Il teatro Tor di Nona (qui in una fotografia della II metà del 1800) a Roma, sorgeva nei pressi di ponte Sant’Angelo e deve il suo nome era connesso a quello di una torre delle mura Aureliane, nel rione Ponte, che dal 1300 apparteneva alla Casata degli Orsini, prefetti dell’Annona.
La torre e i palazzi circostanti furono usati come carceri dai primi del 1400 al 1655 quando furono costruite le nuove carceri in Via Giulia nei pressi dell’oratorio della confraternita del Gonfalone: gli ultimi detenuti lasciarono le carceri di Tor di Nona il 19 - XI - 1657.
Nel Febbraio 1661 (anno di morte in Francia del Cardinale Giulio Mazarino : che giova ricordarlo sempre apprezzò le iniziative culturali italiane = per la sua "Bibilioteca" divenne corrispondente di Aprosio presso cui inviò il suo bibliotecario Gabriel Naudé) il complesso di Tor di Nona fu donatoa da Papa Alessandro VII in enfiteusi all’Arciconfraternita di San Gerolamo della Carità che ne ricavò due stalle, due fienili e una locanda.
La fama lugubre del luogo non induceva a frequentarlo ma n’allontanava la presenza = di conseguenza la struttura venne ceduta in affitto al milanese Bartolomeo Bravetta, che tuttavia falli’ nel 1663 per mancanza di un reddito che ne garantisse la sopravvivenza.
L’Arciconfraternita tentò allora di trasformare i locali in un teatro, ma trovò in Alessandro VII un rifiuto a concedere il permesso.
Sotto il nuovo Pontefice Clemente IX e grazie all'opera assidua di Cristina di Svezia il permesso venne concesso e Tor di Nona venne trasformato in teatro.
La fortuna dell’arciconfraternita che da tutto questo ne ricavava annualmente 250 scudi più l’uso di un palchetto nel teatro stesso dipese dal fatto che sia Cristina quanto Clemente IX nutrivano passione per il teatro e la musica: così grazie anche al conte Giacomo d’Alibert segretario dell' ex regina di Svezia stessa iniziò la fiorente attività del teatro, con il conte che divenne il suo primo impresario di esso.
I lavori di ampliamento della struttura furono affidati a Carlo Fontana già al servizio del sodalizio, il quale modificò il grande ambiente rettangolare di circa 16 x 22 metri -con i lati corti sul Tevere- in un teatro con sei ordini di palchi e sala a profilo ad u del tutto in legno, con decorazioni di B. Magno e G. Jovanelli.
Cristina di Svezia fruiva di ben cinque palchi intercomunicanti e con un ingresso segreto =
l’inaugurazione del Teatro annunciata per il carnevale del 1670 vista la morte di Clemente IX (9 Dicembre 1699) fu poi rimandata nella primavera dello stesso anno con degli spettacoli di Tiberio Fiorilli il celebre "Scaramuccia" battore estremamente apprezzato in Francia dal grande Moliere.
Maria Cristina di Svezia (vedine cliccando qui vita, opere, conversione, rapporto con i Papi, tutela delle donne, bibliofilia, ecc.)non solo partecipò attivamente con mezzi, pressione ed influenza nell'impresa di trasformare (1669) il complesso di Tordinona in un teatro ma anche qui non perse l'occasione di dimostrare originalità e più che stravaganza capacità di andare contro una "corrente" o meglio una tradizione che in definitiva aveva impoverito le scene che le Donne dovevano a suo giudizio calcare senza remore e che doveano da spettatrici partecipare alle rappresentazioni che vi si tenevano senza sciocchi condizionamenti.
Era quindi ideologicamente del tutto contraria all'appena menzionata
Ginipedia Overo Avvertimenti Civili per Donna Nobile di Vincenzo Nolfi (CLICCA SUL NOME DELL'AUTORE PER ACCEDERE AI DUPLICI INDICI).
