Anche se alcuni studiosi attribuiscono parte delle FORTIFICAZIONI COSTIERE fatte erigere in Liguria, Corsica e nelle isole minori come Capraia ai tempi antichi dei contrasti fra i Catalani e la Repubblica, la maggior parte di fortilizi e torri, a guardia e difesa del mare, che caratterizzano tuttora il paesaggio ligure [assodato ormai che non risalgono al periodo delle invasioni dei Saraceni o musulmani del golfo sambracitano (VIII-X sec.)] furono in gran parte erette, o comunque ristrutturate, al tempo in cui (prima metà del '500) il re francese Francesco I contendeva alla potenza di Carlo V re di Spagna e Imperatore di Germania, il controllo dell'Europa.
FRANCESCO I re di Francia, per colmare in parte la sua inferiorità militare nei confronti di CARLO V DI SPAGNA, con cui guerreggiava per la supremazia europea, chiese soccorso all'IMPERO TURCO che SOLIMANO IL MAGNIFICO aveva portato al suo momento di più fulgido splendore e di MASSIMA ESPANSIONE.
Il sultano o meglio, come all'epoca si diceva il Gran Turco Signore della Sublime Porta, gli inviò in aiuto la sua forte
FLOTTA "OCCIDENTALE" ORA DETTA "TURCHESCA" ORA "BARBARESCA"
in quanto composta per la maggior parte da equipaggi non turchi ma da sudditi dell'impero (NORDAFRICANI in maggioranza) e da CRISTIANI RINNEGATI: per tradizione il soglio di Costantinopoli turca privilegiava la flotta orientale composta da efficientissime
NAVI DA BATTAGLIA
con equipaggi turchi e su cui prendevano posto le milizie scelte ed in particolare i
GIANNIZZERI.
I contingenti musulmani volti all'ASSEDIO DI NIZZA
sbarcarono sulla rada di VILLAFRANCA senza trovare ostacoli: l'impresa suscitò tanto scalpore che il DUCA DI SAVOIA EMANUELE FILIBERTO decise di fortificare la località per rendere sicuro il suo porto di NIZZA. Le opere di fortificazioni, contemporaneamente all'inizio dei lavori genovesi per le TORRI ANTITURCHESCHE, iniziarono nel 1566 su progetto dell'architetto Andrea Provana di Leinì [contestualmente vennero fortificate le postazioni di Sainte-Elme e di Mont Alban e furono dotate di una migliore artiglieria].
Tra il 1533 ed il 1565 la flotta "turchesca", di oltre 200 navi da battaglia si unì alla più piccola squadra francese di galee nell'
ASSEDIO DI NIZZA.
[la prosecuzione delle vicenda e la conclusione dell'assedio, nonostante lo stile ottocentesco, si legge bene qui nell'opera di
Davide Bertolotti, Viaggio nella Liguria Marittima integralmente digitalizzato ed ipertesualizzato
e precisamente nel Capitolo o "Lettera" VI intitolato Fazione de' Turchi e de' Francesi contro a Nizza, l'anno 1543 del pari integralmente digitalizzato ed in cui, tra tante altre cose, l'autore si dilunga a parlare dell'eroina nizzarda Caterina Segurana che primeggiò nella difesa della città persino soffermandosi a dissertare dell'ingiustizia a fronte della nobiltà d'animo del suo sgradevole originario soprannome di "Maufaccia" cioè "Malfatta"]
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La grande armata navale operò sotto il comando di vari ammiragli.
Nel 1533 ne era comandante supremo KHAIR EL-DIN il cui nome venne europizzato in quello di Ariadeno ma che la gente, un pò per mitica apprensione sostenuta da vaghe consonanze culturali, soprannominò Barbarossa, valendosi dell'attributo di un altro mitico e più celebre devastatore, l'imperatore svevo Federico I.
