cultura barocca
CROCIATI E TEMPLARI

I CROCIATI E GLI ORDINI RELIGIOSI E CAVALLERESCHI

LE CROCIATE

LE RELIQUIE

CROCIATI E CAVALIERI A "SCORTA" DEI VIANDANTI DELLA FEDE

(CARTOGRAFIA DEI PELLEGRINAGGI DI FEDE)


Dopo quello benedettino e francescano, un ulteriore evento, culturale e socio-politico oltre che fideistico, incise ( naturalmente oltre che su TUTTO IL MONDO CRISTIANO) sul tessuto viario, agronomico, insediativo e quindi demografico della VALLE DEL NERVIA.

Dalla fine dell'XI secolo la RINASCITA DEL CRISTIANESIMO a scapito dell'Islam si estrinsecò in modi diversi, ma sempre connessi con lo sforzo ecumenico ecclesiale di riprendere il controllo delle comunicazioni internazionali, sia per ragioni tipicamente evangeliche od apostoliche, come nel caso di Benedettini e dei Pauperes francescani, sia per garantire la sicurezza sui percorsi contro i predoni (coll' istituzione di fenomeni CAVALLERESCHI e RELIGIOSO-CAVALLERESCHI [CROCIATI]: in entrambi i casi si trattava di combattenti POTENTEMENTE ARMATI sia per duelli a CAVALLO che A PIEDI che parimenti nella giostra del TORNEO MEDIEVALE avevano formato la loro tecnica di combattimento) sia ancora onde espandere, anche sotto il profilo politico ed economico, l'influenza della Chiesa apostolica romana nelle terre d'Oltremare, ormai soggette alla forte presenza politica e culturale dell' Islam.
In questo ultimo caso, senza entrare nel merito etico e sociale delle Guerre Sante, è utile chiedersi quale valenza, semantica e culturale oltre che politico-economica, avesse assunto il concetto di Crociata verso il XIII secolo.

Il valore primario, ufficiale e quindi storico delle CROCIATE fu quello di lotta contro gli Infedeli per la liberazione del Santo Sepolcro (o in senso molto più esteso di tutte i santi luoghi anticamente cristiani, come di fatto avvenne per la PENISOLA IBERICA)
Sotto questo profilo, soprattutto alle origini, il fenomeno crociato fu impressionante.
Di tale evento rimangono tracce documentarie anche di un certo pregio artistico tanto nei monumenti che nelle arti pittoriche e soprattutto nell'opera dei minatori dei libri antichi.

Alla Biblioteca Nazionale di Parigi si conservano per esempio una miniatura di scuola francese in cui fu rappresentato l'ARRIVO DEI CROCIATI A COSTANTINOPOLI (interessante in quanto permette di riprodurre per linee generali la tipologia della nave crociata, destinata ad esser poi anche la nave dei pellegrini) e un'altra miniatura della stessa scuola (ms.4274, f.6) in cui si vedono i CAVALIERI DELLO SPIRITO SANTO nell'atto di IMBARCARSI PER LA CROCIATA.
I primi successi si coniugarono strettamente ad una affannosa ricerca sia dei luoghi santi che di antiche RELIQUIE.
Per quanto originariamente genuino il fenomeno della RICERCA DELLE RELIQUIE divenne alla lunga un tormentato evento storico in cui alla sincerità di molti finì spesso per sovrapporsi l'avidità di quanti speravano d'ottenere lauti guadagni dalla vendita di FALSE RELIQUIE.

Alla ricerca di RELIQUIE parteciparono anche CROCIATI LIGURI e le truppe genovesi che, in vari modi, affiancarono nel tempo le imprese in TERRASANTA.
Non si può soprattutto dimenticare che, a conclusione della PRIMA CROCIATA dopo la conquista della città di Cesarea le truppe genovesi guidate dall'Embriaco col titolo di "Consul exercitus genuensis" fecero ritorno in patria da trionfatrici, recando con loro un oggetto di straordinario pregio, sinceramente giudicato una tra le principali RELIQUIE della Cristianità.
Si trattava del SACRO CATINO, che alcuni vollero identificare col SANTO GRAAL, e che all'epoca si ritenne esser stato realizzato in purissimo smeraldo (un'altra veneratissima reliquia conservata a Genova nel tesoro della CATTEDRALE DI S.LORENZO fu quella generalmente nota come SANTO SUDARIO che non fu però ottenuta dai genovesi per effetto delle Crociate ma tempo dopo, verso il 1362, quando Leonardo Montaldo, capitano generale in Oriente ebbe in dono dall'Imperatore d'Oriente Giovanni V).
Passato il fervore quasi mistico delle prime Crociate, il Papato, dopo l'ascetica De miseria humanae conditionis di Innocenzo III ed il Concilo Lateranense IV del 1215, era andato però elaborando -lungo la direttrice ideologica del consolidamento delle conquiste cristiane e della sua influenza temporale oltre che spirituale- il principio di "bandir Crociata", in difesa dell'ortodossia cattolica e dei suoi privilegi fiscali, in Oriente come in Europa, ovunque in definitiva si manifestassero tendenze autonomistiche od eretiche.
A tal proposito fu tristemente famosa la Crociata del 1209-11 contro gli Albigesi e l'eresia catara, in Francia meridionale.
Un segno del rinnovato espansionismo cattolico era certamente stata la crescente fortuna pubblica dei Benedettini: l'impianto di questo robusto ordine monastico, in basi site su antichi tragitti verso il mare o che portavano a vie di costa o mezzacosta volte alle Spagne, esprimeva in crescente maniera la volontà cattolica di superare la dimensione curtense del Medioevo per riannodare i commerci ad un mercato internazionale ed aperto.

