavesana antichi signori feudali finirono per sostituirsi
i conti di Ventimiglia.
Il dominio temporale dei Vescovi ingauni su Oneglia venne meno
nel 1298 con la vendita del territorio alla famiglia genovese dei Doria che poi
nel 1576 lo cedettero ai Savoia, dal 1564 Signori della contea di Tenda e delle
valli del Maro e di Prelà.
La Repubblica di Genova, che pur si era
adoperata in ogni modo per impedirne la
vendita, finì per accettare la
PRESENZA DEI SAVOIA che, col DOMINIO DI ONEGLIA
interrompevano la continuità dei suoi domini di terra.
Da allora per Oneglia e i suoi
abitanti, che avevano accettato l'annessione al Piemonte, prese via un periodo di saccheggi ad opera
degli Spagnoli prima e dei Francesi poi.
Essi però
conobbero anche momenti di benessere come dimostra la ricostruzione
della chiesa parrocchiale nel '700.
Dopo la rivoluzione francese Porto Maurizio che aveva goduto di relativa tranquillità nel 1797 fu eretto a capoluogo della "giurisdizione degli Olivi" e nel 1805, durante l'Impero Napoleonico di un circondario nel dipartimento di Montenotte.
Con
la restaurazione sarda fu ONEGLIA a diventare capoluogo di provincia (1815), ma con
l'annessione di Nizza alla Francia nel 1860 il
capoluogo fu riportato a PORTO MAURIZIO.
I tempi erano però maturi per avviare
un progetto di unificazione dei due centri.
Fra proposte e ripensamenti, alla fine il 21 ottobre 1923, con decreto
regio, i due centri furono giuridicamente uniti sotto il
nome di "IMPERIA".
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Per tutto il 1200 la storia della Ripa Uneliae si identifica con quella del
"castrum" nella cui chiesa matrice erano svolte
le pratiche più importanti di vita civile e religiosa.
La "Riva" venne
stabilmente insediata fin dal
medioevo ed un nucleo marittimo si evolse
alle pendici del Capo Berta (BORGO PERI),
dove i Benedettini fondarono la
chiesa di San Martino, oggi scomparsa.
Il centro fiorì specialmente nella seconda metà
del Quattrocento quando vi prese dimora Domenico Doria.
La fondazione, nel 1470, del convento e
della chiesa degli Agostiniani in località Galita (andati poi distrutti nella I metà dell'Ottocento) conforta l'idea di un insediamento in fase di
crescente sviluppo.
La contrastata costruzione del castello
(1488) sorto sul lato occidentale dell'abitato
e delle mura cittadine, mise il Doria e il "luogo" (come allora si nominavano tutti i centri demici ad eccezione di Genova, unica ad essere definita "città")
al centro di contrasti con gli Sforza
in quel tempo signori anche dalla repubblica di Genova.
Il castello e le mura furono in parte
distrutti, ma, morto del Doria, nel
1505, vennero presto ricostruiti.
La chiesa che aveva in aderenza sul lato
destro l'oratorio di S. Maria della Pietà,
luogo in cui si riunirono "a parlamento" gli Onegliesi
per far giuramento di fedeltà ai Doria,
divenne parrocchiale nel 1513
con il trasferimento da Castelvecchio
dell'intero capitolo.
Nella seconda metà del '500 la famiglia Doria decise, essendo i rapporti con
la comunità onegliese assai difficili, di
mettere vendita città e distretto.
I Savoia che cercavano di dotare il proprio stato di un comodo sbocco sul
mare (e non si dimentichi che con minor fortuna svolsero questa pressione sull'agro ventimigliese relativamente alla via del Nervia quanto a quella del Roia ove al loro espansionismo nel XV sec. Ventimiglia -per parte di Genova- aveva opposto i suoi forti e l'importante colonia di Airole) colsero la favorevole occasione e nel 1576 ne
divennero proprietari.
Tuttavia,
a causa dei difficili collegamenti con il Piemonte e per la mancanza di un porto naturale, Oneglia si rivelò poco adatta ad assolvere i compiti assegnati: ed anche per siffatta ragione non venne mai meno la pressione anche diplomatica esercitata dai Savoia sull'area di Ventimiglia, sfruttando la loro importante base di Pigna al capo settentrionale della val Nervia.
I Savoia in un primo tempo progettarono la costruzione di una darsena, ma in seguito
al potenziamento del porto di Nizza il progetto venne abbandonato.
Fu riproposto
verso il 1670 dopo l'incerta guerra con Genova del 1625 e quindi poco prima del conflitto del 1672 che comunque avrebbe riproposto sia l'importanza della base militare di Oneglia che la sua difficile posizione strategica.
Verso il 1698 si ipotizzò l'edificazione di un molo, ma nulla si concretizzò: soltanto nel 1825 la cittadina, in virtù di
un lascito privato, fu in grado di realizzare un molo verso occidente.
Nel Sei-Settecento la città conobbe un discreto sviluppo calcolando i tanti assedi che
subì.
Un cenno particolare meritano gli eventi della [ai tempi della Guerra di successione al trono imperiale d'Austria che contrapposero nel Ponente Ligure grandi forze di alleati Franco-Spagnoli contro gli Austro-Piemontesi, essendo ufficialmente neutrale Genova, sul cui terreno pur si combatteva, anche se nascostamente favorevole alla Spagna.
Molte spie e osservatori, anche specializzati "cartografi di guerra" spiarono, reciprocamente, il territorio ora dell'una ora dell'altra parte. A proposito di Oneglia è da citare la carta, attribuita fra molti dubbi all'Accinelli e conservata a Bordighera in collezione privata, intitolata PRINCIPATO DI ONEGLIA SPETTANTE AL RE DI SARDEGNA E VIA CHE CONDUCE DA MONACO AD ONEGLIA.
Documenti come questo erano utili agli ufficiali di guerra, specie se stranieri e poco pratici dei luoghi come il comandante generale austro-sardo Barone di Leutrum.
Nei primi tempi della guerra nel Ponente Ligure le truppe spagnole del generalissimo Las Minas, fra altre conquiste, presero anche ONEGLIA ma non riuscirono ad andare oltre questa importante città vista la resistenza dei carabinieri piemontesi ritiratisi con ordine sulle alture e peraltro protetti dal mare dalla flotta dell'Inghilterra, alleata di Austria e Piemonte, che cannoneggiava continuamente le armate fracese e iberica.
In seguito, mutate le sorti militari, gli Austro-Sardi ripresero Oneglia facendo di questa città una formidabile base per una loro inarrestabile avanzata sin ai forti di Ventimiglia dove si stavano ritirando e asserragliando le ancora potenti forze nemiche: ma da quel momento, fino agli eventi della Rivoluzione francese, la città di Oneglia serebbe sempre rimasta nelle salde mani dello Stato Sabaudo che nei suoi riguardi e in quelli dei suoi coraggiosi cittadini dimostrò una cura particolare!.
Importante in particolare fu
la ricostruzione nel 1739
della chiesa parrocchiale.
Di rilievo fu anche la contemporanea costruzione,
della chiesa e del convento delle Scuole
Pie e dell'ospedale (1785) demolito non
molto tempo or sono.
La questione del porto fu risolta soltanto nel 1886 con il completa-
mento di due moli.
La città, già sfibrata da varie calamità, patì quindi nel 1887, al pari di
Porto Maurizio e di altri centri, il drammatico
terremoto che provocò gravi danni al suo
tessuto edilizio.
Nella ricostruzione furono tracciate nuove strade e piazze, si realizzarono aperti slarghi e
tanti edifici: furono applicate
quelle scelte che costituiscono tuttora e strutture
portanti della città.
Opere di notevole interesse storico-
artistico sono la chiesa parrocchiale
di San Giovanni Battista e la chiesa dell'Annunziata ex chiesa delle Scuole Pie.
La Collegiata fu realizzata su progetto dell'architetto locale
Gaetano Amoretti.
L'edificio risulta formato da un'ampia sala divisa in tre navate tramite una successione di archi a tutto sesto che poggiano su piedritti quadrangolari con
lesene.
Tra le navate e il presbiterio, affiancato da due cappelle, si trova uno spazio
trasversale sul cui centro gravita una cupola a base circolare.
Lungo le pareti longitudinali si aprono, in corrispondenza delle
campate, una serie di cappelle dalle superfici curvilinee.
La facciata, pur eseguita nel 1832,
conserva inalterato lo spirito tardobarocco.
La realizzazione della chiesa dell'Annunziata è attribuita a Francesco Maria Marvaldi.
E' quasi in antitesi con l'esuberante campanile la rigida
facciata rifatta nell'Ottocento.
Prima di incontrare il centro demico di Castelvecchio, una deviazione porta a COSTA
D'ONEGLIA borgo ad andamento lineare, disposto lungo un percorso di crinale.
L'ANTICA CHIESA PARROCCHIALE, sita
all'inizio del paese, in seguito adibita ad
oratorio, possedeva un agile slanciato campani
le che presentava forti analogie con quello
della parrocchiale di San Giovanni del
Groppo a Molini di Prelà.
Nel 1778 la Comunità conferì incarico all'architetto Domenico Belmonte di edificare la nuova chiesa al centro
del paese in un'area già occupata da un oratorio dal momento che la chiesa esistente necessitava di
varie opere di consolidamento.
Dal punta di vista dell'edilizia religiosa e della fede cristiana il paese è famoso per il SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA DEL CARMINE.
In origine il culto spettava ad un altare della Parrocchiale.
In seguito, verso il 1614, fu costruito un ORATORIO così intitolato ma di modeste proporzioni.
Poi nel 1854 ONEGLIA E IL SUO CIRCONDARIO furono flagellati dal COLERA che aveva sostituito la PESTE BUBBONICA come male del secolo.
La gente di COSTA fu la sola ad essere preservata dal contagio ed allora si pensò di erigere, a guisa di ringraziamento, un nuovo SANTUARIO -quello che si vede tuttora- e che venne compiuto tra il 1879 ed il 1811: da citare la seicentesca statua della Madonna del Carmine sistemata sull'altare maggiore.
Il CASTELVECCHIO (sede dell'antico castro diruto secondo la tradizione ad opera dei
Saraceni nel 992) risultava ubicato in sito favorevole allo sbocco della valle.
L'antica CHIESA DI S.MARIA MAGGIORE ritta e bianca su un poggio donde si vede per largo spazio venne rifatta verso il
1680 e attribuita all'architetto Gio Batta
Marvaldi.
Della chiesa primitiva non rimane altro che qualche traccia muraria nella parte inferiore del campanile (della riedificazione intermedia e medievale rimangono invece il tabernacolo gotico ritenuto della scuola del Gaggini ed ancora la tavola dell'ANNUNCIAZIONE da alcuni studiosi (che però il Meriana studioso di questo Santuario non cita) i quali vorrebbero che fosse opera di Giovanni Mazone (1463-1510).
La CHIESA ORIGINARIA di CASTELVECCHIO, sulla base di minimi dati archeologici e di qualche sondaggio storico necessariamente incuneatosi nei temi dell'agiografia, sarebbe stata eretta almeno in epoca carolingia e quindi dopo la sconfitta dei Longobardi ad opera di Carlo Magno nell'VIII secolo.
Stando a queste valutazioni l'origine della chiesa primigenia sarebbe quindi da collegare alla seconda ondata dell'apostolato benedettino: quello che, per espressa volontà di Carlo Magno avrebbe garantito consistenti compensi ai MONASTERI PEDEMONTANI DI ORIGINE FRANCA RIMASTIGLI FEDELI ed in particolare al CENOBIO DI NOVALESA.
Stando però alla tradizione ed al cenno sulla distruzione dei SARACENI, poiché non si può sempre disconoscere veridicità alla tradizione specie quando le sue comunicazioni sono razionali e tra loro collegate, v'è da credere che l'erezione dell'edificio religioso rientri in un'epoca precedente, mentre si esaurivano o mutavano le manifestazioni delle più MANIFESTAZIONI DI APOSTOLATO BENEDETTINO E NON in Liguria occidentale: e del resto una PERGAMENA datata SEGNI, 9 febbraio 1151 (1152) conservata fra gli ACTA del MONASTERO DI NOVALESA (con cui papa Eugenio III riconfermava i possessi riconosciuti al MONASTERO SUSINO da papa Innocenzo II) non indica in Liguria alcun bene territoriale, con chiese, corti, campi, grange e mulini, tranne che nella VIA ROMEA DEL NERVIA.
E' impossibile dire quali fossero i monaci, verisimilmente Benedettini, che si stanziarono qui dopo aver eretto la chiesa.
Si accetti dunque, per consequenziale metodologia, come esatta la data della distruzione saracena della chiesa di Castelvecchio del 992 (anche se la SCONFITTA SARACENA AD OPERA DELLA COALIZIONE CRISTIANA IDEALMENTE CAPEGGIATA DA S.MAIOLO risalirebbe a quasi una diecina d'anni dopo non mancano tracce di radi e sparsi saccheggi perpetrati dalle bande di arabi fuggiaschi ritiratisi a far vita di macchi e brigantaggio).
A questo punto non si possono escludere due principali possibilità: che l'anticha chiesa sia stata eretta dai BENEDETTINI DI PEDONA (estremamente attivi nel Ponente Ligure prima che il loro MONASTERO fosse parimenti distrutto dai Saraceni) o che altri monaci ancora abbiano posto qui le loro basi come quelli di LERINO che operarono (e non solo) nell'AREA DI RIVA LIGURE E S.STEFANO creandovi un loro PRINCIPATO ECCLESIASTICO (ma anche in questo caso le datazioni discorderebbero essendo stati favoriti gli insediamenti di Lerino dalla Cattedra di Genova e dalle Diocesi ancora una volta per dar ristoro alle terre dell'Estremo Ponente ligure ma "dopo la fine del pericolo Saraceno" o, perlomeno, stando agli atti superstiti, dal 980, quando la potenza degli Arabi del Frassineto risultava in netta fase calante e non era impossibile prevedere una loro distruzione a breve scadenza).
Tenendo conto della varietà cronologica e tipologica degli INSEDIAMENTI BENEDETTINI nell'estremo Ponente in questa sede si può solo affermare che, pur essendosi potuto inserire sul tronco di precedenti MANIFESTAZIONI MONASTICHE, ASCETICHE ED EREMITICHE, ANCHE DI CULTURE TEOLOGICHE DISTINTE, il FENOMENO BENEDETTINO resta quello cui con massima possibilità di correttezza critica si può attribuire il COMPLESSO RELIGIOSO DI CASTELVECCHIO ed ancora che l'INSEDIAMENTO MONASTICO DISTRUTTO DAI SARACENI nel X secolo con discrete probabilità si può ascrivere ai mai completamente interpretati spostamenti dei monaci della sventurata PEDONA peraltro, ancor più dei NOVALICIENSI, propensi per cultura e scienza all'incentivazione della COLTURA DELL'OLIVO.
Da queste osservazioni però si intende che bene hanno scritto quegli storici ed archeologi che hanno definita questa come una zona ancora tutta da esplorare sia
sotto il profilo archeologico, sia sotto quello urbanistico-architettonico, conserva interessanti resti dell'epoca mediovale.
Secondo la cultura politica e religiosa dei Benedettini l'insediamento monastico (come in tempi simili avvenne a VILLAREGIA, nella grande area tra BUSSANA e TAGGIA avrebbe potuto e probabilmente dovuto svilupparsi sulle basi di un insediamento precedente.
Questo avrebbe potuto essere un insediamento monastico di esperienze più antiche ma, al modo che per esempio è avvenuto a S. ROCCO DI VALLECROSIA oltre che nello stesso FONDO DI VILLAREGIA, ma solo approfondite indagini archeologiche, se possibili, sarebbero in grado di svelare le eventuali sovrapposizioni.
Certo il fatto che fosse stata individuata per esser sede di CHIESA MATRICE (per giunta titolata all'ASSUNTA secondo una linea di consacrazioni consueta fra i Benedettini dell'apostolato originario) fa pensare che in CASTELVECCHIO (che peraltro gode di una logistica favorevole sotto ogni profilo per il controllo dei traffici) le civiltà alternatesi avessero impiantato basi o strutture produttive: e che in particolare i BARBARI e quindi i BIZANTINI e poi ancora i LONGOBARDI nel loro contrapporsi reciproco avessero dato un particolare rilievo demico ed insediativo a questo luogo disposto -non lo si dimentichi- a guardia del sistema di valle ma soprattutto in rapporto con la VIA STORICA DEL PIEMONTE avendo quali schermi protettivi a monte i fondamentali centri di VIA DEL NAVA.
Discorso questo che assume notevole valenza se, anziché chiudersi nei particolarismi subregionalistici, si valuta il particolare e l'insieme: e per esempio si nota come il CASTELLO DI DOLCEACQUA, lo SPERONE DI CAMPOMARZIO e quindi il COMPLESSO DEL CASTELVECCHIO sono speculari (ancor più speculari poi se si crede al documentatissimo Molle su il fatto che il "fiume di Oneglia" venisse superato presso il Castelvecchio [che sarebbe stato un FORTE ROMANO poi rivisitato militarmente da altri conquistatori] da un PONTE ROMANO).
Le convergenze su questa linea di riflessioni oltre che speculari vengono giustificate dalla logica militare e rimandano sia agli interventi protettivi sull'area dell'attuale imperia condotti prima dall'imperatore COSTANZO e quindi da TIBERIO MAURIZIO: di conseguenza i TRE CENTRI TATTICI si sarebbero trovati pressoché in asse strategica, con posizioni molto simili, in aree elevate con la protezione a ponente di un corso d'acqua ed a protezione di un ponte ed ancora (oltre che soprattutto) a guardia sia del territorio di costa che del treffico delle TRE VIE DEL PIEMONTE -quella del NERVIA, dell' ARGENTINA e finalmente questa del NAVA.
Questi dati soltanto però sono recuperabili, dati che soprattutto rimandano a pur plausibili ipotesi.
Nulla di sgnificativo e monumentale rimane a CASTELVECCHIO per giustificare la continuazione di questi pensieri: poco conta ad esempio che vicino al cimitero sorga un oratorio
della seconda metà del Seicento, il cui precario stato di conservazione è riscontrabile
nelle vetuste strutture murarie.
Superato il viadotto dell'autostrada, sul
versante opposto si individua l'abitato di BORGO D'ONEGLIA
che, con Castelvecchio e Costa
costituisce una delle ville del circondario
di Oneglia.
Disposto in soleggiata posizione, conserva nella barocca CHIESA PARROCCHIALE DI S. MICHELE un
pregevole polittico raffigurante la Madonna col Bambino, San Pietro, San Giovanni,
I'Armunciazione e la Pietà, che recenti studi
hanno assegnato alla bottega di Agostino
Casanova.
Costeggiando il fondovalle, oggi destinato ad insediamenti produttivi, si vedono tra
gli ulivi una Torre di difesa fatta edificare
dai Vescovi di Albenga alla fine del XIII secolo e il tardobarocco oratorio di Santa Lucia, probabile opera di Domenico Belmonte.
