Due donne, di Zoan Andrea (1464-1526): sopra da: Lise, L'incisione erotica nel Rinascimento, p. 26.
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LO SCUDO DI RINALDO II, CUI A SUO TEMPO SI E' DEDICATO QUESTO AMPIO SAGGIO, IN QUALCHE MODO RISULTA UN IBRIDO. [ INDICE DELLO SCUDO DI RINALDO II ] CAPITOLO I: A T. ODERICO, GENOVESE - SU ARGOMENTI DI ASTRONOMIA E ASTROLOGIA CAPITOLO II: A PIO ROSSI, RELIGIOSO - SULL'OPPORTUNITA' CHE I RELIGIOSI SI SPECCHINO CAPITOLO III: A G. BATTISTA, POETA - SUI BENI DEGLI ECCLESIASTICI CAPITOLO IV: A PADRE GIOVANNI BONA - SULLE "DIGNITA' ECCLESIASTICHE" CAPITOLO VI: A IPPOLITO MARRACCI - SULL' USANZA DI "NOMINARE I MORTI A TAVOLA" CAPITOLO VII: AD ANTONIO GALEANI - SULLA "LICEITA' O MENO DEI GIUOCHI" CAPITOLO VIII: A DOMENICO PANAROLO - "DEL TABACCO - DELL'ABUSO DI ESSO" CAPITOLO IX: A LORENZO PANCIATICI O PANCIATICHI - "SUL CELIBATO ECCLESIASTICO" CAPITOLO XI: GIA' DEDICATO AL CONTE GIOVANNI VENTIMIGLIA E RIDEDICATO A "E. BIGOT" ALIAS BIGOTIO: "SE NEL CONVERSAR CON DONNA POVERA VI SIA MAGGIOR PERICOLO D'INCIAMPARE, CHE IN CONVERSANDO CON DONNA RICCA" CAPITOLO XIV: A GIROLAMO GHILINI: "SULLO STATO DI DEVOZIONE DEI RELIGIOSI CONTEMPORANEI" CAPITOLO XV: A P. D. FENOGLIO: "SULLA LICEITA' DEGLI ECCLESIASTICI DI ACCUMULARE RICCHEZZE" CAPITOLO XVII: A CARLO RIDOLFI PITTORE E LETTERATO: "DELL'ABUSO DELLE PITTURE NELLE CASE E NELLE CHIESE" CAPITOLO XX: A A. GUIDETTI AGOSTINIANO: "SULLA FUGACITA' DELLA VITA" ERUDIZIONE COME SINCRETISMO DI IMMAGINI E PAROLE: [ RIPROVAZIONE CENSORIA E MORALISTICA DI GIOCHI PECCAMINOSI O SCONVENIENTI IN NOME DI SANI DILETTI ] [ABUSO DI STAMPATORI, PITTORI, SCULTORI ECC. NELL'USO DI IMMAGINI OSCENE] (DA FINE PAGINA) ** "SE SIA CONVENIENTE CHE I RELIGIOSI SI SPECCHINO" ** [AMPIE DISSERTAZIONI E CITAZIONI ERUDITE SULL'USO DEGLI SPECCHI E SULLA LORO DISCUSSA VALENZA]
Joao Rodrigues de Castello Branco (meglio noto come AMATO LUSITANO / AMATUS LUSITANUS) nella sua opera, qui utilizzata,
Amati Lusitani ... Curationum medicinalium centuriae septem, varia, multiplicique rerum cognitione refertae, et in hac vltima editione recognitae, & valde correctae. Quibus praemissa est commentatio de introitu medici ad aegrotantem ...Accesserunt duo noui indices ...,
Venetiis : sumptibus Francisci Storti, 1653-1654
, 7 v. : antip. inc. ; 12° (
Marca sui front. dei v. 2-6 -
Cors. ; rom.
- Antiporta inc. sottoscritta da Iac. P
- Iniziali e fregi xil. ornati
- I front. dei v. 2-7 entro cornice xil. - Localizzazioni secondo l'SBN:
Biblioteca APICE - Archivi della parola, dell'immagine e della comunicazione editoriale - dell'Università degli studi di Milano
- Biblioteca Palatina - Parma
- Biblioteca medica statale - Roma)
affronta criticamente tra varie altre questioni, come è costume metodologico proprio di tutte le sue opere, non fermandosi sulla soglia di convincimenti consolidati e storici, uno dei temi più ardui e meno discussi della cultura intermedia (quanto di pubblica menzione letteraria e culturale nella cultura classica) quello del lesbismo od omosessualità femminile, argomento generalmente evitato nelle trattazioni specifiche per delicatezza e forse per intrinseca insondabilità, fatta eccezione per alcune discussioni nel contesto della teologia morale.
Nella Centuria VII, curatio 18 Amato Lusitano scrive:
Centuria VII, curatio decima octava, in qua mirum quoddam, sed verum tractatur, quod mulier à muliere, praegnans fuit facta
Mirum, sed verum casum describo, Thessalonicae evenientem, duae mulieres Turcae vicinae, multis coitibus, incubis et succubis, sese contaminabant, polluebantve, quarum altera vidua erat: altera vero maritum habebat.
Ceterum, quum semel vidua ad coitum irritata, alteram coniugatam ad coitum incitaret, et forte ea hora, à marito, cum quò rem habuerat, discedentem, subcuba est facta, quo in coitu amplexùve, post multam frictionem attrectationemve ac seminis eiculationem, uterus subcubae viduae ingenti appetentia semen non solum mulieris incubantis, sed virile non multum antea in eius utero relictum, suxit, à quo semine praegnans facta est, firmante ipsa, variis iuramentis habitis, cui fidem praestare debemus, cum illi minus ignominosum erat, à viro concepisse fateri, quam à muliere eo modo habita.
Traduzione:
"Centuria 7, cura 18. Ove si tratta di un evento vero quanto straordinario, il caso cioè che una donna sia stata ingravidata da un'altra femmina.
Il caso di cui sto per parlare può parere incredibile ma è vero ed accadde a Tessaloniva ove due donne turche, vicine di casa, una ormai vedova ma l'altra ancora maritata, quali amanti copulavano frequentementetra assumendo ogni sorta di vergognosa posizione, scambievolmente l'una e l'altra stando ora sopra, ora sotto.
