Il giovanissimo "Filosofo" (così lo chiamavano da ragazzo i compagni di scuola prima di diventar noto altrove quale "il Ventimiglia" e poi darsi lui stesso un' infinità di finti nomi o pseudonimi con cui scrivere ed anche polemizzare) provenendo a passo svelto da una delle due prebende ecclesiastiche più vicine alla sua dimora o come si diceva Dall'acqua del Nervia sin verso Genova ed appartenenti alla Diocesi di Ventimiglia un po' aveva paura
mentre tornava a casa, al sicuro, presso gli amati genitori (suo padre gli aveva narrato di briganti e violenti nascosti nell'ombra in quelle terre ma anche di omicidi ivi perpetrati approfittando dell'isolamento e data l'epoca temeva anche quelle che lui avrebbe poi definito turbolenze soldatesche che altri addirittura sostenevano in combutta con streghe e diavoli): il giovanissimo "Filosofo", niente più che un ragazzo, si sentì rasserenare solo quando
tra le prime ombre d'un grigio crepuscolo, sulla via di casa, riconobbe, a stento ma con sicurezza, la malandata sagoma gigantesca di un S. Cristoforo eretto un tempo forse per guidare i pellegrini a "S. Jacopo di Compostella" (come ad altri Luoghi della Fede); trovò, senza le paure, di prima, in qualche maniera e come spesso poi avrebbe imparato a fare sempre meglio, tempo ed occasione di "esplorarsi nell'animo" e scoprire, con gioia malcelata, che era contento di aver "esplorato" quell'area in cui si mescolavano favole e verità e di aver visto (anzi di esser entrato seppur con tanta tema) in qualcuna di quelle misteriose stanze sotterranee ove pensò d'aver visto qualche antico tesoro, occasione per un'ulteriore solitaria spedizione = credendo, per il momento, di non aver raccolto alcunché, a giustificazione di quell'escursione già proibitagli, pensò d'aver fatto nulla di male, ma poi arrossì, guardandosi, anzi con un certo sforzo torcendo gli occhi più che piegando la testa quasi che qualcuno potesse vederlo e biasimarlo, la mano così stretta a pugno da parer rattrappita e formicolare. Stese, quasi con timore, le dita che
parvero, subito, non obbedirgli, poi vide...vide quanto aveva raccolto quasi d'istinto e avrebbe conservato e subito non compreso, pensando piuttosto ad un ciondolo o ad una reliquia sacra perduta da chissà chi, ma abbastanza di recente: solo pochi anni dopo, sfogliando a Genova da novizio un libro con stampe antiquarie del mondo classico, avrebbe saputo che quel suo "tesoretto" era stata una moneta od una medaglia, d'una civiltà antica e studiata ma temuta per via del paganesimo fra tante false credenze, la civiltà di Roma Antica. Per un attimo ebbe anche l'impressione d'aver visitato, primo fra tanti, un mondo alternativo al suo e scomparso da migliaia d'anni: ma sul fatto le idee erano ancora confuse ed avrebbe in seguito avuta occasione di meglio meditare, per giungere alla conclusione d'esser stato -come poi scrisse-
nei meandri se non nei sotterranei della creduta scomparsa città romana di Ventimiglia o meglio del nucleo del municipio imperiale romano di Albintimilium ... comunque anche ancora sospeso nelle remore di tanti dubbi, per un attimo, si sentì davvero importante e orgoglioso del coraggio mostrato ed anzi in una frazione di quell'attimo, forse, decise che avrebbe scritto (come avvenne) di quell'avventura: ignorava che quell'esperienza giovanile, associata ad una naturale predisposizione, accanto alla riconosciuta passione per i libri, avrebbe conferita a lui Angelico Aprosio "il Ventimiglia", la passione per l'archeologia ed il nascente antiquariato a riguardo della classicità romana (ed anche greca) facendone l'individuo che, dopo secoli e secoli d'oblio e d'errori, sarebbe riuscito ad intuire la logistica del sito sotto cui giaceva, silente, quella perduta città che a proposito dei Ventimigliesi fece spesso pronunciare la frase Fuimus Troes...: dispersi e senza patria come gli antichi Troiani".