Il proporzionato vano è preceduto
da un aereo portico poggiante su esili colonne in pietra locale, forse di rimpiego, secondo la tipologia degli oratori campestri.
Poco oltre, sempre nella valle del Maro si incontra PONTEDASSIO, importante centro mercantile, tradizionalmente attivo nella produzione di olio di oliva,
che dal XV secolo diventò nucleo principale
della castellania di Bestagno.
Il nome del paese affonda tra storia e leggenda: risulta documentato in atti notarili nel '200 quando il paese viene menzionato come "Castrum Pontis Axii" [è comunque da precisare che spesso nel XIV secolo il toponimo compare abbreviato, nelle forme abbastanza solite di "homines de Assio" e di "in territorio Assii").
La prima parte del nome del paese è certamente da collegare ad un antico ponte che caratterizzava e distingueva il sito: pare invece improbabile che, come suggerisce l'etimologia popolare, il II termine che compone il nome del paese sia da intendere come assi cioè ponte di assi.
Secondo i glottologi ed i linguisti non è invece da escludere che il II termine sia da collegare ad un toponimo prediale senza suffisso e che quindi Assio derivi dalla forma gentilizia romana o tardoromana Assius od Axius.
Come hanno evidenziato Fulvio Cervini e Alessandro Giacobbe in una loro documentatissima guida del borgo la storia del paese si coniugò a lungo con quella di ONEGLIA.
I due studiosi fanno cenno a presenze di Longobardi (le cui tracce sarebbero da individuare nella CHIESA DI S. MICHELE DI BESTAGNO), ad antiche lotte per sottrarsi all'invasione dei Saraceni, alla difesa del territorio contro l'espansionismo di Genova.
Attraverso i secoli il paese fu al centro di varie controversie tenendo altresì conto dell'importanza strategica del Castello di Bestagno.
Il centro, soggetto al governo dei vescovi di Albenga, fu venduto ai Doria verso il XIII secolo e passò quindi, sempre per vendita, ai Savoia nel 1576.
Nel 1794 i Francesi occuparono la valle dell'Impero che tornò ai Savoia nel 1796 per essere poi ripresa dall'armaya francese nel 1798. In piena epoca napoleonica Pontedassio entrò nel cantone di Oneglia, facente parte prima della Repubblica Rivoluzionaria Ligure e dal 1805 dell'impero napoleonico.
La CHIESA PARROCCHIALE DI SANTA MARGHERITA, ricostruita nel 1870 su disegno di
G.B. Gandolfo, conserva un interessante
trittico di Luca Baudo (1503), raffigurante
San Bartolomeo tra i Santi Giovanni Battista e Caterina: meritevole di una visita è altresì l'ORATORIO DI S.LUCIA
A Pontedassio nel 1824 ebbe
origine l'industria della pasta alimentare
Agnesi, di cui ha costituto una testimonianza culturale di rilevo l'istituzione nel paese del celebre MUSEO DELLA PASTA, una realizzazione destinata a celebrare e sublimare quella grande CULTURA ALIMENTARE LIGURE che affonda le sue radici sin nella preistoria.
Digradante sul contrafforte di fronte a
Pontedassio è BESTAGNO, centro primitivo
dell'omonima castellania, la cui difesa era
garantita da un CASTELLO ancora oggi parzialmente visibile.
L'edificio, annoverato tra i più apprezzabili esempi di architettura militare dei secoli
XII e XIII del Ponente ligure, fu forse edificato dai vescovi di Albenga, che controllavano la bassa e media valle dell'Impero, nel XII secolo.
Esso costituì un importante riparo per gli abitanti di Oneglia che vi si rifugiarono dopo una ribellione al vescovo feudatario e quindi contro l'espansionismo di Genova prima nel 1204 e quindi nel 1234: nel 1340 la struttura militare venne quindi coinvolta nelle lotte locali succedenti allo sviluppo di faide derivate alla storica contrapposizione tra Guelfi e Ghibellini.
Il castello fu quindi distrutto durante uno dei conflitti di primi XVII secolo che contrapposero Genova, appoggiata dagli Spagnoli, al Piemonte alleato della Francia.
dagli Spagnoli all'inizio del Seicento.
Come scrisse il Lamboglia nei I monumenti medievali della Liguria di Ponente (1970, Torino, p.64) esso aveva "un corpo centrale originario con caratteristica pianta ad incudine, arrotondata da un lato e con tre curiose absidi quadrangolari dall'altro, e un ampliamento con due cinte in bella pietra squadrata, difese da torri quadrate del secolo XIII e circolari del secolo XIV".
La sede originale del paese era più in altura a circa mezza ora di cammino su una mulattiera: essa cadeva in relazione all'edificio dell'antica CHIESA DI S. MICHELE (datata del XIII sec.), successivamente trasformata in chiesa cimiteriale: l'edificio di culto era in origine ad una sola navata e con pietra in faccia a vista. Venne quindi integralmente ricostruita nel XVII - XVIII secolo (progetto di Francesco Maria Marvaldi e facciata conclusa sotto la direzione di Filippo Marvaldi succeduto al padre) ma della chiesa antica si usò in pratica tutto il materiale. Così di quest'ultima è possibile individuare il fianco meridionale e parte dell'abside in cui ancora oggi spicca una monofora in origine a feritoia e in pietra lavorata.
Il complesso insediativo dell'attuale paese fa invece da corona alla chiesa parrocchiale di S.Sebastiano che presiede ad un ampio spazio.
Questo edificio religioso (ad una navata e di spiccato gusto architettonico barocco) venne eretto nel '700 e fu realizzato sul tessuto di una chiesa più antica, verosimilmente del '400, di cui restano tuttora soltanto le colonne che son state collocato seguendo il circuito dell'attuale sagrato.
Ritornati al bivio si procede per VILLA GUARDIA
, ameno borgo circondato da uliveti, apprezzato con la vicina VILLA VIANI per
la mitezza del clima.
La primitiva chiesa, che sorgeva all'inizio
dell'abitato, è stata distrutta nel 1802 da
una frana.
L'attuale PARROCCHIALE DELLA MADONNA DELLA NEVE è costruzione del 1590
circa. L'ingresso principale 6 inquadrato da
un portale in ardesia datato 1606.
L'interno
a tre navate suddivise da colonne binate, vera rarità nella zona, esprime l'adesione ad
una scelta compositiva la cui primogenitura è
da ricercarsi nella chiesa di San Siro (1585)
in Genova.
Fronteggia la parrocchiale VILLAGUARDIA, l'ORATORIO DI S. CARLO BORROMEO costruito nella seconda metà del Settecento, affiancato da un
campanile appartenuto all'antico oratorio
della Madonna dei Miracoli.
Di fronte e posizionato circa alla stessa
quota di VILLA GUARDIA, é VILLA VIANI che,
oltre a conservare un intatto ambiente naturale, offre due pregevoli edifici religiosi: la
parrocchiale (1660 circa), CHIESA DAL RIDONDANTE STILE BAROCCO COME SI INTUISCE LEGGENDONE L'INTERNO e l'oratorio
di San Giuseppe (1770).
La parrocchiale è costituita da un vano rettangolare, con cappelle ai lati,
coperto da una volta a botte lunettata, mentre l'oratorio dalla facciata, leggermente
concava è opera dell'architetto Filippo
Marvaldi.
Nell'alta Valle
sono interessanti SAROLA e OLIVASTRI.
A SAROLA merita una visita la chiesa parrocchiale medievale affiancata da un coevo
campanile con cuspide poligonale.
L'interno a tre navate é scandito da robuste colonne in pietra locale, che da sole costituiscono
elemento di riflessione per la sua valorizzazione.
Proseguendo la statale, si raggiunge
CHIUSAVECCHIA , centro di fondovalle un
tempo appartenente alla castellania del
monte Arosio la cui OSSERVAZIONE NOTTURNA è sempre affascinante.
Le sue origini sono postmedievali e dipendono dalla sua caratteristica storica di borgo agricolo.
Il nome del paese è documentato da un documento del 1473 dove il luogo risulta nominato dall'antica cappella di S.Biagio: CAPELLA SANCTII BLAXII DE CLUSAVETULA.
Da questo si comprende che la nominazione del luogo dipende dalla presenza di un'antica CHIUSA del torrente presso cui sorgeva la citata Cappella di S.Biagio.
Il monumento principale é la CHIESA PARROCCHIALE CONDEDICATA A S. BIAGIO E S. FRANCESCO DI SALES, edificata all'inizio della
seconda metà del Seicento.
Presenta un discreto vano rettangolare con cappelle laterali scandite da lesene; I'asse longitudinale é
concluso da una abside poligonale.
La facciata, caratterizzata da una finestra a serliana ripetuta anche sui lati, é conclusa da un coronamento curvilineo.
Tra il patrimonio architettonico religioso di CHIUSAVECCHIA merita però di essere citato il SANTUARIO DI N.S. DELL'OLIVETO (che tra l'altro conserva uno splendido organo a 25 registri realizzato dagli Agati nel 1861) di cui C. Alassio ha steso una valida cronistoria per la rivista "Riviera dei Fiori" della Camera di Commercio di Imperia (anno 1997, n.1).
Si tratta di un edificio più volte rivisitato dal lato architettonico e comunque dipendente dalla Parrocchiale di Chiusavecchia che ne affida l'amministrazione a due "Massari" (di carica biennale).
L'origine del Santuario non è stata completamente decifrata anche se sembra da connettere al XVI secolo ed in particolare al lascito di un certo Giovanni Gandolfo avvenuto nel 1524: in effetti in quel legato testamentario si parlava di restauro di un più vecchio edificio religioso connesso al culto mariano ma è probabile che, come spesso accadeva nel passato, si sia poi trattato di un vero e proprio rifacimento (non a caso ancora oggi alla base sinistra della facciata si vede una pietra su cui è incisa la data del 1562: come se si alludesse alla conclusione di un'opera di vasto respiro, alla maniera -anche in questo caso- solita in liguria per la ristrutturazione di molte chiese).
Da altri documenti si apprende che la chiesa fu adornata nel '600 e quindi che (ai primi del XVIII secolo come si intuisce anche dalla data 1707 incisa su un'altra pietra murata a mezz'altezza nella parete laterale di sinistra) fu dotata di un vano destinato a sacrestia e da un sopralzo di quest'ultimo destinato un "eremita" come si legge nei documenti del tempo (col termine mediamente, all'epoca, si indicavano quei religiosi che si ritiravano in chiese solitarie, per un certo periodo di tempo, a far penitenza od esercizi devozionali: forse proprio nel XVIII secolo venne anche eretto il camapanile che oggi si vede).
Lo stile originario della chiesa venne quasi certamente alterato nella I metà dell''800 trasformando l'edificio religioso in una struttura architettonica di gusto neoclassico.
Nello stesso periodo si incaricò il Piccardi, pittor veneto di affrescare all'INTERNO DELLA CHIESA, le volte delle navate: opera completata entro il 1854.
La navata centrale venne affrescata rappresentandovi un ciclo mariano: furono rappresentati il Transito, l'Assunzione della Vergine (cui la chiesa venne intitolata il 6 novembre 1646 ad opera del vescovo di Albenga Raffaele Biale: cerimenia ripetuta l'8/IX/1876 dal vescovo G.Alimonda e quindi l'8/IX/ 1946 da vescovo R.De Giuli per commemorare il centenario della consacrazione), l'Incoronazione di Maria.
Nelle navate laterali vennero invece affrescate sei miracolose apparizioni della Vergine ad altrettanti personaggi: rispettivamente i fondatori dell'Ordine della Mercede, S.Domenico di Guzman, il Beato Simone Stock, i sette Beati fondatori dell'Ordine dei Servi di Maria, Antonio Botta [apparizione avvenuta nella "Val di Savona"] ed i pastori Massimiano e Melania [apparizione avvenuta sulla montagna di Salette in Francia nel 1846].
In posizione più elevata sorge il "Santuario di Nostra Signora dell'Oliveto", edificato
nel 1524 ma modificato nel 1830.
Sul versante del monte Arosio si dispongono tre importanti centri: GAZZELLI, CHIUSANICO e TORRIA.
L'antico abitato di GAZZELLI, organizzato
lungo un crinale secondario del Pizzo
d'Evigno, presenta un tessuto edilizio assai
compatto, forse perchè addossato al distrutto castello dei Doria.
La sua origine
medievale é ancor oggi testimoniata da
strutture murarie formate da conci a faccia
vista.
A GAZZELLI merita di esser visitato il SANTUARIO DI N.S. DELLA VISITAZIONE (detto anche della MADONNA DEGLI ANGELI da un dipinto del '700 posto su un altare laterale).
L' origine del SANTUARIO è collegata, come ex voto, al XVII secolo quando una pestilenza aveva colpito il vicino borgo di SAROLA risparmiando invece Gazzelli.
Il dipinto che dà il nome al SANTUARIO si trovava sull'altar maggiore (oggi è sostituito da una copia) e fu attribuito al pittore genovese Domenico Piola anche se attualmente lo si attribuisce a Bartolomeo Biscaino.
Sul piazzale davanti al tempietto sta una nicchia in cui si custodiva una statua della "Madonna di Misericordia" in seguito rubata.
Accanto al SANTUARIO sgorgava una sorgente di cui nulla oggi resta se non un'iscrizione latina del 1717 che invitava a bere senza baura "l'acqua che scaturiva dalla fonte della Madre Misericordiosa".
La parrocchiale barocca conserva una tela di Domenico Piola.
Poco più in alto si incontra la CHIESA PARROCCHIALE di CHIUSANICO, il più importante
centro della castellania del monte Arosio e che è composto dalla BORGATA CASTELLO, dall'antico borgo di TORRIA e da GAZZELLI.
La chiesa dedicata a SANTO STEFANO é stata ricostruita nel 1821 da Gaetano Cantoni ma ha subito numerosi interventi e varie migliorie.
Per esempio la FACCIATA in stile neoclassico fu realizzata nel 1887 da Pietro Gandolfo di Oleastri: in essa spiccano le statue di S.Lorenzo sulla destra e di S.Stefano sulla sinistra [la chiesa è intitolata a S.Stefano ma a fianco di questo martire fu posta anche quella di S.Lorenzo a ricordo della vecchia parrocchiale sita fuori del paese: l'intitolazione delle chiese antiche a S.Lorenzo era abbastanza come si evince dal fatto che la stessa chiesa cattedrale di Genova fu intitolata a S.Lorenzo].
Nell'INTERNO si riscontra ancora lo spirito
barocco locale, imposto forse come vincolo
dalla Comunità, evidenziato in modo particolare nell'uso delle strutture curvilinee di
raccordo.
I plastici ordini architettonici, binati al centro, disgiunti ai lati, sottolineano,
oltre a rimarcare precise scelte linguistiche,
la rinuncia all'uso dell'unica volta di coper
tura in favore delle due vele .
Il nucleo medioevale (frazione Castello)
sorge più in alto arroccato a quota m. 400.
Presenta una disposizione planimetrica
ovoidale e conserva edifici risalenti ai secoli
XII e XIII: nella compatta architettura del borgo è possibile leggere la complessa evoluzione dell'edilizia minore e popolare in cui si interseca un complesso sistema di scuri, di scalinate di "CARRUGI" ispirati alla più storica tradizione ligure: ma un cenno particolare conserva anche, per quanto abbia subito un rifacimento, la caratteristica PORTA SOPRANA di questo interessante insediamento medievale.
TORRIA, frazione di CHIUSANICO sapientemente disposta in posizione strategica sul crinale che si diparte dal
monte Arosio, costituisce, con il contrapposto abitato di LUCINASCO, una vera e propria chiusura verso la valle del Maro e l'alta
valle di Oneglia.
Probabilmente espresse fin dall'epoca
preromana e romana funzione difensiva per
l'intera valle.
Dell'antico castello non rimane più alcuna traccia (le sue rovine esistevano ancora nel 1587); però le testimonianze
della storicità del luogo sono in parte documentate dalle strutture murarie dell'abitato
meritevole di un'attenta visita.
Gli edifici religiosi principali sorgono sulla PIAZZA CASTELLO, laddove il crinale si concede una pausa prima di dar vita al paese e
di incombere sul fondovalle.
La PARROCCHIALE é intitolata a San Martino.
Superato il breve atrio di accesso del sacro edificio si é subito coinvolti dall'amena ma consueta aula poligonale con copertura a vela.
I due ampi e contrapposti vani trasversali a
tutta altezza, che nella concezione originaria dovevano accogliere scenografici altari,
sono stati entrambi ridotti, in variante, ad
una sorte di improprio ambiente di rispetto
delle due cappelle per lato ricavate nello
spessore murario.
Sulla discutibile soluzione, escogitata forse per porre in opera i
quattro dignitosissimi altari già collocati
nella vecchia chiesa, incide negativamente
l'incongrua presenza della lesena, la quale,
interrompendo al centro la continuità della
trabeazione, evidenzia macroscopicamente
la labilità della risoluzione compositiva
adottata.
Sebbene sulla facciata si evidenzi
la data 1760, l'edificio rivela caratteri tipici
delle costruzioni dei primi decenni del Settecento.
Al centro della piazza è il mosso oratorio
dell'Annunziata probabile opera di Filippo
Marvaldi.
Non lontano dal paese sorge l'isolato
SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA ASSUNTA opera
del sec. XVI, ma trasformata nel 1690, così
come si può leggere a fol. 34 r del "Libro
dei conti della chiesa campestre della Beatissima Vergine della Neve, ora Assunta di
Torria", conservato nell'archivio parrocchiale.
Nel suo ampio alvoro sui SANTUARI IN LIGURIA G.Meriana tratta con la solita dovizia di particolari di questo SANTUARIO pur se a differenza della vecchia fonte parrocchiale ha preferito usare l'antica intitolazione del SANTUARIO quella cioè di NOSTRA SIGNORA DELLA NEVE rispetto alla nominazione altrimenti in uso e più recente di NOSTRA SIGNORA ASSUNTA.
Questa distinzione dei toponimi non è però insignificante.
Il SANTUARIO si eleva su un colle del COMUNE DI CHIUSANICO entro un magnifico scenario naturalistico, tra boschi e montagne.
Concordemente a quanto si legge nel REGISTRO PARROCCHIALE DI TORRIA anche G.Meriana afferma che sul sito dell'attuale edificio sacro sorgeva dal 1260 una CAPPELLA edificata dagli abitanti delle borgate che avrebbero poi costituito TORRIA.
Il miracolo che avrebbe originato il SANTUARIO data però, sorprendentemente, del XV secolo e sarebbe collegato ad un periodo di siccità causa di mancanza d'acqua e quindi di carestia, il nemico sociale più temuto -con la PESTE- nell'epoca intermdeia.
Celebrandosi nel SANTUARIO la festività del 5 agosto e preparandosi tutti alle messe di suffragio per ottener la pioggia, sarebbe sploso un temporale violentissimo e a terra sarebbero venute alla luce tra sorgenti naturali d'acqua: quello attorno alle quali si sarebbe poi consolidato il centro di TORRIA.