Un giorno la vedova, eccitata dal desiderio, indusse ad un rapporto sessuale la femmina che però poco prima aveva copulato col proprio sposo coniugata: in quel coito o amplesso, dopo molti sfregamenti, toccamenti ed "eiaculazioni" l'utero della vedova, che stava sotto, per la grande voglia di inseminazione risucchiò non solo quello dell'amante che giaceva su di lei, ma parimenti quello maschile lasciato non molto prima dal legittimo sposo nell'utero di quest'ultima: da siffatto sperma fu messa incinta, secondo quanto affermò lei stessa, con vari giuramenti, ai quali dobbiamo prestare fede dato che per lei era meno ignominioso ammettere d'aver concepito da un uomo, che esser stata resa gravida da una donna con la qualein tal maniera aveva goduto di rapporti sessuali.
La narrazione oggi può parere soltanto "boccaccesca" ma alla radice risiedeva una incredibile serie di convinzioni mediche (In antico si pensava che la donna, durante il rapporto sessuale e giunta all'orgasmo, rilasciasse non un ovulo, ma parimenti all'uomo una sorta di sperma che, mescolandosi con quello maschile, dava luogo al concepimento) e soprattutto giuridiche.
La generale ignoranza sui temi sessuali, che poi stranamente -in ambito cattolico- si estendono per molteplici vie, dall'accoppiamento diabolico del "sabba" agli espedienti per ingannare il marito tradito od i genitori gabbati (il tema non è antifemminista o misogino: in una società maschilista alla donna toccava soprattutto difendersi da eventuali "incidenti sessuali" ricorrendo, anche nel caso di stupro come tuttora purtroppo spesso accade, ad arguzie di varia sorta).
Gli inquisitori, come Aprosio era, dovevano dibattere più di quanto si creda questa sorta di problemi e spesso destreggiarsi, senza urtare la pubblica suscettibilità e la morale corrente: per farsi un'idea dello smisurato settore di competenze richieste ad un inquisitore si può leggere questo
***********TESTO DI DIRITTO CANONICO***********
qui integralmente digitalizzato e provvisto di indici tematici.
ciò che nella GRILLAIA oggi pare ed è congedato qual giuoco vacuo di pura erudizione risulta invece, per chi legga e rilegga l'opera per via anche di collazione con altri testi, un modo di esprimere giudizi e confrontare argomenti delicatissimi, magari indugiando troppo su qualche maschile curiosità antidonnesca, su temi dibattuti e spesso contrastanti nelle posizioni intellettuali, cosa da indurre, specialmente un "prudentissimo esegeta", quale l'Aprosio, ad arroccarsi finalmente su postazioni di neutralità, seppur dopo aver elencato il necessario sì da mettere giudici, teologi, inquisitori al corrente di tutte le soluzioni plausibili.
Come dire: l' affettazione eletta a sistema, sistema strutturato per trattare argomenti fuori del comune (che possono far interpretare per comica un'opera, nella genesi, intesa, pur sotto maschera, qual seria e documentata) senza incorrere in accuse di spregevolezza, inopportunità, di ricerca meditata del ridanciano e provocatorio.
Questo può esser stato vezzo aprosiano del primo Scudo di Rinaldo ma non della documentata ********************GRILLAIA********************
[e quando possibile, come nel caso del tabacco - ma invero anche di altre non meno colorite
**********DISQUISIZIONI**********
- nel tardo, fin troppe volte rivisitato e mai completamente edito SCUDO DI RINALDO II],
ove diviene modo erudito, arguto ed affettato per un inquisitore intellettuale al fine di dire tutto, ponendo tutti nella condizione di scegliere le opzioni più credibili, che comunque il frate, volta per volta lascia trapelare.
Sulla base di questa traccia documentaria ora
**********ANALIZZANDO CAPITOLO PER CAPITOLO O MEGLIO GRILLO PER GRILLO L'INTIERA GRILLAIA**********
si nota una curiosità e che cioè tutti i temi proposti affrontano questioni diversamente legate agli argomenti curiosi che apparentemente trattano: cioè, secondo uno schema abbastanza consolidato, Aprosio propone una variabile esistenziale discutibile secondo i canoni e lo stesso diritto comune, la analizza, la documenta con le postazioni intellettuali favorevoli e contrarie e quindi, senza necessariamente giungere ad una conclusione precisa, fa prevalere la legge del buon senso e dell'ortodossia tanto in campo giuridico laico che ecclesiastico.
Egli non disserta di problemi inesistenti, talora nei titoli ne enfatizza la portata per risvegliare l'attenzione ma sostanzialmente propone, magari in maschera, temi seri sempre in sintonia con gli obblighi di qualsiasi inquisitore e certamente non fini a se stessi, per un puro giuoco erudito, come accaduto per l'ormai datato Scudo di Rinaldo I = e per il lettore frettoloso potrà
risultare emblematica l'analisi del Grillo XI (" Se habbia del verisimile, che una Donna possa rimaner gravida per lo seme caduto in un bagno ") in cui il tema capriccioso, irriverente ed anche censurabile, ai fini dell'imprimatur, di una trattazione per l'epoca "al limite", come quella sull'omosessualità femminile, sulle tribadi, su erotismo e devianze erotiche, su molestie sessuali, fornicazione, incesti e stupri, contestualmente ai connotati della bizzarria tematica e narrativa accosta quelli della riprovazione istituzionale, laica ed ecclesiastica, giustificandone il portato e l'esistenza stessa e concedendo, altresì, all'arguto autore di dissertare di "cose proibite", riuscendo nell'intento sempre suo -alla stregua del marinismo- di "far inarcar le ciglia", per lo stupore, ai propri fruitori e quindi accrescersi ammirazione qual rinomato evocatore di "maravigliose stranezze".
Ed ecco che la Grillaia, senza certamente essere un trattato per inquisitori finisce tuttavia per assumere i connotati di un'opera giovevole a qualsiasi inquisitore, perché rivolta ad affrontare e magari risolvere aspetti della vita umana, proposti magari con affettazione ed un sorriso ma all'atto pratico sempre pregni di problematiche su cui giova avere sotto mano qualche documentato ragguaglio a stampa.