I disarmati Benedettini, benché abili nel rinvigorire la fede in Cristo fra le popolazioni alpestri ancora suggestionate da tradizioni pagane, presto non bastarono più a proteggere i tanti Pellegrini che, in visita ai Luoghi Santi d'Europa e d'Oltremare, andavano percorrendo le direttrici storiche ridisegnate dai monaci.
Per queste finalità pratiche acquistarono allora incredibile potenza vari Ordini monastico-cavallereschi che s'erano sviluppati in TERRASANTA, durante le CROCIATE.

L' ORDINE DEI CAVALIERI TEMPLARI rappresenta uno dei più celebri esempli del GRANDE FENOMENO DI CAVALIERI E CROCIATI OPERANTI IN TERRASANTA: l' ORDINE DEI TEMPLARI venne istituito in Terrasanta nel 1119 da Ugo di Payens ed altri otto Crociati, ottenne da Baldovino II un palazzo dove sorgeva il Tempio di Salomone: creò poi, tra Francia e Piemonte, un vero potentato che istituì sui percorsi molte stazioni di ristoro ove, dietro versamento di un obolo, potessero riposare pellegrini, viaggiatori e commercianti. Tra Piemonte, Francia e Liguria occidentale sopravvive il ricordo di un loro priorato a Sospeil, di una base a Tenda e poi di un Ospedale del Tempio sulla costa intemelia (nel contesto peraltro di una diramazione della Via Francigena "Ospedale del Cenisio - Novalesa - Camporosso - Ventimiglia - Mar Ligure) che, come si evince dai notai duecenteschi, era preposto al ricovero dei viandanti prima che si imbarcassero per la Palestina od i Santuari delle Spagne (non eran rade le occasioni in cui, dietro un compenso pattuito con un atto legale, uno o più monaci templari si impegnassero a scortare gruppetti di viaggiatori, specie sul tragitto qui multimedializzato che conduceva a Santiago di Compostela).
I TEMPLARI frati guerrieri raggiunsero presto grande potenza per il loro ruolo di "guardiani delle vie di mare e terra".
Oltre a ciò essi -indubbiamente più colti degli altri CROCIATI- seppero accumulare enormi ricchezze anche coi traffici commerciali e con l'abile sfruttamento dei bottini di guerra: un aspetto più confuso (e in gran parte tuttora da appurare) della loro storia (e che tuttavia sarebbe costato loro enormemente quando furono messi sotto ACCUSA in Francia) fu rappresentato dalle loro ricerche su MISTERI ED ESOTERISMO, ricerche che li avvicinarono spesso agli ALCHIMISTI visto che cercarono, nel MEDIO ORIENTE ritenuto terra dagli inviolati e potenti misteri, di svelare alcuni segreti storici come quelli della PIETRA FILOSOFALE e della CLAVICOLA DI SALOMONE tentando magari, sulla scia della vecchia tradizione medica confusamente riportata dai passi superstiti di Celso, Galeno e Plinio, di svelare il mistero dell'"onnipotente"
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Indubbiamente i Templari non potevano sia per le loro frequentazioni della Terrasanta sia per le loro crescenti abitudini commerciali quanto anche per la loro indubbia formazione culturale ignorare la leggenda che si era sviluppata intorno a questa Pianta della Classicità eletta a vera e propria Panacea: resta comunque da chiedersi quanto sulla loro tragedia o meglio sulle accuse loro mosse in qualità di scienziati e maghi ma anche qual peccatori contro natura e Dio il fatto che come scriveva Plinio il Vecchio l'uso prioritario in medicina del Silfio nell'antichità pagana fosse stato quello di preservativo ed abortivo per un controllo delle gravidanze, che pare non esser stato inefficace, fatto che, non occorrono troppe parole, sarebbe apparso blasfemo e demoniaco alla Chiesa del loro tempo e comunque nel contesto dell'opinione generale.

