cultura barocca
Informatizzazione e multimedializzazione a cura di Bartolomeo Ezio Durante

- 2 - La GLADIATRICE era la controparte femminile del GLADIATORE nel variegato e multiforme aspetto dei LUDI ROMANI COME ANCHE DELL'APPARATO PIU' GENERALE DEGLI SPETTACOLI ed al pari del gladiatore nella morale comune giammai avrebbe potuto godere di onesta reputazione come nello stesso caso di attori/attrici non godeva del favore dell'opinione pubblica sì da esser riprovata anche ufficialmente dallo Stato ma non con il successo atteso visto che, pur nel mediamente breve arco della vita o dell'attività, siffatti personaggi godevano gloria, anche effimera ma spesso bastante ad aprire le porte delle dimore di famiglie facoltose e non tanto come "fenomeni da baraccone" ma come "vere e proprie celebrità del momento da ostentare con vanto come ospiti di feste ad amici stupiti e consimili ammiratori dell'effimero"
Nell' età controriformista e quindi dei libri proibiti scrivere e poi pubblicare un libro come questo del Casali su "Roma Antica", specialmente nella Roma dei Papi ove il controllo era più intransigente che altrove fatta eccezione per la Spagna egemonizzata dall'"Inquisizione Spagnola", senza prendere le dovute precauzioni ai fini dell'Imprimatur poteva essere un azzardo sia che si trattasse di argomenti teologici, che scientifici che come in questo caso di rivisitazione del paganesimo e specialmente dei suoi Ludi e Spettacoli:
La più convincente prova dell'esistenza di gladiatrici resta un bassorilievo marmoreo del I o del II secolo trovato ad Alicarnasso e attualmente in mostra al British Museum. Il bassorilievo, in cui sono rappresentate due gladiatrici in combattimento della categoria provocatrices, testimonia che alcune donne hanno combattuto con armature pesanti. L'iscrizione ci indica i loro pseudonimi, rispettivamente Amazon e Achillia e ci dice che venne loro concessa la missio ossia la sospensione, propriamente "La grazia di non più combattere", avendo ambedue lottato con valore nello scontro: ed infatti se si osserva la parte superiore dell'immagine si legge la parola greca apeluthisan , che in greco equivale a stantes missae = Fik Meijer, Un giorno al Colosseo (il mondo dei gladiatori), Laterza, 2006. ISBN 88-420-8158-2.
Le due combattenti indossano il subligaculum e l'equipaggiamento tradizionale dei gladiatori, come schinieri e manica. Entrambe sono armate di una spada e uno scudo, ma non indossano né l'elmo né una tunica ma sono a seno nudo, come si raffigura nell'
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In effetti la maggior parte degli studiosi moderni considera quello delle gladiatrici uno spettacolo originale, viste le scrse attestazioni su di esse, ma la scrittrice Amy Zoll (con cui concordo) osserva in un suo volume indubbiamente da leggere con doverosa attenzione (Amy Zoll, Gladiatrix: The True Story of History's Unknown Woman Warrior, London, Berkley Boulevard Books, 2002. ISBN 0-425-18610-5 ) come il fatto che gli storici antichi che le menzionano lo fanno con tanta disinvoltura possa suggerire che esse fossero "più diffuse di quanto le testimonianze dirette ci potrebbero altrimenti indicare".
Le postulazioni della scrittrice sono assolutamente condivisibili, pur restando ferma a fronte del caso dei Gladiatori la povertà di attestazioni archeologiche di vario tipo in relazione alle "Donne Combattenti", argomento di cui però alcune spiegazioni si possono dare: fermo restando il fatto che le lotte gladiatorie tra donne per la loro estemporaneità non doveva essere un fenomeno di portatata tale da non lasciare tracce anche lontanamente prossime a quello tra combattenti di sesso maschile: tuttavia, dato quanto si è appena scritto in merito alle citazioni di autori diversi e calcolando che i Romani ebbero più che in ogni altra epoca antecedente quella moderna il senso della comunicazione iconica e scritta non escluso il ricorso ad una sorta di pregiornalismo non privo di "gossip", quello degli "Acta Diurna Populi Romani si può sostenere che gli eventi di gesta gladiatorie femminili avessero avuto una propaganda iconografica superiore alle scarsissime attestazioni archeologiche documentate.