A titolo proemiale del discorso che si vuol proporre val comunque la pena di analizzare qui, qual primo esempio, il Grillo XVI che facilmente oggi si può leggere quale una sorta di divertimento lubrico (l'inganno perpetrato a carico del consesso sociale, di genitori, d'un marito od anche di vari parenti nel caso d'un'imprevista gravidanza) e che pure all'epoca dell'Aprosio (ma a livello popolare in molte aree, spiccatamente in quella toscana e senese, quasi in omaggio all'arguzia di alcuni ed alla dabbenaggine d'altri, così spesso evidenziata dai narratori della regione, è un espediente tuttora utilizzato e di cui son stato personalmente impotente ed incuriosito testimone) conservava una notevole valenza giuridica in senso sia laico che ecclesiastico.
Con un coraggio impensabile, e forse derivante dall'esser inquisitore, ma anche con viva onestà intellettuale Aprosio qui non solo recupera e discute le riflessioni sul lesbismo di Amatus Lusitanus - in qualche modo fatto interagire con il Sinibaldi - in merito alla eventualità che due donne tra loro amanti possano concepire ma si espone ad ulteriori riflessioni sia vanificando con supporto di scritti medici la diceria che una vedova sia rimasta gravida per essersi seduta su una latrina prima occupata da un uomo sia, addirittura, contraddicendo S. Tommaso, che una fanciulla gelosamente custodita dal padre sia stata ingravidata senza violazione della verginità.
Occorre riconoscere che Aprosio per siffatte sue postulazioni può giovarsi del contributo di autori importanti ancora ignoti al "Lusitanus" ed al "Sinibaldi": in primis, in campo morale e teologico, vale la pena di rammentare Pedro Hurtado de Mendoza, tra l'altro conosciuto ed apprezzato dal frate per le sue postazioni avverse agli eccessi del teatro.
Ma nemmeno si possono disconoscere i possibili approfondimenti ricevuti da Aprosio in forza della sua frequentazione della "Scienza Nuova" sia dei medici ed anatomisti nordici (emblematico il caso degli scienziati della danese famiglia Bartholin): e dato l'argomento vien qui da pensare a Kaspar Bartholin e sulle sue recenti ed edite scoperte sul secreto delle ghiandole vestibolari della vulva.
Analizzando, capitolo per capitolo, o meglio Grillo per Grillo l'intiera Grillaia si nota una curiosità e che cioè tutti i temi proposti affrontano questioni diversamente legate agli argomenti curiosi che apparentemente trattano: cioè, secondo uno schema abbastanza consolidato, Aprosio propone una variabile esistenziale discutibile secondo i canoni e lo stesso diritto comune, la analizza, la documenta con le postazioni intellettuali favorevoli e contrarie e quindi, senza necessariamente giungere ad una conclusione precisa, fa prevalere la legge del buon senso e dell'ortodossia tanto in campo giuridico laico che ecclesiastico.
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Il Grillo I ("come generare maschi o femmine prescindendo dalla volontà della Natura") propone una serie di discutibili affermative postulazioni mediche ma si chiude con un'affermazione decettiva di Aprosio (Io però mi rido di tutte queste cose, e stimo non esservi rimedio migliore, che il rimettersi al divino volere): prescindendo da ciò il Grillo coimplica una giuridica asserzione, sia laica che ecclesiastica, contro medici cialtroni, mercanti di meraviglie e soprattutto ostetriche imbroglione e mammane facitrici di costosi ed ingannevoli filtri.
Il Grillo II ("sulla moltitudine dei pazzi e sulla possibile cura della pazzia") è chiaramente una considerazione moralistica aprosiana sulla diffusa umana stoltezza ma per un inquirente laico od ecclesiastico maschera l'avvertimento di sondare con cura i fatti nè mai a priori fidandosi delle superstiziose dicerie di qualche stravagante nè di chi per evitar torture o pene si finga insano di mente.
Il Grillo III ("sul fatto che le donne san esser costanti non meno degli uomini") può sorprendentemente parere un discorso femminista, ma l'equiparazione di comportamento tra uomini e donne, può esser allusivamente interpretata anche nel suggerimento giuridico di trattare pariteticamente e senza vantaggiose moratorie le donne quanto gli uomini nei casi di investigazione laica o religiosa. Questo Grillo tuttavia pare mancante, deficitario di alcune integrazioni (per esempio su donne virili, donne guerriere e salde, su uomini al converso effeminati): è come se Aprosio avesse presenti, ma senza volerli adattare con minor iridescenza al contenuto pensoso della Grillaia, i contenuti dei capitoli VII, VIII e soprattutto VIII dello Scudo di Rinaldo I.
Il Grillo IV ("sull'esorbitanza dei titoli onorifici nell'epoca aprosiana") nasce e si evolve per via moralistica, sui presupposti di una tradizione censoria d'ordine predicatorio:
ma a ben leggerlo proseguendo nella lettura assume i connotati di una polemica, strutturata su testi di diritto canonico, contro un vizio capitale quale il peccato di superbia.
Il Grillo V ("se il vino possa ispirare l'opera poetica") nasce per via erudita, sui presupposti di una tradizione culturale che recupera le origini dalla classicità sull'ideazione della funzione culturale di conviti in cui il buon vino ispira gli intelletti arguti: ma a ben leggere, una volta che si giunge verso la fine della trattazione, soprattutto sulla scorta di Platone, si scoprono alcuni dubbi aprosiani sull' abuso di tale bevanda ed il silente emergere di una serie di interrogativi inquisitoriali non solo sui pregi ma anche sui pericoli del vino laddove esso generi, oltre che danni alla salute, perseguibile ubriachezza molesta.
Il Grillo VI (" Se i delitti possono star coperti ") di per sè pare inizialmente solo una discussione erudita con citazioni letterarie sull'argomento ma verso la fine, dopo aver registrato un brano di Dominicus Baudius, assume la direttrice di un interrogativo inquisitoriale di ardua decifrazione e su cui i medici citati da Aprosio (Sinibaldi, Mercato) non hanno certezze vere: se cioè dalle urine si possa dedurre lo stato di gravidanza di una donna sì da vedere se non coniugata abbia ingannato i genitori e se coniugata possa aver eventualmente ingannato il marito (chiaramente si intende che l'Aprosio, dopo un inizio blando ed arguto finisce per postulare un "interrogativo di ordine inquisitoriale")
Il Grillo VII ("De' Plagiarij, ò sia degli usurpatori degli altrui componimenti") ha senza dubbio i connotati di una dissertazione letteraria avverso i plagiari ma, con il procedere delle discussioni e l'inasprimento caratteriale di Aprosio, si nota come tutto quanto il discorso assuma il tono di una requisitoria mirante a sostenere, che se in alcuni casi possono esservi scuse e/o gisustificazioni, molto spesso il plagio è da equiparare al furto
Il Grillo VIII ("delle scuse degli Plagiarij, quando sono colti, come si suole dire, col furto nelle mani") nasce come una prosecuzione ed una conclusione del precedente ma, dopo aver ripetuto in definitiva che il plagio è sostanzialmente un furto, il capitolo si evolve eruditamente verso altro tema e finisce per organizzare una discussione al tempo molto in auge sulla simpatica unione [magnetismo universale], sull'unguento armario e finalmente su polvere simpatica e polvere antipatica, supposti prodotti terapeutici e non.