Alcuni fra loro operarono mossi da autentico interesse "scientifico" e da smania di sapere ma altri furono indotti da desiderio di guadagno e tra questi ultimi non mancarono spiriti violenti non estranei a far uso indiscriminato delle ARMI (pratica in cui eccellevano) come , poco dopo la metà del XIII secolo, un TEMPLARE di nome RAIMONDO GALLIANOche, in un ecesso di cupidigia, ferì a morte in Ventimiglia tale GUGLIELMO DA VOLTRI = cart.56,not.di Aamdolesio).
Proteggendo i viandanti, facendosi pagare l'ospitalità o combattendo in Terrasanta i Templari erano soprattutto divenuti ricchissimi: nel 1244 questi cavalieri franco - provenzali di nobile origine, che indossavano una livrea bianca ed un candido mantello ornati da una croce vermiglia, si erano distinti a GAZA combattendo i musulmani: al loro servizio stavano SCUDIERI NON NOBILI, riconoscibili dalla dotazione militare (armamenti di cuoio e lancia) oltre per il caratteristico mantello bianco e gli stendardi da battaglia che ostentavano nelle parate militari.
GUGLIELMO BONANATO, sposo di Benvenuta, conservava nella sua casa di Dolceacqua tale strumentazione, il mantello, la lancia ed armi da taglio proprie degli scudieri (not. di Amandolesio, doc. 233, del 3-V-1260): potrebbe non significare alcunchè la "fiala d' olio" che era in casa sua ma il "lebète" dice qualcosa di più interessante.
Si trattava infatti di un oggetto di tradizione greco-romana (piuttosto raro e pregiato nell'Occidente medievale) che poteva servire per lavori domestici come riscaldare l' acqua o cuocere vivande : era stato usato anche per abluzioni votive nei templi pagani ed in antico rientrava tra i premi pattuiti per i vincitori dei giochi olimpici, vista la preziosità artistica di alcuni esemplari.
La tipologia dell'apparecchio e la poliedricità degli usi appartenevano dunque ad una tecnologia sofisticata di cui nell'Europa Occidentale si era già persa memoria ed infatti nella casa di Guglielmo e Benvenuta esisteva anche un comunissimo "paiolo", rozzo corrispondente occidentale di questo strumento ellenistico: l'evidenza che fu data dal notaio al "lebéte" sembrerebbe da connettersi proprio alla sua rarità, come avvenne, in parecchie altre documentazioni, per altri utensili orientali rapiti dai Templari e dai loro scudieri-servitori, in modo particolare durante il saccheggio di GAZA.

I Turchi del Kwaresmi , respinti dall'Asia centrale ad opera delle tribù mongoliche, eran passati al soldo del Sultano egizio e per lui eran riusciti a rioccupare Gerusalemme, già liberata dai Cristiani.

Le truppe egiziane e coresmie avevano inflitto nei pressi della città di Gaza una bruciante sconfitta ad un esercito franco; solo i cavalieri del Tempio scamparono alla disfatta ed acquisirono gran meriti per aver salvato molti Crociati in rotta, così da tornare in Europa fra gli onori e sprattutto colle grandi ricchezze rapite all'Oriente proprio dopo il saccheggio di Gaza.


Col passar del tempo acquistarono vieppiù forza e prestigio in Europa, specie in Spagna, Francia e Italia Nord-occidentale: le rovine della loro roccaforte a PONFERRADA (Leòn, metà XII secolo, con varie ricostruzioni ed ampliamenti), in pratica a guardia della strada dei Santi Pellegrini che portava a Santiago di Compostela santuario-simbolo della riconquista cristiana contro gli Arabi, restano l'attuale testimonianza di un enorme successo socio-economico.
L'influenza acquisita sulla Corte francese suscitò però i sospetti del Sovrano Filippo IV il Bello che fece arrestare tutti i Templari del suo tempo(1310).
Con l'appoggio del Pontefice avignonese Clemente V (1305-14), cui aveva ispirato la Bolla di Soppressione dell'Ordine dei Templari, Il Re francese intraprese una violenta campagna contro questi monaci guerrieri, accusati di empietà e peccati contro natura.