La CAPPELLA sarebbe quindi stata ampliata nel XVI secolo ed ancora ristrutturata a metà circa del '600 epoca in cui avrebbe fissato la sua forma, ad una sola nata e tre altari.
L'oculatissimo Meriana non si sofferma molto su queste variazioni e consegna al suo bel libro un nome che non appartiene più ufficialmente alla CHIESA anche se continua ad essere menzionato nel patrimonio della dizione locale.
Ripresa la carrozzabile si raggiunge CESIO, tipico borgo di sperone, che, con ARZENO (che prima d'esser accorpato a Cesio, nel 1928, fu Comune autonomo) e SAN BARTOLOMEO, occupa la posizione
più elevata della valle di Oneglia (CARTARI è un'altra frazione di Cesio già sede del Castello -vi si individuano pochi RESTI di una struttura fortificata- e sita in posizione strategica quasi a controllo della Valle dell'ARROSCIA).
Il nome del comune non ha una chiara etimologia e due sono le versioni interpretative che ne vengono date.
Secondo la prima di queste potrebbe trattarsi di un toponimo romano, cioè di un nome di luogo; secondo l'altra versione sarebbe possibile che il nome attuale sia la trasformazione di un prediale (un nome indicate una villa od un possesso fondiario) derivato dal nome romano "Caesius".
In epoca medievale il centro era un possesso dei feudatari marchesi Clavesana; nel XIV sec. il paese pervenne quindi a Genova e fu ascritto fra i possessi del DOMINIO DI TERRAFERMA DELLA SERENISSIMA REPUBBLICA.
Pervenuto quindi, nel contesto del PRINCIPATO DI ONEGLIA, al Piemonte ed alla casa Sabauda non conobbe grossi eventi ma fu gravemente saccheggiato nel 1801 da una banda di predatori (è peraltro noto che anche la Repubblica aveva dovuto spesso combattere contro briganti e predoni che si rifugiavano nelle sicure anse dei contrafforti alpini).
Secondo un'interpretazione
Il paese non conserva, edifici monumentali notevoli, emerge solo il semplice campanile affiancato alla chiesa parrocchiale che
segna il passaggio tra la fine del Medioevo e
l'inizio del Rinascimento.
E' costituito da
una torre a pianta quadrata sovrastata da
una cuspide piramidale a base poligonale;
non è più costruito con la pregiata, pietra da
taglio ma ha superfici realizzate con strutture "povere" che abbisognano di essere protette da adeguati strati di intonaco.
Le murature sono forate da un solo ordine di
strette finestre corrispondenti alla cella di
copertura.
L'uso nelle nostre valli dell'intonaco
esterno diventò usuale a partire dalla fine
del XV secolo a causa della congiuntura
economica che non rendeva più conveniente la lavorazione delle pietre a faccia vista.
Si ricorse perciò all'uso di materiali meno
resistenti, ma pia economici e di facile applicazione.
Le superfici vennero rivestite di
un candido intonaco "a marmorino" (calce
e polvere di marmo in adeguate proporzioni) che per la sua superficie compatta e levigata oppone un'eccellente resistenza
all'azione dilavante dell'acqua, così da risultare valido anche nella protezione della
copertura a guglia dei campanili.
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Data la specificità dell'argomento si è pensato di riprodurre, nell'intento di far cosa scientificamente corretta e nel contempo di omaggiare l'emerito studioso, questo articolo di Rinangelo Paglieri giustamente reputato uno dei principali interpreti critici del "Barocco ligure nelle arti figurative ed in architettura": vedi quindi> RINANGELO PAGLIERI, Itinerari della Provincia di Imperia - l'Imperiese, I, in "Riviera dei Fiori", 1, 1987 (pubblicazione periodica della Camera di Commercio di Imperia, a carattere scientifico, gratuitamente distribuita agli enti ed ai privati che ne facciano richiesta: se ne è usata l'iconografia, attenendoci qui alla citazione di fonte e luogo).
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CARAVONICA fu in origine un feudo della potente casata dei CONTI di VENTIMIGLIA e risulta citato per la prima volta in un documento del 1150 dove si legge appunto CARAVONICA.
Nella dizione dialettale però il borgo è detto Karevònega e Kaironega forma, questa seconda, che -a detta della linguista Petracco Sicardi- non "corrisponde foneticamente alla forma storica, rimasta invariata nella tradizione ufficiale".
Si potrebbe dedurre quindi che non sia del tutto sicura la relazione del nome di luogo con le forme dell'antica lingua celto ligure: le forme Caravus e Caravanius ricorrono come nomi personali in iscrizioni latine.
L'origine preromana del sito sembra comunque documentata dalla doppio suffisso -oniko-.
Peraltro la terminazione in -a è dovuta all'unione con un nome comune femminile, presumibilmente il termine villa.
La scienza dei nomi di luogo, cioè la toponomastica, sembra qui giustificare alcune conclusioni rese possibili più dalla topografia cge dalle discipline archeologiche che non hanno rinvenuto nulla di importante per quanto riguarda questa zona in merito ai tempi della civiltà ligure e la stessa epoca romana.
Il fatto che dal nome si possa ipotizzare un qualche insediamento ligure preromano non pare strano, come non risulta improbabile che in questa zona di tradizione agricola si sia sviluppata qualche struttura insediativa romana del tipo della villa servile (senza necessariamente dover sostenere l'impianto di qualche più complessa villa pseudourbana.
La ragione di una continuità di insediamenti di CARAVONICA pare infatti suffragata dal fatto che la località sorge su un sito da alta importanza strategia e viaria, che sia anzi innestato su uno dei tre grandi percorsi mare-monti o Liguria Occidentale-Piemonte e precisamente, come si evince da una semplice lettura cartografica, sull'ASSE VIARIA DEL COL DI NAVA: e del resto a testimonianza dell'importanza di questo percorso, della sua antichità, della continuità con cui fu praticato e soprattutto dall'importanza che gli veniva attribuita, resta ancora ai giorni nostri una TARGA che indicava LA STRADA REGIA DEL PIEMONTE.
Inoltre a ulteriore testimonianza del fatto che il borgo abbia in qualche modo finito per essere una TAPPA DI PASSAGGIO dei VIANDANTI DELLA FEDE è fondamentale ricordare che, secondo vari interpreti, la frazione di S. BARTOLOMEO D'ARZENO, collocata in
posizione dominante, fu nel Medioevo possedimento dei
CAVALIERI DI RODI: la
parrocchiale di epoca barocca conserverebbe ancora qualche traccia
dell'edificio preesistente.
CARAVONICA comunque presenta oggi le caratteristiche del tipico borgo che fu ai tempi in cui per la strada del Piemonte passavano carovane di muli destinate a portare sui mercati padani il sale e l'olio: per intendere lo sviluppo medievale del borgo basta leggerne l'edilizia popolare, magari soffermandosi in modo particolare su luoghi particolarmente caratteristici come uno SCORCIO CARATTERISTICO DELLA PARROCCHIALE oppure l'affascinante CARRUGGIU DI DRAGHI".
L'architettura religiosa del borgo si esalta spiritualmente in merito al SANTUARIO DI N.S. DELLE VIGNE edificato per celebrare un evento miracoloso poi elaborato dall'agiografia come dalla tradizione e dalla leggenda.
Per farne cenno, più di ogni commento razionale o di qualsiasi descrizione, vale la narrazione registrata in un antico manoscritto conservato nella parrocchiale:"...in cui con istorica brevità si descrivono i successi più ragguardevoli concernenti l'origine, il progresso, l'ultimazione del Pubblico Oratorio che vedesi inalzato sotto il titolo di Maria Santissima delle Vigne. Correa di nostra salute l'anno 1588, tempo in cui così dalle miserie trovavansi oppresse le Riviere tutte [anche per le conseguenze della terribile PESTILENZA del biennio 1579-'80] che gli abitatori di questa Valle d'Oneglia dal Piemonte in specie procacciavansi il necessario sostentamento. Tra la moltitudine dei mulattieri che viaggiavano a quella volta uno se ne trovò in Savigliano città del Piemonte....
Per non trascinare chi legge nei meandri dell'antico cronachista vale la pena di citare quanto scrisse del miracolo Narciso Drago ("Caravonica" in "Riviera dei Fiori", 1981, settembre-ottobre):"Il mulattiere aveva portato con sè il figlioletto il quale, mentre il padre era intento a preparare il carico, si era messo a gironzolare nel deposito con la naturale curiosità dei bambini. Fu così che scoprì una piccola statua della Madonna abbandonata in un angolo e desiderò tanto averla che se la prese andando a nasconderla in un sacco di grano già pronto per essere caricato. Finalmente ripartirono e tutto andò bene sino al poggio in vista di Caravonica. Qui, per quanto il mulattiere ricorresse alle più gentili espressioni che infioravano il vocabolario dei conducenti di allora, uno dei muli, e voi avrete già indovinato quale, facendo onore alla qualità propria della sua specie, non si mosse più di un passo. Amche il ricorso alla frusta non cambiò la situazione ma il bambino, temendo che le frustate danneggiassero la statuina, imploro il padre affinché smettesse svelandogli il segreto. E qui il miracolo: non appena il mulattiere la tolse dal sacco, il mulo riprese la sua strada docile, docile. Si pensa che l'esperimento sia stato fatto varie vole ma che il risultato sia sempre stato lo stesso: con la statuina la bestia non si muoveva, quando veniva tolta invece riprendeva a camminare ubbidiente. Visto questo e con grande dispiacere del bambino, la piccola statua fu lasciata nel posto che aveva scelto e fu riparata con qualche pietra avvertendo poi il parroco del paese.
Da quel momento il fervore popolare crebbe e attorno a quell'immagine presto oggetto di devozione fu eretto un primo Oratorio nel XVI secolo, abbellito attraverso i secoli con donazioni popolari e col concorso economico delle più ricche famiglie del borgo: tra i pittori cui fu commissionato il compito di affrescarla è citato anche il portorino Francesco Carrega che ne dipinse la volta ed il coro tra il 1737 ed il 1740.
Molto naturalmente, come in tanti antichi borghi medievali, corre tra i confini a volte indecifrabili che separano storia e leggenda.
Fra le storie arcane di CARAVONICA -storie immerse in momenti drammatici al punto che date le frequenti guerre fu conferita al tormentato Ponente Ligure l'etichetta letteraria di BASTIONI FIAMMEGGIANTI PER SI' TANTI E SANGUINOSI CONFLITTI- è certo da ricordare quella del PALAZZO DELLA CONTESSA (sulla destra dell'immagine inquadrata) in cui si ritiene che abbia trovato riparo la DUCHESSA ANNA MARIA D'ORLEANS , sposa di VITTORIO AMEDEO II DI SAVOIA, fuggita coi figli da TORINO ASSEDIATA DAI FRANCESI DURANTE LA GUERRA DI SUCCESSIONE AL TRONO DI SPAGNA.
Con costoro viaggiavano molti membri della corte sabauda e con questa la reliquia della
****************SACRA SINDONE****************
[spiritualmente e storicamente reputata un vero e proprio monumento della capitale sabauda come si legge in questo oramai rarissimo poemetto elogiativo di Torino pochi decenni dopo edito da Primo Andrea Sterpi] affidata però alla duchessa madre Giovanna Battista di Savoia Nemours.
Per quanto non esistano documenti analizzando il TRAGITTO seguito dal corteo della casa regnante sabauda non è da escludere che questo, la cui destinazione era la sabauda ONEGLIA, donde si sarebbe IMBARCATO PER GENOVA non abbia preso dimora per un brevissimo tempo nell'importante base viaria rappresentata dal borgo di CARAVONICA viste anche le cattive condizioni climatiche della stagione.
E' invece sicuramente da escludere un'ostensione della SINDONE, in questa come in altre località liguri, stando agli ACCORDI SEGRETI intercorsi tra Vittorio Amedeo II e la Repubblica di Genova.
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IL "PARRASIO" CUORE DEL "PORTO MAURIZIO"
L'IMPORTANZA DI UN APPRODO: IL "PORTO" DI "MAURIZIO"
EVENTI REMOTI: DALLA CIVILTA' LIGURE ALLA CADUTA DELL'IMPERO DI ROMA
IL SITO DI PORTO MAURIZIO NEL TARDO IMPERO
UNA GENESI BIZANTINA DEL PORTO MAURIZIO
L'IMPERATORE GRECO TIBERIO MAURIZIO
PORTO MAURIZIO MECCANISMO VITALE DI UN SISTEMA MILITARE BIZANTINO: L'ENIGMA DI CLAVI DI TORRAZZA
TRACCE DI ROMANITA' E CIVILTA' BIZANTINA: UN TROFEO IMPERIALE NELL'AREA DEL PORTO MAURIZIO?
RAGIONI GEOLOGICHE E STRATEGICHE SULLO SVILUPPO DI "PORTO MAURIZIO" E SULL'ABBANDONO DEL PORTO ANTICO DI ONEGLIA
DALLE ORIGINI DEL CRISTIANESIMO AL FENOMENO MONASTICO BENEDETTINO
I TEMPI DEI SARACENI
UN MONASTERO BENEDETTINO FEMMINILE NELL'AGRO DI PORTO MAURIZIO
I BENEDETTINI E LE TECNICHE AGRONOMICHE: SVILUPPO DELL'OLIVICOLTURA "MODERNA"
ORGANIZZAZIONE MEDIEVALE DEL TERRITORIO DI PORTO MAURIZIO
PORTO MAURIZIO NEL XII SECOLO: L'ESPANDERSI DELL'INFLUENZA DI GENOVA
PORTO MAURIZIO NEL XIII SECOLO: LA VIA MARENCA DEL NAVA E I PELLEGRINAGGI DI FEDE
F.PETRARCA PERNOTTA PRESSO UN OSPEDALE DI PORTO MAURIZIO: UN VIAGGIO EMBLEMATICO DI META' '300
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Il cuore sociale e spirituale di PORTO MAURIZIO [come ben si evidenzia in varie riproduzioni, compresa questo DISEGNO DEL 1835] è certamente il PARRASIO [l'area medievale che ha conservato nella dizione locale il nome del PALAZZO del GOVERNATORE DI GENOVA, edificio oggi non più esistente] dove l'edilizia del borgo storico [con case e edifici che risalgono anche al XII secolo] si fonde in un insieme architettonico di notevole effetto col complesso monumentale della BASILICA DI S.MAURIZIO.
Come detta il nome la caratteristica che ha da sempre contraddistinto questa città è stata il porto: nella sua opera di "Statistica" il prefetto G.J. Chabrol de Volcic così fece effigiare, nel 1824, il PORTO MAURIZIO.
Studiare quindi il PORTO di questa cittadina equivale a formulare un primo importante contributo alla sua storia civile e religiosa.
Concentrando gli eventi sviluppatisi attraverso i secoli, prima di tutto, è opportuno precisare che per quanto le tracce archeologiche siano limitate la storia di PORTO MAURIZIO affonda sicuramente nella CIVILTA' LIGURE PAGENSE, quindi nel complesso periodo della DOMINAZIONE DI ROMA ed ancora nell'epoca i cui i BIZANTINI contesero ai BARBARI, attraverso una terribile GUERRA CHE RIDISEGNO' LA TOPOGRAFIA DELL'ITALIA il territorio del decaduto IMPERO di ROMA.
Nel tardo Impero, per quanto ci suggerisce una CARTA VIARIA E MARITTIMA il sito di PORTO MAURIZIO risulterebbe segnalato quale scalo marittimo: ed anche se i rinvenimenti archeologici marini non sono mai stati significativi, ad onta di quanto individuato nello spazio di mare antistante ONEGLIA e DIANO MARINA, si potrebbe anche pensare che qui vi fosse un qualche tipo di attracco.
A questo punto interviene però una nuova serie di riflessioni, connesse agli eventi che, dopo le calate dei Barbari determinarono l'intervento dell'Impero romano d'Oriente.
E' ormai ben noto che i Bizantini opposero una notevole resistenza agli ultimi invasori, servendosi sia della loro forte flotta da guerra sia di un complesso sistema di BARRIERE MILITARI erette attraverso mOlti anni a tutela della costa ligure, cioè dell'ultimo territorio nord-italico destinato a restare in loro possesso col nome di "Liguria Maritima".
Ed allora, a fronte della varietà di informazioni sul periodo bizantino per l'area di PORTO MAURIZIO ed a fronte della citata penuria di dati sulla romanità del sito, si può contestare la CARTA IMPERIALE, teoricamente del IV secolo, che attribuiva un approdo al PORTO MAURIZIO (a differenza della restante coeva cartografia) e ritenere sulla scorta di Nino Lamboglia (per quanto contestato dal Molle a p.44 della sua "Storia di Oneglia") che quel documento del IV secolo (propriamente l'"Itinerario Marittimo") sia stato manipolato nel VII secolo per soddisfare le esigenze nuove dei BIZANTINI bisognosi di una cartografia stradale e di portolani aggiornati.
Se ancora col Lamboglia si accetta il principio che il luogo abbia preso nome dall'imperatore bizantino MAURICIUS (TIBERIUS) si possono intendere svariati segnali topografici e storici, altrimenti indecifrabili attribuendo -come fatto da alcuni tuttora e storicamente fatto quasi ovvio- la paternità del toponimo al patrono della città, appunto S.MAURIZIO.
L'IMPERATORE MAURIZIO, nel difficile tentativo di continuare i buoni rapporti dei suoi predecessori con la Chiesa, non cessò di favorire l'attività missionaria verso quei reparti militari di Longobardi che, defezionando, passavano tra le fila bizantine abiurando dall'arianesimo e optando per il culto cristiano tenacemente sostenuto dalla corte di Bisanzio.
Dopo l'occupazione longobarda (589) da parte di Autari dell'isola di Comacina, nel ramo occidentale del lago di Como, e della fortezza di Crisopoli nella stessa isola, la Liguria bizantina finì per identificarsi con la piccola regione odierna e le sue città principali erano "Vintimilium", la "civitas Varicottis", "Vadum", la "civitas di Soana" (Savona), la capitale "Genova marittima" e a levante "Portus Veneris (Portovenere).
Essa faceva ormai parte dei sette grandi governatorati in cui era stata divisa dai Bizantini la PROVINCIA D'ITALIA: a capo di ognuno di essi stava un "Duca" detto anche "Magister equitum".
Il prestigio di Bisanzio e di Maurizio (grazie anche al ricordo delle straordinarie imprese militari di Giustiniano) era ancora grande.
L'imperatore, in forza degli ottimi rapporti con le grandi case barbare di Gallia e Spagna, potè garantirsi, specie con l'alleanza dei Franchi, una sudditanza almeno formale dei duchi longobardi (583) e procedere all'assimilazione di nuomerosi barbari nella compagine dell'Impero e tutto ciò oprando sempre in stretta collaborazione con la potente Chiesa.