Il Grillo IX (" Degli Astrologi ") risulta vasto ed assai variegato, oltre che cauto, nella trattazione: Aprosio per tutta la vita manifesta interessa per questa discussa disciplina ma, dato anche il suo ruolo inquisitoriale e l'ufficiale condanna ecclesiastica di divinazione e di astrologia giudiziaria ( equiparate dai canonisti e dai giuristi ecclesiastici come Felice Potestà ) alla fine della discussione, molto documentata, ne sancisce, in nome dei veri valori superni cioè quelli cristiani, una sostanziale condanna peraltro in conformità di
quanto già sancito dalla Chiesa di Roma e poi destinato ad esser ripreso nei secoli posteriori alla sua morte
Il Grillo X
(" Se le Donne naturalmente senza il reale congiungimento con l'Huomo possano divenire gravide"), come altri, ha l'andamento della procedura inquisitoria che
proposto il caso non manca di elencare episodi consimili (seppur in maggior parte recuperati da mitologia e favolistica) per poi comunque rigettare, con garbo intellettuale però, le prove a favore e fidandosi del reale giungere ad una condanna forgiata sul ricorso a scuse superstiziose onde giustificare peccati reali e comprensibilissimi.
Il Grillo XI (" Se habbia del verisimile, che una Donna possa rimaner gravida per lo seme caduto in un bagno ") è un piccolo capolavoro di ironia applicata all'investigazione inquisitoriale al punto che nel passo precedente se ne è fatto "uso" come "guida" per questa "interpretazione giuridico-inquisitoriale" della Grillaia: nulla toglie però che le postulazioni aprosiane, alla fine della sua sostanziale requisitoria, comportino riferimento ad una serie di colpe e/o peccati di estrema gravità, accompagnati da equivalenti severissime pene, quali falsa testimonianza - fornicazione - omosessualità - lesbismo - saffismo - tribadismo - incesto - stupro perseguibili tanto dal diritto laico che ecclesiastico.
Il Grillo XII ["se sia vero che alla presenza de' micidiarij (omicidi - assassini) le ferite degli uccisi mandino fuori il sangue"] oggi può sembrare un'espressione puramente superstiziosa e ragione di giochi letterari sull'umana credulità ma coont csì non era ai tempi dell'Aprosio inquisitore, come lui stesso aveva potuto constatare sin da giovane età: sull'argomento si era sviluppata una vastissima letteratura, basata sul principio del magnetismo universale che, per quanto sostenuta anche da molti autori riformati, neppure dai cattolici e dagli inquisitori poteva essere condannata facilmente attesi i miracoli del sangue ed in particolare quelli napoletani di S. Giovanni Battista e S. Gennaro.
Il Grillo XV (" dell'Avaritia. Quanto sia sconvenevole l'essere Avaro ") non può far a meno di proporci le postulazioni dell'Aprosio Vicario dell'Inquisizione anche in dipendenza dei testi di diritto canonico da lui inevitabilmente letti. A titolo esemplificativo si legga questa opera di Felice Potestà: vedi parte prima, sotto voce usura.
Aprosio sentiva molto questa tematica che avviliva lo stato ecclesiastico; la riprese nel
II Scudo di Rinaldo, specificatamente nel
capitolo XV entro una sarcina narrativa che amplifica al massimo il difetto di alcuni ecclesiastici regolari del suo tempo di voler
accumulare ricchezze a dismisura: sotto la veste apparentemente narrativa ed impropriamente ritenuta talora redatta per solo esclusivo effetto d'arguzia, si cela la "documentazione inquisitoriale" che si trova chiaramente espressa nella
monumentale silloge di Lucio Ferraris > in dettaglio vedi sommario - articolo I - voce "Regulares, in elenco voci con riferimento al seguente testo - da punto 15 a punto 18.
Il Grillo XVII (" Dell'accortezza nel giudicare ") è molto esemplificativo in merito al pronunciamento di giudizi assennati ma seppur occultamente rimanda, nella sostanza, ai rapporti aprosiani con il complesso sistema giudiziario genovese interagente non senza annosi problemi di competenze con quello del' Sant'Ufficio
Il Grillo XVIII nella sua concisione è una sferzata per quanti senza competenza ("sapienza") svolgano un ruolo, pubblico o privato che sia, magari risultando senza perizia di per se stessi o imperiti per malizia, a proprio tornaconto (ed in entrambi i casi perseguibili per fraudolenza intellettuale e non).
Il Grillo XIX ( " Degli Adulteri, e della pena contro loro appo diverse Nationi "): la questione è senza dubbio complessa e tra XVI e XVII secolo gli interpreti di diritto, sia laico che religioso, dibatterono a lungo la questione tra una severità assoluta ed una maggior accettazione degli eventi. Fatto salvo che, nella globalità dei giudizi,
l' adulterio della donna era considerato sempre più grave rispetto a quello dello sposo> qui Angelico Aprosio analizza, pur tra qualche fola, le pene comminate sia ad uomini che a donne rei d'adulterio presso i popoli a lui noti: l'agostiniano intemelio dimostrando buona conoscenza libresca ma anche una certa volontà di chiarirsi le altrui costumanza elenca vari casi ed usi, da quelli dei
popoli antichi, a quelli degli Egizi, degli
Ebrei, dei Greci (che per via anale agli adulteri avrebbero somministrato il rafano sin a provocare la tremenda patologia tossicologica del rafanismo: fatto su cui, onestamente, Aprosio esprime però le sue perplessità), dei
Cretesi, dei Locresi, dei
Cumani, dei Turchi e Saraceni, dei "popoli germanici", delle antiche genti d'Inghilterra,
degli Ostrogoti, degli Spagnoli per ruotare poi intorno ad una postulazione personalissima, denotante indubbia severità, che in definitiva solo tra i Cristiani suoi contemporanei la tolleranza ed il perdono pubblico dell'adulterio "sono giunti oltre ogni serio e giusto limite"
Il Grillo XX ( "Se nell'Adulterio sia maggiore il peccato del Maschio, o della Femmina? "): questo capitolo comportava una prosecuzione in altri due Grilli.
