Nel XV sec. si fece largo in Genova e Ventimiglia la convinzione che fosse necessario realizzare sull'improbo e mai apprezzato percorso che seguiva, attraverso le GOLE DI SAORGIO, la "STRADA" DEL ROIA una via commerciale e strategica verso il Piemonte per evitare i pedaggi da versare ai Doria e ai Savoia ormai (da Pigna) sempre più in espansione sulla migliore STRADA DEL NERVIA.
Il 22-II-1448 Aleramo de Puteo, a nome proprio e del fratello Paganino dichiarò di aver riscosso dal Comune intemelio un anticipo sulle 800 metrete e 200 fiorini pattuiti a compenso per realizzare "itinerario nuovo da doversi fare a partire dalla città di Ventimiglia presso l'acqua del Roia sin al luogo di Breglio" (notaio Melchio Judex); il 23-IV-1453 Ruffino de Angeleri procuratore di Paganino de Puteo, abitante di Cuneo, dichiarò d'aver riscosso dal Sindaco intemelio Antonio Arzaigo "cento fiorini...in occasione di un certo itinerario da doversi fare da Ventimiglia presso l'acqua del Roia sino a Breglio" (Tenda, notaio di Briga Jacobus Baraduchi). I lavori erano in fieri fra mille difficoltà ed esistono dubbi sulla realizzazione del tragitto Breglio-Briga: dubbi espressi dal Padre Somasco Antonio Orengo in un manoscritto inedito (Memorie istoriche della città di Ventimiglia, p.86).
Costui accusava Nizza di aver attentato per i suoi interessi e per quelli sabaudi a tale opera viaria onde non perdere l'egemenia del commercio del sale: l'affermazione dell'Orengo risulta ineccepibile perché in quello stesso arco di tempo da parte pedemontana si ebbe un grande risveglio di interesse per i sistemi viari delle valli minori nel Piemonte sud-occidentale, coll'assillante progettazione di sempre migliori e rapidi percorsi per la strata salis. Cuneo (dal 1382 epicentro sabaudo per il trasporto del minerale sull'asse Nizza-Asti-Pavia) risultò sede di attenzioni militari e diplomatiche in quanto i Savoia tenevano in gran conto le gabelle o tasse che i negoziatori avrebbero dovuto versare al fisco per tal commercio: nel XV sec. essi controllavano Nizza e l'area delle Alpi Marittime, sì da progettare una linea politico-economica ritenuta per un tragitto sicuro dalle saline di Hiéres nel nizzardo sino al colle di Tenda.
CASTELLARI LIGURI: UN SISTEMA DIFENSIVO CONTRO MARSIGLIA?)>La colonia greco-focese di MASSALIA dall' VIII sec. estese la sua influenza sulla Liguria di Ponente grazie alle basi di Tauroentio, Olbia, Antibes e Nizza (Iustin., XLVIII,3,8 e 5) ed il Portus Herculis Monoeci ne sarebbe stato il punto di massima espansione verso l' oriente italico (Strabo, IV,1,5 e Amm. Marcell., XV,10,9). Secondo alcuni studiosi i coloni di Marsiglia, dopo le sconfitte ad Imera nel 480 dei rivali Cartaginesi e a Cuma nel 474 degli Etruschi, avrebbero intensificato la loro colonizzazione (Scymn-pseudo, orbis descrip., 201-3,215-9) sin al IV-III sec. quando i loro possessi sarebbero stati accerchiati da invasori Celti: per alcuni ricercatori invece i GRECI di Marsiglia avrebbero urtato contro un sistema di forti liguri, detti Castellieri o Castellari, che ne avrebbe fermato l'espansionismo (v.Riccardo Urgese Rolandi nelle Considerazioni sui castellari della Liguria in "Rivista di Studi Liguri", XLVIII, 1977, nn. 1-4).