Da un manoscritto aprosiano variamente connesso a Le Antichità di Ventimiglia - di cui si darà contezza a stampa per intiero - un frammento è qui elaborato e proposto solo per dare idea dell' interesse aprosiano per l'epigrafia romana, edita e non, e non solo ligure ma estesa a tutti i ritrovamenti dell'ecumene romano (e quindi all'archeologia) = rifugge col tempo dall'esternazione di giovanili memorie e piuttosto si dichiara debitore dell'informazione in merito all' iscrizione sopra proposta nella trascrizione autografa aprosiana all'amico erudito, storico, sillogista ed antiquario Giacomo Filippo Tomasini anche se occorre già dirlo ora a titolo proemiale Aprosio per tutta la sua esistenza segnala la superiorità degli antiquari e soprattutto degli epigrafisti tedeschi a fronte di una sinecura italica (di cui sotto si legge) pur citando alcuni casi meritori di studiosi italiani. Prudenze di priorità e di nomea per cui spesso qualche nume tutelare è ed era intoccabile (nel caso il venerato a Ventimiglia ma non in Liguria Giovanni G. Lanteri teorico della concentrazione del principale complesso demico di Albintimilium sul complesso ove poi sorse la città medievale) = G. G. Lanteri che oltretutto ad Aprosio -certo non esente da ripicche ed invidie specie se non riconosciuto nella sua valenza che per Ventimiglia riteneva probabilmente assoluta dati i pregressi successi e le opere finalizzate- non doveva nemmeno piacere sia per il carattere freddo non meno delle nevi del Caucaso come scrisse il Giustiniani che per esser stato (verosimilmente in sua vece) -non senza però sbagli e lacune poi riscontrati anche da G.B. Semeria- nominato informatore ufficiale dell'Ughelli per l'Italia Sacra in merito alla storia della Diocesi di Ventimiglia (vedi in dettaglio qui l' opera globale digitalizzata del Semeria su tutte le Diocesi Liguri, alcune utili e moderne considerazioni integrative sulla Diocesi di Ventimiglia detta poi anche "Diocesi Usbergo" ed infine soprattutto la trattazione che ne fece il Semeria, comunque scarna a fronte dei dati superiori che aveva per le altre Diocesi Liguri); ma a Ventimiglia Aprosio sapeva di dover vivere e voleva vivere -viste esperienze pregresse e citate- senza litigi e tormenti: quindi meglio non dire che, dicendo, non solo non criticare [salvo battute ben celate ed occultamente velenose seppur non sempre recepibili (vedi p. 61 del "Repertorio Aprosiano") ma leggibili cliccando per esempio -dopo aver letto l'insieme- sulla dicitura Chi gli mandò la Relatione] il Lanteri a proposito del suo contributo per l'Ughelli ma soprattutto non demotivare le affermazioni dello stesso Lanteri sul sito del nucleo base di Albintimilium, atteso che al limite avrebbe potuto sempre opporre ai rinvenimenti nella prebenda di Nervia le non poche scoperte di romanità nella così detta "Ventimiglia Alta", in definitiva propaggine suburbana occidentale della "città nervina" che al modo descritto da Strabone dal nucleo centrale giustamente ipotizzato da Aprosio si estendeva linearmente ad est ed ovest sì da aver fatto dire allo stesso geografo imperiale che "Ventimiglia era una città grande" (anche in questo caso consolandosi nel limitare ad insinuare i sospetti di qualche grave errore topografico con altre battute abbastanza ermetiche]: in fondo all' Aprosio fattosi più maturo e saggio dopo "battaglie intellettuali" vinte ma talora anche duramente perdute contro avversari troppo forti -non a caso "questo nuovo Aprosio" diplomaticamente gratificò il Lanteri, che assai poco frequentava e stimava, col titolo di "Fautore dell'Aprosiana"- bastavano certe battute criptiche e non universalmente comprensibili, anzi! e a ben vedere la stessa esternazione del Lipsio sa di elogi ma mutatis mutandis può anche esser intesa come onesta dissimulazione sì da auspicare sempre nuovi genii di Liguria per sottolineare esigenze di rinnovamenti che l'erudito fiammingo non vedeva al pari che altrove in Italia: comunque siamo nelle sabbie mobili delle supposizioni e qui, in fondo, basta dire che solo nel XIX secolo G. Rossi riconoscerà al "Ventimiglia", soprannome ufficiale di Aprosio, il merito d'aver prima d'ogni altro individuato il sito dove sorgeva il principale complesso del municipium di Albintimilium = personaggio di prestigio il Rossi nuovo "pater patriae" dal punto storico e tempi lunghissimi = cosa che inducono a pensare che la scelta della dissimulazione aprosiana non fu affatto errata ed anzi certo utile -anche solo emotivamente- per il vivere e studiare in solitaria pace e in modo quieto! Aprosio spinto dall' amore per Ventimiglia, che vuole riscattare da una sinistra fama di clima nefasto, causa di morti precoci e vita precaria (tra le circostanze di morte era frequente la malaria per effetto delle paludi non risanate