Antonietta Ida Fontana, sulla base del materiale aprosiano alla Biblioteca Universitaria di Genova, in un suo saggio ha però dimostrato che
questi altri Grilli rimasero però manoscritti in quanto espurgati dalla stampa onde evitare censure inquisitoriali. Si è già detto che la sostanza era abbastanza chiara e che cioè l' adulterio della donna era considerato sempre più grave rispetto a quello dello sposo> anche se è qui il caso di analizzare la peculiare trattazione aprosiana.
Il Grillo XXI ( " Delle disgratie accadute à gli Adulteri, ed alle Adultere, e perche con tutto ciò si proseguisca l'Adulterare ")
Il Grillo XXII ("Se ci sia alcun rimedio per iscuoprire le Mogli Adultere ") svolge tutta una serie di considerazioni storiche sulla colpa dell'adulterio: si tratta di uno sfoggio di erudizione che rimanda però alle postulazioni sull'adulterio della tradizione canonica (nella fattispecie riprese dall'opera di F. Potestà>vedine qui l'indice):
Il Grillo XXIII ("Se gli Eunuchi possano essere adulteri") fuori dell'apparente giuoco culturale è una motivata riprovazione culturale contro la "castratura" e gli "eccessi del moderno teatro".
Il Grillo XXIV ("Della barbarie di Castrar gli huomini") fuori dell'apparente giuoco culturale è la prosecuzione della motivata riprovazione culturale contro la "castratura" e gli "eccessi del moderno teatro".
Il Grillo XXV ("Di coloro, che si privarono degli stromenti della Generatione"), nonostante un apparente scarto narrativo in cui sulla scorta d'un mitologhema la castratura par essere extrema ratio pro vita tuenda, continua seguendo una traccia ora meno pensosa ma forse più agghiacciante la riprovazione culturale contro la "castratura".
Il Grillo XXVI (" De Testamenti. Della stravaganza d'alcuni ") letto di corsa può parere una stravagante dissertazione sulle crescenti stravaganze dei testatori; parzialmente si tratta anche di questo ma il capitoletto della Grillaia si pone come documentazione dell'egire di un uomo di legge, appunto Aprosio Vicario dell'Inquisizione, spesso, tra tante altre cose, nella necessità di affrontare contenziosi sviluppatisi intorno a testamenti che comportano lasciti e legati quantomeno astrusi spesso più a danno che a frutto degli eredi.
Il Grillo XXVII ( " Come si possano da Religiosi reprimere gli stimoli della carne") avrebbe dovuto trovare il suo completamento in questo altro Grillo: Antonietta Ida Fontana, sulla base del materiale aprosiano alla Biblioteca Universitaria di Genova, in un suo saggio ha però dimostrato che
questo altro Grillo rimase però manoscritto in quanto espurgato dalla stampa onde evitare censure inquisitoriali.
Il Grillo XXVIII (" Delle virtù del Becco. Quanto siano maravigliose ma poco apprezzate ") suggerisce un'idea di incompiutezza, che si rimarca sulla base di uno studio di
Antonietta Ida Fontana che, sulla base del materiale aprosiano alla Biblioteca Universitaria di Genova, in un suo saggio lo palesa quale naturalmente continuato
da questo altro Grillo rimasto manoscritto però, in quanto espurgato dalla stampa onde evitare censure inquisitoriali.
Non è facile intendere perché il Grillo sia stato cassato; è effettivamente più lubrico degli altri ma tratta tematiche parimenti svolte anche se cerca, con sorrisi maliziosi solo vagamente sottintesi, di razionalizzare l'equazione semantica popolareggiante di Becco = Cornuto = Vittima di adultero: in ultima analisi l'autore propone divagazioni altrimenti proposte ed anche accettate dagli interpreti in merito alla gravità dell'adulterio od al becco o caprone animale lussurioso sotto cui il diavolo si celerebbe nei sabba. Inoltre la narrazione si conclude con uno dei soliti consigli aprosiani per evitare di diventare Becco o Cornuto.
E' proprio uno dei consigli, l'ultimo ed estrapolato dal Diceo, inquisitorialmente riprovevole in bocca ad un religioso, val a dire l'invito a castrarsi od evirarsi per non esser traditi dalla propria sposa.
Tuttavia, a parere di chi scrive, il passo più temuto da Aprosio è il recupero, senza alcuna severissima riprovazione da parte dell'agostiniano per quanto narratovi, di un brano da Eliano nella versione del Gessner ed in cui si ripropone un caso di reato sessuale condannatissimo dalla Chiesa ovvero la bestialitas od accoppiamento umano con animali già pesantemente trattato e giudicato dagli interpreti, tra cui basti citare l'opera di F. Potestà - parte prima, qui ripresa.
Il Grillo XXIX (" Per qual cagione nel giorno del Corpus Domini si spargano fiori nel suolo, per dove ha da passare la processione del Santissimo ") ha un andamento principalmente erudito anche se risponde ad una curiosità sull'abitudine di sparger fiori nell'occorrenza della festa del Corpus Domini: nulla esclude però la volontà aprosiana di segnalare la sua competenza su un argomento sempre abbastanza complesso, quello di onorare le festività ma anche di evitare "spiacevoli" incontri sì da non contaminare la liturgia: l'autore intemelio non si sbilancia ma nella BIBLIOTHECA CANONICA... di L. Ferraris alla voce PROCESSIONI e specificatamente al PARAGRAFI 85 - 86 si raccomanda estrema correttezza nel gestire le PROCESSIONI ed anche di non percorrere le strade notoriamente frequentate dagli Ebrei = PARAGRAFO 47.