Altra ipotesi sull'origine dei CASTELLIERI o FORTI MEGALITICI LIGURI PREROMANI fu divulgata da E. Bernardini in Liguria-itinerari archeologici (Roma, 1981, p.49 seg.) ove venne ricostruito un mappale della presunta muraglia di castellieri atti a difendere il sistema pagense dei Liguri, organizzati in una serie di conformazioni territoriali rette da tribù [gli "Intemeli" per il territorio di Ventimiglia (da Monaco-Mentone a Sanremo circa estendendosi alla dorsale del Tenda), gli "Ingauni" per il vasto agro di Albenga, i "Sabazi" per il complesso cui oggi fanno capo i sistemi demici di Vado e Savona]: le osservazioni del Bernardini non sempre son state esaurienti (specie per il supposto castellaro in val Nervia di CIMA TRAMONTINA ove le fortificazioni sono del XVIII sec. e non si son riscontrati i ritrovamenti ceramici citati dallo studioso).
A. Eremita ha ristretto il numero delle reali sedi di questi fortilizi preromani sviluppando una sua ipotesi sulla CIVILTA' DEI CASTELLIERI DI FRONTIERA, che non sarebbero stati tanto barriere militari contro i Greci (anello debole della teoria teoria bernardiniana, risultando tecnicamente inidonei a sostenere assedi massicci) quanto luoghi protetti ed approvvigionati d'acqua, ideali per la transumanza, attività basilare nell' ecosistema ligure-preromano (B. DURANTE-A. EREMITA, Guida di Dolceacqua e della Val Nervia, Cavallermaggiore, 1991, cap.I).
G.MOLLE in un un lavoro edito a Milano nel 1971 -Oneglia nella Storia- aveva dubitato di questa guerra di frontiera fra Greci e Liguri nel IV-III sec. a. C., sia perché l'archeologia ha riportato tracce di una pacifica commercializzazione di prodotti massalioti nei castellari del Ponente sia per il fatto che i grecismi " MAGAGLIO" [che deriva da un tipo di zappa greco, la MAKELLA (in latino Ligo: la nostra rara e antica riproduzione è tratta da AA.VV., Hesiodi Ascraei...[opera omnia], Amstelodami, apud G. Gallet, 1701, inter pp. 260-261) il cui nome attuale, attraverso i millenni, salva restando la tipologia dell'attrezzo, si evolse (caso isolato in Italia) nell'italiano/ ligure ponentino, di evidente connotazione dialettale, "MAGAGLIO", donde il verbo "MAGAGLIARE" sia nel significato proprio di "lavorare il campo o l'orto" sia nell'accezione proverbiale, con timbro critico" di "non far vita da fannullone e dedicarsi ad un lavoro utile quanto faticoso"] e " CARASSA" [un sistema di sostenimento pei vitigni] e la tecnica colturale marsigliese della colombara (per olio da combustione ed unguenti) paiono introdotti pacificamente nel Ponente ligure ad opera di coloni greci.
In effetti, a conforto delle intuizioni del Molle le ultime indagini sui reperti suggeriscono che dal VI sec. agricoltori greco-marsigliesi si siano insediati senza contrasti nel territorio degli Intemeli, non lungi dall'odierno confine costiero tra Francia ed Italia.
Peraltro, a dimostrazione dell'esistenza di rapporti commerciali più che di tensioni conflittuali tra Liguri e Greci, è stato il rinvenimento per il territorio ligure di reperti greco-massalioti attestanti una penetrazione ed una commercializzazione pacifica: per esempio all'imboccatura della val Nervia, presso l'omonima frazione di Ventimiglia, gli archeologi han scoperte, in località Colla Sgarba tracce di un oppido (centro demico ligure preromano) con reperti di ceramica massaliota (N.LAMBOGLIA, Le prime vestigia di Albintimilium preromana in "Rivista di Studi Liguri", XIV, 1948, pp. 119-28).