Nel CONCILIO tenuto VIENNE(1311-12), città allora importante e che godeva dei previlegi di un'antica cultura romana (attestata da monumenti come il TEMPIO DI AUGUSTO e LIVIA) si dettarono poi le norme di soppressione dei Templari e con 7 successive Bolle si stabilirono i dettami delle persecuzioni individuali, della soppressione dei Priorati ed in particolare dell'assimilazione dei beni dell'Ordine che, per quanto destinati ufficialmente ai Gioanniti, finirono in gran parte nel Tesoro dei Re.
Il Concilio durò tuttavia oltre il preventivato per il fatto che fra il CLERO DI AVIGNONE, benché asservito alla corte, erano sorti in istruttoria aspri contrasti sulla liceità dell'operazione e sulla presunta falsità delle accuse mosse ai Templari: non è infatti casuale come, nonostante le pretese di Filippo IV, il Concilio abbia poi abolito l'Ordine solo con un atto amministrativo e non con una condanna ufficiale.
Il rallentamento della pratica inquisitoriale fece sì che parecchi Templari riuscissero ad evadere dal territorio francese, rifugiandosi in Paesi confinanti: sarebbe interessante, in un lavoro specifico, recuperare la maggior quantità di notizie possibili sui movimenti di monaci Templari nel periodo compreso fra il 1310 ed il 1315 lungo i tragitti che dalla Provenza portavano alla Padania ed alla Savoia (si vedano comunque ALBERTI, Storia di Sospello,p.599 e Saggio Storico intorno ai Templari del Piemonte in Ozi Letterari, Torino, Stamperia Reale, 1791,III,p.109, M.BRION, La Provence, pp.144 sgg. e H.FERRAND-P.GUITON, La Route des Alpes Françaises, passim in Les Beaux Pays, Paris-Grenoble, ed.Atrhaud, 1954).

Il termine RELIQUIE deriva dal latino "reliquae" nel senso di "resti".
Con siffatto termine si indicarono propriamente le salme dei santi o degli oggetti che essi usarono come abiti, strumenti del martirio od altre cose variamente utilizzate.
Per RELIQUIE INSIGNI si intendono propriamente quelle costituite dall'intera salma del Santo o comunque dalla parte principale del suo corpo e che possono essere custodite soltanto in una chiesa o per concessione dell'ordinario presso un principe o prelato (in questo senso si intende INSIGNE RELIQUIA quella dell'abate di
Novalesa, S. Eldrado, che è custodita in un celebre RELIQUARIO entro la parrocchiale di Novalesa).
Una devozione ancora superiore spetta poi alle RELIQUIE DELLA SANTA CROCE E DEGLI ALTRI STRUMENTI DELLA PASSIONE per cui valgono particolari norme.
Tra queste reliquie (senza dimenticare la storia straordinaria della SINDONE più connessa di quanto si creda al PONENTE LIGURE) sarebbe da annoverare il mitico GRAAL quanto il SACRO CATINO custodito a Genova.
La Chiesa giudica ledito e lodevole il CULTO DELLE RELIQUIE ma quello pubblico è consentito solo alle RELIQUIE che si riferiscono a SANTI o, per concessione della S.Sede, a BEATI: esiste poi la condizione che esse siano state autenticate da cardinali, ordinari (tranne il vicario generale senza particolare mandato) ed altri ecclesiastici cui sia stata conferita tale facoltà per via di un particolare indulto apostolico.
La traslazione delle RELIQUIE INSIGNI da un luogo all'altro della stessa chiesa può venir autorizzata soltanto dal vescovo mentre quella fra chiese diverse dipende esclusivamente da autorizzazione della Santa Sede.
La VENDITA DELLE RELIQUIE è considerata pratica simoniaca mentre il furto è ritenuto un sacrilegio (perseguibile anche dalla legge penale: come accadeva nel diritto intermedio secondo ad esempio i mandati criminali della Repubblica di Genova).
Sono poi esecrabili sia la falsificazione delle RELIQUIE che il commercio dei FALSI


