VIAGGIARE NEI LUOGHI SANTI...E SOPRATTUTTO PERCHE' TANTA IMPORTANZA "VIARIA" DEL PONENTE LIGURE PER QUESTI PELLEGRINAGGI?

-IL PELLEGRINAGGIO DI FEDE

-PRIME MANIFESTAZIONI DI PELLEGRINAGGIO NELLA CRISTIANITA'

-CARATTERE ECUMENICO DEL PELLEGRINAGGIO CRISTIANO

-LE GESTA DEI CROCIATI COME VIATICO PER I PELLEGRINAGGI DELLA FEDE: LA RICERCA DELLE SANTE RELIQUIE (DAL "GRAAL" AL "SACRO CATINO")

-IL PELLEGRINAGGIO DI FEDE E LA SUA AMPLIFICAZIONE ATTRAVERSO L'ISTITUTO DELLE INDULGENZE NEL CONTESTO DEL TRIREGNO (VALENZA DOCUMENTARIA E SPIRITUALE DEL CONVENTO AGOSTINIANO DI VENTIMIGLIA)

-VALENZA SOCIALE DEL PELLEGRINAGGIO CRISTIANO

-IL PELLEGRINAGGIO DI FEDE ALLA BASE DELLA RISCOPERTA DEL CONCETTO DI ASSISTENZA MEDICA E SANITARIA

-VALORE GEOPOLITICO DEL PELLEGRINAGGIO DI FEDE

-PELLEGRINI COME SOLDATI DELLA CIVILTA' CRISTIANA: LA "LOTTA AI DEMONI" PER LA RICONQUISTA DEGLI SPAZI ESISTENZIALI

-DEMONI, PECCATI E PELLEGRINI: IL PELLEGRINAGGIO COME FUGA FISICA E SPIRITUALE DAL PECCATO

-LE RAGIONI PRIMARIE DEL PELLEGRINAGGIO CRISTIANO: L'"OSPEDALE DI VIA" COME SIMBOLO DEL PELLEGRINAGGIO DI FEDE

-I POTENTI ED IL PELLEGRINAGGIO NELL'ETA' INTERMEDIA

-COMPLESSITA' SOCIALE DEL PELLEGRINAGGIO POPOLARE E BORGHESE NELL'ETA' INTERMEDIA

-IL "PELLEGRINO DI FEDE": COME RICONOSCERLO

-ESEMPLIFICAZIONE DEL TIPO DI GIUSTIZIA CIVILE E PENALE CUI DOVEVANO SOTTOSTARE NEI LORO VIAGGI I PELLEGRINI DELLA FEDE

-(IL) PELLEGRINO DI FEDE: LA MEMORIA E IL TEMPO NELL'ETA' INTERMEDIA

-"OSPIZI-OSPEDALI-OSPITALI" COME CARDINI DEL PELLEGRINAGGIO DI FEDE: FIORITURA DI OSPEDALI NEL TERRITORIO TRA VENTIMIGLIA E BORDIGHERA

-UNA "MEDICINA" IMPORTATA DA TEMPLARI E PELLEGRINI DI FEDE: LA "MUMMIA"

-UNA "MEDICINA" RICERCATA DA TEMPLARI E PELLEGRINI DI FEDE: IL "SILFIO"

-"MEDICINA PROFILATTICA" IMPORTATA DA TEMPLARI E PELLEGRINI

-LE "VIE DI TERRA" E L'IMPORTANZA DEI PONTI: IL PONTE ANTICO SUL ROIA E IL PONTE IN LEGNO SUL NERVIA.

-LE MOLTEPLICI VIE DEI PELLEGRINI VERSO I LUOGHI SANTI

-LE "VIE DI MARE": GLI APPRODI TRA VENTIMIGLIA E TERRITORIO DELLE "DIANO"".

-ROTTE DI MARE E STRADE VERSO I "LUOGHI SANTI": MAPPA DEI TRAGITTI PER LA TERRASANTA, ROMA E I SANTUARI DELLE SPAGNE.

-PELLEGRINI E MARINERIA: LA MARINERIA GENOVESE, DA GUERRA E NON, E LE NAVI DI PELLEGRINI E CROCIATI.

-A VENTIMIGLIA, "BORDIGHERA", "VALLECROSIA" E AD "OSPEDALETTI" RICOVERI E APPRODI PER PELLEGRINI IN ROTTA PER GENOVA E DA LI' PER ROMA, LA TERRASANTA E GERUSALEMME

-IL PELLEGRINAGGIO A S.GIACOMO DI COMPOSTELA

-PELLEGRINAGGI VERSO IL SANTUARIO SPAGNOLO DI MONTESERRAT

-PELLEGRINAGGI VERSO MONTSERRAT e SANTIAGO: LA VIA MARITTIMA "GENOVESE" DI TORTOSA

-BONIFACIO VIII: DECADENZA E TRIONFO DEL PELLEGRINAGGIO A ROMA

-IL MOMENTO STRAORDINARIO DEL "GIUBILEO" OD "ANNO SANTO"

-ARCAICHE TRADIZIONI DEVOZIONALI PRECRISTIANE NEL PONENTE LIGURE DELLA "CULTURA DEI PELLEGRINEGGI: DAL CULTO DI "APOLLO PROTETTORE DI VIANDANTI" A QUELLO DI "S.CRISTOFORO".

-PONENTE LIGURE E PIEMONTE OCCIDENTALE: GRANDE AREA INTERREGIONALE DI METE, PARTENZE E TRANSIZIONE PER I PELLEGRINI

-STORIA MILLENARIA DELLA VIA DEI PELLEGRINI TRA VAL NERVIA E VENTIMIGLIA:

-EPOCA LIGURE;

-EPOCA ROMANA;

-EPOCA DELLE INVASIONI BARBARICHE;

-PRIMA EPOCA CRISTIANA

-L'ABBAZIA DELLA NOVALESA: IMPORTANZA DELL'"OSPEDALE DEL MONCENISIO" PER IL "PELLEGRINAGGIO VERSO ROMA".

-XI-XII SECOLO: I MONACI DELLA NOVALESA E IL GRANDE APOSTOLATO BENEDETTINO "PIEMONTESE" IN LIGURIA DOPO LE SCORRERIE DEI SARACENI.

-APPRODI, RICOVERI ED OSPIZI PER PELLEGRINI DI FEDE NELL'ESTREMO PONENTE: LE BASI PER DIVERSE METE DI FEDE


Col termine PELLEGRINAGGIO (dal latino PEREGRINATIO="VIAGGIO IN TERRA STRANIERA") si allude ad una pratica devozionale propria di tutte le religioni e consistente nel recarsi in un luogo cardine di una determinata fede onde praticarvi opere di culto per ragioni di edificazione o di pietà (in questo secondo caso con manifestazioni votive e/o penitenziali).
Nell'ambito del CRISTIANESIMO il PELLEGRINAGGIO risale fin ai primi secoli come esperienza vivificatrice dello spirito.
Le prime mete dei PELLEGRINAGGI, ai tempi dell'IMPERO DI ROMA, furono GERUSALEMME, teatro dell'opera salvifica del Cristo, e ROMA dove col loro martirio Pietro e Paolo sancirono la nascita della Chiesa Universale.
Nella fase calante dell'egemonia di Roma si diffusero però altri PELLEGRINAGGI: per esempio verso i luoghi in cui predicarono Padri della Chiesa come S.Agostino e S.Girolamo.
Una caratteristica basilare DISTINGUE da ogni altra espressione itinerante di fede il PELLEGRINAGGIO CRISTIANO.
Il PELLEGRINAGGIO CRISTIANO (come fu e viene tuttora scritto) non ha mai costituito (come il PELLEGRINAGGIO PAGANO) un PROCESSO STATICO, volto cioè ad operare esclusivamente entro lo spazio circoscritto e mistico del LUOGO SACRO, quasi che tutto il precedente movimento di opere e pensiero volto a raggiungere tal LUOGO SACRO conti poco o nulla, come CAUSA di un fondamentale EFFETTO.
La DRAMMATICA CRISTIANA -che è attività e compartecipazione- nell'atto del pellegrinaggio non privilegia infatti il concetto di LUOGO SACRO (in cui la dimensione umana si annulla in un'identificazione panteistica con cosmo ed universo) ma quello di LUOGO SANTO.
LUOGO SANTO perché la sua sacralità, per quanto oggetto di devozione, non vive di per sé, come fenomeno di astrazione dalla storia, ma è semmai iscritta in una storia e quindi in una dimensione fondamentalmente antropomorfa per quanto tesa all'ultraterreno.
Nel PELLEGRINAGGIO CRISTIANO non conta esclusivamente l'attimo ascetico di fusione con l'eternità entro il cerchio mistico del luogo sacro ma ha anche valore assoluto tutto il processo umano e quindi storico di movimento e socializzazione dei fedeli che, nell'arco completo di tutto il processo del pellegrinare, rivivono in memoria ed in carne i passi del Cristo.
Questo postulato che riconosce l'alto momento collettivo dei pellegrinaggi cristiani ha indotto M.Gorce ad affermare che per un verso il flusso del pellegrinaggio a Roma e Gerusalemme fu un processo unificatore basilare del Cristianesimo mentre, viceversa ma contestualmente, il pellegrinaggio in determinati luoghi santi d'Europa fu alla radice della formazione cristiana delle nazioni europee.
Il ragionamento è sostenuto dal fatto che, per esempio, S.MARTINO DI TOURS e S.GIACOMO DI COMPOSTELA hanno rappresentato nella coscienza collettiva e storica quei luoghi di devozione e pellegrinaggio intorno alla cui fisicità (ed idea) si è fortificata. entro i parametri ideologi e culturali della cristianità, l'IDENTITA' NAZIONALE, rispettivamente, di Francia e Spagna.
Secondo Gorce anzi tale PRINCIPIO risulta estensibile a piani diversi, per esempio a livelli di concergenze metanazionali o a parametri antropici di dimensione interregionale.
I postulati di Gorce trovano nel PONENTE LIGURE una scansione probatoria.
Da prima della romanità, nel complicato panorama di quegli ANTICHI ITINERARI che gli ingegneri di Roma avrebbero consolidato nel PIANO VIARIO GENERALE cui era sempre sottesa -in Liguria occidentale come in ogni parte del mondo conosciuto- una minore ma vitale RETE DI TRAGITTI ALTERNATIVI, un percorso ligure occidentale MARE-MONTI ha goduto di notevole continuità.
Le tracce di tale continuità si possono riconoscere tuttoggi attraverso un'analisi sul campo che permette il recupero di molteplici messaggi provenienti da epoche diverse.
Il percorso, nella sua continuità, fu già segnato in epoca preromana (e plausibilmente recuperato dalla regione ufficiale di Roma, per la presenza di BASI CULTUALI DI TRADIZIONE CELTO-LIGURE comunque connesse alla SPIRITUALITA' della cultura ligure di tipo PAGENSE.
Risalendo questo percorso MARE-MONTI, che qualche studioso ha nominato VIA DELLE NEVI ci si imbatte in una continuità di stazioni di religiosità preromana indubbiamente collegate tra loro sia per via geografica sia -e questo soprattutto è importante- per evidenti affinità elettive.
Tracce archeologiche e toponamastiche di forme devozionali pagane si trovano a DOLCEACQUA (località S.BERNARDO e SITO DI DOLCEACQUA DEL CASTELLO O BORGO ANTICO O "TERA") , sempre in VAL NERVIA presso il paese di ISOLABONA (ANTICA SORGENTE "GONTERI" ed ancora in alta Valle, procedendo verso i gioghi da cui si accede al Piemonte, nel territorio tra i borghi di PIGNA e di CASTELVITTORIO ove si incontra una sorgente termale sicuramente frequentata in epoca arcaica e probabilmente rivisitata dai Romani: la FONTE DI LAGO PIGO.
Superata la barriera montana ed entrati in territorio pedemontano [operazione resa possibile dopo aver raggiunto su una direttrice viaria che proviene da BAIARDO paese con REPERTI ARCHEOLOGICI LIGURI PREROMANI DA CORRELARE AD ALTRI SCOPERTI NEL TERRITORIO DI DOLCEACQUA e dalle indubbie consonanze culturalie folkloriche di ASCENDENZA CELTO-LIGURE] si raggiunge un'importante base viaria nei pressi di BRIGA MARITTIMA: si tratta della importante stazione termale della CHIESA DI N.S. DEL FONTAN dove le tracce di una base celto-ligure si intrecciano coi reperti di una stazione termale romana studiata da Padre Avena Benoit.