Verso il IV-III sec. a.C. inoltre dalla Gallia Belgica gruppi di Nervii si sarebbero poi qui insediati in pace colle genti autoctone ed avrebbero trasmesso al luogo, al suo torrente e ad un pagus o villaggio sul tratto terminale di questo il loro etnico sotto forma di idronimo ( P.W.R.E., su Nervii - Holder, 726): la Petracco Sicardi, studiando il territorio, si è imbattuta in voci galliche che testimoniano ancora altre pacifiche infiltrazioni in siti agricoli e pastorali della val Nervia (Toponomastica di Pigna in Dizionario di Toponomastica Ligure, Bordighera, 1962, p. 105, n. 319).
La conquista romana non fu semplice.
Benché Annibale durante la II guerra punica fosse entrato in Italia per altri valichi, ai Romani non sfuggì l'importanza della via costiera della Liguria.
I Romani dovevano infatti tener conto di vari fattori. In primo luogo del fatto che gli Ingauni costituivano un ostacolo non trascurabile, con un territorio molto vasto che raggiungeva le valli della Bormida e del Tanaro entrando in area pedemontana. In seconda istanza il territorio intemelio costituiva ancora un ostacolo da non sottovalutare anche perché rappresentava un passaggio obbligato per qualsiasi esercito che dovesse penetrare nella Gallia Narbonese senza valicare le Alpi. Oltre a tutto ciò i Liguri, con la loro abitudine alla pirateria, potevano sempre disturbare il traffico, militare e mercantile, dei popoli in espansioneverso le loro contrade: per questo Roma affidò a due duumviri navales il compito non semplice di domare queste scorrerie piratesche.
Scontri militari dei Romani coi popoli liguri si ebbero anche prima del conflitto annibalico, ma è in siffatta circostanza che contro la grande potenza italica, per un'antica alleanza coi Cartaginesi, scesero in campo molte genti costiere del territorio compreso tra Vada Sabatia ed Albintimilium.
Intanto Magone, fratello di Annibale, riuscì ad ottenere aiuti militari da Vada Sabatia ed Albingaunum tra il 205 ed il 203: oltre a ciò agli Ingauni, in cambio della promessa di poter arruolare fra di loro truppe ausiliarie, Magone fece il non trascurabile "favore" di infliggere pesanti sconfitte a Montani ed Epanterii, i rozzi liguri dell'interno che saccheggiavano spesso il buon territorio ingauno.
La sconfitta di Magone da parte del Pretore Publio Quintilio Varo nel 203 trasformò di colpo le condizioni dei Liguri e soprattutto degli Ingauni che, per il timore di rappresaglie, stipularono una serie di trattati.
In realtà il trattato di non belligeranza, menzionato da Livio, appare esteso alla sola Albingaunum nè d'altri trattati parla lo storico padovano: ciò nonostante è da credere, visto il peso politico degli Ingauni, è da pensare che questi trattati di non belligeranza risultassero estesi a tutte le genti del ponente ligure.
I Liguri furono però sempre gelosi della loro autonomia e perlomeno dal 201 la regione visse in uno stato costante di belligeranza e guerriglia, cui Roma pose rimedio con uno sforzo militare più deciso, specie dopo il poco onorevole episodio del pretore Lucio Bebio Divite che venne sconfitto dagli eserciti congiunti dei Liguri non lontano da Massalia, città in cui si rifugiò colle truppe superstiti e dove morì per le ferite subite come scrissero Livio (XXXVII, 5) ed Orosio (IV, 20, 24).
L'incentivazione romana delle operazioni belliche in Liguria si può datare dal 188 a.C. con le imprese del console M. Valerio Massimo (Livio, XXXVIII, 35, 7 e 42, 1). I risultati non furono definitivi nè pari alle aspettative di Roma così che il Senato affidò ad entrambi i consoli del 187 a.C. (M. Emilio Lepido e Gaio Flaminio) la provincia della Liguria col compito di conquistarla definitivamente (Livio, XXXVIII, 42, 8).
