Passando attraverso una storia millenaria che culminò con l'affermazione dell'
IMPERO DI ROMA ed il suo MERCATO APERTO -dopo il periodo della TETRARCHIA IN CUI PER VOLERE DI DIOCLEZIANO
FU IN PRATICA NICOMEDIA, SUA RESIDENZA PRINCIPALE, LA CAPITALE DELL'ORIENTE (VEDI) con il trionfo di COSTANTINO IL GRANDE LA CITTA' DI "BISANZIO" RINOMINATA "ROMA NUOVA" E PRESTO "COSTANTINOPOLI" DIVENNE CAPITALE DELL'IMPERO ROMANO =
prima di essere eretta a Capitale della ben più longeva porzione dell'Impero quella che andò sotto il nome ora di "IMPERO ROMANO D'ORIENTE" ORA DI "IMPERO BIZANTINO" destinato a conoscere una momentanea rivincita sulla DECADENZA DELL'OCCIDENTE e sulle INVASIONI DEI BARBARI (e quindi degli ARABI) ad opera dell'immane sforzo compiuto dell' IMPERATORE GIUSTINIANO IL GRANDE
E così sulla scia di una storia tanto complessa , la città sospesa tra due mari e tra due ere BISANZIO CHE FU POI COSTANTINOPOLI E QUINDI ISTANBUL (cui F. Guccini ha dedicato dall'album "Metropolis" una mirabile e pensosa canzone)
finì con l'attrarre mille interessi anche per il nome alternativo di "SUBLIME PORTA" O "PORTA OTTOMANA" (VEDI).
Ma a prescindere dalla varia toponomastica -giova ripeterlo- la metropoli fu soprattutto la PORTA DELL'OCCIDENTE SPALANCATA SULL'ORIENTE [anche sulla scia di quei misteri d'Oriente che da essa si potevano raggiungere di cui mentore fu con le sue Considerazioni il Plenipotenziario Francese Visconte Marcellus (basilari le sue osservazioni sulle Piramidi d' Egitto come su "Gerusalemme e suoi contorni" compreso un viaggio attraverso i Luoghi Santi fino al S. Sepolcro ed anche l'esplorazione della via al Mar Morto sulla scia del percorso degli Egizi che colà si recavano per raccogliere le sostanze necessarie ai loro processi di imbalsamazione e sempre in merito al Mar Morto: qui in una stampa antica lo studio della "distruzione divina" della città di Sodoma con la descrizione dei Pomi di Sodoma )]
CORTIGIANE, REGINE DI BISANZIO
Anonimo
(da un codice membranaceo adespota = il titolo è stato dato dal contenuto)
Un giovane poeta armeno, ******************************* Neobule, capace di amare
STORIA DI TIRISH E DELLE TRE LETTERE Tirish Ben Amon, figlio di Arash, Mille spade unne s' alzarono verso il cielo, Tirish chiliarca greco guardò il sole, Argane aveva invasa la Pannonia, Tirish lesse una lettera giunta da Bisanzio Argane divorò il tempo, il principe degli Unni, Tirish riavvolse la lettera del Basileo bambino, Serapione, eunuco di corte, che nelle molli mani Argane, emulo di Attila, sognava porpore Tirish lesse la terza lettera e il Metropolita, Argane non ebbe mai dubbi nel cuore di ferro, Tirish Ben Amon, figlio di Arash, Argane sognava, Tirish non poteva più, Il dolore rende forti, le disillusioni disperati ma feroci come tigri! Argane chiuse gli occhi, ingannandosi ancora una volta e pensando Da sciocco ignorava che il chiliarca ormai senza sogni per le altrui debolezze, CLICCA QUI PER RITORNARE ALLA HOME PAGE TEMATICA DI "CULTURABAROCCA"
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salito sull'alto minareto,
dell'alta Costantinopoli,
così scrisse:
"Salve Porta d'Oriente,
aureo serrame dei popoli!
Tu schiudi, ad ogni sbocciar
di millennio, un sentiero ferreo
per una stirpe guerriera,
che visse all'arsura, senza scempio
di femmine dai lunghi capelli,
dagli occhi sfuggenti e d'oro
di pelle: cose che rompono i fianchi!
Le labbra della donna bella,
scandirono l'ultimo bacio:
il suo corpo di pingue gazzella,
nudo, tra veli sapienti ancora
più nudo, si sollevò nella penombra.
I seni, con tal nome d'artificio
si nominano le mammelle fiorenti
d'una femmina d'uomo, erano
nunzi procaci d'un altro abbraccio.
Scivolò la fragile, adunca mano
lungo quel corpo di dea: prima
s'accarezzò la fronte, poi col
dito ungulato si segnò, obliquo,
il tracciato senza pause
dal collo di cigno al ventre di ninfa.