Il nome GRAAL deriva dal latino "gratalis" e "gradalis" nel senso di recipiente e coppa.
Con tale nome si indica una leggendaria reliquia dotata di varie prodigiose virtù fra cui, come nel caso del Cristo, di una duplice natura, umana e divina.
L'argomento è talmente sofisticato che per trattarlo conviene riprodurre quanto ne ha scritto alla voce relativa (nel "Grande Dizionario Enciclopedico" della U.T.E.T. di Torino) uno specialista dell'argomento come Alberto Cesare Ambesi (al suo saggio si fa qui riferimento per ogni approfondimento bibliografico).
"Il GRAAL è solitamente identificato nella coppa che Gesù avrebbe usato durante l'ultima Cena e che sarebbe poi servita a Giuseppe d'Arimatea, il "discepolo segreto", per raccogliere parte del sangue uscito dal costato del Redentore negli ultimi momenti di agonia sulla Croce.
L'oggetto sarebbe poi stato portato dallo stesso Giuseppe d'Arimatea in Bretagna e affidato alla custodia di cavalieri templari nel castello di Corbenyc.
Dopo qualche tempo tuttavia la sacra coppa sarebbe stata portata nella "città pagana" di Sarraz da tre dei suoi più fedeli custodi: Perceval (o Parsifal), Galahad il casto e il coraggioso Bohorot.
Da qui una mano misteriosa discesa dall'alto l'avrebbe poi involata, restituendola alle sfere celesti, poiché gli uomini non erano più degni di contemplarne il fulgore e di nutrirsi della spirituale sostanza ch'essa elargiva ai devoti.
Tale il nucleo centrale della leggenda del GRAAL, così come andò plasmandosi tra i secoli X-XIII, via via giustapponendosi o integrandosi al ciclo, parimenti leggendario di re Artù e dei suoi Cavalieri della tavola Rotonda, cosicché sui primi racconti si incastrerà il tema della "cerca" dello scomparso vasello, facendo corpo unico con essi.
Non per nulla nel poema "Perceval" o "Conte du Graal" di Chrétien de Troyes (ca. 1180) il giovane eroe, cioè colui che diventerà il "re del Graal", appare dapprima guidato unicamente dal tumultuoso desiderio d'essere accolto tra i paladini di Artù e solo in un secondo tempo si risveglierà al senso spirituale delle proprie avventure.
Analogo il carattere dei due poemi di Robert de Boron (seconda metà del XIII sec.), "Le roman de l'estoire" e "Merlino", nonché della seconda versione in prosa di una terza sua opera, "Perceval".
Essi rivestono inoltre una particolare importanza sotto il profilosimbolico perché riprendono la tematica di precedenti racconti, in taluni spunti in essi racchiusi ne elaborano i richiami celtico-pagani, inserendoli in un orizzonte cristiano e di soppiatto modificano la fisionomia psicologica dei principali personaggi.
L'infermo, ricco re pescatore è chiamato da Robert de Boron ad essere il portatore in Occidente della sacra coppa, nonché il suo primo difensore, mentre Merlino, nato da un diavolo e da una vergine, risulta essere il naturale erede e maestro di antiche magie, malgrado esse paiano talvolta volergli sfuggire di mano, ed è curioso il fatto che egli finisca col cedere alle malie di una figura di ninfa e maga, quale è la fata dei boschi Viviana.
Non meno significativo sotto il profilo formale e contenutistico è il "Parzival" di Wolfram von Eschenbach perché sembra rifarsi a perdute fonti provenzali e perché la "cerca del Graal" ci si dipana come ricerca di una retta via, quella della fedeltà al Bene e di giurata inimicizia verso il Male, innanzi tutto: ma anche fedeltà del cavaliere alla dama e all'ascesi e senza che vi sia contraddizione fra codeste forme di amore, poiché ambedue esigono la più viva compassione verso il dolore e richiedono altresì al cavaliere una trasformazione "sub specie interioritatis" in modo che egli sappia ricondurre l'orgoglio alla fierezza e la propria sessualità alle sorgenti platoniche dell'Eros.
Fino a qui gli assunti e i precipui aspetti di talune delle principali fonti graliche così quali appaiono entro il ciclo storico medievale. La leggenda sembrerebbe tuttavia avere radici più lontane nel tempo e si presta in effetti a svariate interpretazioni.
Per quanto attiene alle fondamenta anteriori, già si è accennato alla presenza di personaggi e di eventi che lasciano trasparire un'originaria fisionomia precristiana.
Inoltre secondo recenti interpretazioni (J. Evola) il complesso della simbolistica graalica (la coppa e la lancia, l'isola e la montagna sedi del Graal scomparso, la ferita dolorosa del re, i rapporti tra l'eroe di turno e la donna e così via) troverebbero sempre e comunque più di un'anticipazione nella tematica mitica iperborea o nordatlantica per cui l'articolazione cristiana della leggenda dovrebbe essere considerata ora come una patina o esteriore adattamento alle condizioni storiche dell'Occidente, ora come un vero e proprio travisamento di "misteri" aventi una significazione eroica e solare.
Una tesi, codesta, che ha fascino e coerenza ma che non è in grado di spiegare la totalità della fenomenologia graalica.
Diversamente convincente è l'ipotesi formulata agli inizi degli anni trenta da Otto Rahn e prima ancora da Déodat Roché secondo la quale il GRAAL era da sempre la reliquia più venerata del "tesoro dei catari" e conosciuto sotto il nome di "Mani" cioè quale "pietra di saggezza" o "smeraldo della castità" conquistata.
Oggetto di una misteriosa liturgia detta "manisola" forse superiore allo stesso "consolamentum" e chiamato a simboleggiare lo "spirito divino" e il "desiderio del Paradiso", il Graal cataro solo in apparenza sembra differire dalle consuete raffigurazioni.
In Wolfam von Eschenbach per esempio la santa reliquia è analogamente descritta come "pietra preziosa".
Secondo le cronache del tempo e i successivi racconti folklorici, quando (marzo 1244) Montségur, l'ultima grande roccaforte catara, stava per cadere, vi sarebbero stati quattro "perfetti" che riuscirono ad uscire la notte prima della capitolazione portando con loro il tesoro della "comunità" per seppellirlo per sempre nel profondo delle non lontane caverne pirenaiche. Si evitò così che il Graal cadesse nelle mani dei crociati cattolici.
Si potrà concordare o meno con le tesi suddette o attribuire scarso significato agli indizi, ma si dovrà comunque riconoscere che è quanto meno singolare il fatto che, nel ciclo del leggendario Graal, l'apparizione della reliquia e del suo celeste nutrimento abbia per segnacolo una bianca colomba e che tale volatile fosse chiamato dai catari a simboleggiare il santo Spirito, quale signore degli angeli: non a caso tra le rovine di Monségur si ritrovarono le immagini di talune colombe modellate con l'argilla.




