cultura barocca
CLICCA QUI PER LA HOME PAGE DI CULTURA-BAROCCA CLICCA QUI PER ACCEDERE DIRETTAMENTE AL TESTO, AI COLLEGAMENTI E ALLE STAMPE ANTIQUARIE: TUTTO QUANTO E' EVIDENZIATO IN COLOR ROSSO E' ATTIVO CON RIMANDI MULTIMEDIALI

IN QUESTO VOLUME, CHE E' IL DECIMO DELLA RACCOLTA DI VIAGGI NELL'OTTOCENTO CURATA DAL GEOGRAFO F. C. MARCHETTI, ENTRO IL LAVORO INTITOLATO
STORIA ANTICA DEL MEXICO DI ALVARO DI TOROZOMOC
[il nome indigeno è verosimilmente ripreso con un di quelle varianti che si possono considerare incrocio fra l'errore tipografico, quello filologico e qualche adeguamento agli idomi europei ma che poco incidono sulla classificazione dell'opera =
Fernando de Alvarado Tezozómoc or Hernando è stato un nobile coloniale Nahua. Fu uno dei figli di Diego de Alvarado Huanitzin (governatore di Tenochtitlan) e di Francisca de Montezuma (figlia di Montezuma), e fu interprete per conto della Reale Audiencia. Oggi è noto per aver scritto il Crónica Mexicayotl -qui Storia del Messico-. Fernando de Alvarado Tezozomoc fu un cronico di una certa fama, appartenente ad un gruppo di cronici "mestizo" -con il termine meticcio, dallo spagnolo mestizo e portoghese mestiço, si definivano in origine gli individui che nascevano dall'incrocio fra i conquistadores o coloni europei tipicamente spagnoli e portoghesi e le popolazioni amerindie indigene precolombiane- assieme a Fernando de Alva Ixtlilxochitl, Diego Muñoz Camargo e Domingo San Anton y Muñon Chimalpaín].
OLTRE CHE AFFASCINANTI INCISIONI (COME QUESTA SOPRA RIPRODOTTA CHE RAPPRESENTA CITTA' DEL MESSICO O MEGLIO L'ANTICA CAPITALE IMPERIALE AZTECA DI TENOCHTITLAN), SI RECUPERANO DATI PREZIOSI SULLA STORIA DEL MESSICO PRECOLOMBIANO (CON ELEMENTI IGNOTI ALLE PIU' CONOSCIUTE RELAZIONI DI ALTRI CRONISTI SPAGNOLI, COMPRESI GLI GLI SCRITTI AUTOBIOGRAFICI DEL CORTEZ) DI MODO CHE E' PARSO GIUSTO RIPRODURNE QUI DI SEGUITO IL
TESTO INTEGRALE
NELLA TRADUZIONE DI ANDREA GERI

******************************************

STORIA ANTICA DEL MESSICO
DI
ALVARO DI TOROZOMOC

AVVISO
Infra gli Apostoli serafici della nuova Spagna, si distinse per la intelligenza dello spirito e per la santità delle intenzioni fra Toribio di Benavente, il quale, giunto al Messico nel 1522 insieme con altri frati del suo ordine, prese per umiltà il soprannome di Motolino - Motolinia, siccome quello che nel messicano idioma significa povero e mendico.
Lo zelo cristiano, l'attività prodigiosa nella evangelica missione, ed una condotta veramente esemplare furono qualità, che valsero tanta stima al Motolino, che presto fu elevato al grado superiore di Provinciale, e in tal postazione quell'uomo egregio non solo fu utile alla causa della religione, ma sibbene agli interessi della civiltà; poiché non ebbe tema di alzar la voce contro gli abusi di ogni genere commessi nel Messico dagli Spagnuoli sui compatriotti, e da non pochi suoi confratelli nell'Apostolato e nel Sacerdozio, e senza posa si adoperò onde impedire, che tutto il passato di questi magnifici paesi della Nuova Spagna non andasse a perdersi sotto la falce di una distruzione fanatica e barbara: ei fu il primo che s'occupò a riunire le nozioni che potessero nei secoli futuri almeno ricondurre i conquistatori sulle tracce di ciò ch'essi aveano conquistato.
Ed infatti devensi a lui principalmente quel poco di antica storia che possediamo su quei popoli infelici nel Messico, e fu a quelle poche di acque a stento da lui riunite, che tutti gli scrittori posteriori sulle antichità della Nuova Spagna attinsero.
perché vide i geroglifici esposti [N.d.R.= probabilmente erano variamente conservati e non limitati a iscrizioni murarie: molti testi - secondo una secolare tradizione- si custodivano entro un facsimile dei papiri egizi, scritti su un tipo di corteccia appositamente elaborata dagli artigiani aztechi] e perdersi colla vita di coloro, che non sapevano esplicarli, egli fece tracciare dagli Indiani, sotto i suoi propri occhi e sotto la sua direzione, in geroglifici ed in figure, quanto credette più necessario di conservare alla posterità: tutta la dinastia dei re di Messico fu in questa guisa dipinta, ed è (con poche copie fedeli che ne son rimaste) l'unica opera di questo genere che abbia trionfato dei tempi e del vandalismo: vedevsi l'istoria della meonarchia Messicana, incominciando dall'accampamento guerriero ove fu eletto il primo monarca, indino e compreso Cuoctemoc, cui la pittura indice ultimo re dopo la caduta del grande Montezuma, e che si assoggettò alla Corona di Spagna, ed abbracciò la fede di Gesù Cristo.
Consiste questo curioso monumento di storia in quattordici quadretti dipinti su papiro, che alcuni credono di agave, altri di palma, riuniti con dei nastri ugualmente papiracei, ma più sottili e flessibili; di guisa tale che i detti quadretti, piegati l'uno su l'altro, formano un libro.
Ogni epoca della dinastia v'è dipinta separatemente e distinta in un quadretto, ove si rappresenta l'eroe che le appartiene, gli eroi secondari e le altre figure accessorie, non che il paese conquistato sotto il suo regno.
I geroglifici attraversano tutto il piano di ogni quadretto, e contengono probabilmente la spiegazione della gesta dell'eroe principale, e del numero e qualità delle sue conquiste.
Don Alvaro di Tozozomoc o Torozomoc, discendente dai re di Azcapulco, formò la base della sua Storia Antica del Messico col predetto prezioso ed in un curiosissimo documento; ma siccome conosceva il sistema geroglifico dei suoi padri, e sapeva molti fatti storici e assai altre cose, per tradizione dai suoi connazionali religiosamente serbate, poté comporre una storia di gran lunga più piena e ordinata, di quella che comprendesi nella serie dei quadri dipinti sopra descritti [Vari studi son stati svolti su questa opera; citiamo Alvarado Tezozómoc, Fernando Storia antica del Messico, di Hernando Alvarado Tezozómoc (nome corretto dell'autore: anche se qui si è mantenuta la grafia del Marmocchi) ; a cura di Francesco C. Marmocchi ; traduzione di Andrea Geri ; edizione e studio di Silvana Serafin, Roma : Bulzoni, 2000, 80 p., 9 c. di tav. : ill. ; 20 cm. in " "Letterature iberiche e ibero-americane ; 53" - ISBN 88-8319-484-5 Classificazione Dewey · 972 (21.) Storia Generale dell'America Centrale - Lingua di pubblicazione italiano Codice identificativo IT\ICCU\TSA\0259054 = questo "Avviso del Compilatore" giustamente fa cenno nell'incipit al lavoro di Toribio di Benavente per la salvaguardia di codici di geroglifici aztechi andati persi per distruzioni perpetrate dagli Spagnoli ma anche poi dispersi per l'incomprensibilità agli occhi dei discendenti dei nativi sconfitti; altri nomi meritori si potrebbero fare a riguardo di quanti si adoprarono per salvare un patrimonio scrittorio importante, purtroppo come detto in assima parte destinato ad oblio e/o distruzione = vale la pena qui di rammentare il coraggioso domenicano Diego Durán autore di uno dei primi (e controversi) libri occidentali sulla storia e la cultura degli Aztechi,la Historia de las Indias de Nueva España e islas de la tierra firme (opera conosciuta anche come Codice Durán). Tuttavia pare giusto qui rammentare autori più tardi il cui lavoro è valso al recupero di molti atti e documenti: e fra molti credo valga la pena di ricordare l'edizione critica e la gran quantità di integrazioni, con segnalazione di Mss. e documenti rari in specie raccolti dal Boturini, qui leggibili grazue al lavoro di Carlos Maria Bustamante in merito alla sua edizione della Memoria di Don Ferdinando D'Alva Cortés Ixitlilxochiti ]
Il Torozomoc scrisse in lingua messicana: ma don Carlo di Siguença y Gongora tradusse la sua opera in Catigliana favella.
Rarissimo è il manoscritto di questa storia, la più preziosa che esista intorno alle antichità Messicane (pagina 445, Tomo IV); ma un nostro valente italiano, che nel 1825 era nella città di Messico, potè (non però senza difficoltà) consultare una delle poche copie esistenti di detta traduzione, della quale, confrontandola sempre colla serie dei quadri dipinti della dinastia messicana, fu in grado di darci in lingua francese il seguente sostanzioso compendio dell'una e dell'altra opera; compendio, che noi abbiamo fatto tradurre in italiano, e qui lo offriamo alla curiosità ed alla meditazione de' nostri connazionali [Avviso del compilatore]
STORIA ANTICA DEL MESSICO
A guisa delle istorie antiche di tutti i popoli, la storia Messicana principia con delle contradizioni.
Vi è chi pretende, che diverse famiglie o popoli disertassero una contrada ancora inconosciuta del Settentrione, e venissero a popolare al Mezzogiorno il paese dell'Anahuac, propriamente detto il Messico; secondo la quale opinione questo paese era prima deserto.
Altri al contrario tengon per fermo, che la contrada fosse già occupata da molti popoli, tra i quali citano: i Cohisci, i Cuitlathèchi, i Giòpos, i Mazathèca, i Popolòca, gli Scinothèca, i Tònachos, i Mazahuà, i Mathacinga, gli Zapatèca, ec., ec.
Ma è più probabile credere, che le dette regioni, prima dell'arrivo delle famiglie settentrionali, fossero abitate da poche tribù di genti nomade; le quali ponno presumersi esser quelle degli Sciapanèca (le più antiche), degli Olmèca, degli Scilànca, dei Misthèca, degli Othomiti; e degli Sciscimeca, siccome quelle che sembrano le meglio autenticate dalle tradizioni degli Aborigeni.
I primi popoli che dal Settentrione emigrarono nell' Anahuac pare fossero i Tulthècas.