A questo punto può sovvenire una constatazione pratica cioè quella connessa alle direttive intraprese da tempi pregressi ma istituzionalizzate da
Papa Gregorio Magno in merito a due tipi di processi alternativi verso il paganesimo: la sconsacrazione dei siti pagani con la successiva riconsacrazione di ordine cristiano e la distruzione di tutto ciò che potesse sembrare del tutto irrecuperabile nel contesto dell'ecumene cristiano.
Assodate la crescente analfabetizzazione ma, naturalmente, la capacità di visualizzare e interpretare per quanto rappresentatovi (e giammai comprendere quanto eventualmente annotato) bassorilievi, mosaici ecc., pare evidente che in un crescente processo di cristianizzazione la non distruzione di mosaici per esempio alludenti a lotte gladiatorie oppure a scene di lotte con belve (testimonianza dell'amore per la violenza dei Pagani) se non addirittura di individui (dalla tradizione religiosa e poi dalla credenza popolare ritenuti sempre martiri cristiani) dilaniati da animali feroci (testimonianza dell'amore per la violenza dei Pagani) potesse avere un effetto propagandistico positivo, tale cioè da corroborare ed enfatizzare le narrazioni sui Cristiani crudelmente gettati dai Pagani tra le braccia di uomini in arme a guisa di esecutori o peggio ancora di belve impegnate a lacerare gli inermi sventurati.
Al contrario i corpi anche, se non volutamente ignudi per eccitare curiosità e pruriti maschili, di guerresche combattenti avrebbero posto altri tipi di domande, prescindendo dal fatto che entrambe fossero dotate di strumenti di offesa e difesa: nonostante il fiero clima sessuofobico del Cristianesimo originario bellezze femminee variamente esposte, nudità provocanti (ché non su tutti certo poteva aver effetto di sconvenienza la visualizzazione di un bel corpo di donna) sarebbero stati perigliosi e le attestazioni di provvedimenti avverso ciò non mancano, anche al di fuori di Roma: per esempio pure in una città limitanea come Ventimiglia Romana l'ostentazione di attributi sessuali alludenti al piacere od alla tentazione sarebbe risultata una tentazione da distruggere onde non "avvelenasse gli animi": e non a caso nella " villa del Cavalcavia " in merito ad uno dei due locali laterali a fini commerciali, verosimilmente un luogo di ritrovo donde si poteva raggiungere un soppalco per congiungersi con prostitute, meretrici, avventuriere occasionali pur non essendo quasi di certo ufficialmente un bordello o lupanare, essendo in qualche maniera ornato di un rilievo fallico culminante col volto d'un puttino ammiccante (allusivo e probabilmente da tutti compreso come segnale ma tollerato perchè ritenuto dalle costumanze romane anche oggetto scaramantico avverso la malasorte) in tempi remotissimi (e certo prima che questi luoghi fossero coperti da un "mare di sabbia") venne picchettato nel vano tentativo di renderlo per sempre illeggibile.
E' vero che il collezionismo cinque-seicentesco ha recuperato diverse immagini erotiche intatte (basta già scorrere il libro III del Museo Cospiano annesso a quello famoso di Ulisse Aldovrandi per trovare varie Lucerne, come qui si vede, di argomento quantomeno bizzarro e se non erotico comunque connesso con gli organi sessuali, seppur con peculiari significati
ma soprattutto risulta chiarificante sull'argomento visualizzare entro il prezioso volume del
De Lucernis del Liceti
questa Lucerna sepolcrale, una fra tante, ma nel caso e con altre chiaramente da ascrivere fra le Lucerne erotiche o falliche trattatevi e riprodotte

): ma oramai l'acquisizione di siffatto reperto come detto rientrava nel fenomeno organizzato del collezionismo antiquario, gestito da esperti avidi di studiare qualsiasi cosa e che spesso agivano nascostamente sì da non editare in pezzi più provocatori: del resto non era lontano il tempo in cui, nel flusso e riflusso di tolleranza e conservatorismo, eran state coperte da un mediocrissimo pittore le nudità del michelangiolesco "Giudizio Universale". Ma d'altro canto l' eventuale distruzione di materiale vario connesso con l'attività ludica e circense delle " gladiatrici " non poteva esser stata totale nemmeno alle origini della cristiana distruzione dei molteplici attestati materiali o figurativi dell'erotismo statuario e pittorico romano: enorme sarebbe stata l'impresa e molto era già sotterrato dalle rovine ed a maggior ragione il discorso valeva per Ercolano, Stabia e naturalmente Pompei dove si son avuti i ritrovamenti più eclatanti ma perché preservati, si fa per dire, dall'orrendo cataclisma del Vesuvio nel I secolo d. C.).