A prescindere che per tutto il tragitto MARE MONTI DI VAL NERVIA, toponomasticamente ricorre -soprattutto per indicare monti ed alture- il nome del dio ligure *BELEN/ BELENO, risulta interessante notare come al termine del lungo percorso, nell'agro di SUSA, si raggiunga alfine la NOVALESA -ove tra il corso del CENISCHIA e l'altura del ROCCIAMELONE [secondo le antiche CRONACHE sede ancora nel medioevo di PROCESSIONEI PAGANE DI ORDINE CELTICO] sono state recentemente individuate tracce di un antichissimo ANTICHISSIMO CULTO DELLE ACQUE (analogo a quello riscontrato nell'alta val Nervia nel sito di LAGO PIGO) mentre, proseguendo nel cammino, si raggiunge il borgo di FORESTO, nei cui pressi -e specificatamente nell'ORRIDO DI FORESTO- la leggenda cristiana, elaborando negativamente antiche credenze pagane preromane sviluppò il tema (vittoriosamente combattuto da ELDRADO ABATE DI NOVALESA (e quindi dalla tradizione apostolica dei BENEDETTINI) di un DRAGO DEMONIACO NASCOSTO NELLE ACQUE E CARNEFICE DEI VIANDANTI, POI UCCISO DA S.MARTINO [fenomeno totalmente analogo a quello riscontrato nella crchia delle Alpi liguri per quanto concerne l'emblematica montagna del TORAGGIO e la FONTE DEL DRAGO presso cui i BENEDETTINI avrebbero condotto e vinto una loro "storica battaglia" contro la SOPRAVVIVENZA DI CULTI PAGANI PREROMANI.
Tra i molti significati conferibili al "Pellegrinaggio di fede" si deve, anche attribuire, la VALENZA GEOPOLITICA di "strumento straordinario" per recuperare i TRAGITTI STORICI DELLA CIVILTA'.
Per riprenderne il "possesso" -secondo il gigantesco disegno inaugurato da GREGORIO MAGNO- cioè per riconquistare alla CRISTIANITA' il complesso della geografia romana del mercato aperto e degli scambi, e quindi della pace e della prosperità, era necessario operare nel segno di una comunità di intenti, ridare cioè quei percorsi ad una CRISTIANITA' UNITA .
La capillare lotta alle varie manifestazioni del DEMONIO -che contraddistinse dapprima i Benedettini per divenire retaggio dei Pellegrinaggi di fede- fu il mezzo fondamentale con cui si ottenne una assoluta quanto necessaria COMPATTEZZA ED UNIFORMITA' DEL CRISTIANESIMO su aree geografiche smisurate, senza che si proponessero -sotto la spinta ideologica di antiche fede- DEVIANZE ERETICALI o MANIFESTAZIONI SCISMATICHE SCATENATE DALL'ISOLAMENTO GEOGRAFICO.
Ancora la Via Mare - Monti di Val Nervia nel Ponente ligure pare la cartina tornasole di questo schema operativo.
Prima ancora che i "Pellegrinaggi di fede" divenissero una gigantesca manifestazione del mondo cristiano, questo importante percorso -faticosamente riunito dall'apostolato dei Benedettini, era stato devastato dalle incursioni dei Saraceni sì che la gente, che da poco si era trovata riunita dall'operato prevalentemente della Chiesa, era nuovamente disunita dalle distruzioni.
Dopo la vittoria cristiana non pare affatto un caso che addirittura un VESCOVO DI VENTIMIGLIA abbia RICONSACRATO il tragitto VENTIMIGLIA - NOVALESA.
Popoli uniti da una fede sincera e compatta si sarebbero realmente sentiti SIMILI nonostante le grandi distanze che li separavano proprio su quella via: la lotta, comunemente, a fianco di Feudatari e Chiesa, combattuta contro i Saraceni li aveva riunificati nel nome del Cristo ma per non rendere vano quell'episodio (che nell'ottica religiosa del tempo era stata una lotta contro la negazione stessa del cristianesimo e quindi una lotta contro il "male") non si doveva in alcun modo più tralasciare l'eterno duello contro gli inganni del MALIGNO che nelle sue molteplici manifestazioni (e quella dei "Saraceni" sarebbe stata solo una fra tante) mirava, e nei tempi sempre avrebbe mirato, all'unico modo di trionfare sulla Cristianità, con l'inganno più antico, quella di dividerla e farla divorare dagli scismi, gli errori che portano alla dannazione in cielo ed all'odio in terra.
E sotto questa prospettiva geopolitica davvero il PELLEGRINAGGIO, più che per le pur straordinarie mete cui era indirizzato, aveva enorme importanza per quel flusso continuo di fedeli, per quella marea di gente di terre lontanissime che, al di là delle etnie, degli usi e dei costumi, si sentiva unita nel nome delle fede cristiana e che, in nome di questa fede, aveva preso POSSESSO CONTINUATIVO DEGLI ANTICHI PERCORSI, rendendoli sicuri non solo alla Cristianità ma a tutto il futuro sviluppo del "Mondo Civile" ormai in rinascita.

Nella riforma amministrativa fatta dell'ITALIA, ad opera di AUGUSTO OTTAVIANO il MUNICIPIO DI ALBINTIMILIUM, l'ultimo amministrativamente italico, costituiva un'area di transizione importantissima, peraltro "segnata" dal monumentale TROFEO DELLA TURBIA, tra la PROVENZA, le PROVINCE ALPINE ed il BASSO PIEMONTE dove la via mare-monti di val Nervia aveva i suoi referenti naturali nell'importante nodo viario di TENDA e quindi il maggior nucleo demico di riferimento nel complesso insediativo di PEDO: mentre è ormai assodato che la via del ROIA non ebbe quasi nessun significato nella romanità e che si sviluppò solo abbastanza tardi (diventando un ACCESSO ESCLUSIVAMENTE GENOVESE NEL BASSO PIEMONTE) su tutto l'arco della via del Nervia non son mancati i rinvenimenti di tracce di spostamenti molto antichi e peraltro si può anche supporre che per essa ai tempi di una lotta civile esplosa in Ventimiglia romana tra seguaci di Cesare e Pompeo Magno a capo di un contigente militare il generale Celio Rufo sia sceso dalla base di Pedo a sedare quei tumulti.
Lo studio delle INVASIONI BARBARICHE e della contemporanea difesa dell'Impero ad opera di BISANZIO induce a credero che molti spostamenti di truppe siano avvenuti sfruttanto le tre fondamentali assi di scambio tra ponente ligure e Basso Piemonte: quella di NAVA, quella della VALLE ARGENTINA e quella della VALLE DEL NERVIA che per quanto suggeriscono i rilevamenti topo-geografici ed archeologici ( e soprattutto la rilevante frequenza di RISCONTRI TOPONOMASTICI) costituì una linea viaria di spostamenti militari di VISIGOTI, OSTROGOTI e di LONGOBARDI [ferma restando sulla stessa asse di percorsi la RESISTENZA DEI BIZANTINI.

Le ragioni prime del PELLEGRINAGGIO CRISTIANO risiedevano in un rafforzamento della fede attraverso un viaggio che metaforicamente riproduceva il viaggio di Cristo sulla terra e nella Passione
Il fenomeno propriamente non ha una data precisa di inizio anche se, per l'oscurità di certi secoli e l'interruzione dei percorsi storici a seguito delle invasioni dei SARACENI la storiografia mediamente usa datare il fenomeno dalla relazione' scritta su pergamena' dell'arcivescovo di Canterbury SIGERICO che, di ritorno da un pellegrinaggio a Roma, redasse a comodità dei viandanti di fede i punti cardine del TRAGITTO da lui seguito.
La città di GENOVA si trovò presto come tutta la Liguria levantina al centro dei PELLEGRINAGGI A ROMA E IN TERRASANTA.
Il fenomeno, scemando seppur relativamente i pericoli pirateschi, acquisì una dimensione tale da rendersi necessario un COMPLESSO APPARATO di sostegno per i viandanti.
I nuclei periferici dell'APPARATO CRISTIANO DEL PELLEGRINAGGIO DI FEDE furono gli OSPIZI od OSPEDALI (spesso integrati -come strumento minore di connessione fra loro- da CAPPELLE e/o CHIESE MINORI "DI VIA" disposte in successione lungo le assi viarie del pellegrinaggio ed idonee per ripari o soste di emergenza e di tempo minore rispetto quelle che si potevano effettuare presso i ben più attrezzati OSPEDALI).
OSPIZI e OSPEDALI -come detta anche il nome- erano in primo luogo atti al RICETTO dei viandanti.
Poichè la maggior parte di questi pellegrini, oltre che di riposo necessitavano anche di cure per un viaggio quasi sempre faticosissimo e rischioso, praticamente in maniera subitanea e contestuale siffatti OSPEDALI dovettero attrezzarsi per INTERVENTI CURATIVI naturalmente semplici e soprattutto portati avanti secondo le modestissime conoscenze delle teorie "mediche" in vigore a quei tempi caratterizzate soprattutto dal ricorso alle conoscenze della MEDICINA POPOLARE [ più che della MEDICINA UFFICIALE non ancora recuperata dall'oblio] legata all'uso delle PIANTE MEDICINALI che per quanto rinvigorita dai BENEDETTINI grandi agronomi e teorici del sistema colturale della GRANGIA, era ancora molto legata agli insegnamenti dell'erudito e medico romano PEDANIO DIOSCORIDE.
Gli OSPIZI avevano naturalmente -e per questo gli ospizi duecenteschi del ventimigliese possono essere solo emblematici- TOPOGRAFICA E LOGISTICA molto varie e, conseguentemente, valenze e TIPOLOGIA altrettanto diversificate.
Giova comunque tener presente che, nonostante le elementari terapie applicate, gli OSPIZI furono effettivi RICOVERI TERAPEUTICI ORGANIZZATI nell'Europa cristiana: ove si posero i presupposti per i primi -per quanto primitivi- interventi demolitori per la riparazione di una parte del corpo colpita da CANCRENA o da TUMORE MALIGNO.
Essi costituirono gli antesignani delle future forme di ASSISTENZA PUBBLICA (ricordiamo qui quella della Repubblica di Genova) e furono il fondamentale banco di prova per lo sviluppo -per quanto lentissimo- di MEDICINA E CHIRURGIA oltre che per l'applicazione metodica di forme più antiche di terapia tra cui quella connessa all'uso di PIANTE OFFICINALI ed alla figura dell'AROMATARIO od ERBORISTA.
Il campo delle scelte fra le speci vegetali era vastissimo [anche se come dimostrò MARIO DE APOLLONIA nei suoi studi -parzialmente rimasti purtroppo inediti- gran parte della FITOTERAPIA LIGURE si concentrava sull'elaborazione della LAVANDA] e si potevano realizzare POZIONI DI EFFETTIVE PROPRIETA' CURATIVE ed utilizzare PIANTE REALMENTE EFFICACI specie per realizzare ANTIDOTI POTENTI contro le intossicazioni, specie quelle alimentari molto frequenti e ad alto rischio.
Purtroppo non mancavano certi improvvisati MEDICI NATURALI (che è opportuno distinguere da tanti abili ERBORISTI piuttosto comuni tra i religiosi, specie fra i BENEDETTINI) di escogitare rimedi privi di alcun valore od ancora estrapolare VELENI NATURALI che a giuste dosi avevano proprietà curative e calmanti ma che distillati male o in maniera criminale costituivano dei TOSSICI MORTALI.
Quanti operavano negli OSPEDALI oltre che alle indicazioni terapeutiche della MEDICINA POPOLARE si rifacevano ai pochi autori greco-romani che erano rimasti in voga nel Medioevo e tra questi -oltre che a PLINIO SENIORE- gran peso fu sempre dato a PEDANIO DIOSCORIDE ed a QUINTO SERENO SAMMONICO (vissuto probabilmente nel III sec. d.C.) del cui "LIBER MEDICINALIS" si fecero varie trascrizioni in ambiente ecclesiastico: si veda al proposito la TRASCRIZIONE DELL'OPERA DI SAMMONICO (nel caso si può vedere l'inizio dell'opera e l'intestazione della ricetta contro le cefalee) sui margini (alto e basso) di un CODICE del IX secolo contenente le "Etimologie di Isidoro di Siviglia" (contestualmente venivano redatti dei RICETTARI in cui erano riprese parecchie delle terapie proposte da Sammonico).
Potevano esservi i GRANDI OSPIZI A CAVALLO DI IMPERVIE CATENE MONTUOSE veri e propri passaggi obbligati sui linti di aree geografiche molto estese.
Vi erano poi i veri e propri OSPIZI OD OSPEDALI DE VIA decisamente più numerosi e disseminati lungo il procedere di una strada francigena o marenca come, in questo caso, il modesto ma utile OSPITALE DE POZZUOLO sito lungo il tracciato della via del PELLEGRINAGGIO che collegava con Genova la val Fontanabuona, in località Becco.
Ed ancora, in qualche modo, erano OSPEDALI DEI VIA parecchie CHIESE (con annesso un semplice stanzone provvisto di "sacconi" per riposare ma senza una precisa assistenza) disposte a copertura del traffico su vie e mulattiere di lunga portata come le CHIESE [DISPOSTE IN SEQUENZA nell' ALTA VALLE DEL NERVIA quasi a guardi di viandanti e pellegrini volti a raggiungere BAIARDO (con le sue DIARAMAZIONI verso l'OLTREGIOGO e l'ALTA o MEDIO-BASSA VALLE ARGENTINA).
Esistevano quindi le GRANDI CASE OSPEDALIERE site in prossimità dei grandi PORTI come nel caso della COMMENDA DI S.GIOVANNI DI PRE la cui importanza era proporzionale alla notevole massa di fedeli che nel XIII secolo passò per GENOVA.
Ed ancora come nell'AGRO DI VENTIMIGLIA potevano sorgere molteplici OSPEDALI eretti da diversi Ordini e rispondenti ad un traffico intenso, viario e marittimo di diversa provenienza e con mete diverse (fenomeno naturalmente intenso nel Ponente Ligure dopo la RICONQUISTA CRISTIANA DELLA SPAGNA e il grande culto del santuario di S.GIACOMO DI COMPOSTELA è peraltro documentato anche nell'area di PORTO MAURIZIO dove si trova quanto resta della CHIESA-OSPIZIO DEI CAVALIERI DI MALTA.
E quindi, fenomeno connesso alle offerte di una crescente borghesia alla ricerca di lucro e prestigio, esistevano anche, lecitamente, i ben più costosi OSPIZI PRIVATI: come QUELLO IN VENTIMIGLIA che ospitò un personaggio di rango verosimilmente non intenzionato a spartire il proprio spazio di riposo con qualche poveraccio o con qualche persona malata.
Per quanto rimangano vari reperti architettonici di questo COMPLESSO DI STRUTTURE DI RICOVERO (e, come accade per il territorio di Ventimiglia, non mancano precise documentazioni scritte) per ricostruire la tipologia di un OSPEDALE (ferma restando la possibile diversità per dimensione, logistica e potenza su un determinato territorio) un raro caso di conservazione è tuttora costituito a GENOVA dall'OSPEDALE DI S.GIOVANNI DI PRE la cui struttura può esser presa a campione emblematico.
Come quasi sempre accadeva l'OSPEDALE -del XII secolo- doveva esser annesso ad una CHIESA retta da CANONICI REGOLARI DEL S.SEPOLCRO.
L'edificio attuale fu costruito a partire dal 1180 e, caduta ad opera dei CROCIATI la città di GERUSALEMME, la gestione della struttura di ricetto pervenne ai CAVALIERI OSPITALIERI DI S.GIOVANNI.
Gli OSPEDALI PER PELLEGRINI VERSO LA TERRASANTA perdettero in parte la loro importanza dopo la caduta nel 1291 dei REGNI CRISTIANI IN PALESTINA e finirono con il privilegiare la conformazione di veri e propri LUOGHI DI CURA, assumendo un'importante dimensione e funzione territoriale.
Essi furono ristrutturati anche sotto il profilo amministrativo e posti sotto la cura di un "commendatore" od amministratore da cui presero il nome di COMMENDE come questa di S.Giovanni di Prè.
Fra le meglio conservate del Mediterraneo la CASA GENOVESE aveva una doppia chiesa, una casa per i membri dell'Ordine che la gestiva ed era strutturata su due piani.
Dai piani, ove erano ricoverati sui "sacconi" (i letti), i malati potevano assistere alla messa per mezzo di grandi aperture rivolte verso la chiesa inferiore (è da notare che le chiese erano prive di facciata sevendo solo a quanti stavano dentro l'edificio).