Fremeva di quell'artificio,
già inventato da cortigiane babilonesi,
il figlio della razza ferrea
che sgombrò di vita la Colchide,
aspra come il limone non curato.
Era sordo al cupo rimbombo
del mondo il Re dei Re,
il Principe coperto d'altrui gloria,
ma molle cera all'amore:
così si nomina la mercenaria usanza.
Poi un guerriero d'Oriente,
il primo dei Turchi che violò
te, o Sacra Porta d'Oro,
contaminò della sua puzza
di deserto l'alcova odorosa.
Il Principe si levò e lei,
amante dei Re, disciolse impudica
le lunghe gambe bagnate d'amore;
lui balzò ebbro di vino e paura,
lei si mostrò guerriera
più antica: sfoderando mirabili armi.
Il figlio dei re dei cammelli,
credente in un Dio che era una spada,
castrò il pingue re Bisanzio,
immemore di violare l'erede
d'un'antica stirpe divina.
Ma il tramonto di fuoco
d'un sole indifferente e arrogante
inondava ormai la camera:
dalle tende d'arabeschi pesanti
cadeva una nuvola d'oro
sulla femmina bella e nuda
che si diede a Re e mercanti:
il Barbaro la credette una dea
e temette i suoi occhi socchiusi,
frementi di contenuta paura.
Ammirò quel seno lieve,
non turgido né cascante
di donna comune, da figli.
E non l'uccise! fuggì.
Folle! quella era la guerriera per cui
sempre ti apristi Porta del Mistero!
La stirpe delle cortigiane
sarà sempre più alta e potente
della stirpe vacua dei Re!
con me mille diversi da me,
tu e quelle come te, che
mi bruciano, sempre potranno!
I miei avi cacciarono i Mongoli,
mai la gioia di peccare
con la bella prostituta nella tenda:
Oh donnacce, rovina del tempo,
sciame ininterrotto per cui sempre
si aprì la Porta del Tutto!
Cosa fare mai senza di Voi,
immortali Regine di Bisanzio?"
Tirish il grande, il giusto, il sognatore.
mille voci ruggirono l'odio in un Dio,
ogni giorno portava mille spade,
ogni notte altre mille, e mille ancora.
lo vide sorgere e tramontare dieci volte:
pregava ogni giorno il Dio ignoto
e credeva nei suoi sogni antichi.
distrutto Farsalo e saccheggiata Durazzo,
bruciavano le belle isole dell'Egeo,
gli Unni già cantavano inni di vittoria.
e l'inchiostro, l'odore del papiro,
lo sguardo del messo, le borchie dorate,
cose dolci, lo portarono indietro verso sogni e ricordi.
il guerriero senza sconfitte sognò basiliche,
e marmi e donne pitturate, facili prede,
ed ori senza misura nei fori deserti.
socchiuse gli occhi e dimenticò i suoi sogni.
Vide il cielo di Pannonia come un sudario,
poi lesse la seconda lettera: segreta, per lui solo.
reggeva il cuore del Basileo, dimesso l'antico orgoglio,
pregava il chiliarca di salvare il Re, la Corte, i castrati:
non fece parola per la gente del porto, pei reietti.
e troni e donne bambine proclive su di lui
e splendenti cristalli di puro calice
e chiese devastate, con preti tremanti.
il Santo Padre di Bisanzio lo pregava, in Dio,
d'ogni bassezza per salvarlo, lui e i suoi preti:
nulla per la gente dei fondi, per i reietti.
da sempre era certo: ma viveva nell'inganno.
Un Dio debole da abbattere, un nemico rado,
senza gloria, con spade corte ed antiche.
chiliarca greco di Smirne, da un messo ignoto
vide infranti ricordi e sogni e Bisanzio,
come tutto, gli parve impura e biasimevole.
Argane si ingannava, Tirish non più;
Argane credeva che Tirish avrebbe perduto tutto per un Dio debole;
Argane ignorava che Tirish avrebbe combattuto per il suo dolore.
chiudendo gli occhi Tirish non pensò al mondo antico che moriva con lui,
ignorò nostalgie di lascivie, ignote o temute quanto un tempo cercate:
morì vincendo per i derelitti e per le cagne dei fondi, laggiù, al Bosforeion.
che il Dio mai temuto ma, ora geloso della sua grandezza, con arcane magie
resosi possente, solo contro di lui avesse salvata l'inerte Bisanzio:
e lo stesse ora sprofondando nell'inferno degli eroi più grandi e terribili.
del grande Eunuco come del Metropolita com' anche del Basileo
che, da altri suggerito, invocava per se stesso e sua madre unica protezione,
un sogno solo ed ultimo aveva salvato: morire per una ragione, una qualsiasi buona ragione!