Stettero per istrada più di cento anni, e non fu probabilmente che in sul cominciare del VII secolo dell'era volgare, che edificarono Tula, forse chiamando così questa città in memoria del Tullan, paese che avevano abbandonato.
Dicono fosser queste genti agricole e civili, iniziate nelle arti, e capaci di fonder l'oro e l'argento: un calendario vhe possedeano, dimostra che non erano estranee all'astronomia, la prima scienza d'altronde di tutti i popoli.
Le nazioni emigrate dopo i Tulthècas furono le Amaquemècane, delle quali non si può fissare precisamente il luogo donde partirono: chiamaronsi anche Sciscimeca, forse per alludere al loro stato semibarbaro (del quale la parola Sciscimeca è l'etimologia), e per distinquerli dai più inciviliti Tulthèca.
Comunque sia, Sciolòtl fu il loro capo, si fissò a Tenayùca, e fu lo stipite di quella valorosa famiglia, che più tradi regnò a Tescùcp.
L'arrivo degli Amaquemècani, o Sciscimeca, rimonta verso l'anno 1170: il paese era quasi deserto, poiché la fame e la pestilenza aveano distrutto una parte dei Tulthècas e dispersa l'altra; allearonsi con gli avanzi di questa nazione infelice, dalla quale appresero le arti e l'agricoltura.
Dopo (credesi nell'anno 1178) vannero i Nahuatlàcani, usciti dal regno o dai boschi di Aztlàn, paese anche questo estremamente settentrionale: pretendesi fosser divisi in sei nazioni, che sono probabilmente quelle degli Sciochimilica, degli Scialquènos, dei tepanècas, dei Còlhua, dei Tlaùica e dei Tlascaltèca, nomi che i loro duci respettivi imposero ai differenti regni che costituirono, o alle colonie che fondarono nel loro stabilirsi nell' Anahuac.
Sciolòtl, re Sciscimeca, ricevette tutte queste genti ospitalmente; accordò loro delle terre per coltivare, ma serbò sovr'esse una certa sovranità; cosicché divenuto per esse più potente, trasferì la sede del suo impero dalle cime della sassosa tenayùca sulle spiagge del lago di Tezcùco, e la capitale del suo impero prese questo nome.
Poco tempo dopo (verso la fine del secolo XII), altri tre capitani Nahuatlàchi, seguirono, accompagnati da folte falangi, i sei duci di loro nazione sopraccennati; e Sciolòtl accolse anche questi colla stessa generosità, e di più diede ad ognuno di essi una propria figlia per isposa: dal nome del paese donde emigravano, il regno di Tescùco appellossi reame di Acolhuacàan, e la nazione si chiamò Acòlhua, nome di significato più civile di quello di Sciscimeca, che, come dicemmo, volea significare semibarbaro.
Finalmente giunsero gli Aztèqui, che sono le genti che si appellarono in seguito Messicane, dalla voce mextili, che altri attribuiscono ad un antico capo di loro nazione, ed altri alla loro divinità, designata più tardi sotto il nome di Huitzilechtli.
Ora noi siamo arrivati agli eroi della nostra pittura: ma bisogna andarli a cercare un poco più lunge per meglio approfondirne la storia.
Stando ad ogni apparenza, non fu prima dell'anno 1160 dell'era volgare, che gli Aztèqui abbandonarono la contrada di Aztlàn loro cuna, loro patria primitiva, che dicesi è a borea del mar Vermiglio o Golfo di California, più di 3000 miglia distante dal Messico: cercar miglior ventura ad austro, fu probabilmente a motivo della loro migrazione.
Dicesi fu il loro Dio, che comandò ad essi d'Andarsene; lo che è naturalissimo: per inculcare grandi risoluzioni ad un popolo barbaro, bisogna sempre che parli l'Oracolo: tale è la storia di quasi tutti i popoli in tutti i tempi.
Dicesi, che questi Aztèqui si arrestarono prima per qualche anno sulle rive del Rio Gila, ove ancora appariscono le tracce di una grande nazione che le desertò; ma queste tracce, che indicherebbero nella nazione che ve le lasciò un grado considerevole di incivilimento, mal convengono (ne sembra) a genti, che anche in epoca posteriore non abitavano che povere capanne: qualche autore loro attribuiscono i ruderi noti sotto il nome di Las Casas Grandes e situati nella provincia di Sonora, i soli monumenti di una civiltà assai antica in queste contrade; ma (lo ripetiamo) se deesi giudicare da ciò che questi popoli erano, anche quando giunsero nell'Anahuac, questa supposizione manca di verosimiglianza.
E' più credibile che gli Aztèqui si arrestassero a Hueycolhuacàn, questo selvaggio Culuacàn che occupa gran parte della provincia di Sonora anzie detta.
Di là passarono nel Mesciuacàn, così chiamato come chi dicesse il paese del pesce; ma che prima aveva nome Coatlicamàc.
Quivi la discordia entrò fra di loro; una fazione vi restò, l'altra continuò il suo cammino: la quale giunse a Tula nel 1196, e vi dimorò per circa nove anni.
Fu qui probabilmente che gli Aztéqui appresero alcune nozioni d'astronomia; infatti il loro calendario rassomiglia moltissimo a quello dei Tulthecas, popolo certamente capace allora d'essere il loro precettore.
Discesero a Zumpàngo, ove ragnava uno di quei piccoli signori, che, dicesi erano lì giunti prima di essi e forse nel modo stesso; infatti, ei li ricevè assai bene, e di più maritò il suo figliuolo con una figlia d'un capo Aztèquo, come per ricongiungere la loro comune antica origine.
Sette anni dopo gli Aztèqui passarono a Tizayucàn, a Tolpetlàc, e a Tepayacàc, luogo dove oggi sorge il santuario di Guadalupa.
Il vecchio Sciolòtl, che regnava ancora, li lasciò fare; e suo figlio Nopaltzin, che gli successe, non li contrariò menomamente, quando andaro a piantarsi più tardi a Sciapultepèc.
Frattanto che gli Aztèqui corrono così di contrada in contrada, per non perdere il filo della nostra istoria gettiamo per un istante lo sguardo sull'Anahuac, e rileviamo lo stato politico di questo alto pianoro del Messico.
La famiglia Sciscimeca, o Acòlhua, divenuta dominante avea per vassalli tutti gli altri principi dell'Anahuac.
Sciolòtl, il primo re di questa razza, avea, come dicemmo, trasportata la sede del suo impero da Tanayùca a Tezcùco; Tezcùco era dunque allora il capo-luogo dell'Anahuac.
Sciolòtl morì quasi subito dopo l'arrivo degli Aztèqui o Messicani: avea regnato per quarant'anni con saggezza, umanità, munificenza, e morì col dolore di essere stato costretto di punir di morte alcuni dei nuovi ospiti, che voleano uscire dai limiti in cui li avea posti la sua generosità.
Nopaltzin, che gli successe, continuò degnamente il regno del padre suo: ma già ogni villaggio pretendeva erigersi in reame od in repubblica, come nella Grecia antica e nell'antico Lazio: cosicché era facile prevedere le dissenzioni e le guerre, che più tardi scossero tutti questi piccoli stati, e fecero del più misero di essi, come della povera Roma, il gigante dovea tutti domarli.
Ora ritorniamo ai nostri Aztèqui o Messicani.
A Sciapultepèc, dove gli abbiamo lasciati, menarono per quattordici o quindici anni durissima esistenza.
Quel sito, oggi continentale, a tre o quattro miglia a ponente di Messico, era allora paludoso ed invaso dalle acque del lago di Tescuco: consiste in una piccola collina isolata, che non poteva offrire molti mezzi di sussistenza; però il luogo solo fa conghietturare che quegli Aztèqui o Messicani primitivi, non erano che un pugno di profughi, di vagabondi.
Le vessazioni dei signorazzi dei contorni accrebbero la loro miseria; e le persecuzioni del regolo di Scialtocàn, uno di quei tre Acòhlua, che Sciolòtl avea sì bene ricevuti e maritati, pose il colmo alle loro disgrazie.
Perciò gli Aztèqui cercarono un asilo sulle isolette poste verso l'estremità meridionale del lago, e distinsero col nome di Acocòlco il loro nuovo stabilimento, indicando con tal voce il luogo di refugio che li avea accolti.
ma qui essi non vissero più felici che altrove: nutriti di cattivi pesci, d'insetti e delle radici delle piante lacustri, e vestiti di fronde d'amòstili (forse la palma palustris), la loro vita fu meschinissima per cinquant'anni; e solo addolcivala una certa tal quale libertà che conservarono: però questa consolazione durò poco; anche la libertà fu tolta ad essi, ed il servaggio pose al colmo la miseria della loro esistenza.
Gli storici differiscono nella relazione di questo avvenimento: secondo gli uni, il regolo di Calhuacàn (un discendente di quei Tulthècas dispersi pell'
Anahuac dopo le disgrazie sofferte dalla loro nazione, la peste e la fame, per cui coma sopra dicemmo fu distrutta o dispersa) dichiarò loro la guerra, mirando con sdegno ch'eransi fissati, senza sua permissione e senza pagargli un tributo di vassallaggio, in un luogo del quale ei si considerava legittimo signore: il pretesto della guerra simiglia la favola del lupo e dell'agnello: né fu difficile vincere quegli infelici, che divennero schiavi.
Altri autori dicono, che quel regolo, fingendo vilmente di commiserare la disgraziata situazione degli Aztèqui o Messicani, offrì loro delle terre per viverci più comodamente; e che illusi questi dalle lusinghe di offerta così generosa, uscirono dalle loro povere ma libere isolette per cadere schiavi degli Acòlhuas, che li attaccarono a tradimento e li fecero prigionieri.
Nel processo del tempo, una guerra ostinata s'apprese tra gli Acòlhuas e gli Sciochimilca, nella quale questi eran rimasti quasi sempre vittoriosi: gli schiavi Messicani s'offrirono di combatter quel fiero nimico, che faceasi ogni dì più formidabile, a patto che la libertà fosse il premio della vittoria.
La mostra pomposa dei prigionieri era fra questi popoli, come dovunque altrove, il più bel trionfo di una vittoria: i Messicani, in una fazione contro gli Scioscimilca trionfarono, ma tornarono a casa senza prigionieri; per cui gli Acòlhua, credendo che fossero stati vinti, loro indirizzarono acerbi rimproveri, e li tacciarono di codardi: allora i Messicani rovesciarono davanti ad essi sacchi pieni d'orecchie tagliate ai loro prigionieri, e dichiararono, che non mai condurrebbero i prigionieri finché essi pugnassero da servi, perché non volevano aumentarne il numero degli schiavi; ma che se una volta fosser resi alla libertà, recherebbero orecchie e prigionieri.