Degli OSPEDALI DELL'AGRO INTEMELIO non è rimasta quasi traccia ma dovevano avere una tipologia simile: è però da notare che la loro funzione per i pellegrini sopravvisse a quella di parecchi ricoveri di Genova e del Levante dato che il TERRITORIO DI VENTIMIGLIA rimase a lungo uno dei punti di partenza per il pellegrinaggio mai venuto meno verso le Spagne e soprattutto verso il SANTUARIO DI S.GIACOMO DI COMPOSTELA.
A proposito del contesto intemelio la più grande struttura ospedaliera (con probabilità l'OSPEDALE DE ARENA) doveva trovarsi nell'area di Nervia che ne riproduce in qualche modo il toponimo:"vico arene".
In quest'area, nella quale dovette espandersi la città romana, si sono fatti nell'anno 1987 delle osservazioni interessanti.
L'analisi ha finito per focalizzarsi sul complesso insediativo che procede a lato dell'Aurelia partendo dal "Consorzio Agrario" e procedendo in linea retta verso ponente per qualche centinaio di metri.
In un edificio (proprio coerente coll'area nominata "arene/ arena" e col sito nominato nella dizione locale "terra dei frati") le cantine e alcuni servizi risultano ricavati ad un livello notevolmente inferiore all'assetto stradale e dopo la scrostatura di più mani di intonaco, di tempi molto vari, si sono rinvenute tracce in muratura con mattoni di produzione locale alternati a vistosi interventi edili compiti con ciottoli di fiume legati con malòta.
Le parti viste presentano un succedersi di soffitti a volte e di vani falsi, realizzati da spazi molto più ampi con la costruzione di archi più recenti che fanno leva su robuste colonne costruite con una tecnica a mattoni regolari.
Una gettata di cemento funge ora da pavimento nelle cantine ma appena sotto si individuua il deposito medievale/ tardo romano di sabbia alluvionale.
La meglio studiata fra queste cantine sul lato ovest si chiude per mezzo di una parete dove si nota una NICCHIA del tutto identica a QUELLE della COMMENDA DI S.GIOVANNI DI PRE', che servivano agli ammalati per depositarvi gli effetti personali.
Sotto la NICCHIA si vede poi ricavata nel muro una sporgenza di identica tecnica muraria la cui destinazione è illeggibile pur facendo pensare ad una qualche funzione di sostegno per tavole, panche od altro.
Anche ai PIANI DI VALLECROSIA si conservava fino a non molto tempo fa un edificio monastico dall'incerta lettura che ha fatto pensare ai resti di una qualche STRUTTURA OSPEDALIERA.

Nell'età intermedia tra le ragioni seconde dei pellegrinaggi risiedevano senza dubbio motivazioni pragmatiche.
E queste caratterizzavano principalmente i ceti dominanti che accorrevano a far penitenza delle loro colpe -lasciando donativi di varia natura- per non incorrere negli strali della Chiesa militante che, specialmente nell'epoca feudale e in base ai postulati della discussa teocrazia garantita dal principio della Donazione di Costantino, poteva deligittimare un sovrano inadempiente ai suoi obblighi religiosi (per esempio molti principi re e signori, costretti a matrimoni dinastici, finivano per completare la loro vita sentimentale grazie ai servigi di qualche bella cortigiana: il peccato mortale era evidente e in caso di scontro con la Chiesa, per non rischiare di esser dichiarati decaduti. avrebbero dovuto rinunciare all'amata illegittima e far penitenza: molti fra loro preferivano quindi evitare ogni rischio tenendo un comportamento formale ineccepibile verso la chiesa e, periodicamente, recarsi in qualche luogo santo a far penitenza ed ottenere INDULGENZA.
Leggendo le antiche Cronache questo sarebbe stato per esempio il caso di Macbeth re di Scozia recatosi in penitenza a Roma nel 1050 precorrendo un lungo corteo di altri regnanti.
A sua volta una buona componente della ricca borghesia e del popolo grasso cercava nei pellegrinaggi una giustificazione utilitaristica a colpe che lo stato sociale stesso avrebbe potuto far emergere alla pubblica consapevolezza: i soggetti più a rischio erano i mercanti (abbastanza invisi nella cultura cavalleresca per la loro emergente filosofia dell'utile e del guadagno) ed i BANCHIERI sempre a rischio di cadere nell'accusa d'esser scivolati nel "reato" di USURA.
La gran massa dei viandanti era però mossa da autentica devozione ed anche se alcuni, per debolezza o timore di avventurarsi in TERRE LONTANE, REALMENTE PERICOLOSE ED IN GRAN PARTE MISTERIOSE, prezzolavano la scorta di CAVALIERI (e principalmente di TEMPLARI) o si avvalevano dei servizi di VIAGGIATORI A PAGAMENTO, la quasi totalità di questi fedeli affrontava ogni difficoltà pur di compiere concretamente il viaggio devozionale e finalizzare il proprio impegno penitenziale e/o adempiere ad un qualche voto fatto.
L'affluenza di pellegrini a ROMA decadde proprio al tempo delle CROCIATE visto che, data la conquista di nuovi orizzonti fideistici, la massa dei devoti prese le direzioni, prima impossibili, verso la TERRASANTA o S.GIACOMO DI COMPOSTELLA divenuti simboli mistici e storici della rinascita cristiana a scapito dell'ISLAM momentaneamente sconfitto in nel tormentato MEDIO ORIENTE e definitivamente debellato nella SPAGNA recuperata dopo secoli di guerre all'Occidente cristiano.
Il pontefice Bonifacio VIII per rinverdire quindi nel mondo della cristianità il ruolo centrale di ROMA, promulgò il 22 febbraio 1300 la BOLLA che sancendo il GIUBILEO, concedeva INDULGENZA PLENARIA a tutti quanti avessero visitato le basiliche di S.PIETRO e di S.PAOLO.
Il numero dei pellegrini verso ROMA crebbe subito a dismisura: l'"arma ecclesiastica" della SCOMUNICA era temutissima, quanto quella dell' INTERDETTO, ed entrambe nell'età intermedia potevano costituire una sorte di morte civile: peraltro il gran movimento di viandanti di fede non era mosso solo da timore, anzi nella maggior parte degli animi scorreva una sincera e profonda volontà di purificazione e rinnovamento.


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GIUBILEO: il nome e certe consonanze dell'evento sono da collegare con la tradizione ebraica in cui il GIUBILEO (secondo le indicazioni della Secondo gli studiosi la LEGGE DEL GIUBILEO EBRAICO Il GIUBILEO DELLA RELIGIONE CATTOLICA (alternativamente detto pure ANNO SANTO) costituisce invece un PERDONO GENERALE cioè un' INDULGENZA PLENARIA concessa dal Pontefice ai fedeli che rispettino determinati obblighi.
Dal punto di vista della teologia il suo sighificato poggia quindi sul valore delle INDULGENZE e sulla facoltà che la Chiesa ha di distribuirle.
Il PRIMO GIUBILEO venne solennemente sancito da BONIFACIO VIII con la BOLLA (22-II-1300) "ANTIQUORUM HABET DIGNA FIDE RELATIO".
In essa si prometteva una REMISSIONE DEI PECCATI (INDULGENZA) a quanti si recassero a Roma a visitare le basiliche di S.PIETRO e di S.PAOLO.
Il Pontefice da un lato intendeva dar nuova linfa al concetto universale della cristianità dall'altro intendeva riconquistare al altre forme di pellegrinaggi, per esempio in TERRASANTA e ai grandi santuari spagnoli.
Nel 1300 il concorso dei viandanti a Roma fu così grande che il cronachista Villani ha lasciato scritto che, tenendo conto delle partenze e degli arrivi, la popolazione della città, per l'intiero anno giubilare, risultò costantemente aumentata di una cifra mai scesa sotto le 200.ooo unità.
Il II GIUBILEO riguarda il periiodo della trasferimento della sede pontificia in Francia ad AVIGNONE o CATTIVITA' AVIGNONESE: fu sancito da La riforma cronologia in merito ai tempi del GIUBILEO CATTOLICO fu quindi portata a compimento da papa PAOLO II che nel 1470 limitò l'intervallo giubilare a soli 25 anni di modo che già nel 1475 un Giubileo potè essere promulgato dal suo successore Sisto IV: da QUESTA RIFORMA DEFINITIVA l'intervallo giubilare è rimasto a tuttoggi di UN QUARTO DI SECOLO.

Uno dei temi meno noti dell'archeologia dei viaggi di fede, ferma restando la sostanziale differenza tra il concetto di PELLEGRINAGGIO CRISTIANO e PELLEGRINAGGIO PAGANO, è senza dubbio connesso al CONCETTO DI SOVRAPPOSIZIONI CULTUALI PAGANE E CRISTIANE TRA DIVINITA' PAGANE E SANTE FIGURE DELLA CRISTIANITA'.
Nel volume-repertorio LA BIBLIOTECA APROSIANA, edito a Bologna per il Manolessi nel 1673, laddove il ventimigliese ANGELICO APROSIO celebrò l'istituzione in VENTIMIGLIA della sua splendida BIBLIOTECA lasciò scritto un appunto in qualche modo significativo (pp.53-54) all'interno della lunga narrazione destinata a celebrare l'antichità della sua città natale, appunto Ventimiglia:"[nella chiesa ventimigliese di S.AGOSTINO]"...In una di queste tavole, che è l'ultima della parte destra, sta dipinto S.CRISTOFORO il quale ha nella destra un bastone fiorito, e con la sinistra sostiene il bambino Giesù, e ritrovandosi nelle acque marine, veggonsi pesci di varie sorti scherzarli attorno alle gambe. Questo Santo per ordinario si suol dipingere fuori delle Chiese e non dentro di esse come che si mostri di statura gigantesca e le tavole non possono capirlo. Onde in città si vede in un muro vicino alla casa che fu dell'avolo di frate Angelico...".
Sarà difficile poter individuare con esattezza il sito in cui era dipinto questo santo gigantesco in Ventimiglia: è più importante notare che anche nell'estremo ponente ligure come in molte parti del mondo conosciuto si era soliti rappresentare S.CRISTOFORO esternamente alle CHIESE ed in LUOGHI BEN IN VISTA spesso prossimi alle vie di passaggio.
Sulla figura di S.CRISTOFORO peraltro si sono sollevati molti interrogativi.
Sulla sua figura hanno infatti finito per sovrapporsi evnti storici, fatti legendarie e tracce superstiti di antiche religioni.
Pare fosse un palestinese, pagano, di Reprobus poi convertito dal vescovo Babila.
Si recò quindi in Licia e per dar prova del suo amore verso il prossimo si stabilì sulla riva di un fiume per aiutare i viandanti ad attraversarlo.
Un giorno, secondo la leggenda, avrebbe trasportato oltre quelle acque pericolose anche Gesù ancora fanciullo.
Da quel momento quest'uomo, noto per la corporatura gigantesca e la grande forza fisica, ebbe nome di CRISTOFORO (da "CHRISTOS" e "FERO": "colui che porta Cristo").
Questi elementi favolosi influenzarono la figura del Santo e soprattutto la sua iconografia: e mediamente fu rappresentato come un gigante in atto di trasportare il fanciullo divino dall'una all'altra riva di un periglioso fiume.
La sua leggenda in campo artistico influenzò anche grandi artisti (da Mantegna a Tiziano).
La frequenza delle rappresentazioni era connessa all'importanza del suo culto che a partire dal XIII secolo conobbe un'enorme diffusione sia in Occidente che in Oriente (nonostante il Santo già nel 452 avesse avuta una chiesa in Bitinia a lui intitolata e benché già dal VI secolo in Sicilia, a Taormina, esistesse un monastero a lui intitolato): nel Medioevo il suo culto giunse a tale livello che S.CRISTOFORO fu inserito tra i SANTI AUSILIATORI cioè quelli che il popolo può invocare in particolari casi di necessità.
S.CRISTOFORO maschera, come detto, dietro la sua iconografia i connotati di divinità proprie antichissime (come Hermes ad esempio preposto alla guida dei viandanti): nel territorio tra Ventimiglia e Sanremo il culto per S.CRISTOFORO ebbe un peso notevole e ciò sembrerebbe essere connesso proprio alla sua iconografia ed alle sue caratteristiche.
Anche i pagani, come detto, avevano divinità preposte alla protezione dei viandanti: per esempio ai PIANI DI VALLECROSIA entro l'antica CHIESA DI S.ROCCO si conserva un EX VOTO IMPERIALE AD UN APOLLO VEROSIMILMENTE PROTETTORE DEI VIANDANTI.
E la dedica era peraltro logica essendo stata edificata, quasi certamente, l'antica chiesa su una struttura romana (forse di tipo templare) sita -come hanno suggerito la topografia e le possibili indagini archeologiche- in prossimità della VIA ROMANA, quella GIULIA AUGUSTA che costituiva un'asse viario fondamentale del COMPLESSO STRADALE ROMANO in quella zona storica di transito ed in prossimità del confine amministrativo tra Italia e Provenza che nell'ambito del mercato aperto romano imperiale, soprattutto per la vicinanza della PROVENZA ed delle province limitrofe delle ALPI [senza considerare il SISTEMA DEGLI APPRODI MARITTIMI: fatto che induce a creder -come peraltro si ricava dall'analisi della popolazione di VENTIMIGLIA ROMANA fra I-III sec. d.C. che qui vi risiedesse una serie di strutture mercantili per cui i viaggi, di mare o per terra, erano una consuetudine, una consuetudine pari a quella di far voti ad un Dio protettore per usufruire di un buon ritorno a casa].
Pare logico che, per quel poco che si è rinvenuto, si facessero VOTI A DIVINITA' protettrici dei PELLEGRINI e che queste, per il principio della CONTINUITA' E/O SOVRAPPOSIZIONE CULTUALE abbiano trasmesso i lor attributi a SANTI dalle convergenze tipologiche proprie delle divinità pagane: l'APOLLO PROTETTORE dei viandanti non è certo un nume mistico, come il misticismo pare lontano da S.CRISTOFORO, entrambi, per quanto estremamente lontani culturalmente, sono legati da un'affinità elettiva, quella dell'essere superiore dotato di una forza incommensurabile, capace quindi di essere il miglior custode e protettore dei PELLEGRINI.
Non pare quindi un caso che i CAVALIERI DEL TEMPIO, guardiani delle vie e protettori dei pellegrini, si siano scelti S.CRISTOFORO come loro patrono.
E' parimenti sintomatico che l'altura ventimigliese di S.GIACOMO (un probabile terminale del viaggio monte-mare) sia stato caratterizzato da una CHIESA INTITOLATA A S.CRISTOFORO poi INTITOLATA a S.GIACOMO proprio nel periodo in cui il PAPATO AVIGNONESE e soprattutto il RE DI FRANCIA intrapresero una feroce persecuzione dei TEMPLARI sin alla soppressione dell'ORDINE CAVALLERESCO.