Per parte genovese contro costui in teoria avrebbe dovuto combattere il "padre della patria" ANDREA DORIA: le osservazioni storiografiche hanno però dimostrato che il Barbarossa e Andrea Doria cercarono rispettivamente di non nuocersi. E' inoltre da precisare che proprio il Barbarossa a sorpresa non intervenne contro la squadra navale del Doria nel 1543 mentre questa era ancora davanti a Villafranca. Secondo testimonianze attendibili avrebbe fatto ciò per ricambiare un simile favore ricevuto presso Ippona. I suoi stessi capitani derisero per questa decisione il Barbarossa affermando che trattava quel "nemico ufficiale" (in fondo legato alla Spagna e a guardia sia di Nizza che delle coste repubblicane) "come fratello ed amico, corsaro anche lui (vedi Vallecrosia i "graffiti della storia"...,, Pinerolo-Vallecrosia, 1984, p. 154, nota 28). Andrea Doria, che prioritariamente curò sempre i suoi interessi non garantì mai pubblica difesa contro il Barbarossa ma, ignorando gli impegni assunti a favore di Carlo V, cercò semmai di tenerselo amico e sodale, anche permettendogli di riscattare, al prezzo relativamente modico, dato il personaggio, di 1500 scudi, il famigerato pirata Dragut. Il Doria addirittura colmò di doni il Barbarossa: "quando nel 1543 la squadra franco-turca assediò Nizza, affluirono sulle galee del Barbarossa i vini preziosi, i delicati cibi, le frutta fresche della Liguria, portate di nascosto da certi brigantini, che battevano la bandiera di Andrea" (in Ibidem).
Morto il Barbarossa nel 1546 il suo ruolo venne assunto dal rinnegato CHARO MUSTAFA', altresì noto come Lo Zoppo e soprattutto dal musulmano TAURGHUT che si è già citato col nome datogli dal popolo, quello di DRAGUT e che operò sulla costa ligure almeno sino al 1560 (perse poi la vita in un assalto ai Cavalieri dell'isola di Malta nel 1565).
Divenne allora ammiraglio della "flotta barbaresca" ULUGH-ALI' che, col nome di CHIALI', portò le sue forze ad altri perniciosi saccheggi, sin almeno al 1566.
Costui , con l'utile guida di RINNEGATI CRISTIANI, perpetrò diversi saccheggi sul litorale ligure, dall'agro intemelio a quelli di Sanremo e, drammaticamente, della vasta area tra Taggia e S.Stefano, luoghi tutti di grande importanza nel DOMINIO DI GENOVA e destinati a sopravvivere, con particolari forme giurisdizionali ed amministrative, sin quasi alla SCOMPARSA SETTECENTESCA DELLA REPUBBLICA, per procurarsi vettovaglie e SCHIAVI da vendere al "mercato degli schiavi" di Algeri o comunque da liberare dietro pagamento di un forte "riscatto".
Pagina nota, per quanto concerne il rapporto delle ville intemelie coi turcheschi, è soprattutto quella di Vallebona quando a metà XVI sec.come detto, la flotta imperiale "turchesca" o "barbaresca", ritardata dall'accanita difesa che opponeva Nizza, per approvvigionarsi di vettovaglie inviava le sue galee a devastare la costa ligure, compreso il Capitanato di Ventimiglia e ville.
Vallebona [assieme a Seborga, la Colla, Bordighera, e Ospedaletti] fu
saccheggiata da marinai e miliziani "turcheschi" una prima volta il 5 settembre 1543.
Il borgo corse tuttavia il suo massimo pericolo quando, nel contesto di nuove guerre e razzie, l'ammiraglio turchesco Ulugh-Alì -un rinnegato calabrese meglio noto come Chialì od Occhialì - lo fece assalire,
con uno sbarco ai "Piani di Vallecrosia" di oltre mille soldati (provenienti da 7 "galeotte" ancoratesi sul braccio di mare antistante i luoghi circonvicini e che, nonstante le razzie perpetrate mel sito di Vallecrosia, avevano soprattutto come meta la fertile e popolosa terra di Vallebona.