Il Grillo XXXII ("Serie degli Imperatori Romani da Cesare insino à Galeno in una lettera d'Antiquario innamorato alla S.D.") può certamente essere letto in chiave erudita atteso il rapporto con la lettera capricciosa sulla sequela degli imperatori romani che riporta; ma non si tratta di questo solo, anzi, il Grillo maschera un rimprovero e una considerazione giuridica, quella che debiti, non solo economici, e promesse si devono mantenere, anche dai possibili eredi di chi si impegnò. La promessa (di fargli avere un suo ritratto e di inviare una propria pubblicazione) fu fatta all'Aprosio dal letterato e pittore bolognese Gio. Francesco Negri. L'erede debitore che non mantenne fede alla soluzione del debito è il figlio di Gio. Francesco, cioè Bianco Negri e, visto che giammai tenne fede al debito contratto da suo padre verso l'Aprosio, la garbata tirata d'orecchi di questo Grillo nel posteriore repertorio de La Biblioteca Aprosiana diviene secco rimprovero contro Bianco a fronte delle lodevoli considerazioni sull'altro figlio del Negri, cioè Alessandro Negri "fautore" della Libraria morto prematuratamente. Il rimprovero all'unico erede sopravvissuto cioè Bianco Negri veicola, sotto una veste apparentemente scherzosa per chi ignori i giochi linguistico-concettuali dell'Aprosio, una serie di osservazioni giuridico-legali oltre che morali a scapito di tutti quegli
eredi che non fanno alcuna soluzione dei debiti contratti dai loro avi, alla maniera che si legge in queste voci evidenziate in color nero e tratte dalla Bibliotheca Canonica... di L. Ferraris, in cui si riprendono le postulazioni della Chiesa in merito a siffatte questioni.
Il Grillo XXXIV ("Se sia vero che tra due litiganti il terzo goda") non sembra altro che la proposizione di una favoletta esopiana con qualche spruzzo di erudizione; non è solo questo: in parte, per ammisssione dell'autore, è da collegare al Grillo XXXVIII ma ancor più (cosa che l'autore non dice) al Grillo XXXXI sì che, in forza degli accostamenti suggeriti da Aprosio stesso, si sviluppa quel teorema "Avvocato - causidico - volpe - litiganti = il causidico è spesso l'unico che trae vantaggio dalle liti legali in virtù dell'esosa parcella" concetto peraltro ribadito spesso da Aprosio e, ma è cosa difficile da suggerire, una delle concause per l'erezione della "Libraria intemelia" ricca di tanti libri di legge onde provvedere che i poveracci non cadano vittime di astuti legulei dei quali, come Vicario dell'Inquisizione, lascia apertamente trapelare d'aver inteso l'avidità, peraltro sottolineata e condannata da vari testi giuridici ecclesiastici.
Non risulta particolarmente significativo il Grillo XXXVIII ("Che le Volpi, ancorche astute, talhora, rimangano al laccio") anche se riflette un'ulteriore considerazioni giuridica oltre che morale: entro questo Grillo infatti, invero più ricco di erudizione che di novità Aprosio affronta, tramite la metafora della volpe ingannatrice storica che una tantum non inganna il cane il quale ne scopre invero l'artificio illusorio, il tema, peraltro trattato anche dalla Chiesa, degli inganni svelati e degli ingannatori che alla fine pagano il fio delle loro cospirazioni; consulta qui la VOCE = FRAUS tratta dalla BIBLIOTHECA CANONICA... di L. Ferraris.
Il Grillo XXXX ("che un predicatore religioso debba evitare di cagionare scandali parlando dal pulito") rimanda ad una rivisitazione del diritto canonico in merito all'esigenza di tenere sacre, lodevoli e giovevoli concioni dal pulpito delle chiese.
Il Grillo XXXXI (" Quanto sia pericolosa la professione de' Causidici ") è una riflessione moralistica ma risulta anche e forse soprattutto la summa delle constatazioni di un uomo come Aprosio, che quale "vicario dell'Inquisizione" ha a che fare quasi abitualmente con uomini di legge, registra le sue opinioni in merito alla professione degli avvocati.
Il Grillo XXXXII (leggilo qui integralmente) (" Se per iscrivere Historie, sia bene, che l'Historico vada alla guerra ") suggerisce al lettore l'impressione di un "discorso prettamente erudito" che sembra chiudersi con una sorta di sorriso a scapito degli storici presenzialisti; in effetti questa isolata postulazione finale è una maniera di stemperare, ad uso degli "storici casalinghi" (da non farsi nemici personali, secondo la consueta posizione mediata dell'agostiniano), l'oggettività autentica del pensiero aprosiano in
altra parte del Grillo profusamente espressa
***********vedi = paragrafo 4 di p. 481, giudizio di E. TESAURO***********
e non a caso coincidente - con una certa preveggenza invero, data ancora la persistenza della discussione in merito - con le priorità comportamentali in seguito chiaramente attribuite allo storico, nella fattispecie quella di
ESSER SEMPRE VERITIERO E SOPRATTUTTO TESTIMONE DEI FATTI
in conformità ai dettami della Chiesa stessa (specificatamente di papa Benedetto XIV) in seguito ampiamente sottolineati dal teologo francescano Lucio Ferraris alla voce Historia - Historicus della Bibliotheca Canonica....
Il Grillo XXXXV (" Se la Terra sia Mobile, o Stabile ") ad onta della trattazione moderata è di una delicatezza estrema in quanto coimplica il dibattuto problema dei MASSIMI SISTEMI e della condanna di COPERNICO e GALILEO a vantaggio delle postulazioni GEOCENTRICHE. Dopo parecchie tergiversazioni erudite Angelico Aprosio, conformemente alla sua postazione di "inquisitore", giunge ad una condanna dell'eliocentrismo ma la organizza senza l'acredine che ci si aspetterebbe [si veda qui quanto compare nella silloge di Lucio Ferraris sotto la voce mundus ]. La giustificazione del modus operandi aprosiano (cioè il rispetto delle postulazioni ufficiali della Chiesa e una non peregrina considerazione degli indagatori scientifici ] è da correlare alla posizione aprosiana di curioso interesse per la Scienza Nuova e di affidamento in certe sue conclusioni ed anche di personale stima per alcuni amici del Galilei tra cui, per quanto non sia qui menzionato, quel Giovanni Ciampoli cui l'agostiniano intemelio nello Scudo di Rinaldo I riserva un' ampia (ed intrinsecamente elogiativa) sarcina letteraria pregna di elogi e sostanziale veicolo di una sua vastissima lettera dedicata proprio a quella sorta di esilio patito per la dichiarata simpatia verso Galileo.