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Il PELLEGRINO CRISTIANO per quanto riportano i testi, lungo un arco cronologico abbastanza vasto, erano distinguibili per l'abbigliamento modesto ed alcune caratteristiche tipologiche che figurativamente erano proposte nella figura di S.GIACOMO, il santo per eccellenza dei PELLEGRINAGGI e quasi sempre effigiato con gli ATTRIBUTI DEL VIANDANTE DELLA FEDE come si nota in un polittico di Manfredino Basilio fatto, nel '500, per la chiesa di Gavi Ligure ed oggi custodito a Genova nel Museo dell'Accademia Ligustica.
La diffusione dei PELLEGRINAGGI NEL SACRO acquisisce col tempo una valenza tanto grande che l'abbigliamento dei "Pellegrini" diviene una costante nella rappresentazione agiografica su codici miniati e affreschi: a sublimare quegli attributi che renderanno ovunque riconoscibile il VIANDANTE DELLA FEDE concorreranno proprio le ARTI FIGURATIVE diffondendo una figura iconica di S, GIACOMO effigiandolo quasi costantemente con gli ATTRIBUTI DEL PELLEGRINO: meno casuale ed istintiva di quanto si creda la diffusione della rappresentazione figurativa del SANTO PELLEGRINO in tante contrade d'Europa avrebbe ottenuto il risultato che quanti accedessero in zone, appunto caratterizzate da questa iconografia, venissero riconosciuti essi stessi quali "viandanti del sacro" e conseguentemente non soltanto fossero lasciati passare senza problemi ma, a guisa di questo riconoscimento agevolato dalla foggia dell'abito eletto alla fine in sorta di "divisa", finissero senza troppe remore per essere ospitati o guidati alle grandi concentrazioni di fedeli pronti per nuovi viaggi.

Il VIANDANTE DI FEDE quasi immediatamente (ed occorre precisare che alcun pellegrini in viaggio per "Santiago" usano TUTTORA indossare l'ANTICO ABBIGLIAMENTO DELLA TRADIZIONE si riconosceva dal fatto che portava al collo una CONCHIGLIA destinata a prendere nome di "CONCHIGLIA DEI PELLEGRINI" o "CONCHIGLIA DI SAN IACOPO" (meno frequentemente detta "VENTAGLIO"): si tratta di una conchiglia auricolata provvista di 14-16 grosse costole striate che si irradiano dalla cerniera (delle due valve, l'inferiore con la quale il mollusco poggia sul fondo è molto convessa, la superiore è invece pianeggiante). Si tratta del "PECTEN JACOBAEUS" ed al proposito è sintomatica le denominazioni francesi del mollusco ("COQUILLE SAINTE-JACQUES" e "PEIGNE DE SAINT-JACQUES" con cui specificatamente si allude alla conchiglia che i pellegrini portavano sul copricapo, legata alla testa o sul petto): successivamente alla CONCHIGLIA -come segno distintivo dello stato di pellegrino- finì per accostarsi un motivo decorato di stoffe e abiti in cui erano ricamate, invece che infisse, le concgiglie della tradizione.

L'indumento che li distingueva era la SCHIAVINA anche detta SCIAVINA, SCLAVINA, STIAVINA: con tale termine si indicava un mantello di tessuto grossolano e fornito di maniche e di cappuccio (queste caratteristiche erano giovevoli soprattutto per difendere il viandante dagli assalti del gelo, sempre in agguato sui passi montani che mediamente i PELLEGRINI dovevano affrontare [etimologicamente la parola deriva dal latino medievale SCLAVINA VESTIS in cui l'attributo derivava da SCLAVUS a sua volta derivato dal latino medievale SCLAVUS cioè "slavo" e quindi "servo di origine slava".

A titolo emblematico sui può ricordare quanto di tale uso scrisse il BANDELLO (I-49):"Si pensò che colui che parlava seco in cucina fosse qualche peregrino che venisse da S.Giacomo di Galizia, veggendolo vestito di bigio e con quel cappello in capo carco di conchiglie".

Un altro elemento distintivo del pellegrino era la SCARSELLA (anche "scarzèlla/squarcélle") o sacco della questua dei mendicanti e appunto dei pellegrini: l'etimologia del termine è incerta, probabilmente deriva dal provenzale antico ESCARSELA/ ESCRASELA da cui poi il francese antico ESCARCOLLE presumibilmente da connettere al latino germanico *SKERPICELLA derivato dal franco SKERPA=BORSA DEL PELLEGRINO.

Il povero bagaglio del PELLEGRINO si completava quindi con il BORDONE cioè un BASTONE DA PELLEGRINO, GROSSO, ROBUSTO, A PUNTA FERRATA, CON IL MANICO RICURVO.
Il termine deriva da BORDONE (animale da basto e carico, incrocio di asina e cavallo=muletto dal latino BURDO/ -ONIS e si distingueva dal mulo incrocio di asino e cavalla. La voce è comunque collegata agli usi del pellegrinaggio medievale: fr. bordon, prov. bordo, spagn. bordòn, catalano bordò ecc.).
Una diversa ipotesi sostiene che il termine BORDONE derivi dal francese BOURDON nel senso di LANCIA DA TORNEO (dall'etimo stesso di BEHURDER="GIOCARE DI LANCIA (si veda anche lo spagnolo bahordo=lancia e bahordar=colpire con la lancia il bersaglio) come le forme italiane BAGORDO e BAGORDARE.


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Si è pensato che esistesse un percorso nel Piemonte per la valle del Roia sin al Colle di Tenda e da qui se ne descrisse una direttrice verso Limonetto (dove si trova un miliarium imperiale), il Mons Cornius e l'attuale cittadina di Limone.
Senza negare la possibilità di questo ramo stradale, oltre Tenda sarebbe comunque sorto un problema far procedere merci od animali per l'aspra valle del Roia.
Per quanto concerne la penetrazione dalla LIGURIA MARITTIMA OCCIDENTALE AL PIEMONTE si debbono citare prima di tutto due PERCORSI FONDAMENTALI, in origine poco più di due mulattiere, fra loro in collegamento per la via della transumanza, cioè i TRAGITTI (che permettevano di accedere nella Padania sin alle basi commerciali di Augusta Bagiennorum e di Pedo [Borgo S.Dalmazzo]) della VALLE ARGENTINA e del COLLE DI NAVA [quest'ultima, vera e propria via storica di transito tra Liguria e Piemonte: si tratta propriamente del passo che separa la valle ligure dell'Arroscia da quella piemontese del Tanaro. Il passo risulta citato in un documento del XIII secolo relativamente ad un guado o VADUM NAVIE praticato dalle mandrie transumanti tra la Val Roia e la piana di Albenga. Il nome -come scrive la Petracco Sicardi- è anche conferito ad una frazione del comune di PORNASSIO citata in altro documento del 1340 per la sua chiesa ECCLESIA S.TI RAPHAELIS DE NAVA: il nome del colle quasi certamente deriva dalla base ligure preromana *NAVA piuttosto frequente tra i nomi di luogo alpini nel significato di CONCA PRATIVA e pare da collegarsi al VICUS NIVALIS menzionato da un'iscrizione votiva di CEMENELUM (CIMIEZ)].
Questa considerazione sembra altresì confermata dall'analisi del COMPLESSO DIFENSIVO BIZANTINO contro le invasioni dei BARBARI dal PIEMONTE verso la LIGURIA COSTIERA: l'analisi storica, topografica e toponomastica pare infatti confermare che in modo analogo i BIZANTINI si siano premuniti nel difendere, con basi strategicamente disposte, sia la VIA DEL NERVIA quanto la STRADA DELL'ARGENTINA quanto l'importante percorso del NAVA con impianti militari e demici tanto nella VALLE DEL PRINO quanto nella congiunzione tra VALLE DI ONEGLIA E VALLE ARROSCIA.

Un complesso stradale di penetrazione nel Basso Piemonte quasi simile ai precedenti si riconosce in VAL NERVIA dove esisteva un BUON PERCORSO fra la capitale costiera del municipio di ALBINTIMILIUM A NERVIA ed il Piemonte, cosa cui con decisione già accennava da molto tempo NINO LAMBOGLIA.
[CLICCANDO QUI E' POSSIBILE COMPIERE UN VIAGGIO MULTIMEDIALE INTERATTIVO PER TUTTO IL TRAGITTO DELLA "VAL VERVIA" VISITANDO ANCHE TUTTE LE VARIANTI PER LA VALLE DEL ROIA, DEL CROSA E DEL RETROTERRA TRA BORDIGHERA E OSPEDALETTI!].
Il TRAGITTO procedeva sulla linea di Camporosso, Dolceacqua(importante per l'arcaica positura strategica del castro a guardia del fiume e della via di fondovalle), Portus di Dolceacqua, Veonegi, Marcora-Marcola (siti dai considerevoli rinvenimenti di reperti romani), Passo Muratone, Margheria dei Boschi, Monte Morgi, Passo Saorgio, Briga, Pedo (poi S.Dalmazzo di Tenda) e TENDA (per innestarsi sulla via romana identificata nel tragitto Limone-Limonetto):in relazione a questo percorso si deve comunque valutare sempre la valenza di un sito assolutamente emblematico cioè del nodo di CIMA MARTA la cui funzionalità di area di transizione deve esser valutata anche in merito ai significati strategici che ha sempre avuto nel corso dei millenni.
Per quanto in queste ricostruzioni topografiche esista sempre l'imprevedibilità, anche per via comparativa con quanto si è acquisito studiando altresì dal punto di vista archeologico il significato strategico-viario di CIMA MARTA, si è stati in grado di ricostruire che questo complesso viario era probabilmente l'unico sfruttabile (in base alla relazione da lui stesso fornita), ai tempi dell'ultima Repubblica Romana, dal generale romano CELIO RUFO in marcia dal Basso Piemonte, per sedare tumulti a Ventimiglia.
Stando alla lettera che scrisse all'amico Marco Tullio Cicerone sembra realmente che Celio abbia condotto le sue coorti per questo ITINERARIO di VALLE: partendo da PEDO e superate le giogaie del TENDA, verisimilmente piombò su Ventimiglia Romana per pacificare gli scontri di fazione sorti tra i sostenitori di CESARE e quelli di POMPEO MAGNO.