Proprio sotto il regno di MAURIZIO, ad esempio, si riscontra di stanza a Genova (590) un numerus felicum Letorum cioè un grosso contingente militare composto non da greci, anatolici o -come solito per la Liguria- da truppe orientali ma costituito da discendenti degli Alamanni e dei Taifili stabilitisi in Emilia nel IV secolo.
Durante il dominio di questo Imperatore la "Liguria maritima" godette peraltro di una certa ripresa, cui sono forse da porre in relazione alcuni interventi pubblici o comunque di risanamento.
Per quanto ci informano l'archeologia e la stratigrafia, la facies generale del I strato di terreno a Ventimiglia romana documenta al livello I B tracce di rifacimenti bizantini del VI-VII secolo, con reperti di ceramica greca, mentre all'anteriore strato I C si hanno segni di distruzione con cenere e carbone (V-IV sec. d.C) ed allo strato superiore (I A) si trova l'"arena", cioè la duna di sabbia che nell'alto medioevo coprì la città romana.
Il regno di MAURIZIO, in un clima sostanzialmente favorevole a Bisanzio, anche se destinato ad una rapida evoluzione negativa, induce a credere che sotto questo imperatore si sia tentato di ridare vita a parecchi centri liguri gravemente danneggiati e che, in linea più generale, si sia provveduto a rinvigorire o in qualche caso ristrutturare ex novo il sistema portuale di estrema importanza per una potenza militare come Bisanzio che anteponeva in molte circostanze allo stesso esercito la sua efficiente ed evoluta MARINA MILITARE.
Sulla linea di queste considerazioni è allora possibile portare più di un contributo sulla genesi di PORTO MAURIZIO.
Allo sbocco del torrente Prino ( e nell'area di BORGO PRINO) non son mancati rinvenimenti di romanità e si sarebbero scoperti i resti di un ponte adrianeo e per ultimo Ludovico mostrò di credere all'esistenza di un'iscrizione "TROPHEA AUGUSTI" individuata sul poggio di PORTO MAURIZIO.
Più in dettaglio è doveroso premette che gli Statuti di Porto Maurizio alla rubrica 46 ("de vicis reficiendis") ordinano "...stratam romanam et fublicame facere providere, ampliare, explanare et meliorare ab aque Unelie ad aquam Sancits Laurentii...".
Ed ancora, come registra anche il Molle a p.39, n.104 della sua citata opera, alla rubrica 58 ("De Fenestris") si legge "...domos contiguas stratae Romanae...".
Quindi ancora nell'età di mezzo sopravvivevano tracce di una strada romana e reperti di un ponte alle foce del Prino, come scoprì il Lamboglia (Resti di un ponte romano alla foce del torrente Prino, in "Rivista Ingauna Intemelia", 1934, p.66).
Il Giordano poi, secondo l'autorità del colonnello Elena Setti, sostenne esservi stata sul poggio di Porto Maurizio un'iscrizione TROPHEA CAESARIS (od AUGUSTI) da lui posta in relazione con quella della Turbia.
Non condivise tale giudizio il Molle (op. cit. p.31, n.82) e ritenne che si trattasse di un'invenzione settecentesca.
Però, nel 1600, il notaio di Cosio Giovanni Castaldi (autore di una sua opera "Liguria" rimasta manoscritta) alla carta 16, recto e verso, scrisse: "...Porto Morise - Borgo di 300 fuochi, bello per l'eminenza d'un monte vicino al mare dove egli è posto, ridotto al presente in fortezza reale con baloardi inespugnabili e la Repubblica vi mantiene un Presidio di soldati con un gentiluomo dei suoi cittadini e della Città, sotto nome di Capitano...Vien così nominato dal porto marittimo che era dalla parte del monte a levante, di cui si vede ancora un antico molo con una torre nella quale si legge in un marmo l'anno 1368 essere stato 120 piedi e dal nome del santo suo titolare".
Queste note sembrano confermare quanto il Lamboglia trascrisse nella sua Topografia storica dell'Ingaunia (p.77): non sembra affatto da escludere che il documento dell'Itinerario Marittimo del IV secolo sia stato corretto per inserirvi un un "PORTUS MAURICII" che fu potenziato da un imperatore bizantino e per un certo tempo ne prese il nome anche se ben presto ci si sarebbe dimenticati di questo monarca per ritenere che il toponimo sia poi stato considerato un omaggio al Patrono appunto il martiere della legione tebea S.MAURIZIO.
Non è facile dire per qual motivo i Bizantini abbiano abbandonato il sito di "Oneglia" per potenziare quello che verisimilmente era un minore insediamento della tarda romanità.
Non è però da escludere che "Oneglia" avesse ormai perso il suo attracco se questo -secondo la tecnica romana consueta dei "porti canale"- era stato realizzato sfruttando la foce dell'Impero.
Per linea comparativa non è affatto da escludere che tale corso d'acqua, come spesso accade ed è accaduto in Liguria occidentale, modificando per ragioni alluvionali la sua foce, poi spostata ad oriente verso il Borgo del Moro, avesse resa necessaria la realizzazione di un approdo alternativo più ad occidente.
Su tutto l'arco ponentino i corsi d'acqua dalla portata irregolare, caratterizzati da piene alternatesi a periodi di siccità, hanno spesso finito con lo stravolgere la tpografia delle linee di costa rendendone difficile la lettura geo-topografica: questo si riscontra analizzando sia il ROIA che il NERVIA nel territorio ventimigliese [dove gli spostamenti d'alveo hanno determinato l'evolversi o il decadere di PORTI CANALE e dove i detriti alluvionali delle piene hanno finito col formare all'interno dei letti, sproppositatamente grandi, vere e proprie ISOLE ora destinate a decadere, seppur dopo lunghi periodi di tempo, ora tanto stabili da costituire vere e proprie entità territoriali sedi di complessi demici come nel caso di ISOLABONA in val Nervia].
Sempre per via comparativa si può notare che la posizione geografica di PORTO MAURIZIO ha molte affinità con quella di VENTIMIGLIA. Nel caso di PORTO MAURIZIO, su eventuali OSPIZI e sul PORTO, la documentazione al proposito più significativa non proviene però da documenti notarili ma da una EPISTOLA di uno dei più grandi letterati italiani di tutti i tempi: FRANCESCO PETRARCA (1304-1374). Stando alle rilevazioni archeologiche si può pensare che strutture di ricovero per pellegrini nel XIV secolo dovevano trovarsi proprio in "riva al porto" o comunque alla "Marina": peraltro proprio alla foce del torrente Prino e nell'area di BORGO PRINO si son reperite le più antiche testimonianze di insediamenti nella zona. Una testimonianza di queste sembrerebbe essere data dalla CHIESA DETTA DEI CAVALIERI DI MALTA di PORTO MAURIZIO in cui, nonostante le trasformazioni e le alterazioni, N. Lamboglia lesse criticamente l'abside. Tuttavia lo ZOCCOLO dell'abside di questa CHIESA di PORTO MAURIZIO sembra il residuo di un edificio più antico, del XII secolo, su cui sarebbe stata poi costruita la chiesa nel 1362 "IN COMMODUM PEREGRINORUM" secondo un'iscrizione che comunque già vi esisteva (analogamente a quanto fu ritrovato in Ventimiglia da G.Rossi in merito all'iscrizione di una FONTANA che dettava "ad commoditatem navigantium").
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-VASIA assieme alle frazioni di PANTASINA e PIANAVIA formava la CASTELLANIA DI PRELA' SUPERIORE e le sue origini sono da connettere ad una MATRICE BENEDETTINA di tradizione INSULARE. La parrocchiale di VASIA è intitolata a S.ANTONIO ABATE e venne ampliata nel XVII secolo: si segnala per il campanile che è il più alto della valle del Prino.
Dalla frazione di PIANAVIA si può poi procedere per raggiungere PRELA' CASTELLO (nella VALLE DEL PRINO) ove si trovano i RESTI imponenti di un Castello feudale e l'edificio sacro di S.GIACOMO e S.NICOLA che, per ripetuti interventi architettonici, ha perso l'originale stile rinascimentale a favore del tipico BAROCCO LIGURE.
-PRELA' rimanda col nome alla sua importante storia medievale nella VALLE DEL PRINO Nella frazione di PRELA' detta VALLORIA, e che costituisce un caratteristico borgo di montagna dalla genuina architettura medievale, è da visitare la CHIESA PARROCCHIALE di gusto barocco in cui si trova un altro polittico di Agostino Casanova risalente al 1537. Altra importante frazione di questo comune "sparso" (cioè composto di più nuclei) è quindi VILLATELLA a 551 m.s.l.m.nella VALLE DEL PRINO : dove la PARROCCHIALE , che ancora conserva un polittico del Casanova, replica lo stile barocco.
A MOLINI DI PRELA', importante frazione del borgo lineare e sparso di PRELA' si ammira poi la PARROCCHIALE DI S.GIOVANNI BATTISTA DEL GROPPO, di cui, ad onta del fatto che per le caratteristiche architettoniche e l'antichità, costituisca uno dei monumenti più importanti delle valli di Imperia è spesso congedata nelle guide con qualche breve cenno senza valutarne davvero il profondo significato religioso ed artistico: in effetti il solo contributo importante è quello di EMILIO FERRUA MAGLIANI edito sulla RIVIERA DEI FIORI, Marzo-Aprile 1981, pp.3-19 alle cui documentatissime ricerche è debitrice in assoluto la presente nota.
-TORRE DI PRAROLA: la torre costituiva un anello del SISTEMA FORTIFICATO eretto dai genovesi contro le INCURSIONI DELLA FLOTTA DEI TURCHI (BARBARESCHI) di metà '500.
-TORRAZZA sorge su un'altura, nella VALLE DEL PRINO, che domina la strada PIANI/ DOLCEDO a circa 4 Km. dal borgo di Piani. E' facile che il borgo di TORRAZZA -il cui nome attuale è verisimilmente derivato da un accrescitivo del nome TORRE- abbia però avuta la sua origine in località CLAVI che in epoca medievale costituiva uno dei TERZIERI della COMUNITA' DI PORTO MAURIZIO (gli altri erano S.Maurizio di Porto Maurizio e S. Tommaso di Dolcedo).
F. Marvaldi nel suo articolo su "Torrazza" comparso nella rivista "Provincia di Imperia") fa quindi per CLAVI alla presenza di un'antica CAPPELLETTA DI S. MARTINO che egli collega ad una remota influenza del monachesimo benedettino dell'ISOLA GALLINARA.
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Il paese di LUCINASCO (peraltro immerso in un AMBIENTE NATURALE DI INDISCUTIBILE FASCINO) si trova sito in una posizione dominante (499 m. sul l.m.) tra le valli di Oneglia e del Maro e fu sede di castello spesso nominato nelle fonti medievali. Presso la CHIESA PARROCCHIALE DI S. ANTONINO del paese di LUCINASCO nell'ORATORIO si custodisce un Museo di arte sacra. A a circa 1 km. dal nucleo principale, sulla strada per VASIA si scopre in splendida posizione naturalistica, enfatizzata dalla presenza di un laghetto suggestivo, la CHIESA DI S.STEFANO che risale al '400 come si deduce dal PORTALE (che reca gli stemmi delle casate dei Doria e dei conti di Ventimiglia) anche se è stata rifatta nel '700. A circa tremila metri da questo sito, sulla strada, ai limiti del bosco, spicca poi IL SANTUARIO DELLA CHIESA DELLA MADDALENA eretta tra 1401 e 1430, a tre navate, con la facciata abbellita da un rosone ed altresì incorniciata da archetti: in particolare sulla facciata è interessante un trittico del XV secolo scolpito secondo forme arcaiche che rappresenta al centro la VERGINE COL BAMBINO FRA LE BRACCIA.
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Il paese di REZZO è un caratteristico borgo di montagna che si raggiunge da AURIGO ed entrando quindi nella valle della Giara.
Si trova a circa 563 m.s.l.m, circondato da boschi che gli conferirono grande fama come luogo salubre per la villeggiatura, tanto che il piccolo paese fu citato nel 1600 dal romanziere BERNARDO MORANDO come luogo ideale in cui ritemprarsi nel corpo e nello spirito: e per questo essendo VILLEGGIATURA ESTIVA di un nobile Clavesana, coprotagonista del romanzo LA ROSALINDA, il paese è elogiato come uno dei luoghi più ameni di tutta la LIGURIA. Il CASTELLO di REZZO che attualmente si può ammirare (del precedente rimangono solo pochi ruderi) fu opera di fine XVIII secolo realizzata dagli INGEGNERI DI GUERRA DI GENOVA: si tratta di uno dei più importanti esempi liguri di CASA-FORTEZZA. L'elemento più caratteristico di REZZO è però il SANTUARIO DI N.S. DEL SANTO SEPOLCRO E MARIA BAMBINA. All'interno del SANTUARIO alla Vergine di Rezzo si possono vedere dei cicli di affreschi di Pietro Guidi di Ranzo risalenti ai primi del XVI secolo.
A LAVINA frazione di REZZO si trova il SANTUARIO DELLA MADONNA DELLA NEVE che nel '600 era una cappella campestre.
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Il SANTUARIO DI MONTEGRAZIE è uno dei più significativi della provincia di IMPERIA: sito appunto nella località di MONTEGRAZIE nella VALLE DEL PRINO.
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Il SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA DEI PIANI sorge a ponente di Portomaurizio poco oltre il Torrente Prino ed è ritenuta di antica origine, addirittura una di quelle PIEVI che caratterizzavano ancora la DIOCESI DI ALBENGA cui apparteneva tale luogo prima di approdare al peculiare territorio di transizione della DIOCESI DI VENTIMIGLIA.
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La CHIESA PARROCCHIALE DI S. BERNARDO DI MOLTEDO DI IMPERIA custodisce una SACRA FAMIGLIA dipinto di ANTONIO VAN DICK (Anversa 1599-1641) pittore fiammingo che lavorò a GENOVA tra il 1623 ed il 1627.
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Il centro di PIEVE DI TECO (la cui posizione strategica e topografica fu di rilevante importanza per la Repubblica di Genova) costituisce da sempre un punto storico di incrocio fra due assi viarie provenienti dalla piana di Albenga e dal territorio di Imperia [vie che fanno naturalmente riferimento ai cardini storici di COSIO - PORNASSIO - NAVA (COLLE DI NAVA)] il punto ove si intersevano i molti antichi PERCORSI "MAR LIGURE-PIANURA PADANA".
La II parte del toponimo PIEVE DI TECO rimanda ad un "TECO" [citato quale "TEICO" nel 1170, "TEUCUM" nel 1194, "TEUCHO" nel 1204, "TEYCO" nel 1235) con cui si indicava il CASTELLO e la CASTELLANIA che da esso dipendeva.
La storicità medievale di PIEVE DI TECO in base ai documenti data dal 1233. -LA RIVOLUZIONE FRANCESE
Sotto il profilo topografico PIEVE DI TECO (di cui si può utilmente confrontare la splendida CARTA settecentesca del "Dominio della Serenissima Repubblica" del 1773 di Matteo Vinzoni con la STAMPA dal volume statistico del 1824 dello Chabrol) è interessante quanto sotto quello storico e civile.
Interessante è a PIEVE DI TECO il SANTUARIO DELLA MADONNA DEI FANGHI cui si arriva sulla strada che da PIEVE porta ad ARMO.
Un altro importante edificio religioso è la PARROCCHIALE l'antica chiesa collegiata di S. GIOVANNI BATTISTA. E' altresì meritevole di una visita l'antico ORATORIO DELL'IMMACOLATA CONCEZIONE.
La CHIESA DELLA MADONNA DELLA RIPA, nonostante sia stata a lungo lasciata in degrado prima di una serie di interventi restauratori, costituisce un monumento di rilievo del '400 ligure. Lo stesso Lamboglia scrisse poi:"Pure esterno al BORGO DELLA PIEVE, fin dalle origini, fu il grande CONVENTO DEGLI AGOSTINIANI SCALZI ridotto in stato avvilente negli ultimi decenni, con la chiesa ed il campanile di costruzione cinquecentesca; unico e meravigliosamente integro resta il chiostro del XVI secolo, il più vasto di tutta la Liguria occidentale e il più arioso di proporzioni e di volumi, già largamente permeato di echi rinascimentali; colonne, capitelli ed archi sono tuttavia ancora scolpiti secondo la tecnica tradizionale e completano il panorama dell'arte ligure medievale nella sua espressione più attardata".
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-AURIGO: in età medievale questo borgo della VALLE DEL MARO, sito a 431 m.s.m. (che dal 1952 costituisce assieme alla frazione di POGGIALTO comune autonomo, scissosi dal paese di BORGOMARO) fu sede di un CASTELLO (datato del XII secolo ed oggi parzialmente inglobato nel quattrocentesco PALAZZO DE GUBERNATIS) dei CONTI (ramo Lascaris)di VENTIMIGLIA. La PARROCCHIALE DELLA NATIVITA' DI MARIA VERGINE risale al XVIII secolo (come la Chiesa di S.Paolo che sorge presso il cimitero): la PARROCCHIALE, realizzata su progetto di Giacomo Filippo Marvaldi e conclusa nel 1720. è edificio a singola navata con angoli smussati e cappelle laterali. Ancora nel '700 vi si ebbero ulteriori interventi artistici: nel 1780 il suo interno fu ornato di stucchi da Andrea Casella e poco dopo, nel 1787, il marmoraro Casabella di Garessio vi realizzò gli altari laterali. L'ultimo intervento sulla fabbrica si ebbe quindi nel 1792 quando ne venne compiuta definitivamente la facciata, finalmente realizzata secondo un gusto architettonico che risente della tradizione neoclassica al tempo in auge.
-BORGOMARO a 200 metri sul livello del mare trae le proprie origini da una genesi di tipo militare e STRATEGICO. Per quanto riguarda gli edifici pubblici BORGOMARO (più che per la PARROCCHIALE DI S. ANTONIO ABATE) si segnala per l'antichità della CHIESA DEI S.NAZARIO E CELSO la cui origine si vuol collegare quasi con le prime manifestazioni organizzate del CRISTIANESIMO IN LIGURIA DI PONENTE: del resto l'antichità del borgo è indicata anche , in località CONIO, dalla CHIESA ROMANICA DI S.MAURIZIO e dai RESTI DEL CASTELLO FEUDALE. E' poi da ricordare la presenza nella frazione di BORGOMARO di VILLE S. SEBASTIANO del santuario di NOSTRA SIGNORA DELLA NEVE.
Un importante edificio religioso di AURIGO è il SANTUARIO DI S.PAOLO che è stato eretto in posizione un pò defilata rispetto al paese: sul piazzale antistante si notano i resti di colonne di una costruzione molto più antica.
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ONEGLIA
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ARMO è un tipico paese montano della VALLE che prende nome dal torrente ARROSCIA (particolarmente suggestiva è la piccola CHIESA DI S. MATTEO) in stretto contatto storico e viario col più grande centro di PIEVE DI TECO.