Un servo del capitano Giulio Doria, ad Antibo, era però riuscito ad apprendere i piani di quell'operazione da uno schiavo turchesco originario di Dolceacqua, a servizio sull'ammiraglia di Ulugh-Alì.
Grazie a ciò i paesani di Vallebona, preavvertiti, mandarono le famiglie al sicuro nella più ritirata villa di Sasso ed un buon manipolo di capifamiglia, inquadrati come militi villani, attesero l'arrivo della colonna "turchesca" riparati entro la chiesa fortificata di S.Lorenzo.
Un fuoco serrato accolse in Vallebona gli invasori che si ritirarono verso mare limitandosi a saccheggiare sparsi casolari o gruppi non organizzati di villani: i predoni se ne tornarono alle
navi portando 19 prigionieri -tre originari di Vallebona e fra cui due soli uomini e 17 fra donne o bimbi destinati al "commercio degli schiavi".
Il SISTEMA DIFENSIVO GENOVESE DELLE TORRI CONTRO I PIRATI ED I TURCHESCHI fu disseminato intelligentemente su tutto l'arco ligure era polivalente e ricco di varianti strategiche e militari (l'analisi topografica e cartografica permette tuttora di ricostruirne la competenza, ad esempio analizzando il TERRITORIO TRA ARMA E S.LORENZO AL MARE che fu tra gli obbiettivi di saccheggio prediletti dai "Turcheschi"). Le TORRI CIRCOLARI (vista la superiore resistenza della loro superficie corazzata da strutture in muratura più resistente al fuoco dell'artiglieria nemica: ma potevano essere anche STRUTTURE A PIU' ANGOLI, COME LA TORRE DI S. STEFANO tipologicamente e strutturalmente simili alle QUADRANGOLARI) sorgevano sul litorale o prossime alla costa (come il "TORRIONE
Le TORRI erano, mediamente, quadrangolari e circolari.
Le TORRI QUADRANGOLARI erano organizzate con finalità di avvistamento e per dare ricetto alla popolazione nel caso di uno sbarco dei pirati "turcheschi".
Queste torri (in parte realizzate con esenzioni fiscali approvate da Genova, in parte col sistema della "Sequella") erano in collegamento tra loro per via di fuochi segnaletici e si estendevano dalla costa fin ai borghi dell'entroterra in modo da formare un anello di comunicazioni luminose: i segnalatori si servivano di un doppio codice di comunicazione: con lume netto e chiaro, detto segnali di netto, si avvertiva la popolazione dell'arrivo di vascelli alleati ed amici mentre con luci intermittenti o fuoco di brutto si segnalavano navi nemiche operando in maniera che il numero delle intermittenze avvertisse sul numero dei vascelli all'orizzonte ed in modo che la direzione del fumo potesse indicare, se possibile, il luogo di provenienza.
Questo sistema difensivo fu costruito con grande fatica da Genova, in crisi economica, gravando sulla popolazione con tasse o con la richiesta, per i meno abbienti, di opera prestata gratuitamente per la costruzione delle opere difensive. La grande impresa fu realizzata solo in parte e non potè opporre esauriente difesa contro i "Turcheschi": lo schermo delle torri sarebbe meglio servito qualche decennio dopo e poi ancora a metà del XVII secolo quale sistema di controllo ed isolamento (per via di quarantene dei luoghi) contro la peste ed i portatori di contagio, spesso allo sbando ed in fuga dispertata per via di mare.