PRIMA DI ACCEDERE ALLA CONCLUSIONE FINALE DETTANTE
Ultimo avvertimento alla Dame in merito all'esser conformiste e sempre comportarsi in maniera impeccabile
Vincenzo Nolfi
poco innanzi d' aver steso un suo abbastanza banale elenco di "Donne Illustri" si era fatto carico di analizzare e suggerire diversi possibili comportamenti delle Dame, sempre ispirati a moderazione e buon senso tra cui (qui digitalizzati per un confronto con le idee progressiste dell'ex Regina di Svezia) vari capitoli: "La Dama in Teatro e comunque partecipe alle rappresentazioni sceniche" ed ancora la "Dama in Accademia" per poi analizzare il "Del Mascherarsi" = cioè il comportamento che una dama doveva tenere al tempo del Carnevale e quindi per finire Il comportamento della Dama al tempo "Del Villeggiare".
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Per storica, antichissima consuetudine attrici, cantanti e donne di spettacolo godevano di una pessima reputazione (drammaticamente riassunta nei qui proposti scritti seicenteschi dell'Azzolini e dell'Ottonelli e poi quasi tragicamente dal Patrizio toscano e al tempo celebre poeta Ludovico Adimari, specie nella sua feroce Satira IV "Contro alcuni Vizj delle Donne, e particolarmente contro le Cantatrici = la Satira appartiene a quei prodotti che, nemmeno mancando di qualità retorico/estetiche hanno fatta opinione ma che
nell'impoverimento accademico degli studi sei-secenteschi han finito per esser poco analizzate mentre al contrario producono un quadro, certo esasperato per effetti anche poetici, di una alquanto diffusa epocale opinione misogina ed antifemminista, a sua volta sublimazione del maschilismo e della sanzione dell'autoritarismo patriarcale (contro cui andavano sorgendo le prime coraggiose voci di scrittrici dalla Tarabotti alla Ramirez e naturalmente Cristina di Svezia): basta leggere
leggere questa Satira e meditare; oggettivamente, anche per ragioni personali e se vogliamo quale "marito padrone fallito" per la reazione della moglie da gelosie ed abusi, l'Adimari è oltremodo crudo ma non recita concetti nuovi sia quando parla a proposito della presunta generale lascivia femminile (con la sanzione di una sua certa icona storica nell'imperatrice romana Messalina) e scrive Per tutto è noto ormai l'uso di Francia,/
che a madama permette esser cortese/ D'un bacio per saluto in sulla guancia./ La Donna oggi è tra noi più che Francese/, E lascia oltre la bocca ancor baciarsi/ Il petto, il ventre, e il più segreto arnese (concetto che già basterebbe come inizio d'un manifesto antifemminile) sia quando
scrivendo delle "Donne dello Spettacolo" non si fa scrupolo nell'aggiungere fango a fango sì da scrivere -ma son solo esempi- :
Ma torniamo alle perfide e rubelle/ Cantatrici odierne (p. 132)
sottolineando, a lungo e con un fastidio che vuol riprendere quello dei più, come alle famose e in auge Tutte d'Italia le città festive/ Alzan trofei pomposi, empion di fiori/
Le strade ovunque una tal Donna arrive (p. 135) ed in qualche modo alludendo alla diffusa convinzione che tante donne dello spettacolo integrino i guadagni
con (finché possibile) una ben retribuita prostituzione tra amanti occasionali "delle alte sfere". Il poeta chiosa a p. 150 il proprio giudizio (non diciamo conclude ché a lungo continua la sua scrittura) con una sprezzante espressione Vuol d'ogni seno a suo piacer la chiave/ La cantatrice aver che per nequizia/ Si fa lecito il tutto, e nulla pave./ Maestra in sommo grado è di malizia,/ Empia scuola di frode e di bugia,/ Sozza cloaca, e vile impidicizia./ Ne creder dei che maldicente io sia,/ Che l'assunto dal ver non s'allontana/ E la logica il prova a voglia mia./
Comincia il sillogismo in forma piana,/ Pudica esser non può Donna vagante,/ La cantatrice è tal, dunque è puttana.
