cultura barocca
Inf. Durante Da Prescott, History of the conquest of Mexico (adatt. di P. Guillot, Crémille, Ginevra, 1969) un altare per i sacrifici umani .

Guerra dei fiori o guerra floreale (nahuatl: xochiyaoyotl) è il nome dato alle battaglie combattute tra la Triplice alleanza azteca ed alcuni nemici, soprattutto le Città-Stato di Tlaxcala ( Elia Salas de Léon, Historiografía De Tlaxcala, San Luis Potosí, Departamento de Publicaciones de la Universidad Abierta, 2001, ISBN 968-5095-02-7.) Huexotzinco, Atlixco e Cholula. Nel suo Codice Durán, Diego Durán afferma che le guerre dei fiori erano decise dal Cihuacoatl azteco Tlacaelel, a causa di una grande carestia occorsa durante il regno di Motecuhzoma I, risolvibile solo tramite sacrifici umani. Il risultato fu la stipula di un trattato firmato tra Tenochtitlan (la capitale azteca), Texcoco, Tlaxcala ed Huexotzingo per confrontarsi in battaglie rituali col solo scopo di produrre vittime da sacrificare. Un'altra fonte, il famoso storico Chimalpahin, cita una precedente guerra dei fiori tra i Mexica ed i Chalca. La cronaca del XVI secolo intitolata Storia di Tlaxcala, scritta dall'abitante locale Diego Muñoz Camargo, contiene la leggenda di un potente guerriero Tlaxcalteca chiamato Tlahuiçole che fu catturato, ma a causa della sua fama di guerriero fu liberato per farlo combattere di fianco agli Aztechi contro i Tarasco di Michoacan. Ricevette tutti gli onori, ma invece di tornare a Tlaxcala scelse di essere sacrificato. Ci furono otto giorni di celebrazioni in suo onore, e poi lui stesso uccise otto guerrieri. Ancora insisteva per essere sacrificato, e combatté ferendo altri 20 uomini prima di essere sconfitto e sacrificato. Basilare resta però l'opera di Diego Durán (Siviglia, 1537 – 1588) che è stato uno storico spagnolo [ Frate domenicano, è conosciuto principalmente per essere l'autore di uno dei primi libri occidentali sulla storia e la cultura degli Aztechi, Historia de las Indias de Nueva España e islas de la tierra firme (conosciuto anche come Codice Durán), libro che fu fortemente criticato nella sua epoca per l'aiuto che dava al mantenimento di una cultura pagana. Durán parlava correntemente la lingua azteca e riuscì ad utilizzare per il suo lavoro i racconti e i codici pittorici della popolazione locale oltre ai lavori dei religiosi suoi predecessori. La sua natura empatica gli permise di guadagnare la fiducia di molti nativi che normalmente non avrebbero condiviso le loro storie con gli europei, e fu così in grado di documentare numerosi racconti e leggende precedentemente sconosciuti, rendendo unico il suo lavoro. La Historia de las Indias de Nueva España e Islas de Tierra Firme, conosciuta anche come Codice Durán, è costituita da 78 capitoli che spaziano dal racconto azteco della creazione fino all'epoca successiva alla conquista spagnola, e include una cronologia dei re aztechi. I monaci del XVI secolo usavano spesso materiale l'uno dell'altro senza citazioni. Secondo alcuni studiosi il Codice Durán formò le basi per il manoscritto conosciuto come Codice Ramírez, secondo altri invece entrambi si basano su un lavoro precedente e sconosciuto, a cui si fa riferimento con il nome di Cronaca X. Una citazione esplicita di Durán come fonte si trova in Historia de la fundación y discurso de la Provincia de Santiago de Mexico (1596), del frate Agustín Dávila Pandilla. (Heyden xxx) Il Codice Durán non fu stampato fino al XIX secolo, quando fu ritrovato nella Biblioteca di Madrid da José Fernando Ramírez. Nel suo Calendario antiguo Durán stesso da una spiegazione del perché il suo lavoro avrebbe atteso a lungo la pubblicazione dicendo "alcune persone (e non sono poche) dice che il mio lavoro fa rivivere fra gli indiani riti e costumi antichi". La sua replica è che gli aztechi erano abbastanza bravi per preservare segretamente le loro tradizioni anche senza aiuto dall'esterno. L'opera di Durán ha assunto un valore fondamentale per gli archeologi e gli altri studiosi delle culture mesoamericane. Nonostante sopravvivano alcuni pochi codici aztechi scritti prima della conquista spagnola, i più numerosi codici post conquista e i lavori contemporanei come quello di Durán sono inestimabili fonti secondarie per l'interpretazione delle teorie e dei ritrovamenti degli archeologi].
L'esatta natura delle guerre dei fiori non è ben precisa, ed esistono numerose differenti interpretazioni del concetto che ne sta alla base. Una popolare idea vorrebbe che le guerre dei fiori fossero una specie di guerra istituzionalizzata in cui due stati nemici pianificavano battaglie al fine di recuperare prigionieri per i riti religiosi che prevedevano sacrifici umani. Un secondo motivo sarebbe stato quello di allenare alla guerra i giovani uomini, e permettere la mobilità sociale di coloro che, partendo dai ceti bassi, facevano carriera militare. Questa idea si basa su citazioni dei primi cronici e sulle lettere di Cortés. Recentemente questa interpretazione è stata messa in dubbio da studiosi quali Nigel Davies (Nigel Davies, Los Señorios independientes del Imperio Azteca, Messico D.F., Instituto Nacional de Antropología e Historia,INAH, 1968) e Ross Hassig (Ross Hassig, Aztec Warfare: Imperial Expansion and Political Control, Civilization of the American Indian series, no. 188, Norman, University of Oklahoma Press, 1988) secondo i quali "il mutuale accordo" delle guerre dei fiori è dubbio, mentre sarebbero in effetti guerre a bassa intensità, ovvero un tentativo azteco di stancare i Tlaxcalteca prima di conquistarli. Nonostante Hassig suggerisca che le interpretazioni fatte sulle guerre dei fiori siano esagerate, accetta il fatto che i prigionieri fossero veramente sacrificati. L'idea di Hassig è che i prigionieri non erano i soli a venir sacrificati; venivano usati solo in alcuni riti aztechi, e comunque non nella cerimonia di ostentazione del 1487 dedicata al Templo Mayor di Tenochtitlan. I guerrieri aztechi venivano addestrati a preferire la cattura dei nemici in battaglia piuttosto che la loro uccisione. Questa cosa è stata anche citata come ulteriore motivo della sconfitta della loro civiltà da parte degli europei. Stupendo gli Aztechi, i conquistadores europei cercavano di uccidere i nemici in battaglia. Questa ipotesi è stata fortemente avversata da Matthew Restall (Matthew Restall, Seven Myths of the Spanish Conquest, Oxford and New York, Oxford University Press, 2003, ISBN 0-19-516077-0, , OCLC 51022823.) che riteneva chiaro che i popoli precolombiani si adattarono velocemente alla tecnica europea, opponendo agli spagnoli una fiera resistenza.

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