Eressero un nuovo altare al loro Dio, e domandarono agli Acòlhua qualche cosa degna d'essergli consacrata in rendimento di grazia pella loro vittoria; ma per allora gli Acòlhua beffaronsi di essi e del loro Dio.
I Messicani presentarono quattro prigionieri, che si erano riserbati, e avevano tenuti nascosti, e gl'immolarono alla divinità togliendo loro il cuore con un coltello di pietra (iztli): atto orribile, che fu piuttosto l'effetto, io credo, della politica che della devozione, poiché voleano ispirare agli Acòlhua il timore di quanto sarebbero stati capaci di fare contro di essi, se tardassero a render loro la indipendenza: infatti la ottennero; ma un atto dettato da prima da una utile politica religiosa divenne in seguito usanza religiosa.
Così credo incominciasse l'uso di questi orribili sacrifizi, che insanguinarono di vittime umane, gli altari degli Aztèqui o Messicani, e d'altri popoli di questi paesi.
Resi alla loro libertà, i Messicani abbandonarono immediatamente il luogo dove gli Acòlhua li avevano confinati il quale credesi che fosse Huitzilopòcho, sette od otto miglia a ponente libeccio di Messico.
Passarono prima ad Acatzitziutlàn, or Mexicaltzingo; quindi fermaronsi a Sztacàlco, e finalmente nel luogo dove ora è Messico; e si fermarono in questo luogo, poiché tale era il termine stabilito da un oracolo della loro lunga peregrinazione: "un'aquila assisa sur un Nopalo che venisse fuori dalle crepacciature di uno scoglio"; tale era il segno predetto come indicazione del luogo, dove basar dovevano il loro impero.
Questa specie di gnosticismo serve a gettare del maraviglioso e della venerazione colà dove amasi speculare sulla credulità dei vicini; e i Messicani avranno forse inventato questa favola per imporre col prestigio ai loro nemici; come loro d'altronde imponevano col coraggio e colla crudeltà: ma quanto a me non esito a credere, che si diressero verso questo paese col solo scopo di ravvicinarsi alle isole, dove già avevano gustata la libertà, e onde l'abbandono avea loro fruttata la schiavitù.
Le isole di Acocòlco erano adesso troppo piccole per la loro famiglia cresciuta e crescente; però occuparono anche le circonvicine, che chiamarono con nome collettivo Tenostitlan, onde celebrare colla etimologia di questa voce il miracolo dell'apparizione del loro Dio in forma di aquila.
La fondazione dell'impero Messicano fu consacrata in una piccola capanna di giunchi, che quelle genti innalzarono qual tempio dedicato a Huitzilopòstli; e questo fatto avvenne probabilmente circa il 1325 (anno che chiamarono ome - calli; cioè della fondazione), sotto il regno di Quinatzin quarto re di Tescùco.
Nopaltzin era morto, dopo 32 anni di regno glorioso; come pure Tlotzin sua successore, che avea fatto per 36 anni la delizia de suoi popoli: quel poco che conoscesi di questi due re barbari, fa disonore a molti monarchi inciviliti.
Tuttavia Huitzilopòstli non faceva ancora miracoli utili: i poveri Messicani non vivevano che di pesca, e de' pochi legumi che coltivavano sulle loro scinampa, zattere coperte di terra, specie d'isolette galleggianti; abbisognava qualche gran corpo sacerdotale per dare al loro Dio maggior considerazione, e se la procurarono associando alla loro divinità una delle più potenti famiglie dell'
Anahuac.
La famiglia di Tescùco sarebbe loro certamente più convenuta, ma Quinatzin non era uomo da cadere nel laccio; si diressero dunque al buon re di Colhuacàn, e gli chiesero la sua figliuola, come colei che il loro Dio voleva assolutamente a titolo di madre.
Quel regolo, fiero per tale alleanza, e temente d'altronde le conseguenze di una repulsa, che avrebbe eccitato la collera divina di un essere, che le pitture messicane rappresentando orrendo e minaccevole, accondiscese facilmente; e la sua figlia, giovane e vezzosa, fu, per esser deificata, uccisa al cospetto del tremendo Huitzilopòstli: quindi la scorticarono, e della sua pelle rivestirono un giovine Messicano, che, per questa guisa, divenne il figliuolo di Dio e della vergine fanciulla.
Affine di dare più splendore alla celebrazione questo, ch'essi dicevano grande mistero, fu chiamato il padre di lei, che assisté alla barbara apoteosi della propria figlia, divenuta così stranamente e madre e sposa al tempo stesso di Huitzilopòstli : questo povero uomo ad onta dell'ambizione e della falsa gloria di un preteso parentato divino, fu talmente colpito d'orrore e di tenerezza insieme, alla vista del terribile spettacolo delle spoglie di sua figlia, che incapace di superare questa emozione, ne morì pochi giorni appresso: que' crudi ministri di Satana dissero, che era il Dio che avevalo chiamato al cielo, perché, qual essere sacro, non poteva abitare più nel soggiorno dei profani.
Anche il giovane Messicano, dopo la cerimonia scomparve, e se ne addusse, appresso a poco, simil ragione.
Ma però, non tutto andava ancor troppo bene ai messicani: la discordia manifestossi tra di loro, per cui si divisero in varie fazioni; una delle quali si separò da Tenoctìtlan, ed andò ad abitare distante due miglia a borea, sur un banco di sabbia che prima chiamarono Scialtilòlco, e poi Tlatelòlco, da un terrapieno del quale si cinsero per difendersi dalle escrescenze del lago.
Questo successe nell'anno dell'era volgare 1338.
Infino allora erano stati governati aristocraticamente; venti dei principali e più rispettabili cittadini erano come degli arconti: ma molestati dai popoli vicini retti da governi monarchici, ed invidiati dai loro disertori di Tlatelòlco, si decisero a scegliersi un re, che sapesse far valere contro il nemico l'onore e i diritti della nazione.
Acamapitizin fu il primo re.
La storia antica narra, che fu eletto per acclamazione del popolo: ma la pittura della quale abbiamo parlato in principio, indica evidentemente nel primo quadro ch'egli fu nominato da elettori.
Vi è rappresentata l'elezione di due re; avendovi il pittore indicata anche quella del re di Tlatelòlco, che imitarono quanto aveano fatto i Messicani loro rivali.
nella elezione del re di Messico, il corpo degli elettori presenta al candidato un mazzo di fiori come simbolo del regno; nell'elezione del re di Tlatelòlco il nuovo eletto riceve in omaggio un bastone!
Queste due monarchie pare cominciassero nel 1352 (quella dei Messicani), e nel 1353 (quella dei Tlatelòlco).
Acamapitizìn, era figlio di Apòstli nobile Messicano, e della Atozòstli dello stipite della famiglia reale di Colhuacàn, e parente di quella giovine ed infelice principessa, onde la pelle servì ad operare l'incarnazione di Huitzilopòstli.
I Tlatelòlco, deboli nei loro mezzi, sacrificarono l'orgoglio nazionale al bisogno d'appoggiarsi a qualche potente sostegno; lande nominarono loro re Quaquauipizàuac, figlio del re di Atzacapuzàlco e discendente da Acolpoatzin, che è uno di quei tre principi Acòlhua, che Sciolòtl avea sì ben ricevuti, ed ai quali avea date terre in sovranità e le figlie in matrimonio.
La dinastia dei re di Tlatelòlco è ordinata nella parte superiore dei quadri della pittura storica più volte menzionata.
I Tlatelòlco riuscirono con la loro politica a far dividere al re di Atzacapuzàlco le loro gelosie e le loro inimicizie contro i Messicani; per lo che quel principe, già signore di questi, aumentò i tributi che nnualmente doveano pagarli, spingendo la cosa in fino all'oppressione; e i Tlatelòlco godeano che in questo modo i Messicani soffrissero, senza riflettere che rendeano più fatale, così operando, la vendetta che sopra di loro esercitata avrebbero gli oppressi rivali.
Acamapitzìn seppe apprezzare la sua situazione evitando saviamente ogni rottura, che sarebbe stata funesta al suo impero nascente; ad un'impero, che non consisteva allora che in una sola città di capanne: ei si occupò a farla prosperare meglio che potè, a cignerla di canali, che servissero in tempo di pace di utile comunicazione e di valida difesa in tempo di guerra, e cominciò a fabbricarvi qualche edificio di pietra; introdusse per mezzo di savie leggi un ordine migliore nel governo, per cui morì rispettato al di fuori, amato e di esempio salutare al di dentro: la sua morte successe nel 1389, dopo 37 anni di regno.
Il figlio suo Huitzilihuìtl gli successe per elezione; la qual cosa proverebbe, che la monarchia Messicana era allora veramente elettiva.
Questa seconda inaugurazione, pare fosse più solenne della prima: siccome l'ambizione, la pompa sempre progredisce, il nuovo re fu condotto processionalmente sul tlacocaicpalli o seggio reale, vi fu unto dal gran sacerdote con una certa vernice o tintura, della quale non è specificata né la qualità né il colore, e due magnati gli posero sul capo la copilli o corona.
Questo punto istorico corrisponde quasi perfettamente alla dipintura del quadro spettante a questo re; ove si vede assiso sul trono, coperta la testa con una specie di mitra simile quasi a quella dei vescovi, e in un'altra parte del quadro è rappresentato ritto con un diadema alla guisa di quello dei nostri antichi imperatori, sormontato da due penne.
I Messicani, per far diversivo alla politica dei Tlatelòlcos, domandarono ed ottennero per isposa del loro giovine re una figlia del successore del re di Atzcapuzàlco; e,ossia che la bigamia fosse permessa, ossia che i loro sacerdoti ne dassero, secondo le opportunità, le dispense, comunque sia il principe Messicano sposò eziandio una figlia del sire di Tlauicàn, oggi Cuernnabàca: vedemmo di sopra, che la madre sua era della regal famiglia di Coluacàn, cosicché ei era giunto ad imparentarsi con tre potenti famiglie dell'Anahuac.
I Tlatelòlco suscitarono contro il re Messicano Mestatlòn suo cognato, fratello di sua moglie, il quale pretendeva, che la propria sorella gli era stata fidanzata, e che per conseguenza quel matrimonio era nullo; conciossiaché nell'Anahuac, come tra i Persi, i fratelli sposassero le sorelle.
Con questa scusa Mestatlòn voleva, che il padre suo rompesse la pace coi Messicani, e li opprimesse di nuovi tributi; ma non potè ottener l'intento: ei allora, per troncare in qualche modo qualunque speranza di alto potere che il re Messicano o la sua discendenza potesse trarre in avvenire da questo matrimonio, Mestatlòn cospirò con i Tlatelòlcos la morte dell'unico figlio che n'era nato, e lo fece avvelenare.