Con lo scorrere di secoli od anche solo di decenni la paranoica demonizzazione donnesca conobbe, come già detto alti e bassi, anche in funzione delle contingenze storiche - passando per l'Instructio in merito dalle "Streghe" e la "Congiura Centini", talora coinvolgenti religiosi e persino Pontefici ma resta fuor di dubbio il perdurare di sessuofobia e misoginia al segno della diaspora morale (salvo i soliti successi mondani) di Attrici e Cantanti (ancor più che dei colleghi di sesso maschile) "cosa" che per quanto variamente discusse raggiunse l'Illuminismo e la Rivoluzione Francese conoscendo le donne dello spettacolo ostilità inaudite come questa nonostante le energie dispiegate da donne coraggiose ed in particolare Arcangela Tarabotti "suora veneziana" (nella sua opera La Semplicità Ingannata avvalorò con tanta documentazione i molteplici meriti delle donne e fieramente dannando la costumanza epocale delle monacazioni forzate, sì da sfidare strali disciplinari e inquisitoriali che in qualche modo in seguito si materializzarono, non solo elencò una serie di donne guerriere o comunque d'animo forte né inferiore a quello maschile ma addirittura in donne dell'antichità classica relegate al ruolo di scellerate o libidinose dalla propaganda maschile elencò pregi degni di ammirazione e difetti non dissimili da quelli degli uomini coevi = ed ancor più osò -cosa impensabile per una suora pur ribelle qual era- citò contro le migliaia di monacazioni forzate del suo tempo la saggezza degli antichi Romani per cui le SACERDOTESSE VESTALI ERANO SAGGIAMENTE CONTENUTE IN NUMERO MODESTO E SUPERATI I 30 ANNI POTEVANO ABBANDONARE LA VITA SACERDOTALE PER SCEGLIERE UN'ESISTENZA DA SPOSE E MADRI parlando poi anche di Amazzoni in apparenza quasi a rassicurare gli uomini sulla loro mitica realtà ma in effetti con una punta di malizia e quasi al punto da far pensare il lettore moderno che alla coltissima suora veneziana fosse giunta qualche
eco della loro individuazione nelle Americhe: cosa che avrebbe potuto esser non fine a se stessa ma in grado di sovvertire la granitica convinzione dell'universale superiorità dell'uomo sulla donna).
Donna indubbiamente straordinaria anche se sul tema dell'emancipazione donnesca qualcosa si era mosso già dalla Francia tre-quattrocentesca di Christine De Pizan che, con altre, riscattò Semiramide dall'oblio maschilista della perdizione ed ancor più si sarebbe mosso nei temi immediatamente successivi alla prematura morte della Tarabotti: ad esempio con la suora messicana Juana Inés de la Cruz -in italiano "Suor Giovanna della Croce" e soprattutto in forza della spregiudicatezza non priva di arguta sfrontatezza della Regina di Svezia Maria Cristina che - lasciato il Trono per via di abdicazione - molto, fra molte altre cose positive in vari campi, ottenne per le donne dello spettacolo ma non sino al punto che dopo la sua morte tutto ritornasse come prima e che l'esibizione femminile in Teatro fosse fortemente osteggiata a Roma.
Ritornando alla Vexata Quaestio della GLADIATRICI come meravigliarsi dunque se quel poco o no che di esse fu rintracciato nell'Occidente dell'immenso Impero di Roma sia andato in gran parte distrutto e disperso?: Se nel generale programma di subordinazione della donna all'uomo dal medioevo all'età intermedia (cui nei tempi più oscuri si giunse ad un sostanziale processo demonizzazione di alcune donne sotto forma di "Streghe" pur passandosi attraverso flussi e riflussi di intransigenza e maggior tolleranza sanciti per esempio nel periodo che corre dalla I alla II Caccia alle Streghe segnato da situazioni epocali ma soprattutto dall'Instructio e dalla "Congiura Centini avverso Urbano VIII) ancora rientravano postulazioni del XII secolo sul Canto Femmineo che corrompe l'anima e tenta il corpo al segno di difendersi da molti l'utilizzazione sulle scene di Evirati Cantori: cioè di giovinetti soggetti alla castratura per conservare da adulti voci femminee pare solo retorico chiedersi perché se tutto quanto fu possibile distruggere (dal lato monumentale, pittorico, archeologico) in merito alle GLADIATRICI possa esser andato scientemente distrutto!