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-AURIGO: in età medievale questo borgo, sito a 431 m.s.m., fu sede di un CASTELLO (datato del XII secolo ed oggi parzialmente inglobato nel quattrocentesco PALAZZO DE GUBERNATIS) dei CONTI (ramo Lascaris)di VENTIMIGLIA.
1- CONVENTO DEI CAPPUCCINI.
2- CONVENTO DEGLI AGOSTINIANI.
3- ORATORIO DI S. GIOVANNI DECOLLATO.
4- ORIGINARIA CHIESA DI S. GIOVANNI.
5- RICOVERO - OSPEDALE.
6- ORATORIO DI S. MARIA DELLA PIETA'.
7- ROVINE DEL CASTELLO DI GIAN DOMENICO DORIA.
8- CHIESA DELLA MADONNA DI LORETO.
9- CHIESA - ORATORIO DI S. SEBASTIANO.
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Per quel che riguarda la STORIA DELLA PASTA, molte credenze sono state sfatate da documenti già conservati a Pontedassio nel MUSEO DELLA PASTA, purtroppo poi completamente smantellato e trasferito a Roma.
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Le caratteristiche dei corsi d'acqua e della linea di costa hanno comunque condizionato tutte le località tra Ventimiglia ed Imperia: per esempio BORDIGHERA trae il nome da una palude la quale nel medioevo coprì una zona costiera che al contrario nella romanità era occupata da insediamenti e strutture varie.
Il torrente IMPERO non è sfuggito a questa regola e la grande massa di detriti alluvionali trasportati da monte a valle nei periodi di piena ha parimenti modificato il letto del torrente creando in esso delle isole oppure alterandone la foce.
Presso l'ARCHIVIO DI STATO DI GENOVA si ricava da un manoscritto cinquecentesco una CARTOGRAFIA DEL TORRENTE IMPERO che spiega di per sè il fatto che per secoli onde raggiungere le due rive si dovette ricorrere all'ausilio di un'IMBARCAZIONE FLUVIALE E DI UN TRAGHETTATORE.
Anche se l'ostacolo venne poi superato in forza della realizzazione dell'ARGINATURA DEL TORRENTE e della REALIZZAZIONE DI UN PONTE, risalendo a tempi recenti, si riesce a leggere, seppur provvisoriamente e non in maniera speculare, l'antica topografia dell'area quasi solo nella contingenza di grossi momenti alluvionali come in occasione del piovoso periodo ottobre-novembre del 1907 quando si formò una DUNA DI MATERIALE DI RIPORTO [documentata fotograficamente, in A.S.I., già Archivio ex Comune di Oneglia] che finì per ostacolare il deflusso delle acque alla foce, deviandone il naturale percorso.
Ancora per linea comparativa, questo fenomeno alluvionale dei primi del secolo può essere proposto a modello-esempio di analoghi processi verificatisi in tempi anche molto antichi nel corso e soprattutto alla foce dell'IMPERO, eventi naturali capaci, in determinate situazioni climatiche ed in assenza di adeguate strutture di intervento riparativo, di vanificare funzioni peculiari, come quelle dell'approdo a sistema di PORTO CANALE (come fu anche quello del porto romano di ONEGLIA), che è meccanismo di attracco comodo da sfruttare ma per la cui funzionalità è vitale una particolare conformazione del fiume o torrente che si immette nel mare, sì da formare un'ansa tranquilla e profonda entro cui, dal ramo che permette alle acque fluviali di scorrere nel mare, possano trovar riparo le navi o le imbarcazioni senza correre pericolo di incagliarsi sui detriti alluvionali.
Fra tante, l'ipotesi da privilegiare è che l'approdo onegliese sia degradato proprio per uno di questi eventi climatico-alluvionali e che -data anche l'evidente necessità di impiegare uno sforzo di restauro tecnicamente ed economicamente sconveniente- i Bizantini (pur sempre avvezzi ad operare in tutta quella parte d'Italia che non fosse l'Esarcato o la Pentapoli con la mentalità pragmatica dell'esercito d'occupazione) abbiano prediletto la soluzione più celere e strategicamente utile di trovare nella prossimità del sito di Oneglia un attracco alternativo, peraltro facilmente individuabile nel sito che sarebbe poi stato occupato da PORTO MAURIZIO.
L'area del PORTO MAURIZIO peraltro, ad un'indagine topografica e di computo strategico, non solo rispondeva alle esigneze di un approdo ma soddisfaceva anche alle funzioni di base militare, locata nello stesso areale di Oneglia e quindi parimenti in rapporto sinergico con il sito di CLAVI (TORRAZZA) a sua volta in rapporto tanto col complesso del CASTELEVECCHIO quanto soprattutto col sistema di frontiera rappresentato dai complessi demici di PIEVE DI TECO e di ARMO emblematicamente a guardia di un punto storico di penetrazione da settentrione come la VIA DEL NAVA [e tutto ciò secondo una sorta di ulteriori parallelismi per cui PORTO stava a TAGGIA e questa a VENTIMIGLIA come, nel rispettivo retroterra, TORRAZZA stava a CAMPOMARZIO e questo al CASTELLO DI DOLCEACQUA e, come tra l'altro, tutte e tre queste postazioni risultavano in parallelismo tra loro e i siti di costa quanto tra loro e i terminali delle rispettive valli di pertinenza, valli che furono i tre percorsi fondamentali mare-monti dell'occidente ligure: la VIA DEL NERVIA, quella dell'ARGENTINA e la DIRETTRICE DEL NAVA*.
Dal primo medioevo, nella generale trasformazione di una penisola, variamente contesa tra LONGOBARDI, CAROLINGI e SARACENI [mentre la CHIESA DI ROMA andava affermando la sua straordinaria importanza sociale oltre che
Entrambi i siti sono posti infatti su un ganglio di percorsi ove si intrecciana e ei intrecciavano la STRADA COSTIERA e le VIE MARENCHE che regolavano il traffico per l'oltregiogo (rispettivamente quella del NAVA e quella della STRADA ROMEA DEL NERVIA.
Siffatta logistica faceva combaciare molteplici aspetti delle due località e finì col determinarne sia le fortune (grantite dal traffico in tempo di pace) sia i problemi (emblematicamente docuti alla pressione sabauda per raggiungere un approdo al mare o comunque controllare il traffico di quei percorsiI.
Dal XII-XIII secolo sia Ventimiglia che Porto Maurizio entrarono come basi importanti nel grande fenomeno dei percorsi dei PELLEGRINAGGI DI FEDE.
Per quanto l'argomento meriti approfondimenti v'è anzi da dire che data la posizione è attestato, per RAGIONI STORICHE, il graduale venir meno dei PELLEGRINAGGI IN TERRASANTA che notoriamente facevano leva sul sistema portuale e ricettivo di GENOVA mentre per molto più tempo, nella CULTURA DEVOZIONALE CRISTIANA, perdurarono il PELLEGRINAGGI AL SANTUARIO SPAGNOLO DI S.GIACOMO DI COMPOSTELA.
PORTO MAURIZIO al pari di VENTIMIGLIA era geograficamente avvantaggiato visto che i rispettivi PORTI potevano servire tanto i viandanti per l'OLTREOCEANO (magari più che PELLEGRINI dei COMMERCIANTI o dei CROCIATI ancora impegnati nel proseguio delle campagne contro ARABI e poi TURCHI) quanto i "PELLEGRINI PER SANTIAGO" visto che VENTIMIGLIA soprattutto, ma anche PORTO MAURIZIO, erano relativamente prossimi agli approdi della PROVENZA ed a quelle BASI PROVENZALI da dove prendeva via il I TRAGITTO PER SANTIAGO DI COMPOSTELA.
Inoltre le due località si sarebbero presto trovate in una posizione ideale sia per gli spostamenti tra ROMA ed AVIGNONE dopo che la CURIA PAPALE fu ai primi del XIV secolo costretta a prendere sede in questa cittadina francese: altresì la posizione dei porti di VENTIMIGLIA e PORTO MAURIZIO continuava ad essere eccellente per quanti, dalle SPAGNA, dalla FRANCIA o dallo stesso NORD-OVEST EUROPEO, ambivano a far PELLEGRINAGGIO verso OSTIA e quindi ROMA in conformità ai dettati sanciti da papa Bonifacio VIII nei dettami del suo GIUBILEO DEL 1300.
E' assodata la TIPOLOGIA E TOPOGRAFIA DEGLI OSPITALI DI VENTIMIGLIA E CIRCONDARIO: si è anzi ricostruita la significanza della STRADA MARENCA DEL NERVIA e parimenti si è notato che questa aveva il suo naturale eferente ben oltre la "Padania" ma sin al territorio di SUSA, all'abbazia della novalesa e quindi ad uno di quei grandi OSPITALI DI TRANSIZIONE TRA AREE GEOGRAFICHE DISTINTE che era l'OSPEDALE DEL CENISIO.
Anche PORTO MAURIZIO, come detto, aveva alle sue spalle una STRADA MARENCA (peraltro riprodotta ancora nel XVIII secolo in una CARTA del suo "Atlante del Dominio di Genova da M.Vinzoni) e ad essa i tragitti dall'area di susina potevano pervenire in contemporanea con quelli sul territorio ventimigliese.
Al terminale meridionale di questa strada, sula mare, dovevano esservi degli OSPEDALI simili a quanto segnalato per VENTIMIGLIA: essi dovevano funzionare sia per COMMERCIANTI, che per CAVALIERI che per PELLEGRINI.
La lettera (appartenente al libro delle "Familiari") fu stesa nel 1343 e venne indirizzata a Giovanni Colonna.
Per i letterati essa ha sostanzialmente un alto valore morale volendo biasimare le "turpitudini della corte di Napoli" ma accanto a questo tema primario essa produce altre informazioni.
Visto che nella prima parte costituisce il resoconto del viaggio marittimo intrapreso da PETRARCA, che lasciata AVIGNONE ed ancor più l'amatissima VALCHIUSA -due centri indissolubilmente legati all'immortale amore del poeta per LAURA NOVES DE SADE- raggiunse il mare onde per tal via portarsi a ROMA e quindi a NAPOLI, la LETTERA può essere presa come un assunto delle SU UN PARTICOLARE TIPO DI VIAGGIO DALLE GALLIE SINO ALLA CITTA' SANTA.
Poco importa che il PETRARCA non abbia compiuto il viaggio per RAGIONI RELIGIOSE SULLA SCORTA DEI GRANDI TRAGITTI DELLA FEDE (VEDI QUI LA CARTOGRAFIA DIGITALIZZATA), egli comunque si valse delle stesse strutture e degli identici percorsi che venivano abitualmente compiuti dai PELLEGRINI ALLA VOLTA DI ROMA NEL CONTESTO DI QUESTA COSTUMANZA EPOCALE (VEDI QUI INDICI).
Nello specifico e per quanto di suo interesse FRANCESCO PETRARCA finì come quasi naturale per innestarsi sul GRANDE FLUSSO DEI VIANDANTI DELLA FEDE e nella circostanza sul I TRAGITTO quello meridionale segnato dalla "GUIDA PER SANTIAGO DI COMPOSTELA" = IL VISITANDUM EST ovvero come qui si vede anche cartograficamente il
TRATTO ROMA - ARLES - SANTIAGO DI GALIZIA (E VICEVERSA: CARATTERIZZATO DA PERCORRENZE SIA VIA TERRA CHE VIA MARE).
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Scrisse in latino il poeta (che qui si legge in traduzione):"...Ti avevo promesso di fare il VIAGGIO PER MARE [visualizza qui la tipologia dei viaggi per mare all'epoca], non per altro motivo se non per il fatto che mediamente si ritiene che si proceda meglio e con maggior rapidità per via di mare che per i percorsi terrestri".
Aggiunse quindi:"...imbarcatomi a NIZZA presso il Varo, che è la prima città d'Italia a ponente, giunsi a MONACO che il cielo era stellato".
Le notazioni del Petrarca ci ragguagliano su convinzioni storiche assodate: i percorsi di terra -scomparsa in gran parte la VIA ROMANA JULIA AUGUSTA- erano disagevoli e il porto nizzardo costituiva una base storica per la navigazione verso l'Italia.
La navigazione era -cosa parimenti nota- di cabotaggio, con frequenti approdi per ripararsi e vettovagliarsi: la prima tappa fu però a MONACO E NON IN VENTIMIGLIA (fatto non del tutto chiaribile ma forse connesso al sopraggiungere di qualche mutamento di tempo, tale da suggerire un pronto riparo = Ventimiglia, nodo viario per eccellenza dei Pellegrinaggi in Liguria Occidentale, all'epoca aveva strutture e fama superiori a Monaco, per dar ricetto ed offrire utili alternative di viaggio a seconda delle esigenze e delle mete prescelte).
Subito dopo infatti si legge:"...mi adiravo con me. Sostamme a Monaco di mal animo il giorno seguedte, tentato senza successo di salpare".
Non alludendosi ad avarie di sorta è veramente da credere che il sopraggiungere di qualche fortunale abbia costretto la nave in quel porto.
Ed a comprova di ciò, proseguendo nella lettura, si apprende che "...il giorno seguente, con tempo incerto, salpammo e sbattuti in continuazione dalle onde arrivammo a PORTO MAURIZIO nel pieno della notte".
La sosta al MAURITII PORTUM non dovette essere un espediente, da come scrisse il Petrarca l'attracco sembrava previsto dal programma di viaggio.
Egli aggiunse:"Non ci fu permesso di entrare nel castello. Trovata per caso in un OSPIZIO SULLA SPIAGGIA una cuccetta da marinaio condii la cena con la fame e fui debitore del sonno alla stanchezza"
Ed ancora: "a questo punto fui preso dall'ira e mi resi conto dei gran brutti tiri che fa il mare. Quindi fatti tornare sulla nave i servi coi bagagli, io solo con un compagno preferii restare sul lido di Porto Maurizio. Finalmente mi capitò un poco di fortuna. Fra quegli scogli liguri per qualche inspiegabile caso si vendevano dei CAVALLI TEDESCHI, forti ed agili. Non impiegai gran tempo ad acquistarli e rièpresi così il viaggio senza essermi del tutto liberato dalla nause del tragitto fatto per mare".
Anche se si tratta del PETRARCA qualche considerazione è spocchiosa ma, al pari di altri dati pur venati di letteratura, giunge utile allo storico.
Anche se verisimilmente il PETRARCA soffriva lo scomodo viaggio per nave era questo comunque -nel giudizio di tutti- il modo migliore per giungere a ROMA: i servi ed i bagagli dovettero procedere per nave in quanto il percorso stradale, tanto accidentato, era impraticabile o quasi per chi fosse impacciato da mezzi pesanti od oggenti di ingombro.
Il riposo fu preso sulla spiaggia di PORTO MAURIZIO in un "HOSPITIUM": qualche traduttore corrgge con ALBERGO ed è difficile dire se si fosse trattato di un OSPIZIO PER PELLEGRINI o di uno di quegli OSPIZI RETTI DA PRIVATI di cui talora è giunta notiza.
Il POCO CIBO cui fa cenno il PETRARCA, assieme alla menzione della CUCCETTA, potrebbe far pensare alla TIPOLOGIA DI un OSPIZIO PER PELLEGRINI.
Bisogna però tener conto che si ha pur sempre a che fare con un umanista, per casta dotto quanto narcisista ed abituato a certi lussi avignonesi: quuindi non è da escludere il RICOVERO PRESSO UNA SORTA DI LOCANDA PRIVATA al modo che in Ventimiglia tempo prima fece il nobile cortigiano spagnolo GIOVANNI DE PORTA come verosimilmente tanti altri CAVALIERI E CROCIATI ED ANCHE PELLEGRINI DI FEDE..
Il Petrarca scrive di aver trovato, per caso, in vendita dei CAVALLI DI RAZZA.
Se confrontiamo l'episodio con quello di GIOVANNI DE PORTA si direbbe invece che la COMPRAVENDITA DI CAVALLI era quasi un fatto istituzionale nei PORTI, sia a Ventimiglia che a Porto Maurizio.
La ragione non sarebbe poi indecifrabile: i CAVALLI erano lasciati presso gli OSPIZI per varie ragioni: per cambiare a costo minimo animali freschi con altri pronti per il viaggio, erano commerciati per le esigenze dei viandanti che potevano spendere (come GIOVANNI DE PORTA od il PETRARCA) ed ancora venivano allevati localmente da imprenditori e proprietari di ospizi privati" per farne oggetto di vendita o di affitto a quei pellegrini che potessero permetterseli o dovessero come GIOVANNI DE PORTA lasciare il "percorso marino" per addentrarsi lungo una qualche via di penetrazione nell'entroterra.
E' infattibile ricostruire topografia e topologia dell'OSPIZIO visitato dal PETRARCA: l'unica certezza è che si trovava in prossimità dell'approdo: "LITOREUM HOSPITIUM".
QUESTA nella parte superiore, che è del XIV secolo, denota consonanze architettoniche con gli edifici di S. PIETRO DI LINGUEGLIETTA e della CATTEDRALE DI ALBENGA.
Cose tutte che rimandano anche sia ai VIAGGI DELLA FEDE quanto al fenomeno variegato degli ORDINI RELIGIOSI CAVALLERESCHI DI CUI SI OFFRE QUI IL CATALOGO COMPLETO -CON LE REGOLE DI APPARTENENZA- TRATTO DA UN TESTO ANTIQUARIO.
L'edificio detto dei "CAVALIERI DI MALTA" sito in prossimità del porto e sulla linea del mare costituiva dunque un ricettacolo per viandanti e pellegrini.
E' quindi probabilissimo che la parte più antica appartenesse ad un più vecchio edificio, un OSPEDALE del XIII secolo che già vi esisteva.
E non sembra difficile pensare che questa CHIESA ED OSPEDALE DEI CAVALIERI DI MALTA possa esser stata una ristrutturazione, ampliamento con relativa rinominazione di un originario OSPEDALE del XII-XIII secolo eretto dai CAVALIERI GEROSOLIMITANI cioè di quell'ordine cavalleresco di cui si è ipotizzato non senza dubbi anche un RICOVERO ad Ospedaletti.
Queste origini sono peraltro attestate dall'ANTICA CHIESA PARROCCHIALE, sull'altura sovrastante il borgo, intitolata ad un antico S. MARTINO.
La CHIESA DI S.MARTINO è la più antica ed unica chiesa romanica di questa zona.
Si segnala per il campanile e l'absde quadrata estranei al gusto romanico lombardo: come scrive il Lamboglia però "la tecnica muraria e i documenti la collocano nella prima metà del XII secolo".
In effetti il nome di luogo o toponimo, che rimanda al nome di un valico VIA COLLE VASIE (da un documento del 1405): il nome vero e proprio del valico indurrebbe però ad andare oltre l'epoca medievale sin a quella romanità di cui si vanno scoprendo tracce sempre maggiori nell'interno della Liguria.
Il nome VASIE sarebbe infatti da collegare al gentilizio romano VASIUS da interpretare in senso prediale cioè di nome dato ad un'azienda rustica se non proprio ad un insediamento complesso del tipo della grossa villa rustica.