Il Grillo XXXXVII ("Chi meglio possa approfittarsi nelle buone lettere o'l Povero, o'l Ricco") suggerisce, con il suo procedimento erudito, lo svolgimento di una battaglia intellettuale tra quanti reputano meglio disposti al gusto letterario, se gli indigenti o i benestanti.
Le ipotesi addotte sono numerose e la bilancia, in merito all'idea aprosiana, sembra costantemente in bilico sì che alla fine il lettore che non riesca a decrittare il significato profondo del Grillo o interrompe la lettura o la conclude ponendosi molti interrogativi senza giungere ad una vera conclusione.
Ci si aspetterebbe che Aprosio come erudito e religioso, anche solo per "amor di patria" essendo sostanzialmente "povero", debba privilegiare la soluzione, moralmente edificante, che il bisognoso sa e riesce a produrre miglior letteratura e che nella letteratura cerca e spesso riesce a compensare la sua distanza economica dal ricco.
Un "luogo comune" in definitiva "elevato a meccanismo di giudizio" ad opera di un frate letterato che, per la sua condizione e per la realtà storica dei fatti da lui vissuti, del denaro ha sempre avuto necessità e che, nel riscatto intellettuale dell'uomo misero economicamente ma ricco di sapienza, potrebbe rivendicare al mondo la sua dignità.
Sembra, ma non è così: il livello di decrittazione è sottile e per quanto la soluzione sia sotto gli occhi essa mediamente è sfuggita e continua a sfuggire sulla linea sottile dell'affettazione e del procedere arguto.
Aprosio, che in fondo è un latinista mancato, sa bene che, alla latina e al modo retorico, ciò che è ultimo risulta primo per importanza, quasi una sanzione dell'insieme (procedimento che del resto usa con frequenza in questa sua Grillaia.
Molte cose si intendono se si legge la conclusione del Grillo, qui evidenziata da una linea verde: e tale conclusione, ad altro personaggio attribuita, è emblematica delle vere postulazioni aprosiane. Il frate ha attirato il lettore in una delle sue tante trappole mentale, giocando con le sue capacità di decifrazione: il lettore banale si perderà nel labirinto delle contrapposizioni, il lettore iniziato e/o competente coglierà l'acme del pensiero aprosiano leggendo quanto davvero conta.
La conclusione sorprende e lo scherzo diviene acre constazione della realtà effettuale; certo Aprosio lascia un poco con l'amaro in bocca, nemmeno si concede a quella professione di povertà che ci si aspetterebbe da un religioso: ma è qui che si scopre l'Aprosio, o meglio uno dei "tanti Aprosio", più autentico e realistico. L'uomo che, con il tempo, ha perso fiducia ed ha constatato quanto il denaro conti nella vita: non si compiange, non si distacca dalle sue scelte ma nemmeno si lancia in una aggressione intellettuale contro la ricchezza e la realizzazione anche discussa se non colpevole della ricchezza.
Sulla propria pelle ha imparato che senza mezzi economici tutto è arduo: e che per i più (e lui sta fra questi) se scrivere è possibile risulta assolutamente improbo pubblicare senza un mecenate: quasi una preveggenza è tutto ciò tenendo conto che dopo la Biblioteca Aprosiana e contestualmente dopo la morte del Cavana per lui decisamente povero il pubblicare diventerà una chimera.
Preveggenza mascherata in un Grillo criptico? forse, magari anche una crescente convinzione attese le difficoltà, nonostante tutto, anche per la stampa della Grillaia quanto del repertorio biblioteconomico. Probabilmente non è un caso l'inserzione, contro lo schema dell'opera ancora incompiuta, dell'elogio del Cavana: quasi che uno pari a lui giammai avrebbe intercettato la vita d'Aprosio e, come sarebbe avvenuto, nessuno gli avrebbe dato sostegno economico adeguato a pubblicare altre opere rimaste manoscritte ed inedite.
Queste considerazioni non debbono deprimere la portata morale del'Aprosio nè svilire il suo ruolo di religioso; è certo però, che proprio in dipendenza del suo lungo incarico quale Vicario della Santa Inquisizione il perspicace ed oggettivo frate agostiniano non può non aver registrato le incongruenze del diritto intermedio ed aver constatato l'esistenza a livello di giustizia laica, quanto e forse ancor più, della giustizia ecclesiastica, di una sostanziale diversità di trattamento dei poveri a fronte dei ricchi anche nel caso assolutamente drammatico dell'applicazione dell'estremo supplizio.
Il Grillo che nell'apparenza sembra una dissertazione su quale gruppo socio-economico sia meglio portato al PIACERE DELLA LETTURA diventa così, per via di un arguto funambolismo retorico, una postulazione sulla potenza del DANARO e contestualmente suggerisce, anche per via subliminare, una serie di osservazioni del mondo ecclesiastico, poi raccolte da L. Ferraris nella sua BIBLIOTHECA CANONICA... sulla valenza della RICCHEZZA, sull'importanza di
FAR AFFARI BEN COMPRANDO E BEN VENDENDO, sulle nefandezza della RICCHEZZA AMBITA A TUTTI I COSTI e custodita per il tramite di AVARIZIA ED USURA sin al punto, sempre delicatissimo, della RESTITUTIO cioè del RIMBORSO applicabile per via giuridica sia a riguardo di chi TRUFFA NELLA MERCATURA ma purtroppo anche, come già accennato, a pro dei RICCHI ed a tutto scapito dei POVERI nell'intenzione di rimediare ad altri reati, non legati al commercio ma concernenti sia il DIRITTO CIVILE che soprattutto quello PENALE.
Il Grillo XXXXIX (" Ond'è, che dagli Ebrei non si mangi carni di Porco")
sembrerebbe, come altri, uno sfoggio di mera erudizione: la cosa è solo parzialmente vera (tenendo conto della vastità delle citazioni aprosiane) ma comporta, molto ben mascherata, una postulazione antiebraica basata su un'eguaglianza che distingue gli Ebrei dai Cristiani e li accosta per alcuni aspetti ai Turchi; ad Ebrei e Turchi è infatti per legge inibita l'alimentazione di carne suina (per i Turchi stranamente Aprosio -che cita da altre fonti meno dirette seppur più stravaganti- pare ignorare quanto si legge in COSTUMI ET VITA DEE TURCHI DI GIO. ANTONIO MENAVINO GENOVESE DA VULTRI CON UNA PROPHETIA & ALTRE COSE TURCHESCHE TRADOTTE PER M. LODOVICO DOMENICHI specificatamente al CAPITOLO II DEL LIBRO III = DEL MANGIARE DE TURCHI).