Il re Messicano seppe donde venia il delitto, ma troppo debole contro nemico tanto potente, dissimulò e soffrì in silenzio il colpo mortale, che quell'assassinio portava alla sua ambizione ed al suo cuore: saggio però e previdente, fece accettare dalla nobiltà (alla quale apparteneva il potere legislativo) una legge, che permetteva di confidare la corona ai fratelli, ai cugini ed ai nepoti del re defunto, anche di preferenza ai figli stessi di lui; così ei prevenne gli assassinii, rendendoli inutili.
Questo successe nel 1399; e nel medesimo anno morì Quaquaupitzauàc primo re di Tlatelòlco, dopo un regno di 49 anni; regno felice, e distinto per i miglioramenti fatti nella città, che d'altronde costituiva tutto il suo impero.
Gli successe Tlacatòctl, uomo d'incerta origine, il quale non si mostrò meno del suo predecessore e de' suoi popoli geloso dei Messicani; gelosia che d'altronde suscitò l'emulazione tra i due popoli, e li fece progredire nell'industria e nella civiltà.
Secondo qualche storico, il re Huitzilicùtl sarebbe mancato di vita nel 1410: or siccome era stato eletto nel 1389, avrebbe regnato 21 anno.
Stando all'illustrazione dipinta del quadro spettante a questo re, ei non avrebbe governato i suoi popoli più di 13 anni: e il manoscritto donde trassi principalmente queste notizie storiche sull'antico Messico, lascia quest'epoca nell'incertezza.
Ma tutto però è concorde su ciò, che cioè questo re governò con saviezza, che fece buone leggi, e fra l'altre quella che ammetteva alla successione del trono i fratelli, i cugini ed i nepoti del monarca.
Il fatti, egli ebbe per successore il fratello Scimalpòpoca, quantunque esistesse un figlio del re nato da una sua seconda moglie: personaggio che nel processo di questa storia vedremo salire al trono con il nome di Moctezùma I.
Sotto il regno di Scimalpòpoca successero nell'Anahuac molti cambiamenti, dei quali non indicherò qui che i principali.
Il buon re sciscimeco Sciolòtl, primo sovrano di Tescùco, ed in qualche modo di tutto l'Anahuac, avea come più volte abbiam ripetuto, date le sue figliuole e varie contrade a quei tre principi Acòlhuas, che giunsero ne' suoi dominii crica il dechinare del secolo XII: ebbene questa generosità fu fatale alla sua discendenza.
Torozòmoc, o Tezozòmoc, re di Atzcapuzàlco, rampollo d'uno di questi principi, quantunque fosse il sire o l'alto dominatore dei re di Messico e di Tlatelòlco, ciò nonostante pagava il tributo al sovrano di Tescùco, discendente di Sciolòtl.
Era allora sovrano di Tescùco Tstlisciochitl, contro il quale Tozozòmoc si rivoltò; ed attrasse nel proprio interesse i regi di Messico e di Tlatelòlco, e quelli di Otùmba e di Sciàlco: di più, sorprese l'esercito dei Tescùcos, lo vinse, e uccise il suo sire; quindi entrò nella metropoli de' Tescùcos, e nelle città onde gli abitanti s'erano per coraggio distinti nella pugna, e tutto abbandonò al saccheggio ed al massacro: lasciò in questi luoghi dei regi tributari ed ausiliari della sua corona, cosicché quella vittoria lo pose alla testa di quasi tutti i principi dell'Anahuac.
Tozozòmoc morì nel 1442, dopo un regno di parecchi anni sugli Atzcapuzàlco suoi antichi sudditi, e dopo una tirannia di 9 anni quasi su tutto l'Anahuac.
Il figlio di lui, Tayatzin, gli successe: ma ciò fu per breve tempo, poiché il perverso Mastatlòn, del quale sopra parlammo, lo assassinò e si impadronì del potere: siccome Scimalpòpoca, re di Messico, avea difesa la causa dell'infelice Tayatzin, fu posto nella lista delle vittime, notate e richieste dall'odio e dalla crudeltà del perfido Mastatlòn: avrebbe potuto opporre al tiranno una lunga resistenza, nulla ostante amò meglio perir solo, piuttosto che esporre il suo popolo in una lotta che era incapace di sostenere, e che poteva esser fatale all'impero: ma per lasciare dietro a se delle forti impressioni nel popolo, e dei sentimenti che lo animassero alla vendetta, affine di rendere in questo modo, come Codro e Curzio, la sua morte utile alla patria, si offerse in olocausto sull'altare del Dio dei Messicani, invocando la salute del suo popolo e la punizione del tiranno; quest'atto fu imitato da parecchi suoi cortigiani, che furono come lui immolati.
Intorno alla tragica fine di Scimalpòpoca gli storici differiscono dalla mia guida: pretendono alcuni che fosse preso da mastatlòn e fatto morire in una gabbia, come Tamerlano fece a Bajazet; ma io credo che la mia guida sia più degli storici dal lato della verosimiglianza: avanti di potere impadronirsi d'un re, bisogna ordinariamente combattere e vincere i suoi popoli; oltrediché è da supporre, che Mastatlòn nutrendo da lungo tempo, come vedemmo, gelosia ed odio mortale contro i Messicani, non avrebbe risparmiata né la città né gli abitanti della medesima; ma invece successe il contrario, come narreremo, poiché furono i Messicani che distrussero in seguito e l'impero e la dinastia dei Tepanècas, nome che davasi alla famiglia reale dai popoli di Atzacapuzàlco.
Scimalpòpoca regnò 13 anni, essendo stato eletto nel 1410 e morto nel 1423.
I Messicani, dopo la morte del loro re, convennero in un gran consiglio e pensarono seriamente alle misure da prendere per resistere al tiranno: Izcoàtl erasi distinto nelle guerre contro Tezcùco come un duce abile e valoroso, laonde l'assemblea vide in lui l'uomo capace di combattere i Tapanèca, e fu eletto re.
Era figlio, come i due precedenti monarchi, di Acamapistli, primo re di Messico; ma perché la madre sua fu una schiava, la legge escludevalo dalla successione; questa volta però la gravità delle circostanze fer porre da banda la legge.
Primo pensiero di questo re, fu di allearsi con Nezahualcozcòtl, figlio dell'infelice Tayattzìn ultimo re di Tezcùco: questo giovine principe, per sottrarsi alle persecuzioni dell'usurpatore mastatlòn era stato costretto a fuggire di monte in monte di bosco in bosco, seguito soltanto da qualche fedele servitore, che sfifava le minacce e disprezzava le offerte perfide del tiranno.
Il re messicano attrasse nei suoi interessi anche i Tlascalthèca, mai ricompensati dei servigi che aveano resi nelle ultime guerre contro l'impero di Tescùco e stomacati dalla tirannia di Mustatlòn e dall'arroganza dei suoi Tepanèca.
Ora, accomodate così le cose al di fuori, e rianimati gli abbattuti spiriti al di dentro, spedì un messo al tiranno per parlargli di pace: a questo difficile e periglioso uffizio fu scelto Moctezùma, famoso per alte gesta guerriere.
Ma ei fu altieramente ricevuto da Mistlatòn ed ignominiosamente trattato: fu attentato perfino alla sua vita; ma un manipolo di gente, sceltra tra i suoi, che lo accompagnava, lo aiutò ad aprirsi il cammino sul corpo dei sicari che voleano attraversarglielo, e così potè ritornare vivo al Messico, con la prova di una guerra inevitabile.
I Messicani tremarono a quella notizia: credendosi irremisibilmente perduti, dimandarono in gran parte di abbandonare la città; il loro re gli parlò eroicamente, rammentandogli l'amore della patria e il dovere del coraggio; e Moctezùma tuonò altamente contro la loro viltà, e tutti i nobili lo secondarono.
"Ma che faremo se saremo vinti?" -gridò qualche miserabile plebeo- ; "Se sarem vinti, noi ci obblighiamo di porci tra le vostre mani, di metterci a vostra disposizione, di divenir vostri schiavi" -dissero i nobili.
"Bene sta" -rispose il popolo- "ma se voi tornerete vittoriosi, sarete i nostri signori, di noi e de' nostri discendenti; lavoreremo la terra per voi, porteremo le vostre armi ed i vostri bagagli, quando anderete alla guerra, ecc. ecc..
In una parola contrassero la schiavitù; ed appresso a poco in tale stato il Cortes li trovò ai tempi della Conquista.
L'erede di Tescùco già s'era unito all'esercito Messicano con i pochi valorosi che gli restavano, quando i Tlascalthècas entrarono anch'essi nella lega, e raggiunsero i loro alleati in un luogo convenuto.
La battaglia fu data sul territorio dell'impero dei Tepanècas, distante tre o quattro miglia dai confini Messicani: l'urto fu terribile, e valorosamente da ambo le parti sostenuto tutta la giornata; verso sera, i Messicani, presi dal terror panico all'aspetto di un nemico, che pareva moltiplicasse le sue forze, e si facesse ognor più formidabile, si scoraggirono, e lasciarono dechinare la vittoria verso la parte del tiranno; i più vili già gridavano: "o Tapanecas, potenti signori della terra, calmate la vostra furia; noi siamo già vinti e ci rendiamo: se lo desiderate, sacrificheremo qui sotto i vostri occhi i nostri duci, per punirli della temerità che ebbero di combattervi, e della loro ambizione che ci condusse a questo estremo passo".
Ma il re Messicano e Moctezuma, imitati dai nobili più valorosi della nazione, si gettarono in mezzo a que' vili, interruppero le loro esclamazioni ribelli, e folgorandoli col furore de' loro sguardi e con l'eloquenza del loro eroismo, gridarono:"I veri Messicani ci seguano! Vinciamo, o gloriosamente moriamo".
Ed in un batter d'occhio gettaronsi sulle orde nemiche.
Moctezùma invaso di collera tremenda cercava collo sguardo il tiranno Mestatlòn, e non trovandolo si avventò al suo generale, che di un colpo di clava stese morto ai suoi piedi.
Questo inaspettato accidente pose lo scompiglio nei Tepanèca, mentre rianimò il coraggio abbattuto dei Messicani; di guisa che la vittoria abbandonò i primi, e la notte sopraggiunse a coprire del suo velo il trionfo dei secondi.
Al sorger del sole del giorno seguente, rinnovellossi la pugna fra questi due ostinati nemici; ed il suo tramonto, vide la disfatta totale dei Tepanèca: la maggior parte giacevano inanimati sul campo di battaglia, e molti in ogni direzione fuggivano: lo stesso Mostatlòn cercava nascondersi in un bosco, ma fu invano, poiché i Messicani lo trovarono, e lo massacrarono a forza di sassate e colpi di clava.
Così finì questo mostro, dopo una vita sempre infame, e dopo tre anni di fratricidi, di usurpazioni e di crudeltà.