Tra le GRANDI VIE GIUBILARI del medioevo (la "Romea", l'"Appia", la "Francigena" e la "Flaminia orientale") che portavano a visitare ROMA CAPITALE DELLA CRISTIANITA' la più importante (o comunque la più menzionata) era la VIA FRANCIGENA che da Canterbury portava a Roma.
Per la sua naturale conformazione la
VIA FRANCIGENA
attraversava l'EUROPA CENTRALE, rasentando, attraverso i tanti percorsi e le numerose diramazioni che di fatto la caratterizzavano, le varie basi di partenza donde si radunavano quei pellegrini che miravano, oltre che a recarsi in visita a Roma, a seguire in alternativa il TRAGITTO che portava ai santuari spagnoli e in particolare a Santiago de Compostela.
La FRANCIGENA superava quindi le Alpi della Valle d'Aosta: una delle aree per cui transitavano i pellegrini era verso il passo del CENISIO dove sorgeva un importante OSPEDALE/OSPIZIO in stretta relazione con l'importante monastero piemontese della NOVALESA una fra le "culle storiche" della rinnovata CIVILTA' MONASTICA BENEDETTINA.
Nel PIEMONTE, che costituiva un'area geografica notevolmente ricca di APPUNTAMENTI CON LA SACRALITA', la via poteva entrare anche per la variante del Monginevro o, assumendo il nome di FRANGICENA SUPERIORE, per la linea del GRAN SAN BERNARDO: venutesi a ricongiungere sostanzialmente tutte le varianti, il PERCORSO DELLA FRANCIGENA guidava gran parte dei pellegrini (o ROMEI che poi si innestavano sulla VIA ROMEA) alla volta di ROMA (anche se non bisogna trascurare le varianti del tragitto che via via venivano a formarsi, fra cui quella che portava nel PONENTE LIGURE i viandanti volti ad immettersi sui percorsi per i luoghi santi delle SPAGNE): sotto questa prospettiva per la struttura viaria della regione Liguria e per le caratteristiche della navigazione di cabotaggio un tratto significativo della FRANCIGENA si poteva riconoscere nell'AREALE DELLA MORTA CITTA' ROMANA DI LUNI, ai confini tra LIGURIA e TOSCANA.
La via continuava poi attraverso la Toscana ed il Lazio sin a raggiungere Roma.
Tra le ricostruzioni del percorso della "francigena" (definito "itinerario culturale europeo" dall'attuale Consiglio d'Europa) merita peculiare attenzione lo studio del tragitto tra Fidenza e Berceto.
Nel territorio di Fidenza (nell'antichità detta Borgo S.Donnino) si trovava l'antica cattedrale romanica di S.Donnino opera di Benedetto Antelami.
Da Fidenza si raggiungeva quindi S.Pancrazio e da qui Parma.
Fuori le mura di questa città i pellegrini della fede visitavano la Chiesa di S.Croce ove si incontravano con viandanti di fede provenienti da altri percorsi.
Era da qui possibile procedere alla volta di Vicofertile la cui pieve è dedicata a S. Gemignano.
Il viaggio continua quindi verso Collecchio e Talignano.
Da Talignano si raggiunge quindi Fornovo ove si trova una pieve romanica sul cui altar maggiore è posta una lastra in pietra scolpita da un maestro antelamico e che raffigura vari episodi della vita di S. Margherita.
Attraversando l'Appennino la "via Francigena" finisce per attraversare Sivizzano, Bardone, Terenzio, Corniana, Casola, Cassio, Castellonchio tutti borghi medievali di sosta per i viandanti della fede.
La tappa finale di questo importante settore della "francigena" è Berceto sito tra i ruderi del castello dei conti Rossi ed il Duomo di S.Moderanno.


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Nella rivalutazione (ed a volte anche nel deprezzamento) dei grandi fenomeni GIUBILARI e in senso più esteso del fenomeno del PELLEGRINAGGIO DI FEDE viene mediamente dato spazio all'analisi dei grandi fermenti di religione, dei lunghi viaggi, delle popolari manifestazioni di tripudio nei luoghi santi della cristianità.
E' tuttavia opportuno aggiungere un ulteriore elemento che caratterizza il FENOMENO DEL PELLEGRINAGGIO: la necessità di dare PUBBLICA ASSISTENZA a grandi masse che spostandosi su vaste aree geografiche finivano con aumentare in determinate zone il PROBLEMA SANITARIO.
L'assistenza (cui originariamente si dedicarono gli ORDINI MONASTICI) non fu soltanto dovuta all'esigenza di carità verso i fratelli ammalati ma, sotto la spinta dei feudatari e delle prime libere amministrazioni borghesi, si rese necessario per salvaguardare quella sanità esistenziale che in qualche modo l'economia chiusa dei secoli precedenti aveva salvaguardato: i timori per le epidemie, l'ergotismo, la lebbra erano tanti.
Si pose rimedio strutturando in molte CASE DI RICOVERO DEI PELLEGRINI (GLI "OSPITALI") elementari forme di accoglienza sanitaria: di modo che diversi fra questi RICOVERI assunsero in qualche modo la vera e propria conformazione di OSPEDALI.
Questi, per quanto embrionali organismi di cura, fecero tuttavia riscoprire una certa elementare CULTURA MEDICA che, per quanto osteggiata e sebbene in modo lentissimo, si sarebbe evoluta attraverso i secoli.




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Per quanto siano scarse le notizie al riguardo, è possibile ritenere che il primo tratto della via Francigena fosse quello che da Tolosa giungeva a Briançon per arrivare in Piemonte, attraverso i valichi del Moncenisio e del Monginevro, proseguendo poi per la Lombardia o la Liguria e quindi per la Toscana, il Lazio e la Puglia.
Successivamente, soprattutto quando ai pellegrini si aggiunsero i crociati, gli itinerari della via Francigena si moltiplicarono.
Dalla Francia scendeva una via da Parigi per Nevers, Lione ed il Gran San Bernardo. Una passava dall'Olanda per Colonia, Coblenza, Strasburgo e Basilea.
Un'altra sezione della Francigena da Lubecca collegava Eisenach, Augusta, Innsbruck, il Brennero, Verona, Bologna e Firenze.
Un'altra ancora giungeva da Aalborg, al nord della Danimarca.
Infine una, dalla Scozia e dall'Irlanda, si dirigeva verso Londra, Dover, Calais e Parigi: fu quest'ultima ad essere percorsa dal vescovo nel 994 durante il viaggio che lo portò a Roma e di cui lasciò memoria in un suggestivo diario.




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La porzione settentrionale della VIA FRANCIGENA, partendo dal nord Europa raggiungeva Losanna e quindi Besançon per arrivare poi ad AOSTA, e continuare in direzione di Settimo Vittone, dove si scorgevano solo poche case sparse attorno all'antico posto di guardia romano (il toponimo aveva infatti tratto origine dal segno del settimo miliario posto lungo la strada del Gran San Bernardo).
L'itinerario conduceva quindi ad IVREA, capitale della Marca e dal 1002 del regno italico di Arduino.
E' possibile pensare che questo tratto della Francigena, procedendo alla volta del lago e del complesso demico di Viverone, assumesse varie ramificazioni per aggirare al meglio l'area paludosa circostante confondeva i passaggi (neppure è da escludere che un buon numero di pellegrini finisse invece per lasciare il tragitto principale ed il grosso dei compagni di viaggio venendo attratti dalla prospettiva di cercare l'oro nella pianura della Bessa).
Si giungeva quindi a Santhià, centro conquistato nel 143 a.C. da Roma che tuttavia non riuscì totalmente a sovrapprre la propria cultura sull'originaria ed autoctona matrice culturale celtica.
La tappa successiva era quindi Vercelli, importante centro commerciale e socio-culturale sin dai tempi dell'Impero.
Proprio in siffatta località soggiornò nel 994 il vescovo di Canterbury, durante il suo ritorno da Roma per l'itinerario della Via Francigena.
Nel IV secolo, Sant'Eusebio vi istituì il primo episcopato e nel XIII secolo vi venne istituita la prima università "piemontese".
Il primo tratto piemontese della via Francigena superava il Moncenisio, a 2084 metri di quota.
Nonostante le bellezze naturali dei luoghi attraversati, in questo punto il tragitto doveva risultare molto arduo: quasi certamente per tale motivazione un discreto numero di pellegrini e viandanti optava per la "via alternativa del passo del Monginevro", a 1854 metri tra il Gran Charvet ed il monte Janus.
Dal Monginevro, seguendo il percorso fluviale della Dora Riparia, i pellegrini raggiungevano Oulx da cui continuavano il viaggio sino a Susa: in tal modo, per essi era abbastanza semplice ritrovare gli antichi compagni che non avevano mai lasciato ul tratto della Francigena che procedeva dal Moncenisio.
Da Susa era abbastanza facile accedere a Bussoleno costituito all'epoca da un borgo potentemente murato e posto sulla riva destra della Dora, che offriva ulteriore riparo contro eventuali aggressioni.
Da qui il "tratto piemontese inferiore" della via Francigena perveniva ad Avigliana.
La località costituiva un approdo eccellente per i viandanti, sia allo scopo di rinfrancarsi dalle fatiche del viaggio sia soprattutto per quanti fra loro, ammalatisi, necessitavano di cure.
Qui infatti i monaci benedettini dell' Abbazia di Novalesa avevano fondato un loro ospedale.
Da Rivoli, la località cui riprendendo il viaggio si giungeva, la Francigena ancora una volta si divideva in due rami: uno di questi conduceva a TORINO, mentre l'altro portava i suoi frequentatori più a meridione e sino a Chieri, per raggiungere successivamente Asti ed Alessandria.
Chieri nell'XI secolo costituiva una località di rilievo: era un centro fortificato, con una popolazione consistente in gran parte dedita al commercio.
Asti, città già soggetta ai Longobardi e poi eretta in contea dopo la conquista dei Franchi offriva quindi ospitalità alla marea di viandanti.
Dal 1093 era governata da un vescovo-conte finché nel 1154 fu saccheggiata da Federico Barbarossa assolutamente impegnato nel deprimere le principali città in cui si era affermata la ribelle autonomia comunale.
Da qui non mancavano altri disagi per i viandanti della Francigena fin a Rovereto; intanto il borgo sito sulla riva occidentale del Tanaro stava diventando una importante città fortificata nominata Alessandria a eterna celebrazione del Pontefice Alessandro III che la benedì quale antemurale contro la lotta del Barbarossa contro i comuni (ed infatti, superato vittoriosamente l'assedio impostole dall'imperatore germanico, Alessandria fu eretta al rango di libero Comune con l'assimilazione di tutti i diritti collegati al tale stato giurisdizionale. Superata Alessandria, il cammino diventava più agevole, perché in piano o su modesti rilievi.
Il "viaggio piemontese" della Francigena continuava quindi alla volta di Novi, Stazzano, Gavi e Voltaggio fino ad affrontare l'ultima salita che portava al passo della Bocchetta (tra le valli del Lemme e del Polcevera) donde si poteva contemplare Genova col suo splendido mare.



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I LUOGHI SACRI LUNGO LA VIA FRANCIGENA IN PIEMONTE:
Il tragitto della Francigena può essere utilmente analizzato studiando gli insediamenti monastici, disseminati lungo il suo corso e nei quali i pellegrini trovavano riparo, cure e conforto.
Siffatti ricoveri monastici ascrivibili al Medioevo hanno attualmente perduta quasi del tutto l'originaria tipologia.
Alcuni sono stati purtroppo lasciati cadere in degrado mentre altri, seguendo sorte miglire, essendo stati minati dal tempo e dall'uso, oltre che da calamità di varia natura, hanno usufruito di qualche recente restauro, che però in non rari casi ne ha alterato la primigenia architettura.
Tra i luoghi sacri sviluppatisi lungo il passaggio meridionale della Francigena, una volta scesi dal
Moncenisio i viandanti della fede incontravano per prima l'Abbazia di Novalesa .
Si tratta di un complesso di costruzioni, il cui nucleo centrale venne fondato nel 726 da Abbone, rector della Moriana e di Susa, e affidato alle cure dei Benedettini, sotto i quali divenne un importante centro di cultura. Seguendo la regola di San Benedetto, i monaci pregavano e lavoravano, mettendo a frutto le proprie capacità soprattutto in campo agronomico e quindi assistenziale.
Durante i tempi freddissimi della stagione invernale la caritatevole ospitalitò, a favore di viandanti e pellegrini, era pressoché continua.
Per provvedere a tutto ciò il cenobio godeva di una specifica organizzazione intestina: in particolare due confratelli prestavano servizio nella cucina riservata, dotata di scorte proprie amministrate dal Cellerario, mentre altri due si occupavano delle camere da letto, dove gli ospiti dormivano su dei sacconi di foglie o di paglia.
Le persone più avanti nell'età e particolarmente quanti erano palesemente deboli, o per le avversità dell'improbo viaggio o per qualche malattia, erano più comodamente sistemati nell'infermeria, l'unico locale riscaldato del monastero.

I pellegrini che invece giungevano dalla variante del valico del Monginevro non raggiungevano la Novalesa (i due rami della via Francigena inferiore si riunivano soltanto a Susa) ma pervenivano senza soste a Susa e, poi, superata la località sostavano in un altro celebre luogo di fede, la Sacra di San Michele.
La tappa seguente era Avigliana, dove i pellegrini potevano si fermavano in devota preghiera entro la chiesa di San Pietro, fondata dai Benedettini dell'Abbazia di Novalesa tra il X e l'XI secolo: questo edificio, di originario stile romanico, sarebbe poi stato modificato con l'intromissione di elementi architettonici di tradizione gotica gotici.
Procedendo da Rivoli, i viandanti erano quindi in grado di accedere ad una delle chiese più significative del Medioevo piemontese, quella di Sant'Antonio di Ranverso , eretta da Umberto III detto il Beato ed affidata ai padri Antoniani di Vienne con l'incarico di gestirne l'annesso ospedale.
Il centro di accoglienza era uno dei più importanti del percorso: i padri Antoniani disponevano infatti di larghi mezzi ed esercitavano il loro ministero con profondo spirito di carità) tanto che molti pellegrini preferivano sostarvi senza neppure entrare in TORINO, e proseguire il viaggio direttamente per Asti ed Alessandria.
Ad Asti stava si stava nel contempo innalzando la cattedrale di S. Maria Assunta, dopo che era stata rasa al suolo una ormai insufficiente chiesa romanica di rimpetto alla quale stava la chiesa di San Giovanni, edificata nell'VIII secolo, nella cui cripta accorrevano volentieri i pellegrini visto che vi si custodivano reliquie ritenute eccezionali, tra cui, secondo la tradizione, un chiodo della "Santa Croce".
Alessandria aveva già una sua cattedrale romanica attribuita al 1170: essa però nel pieno XIII secolo venne praticamente riedificata ispirandosi al nuovo gusto architettonico dalle forme gotiche (la chiesa nuovamente venne demolita e quindi riedificata nel 1810).
Non molto a meridione di Alessandria stava poi il sito di Marendo, destinato ad imprevedibile fama per la straordinaria vittoria ottenutavi da Napoleone sugli Austriaci il 14-VI-1800.
Il percorso da questo punto procedeva ormai decisamente in direzione del Dominio genovese e quindi alla volta della grande città portuale ligure I pellegrini attraversavano ancora Stazzano, Gavi e Voltaggio prima della salita che portava al passo della Bocchetta, da cui si scendeva al mare; a Gavi erano comunque usi sostare in meditata orazione nella chiesa romanica di San Giacomo, costruita in pietra arenaria fra l'XI ed il XII secolo ed a Voltaggio nel convento dei Cappuccini.