: siffatta abitudine alimentare, che può segretamente suonare come un'offesa abbastanza inusuale avverso gli Ebrei, contestualmente ha lo scopo di rendere i due popoli mediorientali ulteriormente diversi dai Cristiani per cui l'astinenza dalla carne, in determinati giorni e periodi, non si deve confondere con l'"astinenza dalla carne di suino", la cui alimentazione è in tutti gli altri tempi totalmente legittima.
Il Grillo L ("che un predicatore religioso debba evitare di esprimersi secondo una moda corrente ispirata ad un esibizionismo verbale e gestuale che turba le coscienze") rimanda ad una rivisitazione del diritto canonico in merito all'esigenza di tenere sacre, lodevoli e giovavoli concioni dal pulpito delle chiese.
DA RACCOLTA PRIVATA
PER ALCUNI ASPETTI RISENTE DELL' INFLUSSO DELLO SCUDO DI RINALDO I DI CUI ASPIRA AD ESSERE LA CONTINUAZIONE IDEALE (ED IN CIO' SI SPIEGANO ALCUNI CAPITOLI DI IRIDESCENZA ANTIFEMMINISTA) MA, ESSENDO ANCHE FRUTTO TARDIVO DI UN'IDEAZIONE E RISENTENDO DI CERTE MUTAZIONI IDEOLOGICO-ESPOSITIVE PROPRIE DELLA GRILLAIA, NON SI ADEGUA COMPIUTAMENTE ALLE POSTULAZIONI DELLO SCUDO DI RINALDO I ED ANZI ELABORA ED APPROFONDISCE TEMI GIA' TRATTATI IN QUEST'ULTIMA OPERA ED ORA ARRICCHITI DI NUOVE CONSIDERAZIONI OPPURE DI ALTRI COMPLETAMENTE INEDITI SI FA MENTORE COME IN QUELLI CHE RIGUARDANO, PER ESEMPIO, LA PRODUZIONE ARTISTICA NEI SUOI MOLTEPLICI ASPETTI: FENOMENO PERALTRO CHE SI PUO' AGEVOLMENTE CONSTATARE SOLO LEGGENDO L'
INDICE DEI 20 CAPITOLI DI CUI RISULTA COMPOSTO LO SCUDO DI RINALDO II
L'IMPRESSIONE GENERALE E' CHE TUTTE QUESTE OPERE LO SCUDO EDITO, LO SCUDO INEDITO O PARZIALMENTE EDITO, LA GRILLAIA EDITA CON LE SUE LO ESPURGAZIONI ED AUTOCENSURE, COME ANCORA LA PROGETTATA MA MAI FINALIZZATA CONCLUSIONE DI LO QUEST'ULTIMA OPERA, NELLA MENTE APROSIANA, FOSSERO STATE IDEATE QUALI UN LO UNICUM I CUI CONTENUTI, COMPRESE LE MODULAZIONI STILISTICHE, HANNO PERO' FORTEMENTE RISENTITO DELLO SCORRERE DEL TEMPO, DI MODO CHE ALLA DECISA PROVOCAZIONE, SOPRATTUTTO ANTIFEMMINISTA, DEL VECCHIO SCUDO EDITO, SI SIANO SUCCEDUTE POSTULAZIONI SEMPRE PIU' MEDITATE, ANCORA SPESSO INTINTE NEL FUOCO DELL'AFFETTAZIONE E DELL'IRIDESCENZA, MA SPOSTATE IN DIREZIONE DI ATTEGGIAMENTI SEMPRE PIU' PENSOSI E SOPRATTUTTO LUNGO UNA DIRETTRICE TEMATICA SEMPRE PIU' FINALIZZATA A STRUTTURARE MATERIALE SCRITTO E DOCUMENTARIO GIOVEVOLE, SENZA TROPPI FRONZOLI, ALLA CRESCENTI ESIGENZE DI PERSONALE GIUDIZIO -PUR ORGANIZZATO SU FONTI ISTITUZIONALI DI DIRITTO ECCLESIASTICO- DI UN APROSIO VICARIO DELL'INQUISIZIONE O SANT'UFFIZIO QUANTO MENO PIU' ORIGINALE E CREATIVO A FRONTE DI TANTI "COLLEGHI" GREGARIAMENTE ASSOGGETTATI, SENZA ALCUNA PROPRIA ELABORAZIONE, AI GIUDIZI SANCITI DALLA MANUALISTICA RICONOSCIUTA: UNA POSIZIONE QUESTA CHE CONSERVA A SIFFATTE OPERE LA CARATURA DI SCRITTI MORALISTICI MA CHE LI DIMENSIONA ENTRO LO SCHEMA DI AUTONOME E MEDIATE, SPPUR ORTODOSSE, VALUTAZIONI INQUISITORIALI AL SEGNO DI CONSERVARE ALL'AGOSTINIANO INTEMELIO LA NOMEA DEL LETTERATO ERUDITO IN QUALCHE MANIERA COSTANTEMENTE INTERFACCIATA CON LE SUE OBBLIGAZIONI CENSORIE, FATTO CHE, PER LOGICA CONSEGUENZA CRONOLOGICA, SI EVIDENZA VIEPPIU' CON LO SCORRERE DEL TEMPO E CHE LASCIA ABBASTANZA FUORI DAL MECCANISMO QUELLO CHE PURE E' UN ARCHETIPO DEL SISTEMA, VALE A DIRE L'IRIDESCENTE E SPESSO FUTILMENTE PROVOCATORIO ROSCUDO DI RINALDO - EDITO IN EFFETTI IDEATO, SEPPUR SU PARAMETRI CENSORI, QUANDO APROSIO ERA PIUTTOSTO "OGGETTO DELL'INVESTIGAZIONE INQUISTORIALE" (SPECIE PER CERTI SUOI ECCESSI TEMATICO-LINGUISTICI) CHE ATTIVO ED UFFICIALE "SOGGETTO DELLE INVESTIGAZIONI E DELLE VALUTAZIONI CENSORIE".
L' "UT PICTURA POESIS", "MONERE DELECTANDO" E "DELECTARE AUT PRODESSE"