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Nelle Vite dei Cesari Svetonio narra che l'imperatore Domiziano ha offerto venationes e spettacoli gladiatorii notturni, alla luce delle torce, comprendenti combattimenti tra gli uomini e anche tra le donne; Cassio Dione aggiunge che nei combattimenti notturni gettava talvolta nell'arena nani e donne uno contro l'altro. In base ai dipinti pare che le gladiatrici combattessero a torso nudo e che indossassero raramente l'elmo, a prescindere dalla figura gladiatoria rappresentata. Il fatto che il loro combattimento notturno coincidesse con gli eventi principali dei giochi è indice della possibile importanza o rarità delle gladiatrici.
Nel Satyricon di Petronio vi è anche un riferimento – basato forse su di uno spettacolo reale – ad un essedarius donna, o ad una che ha combattuto su di un carro in stile celtico.
La maggior parte degli studiosi moderni considera quello delle gladiatrici uno spettacolo originale, visti gli scarsi scritti su di esse, ma la scrittrice Amy Zoll osserva che il fatto che gli storici antichi che le menzionano lo fanno con tanta disinvoltura può suggerire che esse fossero "più diffuse di quanto le testimonianze dirette ci potrebbero altrimenti indicare". In un'iscrizione trovata a Ostia antica un certo Hostilinianus si vanta di essere stato il primo editor a portare le gladiatrici in città (vedi = CIL XIV, 04616)
Durante uno degli spettacoli offerti dall'imperatore Nerone apparvero uomini e donne, persino di rango senatoriale, sia nelle vesti di bestiarii che di gladiatrici. Lo stesso Nerone, ai giochi organizzati nel 66 d.C. da Patrobio a Puteoli, l'odierna Pozzuoli, per Tiridate I di Armenia, fece esibire nell'arena donne e bambini di colore, provenienti dall'Etiopia.
Oltre a Svetonio, delle gladiatrici impiegate da Domiziano ne parlano sia Marziale che Stazio.
Una ferma condanna contro le gladiatrici del periodo flavio e traianeo viene espressa nelle satire di Giovenale. Settimio Severo bandì gli spettacoli con gladiatrici intorno al 200 d.C., ma una successiva iscrizione rinvenuta ad Ostia antica concernente combattimenti femminili fa presumere l'inefficacia del bando.
[Prescindendo dalla valenza erotica di uno spettacolo da sempre sessualmente "pruriginoso" per il pubblico maschile (e pur in forme diverse reiterato, più o meno scopertamente sin alla nostra quotidianità: si pensi alle moderne lottatrici sexy del wrestling U.S.A., che sono ormai fenomeno planetario per quanto la finzione prevalga spesso sulla realtà: fatto non isolato ma coniugato con altre espressioni di varie forme di lotta fra donne, pubbliche e private, oggettivamente sportive e ben regolate quanto affidate all'estemporaneità spettacolare ma non sempre priva di violenza) i Romani, come tutti i Pagani, erano pur sempre coinvolti dal mito della Amazzoni (e delle sue molteplici correlazioni epiche e non, colte e letterarie o solo favolistiche quanto sempre coinvolgenti): mito che per quanto demonizzato dal Cristianesimo sopravvisse attraverso i secoli pur senza attestazioni storico-documentarie: al limite si parlò appunto in epoca cristiana di casi eccezionali, ed irregolari secondo le nuove costumanze epocali e soprattutto religiose, di "finte donne" praticanti la milizia sotto foggia di soldati: in pratica ermafroditi se non presunte tali (coincidenti anche col mai veramente discusso teorema del Tribadismo) o "donne che si fingevano maschi" come nell'assai controverso e supposto evento della "Papessa Giovanna" fin a quando con la scoperta del "Nuovo Mondo" poi Americhe non vennero descritte come realmente colà esistenti e dominanti da Fernando Consalvo D' Oviedo le "Donne Guerriere" dette quasi subito "Amazzoni" -sì che tale nome passò anche al Fiume sudamericano presso cui si estendeva il loro Dominio- della "Terra Onzonea": il D' Oviedo storico ufficiale della Spagna descrivendo le drammatiche avventure che ebbe il "Conquistador" Francesco d'Orellana inviato dal capitano Gonzalo Pizzarro a cercar rifornimenti narrò come il