Anche la via Francigena superiore, che scendeva dal valico del Gran San Bernardo, offriva luoghi di preghiera e di raccoglimento; il primo centro che si incontrava, dopo aver superato il confine tra la regione aostana e quella piemontese, era IVREA, dove sorgeva il Duomo costruito nel IV secolo sulle rovine di un tempio romano.
proseguiva invece alla volta di Viverone, dove i pellegrini potevano sotare in orazione sulle tombe dei primi martiri cristiani.
Da Viverone la via superiore raggiungeva Cavaglià, dove i Romei (cioè i "pellegrini", come anche si nominavano questi viandanti di fedi tesi a raggiungere i luoghi santi di Roma) si radunavano nel Santuario di Nostra Signora di Babilone, edificato sul relitto di una chiesa eretta nel V secolo da Teodolinda, la regina dei Longobardi che dopo la morte del re Autari sposò Agilulfo, duca di Torino, e tutelò contro l'arianesimo la fede cristiana pure in terra piemontese.
Altre tappe del viaggio erano poi Santhià, nella cui chiesa -poi parrocchiale- consacrata a Sant'Agata i pellegrini erano ricevuti da potenti canonici e Vercelli, la cui basilica di Sant'Andrea era illustre in tutta la Cristianità per le reliquie custoditeva e per la sua architettura innovativa, testimonianza importante di transizione tra romanico e gotico.
Da Vercelli la via Francigena volgeva quindi in direzione di Pavia o scendeva ad Alessandria, nuovamente fondendosi con il tratto della "via inferiore" volta a raggiungere Genova e il mare ligustico.


VITTORIO AMEDEO II, il 16 giugno 1706, si trovava in gravi difficoltà militari essendo la città di Torino strtta da assedio dai Francesi in occasione della guerra di GUERRA DI SUCCESSIONE SPAGNOLA.
Il duca di Savoia trovandosi in ambasce per l'assedio imposto dai Francesi a Torino durante il giugno 1706 come conseguenze della GUERRA DI SUCCESSIONE SPAGNOLA ritenne utile cercare di mettere in salvo la sua famiglia nella città di GENOVA (che aveva pubblicamente offerta la sua disponibilità: vedi anche il lavoro di A. Neri, "Vittorio Amedeo e la Repubblica di Genova" in "Giornale Ligustico", 1881).
Oltre che per pietà verso i congiunti la scelta del duca avvenne per ragioni politico-diplomatiche intendendo egli avere eventuali eredi che, in caso di sua dipartita, potessero avanzare diritti di successione ad un eventuale tavolo di pace.
Il corteo in fuga da Torino risultò quindi composto dalla duchessa madre Giovanna Battista di savoia Nemours, dalla moglie di Vittorio Amedeo II, cioè Anna d'Orleans, dai figli Vittorio Filippo e Carlo Emanuele, destinato a succedere a Vittorio Amedeo II col titolo di re Calo Emanuele III), dal principe di Carignano Emanuele Filiberto e dalla consorte di questo Caterina d'Este.
Al nobile corteo in fuga VITTORIO AMEDEO II assegnò anche la SANTA SINDONE visto il grave pericolo di distruzione che questa che aveva recentissimamente corso (vedi l'importante saggio di Maria Delfina Fusina, Le Peregrinazioni della Sindone durante l'assedio di Torino (1706) in "Bollettino della Società degli Studi Storici di cuneo", n.2, 1972, p.153).
Infatti proprio mercoledì 16 giugno una palla di cannone aveva attraversato la Cupola del Santo Sudario quasi per dar sostanza ad una profezia del comandante dei francesi il colonnello La FEUILLADE il quale si era ripromesso di celebrare il "Te Deum" in onore di S. Luigi IX Re di Francia il giorno a lui dedicato cioè il 21 giugno.
Le trattative amichevoli con GENOVA per mettervi in salvo la famiglia il Duca le stava conducendo da un certo tempo anche se in linea del tutto segreta.
L'idea base sarebbe stata quella di condurre la famiglia nella potente BASE MILITARE DI SAVONA la storica FORTEZZA DEL PRIAMAR.
Stando alle considerazioni del Bagnara si deduce però che la Serenissima Repubblica, rispondendo al Duca, sostenne che la FORTEZZA non era ambiente decorso per ospitare i membri di una illustre casa regnante.
Per conseguenza la Signoria genovese offrì un'adeguiata sistemazione a Genova: secondo la versione del Bargellini ("Storia popolare di Genova", 1854, p.364) dietro a tale ostentazione di rispetto sarebbe anche risieduto il timore di impedire al temuto Vittorio Amedeo II di poter accedere ai segreti di una fortezza ritenuta fondamentale per la tutela del genovesato.
Il VIAGGIO TORINO - ONEGLIA -GENOVA comunque si svolse e la sua I SOSTA avvenne in territorio ancora sotto giurisdizione ducale cioè a CHERASCO dove la SINDONE sarebbe stata esposta per tre giorni stando al contenuto di una LAPIDE COMMEMORATIVA (vedi: Pier LuigiBollone, "Sindone o no", 1990).
Ripresa la spedizione alla volta di MONDOVI' una II SOSTA sarebbe avvenuta a CEVA: qui la famiglia ducale sarebbe stata ospitata da Carlo Emanuele Pallavicino Marchese di Priola e dei Marchesi di Ceva.
Dopo questa sosta il viaggio sarebbe continuato sulla direttrice di GARESSIO - ORMEA per entrare finalmente in territorio ligure il 28 giugno quando fu raggiunta la base genovese di PIEVE DI TECO.
Questo importante borgo fu il primo in cui sostò la SACRA SINDONE con la famiglia ducale che stando a quanto riporta il Bagnara, che attinge al lavoro della Fusina, fu accolta "con ogni rispetto e dimostratione".
Sul viaggio da questo paese d'alta valle sin ad ONEGLIA non si son trovati documenti significativi.
Giuseppe Maria Pira (a p.87 del II volume della sua "Storia di Oneglia") si è limitato a descrivere la festosa accoglienza riservata in ONEGLIA alla famiglia ducale rcevuta "in mezzo alle accoglienze di un popolo fedele che fiancheggiava la strada ai due lati lungo lo spazio di dodici miglia. La loro entrata in città fu un trionfo festeggiato con lieti suoni di campane, con salve di artiglieria, con replicati viva, con generale illuminazione e con tanta pubblica gioia che scordar facean il motivo della loro venuta e che preannunziavano il futuro trionfale loro ritorno alla capitale".
Per raggiungere la BASE PORTUALE DI ONEGLIA, e quindi attraversare il DOMINIO SABAUDO IN LIGURIA OCCIDENTALE era comunque invitabile attraversare il NODO VIARIO DI CARAVONICA e, poichè in quel tempo le condizioni metereologiche furono a lungo avverse, non è affatto da escludere che la famiglia ducale con la SACRA SINDONE abbiano sostato proprio nel PALAZZO DELLA CONTESSA DI CARAVONICA in attesa di un miglioramento delle condizioni onde affrontare una strada comunque mai comoda.
Stando alle acquisizioni fatte da Maria Delfina Fusina nel suo citato saggio del 1972 sulle "peregrinazioni della Sindone" è però certo che né a CARAVONICA come in alcun altro luogo del "GENOVESATO" che era pur sempre terra straniera mai più si procedette ad una PUBBLICA OSTENSIONE DELLA SINDONE affidata personalmente alla duchessa madre: sulla base delle ricerche della Fusina si apprende infatti che stando agli accordi intrapresi "entrando in terra genovese la Sindone...doveva d'ora in poi viaggiare in incognito.
Peraltro la Signoria genovese, rinforzando le guardie e la sorveglianza alla famiglia reale e quindi alla SINDONE, aveva pienamente aderito all'esplicita richiesta degli inviati del duca sabaudo per cui "il favore della temporanea ospitalità [sarebbe stato maggiore qualora fosse stato praticato] con tutta la più desiderabile cautela e segretezza".
La stagione metereologica fu così aspra, nonostante il periodo estivo, che la partenza dal PORTO DI ONEGLIA avvenne il 16 luglio allorquando la Corte si imbarcò su 5 galere inviate dalla Repubblica di Genova (assieme alla famiglia ducale, a guisa di ambasciatori della Signoria genovese, si imbarcarono anche 15 nobili alla cui guida stava il Marchese Negroni de Nigra Rivarola, feudatario del marchesato del Mulazzano).
La nobile famiglia fece poi un'ulteriore SOSTA a SAVONA quindi sabato 17 luglio 1706 alle ore 22 i vascelli con la famiglia ducale giunsero a GENOVA, sbarcando al PONTE REALE per la circostanza ricoperto di tappeti e circondato da una folla plaudente.
La sistemazione della famiglia di Vittorio Amedeo II solo in un primo momento presentò qualche problema, poi tutto si risolse facilmente.
Per il seguito di cavalieri e paggi la sistemazione fu trovata nel convento dei Bernabiti a S. Bartolomeo degli Armeni mentre la residenza di Anna d'Orleans, degli infanti e della ducessa madre fu individuata nel palazzo del magnifico Ignazio Pallavicini detto VILLA DELLA DELLE PESCHIERE.
Visto che sussisteva qualche noto attrito tra la DUCHESSA MADRE e ANNA D?ORLEANS, il capo dell'ambasceria genovese Marchese Negrone de Negri in una lettera custodita presso l'Archivio di Stato di Genova riportata dal BAGNARA, aveva per cautela scritto alla Signoria (ottenendo soddisfazione):" Savona, 13 luglio 1706 a' ore 9/ Non devo tacere a Vostre Signorie Serenissime una notizia che ho et è che queste Principesse vivono tra loro con qualche sorta di gelosia....Di già fra esse, affinché resti totalmente sepolta piccola contesa insorta per l'alloggio costì, resta convenuto che l'appartamento superiore del Palazzo fatto prepararae in Multedo spetterà a Madama la Duchessa e Prencipini e l'inferiore o sia l'appartamento al piano del portico a Madama Reale".
Le duchesse condussero vita abbastanza ritirata ma ciò non impedì loro di visitare chiese e conventi spesso suscitando la preoccupazione dei religiosi per l'inevitabile seguito del patriziato genovese.
Poi Torino fu liberata dall'assedio e il 13-IX-1706 degli emissari di Vittorio Amedeo II si presentarono al Doge genovese per i dovuti ringraziamenti; praticamente subito col placet senatoriale fu riconcessa la flotta che aveva condotto da ONEGLIA a GENOVA il corteo regale con la SANTA RELIQUIA.
A capo della missione fu posto ancora il Rivarola e il viaggio di ritorno, che ricalcò alla perfezione o quasi quello di arrivo, si svolse senza problemi: alla partenza le duchesse furono omaggiate, come scrive il Bagnara, con 16 cassette di dolci e di acque d'odore (profumi).
Raggiunsero Torino il 2 ottobre e la SINDONE potè essere ricollocata dal Beato Sebastiano Valfré nella Cappella sua sede designata.
Subito Vittorio Amedeo II ancora impegnato nella guerra nel campo militare di Cava Corta presso Lodi fu avvertito del successo del ritorno e del salvataggio della reliquia: fu questo l'ultimo viaggio della SINDONE fino al II conflitto mondiale.