Secondo la glottologa G.Petracco Sicardi però l'etnico VASIENCU farebbe pensare, in modo alternativo, ad un insediamento medievale nominato forse da un individuale germanico del tipo WASO sviluppato al diminuitivo e quindi trasformato per consonanza nel termine VILLA: con quest'ultima ipotesi la genesi del nucleo abitato -prescindendo al grande impulso demogtafico dato dai BENEDETTINI- potrebbe essere anticipata al periodo delle INVASIONI BARBARICHE.
Il campanile fu realizzato su progetto di Ignazio Monti (architetto di origine ticinese), misura 49 m. di altezza e fu realizzato tra il 1804 ed il 1806 e l'impianto stilistico generale oscilla nell'eclettismo, tra forme tardobarocche e neoclassiche.
Nella parrocchiale si possono ammirare due polittici del XVI secolo.
E' poi interessante l'antica CHIESA CAMPESTRE DI S. ANNA.
Il toponimo o nome di luogo deriva chiaramente da un latino PETRA LATA cioè "grossa rocca" con cui evidentemente si alludeva alle fortificazioni che caratterizzarono questo paese a carattere sparso già citato nel XII secolo visto che in un atto di tale epoca risultano menzionati gli "uomini di Prelà": HOMINES DE PETRALATA alludendosi al loro inserimento giurisdizionale nella DIOCESI di ALBENGA.
Il CASTELLO (che ha poi dato nome alla frazione di PRELA' CASTELLO) dovette esservi eretto almeno nel XIII secolo: il suo controllo (era ufficialmente noto come "CASTELLO DE PETRALATA") passò alternativamente dai Doria di Genova ai Lascaris di Ventimiglia e quindi ai duchi di Savoia.
Attualmente se ne conservano solo i RESTI che risalgono ai secoli XII e XIII: si tratta di parte del circuito murario con torri circolari agli angoli [a lato vi sorge la chiesa di S.Giacomo e S.Filippo di origine medievale ma ristrutturata in stile tardorinascimentale e barocco].
I ruderi del castello di Pietralata sono tuttora imponenti.
Era molto importante qui -a giudizio di N.Lamboglia- la scomparsa CHIESA DEI SANTI GERVASIO E PROTASIO che probabilmente rappresentava la più antica PIEVE del territorio di PRELA'.
Il toponimo è già interessante: è legato al fatto che la costruzione sorge su una vasta roccia, un groppo come indica la dizione locale.
Il Ferrua Magliani riporta un passo del Sacro e vago Giardinello (redatto nel XVII secolo dal canonico Paneri, che iniziò a stendere l'opera manoscritta dal 1624 per conto della Diocesi di Albenga cui spettava la giurisdizione su queste contrade) ove si legge: "S'appigliò il nome di GROPPO, che non è da meravigliare, perché il sito stesso soprabonda d'un elevato groppo di sasso nella medesima chiesa sotto cui scaturisce un rivolo d'acqua.
Lo stesso autore del seicento, dovendo in qualche modo datare la chiesa, scrisse: stimasi la suddetta machina, non mediocre chiesa a tutti nota, molto antica per la costruzione se ben si veda un 1492 registrato sul muro di una cappelletta di S.Lucia".
Il Ferrua Magliani concorda sull'antichità della chiesa e tentando una qualche datazione -naturalmente con maggior fortuna del Paneri- propone, motivandole, diverse ipotesi ma in ogni caso datando l'edificio, più su segnali archivistici e giuste intuizioni che su difficili investigazioni archeologiche, al XII-XIII secolo.
Si può essere in accordo con le sue considerazioni e si può, scegliendo fra le ipotesi da lui formulate, ritenere che l'edificio sia da attribuire all'attività monastica dei BENEDETTINI pur se è difficile identificare di quale cenobio si sia precisamente trattato: per comparazione tipologica, oltre i segnali documentari addotti dallo studioso, un segnale importante di una genesi benedettina può esser dato proprio dalla presenza di una polla d'acqua tenendo conto anche della metodologia, quasi istituzionale dei Benedettini, di edificare le loro case in prossimità di sorgenti sia per ragioni pratiche sia per rispettare l'antica consegna apostolica di RICONSACRARE AL CULTO CRISTIANO quelle numerose sorgenti che, per tutta Italia, eran state sede di culti pagani.
Riprendendo le parole del Ferrua Magliani si può poi scrivere per l'architettura attuale della chiesa (che nel corso dei secoli ha subito interventi vari e complessi rifacimenti) che la FACCIATA è di pietre battute scalpellinate, che durante il rinascimento fu aggiunto il PORTICO (sorretto da 2 colonnine in pietra nera lavorate a trecce verticali) ed ancora che il LOGGIATO che dà sulla pubblica via è invece aggiunta tarda, del XVIII secolo.
Al suo INTERNO la chiesa è a pianta basilicale a 3 navate distinte da "sei grosse colonne oltre a due semi colonne sul retro della facciata ed altre due semicolonne nel presbiterio".
La chiesa conserva molte opere d'arte (quadri, affreschi, stature): si ricorda per esempio un Sacro Cuore di Gesù attribuito al pittore di Porto Maurizio Leonardo Massabò vissuto tra il 1812 ed 1886.
Un'opera di notevole livello è comunque , sulla parete della navata di sinistra presso la porta di accesso alla sacrestia, il TRITTICO DI SAN SEBASTIANO già custodito nell'oratorio della distrutta frazione di Magliani ad un Km. di distanza da Molini di Prelà.
Come dice l'iscrizione del quadro si tratta di un'opera del pittore Agostino Casanova che la concluse il primo di dicembre del 1547: nelò trittico sono effigiati al centro S.Sebastiano con a lato, da una parte, S.Rocco e dall'altra S.G.Battista essendo in altro la Pietà e l'Annunciazione
Eretta sulla roccia viva controllava il mare per ampio tratto da S.Lorenzo a Capo Berta ed era in contatto visivo (per segnalazioni) con la Chiesa di S.Pietro al Parasio da dove gli eventuali avvisi luminosi potevano essere trasmessi all'interno, verso altre torri come quella di Torrazza.
Come il TORRIONE DI VALLECROSIA era una TORRE CIRCOLARE DA COMBATTIMENTO dotata dell'ARTIGLIERIA TIPICA DEL XVI SECOLO.
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Il borgo è caratterizzato da due elementi fondamentali: le colture di OLIVI e la TORRE eretta nel XVI secolo e rientrante nel piano genovese del SISTEMA FORTIFICATO eretto dai genovesi contro le INCURSIONI DELLA FLOTTA DEI TURCHI (BARBARESCHI) di metà '500.
Il paese si sviluppa-come scrive F.Marvaldi- seguendo il pendio collinare secondo la tecnica difensiva medievale delle case tra loro addossate: in ciò avrebbe molte convergenze topografiche con ISOLALUNGA frazione di DOLCEDO.
Nel borgo sono da ammirare le due chiese in stile barocco ligure di S.Bernardino e di S.Gorresio che è caratterizzata da un bel portale in ardesia del 1547 e che conserva affreschi del pittore di Porto Maurizio Carrega.
L'antichità di CLAVI è peraltro confermata dalla presenza di una CHIESA DI S.GIORGIO che è sì PARROCCHIALE DI TORRAZZA (CLAVI ne è solo una frazione) ma che fu eretta discosta dal borgo, in fondo alla valle, in evidente relazione col nucleo demico originario di CLAVI (per TORRAZZA è specificatamente interessante la CHIESA DI SAN BERNARDO).
N.Lamboglia, ancora nei "Monumenti medievali della Provincia di Imperia" (Torino 1970, p.54) si soffermò a segnalare l'appartenenza della chiesa al primo romanico come egli riusciva a "leggere" nel complesso dell'ABSIDE della chiesa: in pietra arenaria sbozzata, con lesene e archetti binati...ma con monofore e cornice di età più avanzata.
Le documentazioni seicentesche sui monumenti sono spesso fuorvianti (e peraltro spicca in maniera anomala una scritta così fuorviante e millenaristica) ma l'antichità del sito è fuor di dubbio.
Non è peraltro da trascurare il fatto che proprio non lontano da CLAVI sorge il PONTE ROMANICO (ma alcuni interpreti hanno voluto -forse non a torto- vedervi le tracce di un vero e proprio PONTE ROMANO) sul TORRENTE PRINO dove si sono rinvenute MONETE ROMANE: ciò indurrebbe a pensare ad una visitazione del sito ai tempi dell'IMPERO DI ROMA, quando gli insediamenti in LIGURIA OCCIDENTALE erano molto più sviluppati che nel MEDIO EVO tenendo anche conto dell'IMPORTANZA DI QUESTA ZONA PER IL TRAFFICO COMMERCIALE sia in funzione dei PERCORSI MARITTIMI che di quelli STRADALI [con le relative diramazioni verso il PIEMONTE (ed al proposito non si dimentichi la vicina VIA DEL NAVA)sia ancora in rapporto a quella antichissima VIA DI MEZZACOSTA -con qualche ragione da connettere all'ERACLEA della civiltà LIGURE PAGENSE che in effetti non fu mai del tutto abbandonata. A questo proposito è emblematico quanto scrisse il Lamboglia a p.54 dei suoi "Monumenti Medievali..." :...la borgata in riga al torrente, i CLAVI,...ha connotati di origine più antica, forse romana, ed è resa illustre dal ponte romanico che costituisce uno degli esempi meglio conservati dell'architettura viaria del secolo XIII in Riviera: a conci ben squadrati, con un più grande arco al centro del torrente e due di proporzioni digradanti verso ovest, su robuste pile a sperone. Una strada importante, di origine forse romana come variante alla litoranea, doveva passare in questa località per giustificare un'opera per i tempi eccezionale" > integrando questa riflessione si può anche aggiungere il significato che potrebbe acquisire questa rilevazione storico-archeologica se correlata col fatto che CLAVI di TORRAZZA (in linea con PORTO MAURIZIO e con LA VIA MARENCA DEL NAVA) ha una collocazione di collegamento analoga a quella che durante la DIFESA BIZANTINA DELLA LIGURIA MARITTIMA ebbero, procedendo a ponente, CAMPOMARZIO rispetto all'area di COSTA e al terminale della VALLE ARGENTINA ed ancora il CASTELLO DI DOLCEACQUA in rapporto al SITO DI NERVIA ed ai percorsi mare-monti dell'ALTA VALLE DEL NERVIA.
Integrando la sua riflessione si potrebbe addirittura anticipare la sua riflessione e metterla in relazione coll'esperienza spirituale ancora più antica del MONACHESIMO INSULARE.
Ciò porterebbe a retrodatare l'origine di CLAVI e collegarla ad un'esperienza di insediamenti religiosi favoriti dai BIZANTINI ai tempi difficili della loro lotta contro i BARBARI, della loro RICONQUISTA DELL'ITALIA SOTTO GIUSTINIANO IL GRANDE, della varia RESISTENZA a nuovi invasori e dell'assetto che finalmente diedero all'ITALIA dopo il VI secolo (tenendo altresì conto della realizzazione della LINEA DIFENSIVA DI COSTANZO e della RESTAURAZIONE DELLA LIGURIA ad opera dell'IMPERATORE TIBERIO MAURIZIO).
Valutando peraltro il sito di CLAVI su un piano più esteso (peraltro il nome di questo luogo sembra rimandare ad un latino "clausus" nel senso di chiuso, recintato, fortificato) si nota -come è stato anticipato poco sopra- che esseo si trova in qualche maniera in linea con BASI MILITARI LIGURI di BISANZIO come in particolare il CASTELLO BIZANTINO DI CAMPOMARZIO in VALLE ARGENTINA e l'AREA DI DOLCEACQUA IN MEDIA VAL NERVIA il cui CASTELLO sembra rimandare ad una GENESI BIZANTINA.
Non si dimentichi che tutte queste aree (CLAVI, CAMPOMARZIO, DOLCEACQUA) hanno in comune due elementi.
Quello più eclatante è il fatto di stare a guardia, rispettivamente, dei tre percorsi storici MARE MONTI in liguria occidentale: quello della VIA DEL NERVIA, quello della VALLE ARGENTINA ed infine quello della VIA DEL NAVA.
Oltre a ciò tanto nel CASTELLO DI DOLCEACQUA che in quello di CAMPOMARZIO si ha traccia del culto di un S.GIORGIO di matrice greca: peraltro S.GIORGIO e S. MARTINO entrambi documentati a CLAVI sono SANTI tipici del CRISTIANESIMO LIGURE DELLE ORIGINI indubbiamente connessi a quell'EREMITAGGIO ORIENTALE di cui si valsero i BIZANTINI per esercitare un controllo anche spirituale sulle genti di Liguria.
Se poi si segue la proposizione, quasi certamente di condividere, che PIEVE DI TECO fosse un naturale sentinella bizantina verso il NAVA [ipotesi avanzata in un bel libro da F.BOCCHIERI: "PIEVE DI TECO, TERRITORIO, STORIA, ARTE, RIUSO, Ro.MA. ed., Udine, 1991) non è impossibile ridisegnare una tappa dell'evoluzione di TORRAZZA in rapporto sia al sito di CLAVI sia alla grande importanza del centro in EPOCA MEDIEVALE importanza che pare il riflesso di una condizione geopolitica molto antica.
Le forme del nome che più frequentemente venivano date al paese nel 1300 erano Lexenasco e Lesinasco.
Tuttavia nel 1150 comparve la forma Lusignasco.
Inoltre nel Liber Jurium della Repubblica di Genova si trova nel 1233 la forma Vexinasco .
Se questa fosse l'originaria, sostiene la glottologa G.Petracco Sicardi, il nome del luogo potrebbe derivare da una base latina vicinus integrata dal suffisso -asco di origine ligure ed alquanto produttivo in epoca medievale: mancando però la certezza che la forma Vexinasco sia quella originale non è nemmeno da escludere che il toponimo sia derivato dal nome di persona tardo romano Lucinus se non dal gentilizio romano Lucinius cosa che potrebbe indurre a discutere su un'origine molto antica del borgo, sin all'epoca dell'Impero di Roma quando l'area ligure occidentale godette di un notevole incremento demografico, con l'impianto di parecchie ville e/o aziende agricole preposte allo sfruttamento del territorio in rapporto alle nuove condizioni economiche rese possibili dal mercato aperto romano imperiale e dalla complessità di quella rete stradale che proprio in Liguria Occidentale aveva notevole importanza per i rapporti con la Provenza, rapporti di pace e commercio peraltro pacificamente simboleggiati non lontano da Ventimiglia Romana nel Complesso monumentale della Turbia.
Dati certi sul borgo si hanno però solo dall'epoca medievale.
Data la sua importanza strategica fu dapprima feudo dei CONTI DI VENTIMIGLIA quindi giunse alla casata ndei LASCARIS: nel 1575 si staccò da ogni influenza di GENOVA per passare fra i DOMINI PIEMONTESI DEI SAVOIA (dai Savoia nel 1668 ottenne il riconoscimento delle libertà comunali): fu quindi un'area di contese anche militari fra il PIEMONTE e la grande REPUBBLICA.
Il nome del borgo non aiuta molto a comprendere la sua genesi: i documenti più antichi in cui esso è documentato risalgono al 1202 (HOMINES VALLIS REZII), allorquando la valle d'Arroscia, il paese ed il castello di Rezzo prestarono fedeltà a Genova, ed al 1259 (IN REZIO) anno in cui Genova stipulò un atto d'acquisto di metà del feudo di Rezzo caratterizzato quindi soprattutto da una storia medievale.
E' comunque sostenibile in linea teorica che il toponimo si sia evoluto da un prediale romano, derivante dal gentilizio Raetius: logicamente non si può far cenno ad un insediamento romano complesso in questa zona ma non è impossibile ritenere che vi sia stata eretta una struttura agricola, un'azienda retta da manodopera servile più che una VILLA RURALE PSEUDOURBANA.
Resta tuttavia sintomatico il fatto documentato dalle moderne ricerche che, contro le opinioni della storiografia del secolo scorso -peraltro ancora troppo spesso assunta come punto di riferimento ai giorni nostri- le valli del Ponente ligure furono caratterizzate da insediamenti di aziende rurali romane che hanno lasciato tracce toponomastiche e talora archeologiche (ciò vale per i complessi rurali della VALLE DEL NERVIA tanto vari che è stato necessario riproporne la topografia "computerizzata", ma altrettanto si è riscontrato nell'area tra SANREMO, TAGGIA E BUSSANA COL RELATIVO ENTROTERRA ed altrettanto si è evidenziato in altri siti, non escluse zone un tempo giudicate estranee alla romanità e dove invece sono venuti alla luce reperti importanti di insediamenti romani come nel caso di VILLA FARALDI nell'entroterra dianese).
Ragioni VIARIE DI PORTATA EUROPEA o semplicemente di INTERESSE REGIONALE e/o LOCALE, connesse all'incremento dei COMMERCI nel mercato aperto dell'IMPERO DI ROMA favorirono infatti il fiorire dei traffici e l'incremento demografico in LIGURIA OCCIDENTALE divenuta importante area di transizione verso la PROVENZA ed il PIEMONTE cui comunicava sicuramente per via di TRE IMPORTANTI PERCORSI.
La posizione di REZZO come detto nella valle che per il passo di Teglia mette in comunicazione la valle d'Oneglia e la valle di ARROSCIA nella romanità dovette avere un'importanza superiore a quanto si sia sempre pensato: il sito su cui è sorto REZZO ha un'evidente valenza strategica e viaria che non può esser sfuggita agli ingegneri di ROMA che notoriamente sfruttavano tutte le varianti viarie, anche quelle escogitate dai POPOLI che li avevano preceduti nel controllo di un determinato territorio.
Se ai Romani il controllo del sistema viario principale e secondario serviva soprattutto per i commerci e il traffico di una moltitudine di viandanti, nel Medio Evo prese a valere principalmente l'elemento strategico-militare: ed è fuor di dubbio che REZZO sorse in una zona che permetteva di controllare e dominare un ampio territorio ed il relativo sistema dei percorsi.
Questa ragione ha forse determinato il fatto che i FEUDATARI CLAVESANA vi abbiano eretto un castello e che successivamente il controllo di questo sia passato a GENOVA destinata a far sua tutta la LIGURIA.
Contemporaneamente però REZZO sorgeca molto a nord e non lontano dai GIOGHI dove il PIEMONTE ed i SAVOIA storicamente facevano pressione militare per potenziare quei tragitti mare-monti che per esempio si erano procurati (e che miravano ad ampliare) col controllo di ONEGLIA E DELLA SUA VALLE.
Questi contrasti militari tra Genova ed il Piemonte determinarono scaramucce e conflitti veri e propri: tra questi è importante ricordare la GUERRA DEL 1672 che contrappose il Piemonte Sabaudo e Genova proprio per contrasti sul controllo di CENOVA frazione di REZZO e questo paese ebbe distrutto il CASTELLO MEDIEVALE.