Tale avvenimento è il più memorando di tutti quelli della monarchia Messicana, se si eccettua però la sua fine: per esso cangiossi intieramente la situazione politica di questi numerosi reami del Anahuac; la capitale dei Tepanèca, quasi distrutta, fece parte dell'impero Messicano: Icoaàtzl ripose sul trono paterno Nezahualcoyòtl, sotto però il vassallaggio di Messico; rese tributarii della sua corona i regoli di Coyoacàn, di Sciurubùsco, e di Tecubaya; creò il nuovo regno di Tacùba, e lo dette, sotto il suo vassallaggio, ad un rampollo della famiglia Tepanècaca, volendo così calmare i risentimenti, le animosità, le ambizioni dei suoi stessi nemici vinti.
Stipulò con tutti questi regoli dei trattati, pei quali veniano obbligati a militare sotto le sue bandiere ogni volta ch'ei li chiamasse alla guerra: in somma di tutti quelli che lo aveano aiutato, o che non s'erano opposti alle sue conquiste, i soli Tlascalthèca rimasero liberi dal suo vassallaggio, e baldanzosi della loro porzione di gloria e di bottino.
I Messicani divennero dunque i signori dispotici del Anahuac, ciò che prima furono gli Sciscilmèca o Acolhuà, e quindi gli Atzapuzàlcos o Teponècas.
Da tutto questo chiaro apparisce, come Izcoàtl fosse profondo politico quanto valente guerriero: ma in Messico s'erano svegliati tutti gli spiriti dopo questo subitaneo cangiamento di fortuna, e i sacerdoti non vollero rimanere indietro; ché, attribuendo alla loro divinità tutti questi felici eventi, le fecero assegnare la sua porzione di bottino e di terre conquistate, e se ne resero i depositari e gli amministratori.
Questa grande rivoluzione pare succedesse nell'anno 1425; e non erano ancora scorsi cento anni, dal tempo che Messico avea vista la capanna del suo dio Huitzilopòsli come prima base della sua fondazione, che i Messicani già imperavano su tutto l'Anahuac.
Alcuni anni dopo, il nostro re ebbe che dire coi regoli di Scichimilco e di Tlahuàc o Cuernavàca ad austro, e con quelli di Cuantitlàn e di Tultitlàn a settentrione, e li assoggettò alla sua monarchia: colle quali gesta il grande Izcoàtl chiudeva la sua carriera reale e mortale, l'anno 1436, lasciando la città di Messico adorna di nuovi edifici, di un tempio sacro al suo Dio, e di un altro consacrato alla giovine vergine, che, come narrammo, fu scorticata per divenir nel più strano modo la madre e la sposa ad un tempo di quella falsa e crudele divinità.
Il valoroso Moctezùma, successe per acclamazione al defuncto re Izcoàtl: la sua esaltazione al trono fu celebrata e festeggiata da tutti i re dell'Anahuac, tanto il valore e l'eroismo di questo personaggio riscuoteva la stima di tutti i popoli.
Lo chiamavano Ilhuicaminac, ma ignoro il motivo di questo nome: dissi di sopra, ch'era figlio di Huitzilihuìtl, e della sua seconda moglie.
Moctezùma I, cominciò a regnare innanzi d'essere coronato; poiché imprese una spedizione guerriera per fare dei prigionieri, coi quali, speculando sul loro massacro immolandoli al suo Dio, volle render più solenne la pompa della ceremonia: il pretesto d'una guerra glie ne fornì molti tra gl'infelici abitanti di Chalco, e primo ei istituì questa sanguinaria inaugurazione dei regi Messicani [a titolo di precisazione giova precisare che dietro stava la capacità e l'eminenza grigia di suo fratello Tlacaelel reputato anche colui che diede la conformazone basilare all'Impero dell'Anahuac].
Tlatelòlco, non saprei per qual prodigio, era infino allora andato esente dal dominio dei monarchi del Messico; ma Moctezùma gli fece la guerra, uccise Cuohtlatòn suo terzo re, ma non potè ancora impadronirsi della città, ove fu proclamato sovrano Moquiquis, coraggioso guerriero.
L'alto pianoro del Anahuac, con tutti questi piccoli regni, era ormai troppo breve teatro per la grande ambizione di Moctezùma, e le otto alte cinte alpine che lo circondano, sembravangli come insultare alla sua potenza: laonde ei le attraversò, per portare la guerra, la vittoria e la conquista, prima ad ostro, a più di dugento miglia da Messico, ove soggiogò i Cohuìcas, gli stati di Huastepèc, Yantepèc, tepotzlàn, Yacapìstla, fece suoi tributari Zompahicacàn, e tutti i paesi che traversò.
Queste imprese le operò nei primi nove anni del suo regno.
Al principiare del decimo anno, egli era sul punto d'invadere altre contrade; quando fu arrestato dalle acque dal lago di Tescùco che inondarono la città, portandovi tutti i disastri della fame e della peste.
I Messicani incominciarono a costruire quelle dighe, onde gli avanzi fanno ancora la maraviglia del dotto, non che del semplice spettatore.
L'antica storia Messicana fa menzione di una di queste dighe di 10 miglia di lunghezza, ma non dice ov'era; solo apparisce essere stata costrutta sotto la direzione di Nezahualcoyotl re di Tescùco, sapiente molto abile, quantunque senza istruzione, e umano legislatore sebbene educato in una terra ancor barbara.
L'abbondanza e la prosperità successe a tutti questi flagelli mortali: Moctezùma ne profittò per estendere maggiormente il suo dominio, e s'impadronì della Miztéca, a scirocco, che costituisce porzione della moderna provincia di Oasciàca, e finalmente conquistò quasi tutto il paese, che costeggia il golfo del Messico.
Sebbene ei fosse quasi continuamente occupato negli affari guerrieri: nulla di meno non trascurò quelli del governo temporale e spirituale; fondò nuove leggi, accrebbe lo splendore della sua corte, edificò un gran tempio al Dio della guerra, istituì nuovi riti, ed aumentò il numero dei ministri del culto; ne' suoi atti di giustizia si distinse specialmente per le pene severe che inflisse contro l'ebbrezza.
In una parola, questo solo dei due Moctezùma, che regnarono sul trono del Messico, può veramente appellarsi grande: morì probabilmente nel 1464, dopo 28 anni di regno felice e glorioso.
A questo gran re successe Tizò, suo figlio; ma non fu degno di tanto padre, perché ad una rara barbarie unì la più dichiarata stupidità.
Per provvedere alla pompa sanguinosa della sua incoronazione, andò, imitando suo padre, a caccia di nemici; ma, poco valoroso ed esperto, perse più soldati di quello che non facesse prigionieri.
Il suo regno non si distinse per nessuna bella impresa, ma però fu breve: i signori di Tàzco e d'Iztapalàpa, lo avvelenarono dopo quattro anni di regno; furono puniti di questo delitto, ma i Messicani e gli alleati benedirono la loro memoria.
Asciayacàtl, suo cugino, fu chiamato a succedergli sul trono.
Per sopperire alla solennità dell'incoronazione, spinse le sue scoperte e le sue conquiste infino a Tehuantepèc, sul lido del grande Oceano, quasi distante 400 miglia da Messico: s'impadronì anche di altre province dalla parte di ponente, come delle valli di Tòluca, ecc.
Edificò un tempio, che chiamò Coatlàn, ed i vicini Tlatelòlco, sempre gelosi dei messicani, n'edificarono un'altro, che consacrarono sotto nome di Coasciotlòt; ma dopo breve tempo, i Messicani accusandoli di cospirazione con gli Sciàlco, piombarono sopra di loro, li sconfissero, uccisero Moquihuìz loro re, ne distrussero l'impero, e fecero della loro città un sobborgo di Messico.
Così finì la monarchia dei Tlatelòlco, dopo circa 140 anni d'esistenza, sotto il governo di quattro re.
Nell'anno dell'era volgare 1475, morì Nazahualcoyòtl, celebre re di Tescùco.
Ad onta di tutte le disgrazie, che la sua dinastia ed il suo regno aveano sofferto sotto la tirannide dei regi della famiglia Tepanèca, Torozòmoc, e Mastatlòn, nessuna città dell'Anahuac non fioriva nelle scienze e nelle arti come Tescùco: ella n'era l'Atene, come il re Nazahualcoyòtl ne fu il Solone, l'Aristide, ed il Pericle: saggio alla sua morte, come era stato buono e prudente in tutto il tempo della sua vita, dette ai propri popoli per suo successore quello dei suoi figliuoli che meglio adattato era a fargli felici; e tale fu [il di lui figlio] Nezahualpìlli.
Il re di Messico, dopo un regno di conquiste e di crudeli rigori sui paesi conquistati, scese nella tomba nel 1481.
Ahuitzòl gli successe: il merito del suo valore gli valse il trono, quantunque fosse fratello dell' inetto re Tizòc, non figlio dell'estinto monarca.
Impiegò i materiali riuniti dai suoi predecessori per costruire un gran tempio: e facendone scavare molti altri in una cava di pietra e cellulare come il nostro travertino, incominciò la edificazione di quel grande teocalli, del quale gli Spagnuoli e gli altri Europei han tanto parlato.
Volendo solennizzarne la consacrazione con la maggior pompa possibile, andò anch'egli in cerca di vittime nelle varie province, sotto pretesto di punir le une di ribellioni non mai meditate, e di soggiogare quelle che poteano divenire pericolose al suo impero.
La storia spagnuola pretende, che alla festa dell'inaugurazione del tempio, in quattro giorni ei facesse scannare al cospetto della sua divinità più di 60 mila prigionieri: ma la storia Messicana non parla che di umani sacrifizi, senza indicarne il numero [Ben si intende nell'autore una certa difesa di una cultura che in parte sentiva sua; egli aveva senza dubbio letto le lettere resoconto di Cortés che costituivano una fonte insesauribile di dati sull'Impero e sulla sua Capitale e si doveva esser soffermato particolarmente sugli stralci da Cortés riservati agli idoli dei templi ai sacerdoti custodi dei templi e soprattutto al discorso sui sacrifici umani agli dei , impostato da Cortés e poi in particolare amplificato, a suo parere, dai posteriori cronisti iberici]
Certamente quella cifra spaventevole di 60 mila vittime non è che un'esagerazione Spagnuola: infatti, il solo che fosse autorizzato a ferir gli olocausti era il grande sacrificatore; e siccome a ciascuno di essi dovea strappare il cuore, sola parte di tutto il corpo umano che offrivasi alla tremenda divinità dei Messicani, così è evidente, che quattro mesi di tempo avrebbero bastato appena a questa operazione: e dico quattro mesi, perché il mese Messicano non era che di venti giorni.