d'Orellana avesse avuto un durissimo scontro con quelle che gli Spagnoli chiamarono subito Amazzoni: donne arciere soggette ad un ricchissima regina che vivevano senza uomini, catturandoli solo per farsi ingravidare, uccidendo i neonati nel caso fossero stati maschi. La sensazionale scoperta suscitò in Europa tale scalpore che molti ne scrissero: non molto dopo questi eventi nel 1557, al ritorno da un viaggio in Brasile, l'esploratore André Thevet nel saggio Les singularitez de la France antarctique riprese il tema delle donne guerriere incontrate dagli Spagnoli: le Amazzoni del Sudamerica furono a volte rappresentate con la pelle bianca. Secondo Trevet, esse trattavano crudelmente i prigionieri che catturavano: li appendevano per una gamba al ramo di un albero, li uccidevano trafiggendoli con le frecce e bruciavano i loro corpi. A chiosa della sua narrazione Trevet affermò che ai tre tipi di Amazzoni descritti nell'antichità (Amazzoni di Scizia, d'Asia e di Libia) si venivano ad aggiungere così le Amazzoni del Nuovo Mondo di maniera che ciascun continente aveva le sue Amazzoni. Queste notazioni non mancarono di esser riprese dagli eruditi italiani tra cui merita una segnalazione particolare quanto ne scrisse Monsignor Geraldini che senza dubbio influenzò come qui si legge Angelico Aprosio "il Ventimiglia": nello Scudo di Rinaldo, I del 1646 (vedi Indice) l' ancor giovane e misogino quanto ambizioso Aprosio affrontò queste tematiche dimostrandosi informato sulle "Amazzoni della Terra Onzonea" appunto da lui conosciute o forse approfondite attraverso l'opera del Geraldini" e da controriformista affrontò in vari capitoli dell'opera le tematiche collegabili alla scoperta: - 1 - Se le donne siano atte a gli esercitij delle Armi... - 2 - Qual sia la cagione, che poche Donne attendono all'esercitio delle Armi, e delle Lettere - 3 - Se gli huomini in Donne, e le Donne in huomini possano trasformarsi sin a criticare apertamente, in conclusione, ogni alterazione della natura e del comportamento, biasimando (con quelle di certi uomini o meglio "transessuali"), al modo che scrisse in questo ultimo capitolo, il fatto che nella sua epoca Le Donne ancora nel vestire spoglia virile si son date ad intender con l'habito haver mutato natura aggirando, verosimilmente per una prudenza non dissimile da quella sopra descritta del Casali le postulazioni su "Giovanna d'Arco, combattente a cavallo vestita da guerriero di sesso maschile" ed anche su Maria Cristina di Svezia al tempo ancora Regina di Svezia ma sulle cui abitudini esistenziali e sessuali già s' erano accesi parecchi interrogativi, non escluso quello di non disdegnare affatto l' indossare abiti maschili e militareschi = vedi qui Cristina effigiata da soldato a cavallo: quasi ad avallare con un comportamento in certo modo "allegato" certe, già avanzate ma non prive di fondamento, osservazioni cortigiane sulle sue "ambigue" predilezioni sessuali. Tuttavia per un utile approfondimento sulle Donne Guerriere od Amazzoni della Terra Onzonea vedi vedi qui una cartografia antiquaria delle contrade parzialmente occupate dalla Amazzoni ai limiti esterni del potente "Regno di Quito" nella descrizione di Giovanni di Velasco) e per un ulteriore approfondimento leggi digitalizzata La Navigazione del Grandissimo Fiume di Orellana detto anche Maragnon e Rio delle Amazzoni / Lettera di Consalvo Fernando d'Oviedo Storico della Maestà Cesarea nelle Indie Occidentali al reverendissimo ed Illustrissimo Signore il Cardinal Bembo] .
Mark Vesley, uno storico della società romana, ipotizza che le scuole gladiatorie non fossero luoghi idonei per le donne, che possono avere studiato con dei tutors nei collegia iuvenum. Queste scuole erano dedicate alla formazione nelle arti marziali degli uomini dei ceti elevati di età superiore ai 14 anni, ma Vesley ha trovato tre diversi riferimenti a donne che l'hanno frequentata, tra cui una che è morta. In un'iscrizione si legge:"alle forme divine di Valeria Iucunda, che apparteneva al corpo degli iuvenes. Visse 17 anni e 9 mesi".