Originariamente sul sito ove esso sorge, per donazione del nobile del luogo Francesco de Thomatis, doveva venir eretto un convento dai monaci di S.Maria de Podio di Annecy in Alta Savoia.
La popolazione e la nobiltà locale furono favorevoli all'iniziativa ma non la REPUBBLICA DI GENOVA che temeva la presenza sul suo territorio di ORDINI MONASTICI FEDELI AI SAVOIA.
Non si trattò nel XV secolo di fenomeni isolati: per esempio la REPUBBLICA si era adoperata a riprendere il pieno controllo di AIROLE in VAL NERVIA temendo che i Savoia dopo aver posto loro teste di ponte a ROCCHETTA e PIGNA, in alta VAL NERVIA ( ed aver concluso una sorta di legame spirituale e morale coi DORIA DI DOLCEACQUA signori della Media Val Nervia grazie indubbiamente ai rapporti col CONVENTO BENEDETTINO PIEMONTESE DI S.MARIA DI DOLCEACQUA) potessero impedire il controllo tutto genovese della NUOVA VIA DEL ROIA disturbandone la potenzialità grazie ai servigi di un altro monastero loro fedelissimo, la CERTOSA DI PESIO che in AIROLE possedeva un suo PRIORATO da almeno due secoli.
I fatti di Airole avvennero tra 1430 e 1440, grossomodo nello stesso tempo avvennero a REZZO le discussioni sull'erezione di un MONASTERO.
Alla fine prevalse naturalmente la ragione politica ma la REPUBBLICA per non deludere la fede sincera degl abitanti del paese concesse loro l'erezione di un SANTUARIO.
E proprio per questi eventi si è generata l'eccezionale caratteristica del SANTUARIO DI REZZO che è l'UNICO SANTUARIO LIGURE di proprietà laica: su concessione di Genova e autorizzazione della Curia di Albenga da cui dipendeva la chiesa di Rezzo fu infatti fondato dall'UNIVERSITA' (comunità/ comune) di REZZO cui tuttora appartiene.
La costruzione dell'edificio venne stabilità dall'UNIVERSITA' DI REZZO (cioè con il concorso delle decisioni dei due terzi dei capofamiglia) il 26/XII/1444).
Il SANTUARIO venne quindi eretto sul sito ove sorgeva una Cappella dedicata alla Madonna.
Il SANTUARIO (realizzato da maestranze delle valli dell'imperiese, divenute esperte anche per l'erezione del SANTUARIO DI MONTEGRAZIE fu compiuto e consacrato dal vescovo di Albenga nel 1492.
L'impianto originale, come si può ammirare da una visita all'INTERNO DEL SANTUARIO, era a tre navate.
Di poco posteriore fu l'erezione del campanile con cuspide a tronco di piramide.
Il portico fu sovrapposto alla facciata nel XVIII secolo .
Essi rappresentano l'uomo, la vita, la morte ed il mistero della Redenzione ma si coniugano senza dubbio coi temi sotterranei della dissoluzione morale inaugurati da una certa pubblicistica, religiosa e non, già alla fine del XV secolo: l'autore tuttavia recupera, per sviluppare il tema orrorifico delle PENE INFERNALI, teme che appartengono al reale della persecuzione, religiosa e statale, della criminalità.
La ruota dell'affresco che tormenta un dannato rimanda senza dubbio alla tipologia della macchina di tortura estrema della RUOTA utilizzata dai carnefici in numerose contrade italiane.
Peraltro il recipiente di acqua bollente e i ferri dei bracieri rimandano ad altri strumenti tipici della CAMERA DELLA TORTURA.
La ronda dei Vizi capitali su vari animali tra loro legati da catene riproduce, seppur attraverso una simbologia religiosa, una pena estrema abbastanza comune nel genovesato a danno dei grandi criminali: quella di esser "AL PATIBOLO TRATTI A CODA D'UNA BESTIA".
La chiesa attuale venne edificata per un lascito di metà '700 fatto dal prete Antonio Maria Decani: la festa del SANTUARIO cui partecipano tutti gli abitanti di LAVINA e molti emigrati si tiene il 5 agosto: è interessante rammentare che sul quadro laterale dell'altare destro si vede una rappresentazione settecentesca di LAVINA.
Oltre a questo si cita anche il più modesto SANTUARIO DI S. BERNARDO sempre nei pressi di LAVINA.
La tradizione vuole che una pastorella muta pascolando il gregge, verso il XIII secolo, abbia vuta la visione della VERGINE COL BIMBO IN BRACCIO e che la MADONNA proprio a lei abbia espresso la sua volontà che le venisse in quella zona eretto una CAPPELLA.
Poiché per tale incontro la FANCIULLA fu guarita dall'infermità, suo padre si adoperò per l'erezione della CAPPELLA e la
CAPPELLA INTITOLATA A S.MARIA DELLE GRAZIE venne realizzata (essa custodiva la pietra sulla quale sarebbe apparsa la MADONNA): tuttora sorge sul piazzale dove verso il 1450 venne costruito l'attuale tardogotico SANTUARIO DI MONTEGRAZIE il cui principale "gioiello" fu il prezioso POLITTICO (metri 2,33 per 2,46) effigiante La Madonna. il Bambino e Santi, attribuito a CARLO BRACCESCO (1478) , per motivi di sicurezza, attualmente sistemato nella parrocchiale del paese ( l'opera -la sola datata e firmata dall'artista- è stata sottoposta per due anni ad un delicato restauro a cura del laboratorio dei fratelli astigiani Nicola, quindi la domenica del 21 aprile 2002 è stata riportata nel paese ed esposta nella sede originaria -sull'altare maggiore- dove è stata esposta al pubblico per la giornata prima di esser riportata nella più sicura dimora della parrocchiale).
L'INTERNO del Santuario di Montegrazie è variamente AFFRESCATO e nella sua descrizione ha rivelato, come al solito con maestria, G. Meriana studioso di questo argomento precisando che anche le due immagini del SANTUARIO qui proposte sono state recuperate dal suo lavoro La Liguria dei Santuari.
Qui può interessare il fatto che, secondo la tradizione della BIBBIA DEI POVERI propria dei SANTUARI MEDIEVALI, sulla parete di sinistra del SANTUARIO sia raccontata la sorte dell'uomo di rimpetto alla morte e che l'artista, a testimonianza dell'incupirsi dei tempi, rappresenti i dannati come IMPALATI secondo una tecnica di morte non applicata nell'Occidente cristiano ma introdottavi dopo il terrificante urto col mondo dei TURCHI.
L'orrore per questo genere di morte fu così radicato nel mondo cristiano -Liguria compresa- da fornire adito a tante leggende ma anche a mascherare nella favola nera del terrore la storia reale del CONTE VLAD DETTO L'IMPALATORE (DRACUL) per aver rovesciato contro i Turchi che gli avevano massacrato la famiglia questa loro terribile forma di condanna a morte.
L' (nella parte absidale si individuano tuttora tracce murarie dell'XI secolo)nel '500 secolo fu ampliato e portato a tre navate, quindi Giovan Battista e Giacomo Filippo Marvaldi, nel XVIII secolo, lo trasformarono in un complesso ad unica navata.
Interessanti sono gli AFFRESCHI tardoquattrocenteschi della chiesa ma l'immagine oggetto di venerazione è una MADONNA lignea del XV secolo forse di scuola provenzale: essa si trova in una nicchia presso il terzo altare di destra ed è circondata da una tela (opera di Batta figlio di Agostino Casanova) che rappresenta i MISTERI DEL ROSARIO, SAN PIO V, DOMENICO E CATERINA DA SIENA E LA SCENA DEL MIRACOLO DEL 1562.
L'ultima rappresentazione sarebbe la commemorazione di un miracolo avvenuto nel 1562 quando i MILIZIANI TURCHESCHI, che saccheggiavano il Ponente Ligure, rapirono la Santa Immagine ma non poterono portarla sulle loro navi poiché il carro sulla quale l'avevano depositata inspiegabilmente si bloccò.
La tradizione vuole che per evitare vendette di famiglia, visto che si era scoperta una sua storia d'amore con una gentildonna genovese il famoso pittore si sia rifugiato nel Ponente Ligure e tra l'altro nel paesino di MOLTEDO D'IMPERIA: qui, per commerorare e ricordare all'eternità le fattezze dell'amata, realizzando la tela della SACRA FAMIGLIA, le attribuì alla VERGINE.
Molto si discute su questo quadro, già rubato e poi recuperato per tronare alla sua sede originale, ma è doveroso ricordare che, se è vero quanto PADRE VITALIANO MACARIO scrisse sul LIBRO DEL S.CROCE che forse un altro quadro del pittore fiammingo fu realizzato durante questa sorta di esilio poi commercializzato ed infine andato ad ornare la CHIESA INTITOLATA ALLA S.CROCE nel comune di San Biagio.
La prima parte del toponimo è infatti PIEVE che nella dizione locale suona come A CEVE quindi la PIEVE per antonomasia.
Col termine PIEVE nel CRISTIANESIMO ORIGINARIO si indicava storicamente, all'interno di una DIOCESI CRISTIANA, una STRUTTURA BATTESIMALE MINORE: la notazione è importante perchè rende possibile iscrivere dalle prime organizzazioni cristiane in Liguria la dipendenza di PIEVE DI TECO dalla grande DIOCESI DI ALBENGA in cui l'ISTITUTO PIEVANO fioriva alla maniera tipicamente italica e non alla DIOCESI DI VENTIMIGLIA la cui straordinaria conformazione già segnalata da N.Calvini di DIOCESI SENZA ORGANISMI PIEVANI la trasformava in un COMPLESSO GIURISDIZIONALE DI TRANSIZIONE tra AMBIENTE ITALICO ed AREA GALLICANA sì da replicare in AMBITO AMMINISTRATIVO RELIGIOSO la caratteristica di AREA DI PASSAGGIO TRA DUE AMBIENTI ETNICI E CULTURALI DIVERSI tipica, nell'ambito dell' IMPERO DI AUGUSTO, delle PROVINCE OCCIDENTALI DELLA ALPI e dell'ESTREMO CONFINE OCCIDENTALE D'ITALIA reso in qualche modo caratteristico dalle particolari caratteristiche del MUNICIPIO DI ALBINTIMILIUM particolarmente se viste in relazione al MESSAGGIO POLITICO-CULTURALE emesso dal TROFEO DELLA TURBIA.
La Petracco Sicardi (nel suo intervento su PIEVE DI TECO nel DIZIONARIO DI TOPONOMASTICA edito dalla UTET di Torino) giustamente, come al solito, usa prudenza e oscilla fra due ipotesi: suppone ciè che il termine possa derivare da una base ligure indoeuropea o che possa derivare dal greco "TEIKOS" nel senso di "MURO DI DIFESA".
Nino Lamboglia, forse meno prudente, sapeva però spesso dare il via ad ipotesi lungimiranti: senza soffermarsi troppo sui "distinguo" che di frequente non concludono interpretava senza esitazioni TECO come un derivato da TEIKOS e sosteneva la sua ipotesi con osservazioni di strategia e di topografia per nulla peregrine: alla logica dell'arte bellica greco-bizantina stava infatti la possibilità -come scrisse l'illustre archeologo- che fosse stata organizzata una postazione militare greca sul colle sovrastante il paese proprio dove sarebbe poi stato eretto il castello dei Clavesana.
Questa osservazione si rafforza peraltro alla luce di quanto lo stesso Lamboglia individuò per CAMPOMARZIO DI VALLE ARGENTINA e per quanto si va osservando in merito alle ORIGINI del CASTELLO COMITALE di DOLCEACQUA.
Se poi si fa cenno alla peculiare logistica, in tapporto al centro di PIEVE DI TECO, dei paesi di ARMO e di TORRAZZA (in riferimento soprattutto alla frazione di CALVI) [oltre al fatto che verisimilmente la vicina località di PORNASSIO era ancora un importante insediamento romano innestato sulla VIA DEL NAVA] si forgia davvero l'idea di un complesso organismo bizantino che risaliva la VALLE DEL PRINO per incentrare il suo cuneo difensivo verso l'Oltregiogo nella VALLE D'ARROSCIA, nell'area soprattutto di COSIO D'ARROSCIA.
A tale data ricorre la fondazione del paese fatta attorno alla PIEVE, ad un POZZO e ad un MULINO in quel sito della pianura dell'importante VALLE che vede confluire le strade della zona destinate a superare il NAVA ed a procedere verso il PIEMONTE.
La ragione che presiedette a questa scelta fu chiaramente di natura mercantile e commerciale, fatta in un momento storico, in cui, spegnendosi lentamente col medioevo la sua economia chiusa e curtense, si scopriva la nuova esigenza di scambi commerciale
Dopo le esperienze del MERCATO APERTO ROMANO il principio dei viaggi e dello sfruttamento degli antichi percorsi fu dapprima intrapreso dai BENEDETTINI e quindi praticato anche da CROCIATI e CAVALIERI oltre che da PELLEGRINI DI FEDE.
Su questo percorso si sarebbero comunque presto innestati i MERCANTI TARDO MEDIEVALI sì che PIEVE DI TECO divenne un'importante piazza mercantile ed una sede di manifatture della carta, delle calzature, del sapone, delle corde, del panno e del cuoio: per tale mercato, da una carta del XVI secolo, si apprede che passò una certa quantità di involti di carta prodotta dalla CARTIERA DEI DORIA DI ISOLABONA (forse per l'alto quantitativo e l'ingombro delle merci non ci si era potuti servire del meno comodo tragitto della VIA DELLE NEVI DEL NERVIA).
Da queste note è chiaro che molte potenze ambirono a controllare la piazza commerciale di PIEVE DI TECO.
Dapprima essa fu un possedimento dei CLAVESANA anche se il borgo già a fine XIV secolo (precisamente nel 1386) sarebbe entrato a far parte del DOMINIO DI GENOVA.
Naturalmente l'area non mancò di essere causa di altre interferenza, soprattutto ad opera dei SAVOIA in piena espansione dal PIEMONTE verso la costa: soprattutto nel 1600, precisamente nel 1625 e quindi nel 1672 l'area fu al centro di grossi scontri tra GENOVA E PIEMONTE in cui cominciarono a far prova gli ESERCITI DELL'ETA' MODERNA.
Dopo gli EVENTI POLITICI E MILITARI DEL XVIII SECOLO E DEI PRIMI DEL 1800 la piazza mercantile e viaria di PIEVE fin a quando entrò fra i possessi del REGNO DI SARDEGNA dopo che fu soppressa, coi deliberati del Congresso di Vienna, la vecchia REPUBBLICA DI GENOVA, conobbe straordinari e terribili momenti storici che sostanzialmente si possono enuclerae nelle seguenti tematiche:
-I FRANCESI INVADONO LA LIGURIA: LE SPEDIZIONI VERSO L'ONEGLIESE, LA VALLE DELL'ARROSCIA, LA VIA DEL NAVA
-L'ASTRO DI NAPOLEONE
-La PRIMA CAMPAGNA D'ITALIA
-la SECONDA CAMPAGNA D'ITALIA
-La DOMINAZIONE FRANCESE
-La RESTAURAZIONE E DOMINAZIONE SABAUDA FIN ALL'UNITA'.
-La MANCATA REALIZZAZIONE DELLA LINEA FERROVIARIA ONEGLIA-TORINO
-La CITTA' DI ONEGLIA E LA LIGURIA NEI PROBLEMI DELL'ITALIA POSTUNITARIA
Il GROSSO PAESE risulta distinto in due parti dalla VIA CENTRALE PORTICATA su cui davano sia i negozi degli artigiani che le case di nobiltà ed alta borghesia locale: particolarmente interessante è a questo proposito il tratto dei PORTICI DI VIA PONZONI opera di maestranze locali del XIV-XV secolo.
Tra le famiglie che hanno residenza in quest'area privilegiata si possono citare i Clavesana, i Ventimiglia, i Linguilia, i Borelli (il cui palazzo ha dato poi la sede all'attuale Municipio), e l'OSPEDALE DI S.LAZZARO (una delle numerose strutture decentrate appartenenti al SISTEMA SANITARIO ASSISTENZIALE DELLA REPUBBLICA DI GENOVA contraddistinto da un caratteristico PORTALE.
La CHIESA sta in una zona anticamente paludosa alla confluenza tra i corsi dell'Armo e dell'Arogna.
Inizialmente qui era solo un PILONE in cui era custodita un'immagine della VISITAZIONE: fu eretto da certo Antonio Aicardo di Pieve di Teco.
In seguito il nobile locale Giovanni Domenico Ferrero fece edificare una cappella ottagonale.
La chiesa attuale risale al '700: ricalca vagamente uno stile classicheggiante, che spicca soprattutto per la caratteristica dei due avancorpi aggettanti e porticati, e suscita incredibili sensazioni di pace per la quieta della natura incontaminata in cui è inserita tra boschi, laghi, sorgenti.
La struttura era quella di una fabbrica maestosa a tre
navate, con absidi rettangolari tipiche del
tardo gotico caratteristico del ponente ligure.
A sinistra furono aggiunte
in un secondo tempo una
quarta navata e numerose cappelle gentilizie .
Secondo la tradizione sarebbe stata eretta nel 1234,
ma gli specialisti moderni, documentati anche dal rinvenimento di una
lapide, tendono a postdare l'edificazione al 1333.
La chiesa comunque, verso la fine del XVIII secolo ha subito una ristrutturazione tale da lasciare sempre aperti degli interrogativi sulla lettura genuina del suo primitivo assetto architettonico.
Nell'anno 1785, dato il decadimento dell'edificio avvalorato da perizi di mastri carpentieri, superati i contrasti tra le "fazioni" createsi fra
restauratori e innovatori, quasi interamente il corpo della chiesa fu abbattuto.
Alcune tracce della vecchia parte absidale sono riemerse
nella spazio della
canonica, a destra dell'odierna fronte della nuova
chiesa. Sullo stesso luogo dell'antico edificio sacro, tra 1785 e 1806, su
progettazione dell'architetto Gaetano Cantoni, venne realizzata la
nuova collegiata a una sola navata, di stile neoclassico,
opera che a detta degli specialisti presenta significativa originalità.
La fabbrica ha una stretta facciata
con ambulacro e protiro che poggia su dei pilastri ricavati da pietra locale.
Tre archivolti
sostengono quindi la grande cupola che s'innalza dietro il
campanile.
Le pareti sono invece sorrette da una sequenza armonica di yrentadue colonne a capitello corinzio
.
Cupola e archivolti sono poi abbelliti con pitture del genovese Michele
.
La soluzione per il grande edificio di una
pianta centrale a triangolo fu quasi
certamente suggerita dalla necessità di utilizzare completamente lo
spazio a disposizione.
Un altro edificio interessante è poi il TEATRO CIVICO, con cupola rinascimentale, ricavato in un'ala del CONVENTO DELLE MONACHE AGOSTINIANE.
Essa risponde alle caratteristiche dell'architettura ligure tardo-gorica come si può notare dalle colonne in pietra nera, dai capitelli stilizzati, dagli archi ogivali e a doppia ghiera.