D'altronde, come può supporsi che delle contrade, le quali erano quasi deserte due o tre secoli prima, che dei paesi onde i popoli, ancora nell'infanzia soffriano frequentemente dei flagelli della peste, della fame e della guerra più micidiale, potessero fornire tante vittime per festeggiare tutte le cerimonie così spesso consacrate ora agli Dei ora agli uomini?
Comunque però sia, è certa la costruzione del tempio; e disgraziatamente certi sono eziandio gli umani sacrifizi in quella congiuntura operati.
Sotto il governo di questo re poco mancò che Messico non fosse sommersa, e ciò per sua imprudenza: l'acqua della laguna di Tescùco s'era abbassata a tal punto, che la navigazione, solo mezzo di trasporto e di comunicazione per la città, rimase quasi a secco.
Il re fece voltare nella vallata, le acque che prima scaricavansi in quella di Tùluca, sul fianco occidentale della cordilliera, che s'eleva alle spalle di Messico.
Ma presto sopraggiunse una pioggia straordinaria, e quel nuovo nemico contribuì a rendere più formidabile l'irruzione di cinque laghi, che scolano in un centro comune, presso il quale è fabbricata la città.
Passata l'alluvione il re rimediò per allora a questo inconveniente colla costruzione di nuovi argini.
Poi, dicesi, abbellì la città di magnifici edifizi, tutti costrutti di grandi masse di travertino; e si pretende inoltre che questo re spignesse le sue conquiste infino nell'Hautematlan, moderna Guatemala, circa 8 o 900 miglia distante da Messico.
In qualunque modo, fu lui che dette all'impero Messicano i limiti in cui gli Spagnuoli trovaronlo.
Tentò, ma indarno, di soggiogare il mesciuacàn, e morì nel 1502 lasciando di se reputazione di gran guerriero, e d'uomo ostinato e crudele; egli era stato magnifico nella sua corte, generoso inverso quelli che lo aveano ben servito, ambizioso ed insaziabile di conquiste, e innalzato al soglio regale per i suoi propri meriti.
Gli successe Moctezuma II, che gli Spagnuoli chiamano el grande monarca Montezuma: ma i Messicani, all'opposto, appellanlo Moctezuma Sciocoyotzin, vale a dire Montezuma il Minore, per distinguerlo dal grande Moctezuma I.
Ed invero, la sua vita fu piuttosto quella d'un ipocrita, d'un tiranno, che d'un grand'uomo o d'un gran re; la fine del suo regno fu anche più vile del principio.
Era figlio del re Asciayacatl, e la pittura del quadro che gli appartiene lo rappresenta in due modi: da sacerdote e da re; poiché fu l'uno e l'altro.
Quantunque Montezuma non sia l'ultimo re della dinastia messicana, finì però con lui lo splendore del trono del Messico; mi estenderò quindi un poco sulle particolari circostanze del suo regno e della sua corte, perché si possa meglio giudicare intorno all'antico Messico, sugli antichi Messicani e sui loro antichi monarchi; ed a questo oggetto sceglierò quello che le stravaganze e le esagerazioni dagli scrittori narrate offrono di più probabile, lo che però non esclude, che il lettore non debba adoperare tutto il discernimento di cui può esser dotato, per aiutarsi a vagliarle e scegliere il verosimile dallo impossibile.
Mentre tutto preparavasi pella elezione di in successore dell'impero, Montezuma facea il modesto ed il ritroso: nel momento della decisione ritirossi in un tempio, dimostrando come di fuggire gli uomini e di aborrire il grave peso della corona; e colà ei si fece trovare assorto in estasi, conversando col magno Dio de' Messicani: e mentre i sacerdoti faceano ogni sforzo per impedire che la scelta cadesse sopra di lui, ingelositi delle troppe frequenti pretese sue visioni, il popolo però considerando la cosa diversamente, lo acclamò ad una voce, Mocyezuma saggio, pontefice e re!
I sacerdoti fremerono in silenzio, e giurarono di vendicarsi delle usurpazioni che da lui temerono sulla estenzione della loro autorità: però Moctezuma cadde piuttosto per dato e fatto dei sacerdoti, che per le armi degli Spagnuoli.
Ma, per ora, veniamo al suo regno.
Appena fu acclamato re, depose la sua finta modestia e manifestò l'ambizione, l'orgoglio, e il despotismo che sempre aveanlo animato.
Come i suoi predecessori, anch'egli andò a cercar lite con qualche popolo disgraziato, per fare provvisone di vittime, che sacrificò più da pontefice che da re [ben presto inimicandosi i sacerdoti dell'antica religione e la sua stessa sorella Tapantzin].
Si dichiarò solo arbitro di quanto fosse concernente lo stato e la religione; e per maggiormente avvicinarsi alla divinità, e mettere una maggior distanza tra sè e i suoi popoli, ordinò, che docunque presenterebbesi, tutti avessero a chiuder gli occhi o per lo meno abbassarli, decretando pena di morte contro chiunque osasse fissarli su di lui: proscrisse dalla sua corte i plebei, misura impolitica poiché i plebei, pella industria, la ricchezza, e il numero, fanno la forza delle nazioni; e si circondò di nobili e di sacerdoti: ma niuno però potea toccarlo, essendosi dichiarato come una specie di sancta-sanctorum, cui neppure i preti erano giudicati degni di toccare.
Le genti ammesse in sua presenza, non poteano, come i suoi cortigiani, vederlo che con gli occhi della immaginazione; e guai a colui che avesse osato volger sulla sua persona gli occhi del corpo, o troppo scrutatori o troppo indiscreti e sempre sminuenti le grandezze e la fede!
Non era permesso avvicinarsi a questo monarca altro che in ginocchioni: faceansi tre pause, come al cospetto dell'imperatore della Cina, eslamando alla prima signor!, alla seconda signor mio!!, alla terza gran signore!!!.
Parlavaglisi, come a Dio, con voce dimessa e la faccia sulla terra, e la risposta a quello che si domandava era considerata come un oracolo, e venia sempre per mezzo di una terza persona: la voce del monarca non mai si udia!
Uscivasi dalla sala di udienza camminando come i granchi, vale a dire di traverso, e facendo altrettanti inchini, retrocedendo, quanto eransene fatti avanzando.
Non mai il monarca uscia dal suo palazzo, se non che portato in un palanchino e sulle spalle di quattro grandi dell'impero; la folla si prosternava di contro alla etrra al suo passarsi, come fanno i popoli più abietti dell'Asia al cospetto dei loro tiranni: i suoi piedi non mai doveano toccare la nuda terra, a similitudine delle donne le più effeminate dei nostri popoli civili.
Il manoscritto del mio autore assicura, che la grandezza e magnificenza dei palazzi, delle ville, dei giardini, dei parchi, ecc. ecc., tutto sotto il regno di
Montezuma, stava in armonia colla ostentazione della suprema sua maestà.
Secondo questa cronica, il principal palazzo, residenza ordinaria e reggia di Montezuma, avea cinque grandi porte principali su cadauna delle quattro facciate che lo decoravano; nell'interno contenea tre vasti cortili, e quello del mezzo era abbellito da una superba fontana di acque zampillanti: avea delle grandi sale, più di mille camere, tutte icrostate o di fini marmi o di pietre dure: i soffitti erano di cedro, di cipresso e d'altri legni rarissimi intagliati, cesellati, intarsiati di mosaici: ed una di queste sale era sì grande (ed il mio autore assicura averne avuta la descrizione da uno Spagnuolo che l'avea veduta), che potea comodamente tenere tre mila persone.
Oltre questo grande palagio, altri vi esistevano nei diversi quartieri della città.
Vicino alla reggia, sulla grande piazza, era situato l'harem principale del re e tutte le abitazioni necessarie per i suoi consiglieri, ministri, grandi e piccoli uffiziali della corona, e perfino pei magnati ed i re forestieri, che andavano a visitare il signore del Messico, corteggiarlo ed ossequiarlo.
Avea dei serragli per ogni specie di animale quadrupede, volatile ed anfibio: un vasto giardino circondato internamente da un gran porticato sostenuto da magnifiche colonne di marmo, conteneva dieci ampie vasche, le une piene di acqua dolce per gli uccelli acquatici ed i pesci di fiume, le altre piene di acqua salata per gli uccelli ed i pesci marini.
Ma a questa straordinaria maestà era unito il grottesco, il ridicolo più evidente: una folla di medici e di speziali vegliava alla salute di queste bestie; e ciò pare fosse un uso antico nel Messico: ma Montezuma ve ne aggiunse un altro più singolare.
Avea fatto riunire nel suo impero tutto ciò che v'avea d'uomini mostruosi o deformi, per fare un serraglio di essi!
Bizzarra e vana idea: ma almeno questa vanità avea un lato filantropico, poiché salvava un gran numero d'infelici dalla miseria, e dalla derisione del volgo
[senza queste ultimissime considerazioni così si legge nella Relazione di Cortès].
Intorno al suo palazzo erano riuniti in quartieri privilegiati gli artisti d'ogni genere: uno di questi quartieri era specialmente riserbato ai ballerini e saltimbanchi, che doveano divertire quella barbara, vana e strana corte.
Del resto, tutti questi serragli, uccelliere, vivai, giardini, quartieri, abitazioni di stato, palazzi, ec., doveano abbracciare una immensa estensione: narravasi che anche tutto lo spazio, che oggi comprende l'ampissimo convento di san Francesco ne facea parte; le bestie sole doveano ocupare almeno la metà della periferia, che cinge la odierna città del Messico: fin dove dunque s'estendeva l'antica, per contenere tanti e così immensi edifizi, piazze, giardini ed altri luoghi di lusso, residenza di tanti principi ordinari e straordinari, di tanti mostri ed animali, di tanti Indiani, che gli Spagnuoli ci dicono avervi trovati?
Montezuma era decisamente un principe assoluto, al cospetto del quale chiunque dovea inchinarsi, non esclusi i sacerdoti.
La sua tirannia era spesso formidabile, ma non bisogna credere che mancasse totalmente di buone qualità: quella, fra l'altro, di detestare l'ozio è lodevolissima, poiché ordinò che ognuno in qualche cosa si occupasse; perfino i mendici, che non aveano nulla da fare, volea si occupassero a cercar pulci, ec., e si liberassero da questi insetti parasiti, che divorano le classi più degradate della plebe.
I magnati tributavangli quanto di meglio possedevano: ed egli dal canto suo, in ricompensa dei sacrifici e delle umiliazioni che ad essi imponeva, aumentava i loro privilegi sui plebei, trovando così il modo di farsi odiare da tutte le classi de' suoi sudditi!
Avea perfino prescritto un segno distintivo, che gl'individui di ciascuna classe doveano immancabilmente portare indosso.