In effetti i pirati, non solo turcheschi o barbareschi, ed i corsari (spesso equipaggi al servizio di potenze in guerra, con licenza d'aggredire i vascelli di nazioni ostili: celebri i "corsari" inglesi operanti a danno della flotta della Spagna, storica nemica del regno d'Inghilterra) costituirono una lunga piaga per il Ponente di Liguria come per tutta la regione. Ancora nel XVII sec. si segnalava il pericolo di pirati e corsari: lo stesso Aprosio fu talora impedito a viaggiar per mare dalle scorribande di pirati. Un suo nobile amico genovese Gio.Nicolò Cavana in una lettera da Genova del 20-V-1673 [Ms.40 (carta 4 recto) della Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia] scrisse all'erudito ventimigliese: "...Quando Vostra Paternità Molto Reverenda è in viaggio sempre sto attendendo avviso del suo arrivo con quell'ottima salute che le viene da me desiderata: spero quanto prima sentire sia giunta in Ventimiglia vedendo dall'amabilissima sua come era in Savona e come li corsari si facevano sentire...".
La Repubblica di Genova [come ovunque sul suo litorale (e si vedano anche i sofisticati meccanismi delle TORRI NELL'AGRO DI VALLECROSIA, della linea dalla FRONTIERA A VENTIMIGLIA od ancora del COMPLESSO DI BORDIGHERA)aveva provveduto a realizzare il SISTEMA DIFENSIVO DELLE TORRI CONTRO LE INCURSIONI DAL MARE]: nell'area fra il lido di Taggia e l'importante base di Porto Maurizio fece costruire due torri: una rotonda presso
il torrente Prino detta di "Prarola" e l'altra chiamata dei "Marmi" a
San Lorenzo, aumentando la tassa o gabella sul vino, per sostenere le spese, di
un soldo al barile; nel 1564 le due opere furono compiute insieme a quelle delle torri quadrate della Gallinara a Cipressa, degli Aregai
e di Arma all'inizio della valle di Taggia.
Fra Bussana e Porto Maurizio i turcheschi avevano compiuto scorrerie ed altre ne minacciavano; poiché bisognava dotare il litorale di una adeguata protezione la Repubblica fece edificare a
Santo Stefano, la più grande torre erroneamente definita a pianta ottagonale ma in effetti di 9 lati.
La potente costruzione resta un
esempio della tecnica militare del tempo a riguardo delle torri costiere di difesa ed offesa con struttura rotonda o perlomeno poligonale per offrire un ridotto angolo di impatto ai proiettili dell'artiglieria navale nemica: un pò alla stregua di quanto si riscontra nel Torrione di Vallecrosia.
La Torre di S. Stefano iniziata nel 1564 fu terminata nel 1570: le mura, il cui spessore supera i 2
metri, eran fornite di troniere o feritoie (oggi trasformate in finestre) per uso degli archibugieri: alcune guardiole stavano attorno al terrazzo (la
sopraelevazione di un piano con tetto di tegole avvenne in tempo posteriore) da cui gli assediati si difendevano gettando dall'alto olio
e pece bollenti uniti ad altri corpi contundenti, in genere grossi sassi,
che, con i viveri, erano sollevati tramite polegge.
Si accedeva nella torre con scale mobili di corda issate all'inizio delle ostilità isolando completamente la piccola guarnigione di difesa.
La struttura fu armata con bombarde del peso di 25
cantari (il cantaro genovese era di 6 rubbi ed il rubbo 8 Kg.: si trattava quindi di bombarde del peso di circa 1200 Kg.: la definizione di bombarda, visto il peso e l'impianto su una struttura fortificata, sembra un pò riduttivo: del resto alla fine del XV sec. -e già qui si era oltre la metà del XVI- avevano preso piede ovunque, sia sulle navi che nelle fortezze, le batterie di cannoni che scagliavano proiettili ben sagomati di metallo o di pietra).
Nel fortilizio stanziavano 25 uomini, 4
bombardieri ed un caporale per la guardia.
La Torre possedeva ancora nel 1799 due pezzi per la difesa della costa ma probabilmente fu smantellata sotto l'incalzare dei nuovi tempi rivoluzionari e dell'invasione napoleonica della Liguria.