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Si può dire che il pellegrinaggio a La Mecca sia nato insieme alla religione dell' ISLAM (ISLAM ="ABBANDONO, SOTTOMISSIONE, FEDE A DIO" in arabo ALLAH) di MAOMETTO I: i SEGUACI di MAOMETTO e quindi dell'ISLAM sono poi detti nel codice latino di comunicazione MUSULMANI per adattamento del termine persiano MUSLIMAN a sua volta derivato dall'arabo MUSLIN nel senso di "ADERENTE ALL'ISLAM" (vedi BATTAGLIA, XI, sotto voce, etimologia.
Per il paganesimo sincretistico dell'Arabia del VI-VII secolo d.C. La Mecca era già città santa e ritenuta uno dei centri in cui era vissuto Abramo.
Come spesso accade per ogni fenomeno religioso che, all'origine, deve sovrapporsi a un sistema sociale per poterlo rifondare, la predicazione di Maometto trasformò la consuetudine di un viaggio alla fiera annuale della città, essenzialmente motivato da scopi commerciali, in un dovere religioso per i membri della comunità di fedeli dell'ultima religione sorta dal monoteismo semitico: un dovere che lo stesso Profeta espletò due volte nella sua vita.
L' espansione islamica guidata dai primi quattro califfi (632-661) e, in seguito, dalla dinastia omayyade unificò un territorio che si estendeva, alla fine dell'VIII secolo, dalla Spagna alle frontiere orientali dell'Iran ove si ponevano i presupposti storici dell'avanzata dei Turchi e dell'espansionismo dei Mongoli.
All 'interno di questo vasto territorio, destinato, in seguito, a espandersi ulteriormente verso oriente e a sud del Sahara, i processi di arabizzazione e di islamizzazione non procedettero in maniera omogenea, nè peraltro, come ormai ènoto, si verificò una conversione a tappeto di tutte le popolazioni dell' ecumene islamica.
Tuttavia, le fonti di cui disponiamo per la storia del pellegrinaggio a La Mecca vedono proprio in quest' epoca ancora instabile l'inizio del pellegrinaggio anche da parte di musulmani non arabi: dalla fine deli' VIII secolo, infatti, le prime carovane di pellegrini di differente etnia, lingua e provenienza geografica cominciarono a giungere a La Mecca per rendere testimonianza della propria fede.
Oggi come allora, i gesti simbolici che ogni pellegrino compie, a imitazione del pellegrinaggio intrapreso da Maometto poco pnma di morire, sono regolati in maniera ineludibile.
Ciò che a un osservatore distaccato potrebbe sembrare una serie di azioni fredde e impersonali, è invece la manifestazione di una ritualità fortemente connotata dall'importanza della gestualità, compiuta entro un tempo e uno spazio ben definiti.
Questa concezione 'attiva' della preghiera, regolata da condizioni precise che in un certo senso convalidano l'accesso umano alla dimensione del sacro e del divino, è peraltro fondamentale nella religiosità semitica, cui l'Islam appartiene; non essendovi alcuna mediazione fra Dio e l'essere umano, ogni credente è al tempo stesso l'officiante della propria liturgia.
Il gesto rituale enfatizza dunque la misura di un tempo sacro distinto e differenziato dal tempo profano.
Il vissuto religioso di un credente musulmano si pone, quando diviene pellegrino, così come quando prega, entro un doppio livello di manifestazione e di interiorizzazione.
Al gesto esteriore che sancisce, nello spazio e nel tempo, l'avvenuto contatto con la dimensione del divino corrisponde un profondo atto di introspezione, che può essere anche vero e proprio percorso intellettuale, come nel caso dei grandi mistici musulmani.
Il pellegrinaggio è sempre, indipendentemente dalle risorse cultura li individuali, un atto, o quanto meno un desiderio, di rinascita spirituale, dal quale si ritorna, o si spera di tornare, inevitabilmente diversi.
'Credere' inteso come atto della ragione e, al di là degli obblighi devozionali di cui parlano i catechismi, senz' altro l'invito più suadente che il Corano rivolge a chi vede in esso la parola di Dio.
Vi è dunque un'imperscrutabile presa di coscienza, espressa dal concetto religioso di niyya (intenzione), cui intimamente è chiamato in prima istanza chiunque decida- ed è un dovere religioso, se si è benestanti e in buona salute - di partire per condividere con quella moltitudine, che da secoli arriva a La Mecca, un modello simbolico di imitazione del Profeta.
Data questa scansione nel sentire religioso dei musulmani fra tempo del sacro e tempo del profano, a cui corrisponde un riscontro in armonia col tempo astronomico, scandito dalle lunazioni, il pellegrinaggio ha un suo tempo peculiare ail 'interno del calendario islamico.
Si distingue infatti un piccolo pellegrinaggio a La Mecca ('amra), che si può compiere in qualsiasi periodo dell' anno, dal pellegrinaggio vero e proprio ( hagg ).
I riti del pellegrinaggio si susseguono così: dal primo giorno di sawwal (decimo mese del calendario lunare) all 'ottavo di du 'l-higga (dodicesima luna che chiude l'anno musulmano) si compie un'abluzione completa e si indossa l'abito rituale, costituito da due teli di stoffa senza cuciture da annodarsi intorno al corpo.
L'abluzione e la vestizione rituale rappresentano un momento di purificazione e di ritorno a una condizione originaria di assoluta eguaglianza fra tutti gli esseri umani.
Si compie poi la circumambulazione intorno alla Ka'ba, il cubo al centro della grande moschea de La Mecca dove si conserva un meteorite, la Pietra Nera, portato secondo la tradizione religiosa musulmana dall'arcangelo Gabriele.
Le cerimonie aLl 'interno della zona sacra intorno alla moschea de La Mecca si concludono con una processione tra le due colline di Safa e di Marwa.
Esse costituiscono la parte fondamentale dei riti della 'umra, e il preludio al hagg, il pellegrinaggio maggiore, che ha invece come teatro anche il deserto che si estende a est della città sacra.
I riti del hagg seguono questo calendario: 1'8 di du 'l higga, il 'giorno dell'abbeverata', si parte per la pianura desertica di Arafat, a circa 25 chilometri a sud-est de La Mecca.
Il 9, 'giorno di Arafat', i pellegrini sostano in preghiera e in raccoglimento; al tramonto, tornando verso La Mecca, si fermano nella valle della Muzdalifa per raccogliere i ciottoli che serviranno a compiere il rito della lapidazione di Satana.
Questo avviene il giorno successivo, nella vallata di Mina, dove i pellegrnu lanciano sette ciottoli contro tre steli che rappresentano appunto Satana.
Nello stesso giorno chi vuole può radersi i capelli, o limitarsi al taglio di una ciocca, portando così a compimento quel ritorno simbolico a una purezza primigenia iniziato con 1' abluzione e 1' abito rituale.
Da questo momento, seppure gradualmente, il fedele inizia a sospendere le regole della purezza rituale.
Chi vuole - i meno abbienti ne sono dispensati - può acquistare un animale da sacrificare per commemorare Abramo.
E' questa l'unica infrazione, lecita proprio perché sancita dal rituale, a una disciplina di tutela ambientale che, fin dalla nascita dell' Islam, non tollera il minimo atto di violenza entro lo spazio sacro del pellegrinaggio: fra l'altro, secondo una tradizione pronunciata dal Profeta, è proibito non solo uccidere animali (eccetto gli insetti), ma anche tagliare la vegetazione, o addirittura cacciare da una zona ombreggiata un animale per mettersi al suo posto.
Si parte poi per La Mecca, dove altri giri intorno alla Ka'ba consacrano il rientro del fedele alla vita profana.
Alla sera si ritorna a Mina, dove si pernotta.
L' 11, 'giorno del disseccamento', la carne degli animali sacrificati si lascia asciugare al sole, prima di essere consegnata a organizzazioni umanitarie che la distribuiranno in beneficenza.
Vi è una nuova lapidazione di Satana, sempre con sette ciottoli.
Il 12 è l'ultimo giorno a Mina per coloro che ancora non sono rientrati a La Mecca.
Nellà citta sacra, il giro di addio intorno alla Ka'ba conclude il pellegrinaggio.
La Mecca ha rappresentato, per i quindici secoli della storia dell'Islam, il polo magnetico di un'esperienza religiosa che ha unito milioni di coscienze al di là della diversità di etnie, delle differenze sociali, dell' eterogeneità degli ambienti geopolitici che formano l'ampio tessuto del mondo arabo-islamico.
Nonostante le numerose guerre, gli scismi, e soprattutto la dispersività delle enormi distanze - dal Marocco all'Indonesia, dall'Africa subsahariana alle repubbliche asiatiche della ex Unione Sovietica- La Mecca ha sempre assolto il ruolo di punto focale della comunità dei credenti musulmani.
Il forte senso dell' orizzontalità - spaziale e temporale - che domina il dispiegarsi della parola coranica sembra materializzarsi nella fissazione di un punto terrestre verso cui la spiritualità e la devozione religiosa possano convergere.
"Dovunque slate" - è scritto nel Corano (II, 150) - "rivolgetevi verso quella direzione, a che la gente non trovi pretesti contro di voi".
La direzione, la qibla verso cui ogni credente orienta la propria preghiera, è quella della Ka'ba, eretta da Abramo secondo la storia sacra dell' Islam, e descritta nel Corano come "il primo tempio che sia stato fondato per gli uomini" (III, 96).
Altrove, nel Corano, è Dio stesso che invita il Profeta a dare un senso spaziale alla sua preghiera: "Vediamo che tu volgi lo sguardo verso il cielo, ma ti daremo una qibla che ti piacerà: volgi dunque il volto verso il Tempio Sacro" (II, 144).
Da un punto vista storico e sociologico, nel corso dei secoli il pellegrinaggio a La Mecca è stato ed è uno dei capitoli più importanti della storia delle comunicazioni umane.
Si tratta certamente di una complessa rete di comunicazioni, attive a più livelli.
Se guardiamo alla base di questo fenomeno, il pellegrinaggio è da secoli un'occasione unica, per i fedeli, per affermare la propria fede e per trasmettere tale esperienza.
Per cogliere l'importanza di questo aspetto, e la sua incidenza sulla storia culturale, si considerino le due più importanti fonti medievali sul pellegrinaggio musulmano: l'andaluso Ibn Gubayr (XII secolo) e il magrebino Ibn Battuta (XIV secolo).
I diari di viaggio di questi grandi viaggiatori, in parte all 'origine di un particolare genere letterario centrato appunto sul pellegrinaggio, sono testi preziosissimi non solo perché consentono di ricostruire le condizioni di vita quotidiana e di viaggio nel Medioevo arabo-islamico, ma anche perché teatro storico globale è tutto il Mediterraneo.
Il pellegrinaggio musulmano si inserisce così in un tessuto di traffici e di comunicazioni ben più vasto di quanto certa storiografia passata ci abbia insegnato a scuola.
Un pellegrino musulmano proveniente dall'Andalusia, come appunto fu il caso di Ibn Gubayr, poteva trovare ovvio imbarcarsi a Ceuta, in Marocco, su una nave genovese per recarsi fino ad Alessandria d'Egitto.
Infatti, la scelta di Ibn Gubayr di ricorrere a imbarcazioni italiane (siamo nel 1183, quindi in piena epoca crociata) era sicuramente dettata dalla supremazia delle flotte cristiane nel Mediterraneo e dal conseguente minor pericolo di attacchi dei pirati.
Questa abitudine fu mantenuta per diversi secoli: pellegrini algerini, tunisini e libici spesso viaggiavano su navi inglesi o francesi fino ad Alessandria, e da lì giungevano al Cairo, dove si univano alle carovane appositamente organizzate per il pellegiinaggio.
Dall'alto Egitto, poi, sarebbero giunti fino a La Mecca.
Come si può intuire, la storia dei pellegrinaggio alla città santa dell' Islam è profondamente intrecciata alla storia delle grandi rotte commerciali che univano l'immenso territorio islamico.
Quello seguito da Ibn Gubayr è rimasto per secoli il tradizionale itinerario da ovest.
Le fonti relative al medioevo e all ' età moderna spesso documentano un percorso alternativo, scelto dai pellegrini delle province occidentali per ragioni di sicurezza, che li portava a deviare dal Cairo verso oriente, viaggiando dalla Siria fino a Baghdad, da dove partiva l'altra grande carovana verso La Mecca.
Oggi le condizioni di viaggio sono naturalmente meno gravose; al posto delle carovane che si muovevano lungo i principali assi di comunicazione, le moderne compagnie di viaggio includono sempre voli speciali per i pellegrini.
Tuttavia, anche la via di terra continua a essere praticata per ragioni economiche.
Ciò che nel tempo forse è rimasto invariato è l'mprevedibile stupore che accompagna l'emozione, da parte di chi giunge alla Ka'ba, nel trovarsi improvvisamente di fronte a tutti i possibili colori del genere umano.
E ancora Ibn Gubayr a testimoniare, otto secoli fa, l' assoluta plurietnicità dell'Islam, descrivendo in termini che noi oggi chiameremmo di mondialità una moltitudine in cui l'unico senso dell'ordine era dato dal muoversi in gruppo delle differenti razze e provenienze.
E' uno stupore che si riscontra in ogni resoconto di viaggio a La Mecca: identica emozione ha provato, per esempio, un altro grande viaggiatore musulmano, il diplomatico ottomano Evliya Celebi, che nel 1672 documentava la sensazione di ecumenismo procurata dalla fusione di razze e di lingue in una moltitudine compatta.
Nella geografia religiosa dell' Islam, il pellegrinaggio a La Mecca è certamente il più importante, ma la Ka'ba non è l'unica meta intorno alla quale si èfocalizzata una culture del viaggio a carattere spirituale.
A1 secondo posto per importanza è Gerusalemme, da cui Maometto partì per il suo viaggio mistico fino al Cielo, considerata dall' Islam città santa al pari dell'braismo e del cristianesimo.
Di fatto, tutte le regioni del mondo islarnico rivendicano, inoltre, una trama di pellegrinaggi locali, legati essenzialmente alle tombe di personaggi verso cui converge la devozione popolare, e caratterizzati da un'affluenza di fedeli in certi casi paragonabile al hagg alla Ka'ba.
E il caso delle cerimonie annuali intorno alla tomba di Sidi Ahmad al-Badawi a Tanta, nel delta del Nilo.
Di grande importanza per gli sciiti sono le visite alle tombe degli imam 'A1i e Husayn, nelle città sante di al-Nagaf e Karbala' in Iraq, e dell ' imam 'A1ì al-Rida a Qumm, in Iran.
Nel Magreb, regione del mondo musulmano la cui religiosità è caratterizzata dal culto dei santi, il circuito dei pellegnnaggi è particolarmente fitto; in Marocco, èfrequente il caso di pellegnnaggi di ebrei e di musulmani alle tombe di personaggi venerati dai fedeli di entrambe le religioni.




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-Dalle origini a Maometto
Prima di Maometto gli arabi erano divisi tra le popolazioni nomadi (beduini) delle zone interne e quelle sedentarie dei regni marginali.
Una vivace civiltà urbana si era sviluppata nelle regioni meridionali dello Yemen.
Nell'interno della penisola arabica i beduini, pur fondando città come Yathrib (poi Medina)) e La Mecca, restarono nomadi.
Fu MAOMETTO (ca 570 - 632), appartenente ad un ramo minore dei Coreisciti (gli Hashemiti), il fondatore dell'islamismo, colui che diede agli arabi unità politica e religiosa il cui simbolo estremo è poi condensato nel PELLEGRINAGGIO alla città santa della LA MECCA.
Cacciato da La Mecca, si rifugiò a Medina nel 622 (egira, da cui inizia la cronologia musulmana), ma nel 630, organizzato un esercito, conquistò La Mecca.
Alla MORTE DI MAOMETTO l'islamismo e la sua guida politica era no state accettate da quasi tutto il popolo arabo.
Non si può tuttavia far a meno di segnalare come la forte impronta religiosa dell'ISLAMISMO abbia finito in seguito per costituirne un elemento complesso, ora esaltante ora causa di forti contrasti.
La forma originaria derivata dalla predicazione di MAOMETTO concentrata su TRE FONTI DELLA DOTTRINA E DELLA NORMA (CORANO, SUNNAH, SHARI'AH) si esplicò nel fondamentale movimento iniziale dell'ISLAMISMO PRIMIGENIO o ISLAMISMO SUNNITA, che resta tuttora la forma di islamismo più praticata, ma alla quale già in tempi remoti si contrappose la linea scismatica dall' ISLAMISMO SCIITA



Il termine CORANO è un adattamento occidentale dall'arabo QU'RAN = "RECITAZIONE, PROCLAMAZIONE": si tratta del LIBRO SACRO DELL'ISLAMISMO dettato da Dio al profeta Maometto tramite l'arcangelo Gabriela (610 circa).
Maometto non raccolse però la rivelazione in un solo testo: la compilazione definitiva fu realizzata per volontà del terzo califfo Uthman (644 - 655) che ne curò la redazione definitiva.
Il LIBRO risulta composto di 114 SURE ("CAPITOLI") divise in versetti di varia lunghezza ed ordinate con l'eccezione della prima per ordine di ampiezza, dalle più lunghe alle più corte, senza alcuna considerazione dell'ordine cronologico delle stesse.
E' poi da citare la SUNNAH , che raccoglie gli insegnamenti del Profeta ("Ciò che il Profeta fece, disse e approvò tacitamente [taqrir]" è libro ispirato da Dio e di efficacia e normativa identica a quella del CORANO secondo l'ISLAMISMO SUNNITA: a questa conclusione non approda invece la corrente scismatica dell' ISLAMISMO SCIITA [la SUNNAH, fu fissata nel giro di due secoli dall'EGIRA sotto forma di HADITH scritti, ognuno dei quali costituisce la narrazione di azioni o detti del profeta (ma anche di un qualunque dei suoi "Compagni" o "Successori"): del HADITH solo il significato è ritenuto ispirato da Dio]
Infine la SHARI'AH è la LEGGE CANONICA basata sui principi del CORANO e regola tutta la vita del MUSULMANO tanto sotto l'aspetto religioso che socio-politico. E le azioni di ogni individuo risultano classificate sulla base di 5 CATEGORIE LEGALI: FARD (quanto rientra fra i doveri assoluti: ciò comporta la ricompensa per aver agito o altrimenti la punizione), MUSTAHABB [azioni lodevoli o meritorie: comportano una ricompensa senza però punizione per l'eventuale omissione), JA'IZ / MUBAH (azioni legalmente ammissibili che risultano legalmente neutrali), MAKRUH (azioni riprensibili, che sono da disapprovare ma non da punire), HARAM (azioni vietate che nel caso siano compiute comportano una inevitabile punizione).