Nulladimeno, siccome un tiranno non puossi sostener da sè solo, ei mostravasi generoso inverso i suoi capitani ed i suoi ministri.
Dividea con essi loro in qualche modo anche la sua pretesa divinità, poiché permetteva che indossassero le sue vecchie vestimenta: le quali dovea mutare spesso, se è vero che non mai le rivestisse due volte, e che se ne spogliasse infino a quattro volte il giorno!
Per attirarsi l'amore delle soldatesche e di bravi fedeli, dimostrava per esse particolare premura, ed avea a loro utile convertito in ospizio e spedale tutta la città di Colhuacàn dalla quale scacciò il sire e i principali abitanti.
ma in mezzo a questa grandezza (ed ogni grandezza è effimera, quando ha per unica base una politica cavillosa e tirannica),
Montezuma era umiliato nel vedere gli stati di Tlascalà, di Tepeàca e di Mescinacàn reggersi indipendenti dal suo impero: quindi dichiarò ad essi la guerra, o per meglio dire, fece che gliela facessero i suoi vassalli ed i suoi capitani: cominciò dal Tlascalà; ma esordì con perdervi il suo primogenito e quasi tutto l'esercito, né un secondo tentativo riuscì più felice.
Anche Tepeàca e Mescinacàn respinsero vittoriosamente i suoi attacchi e la sua tirannia.
Montezùma avea fatto edificare anche molti templi; ed il mio autore aggiugne, che in tutti era associato il suo nome a quello della divinità, nelle iscrizioni e nei geroglifici che li consacravano: ma i preti protestarono contro questo strano miscuglio di sacro e profano, quantunque prevedessero, che le loro rimostranze uscirebbero inutili; infatti, elle non valsero ad essi che nuovi segni di disprezzo ed atti di despotismo, i quali non potendo tollerare decisero in ogni modo vendicarsi.
Ma per meglio spiegare quello che segue, bisogna riascendere per un istante al tempo nel quale i Messicani erano gli astèqui, e nel quale gli Astèqui non aveano ancora abbandonato il paese di Aztàn per emigrare nell'
Anahuac.
I loro sacerdoti, che in quel tempo non erano probabilmente che stregoni, come sono quelli dei selvaggi di molti altri paesi, per risolver le masse ad emigrare in lochi lontani, fecero correr la voce, che una tradizione sacra era stata riferita ad essi da un certo Topilcin, antico capo di loro nazione morto in concetto di santo: e così Topilcin divenne il dio conduttore: prima ebbe il nome Mixtli, che significa potente, e quindi quello di Huitzililhuìtl, che vuol dire dio formidabile, o della guerra.
I sacerdoti messicani, irritati contro Montezuma, cominciarono a vociferare che Topilcin era scomparso, ma che non era morto; che avea promesso, che ad una certa epoca ritornerebbe a governarli, e che questa epoca non era lontana.
Ciò bastò per indebolire la cieca devozione che il popolo avea per Montezuma, che considerava un semideo, e per molto diminuire il prestigio della sua grandezza e della sua santità: i preti aveano dato un gran colpo alla sua potenza, e qui mi limiterò a riferire una sola delle invenzioni che impiegarono per meglio colorire di maraviglioso quella presdizione.
Io narro una favola e l'effetto dell'impostura, poiché trattasi di un miracolo ispirato e diretto da sacerdoti empi: ma l'impostura e le favole spesso sono le guide più sicure che menino all'istoria, gli specchi più fedeli del cuore umano.
Montezuma avea una sorella che non amava: era bigotta, amica dei sacerdoti, e per conseguenza avversa al sistema teocratico stabilito dal fratello: ei l'avea maritata al governatore di Tlatelolco, che volle innalzare all'onore del suo parentado non per altro che per umiliare maggiormente la sorella, che si chiamava Tapantzin.
Questo governatore avea probabilmente sposati i sentimenti di sua moglie, che amava, per cui presto morì, non senza sospetto di veleno; e poco tempo dopo corse la nuova della morte anche della vedova principessa: di più, dicono che gli furono fatti solenni funerali. e che il corpo di lei fu deposto nella tomba degli antichi re di Tlalolco, posta nello stesso palazzo ove diceasi era morta.
Ma il giorno dopo il suo preteso seppellimento, una giovanetta la vide assisa presso la fonte ove era solita bagnarsi; spaventata all'aspetto di questa apparizione, la fanciulla fuggì e ne informò la madre; la quale, prima si burlò della credulità della ragazza, ma sulle assicurazioni reiterate della realtà della cosa, risolvè di verificarne il fatto coi suoi propri occhi: e veramente trovò la principessa assisa sul margine del fonte, bella, sana, eloquente.
Diceva aver viaggiato, e ritornare adesso dall'altro mondo: fece chiamare il marito di questa donna, e lo incombensò di annunziare la sua resurrezione a
Montezuma suo fratello; ma il buon uomo ricusò, per tema della crudeltà del re, pensando (e non s'ingannava) che il ritorno in questo mondo di una sorella da lui odiata, dovea fortemente irritarlo.
Allora ella gl'ingiunse d'avvisarne il re di Tescùco e di dirgli, che volea vederlo: e ciò fece.
Questo re accorse all'istante.
La principessa [sorella di Montezuma -su cui il "moderno" autore raccoglie dati anche in funzione della sua attenta lettura del Motulinia alias il padre francescano Toribio di Benavente- in fama di religiosissima se non addirittura sibilla ma, cosa da lui oltremodo destastata, concorde coi Sacerdoti del culto tradizionale , e dopo la catastrofe dell'Impero -anche se è impossibile chiarirlo quanta pubblicistica risieda nei vari racconti- destinata alla conversione al Cristianesimo] pregollo [oltre la "favola", non si può escludere un qualche fatto reale e che, con il supporto dei sacerdoti avversi alla riforma teocratica dell'Imperatore, la donna avesse fatto ricorso per una sorte di catalessi alle svariate proprietà della medicina sciamanica = di fronte alla notte dei tempi ed a vicende spesso mascherate dalle diverse fazioni altre profezie ed altri funesti presagi si sarebbero manifestati: Una cometa apparve in cielo, in pieno giorno - Una colonna di fuoco (probabilmente la cometa) sarebbe comparsa nel cielo della notte - Il tempio di Huitzilopochtli sarebbe stato distrutto dalle fiamme - Un fulmine avrebbe colpito il tempio di Tzonmolco - Tenochtitlán avrebbe subito un'inondazione - Gente strana con molte teste su un corpo solo sarebbe stata vista camminare per la città - Si sarebbe udita la voce di una donna intonare un canto funebre per gli Aztechi - Venne catturato uno strano uccello. Quando Montezuma guardò nei suoi occhi, che erano come specchi, avrebbe visto degli uomini dalle strane sembianze che sbarcavano sulla costa] di far sapere a Montezuma suo fratello ch'ella avea un affare dell'altro mondo da partecipargli.
Montezuma, accompagnato dal re di Tescùco e da alcuni grandi della sua corte andò a vedere la pretesa resuscitata: trovolla in mezzo ad una folla di preti, mentre assicurava a tutta questa assemblea colla massima franchezza, ch'era veramente morta, ma che nel momento che passava il fiume dell'oblivione, un giovane l'arrestò, la prese per mano, e le fece comprendere che il regno dei cattivi era finito, che TOPILCIN [propriamente CE ACATL TOPILZIN QUEZALCOATL] era in via per tornare nel Messico e spandere una nuova luce sull'Anahuac; e che la consigliò a riedere nuovamente alla vita, per annunziare l'ultima risoluzione di Dio, e predicare che tutti si preparassero a ricever TOPILCIN rispettosamente e con gratitudine, siccome una celeste redenzione, e per ricevere ella la prima, devotamente, il divino liberatore [e il tutto innegabilmente risuonava come una condanna della riforma teocratica realizzata da Montezuma = Giovanni Botero riprende nelle sue Relazioni, con le modifiche che il tempo, la superstizione e la postazione ideologica (nel suo caso impostata su una punizione del Dio cristiano agli idolatri sudditi di Montezuma) comportano sempre, gli eventi straordinari di cui sopra si parla: soffermandosi però in particolare sul tema del ritorno di Tolpicin e del momentaneo sfruttamento della sua identificazione con il dio, giovevole a Cortes].
Dicono alcuni storici Messicani, che a questa predizione si scorse sulla fronte di Montezuma una viva espressione di funesti pensieri, ed altri assicurano, ch'ei si accorse incontanete dell'artifizio e della furberia della sorella e dei sacerdoti. ma che dissimulò: frattanto i suoi cortigiani sparesero, che la principessa non era veramente morta, ma che, gravemente malata, fu soprappresa da un profondo deliquio, dal quale, dopo due giorni, svegliossi delirante; e dicevano che ora era pazza, ed indicavano i farmaci più atti a sanarla.
Ma per quanto si studiasse la corte ed il re a spandere il ridicolo su questo affare, non poterono però prevenire le profonde impressioni che fece nello spirito della moltitudine, credula sempre, ed in questo caso influenzata dai sacerdoti irritati contro Montezuma: minacciato dal cielo, ei perdeva agli occhi dei popoli tutta la sua divinità terrestre: ridotto uomo, si videro allo scoperto tutti i suoi vizi ed i suoi difetti, ed apparve mostruoso forse più di quello ch'apparir non dovea: l'odio contro di lui crescea ogni dì maggiormente, e la voce dei sacerdoti riacquistava a colpo d'occhio l'antica autorità sulle genti messicane, e fu nel momento di questo urto delle ambizioni regale e sacerdotale, nel momento di questa convulsione delle masse, convulsione che paralizzava l'unione, la forza, l'unità nazionale, che Ferdinando Cortes comparve nei paesi del Messico.
Ma questa subitanea apparizione e questa ben'ordita impostura furono in fine dannose ai sacerdoti; e le loro profezie, le loro visioni, le loro imposture, servirono a maraviglia l'avvunteriere spagnuolo, nel quale i Messicani credettero vedere adempiuta la voce dell'oracolo: lo stesso Montezuma credette in principio che il Cortes fosse veramente Topilcin, quel santo famoso del quale predicavasi il ritorno; tanto più ch'ei precisamente venia dalla parte d'onde le genti hanno tratte le divinità, le religioni e tutte le cose straordinarie, cioè dalla parte dell'oriente.
Assicurasi, che i primi ambasciatori spediti da Montezuma al Cortes erano incombensati di presentargli il suo omaggio come a Topilcin suo signore, e che s'offria di servirgli in luogotenente.
Tutto il corteo degli Spagnuoli, sì nuovo e sì imponente agli occhi de' messicani, aumentava la forza delle impressioni ond'erano dominati, e appianava gli ostacoli dell'impresa: e se i Cristiani non avesser presto tolto d'illusione questi nuovi popoli con delitti e licenze d'ognie specie, poteano, senza sparger neppure una goccia di sangue, conquistare tutto il Messico in breve ora.