].
La lunghezza della "Satira" inibisce la proposizione degli infiniti difetti delle "Donne di Spettacolo" pur se la sostanza è il fatto, già evidenziato, che vengono sostanzialmente coniugate, per qualche possibile loro scelta esistenziale, al ruolo di Infami (condizione tanto drammatica da cui è derivato, seppur con altra valenza nel gergo criminoso, questo appellativo spregiativo tuttora in uso) = e proprio in forza di questa crudele, atavica reputazione non erano certo esenti ( data una reputazione cui si appellavano a scusante (sic!) i criminali aggresori specie di teatranti non particolarmente famose e/o belle o non protette da qualche potente innamorato ) ad abusi di vario tipo, soprattutto sessuali = per esempio non eran certo rari nei riguardi delle meno esperte e più giovani casi di Stupro-Violenza Carnale o comunque di Gravi Molestie Sessuali [un 'aggravante -sempre o quasi accettata da giudici sempre molto compiacenti verso i denunciati, specie se di nome importante, e prevenuti per collocazione socio-culturale contro le "Donne di Spettacolo"- stava anche nel fatto che, molte di loro perse la bellezza o le qualità che permettevano di esibirsi sulla scena decadevano al livello, le più fortunate, di cortigiane e/o concubine
mentre la maggior parte -respinta dalle strutture di ricetto o refrattarie a queste per indole ed amore di libertà (stando per esempio all'Eusevologio del Piazza per quanto concerneva Roma)- in effetti percorrevano o meglio, senza scelte possibili, spesso "dovevano percorrere" la strada sempre più in discesa della prostituzione od in alternativa dell'accattonaggio magari riparandosi nelle "Corti dei Miracoli" = cioè nei rifugi sempre più pericolosi e squalidi dei diseredati]
Nonostante siffatta ingiusta e generalizzante nomea, le donne del mondo dello spettacolo non ardivano comunque protestare (limitandosi magari a cercare qualche, momentano, potente innamorato che offriva protezione e servigi) =
infatti (e comunque seguite anche da molte donne dato l'imperante maschilismo) rinunciavano quasi sempre ad una denunzia sia per i veri e propri tormenti che comportava una testimonianza in merito a donne denuncianti sorprusi su qualsiasi tema e specie su questo di ordine sessuale stante il fatto che poi, se era attivata la procedura, dovevano sottoporsi ad una umiliante e vergognosa visita "medica"
per verificare o meno la validità della loro asserzione
Nel bel Teatro di Tordinona contro un'usanza che datava ormai da molto Cristina, forte certo del suo prestigio ma anche di un coraggio non comune, osò giustamente sfidare queste costumanze ed anzi non ebbe alcun timore né alcuna remora nel farvi debuttare le sue "belle canterine" od "ammalianti sirene, abili nella malia della fascinazione e della perdizione degli uomini" (come sosteneva lividamente qualche impotente e misogino arciconservatore) Angelina Quadrelli, Antonia Coresi, Maria Landini e Giorgina, in pratica obbligando papa Clemente X ad abrogare l'ordinanza del 1588 che [nel nome di una controriformista moralizzazione, supposta quanto criticabile di quella grande espressione culturale che stava divenendo di nuovo il Teatro (ritenuto però dalle frange più conservatrici del clero causa di paganeggiante induzione al peccato)]
vietava severamente alle
"vere" donne (sostituite con i castrati) di calcare le scene
considerandosi in senso esteso
le donne, sin da Eva la progenitrice, l'anello debole della catena morale dell'umanità per la loro tendenza a peccato, vanità e lascivia
e nella fattispecie reputandosi le
Attrici e le Cantanti una sorta di apoteosi di questa strutturale propensione femminile a peccare ed a tentare gli uomini
Le rappresentazioni erano però permesse unicamente nel periodo di carnevale (momento di svago lecito ma infinitamente più complesso di quel che oggi si ritiene) ma Filippo Acciaiuoli, frequentatore del salotto di Cristina di Svezia, aveva ottenuto il permesso da Clemente X di rappresentare spettacoli al di fuori del periodo deputato: e, per rendere possibili gli allestimenti, il teatro passò nelle mani dell'Acciaiuoli stesso che lo acquisì in affitto per milleduecentocinquanta scudi l'anno.