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Il TORNEO MEDIEVALE o GIOSTRA come pariteticamente si diceva costituì un'evoluzione dell'esercizio militare connesso all'addestramento della CAVALLERIA a partire dall'VIII secolo: in quest'epoca tuttavia il TORNEO aveva connotati ancora primitivi che traevano la loro essenza sul principio della "SINGOLARE TENZONE PROBATORIA" propria del DIRITTO GERMANICO e in qualche modo celebrata nel costume giuridico dell'ORDALIA.
Il TORNEO CAVALLERESCO vero e proprio si sviluppò tuttavia solo dopo l'anno 1000 ed acquisì una vaera e propria taratura di nobile competizione con l'avvento della figura istituzionale, nell'ambito feudale, del CAVALIERE: si trattava di manifestazioni spettacolari che avevano luogo in arene costituite da ampi spazi delimitati da recinti o steccati, di forma circolare o quadrangolare.
Una SPINA O PALIZZATA DI LEGNO, detta LIZZA (deriv. dal francese antico "lice", dal franco "listja" derivato dal germanico "lista": la forma "lissa" è propria del pisano e del pistoiese) con due corsie adiacenti poste entro l'arena fornivano lo spazio per la GIOSTRA o TORNEO. I giudici, come il pubblico selezionato (cioè di elevato rango sociale), trovavano posto su tribune in legno realizzate per l'occasione mentre in luoghi vicini, in tende e/o padiglioni, venivano attrezzate le strutture di supporto per i cavalieri.
La precarietà di queste strutture, ben si intende, ha fatto sì che di questo fenomeno, sospeso tra l'impegno militare e quello sportivo, non sia rimasto nulla a livello architettonico: a differenza di quanto accaduto per la civiltà romana in cui lo sport aveva raggiunto alta valenza sociale e, per incrementarne lo sviluppo, si erano costruite strutture complesse e straordinarie di cui i monumentali anfiteatri costituirono solo la forma esteticamente più eclatante.
Non si è quindi mediamente raccolto molto materiale documentario su questi TORNEI CAVALLERESCHI che pure hanno alimentato la tradizione letteraria e che a loro volta hanno tratto linfa vitale come simulazione di imprese gloriose di CAVALIERI ANTICHI come per esempio i PALADINI DI CARLO MAGNO che a RONCISVALLE crearono, pur attraverso una gloriosa sconfitta, il mito, più o meno discutibile, del CAVALIERE ERRANTE SENZA MACCHIA E SENZA PAURA.
La storia della LIGURIA MEDIEVALE, come noto, è complessissima e per molteplici cagioni fu caratterizzata da un'intensa esperienza cavalleresca di cui, al pari di quanto accaduto in altre regioni d'Italia e d'Europa, si è perso quasi tutto ma di cui Giuseppe Delfino in un articolo intitolato "Giostre, tornei, sports nell'antica Genova e in Liguria" ed edito sulla rivista "Liguria" (luglio-agosto 1981) è riuscito a raccogliere qualche labile ma interessante informazione.
Il TORNEO ligure più antico di cui si sia recuperata qualche notizia risale al 1408 quando dovendosi festeggiare le nozze di Lorenzo degli Alberti (padre del famoso Leon Battista Alberti, architetto e teorico dell'arte) si tenne un TORNEO proprio a Genova in PIAZZA BANCHI.
Da questa data in poi le testimonianze non mancano: si hanno notizie infatti di GIOSTRE e TORNEI tenutisi nel 1562, nel 1538, nel 1575 (per l'occasione del Carnevale) ed ancora nel 1589: si trattava comunque di competizioni già abbastanza diverse da quelle del vero e proprio TORNEO MEDIEVALE pur se lo sforzo fisico e bellico non mancava certamente (in questo senso tutta la Liguria risentiva del grande influsso transalpino: la Francia era infatti la patria istituzionale, nel XVI secolo, dei grandi CAROSELLI CAVALLERESCHI che ormai si tenevano su spazi sempre più stabili, di cui, in qualche modo, sarebbero sopravvissute le strutture architettoniche).
Sul corte del 1589 tenutosi a Genova A. Neri nel secolo scorso raccolse da un manoscritto della biblioteca di Giulio Pallavicino una certa compita documentazione.
Vi si legge che la "Compagnia di nobili nominata di canonici et abate" organizzò un TORNEO CAVALLERESCO "...in questa nostra Città di Genova su la PIAZZA FONTANE MAROSE Campo franco e sicuro, sotto la guardia e il giudizio dei sottoscritti illustrissimi et eccellentissimi Giudici, nel quale il giorno XII del mese a venire dal nascere al tramontar del sole due dei nostri qui sottoscritti con arme usate da Cavalieri in nostra guerra da solo a solo, con tre colpi di Picca e cinque di Stocco, si sosterranno le infrascritte prove, ad ogni Cavaliere d'onore di qual si voglia nazione che volesse affermare il contrario con quelle pene a chi commettesse errore combattendo e con quei premi a chi opererà valorosamente, che saranno proposte e descritte nelle leggi che piacerà ai Giudici di imporre, da pubblicarsi con queste...".
Persa alquanto della rustica violenza medievale il TORNEO era già una colorita festa cui partecipava con gioia gran folla.
Tuttavia i CAVALIERI combattevano realmente, in particolare nello scontro diretto detto LIZZA.
Si poteva tuttavia integrare i risultati puramente militari primeggiando in attività in cui più che la forza o la tecnica militare prevaleva la destrezza come le CORSE ALL'ANELLO o le CORSE ALLA QUINTANA.
Poco prima, in occasione del TORNEO DEL 1562, che si tenne invece a Genova in PIAZZA "LUCHORI", per quanto ci prova la documentazione registrata dal canepa, parteciparono vari CAVALIERI ERRANTI di diverse nazioni seguiti dai loro paggi che indossavano le livree del casato dei signori.
In particolare si segnalarono i fratelli Stefano e Filippo Lomellino che indossavano sulle armature delle divise di cremosino e oro "con suoi corsaletti similmente dorati".
Lo scontro nel TORNEO era reale e poteva risultare cruento: per questo motivo tutte le ARMATURE DA TORNEO comportavano una doppia CELATA per una rapida sostituzione in caso di rottura.
Sulle TARGHE da cui si facevano accompagnare i CAVALIERI o direttamente sull'ELMO DA COMBATTIMENTO erano poi incise le IMPRESE: cioè il disegno ed il motto che contraddistinguevano il singolo combattente.
Per esempio uno dei menzionati fratelli Lomellino portava un IMPRESA in cui un polipo teneva stretta sè un'anguilla con la scritta "Prius abscindar quam avellar".
Nella stessa circostanza Giovan battista Pallavicino recava nell'IMPRESA un "cielo stellato con luna crescente, alla qual voltandosi un animal detto cenocefalo e mirando in lei fisso diceva nihil video sine te".
Sempre nel TORNEO del 1562 Gian Andrea Doria sfidò a tre colpi di PICCA ed a quinque di STOCCO Stefano Lomellino ma ne fu sconfitto ed il Lomellino vinse il premio di un anello "da diece scudi".
Il Doria si rifece però in un secondo scontro abbattendo Davide Imperiale e, per questa vittoria, ebbe in premio "un paio di pendini de perle fatte a serpe di prezzo di diece scudi".
Lo sfarzo di questo TORNEO DEL 1562 fu tale che l'oratore ufficiale del Duca di Ferrara presente alla grande manifestazione scrisse al suo signore in una lettera datata 12 marzo 1562: "Qui si è fatto il Carnevale alla Milanese perché domenica passata che fu la prima di quaresima, sopra la piazza Locori si fece un torneo con bellissimo apparato, cosa non mai più fatta in questa città. Era la piazza circondata attorno attorno di baltresche fatte a gradi in modo di teatro, cariche di grandissimo numero di persone e specialmente di tutte le principali e più belle donne della città che vestite de' diversi e vaghi colori rappresentavano una primavera..."(frammento da "copia di un dispaccio del 12-III-1562 dell'oratore del duca di Ferrara a Milano Tommaso Zerbinati. Carteggio diplomatico Milano-Cancelleria Ducale estense, Archivio di Stato di Modena: A. Neri, "Torneo fatto a Genova nel 1562", in "Giornale Ligustico di Archeologia, Storia e Letteratura", Genova, 1887).