anche se l'agostiniano si sofferma del pari sull' aria "contaminata da esalazioni, vapori, caligini, fetori di acque morte, serpi infracidite e da cadaveri o sian carogne" (p. 36 ma soprattutto p. 37 in fine del "Repertorio Aprosiano) e che anzi sublimando le riflessioni vuole -a suo particolarissimo modo- addirittura esorcizzare quale luogo ideale per l'otum negotiosum dei classici, ha addirittura l'ardire di muovere accuse verso i pubblici amministratori di Ventimiglia (ma il discorso ha estensione panitaliana) per la scarsa o nulla sensibilità in merito alla cura e titela dell'ambiente, specie in merito agli impaludamenti e alle tracimazioni (p. 61 del "Repertorio Aprosiano": evidenziata la frase con linea rossa iperattiva)
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La giovanile passione aprosiana -sopra esplicitata- per la classicità, e specificatamente per il nascente antiquariato e la crescente sua affermazione, verosimilmente prende
sì il via dalle investigazioni sul sito della prebenda di Nervia a contemplare i reperti romani evidenziati dalle esondazioni del torrente Nervia ma poi cresce im maniera esponenziale, come dal frate stesso, oramai adulto ed in pieno agone culturale e letterario, più o meno chiaramente espresso in forza anche dei suoi spostamente, dalla Toscana alla Repubblica di Venezia, e dei contatti con altri e più esperti ricercatori e catalogatori di anticaglie [comunque si fa presto un'ottima reputazione sì che durante il gratificante soggiorno veneziano (vedi), soprattutto, la passione antiquaria interagisce con la fama di bibliofilo quale altro costante connotatore del frate di Ventimiglia (del resto la sua raccolta libraria e di oggetti rari era detta tanto "Biblioteca Aprosiana" quanto "Museo Aprosiano") ed evidenziata, fra tanti altri eruditi, sia nel giudizio del sopra citato Tomasini quanto in quello del danese Thomas Bartholin che in un'opera oramai rarissima e qui digitalizzata scrive a riguardo di una "moneta" effigiante Didone costituente un unicum esser custodita nella Raccolta numismatica di Aprosio che vien definito (trad. dal lat.) ...espertissimo sia in materie sacre quanto in discipline profane].
Le gratificazioni di intellettuali ed eruditi di tanta caratura portano vieppiù "il Ventimiglia" a fortificarsi e perseverare in siffatta forma di cultura (anche quando passa apertamente e prevalentemente al polemismo letterario sulla scorta delle dispute sull'Adone- "querelle" Marino - Sigliani e poi al Polemismo moralista -specie, ma non solo, misogino- quasi contestualmente nell'ambito del libertinismo dell'Accademismo degli Incogniti di Venezia : per poi estendere i suoi interessi alla Biblioteconomia ) = usando comunque col tempo e l'esperienza, volta per volta, le necessarie preoccupazioni e cure espositive per evitare, come accadde specie nella sua irruenta ed ambiziosa giovinezza, contestazioni ed inimicizie, per esempio in merito alle opere di polemismo letterario e moralista, ove tanto eclatanti e imprudenti si rivelarono certi suoi spunti audaci od aggressivi da esporlo alla censura inquisitoriale (in forza anche dell'interesse per la poesia erotica se non escrologica) facendolo definire "poeta" ma nel senso di "bizzarro" sì da subire un pericoloso richiamo dal severissimo Nunzio Apostolico di Venezia Francesco Vitelli specie in merito alla "querelle" con Arcangela Tarabotti la coraggiosa suora femminista = ed ecco allora con lo scorrere del tempo la prudenziale utilizzazione (di cui però aveva già maturata consapevolezza in nome dell'onesta dissimulazione) di vari sistemi di scrittura più che "crittata" semmai "nascosta" la cui interpretazione deve cioè giungere recepibile solo agli addetti ai lavori ma non ai lettori
culturalmente forniti di chiavi interpretative diverse dalle sue. Per motivare le postulazioni valgono qui due esempi fra vari altri = affrontando il tema delicato del libertinismo nelle opere di polemismo moralista ove si avvale di un pungente lavoro dell'enigmatico scrittore misogino Ernando Tivega pseudonimo di Andrea Genuzio ecco che già utilizza a livello espositivo una sorta di entropia sì da dar l'impressione di coinvolgere negli stralci d'opera di costui altri autori "civetta" meno lascivi od ingombranti, fenomeno che si sublima soprattutto entro il Repertorio Biblioteconomico della Biblioteca Aprosiana, Passatempo Autunnale di
Cornelio Aspasio Antivigilmi.... in cui utilizza spesso -anche oltre la sue predisposizione per lo scrivere erudito- vari espedienti linguistici atti a far intendere solo a chi avesse consapevolezza di certi suoi equilibrismi linguistici = eclatante il caso di una risposta data ad Arcangela Tarabotti -ormai defunta ma che non perdonò mai per averlo definito ubriacone pur con un giro di parole invero assai poco mascherato- avvalendosi di una sarcina erudita con la citazione del Nebulo Nebulonum dell'autore tedesco Fletner di per se stessa enigmatica ma che, letta da quanti avessero conoscenza di questo autore e dei suoi emblemi oltre che di certe "procedure comunicative aprosiane"- giungeva a dire che "in definitiva ciò che diceva la suora era per valore equiparabile a feci umane" = "Hic merdam cribrando movet"(vedi immagine).