Uno scheletro femminile di epoca romana dissotterrato nel 2001 a Southwark, uno dei borghi di Londra, è stato identificato come quello di un gladiatore di sesso femminile per il fatto che, sebbene benestante, sia stato sepolto come un emarginato al di fuori del perimetro cimiteriale e avesse come corredo lucerne di ceramica raffiguranti Anubi, un'altra lucerna con una rappresentazione di un gladiatore caduto incisa su di essa e delle ciotole contenenti pigne bruciate di un pino collocato nella tomba. Gli unici pini dell'epoca in Gran Bretagna erano quelli piantati attorno all'anfiteatro di Londra, dato che le pigne di questa particolare specie venivano tradizionalmente bruciate durante i giochi. La maggior parte degli esperti ritiene l'identificazione errata, ma il Museo di Londra afferma che c'è "il 70 per cento di probabilità" che la donna dello scheletro sia stata una gladiatrice. Hedley Swain, capo del dipartimento di storia antica del Museo, ha dichiarato: "nessuna delle prove ci dice che sia stata una gladiatrice. C'è invece, semplicemente un gruppo di prove indiziarie che rende l'idea intrigante". Oggi è esposta alla fine della sezione romana del Museo di Londra.
Forse in merito alla rappresentazione figurata di una gladiatrice ha un certo credito la statua analizzata e reinterpretata da Sergiu Cristian Cindea in un suo saggio on line scrivendo "Recenti studi su una statua di bronzo appartenente alla collezione permanente del Museum für Kunst und Gewerbein di Amburgo hanno portato alla sensazionale ipotesi secondo la quale essa rappresenti un altro rarissimo esempio di raffigurazione delle donne gladiatrici. Finora, come si è scritto sopra, infatti, l’unica altra prova fisica della loro esistenza era un bassorilievo nella citta di Alicarnasso, oggi in Turchia. Inizialmente si riteneva che questa statua rappresentasse un’atleta donna con in mano uno strigile, un raschietto metallico utilizzato dagli atleti dell’antichità per rimuovere olio, sudore e polvere dal corpo. Questa tesi è stata recentemente considerata non valida per una serie di motivi: prima di tutto la posizione con il braccio alzato in segno di vittoria che ha fatto intuire che lo strumento impugnato fosse una sica (spada tracica a lama ricurva) e non uno strigile, inoltre si è considerato anche lo sguardo verso il basso a guardare verso l’avversario sconfitto, come in tutte le classiche rappresentazioni di gladiatori vincenti. Un ulteriore dubbio è venuto dall’abbigliamento: la donna della statua è, infatti, a seno scoperto, mentre nessuna atleta avrebbe mai gareggiato col seno in mostra, vista la rigida mentalità romana sul pudore femminile in pubblico. Ciò veniva accettato per gli schiavi o per chi si poneva al loro stesso livello gareggiando nell’arena, in virtù della loro bassissima condizione sociale. L’ultimo dettaglio chiave per la comprensione della reale identità della statua è la benda intorno a un ginocchio, che era un tipico segno di riconoscimento dei gladiatori". Fin qui la tesi a favore ma come spesso accade di fronte a reperti molto rari esiste la controparte, cioè la tesi conservativa che rimanda alla raffigurazione di un'atleta donna con in mano uno strigile notoriamente usato nelle Terme (presso cui non di rado sorgevano palestre e strutture sportive): siffatta considerazione, come avviene quando tesi diverse son messe a confronto, ha fondamenta solide, anche di natura iconografica attesa la rappresentazione mediamente conosciuta in merito ai gladiatori reperita da secoli dall'antiquariato; nulla vieta però di pensare che, data anche la povertà di testimonianze su gladiatrici ferma restando quella ortodossa ed indiscutibile di Alicarnasso, che la raffigurazione comporti delle varianti al momento sconosciute tenendo pur conto che nella catalogazione di statuette effigianti gladiatori come si vede nel Libro V del "Museo Cospiano annesso a quello famoso di Ulisse Aldrovandi" non possano comparire reperti di statue e statuette di gladiatori non proprio conformi -per varie motivazioni, anche connesse all'usura- alla tipologia al momento conosciuta [testo italiano elaborato, con varie integrazioni, da "Wikipedia, l'Enciclopedia Libera on line: voci distinte"]
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