E' inoltre completamente rivestita, negli archi e nelle pareti, di stucco dipinto a fasce bianche e nere, coi muri parzialmente affrescati.
La sua abside è quadrangolare.
N.Lamboglia scrisse di questa chiesa nei Monumenti del Ponente Ligure (Torino, 1970, p.107):"[la chiesa] non possiede più la facciata, conglobata nelle posteriori sovrastrutture dell'Oratorio di S.Giovanni: l'ingresso principale fu probabilmente quello laterale, rivolto verso il borgo e ancor oggi contrassegnato da un grande portale gotico; ha pure quasi integro il campanile, tipico del secolo XV, bisognoso tuttavia di vivere in armonia con la chiesa e la sua architettura, ripristinando i suoi tre piani di bifore che danno il tono al paesaggio della valle".
Pervenne quindi ai SAVOIA da cui giunse in feudo ai DORIA nel 1575, seguendo in pratica le vicende di BORGOMARO capitale del Dominio feudale.
Il paese originario sorse probabilmente più in altura rispetto all'odierno: quasi di sicuro raggruppato intorno all'edificio sacro della romanica CHIESA DI S.ANDREA.
Questa ricostruzione ha indotto alcuni storici a dare una particolare spiegazione del nome del paese.
Il Lamboglia per esempio, sviluppando un confronto con la topografia ed il nome di APRICALE in VALLE DEL NERVIA, ha ipotizzato che AURIGO derivi il nome dalla base APRICUS nel senso di "SOLATIO": ed indubbiamente osservando la posizione di AURIGO uno spettatore moderno ha l'impressione di osservare davvero un sito esposto nel miglior modo possibile ai raggi del sole e quindi ideale per la vita agreste di relazione e di produzione.
Tuttavia per quanto suggestiva l'ipotesi si scontra con certe norme della linguistica e della toponomastica ligure: infatti sarebbe anomala l'evoluzione del gruppo APR- nel gruppo AVR-.
Siffatta osservazione ha indotto altri studiosi tra cui la glottologa Petracco Sicardi ad ipotizzare -quasi certamente essendo nel giusto- che il moderno AURIGO sia un derivato dal nome di persona germanico AURIGIS e che si sia sviluppato alla maniera di molti altri toponimi di siffatto genere, seguendo la tipologia: CASTRUM AURIGIS>AURIGO.
Questa valutazione sembrerebbe peraltro avvalorata da un confronto storico.
Il paese si è infatti evoluto in un'area di alta importanza strategica laddove i BARBARI hanno lasciato significative tracce (onomastiche, toponomastiche ed insediative) della loro presenza, soprattutto dei tempi in cui qui esercitavano pressione militare e demografica contro il SISTEMA DIFENSIVO in tempi diversi attivato dai BIZANTINI, che per ultimi contesero agli ultimi "Barbari invasori", i LONGOBARDI, l'accesso definitivo alle terre italiche, come la LIGURIA, non ancora cadute sotto il loro DOMINIO.
Oltre queste congetture AURIGO, come molte altre località non offre segnali peculiari che permettano di inquadrare meglio la sua genesi.
A prescindere dalla chiesa romanica di cui si è detto (e fatta naturalmente eccezione per i reperti del CASTELLO come della sua evoluzione quattrocentesca, cioè il PALAZZO DE GUBERNATIS) gli altri edifici pubblici sono decisamente recenti.
e' attualmente il capoluogo della VALLE DEL MARO che popola assieme alle sue sette frazioni:
S. Lazzaro Reale,
Candeasco,
Maro Castello,
Ville
San Sebastiano, Ville San
Pietro, Conio e San
Bernardo di Conio.
Nel medioevo BORGOMARO fu noto come CASTRO DE MACRO cioè una stazione militare dei CONTI DI VENTIMIGLIA.
La II parte del nome è sicuramente una base linguistica preromana che è da collegare a nomi di fiumi o idronimi (MACRA) per cui il senso originale del nome di questo luogo era LUOGO FORTIFICATO DEL MARO: e sulla sua esistenza si hanno dati certi dal XII secolo.
Il BURGO MACRI invece è piuttosto tardo (comparve nel 1583) e stava ad indicare l'insediamento non militare ma agricolo formatosi in rapporto al centro fortificato e comunque sopravvissuto anche all'estinzione di quest'ultimo.
La storia del paese è comunque legata ad alcuni elementi base>: il primo è la COLTURA DELL'OLIVO (e non si può dimenticare che nella frazione di VILLE S.PIETRO è nato PIER VINCENZO MELA colui che inventò la procedura di lavaggio delle "sanse", cioè dei residui della prima spremitura delle olive, in modo da ottenere dall'ulteriore spremitura altro prodotto).
Il II elemento è la stretta relazione del paese con la VIA REGIA DEL PIEMONTE e naturalmente con tutto il complesso di percorsi della MEDIA VALLE DEL MARO sin ad entrare in stretta relazione con la VIA DI NAVA.
La convergenza di questi due elementi ha finito per qualificare BORGOMARO con lka secolare storia del commercio dell'olio d'oliva nel territorio pedemontano.
L'edificio odierno risale infatti al XVIII secolo ma è il risultato di varie ricostruzioni e ristrutturazioni di una chiesa del XVI secolo.
La devozione popolare raggiunge l'acme il giorno della festa del Santo il 29 giugno quando la popolazione si reca a venerare la bella IMMAGINE DI S.PAOLO (eseguita fra il 1567 e il 1569 da Giulio De Rossi su incarico dei Massari della Chiesa Domenico Rolando e Andrea Pellegrino): in tale occasione la festa popolare è davvero splendida caratterizzata da elementi del folklore locale e dall'accensione esaugurale di grandi falò.
LE ORIGINI E LO SVILUPPO NELLA CIVILTA' DI ROMA
UNA DISCUSSA INFLUENZA GRECA-MASSALIOTA LETTA "ATTRAVERSO LA STORIA MILLENARIA DELL'OLIVO"
DA CAPO BERTA AD ONEGLIA: RICOSTRUZIONE DEL TRAGITTO DELLA VIA ROMANA
PONTI ROMANI NEL TERRITORIO DI ONEGLIA
GLI ENIGMI ED IL FASCINO DEL "FLUMEN UNELIE"
SCHEMA SCRITTOGRAFICO DELLO SVILUPPO DEI TRAFFICI E DELLE ROTTE MARINARE: REPERTI RICONSEGNATI DAL MARE "IMPERIESE"
LA CADUTA DELL'IMPERO ROMANO: L'AVVENTO DEI BARBARI
DIFFUSIONE DEL CRISTIANESIMO DELLE ORIGINI IN LIGURIA OCCIDENTALE
VI SECOLO, LA GUERRA GRECO-GOTICA E LA LIBERAZIONE DELLA LIGURIA DAI BARBARI
PRIMO SCHERMO DIFENSIVO BIZANTINO NELL'ONEGLIESE: LA "BASE DI CLAVI (TORRAZZA)
LE SENTINELLE DA SETTENTRIONE: ARMO E PIEVE DI TECO A GUARDIA DELLE VALLI, DI PONTEDASSIO E DELLA VIA DEL NAVA
IL CASTRUM ORIGINARIO: LA MITOLOGIA DEL "CASTELVECCHIO" E UN'IPOTESI DI CENTRALISMO STRATEGICO DEL CASTRUM
I "SECOLI DI FERRO": ORGANIZZAZIONE DEL TERRITORIO ONEGLIESE DAL 1000 D.C.
STORIA DUECENTESCA DI ONEGLIA E DELLA SUA VALLE: I FONDAMENTI AMMINISTRATIVI
FINE DEL DOMINIO FEUDALE DEI VESCOVI DI ALBENGA SU ONEGLIA E TERRITORIO: L'AVVENTO DELLA CASATA DEI "DORIA".
IL PASSAGGIO DI ONEGLIA E DELLA SUA VALLE AL PIEMONTE: GRAVI CONSEGUENZE POLITICHE E DIPLOMATICHE
FIORITURA QUATTROCENTESCA DI ONEGLIA E DEL SUO TERRITORIO VALLIVO
STATUTI DEI DORIA DELLA VALLE DI ONEGLIA
VIAGGIO MULTIMEDIALE NELLA VIRTUALITA' DI UNA CARTA SEICENTESCA DI ONEGLIA
1600: PRIMA GUERRA TRA GENOVA ED IL PIEMONTE
SECONDA GUERRA NEL XVII SEC. TRA PIEMONTE E REPUBBLICA: IL MOMENTANEO TRIONFO REPUBBLICANO E LA BREVE OCCUPAZIONE GENOVESE DI ONEGLIA
LA SETTECENTESCA GUERRA DI SUCCESSIONE AL TRONO IMPERIALE: IL TORMENTATO FRONTE DEL PONENTE LIGURE
INARRESTABILE AVANZATA DELL'ARMATA SPAGNOLA DEL LAS MINAS: IL CASTELLO DI DOLCEACQUA E' DISTRUTTO, ONEGLIA VIENE CONQUISTATA E TOLTA AI SAVOIA
RIPRESA DELLE FORZE AUSTROSARDE: DA ONEGLIA PARTE LA CONQUISTA DEL PONENTE LIGURE
-LA RIVOLUZIONE FRANCESE
I FRANCESI INVADONO LA LIGURIA: LE SPEDIZIONI VERSO L'ONEGLIESE, LA VALLE DELL'ARROSCIA, LA VIA DEL NAVA
L'ASTRO DI NAPOLEONE
La PRIMA CAMPAGNA D'ITALIA
la SECONDA CAMPAGNA D'ITALIA
La DOMINAZIONE FRANCESE
La RESTAURAZIONE E DOMINAZIONE SABAUDA FIN ALL'UNITA'.
ONEGLIA: DEFINIZIONE DEL LIMITE CONFINARIO CON PORTO MAURIZIO
-La MANCATA REALIZZAZIONE DELLA LINEA FERROVIARIA ONEGLIA-TORINO
-La CITTA' DI ONEGLIA E LA LIGURIA NEI PROBLEMI DELL'ITALIA POSTUNITARIA
La glottologa Petracco Sicardi, seppur con un lieve punto di domanda, ritiene che la prima citazione nota del piccolo paese si trovi in un documento del 1275 quando vi si cita un tal OBERTUS SIMUNDUS DE ARAMO: le attestazioni assolutamente sicure risalgono invece al XVI secolo in documenti in cui si trova la dicitura ALMO.
Secondo quanto scrive la stessa studiosa a riguardo di questo centro montano il nome potrebbe essere di origine preromana, connesso alla CIVILTA' LIGURE o, ancor più probabilmente all'ambiente CELTICO di cui non son mancate testimonianze nelle valli del Ponente Ligure, per esempio nella BASE "SACRALE" DI DOLCEACQUA: in questo caso il nome di luogo del paese, cioè il toponimo, potrebbe doversi connettere o al nome personale celtico ARAMO od al nome ARAMON proprio di una divinità celtica del Gard.
Alternativamente il toponimo avrebbe potuto originarsi al tempo delle invasioni dei BARBARI e derivare semmai dal nome personale germanico ARMO.
La citata Petracco (nel suo contributo alla voce ARMO nel DIZIONARIO DI TOPONOMASTICA edito dalla UTET di Torino) avanza però un'ulteriore ipotesi, che cioè il toponimo possa invece, in ambito ligure, costituire una variante maschile del termine ARMA nel senso di GROTTA.
Per quanto l'argomento sia estremamente difficile forse, oltre che la più suggestiva, l'ultima ipotesi può anche essere confortata da una serie di acquisizioni storiche e topografiche.
Dopo le invasioni dei BARBARI, l'imperatore GIUSTINIANO signore di BISANZIO o COSTANTINOPOLI, cioè dell'IMPERO ROMANO D'ORIENTE (detto anche IMPERO BIZANTINO), e parte superstite dell'antico IMPERO DI ROMA, riuscì a riconquistare molti territori già caduti nelle mani dei barbari.
Tra queste conquiste, al termine della GUERRA GRECO-GOTICA, le truppe di Bisanzio rioccuparono l'ITALIA.
Altri Barbari sarebbero però scesi nella penisola per far razzia e tra questi in particolare i LONGOBARDI.
L'avanzata di questo popolo germanico fu inarrestabile e l'IMPERO DI BISANZIO potè conservare solo alcune basi in ITALIA.
Tra queste vi fu la LIGURIA MARITIMA che fu possibile difendere servendosi delle vecchie fortificazioni di COSTANZO e, sul mare grazie alla potente FLOTTA GRECA e al restauro che dei porti abbandonati della regione fece l'imperatore TIBERIO MAURIZIO.
Non è stato facile ridisegnare le linee del SISTEMA DIFENSIVO BIZANTINO IN LIGURIA OCCIDENTALE: uno dei cardini di forza stava certamente nell'area di TAGGIA e verisimilmente nel blocco fortificato di CAMPOMARZIO.
Ormai è noto che i BIZANTINI per agevolare i lor rapporti da un lato favorirono l'avvento di MONACI EREMITI DI TRADIZIONE ORIENTALE e che dall'altro per non urtarsi con le DIOCESI ITALIANE, e far accettare questa migrazione da loro caldeggiata di MONACI ORIENTALI, furono prodighi di DONI ALLA CHIESA.
Non lungi dal CAMPOMARZIO DI TAGGIA, non a caso si trova il toponimo ARMA poi esteso all'importante cittadina litoranea di ARMA DI TAGGIA.
Se accettiamo, con gli ultimi studi e seguendo la logica della strategia militare bizantina tesa al controllo dei valichi, notiamo subito, come per l'area tra TAGGIA ed ARMA, la convergenza tipologica.
Vicino alla base di PIEVE DI TECO, quasi certamente postazione bizantina di frontiera a guardia del PASSO DI NAVA, non giunge pertanto improbabile la persistenza del toponimo ARMO, connesso al concetto di GROTTA EREMITICA vista la consuetudine bizantina di intensificare l'insediamento, a fianco delle loro truppe, di queli insediamenti MONASTICI ORIENTALI di cui si è detto, preposti -sotto il profilo politico- a divulgare tra le popolazioni indigene la cultura bizantina e contemporaneamente impegnati nelle conversioni di massa dei Barbari disertori.
Pervenne quindi ai SAVOIA da cui giunse in feudo ai DORIA nel 1575, seguendo in pratica le vicende di BORGOMARO capitale del Dominio feudale.
Il paese originario sorse probabilmente più in altura rispetto all'odierno: quasi di sicuro raggruppato intorno all'edificio sacro della romanica CHIESA DI S.ANDREA.
Questa ricostruzione ha indotto alcuni storici a dare una particolare spiegazione del nome del paese.
Il Lamboglia per esempio, sviluppando un confronto con la topografia ed il nome di APRICALE in VALLE DEL NERVIA, ha ipotizzato che AURIGO derivi il nome dalla base APRICUS nel senso di "SOLATIO": ed indubbiamente osservando la posizione di AURIGO uno spettatore moderno ha l'impressione di osservare davvero un sito esposto nel miglior modo possibile ai raggi del sole e quindi ideale per la vita agreste di relazione e di produzione.
Tuttavia per quanto suggestiva l'ipotesi si scontra con certe norme della linguistica e della toponomastica ligure: infatti sarebbe anomala l'evoluzione del gruppo APR- nel gruppo AVR-.
Siffatta osservazione ha indotto altri studiosi tra cui la glottologa Petracco Sicardi ad ipotizzare -quasi certamente essendo nel giusto- che il moderno AURIGO sia un derivato dal nome di persona germanico AURIGIS e che si sia sviluppato alla maniera di molti altri toponimi di siffatto genere, seguendo la tipologia: CASTRUM AURIGIS>AURIGO.
Questa valutazione sembrerebbe peraltro avvalorata da un confronto storico.
Il paese si è infatti evoluto in un'area di alta importanza strategica laddove i BARBARI hanno lasciato significative tracce (onomastiche, toponomastiche ed insediative) della loro presenza, soprattutto dei tempi in cui qui esercitavano pressione militare e demografica contro il SISTEMA DIFENSIVO in tempi diversi attivato dai BIZANTINI, che per ultimi contesero agli ultimi "Barbari invasori", i LONGOBARDI, l'accesso definitivo alle terre italiche, come la LIGURIA, non ancora cadute sotto il loro DOMINIO.
Oltre queste congetture AURIGO, come molte altre località non offre segnali peculiari che permettano di inquadrare meglio la sua genesi.
A prescindere dalla chiesa romanica di cui si è detto (e fatta naturalmente eccezione per i reperti del CASTELLO come della sua evoluzione quattrocentesca, cioè il PALAZZO DE GUBERNATIS, gli altri edifici pubblici sono decisamente recenti.
Come la Parrocchiale che risale al XVIII secolo o la Chiesa di S.Paolo
Fra questi documenti si puà studiare un atto notarile del 1279 che elencava, fra i beni in eredità da un milite genovese, una "bariscella una plena de macaronis", vale a dire una cestella piena di maccheroni.
E' la prima testimonianza dell'esistenza della pasta secca e risale a ben 13 anni prima del ritorno dall'Asia di Marco Polo, che si credeva il responsabile della sua
introduzione in Europa.
Altra convinzione, era quella che la pasta si fosse diffusa fra gli strati più poveri della popolazione.
Al contrario, su un antico volume si è scoperta l'esistenza , nel 1700 a Londra, di un circolo di aristocratici denominato "Macaroni Club" dove tale termine indicava le persone "fini, eleganti, capaci di consumare cibi esotici ed a cui si attribuiva un pizzico di snobismo".
A Napoli, considerata la patria dei maccheroni, nel 1600 la pasta rappresentava un cibo di lusso; infatti in una piccola incisione dell'epoca i napoletani erano definiti "mangiabroccoli" o "mangiafoglie" e solo nel 1700, come dimostra un acquerello originale, il napoletano cominciò ad essere raffigurato come mangiatore di pasta.
Pare comunque che non siano i napoletani gli inventori della pasta, e neppure i cinesi, come molti credono, ma gli arabi che chiamavano con il nome di "itrija" un impasto di semola seccato e cotto che aveva lo scopo di conservare il cibo per garantire l'alimentazione ai nomadi.
Gli Arabi diffusero poi tale prodotto nei paesi da loro conquistati e probabilmente furono i Genovesi a diffondere in Italia la tecnica di produzione (ancor oggi "tria" in dialetto ligure significa pasta probabilmente dalla derivazione del nome arabo dato all'impasto).
Un fatto curioso risale al 1930, quando, sulla Gazzetta del Popolo di Torino Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Movimento futurista scriveva: "...crediamo anzitutto necessaria l'abolizione della pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana".
Queste parole seguivano la politica del tempo, orientata a promuovere il consumo di riso in sostituzione della pasta per la quale occorreva importare grandi quantità di grano duro.
Vincenzo Agnesi rispose allora con grande senso dell'humour, esponendo nel suo museo, a fianco di questo documento, una foto dello stesso Marinetti intento a divorare un enorme piatto di spaghetti in un noto ristorante milanese.