Ritornando nello specifico del tema dell'ARCHEOLOGIA E DELL'EPIGRAFIA sia ad esaltare come sopra già si è detto la maggiore sensibilità germanica sul tema di antiquariato, epigrafia classica, custodia dei beni culturali oltre che la superiorità degli investigatori tedeschi che nel contempo a muovere severe critiche avverso i frati, in Liguria come in tutta Italia, per la scarsa o nulla sensibilità in merito alla conservazione dei beni culturali e dei reperti romani =
Non m'è però nuovo, che li FF. [Frati]
quasi tanti Galli di Esopo, poco curandosi di simili gemme [allude soprattutto alle epigrafi latine] le sogliono, come si fa d'ogn'altra più rozza pietra, mettere a rinfuso nella fabrica d'un muro ( vedi anche nel testo antico la riproduzione dell'antica iscrizione romana):
pagina 38 del "Repertorio Aprosiano La Biblioteca Aprosiana Passatempo Autunnale di Cornelio Aspasio Antivigilmi (qui integralmente digitalizzato con indici moderni)": evidenziata con linea rossa iperattiva l'affermazione aprosiana = anche se il frate del pari si avvale poi precauzionalmente con il linguaggio decettivo di cui sopra si è scritto di
un ulteriore decettivo modo di comunicare ridimensionando poi, quasi certamente per prudenziali riflessioni, la portata dell'affermazione quasi sprezzante
Può stupire che Aprosio si limiti a questa menzione non citando altre distruzioni locali tranne il crollo di una porzione delle muraglie nel XVI sec. (effetti del sisma "detto di Nizza del 1564"?) soffermandosi su frati e non coinvolgendo il clero secolare quasi continuando ad oltranza ed oltre lo stato dei tempi e le nuove conoscenze i dettami dati ai Benedettini dall'antico Gregorio Magno sulla sconsacrazione/riconsacrazione o peggio
distruzione dei reperti del paganesimo (ma in questa circostanza ritorniamo al punto altrove segnalato e qui riproposto di
stornare odii ed opposizioni locali di vari religiosi che aveva esperimentato e, a voler esser più sottili, nell'espressione indubbiamente criptica, pare nascondersi altro ancora rispetto alla chiara lettura ufficiale: la citazione dell'esopiana favola dei "due galli" combattenti in cui -mentre il vinto si ritira in un riparo e si salva- il vincitore che canta a piena "voce", e all'aperto, la sua vittoria diviene preda dell'aquila che tutta la vicenda ha scorso pare una rimembranza della vicenda del Tragopogono, nemico della Biblioteca Aprosiana, della sua erezione come delle sue novità quanto della conservazione in essa oltre che di libri anche di anticaglie e reperti romani, indubbiamente andato più vicino d'Aprosio a trionfare ma, nel pieno dello sperato se non certo e comunque vantato trionfo, falciato dalla più implacabile delle aquile, la Morte Improvvisa). Comunque sia, l'allusione ai frati di Ventimiglia viene prudentemente stemperata dall'agostiniano, per la formidabile volontà non riaccendere avversità oramai sopite ed evidentemente causa di forti patimenti per l'agostiniano, con la frase seguente che cita un caso di fratesche distruzioni/riutilizzazioni in un convento di Genova e poi un altro ancora in cui si menziona l'antiquario "Matteo Androvando" (Aldovrandi) parimenti testimone di simili scempii che si potrebbe riassumere in varie espressioni gergali dal "tutti attaccati nessuno offeso" o "mal comune mezzo gaudio" e via discorrendo: anzi! per dire il vero -ad ulteriore tutela contro la possibile suscettibilità di qualche frate ventimigliese sì ma pure di altre contrade liguri (come di possibili ligustici dotti laici ma di religiosi parenti e/o fautori della ligure cultura)- la "simulazione aprosiana per cui elogiando talora si fanno sottintendere i difetti" si inarca occultamente dopo la citazione dell'Aldovrandi (fine pagina 38) allorché viene recuperato