I pochi dati raccolti sui TORNEI in Liguria sono forzatamente concentrati sul principale complesso demico di Genova ma è fuor di luogo che similari espressioni di COMPETIZIONI NON CRUENTE si tennero in altre contrade, specie della RIVIERA DI PONENTE.
La grande perizia di tutti il Liguri nell'uso della BALESTRA fece sì che si tenessero dei TORNEI in cui tutta la competizione dipendeva dall'abilità nell'uso di questa arma tipicamente medievale. I premi per i vincitori mediamente consistevano in tazze d'argento appositamente ralizzate. Nell'uso di questa arma godevano di una fama particolare gli abitanti di SAVONA.
Nel 1464 ai TORNEI DI BALESTRA di questa città presiedevano degli appositi ufficiali detti CAMPANARI che dovevano valutare l'esattezza del responso delle gare vista anche l'importanza dei premi in palio: il primo premio costituiva in una coppa d'argento del valore di 25 lire, il secondo premio in un berretto ed il terzo in un paio di scarpe. I fanciulli savonesi durante la loro partecipazione alle gare a squadre di balestra erano capeggiati da un loro capo e il vincitore era premiato con una balestra nuova del valore di 7 lire.
Oltre alla BALESTRA in tutta la Liguria si praticava decisamente anche la SCHERMA: non esistono sull'argomento molte documentazioni ma si sa comunque di un certo Cesare Gentile, poi eletto Doge per il biennio 1667-1669, che a soli 12 anni combattè valorosamente a fianco del padre armato di elmo e corazza dimostrando eccezionali qualità di schermidore.