Nonostante l'abilità dei Liguri a combattere nel loro aspro territorio, servendosi della velocità e di armi leggere che permettevano rapide fughe ed improvvisi attacchi, le legioni romane ottennero questa volta dei risultati importanti (Livio, XXXIX, 1, 1).
La pressione militare di Roma aumentò ancora dal 185 a.C. ed i popoli liguri patirono una serie di pesanti sconfitte: così mentre il console Marco Sempronio Tuditano sottometteva il levante ligure,il collega Appio Claudio Pulcro ne eguagliava la sorte "con alcune fortunate battaglie nel territorio dei Liguri Ingauni" come ancora scrisse Livio (XXXIX, 38, 1).
Nonostante questi successi la Liguria non fu del tutto piegata e, per garantire un più rigido controllo ed una maggior possibilità di celere intervento militare, fu a lungo assegnata come provincia consolare.
Nel 184, peraltro, gli Ingauni ed i loro alleati, essendo consoli Publio Claudio Pulcro e Lucio Porcio Licino, presero a riorganizzarsi, con una serie di operazioni, sino al culmine delle loro momentanee fortune, nel 181, quando, costituita una forte "lega militare", respinsero e poi assediarono il proconsole L. Emilio Paolo che pure s'era mosso contro di loro a capo di una discreta forza di guerra.
L. Emilio Paolo, che era però un buon comandante ed un soldato valoroso, seppe rompere l'assedio posto al suo accampamento ed alla fine inflisse una dura sconfitta agli Ingauni ed ai loro alleati.
Dopo che L. Emilio Paolo riuscì a piegare in maniera definitiva gli Ingauni (181 a.C.), il console Aulo Postumio Albino, dal territorio degli Apuani si spinse per via di mare sin a quello intemelio: questo viaggio di ispezione potrebbe lasciar intendere che, pacificati gli Ingauni, pure gli Intemelii avessero accattata la supremazia romana.
La guerra coi Liguri era stata abbastanza dura ed il Senato, di fronte ad imminenti conflitti in Oriente, preferì mitigare le richieste nei confronti dei popoli sconfitti, anche per evitare possibili insurrezioni. Il dominio degli Intemelii, al pari di quello delle altre genti liguri, ottenne quindi un foedus onorevole e la sua capitale acquisì la denominazione di "città federata" (cioè legata da vincoli di alleanza) nei confronti di Roma: non è semplice ricostruire ora le varianti tra i possibili "patti" stipulati coi Romani dai Liguri vinti: è comunque abbastanza certo che non si ebbero più insurrezioni e che i Liguri assolsero ai propri doveri con rigore (queste genti -come ricorda Sallustio nel De Bello Iugurt., 77, 4 e 93-94- vennero inquadrate in coorti ausiliarie e se una di queste, assieme a 2 "turme" di Traci e pochi altri soldati, si macchiò del tradimento del legato romano Aulo Postumio Albino causandone la sconfitta a Suthul in Numidia, è altrettanto vero che proprio un soldato ligure, col suo coraggio, permise a Mario di occupare una città dei Numidi).
Poco per volta, per quanto abbastanza impermeabili in un primo tempo all'acculturazione romana, i Liguri si inserirono nel contesto statale di Roma.
In un primo momento però, indice che non erano considerati ancora del tutto fidati, i Liguri furono esclusi dalle clausole delle leggi Julia de civitate danda del 90 a.C. e della Plautia Papiria dell'89 che comportavano l'inserimento di vari popoli vinti nello Stato romano: tuttavia i Liguri rientrarono nei corollari della Plautia Papiria e conseguentemente della Lex Pompeia de Gallia Citeriore in forza della quale le città liguri costiere vennero trasformate in Municipia di diritto latino: da questo momento, per quanto alcune città liguri rimasero allo stadio di colonie come Luna o Dertona e di fora o conciliabula come Industria, Pollentia, Aquae Statiellae, tutte le genti liguri, con Intemelii ed Ingauni in primo piano avevano ormai fatto un passo importante sulla strada della romanizzazione.