il Soprani (Scrittori della Liguria) che riporta, scrivendo di Paolo Moneglia una lettera Ad Italos, & Ispanos dal grande umanista fiammingo
Giusto Lipsio indirizzata al Moneglia stesso elogiandovi
il genovese Girolamo de Franchi Conestaggio e scrivendovi = "(trad. dal latino)"...Da ogni epoca la vostra Italia diede moltissimi ingegni, e li rese grandi e celebri: fai in modo che anche il tuo genio
venga ascritto tra questi grandi, e che lo stesso accada pure per i Liguri vostri di maniera che rientrino in questa italica fama. Hai senza dubbio tra i tuoi compatrioti alcuni che eccelsero od ancora eccellono e tra di loro hai anche uno
scrittore di Storia Lusitana (appunto il de Franchi) che mi sembra davvero prudente, ed onesto e tante altre cose buone ancora.
Sulla base di tutto quanto sopra si è scritto è evidente (anzi sulla base delle ultime acquisizioni e sulla ricostruzione filologica del testo Le Antichità di Ventimiglia sarebbe stucchevole negarlo) che Aprosio sapesse molto di più sul destino di reperti di romanità, sia per vista diretta sia per altrui relazioni ma che, per le scelte prudenziali di cui si è detto, poco trattasse onde non dannificare il primario suo lavoro, quello della cura e potenziamento della "Libraria" da lui eretta a Ventimiglia tra tanti ostacoli: ma prescindendo dal citato libro già da sole fanno meditare certe dimenticanze (attese ad esempio le notazioni sulla più lontana Bordighera, le sue Chiese ed il Convento di S. Ampelio") che paiono volute nel testo del "Repertorio" (ove indubbiamente fluì buona parte de Le Antichità di Ventimiglia): certo fra tutte insospettiscono le mancate (e quasi attese dal lettore) osservazioni in merito alla vicina area di S. Rocco ai Piani di Vallecrosia (già S. Vincenzo e prebenda episcopale prossima a quella del Nervia) dove stando anche ad immagini antiquarie
dovevano parimenti esser affiorati per le tracimazioni del Nervia (vedi cartografia) presso la Chiesa (vedi) dei reperti e manufatti romani distrutti
o riutilizzato al modo che accusa i frati del suo e dei tempi precedenti nelle strutture murarie come peraltro nell'areale tra la Chiesa di S. Andrea e soprattutto la Chiesa di S. Pietro di Camporosso
e cosa ancor più eclatante -tra le tante lapidi poi recuperate (vedile distinte per ordine e tipologia)- il caso della stessa Cattedrale di Ventimiglia - ove seppur utilizzata come scalino al modo in cui la vide e la descrisse ai primi del 1800 D. Bertolotti in questa sua importante opera (relazione simile a quella che dell'uso della lapide diede il Navone nella sua quasi coeva opera Passeggiata per la Liguria Occidentale) stava la lapide a Giunone Regina oltre ad una presumibile iscrizione a Pompeo Magno -di individuazione assai più recente-
secondo accreditate interpretazioni proveniente da qualche monumento celebrativo di Pompeo Magno eretto, verso il I - II secolo d.C., da qualche membro della locale Gens Pomponia che ritenne forse doveroso celebrare il personaggio cui in qualche modo legava le proprie origini e per cui ai tempi dello scontro con Cesare a Ventimiglia avvenne un fatto clamoroso terminato in un omicidio a danno di chi ospitò
nella propria casa Cesare = omicidio
commissionato da membri della locale e potente fazione pompeiana contro cui si ebbe quella insurrezione popolare ricordata ancora nel motto cittadino. Civitas ad Arma Iit.
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