L' ISLAMISMO SUNNITA, in definitiva quello ortodosso e maggioritario, prende siffatto nome in quanto riconosce, in opposizione agli SCIITI la SUCCESSIONE DEI CALIFFI DOPO ALI' e soprattutto considera la SUNNA , che raccoglie gli insegnamenti del Profeta, libro ispirato da Dio e di efficacia e normativa identica a quella del CORANO.
Tra questi due grandi gruppi, dopo la morte di Maometto si vennero a formare grandi dispute teologiche.
Per arginare eventuali scismi si ebbe un COMPROMESSO con l'elezione a califfo di Abu Bakr (632-634) cui seguirono altri 3 califfi detti i "CALIFFI BEN GUIDATI": Umar (634 - 644), Uthman (644 - 656) e Alì (656 - 661).
Sotto di loro l'ISLAMISMO procedette compattamente a grande espansione ma alla loro scomparsa si venne a formare una SPACCATURA POLITICA E TEOLOGICA (oltre che per il valore sacrale o non attribuito alla SUNNA) tra i MUSULMANI SUNNITI per i quali la carica di califfo doveva essere conservata nell'area dei discendenti prossimi di Maometto e i MUSULMANI SCIITI legati alla causa dei discendenti di Alì (cugino e genero di Maometto).
L'ISLAMISMO SUNNITA (tuttora vitale) non prevede (oggi alla stessa maniera che alle sue origini) un clero organizzato, esistono piuttosto dei sapienti della religione, gli ULEMA, degli studiosi della legge religiosa (SHARIAH) ed MULLAH incaricati di dirigere la preghiera del venerdì.
In questo contesto il CAPO DELLA COMUNITA' RELIGIOSA finisce quindi per identificarsi col CAPO DELLA COMUNITA' POLITICA.
E' suo dovere difendere l'ISLAMISMO senza però mai poterne alterare i contenuti dottirnali e teologici.
Uno dei suoi compiti è quello di ampliare, se possibile, il DAR AL-ISLAM cioè la "CASA DELL'ISLAM" in contrapposizione al DAR AL-HARB = "CASA DELLA GUERRA" vale a dire i territori degli infedeli.
Per questo è fondamentale nel contesto dell'ISLAMISMO SUNNITA l'interpretazione dello JIAHAD troppo monoliticamente interpretato dagli Occidentali, in genere, quale esclusivo sinonimo di "GUERRA SANTA".
Per alcuni secoli il CALIFFO (da khalifa = "vicario") accentrò in sè l'unicità della UMMAH ("comunità dei credenti") ma dopo la scomparsa di questa FIGURA TEOCRATICA UNIFICATRICE (1258) e l'affernazione in Persia (1502) della DINASTIA SAFAVIDE SCIITA siffatta COMPATTEZZA ED UNICITA' FORMALE SI E' DISPERSA.



Col termine SCIITI si indicarono e tuttora si indicano le CORRENTI ISLAMICHE entro lo SCISMA DEI SOSTENITORI DEL DIRITTO DI ALI', GENERO DI MAOMETTO E DEI SUOI DISCENDENTI QUALI UNICI SUCCESSORI LEGITTIMI DEL PROFETA DOPO L'ASSASSINIO DI ALI' NEL 661.
Nella DOTTRINA SCIITA la figura centrale è rappresentata dall'IMAM o capo della COMUNITA' SCIITA, discendente di Alì e della sua sposa Fatima e dotato della ISMA = INFALLIBILITA' - IMPECCABILITA'.
Contrariamente ai SUNNITI gli SCIITI non riconoscono l'autorità della SUNNA (come scritto il libro scaro che raccoglie la tradizione autentica sulla vita e le parole del profeta).
Per quanto distinti in molteplici correnti nel passato gli SCIITI controllaronono politicamente vaste aree del mondo musulmano.
Per esempio in EGITTO la DINASTIA FATIMIDE realizzò verso il 969 un forte regno destinato a durare fino al 1171.
In IRAN i MUSULMANI SUNNITI SAFAWIDI assunsero il potere verso i primi del 1500 diffondendo nella regione lo SCIISMO che è tuttora la forma religiosa dominante.
Lo stesso sciismo nello YEMEN ha assunto la variante degli ZAIDITI.
Gli SCIITI che sono comunque minoritari rispetto ai SUNNITI nell'ambiente musulmano hanno un seguito del dieci per cento dei credenti e la loro principale CORRENTE è quella detta dello SCIISMO DUODECIMANO,: si tratta di quello vigente in IRAN dal XVI secolo e che riconosce 12 IMAM tutti giudicati DISCENDENTI di ALI' (l'ultimo sarebbe stato Muhamed al-Mahadi che non sarebbe morto ma solo occultato nell'874.
Ultreriori CORRENTI SCIITE sono quelle dei DRUSI in LIBANO, degli ISMAELITI (che riconoscono solo 7 IMAM): sono pure da citare gli ISMAELITI NIZARI (nel secolo XII tristemente noti coll'appellativo di
ASSASSINI i quali controllavano anche la regione a sudovest del Mar Caspio e che quindi emigrarono in India) i quali riconoscono come "loro capo" l'AGA KHAN
-L'espansione sotto gli omayyadi
Sotto i successori di Maometto (califfi), lo Stato nazionale arabo si trasformò in impero teocratico.
Il califfo Omar (634-644) conquistò la Siria-Palestina, l'Egitto, l'Africa ex bizantina e la Persia, cancellando l'impero sassanide.
Con la dinastia omayyade (661-750) il califfato assunse connotazioni fortemente monarchiche (da elettivo divenne ereditario) e la sue sede fu spostata a Damasco.
L'espansione araba proseguì verso il Caucaso, il Mar Caspio e l'attuale Turkmenistan.
Conquistate Buhara e Samarcanda, dalla Persia meridionale gli arabigiunsero alla valle dell'lndo.
Nel 711 Tariq ibn Ziyad passò lo stretto di Gibilterra, invase la Spagna e sconfisse i Visigoti di Rodenco.
La vittoria di Carlo Martello a Poitiers (733), nonostante iI valore simbolico assunto, non pose fine alla pressione araba sull'Occidente: I'unita culturale, religiosa, politica ed economica del Mediterraneo era però finite.


-L'età abbaside
Agli Omayyadi succedettero gli Abbasidi (750-1258), che trasferirono la capitale a Baghdad (762) e favorirono l'egemonia dell'elemento persiano all'interno dell'impero.
Il califfo venne affiancato dal visir, al quale spettava il vero e proprio governo dell'impero.
Nonostante che gli arabi dominassero il Mediterraneo fino al sec. Xl (la conquista della Sicilia è dell'827)) e conquistassero l'lndia nel sec. Xl, sotto gli Abbasidi iniziò la disgregazione dell'impero, con il progressivo crescere dell'autonomia di singole regioni rette da governatori (gli emiri), solo formalmente sottomessi al califfo di Baghdad, il cui ruolo fu dal sec. IX solo di capo spirituale.
Nel sec. X i sovrani Fatimidi del Cairo e gli Omayyadi di Cordova costituirono califfati dissidenti che dal sec. Xl furono governati prima dagli Almoravidi e poi dagli Almohadi.
Contemporaneamente i Turchi selgiuchidi, conquistato il califfato di Baghdad e la Persia, fronteggiarono le crociate, che avevano avuto un prologo nella riconquista cristiana della penisola iberica.
Nel 1258 i Mongoli distrussero Baghdad, abbatterono il califfato abbaside ed estesero il loro dominio fino all'Eufrate.
Solo in Spagna il dominio degli arabi durò fino al 1492 (caduta di Granada).
Il dominio ottomano, cioè dei Turchi, fu duraturo sulle regioni ormai abitate da genti arabe, salvo episodici tentativi di riconquistare l'autonomia (wahabiti nella penisola arabica, sec. XIX).
. Un risveglio arabo, preparato da vari filoni culturali (laici o religiosi), si ebbe solo dopo la I guerra mondiale e la dissoluzione dell'impero ottomano.
Alla fondazione di vari Stati arabi indipendenti fece seguito una serie di tentativi di unificazione di Stati e territori diversi in nome dell'appello etnico (panarabismo).
La questione araba, variamente intrecciata con la dinamica dell'lslam moderno, è diventata un aspetto cruciale delI'equilibrio mediorientale dopo il 1945 (Bibilografia: F. Gabrieli, Gli arabi, Sansoni, Firenze 1957; N. Daniel, Gli arabi e l' Europa nel Medioevo, tr. it., II Mulino, Bologna 1981)




Uno degli aspetti che divide il MONDO OCCIDENTALE da quello MUSULMANO ed in cui esiste una stretta correlazione tra MONDO ECONOMICO e VISIONE RELIGIOSA riguarda quell'esasperazione della logica commerciale del profitto che entrambe le culture condannano ma che alla RADICE presuppone DIFFERENZE DI FONDO.
IL MONDO OCCIDENTALE CATTOLICO condanna, con qualche limitata concessione la pratica dell'USURA, sia sotto l'ASPETTO RELIGIOSO quanto sotto l'ASPETTO LAICO.
Il MONDO ISLAMICO usa per segnalare l'esasperazione della logica di profitto un termine RIBA che è un pò riduttivo tradurre semplicemente con USURA: esso indica piuttosto una LOGICA SPECULATIVA che coimplica un complesso di operazioni finanziarie che a sua volta presuppone la compresenza di valori fittizi di speculazione i quali sono finalizzati all'arricchimento di ristretti gruppi di potere che si identificano con l'accumulo di ricchezza (oligarchia) e con una guerra occulta, ma non meno devastante portata avanti da queste e identificabile, col graduale PROCESSO DI IMPOVERIMENTO DELLA MAGGIORANZA DELL'UMANITA'.
Nel CORANO Allah dice: "Coloro invece che si nutrono di riba (p.667) resusciteranno come chi sia stato toccato da Satana. E questo perché dicono 'il commercio è come la riba!. Ma Allah ha permesso il commercio e ha proibito la riba. Chi desidera dopo che gli è giunto il monito del suo Signore, tenga per sé quello che ha e il suo caso dipende da Allah. Quanto a chi persiste ecco i compagni del Fuoco. Vi rimarranno in perpetuo" (II, 275).
Ed ancora disse il Profeta: "Ci sono 73 maniere di praticare la riba, la meno esecrabile equivale a commettere adulterio con la propria madre. La più mosruosa è diffamare un musulmano".
In definitiva la RIBA più pertinentemente sarebbe la causa della rovina delle società e dei rapporti sia tra gli uomini che tra gli stati. Essa divide le nazioni in debitrici e creditrici, è causa di processi inflattivi che determinano l'azzeramento delle risorse economiche di interi Paesi.
Ed in questo complesso ideologico occorre dire che il mondo MUSULMANO è più vicino all'interpretazione socio economica di ambiente CRISTIANO-CATTOLICO che a quella di contesto RIFORMATO e in particolare del CALVINISMO di matrice NORDAMERICANA identificato sotto molteplici DEFINIZIONI E/O MOVIMENTI rispetto alla TEOLOGIA MATRICE.




La BASILICA DI S.PAOLO FUORI LE MURA ha costituito (come tuttora costituisce) uno dei LUOGHI SANTI per eccellenza a ROMA.
Tale BASILICA PATRIARCALE (una delle SETTE BASILICHE STORICHE DI ROMA risale al IV secolo quando COSTANTINO IL GRANDE volle che fosse eretta sulla tomba di S. PAOLO, APOSTOLO DELLE GENTI: si tratta della II basilica per dimensioni dopo quella di S. PIETRO.
Nel corso della sua storia millenaria fu ingrandita ed abbellita ma nel 1823 fu vittima di un terribile incendio che la devastò.
Fu poi fedelmente ricostruita e venne riconsacrata da PIO IX nel 1853.
Parte dell'antichissimo fascino è un pò svanita ma la basilica conserva tuttora testimonianze di inestimabile valore miracolosamente risparmiate dal fuoco.
Tra queste sono da ricordare il ciborio gotico di Arnolfo di Cambio, il mosaico dell'abside> risalente al IV secolo, il grande candelabro pasquale ed il chiostro del Vassalletto.