Ma presto i Messicani dubitarono della procedenza divina dei loro nuovi ospiti, e riederono alle loro città e casali pieni d'impressioni e di congetture tutte diverse.
Montezuma, con una seconda ambasciata, ingiunse al Cortes di arrestarsi, e quantunque lo colmasse di doni, gli fece nel tempo stesso notificare, che ricusava di riceverlo: ma era troppo tardi.
Tutto militava in favore del Cortes: Montezuma avea persa l'aureola che lo avea reso sì abbagliante, ed i preti erano assoggettati, i nobili avviliti, i popoli oppressi, i principi vassalli tirannizzati, i soldati privi d'energia, la corte in dissidio: tutto, insomma, cospirava alla rovina dell'impero.
All'esterno, i Tlascalèsi [la potente Confederazione o Repubblica di Tlaxcala] ed altri popoli mortali nemici di Montezuma, e come quelli del mescinacàn, sempre gelosi della messicana dominazione, erano pronti a confederarsi con chiunque avese saputo abbattere il gran tiranno; però, abbracciarono subito il partito degli Spagnuoli, i quali, se avean perso quel prestigio divino in sulle prime loro supposto, aveano abbastanza dello infernale nella natura delle armi che portavano, per spandere la paura e lo scoraggimento, e per rianimare, sebbene sotto diverso aspetto, la mistica influenza di una falsa profezia, che coincideva così perfettamente con quanto era successo: alle quali cose se aggiungasi la mancanza di energia e di coraggio in Montezuma ed in tutti i suoi servili e codardi cortigiani, è facile spiegare come un pugno di Europei potesse assoggettare impero così potente, popoli così numerosi.
Tremenda infatti dev'esser stata l'impressione degli schioppi e dei cannoni sull'animo del'Indiani, che credeano queste armi vomitassero le folgori del cielo; delle lance e lunghe spade che infilzavano gli uomini quasi fosser rane; dei cavalli e dei cavalieri che credevano un mostro di un sol pezzo; di quelle loriche, di quegli scudi, elmi, corazze rilucenti come adamante ed impenetrabili, di quei navigli ch'essi credevano mostri marini, vomitanti guerrieri, demoni e folgori.
Alle quali cose i poveri Messicani non potevano opporre che un corpo ignudo, misere lance, deboli frecce, coltelli di sasso; ed anche la potenza di queste armi meschine venia neutralizzata dalla eloquenza della nuova convertita donna Marina, la bella schiava di Tabasco, l'amante, la consigliera, la interprete di Cortes; la quale magnificava, esaltava ai suoi compatriotti, i prodigi, la divinità, la onnipotenza de' suoi eroi.
Quando gli Spagnuoli, dal luogo ove sbarcarono, marciarono inverso il Messico, erano già sicuri dei suffragi di tutti i paesi che doveano attraversare soggetti a Montezuma; erano sicuri dell'alleanza dei Tlascalesi, nemici irreconciliabili e spesso vincitori de' Messicani: infatti il Cortes assembrò sotto le sue insegne più di 70 mila Tlascalesi, e con essi si presentò davanto alla città di Messico, sentina d'ipocrisia, di voluttà e di superstizione; vi regnava il malcontento tra gli abitanti, e l'anarchia ed il disordine era al colmo in fra il trono e l'altare: di guisa tale che tutto congiurava in quell'epoca al Messico per appianare la strada all'eroe Spagnuolo per impadronirsi dell'impero, distruggere i sacerdoti ed albergare nei palazzi del re.
Il Cortes incendiò la sua flotta per decidere i suoi compagni malcontenti; e certamente questa fu azione d'anima poco comune; ma potrebbe anche corroborare l'opinione di quelli che credono ch'egli avea molta sicurezza della buona riuscita dell'impresa.
Comunque sia di ciò, ora vogliam narrare la fine della storia della principessa Papantzin, che abbiamo lasciata in mezzo ai sacerdoti a profetare la venuta di Topilcin per vendicarsi della iniqua condotta di suo fratello Montezuma.
Sorpresa, anzi stordita di un fatto che rispondeva genericamente all'oracolo, quantunque ella sapesse di non essere stata che l'istrumento della impostura de' sacerdoti messicani, nulla ostante le parve di scorgere in questa coincidenza o la mano del destino, o un fatto provvidenziale; per cui disertati i suoi complici, abbracciò con fervore la religione dei forestieri, e probabilmente fu la prima cristiana dell'Anahuac.
E qui la storia cessa di narrarci di lei.
Passiamo ad altro [scrive l'autore di questa opera basilare] prima di abbassare il sipario del teatro dell'antica storia del Messico.
Per ciò che riguarda le gesta del Cortes e dei suoi compagni,
son troppi gli storici che ne scrissero perché sia permesso a noi di narrarle qui in fondo a questo compendio [N. d. R. = leggile qui digitalizzate];
il Cortes istesso ha scritto le proprie imprese, e molti de' suoi compagni, adoprando ad un tempo la spada, la face e la penna, conquistarono, distrussero e descrissero le vicende della conquista, e gli orrori delle loro distruzioni: bisogna leggere le loro opere.
Ora a noi non rimane, che accennare qual fu il destino dei figli e dei parenti di Montezuma, dopo che il Messico diventò provincia e colonia spagnuola.
La morte di Montezuma è argomento di speculazione storica: secondo alcuni, ei fu ucciso da un Messicano mentre predicava a' suoi sudditi il rispetto e la fedeltà inverso gli Spagnuoli; e secondo altri (e questo pare molto più probabile), fu ucciso dagli Spagnuoli stessi nella notte funesta della rivoluzione dei messicani, con tre de' suoi figliuoli [La storia di questa tremenda rivoluzione leggesi in una lettera di Fernando Cortes a Carlo V, per noi pubblicata nel tomo XI della presente Raccolta di Viaggi].
Dicemmo di sopra che il primogenito di Montezuma perse la vita in una pugna contro i Tlascaltèqui; il suo quinto figlio salvossi con gli Spagnuoli, abbracciò la fede di Cristo, prese il nome di don Pedro di Montezuma, e da lui discende la famiglia ancora esistente dei conti di Mentezuma e di Tula, grandi di Spagna: una sorella di lui (tecuispotzìn), fuggita agli orrori di quella trista notte, si fece cattolica, come suo fratello, e da lei discendono le altre due famiglie dei Montezuma, quella di Cano cioè e quella di Andrada.
Gli storici notano anche un sesto figlio di Montezuma ma s'ignora il nome di lui.
E' però certo, che nessuno de' suoi figliuoli lo rimpiazzò sul trono: i Messicani sollevati ci posero un nipote dell'estinto monarca, che avea nome Cuohtemotzìn (Quauhtemoc, nel contesto della grafia antiquaria al modo che scrisse il Bustamante) [in effetti nella Memoria di Ixtlixochitil si legge fine p. 312 che dapprima i messicani elessero re un fratello di Mochthezuma di nome Culahuatzin che regnò per solo quaranta giorni venendo ucciso "dal vaiuolo, ch'era stato portato da un Negro" e che solo allora gli stessi Messicani elessero qual re Cuauhtemoctizin (da IX riga dall'alto, da pag. 313), figlio del re Ahuitzotin del lignaggio di Tlatelulco = nello stesso luogo il Bustamante in nota critica scrisse (nota 1 di p. 313) Il vaiuolo fece grande strage nel Messico per sessanta giorni continui, e levò di vita un'infinità di Indiani. La desolazione fu tale e siffatta che un gran numero d'infermi morirono di fame, non v'avendo chi loro apprestasse il cibo ( = vedi sempre la n. 1 a fine pag. 313 Sahagun, Historia general de las cosas de Nueva España, lib. XII, cap.29)], il quale valorosamente difese la città, quando gli Spagnuoli ne fecero l'assedio; ma caduto prigioniero, e condotto al cospetto del Cortes mentre questi entrava in Messico (addì 15 agosto 1521), gli disse con voce ferma e faccia impavida:
"Io feci quanto dovea per il mio popolo e pel mio paese; ora non mi rimane che morire; uccidimi".
Lo arsero vivo.
[L'autore con questa chiusa drammatica nella sua terrificante concisione sancisce la fine del suo discorso = per quanto criptica la chiusa ci esprime comunque tutta la sua angoscia per la rovina di una civiltà che fu grande, pur tra bagliori e terrifiche oscurità, e venne cancellata sia dall'umana ingordigia quanto -cosa forse meno trattata- dalla diffusione di malattie importate dal Vecchio Continente e che come qui si vede quasi cancellarono la numerosa popolazione precolombiana = meno conciso (ma anche letterariamente, e forse storicamente, meno efficiente) di Fernando de Alvarado Tezozómoc or Hernando fu invece nella sua Memoria Don Ferdinando D'Alva Cortès Ixtlilxochitil che scrisse come qui si legge sulla resa gloriosa di Quauhtemoc che di fatto segna la definitiva conquista spagnola della grandissima capitale dell'Impero azteco: la morte dell'ultimo Signore dei Mexica è però accompagnata da un appassionato
commento - con il concorso critico del Bustamante - dell'ottocentesco editore messicano nella lunghissima nota 1 qui specificatamente proposta ove si narra che Quauhtemoc fu catturato dagli Spagnoli ma non ucciso e semmai imprigionato e quindi torturato orribilmente col fuoco, seppur vanamente per il suo coraggio, onde rivelasse ove si custodisse il tesoro di "Montezuma II, venendo alla fine barbaramente ucciso.
************
Per quanto apporti notizie importanti e inedite si tratta di un'
opera non priva di controversie la sopra citata e qui digitalizzata Memoria di Don Ferdinando D'Alva Cortes Ixtlilxochitil editata criticamente dal Bustamante che non lesina osservazioni critiche.
L'autore, per quanto valido, come discendente mira infatti a rivalutare l'antenato, re se non usurpatore di Texcuco, passato dalla parte degli Spagnoli per un'ambizione di potere legata ad un'effettiva grandezza guerresca: la difesa dal discendente nella citata Memoria dipende anche da una denunzia anche per la trascuratezza nei riguardi dell'antico condottiero e in quelli delle migliaia e migliaia di suoi soldati, come parzialmente degli alleati di Tlaxcala, dimostrata da Cortès il cui piccolo esercito, ad onta della superiorità tecnologica, sarebbe stato travolto se l'Impero non fosse stato travagliato da lotte intestine in parte addebitabili a certa insipienza e presunzione di Montezuma.






CLICCA QUI PER RITORNARE ALLA HOME PAGE DI CULTURA-BAROCCA