E fu proprio sotto la "direzione artistica" dell'Acciaiuoli che il palcoscenico fu calcato da donne per un tempo limitato purtroppo, dal 1671 al 1674 =
infatti dopo che la direzione era passata a Marcello De Rosis nel 1675 il teatro venne chiuso per i festeggiamenti del Giubileo (sulla cui valenza si propone qui una carta tematica digitalizzata per settori), e rimase in disuso per sedici anni fin ad esser riaperto nel 1690 e completamente rinnovato negli interni, con la costruzione della sala a ferro di cavallo prima di esser demolito nel 1697 per ordine di Innocenzo XII (1691-1700), al secolo Antonio Pignatelli ispirato ad un rigore religioso che egli impose alla città e giungendo, giustamente, alla condanna del nepotismo con un’apposita bolla (cosa che coimplicava nessuna concessione di favori ai parenti e abolizione di qualsiasi forma di fasto; il papa arrivò addirittura a far appunto demolire il Teatro di Tor di Nona.
l’unica sua, peraltro lodevole, preoccupazione fu l’assistenza ai poveri e agli orfani, che provvide a far ricoverare presso l’edificio di San Michele a Ripa).
A prescindere da questa prima sua fine (il "Tordinona" ebbe due altre ristrutturazioni nei secoli) per il "Teatro non eran state comunque sempre rose e fiori" già prima, anche e nonostante l'importanza socio-politica di Cristina = infatti l'alternarsi dei Papi e il latente ma sempre rinascente conservatorismo era troppo forte. E così approfittando della presunta moralizzazione indotta dall'"evento giubilare" la proibizione di esibirsi in Teatro per le donne venne riportata in vigore già da Innocenzo XI, che detestava la regina per i suoi costumi irriverenti e scandalosi oltre che per i suoi enigmatici interessi per le Scienze anche proibite come l'Alchimia e per altri
motivi ancora per il pontefice tra cui le posizioni avanzate della "svedese" in materia di libertà di culto, culminate nella sua dichiarazione del 15 agosto 1686 in cui si proclamò "protettrice degli ebrei di questa città di Roma", promettendo di punire severamente chiunque li avesse insultati o malmenati come anche il di Lei rapporto di intimità e di complicità con il "libertino" cardinale Decio Azzolini, che designò suo erede ed esecutore testamentario
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Ma verosimilmente Innocenzo XI "odiava" -nel senso reale della parola- l' indocile regina soprattutto perché lo aveva apostrofato ironicamente e pubblicamente quale
******************"Minchion"******************
sì da render questo appellativo un nome che gli restò incollato [Dalla parola "Minchia" si son prodotti anche altri termini derivati come minchiata (per indicare sciocchezza) o minchione, per indicare una persona sciocca (cioè quella che, nei dialetti più settentrionali, viene chiamata coglione) =
La derivazione più probabile è dal latino mencla, formula volgare di mentula, che indicava appunto l'organo sessuale maschile = tra le cose che urtavano ancor più il Pontefice era il fatto che l'epiteto stava avendo proprio ai suoi tempi una
fortunata e comica visitazione letteraria dato l'uso ripetutamente fattone da
Lorenzo Lippi nel suo poema eroicomico Il Malmantile Racquistato: opera edita postuma nel 1676 e di cui A. Aprosio come qui si legge nella sua Biblioteca Aprosiana aveva avuto già prima del 1673 degli stralci da lui pubblicati (pag. 527, da metà a pag. 530)].