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Il GIOCO DELLA PALLA ebbe sempre una notevole diffusione in LIGURIA.
A Genova il GIOCO DELLA PALLA si praticava volentieri in VIA NUOVA, seppur tra le lamentele dei passanti.
Il Senato nel 1598 si trovò quindi nella necessità di regolamentare il giuoco vietandone la pratica in importanti luoghi pubblici e di transito.
All'ACQUASOLA nel 1785 si svolse una partita tra genovesi e milanesi destinata a restare celebre anche perchè vi intervenne il re di Napoli.
Il gioco della PALLA [da intendere però nel senso di GIOCO DEL PALLONE ELASTICO ben distinto dall'analogo GIOCO DI AREA TOSCANA quanto dallo stesso GIOCO DEL CALCIO (GIOCO A CALCIO DEL PALLONE )] era estremamente diffuso in LIGURIA, in PIEMONTE e particolarmente nel PONENTE LIGURE.
Ad Oneglia per esempio era famoso un certo Giacomo Agnese che si cimentava con il soprannome di BARBAGIA' e che come scrive il Pira (Storia della città e principato di Oneglia, Genova, 1847) ebbe l'onore di gareggiare col sovrano napoletano Ferdinando appassionatissimo ed esperto di tale pratica sportiva.
Anche a TAGGIA il GIOCO DEL PALLONE era molto diffuso.
Addirittura nel XVIII secolo esplose una controversia tra la popolazione locale e il marchese Vivaldi-Pasqua che voleva interdire la pratica sportiva.
Il Senato genovese dovette intervenire per evitare quasi una sollevazione popolare e stabilì come sede deputata per le partite proprio la VIA DEL PANTANO ove il Marchese teneva residenza con la sanzione che qualora la palla fosse cadita in uno dei terrazzi o giardini del palazzo nobiliare vi fossero dei serventi incaricati dal marchese di restituire prontamente la palla stessa.
Per evitare ogni forma di contrasto nell'interpretazione del gioco a SAVONA si introdussero poi, per regolamento, degli appositi UFFICIALI ARBITRI.
Le competizioni in questo sport tra SAVONA ed ONEGLIA divennero proverbiali e occasione di "tifo" acceso come nel 1746 quando la squadra di Savona riuscì ad avere la meglio su quella dei rivali.
Col tempo SAVONA ottenne grossa rinomanza in questa pratica sportiva e nel 1771 riuscì a sconfiggere anche la squadra di GENOVA. Untestimone oculare al proposito scrisse che "i genovesi volevano vincere di lingua non sapendo vincere col braccio".
E' noto, a riguardo di questo episodio, che la squadra di GENOVA, davvero poco sportivamente, tentò di corrompere "IL MANDARINO" della squadra rivale: quasi ne sorse una disputa giuridica e lo scandalo fu tale che il Governatore di Savona, che pure era un nobile genovese tal G.B. Grimaldi, dovette espellere dalla città di sua amministrazione i giocatori "foresti".
A SAVONA il rilievo di questa pratica sportiva giunse a tal punto che nel '700 si formò una CORPORAZIONE detta "DEI PALLONIERI": chi intendeva appartenere alla corporazione era obbligato a possedere una "lunga carta", un diploma, ed essere esaminato dai maestri della corporazione, conseguendo almeno due voti favorevoli nel giudizio finale.
Comunque le squadre che nel XVIII secolo si contendevano l'egemonia ligure con quella di SAVONA erano quelle di ONEGLIA e di FINALE: la rivalità era divenuta tanta, passando attraverso una serie di incontri dalle alterne fortune, che i Governatori per garantire la pubblica sicurezza in occasione di siffatte competizioni presero l'abitudine di far schierare dei soldati armati di moschetto sul luogo preposto alla sfida sì da evitare scontri tra spettatori di opposte fazioni ma anche tra i giocatori delle squadre avverse (vedi: F. NOBERASCO, Folklore savonese, in "Savona nella Storia e nell'Arte", Genova, 1928 = Speroni, Opere, Venezia, 1750, V, p.442).



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