cultura barocca
Clicca e volta pagina Come scrisse nelle sue "Lettere" qui digitalizzate Cortés restò impressionato dallo splendore dell'Impero Azteco di cui si soffermò a descrivere case e giardini [ In questa parte delle sue lettere il condottiero spagnolo cerca di dare un'idea generale dello splendore dell'Impero dei Mexica o Aztechi = qui in effetti in occasione del suo avvicinamento alla gigantesca capitale messicana parla dello splendore del Sito della città d'Itzapalapa coi suoi bellissimi palazzi, gli splendidi giardini ed un fantastico Belvedere quasi ad anticipare le meraviglie che avrebbe visto nella capitale imperiale che avrebbe raggiunto per via di una strada mattonata]. L'attenzione per i giardini era quasi naturale trovandovisi piante esotiche ignote all'Europa (per quanto poi destinate a diventare celebri, talora anche per la valenza alimentare) ma essendo prima di tutto destinate ad esser ospitate in giardini principeschi europei come autentiche rarità. Naturalmente l'indagine su questa "sconosciuta botanica" non si limitò alle conseguenze della scoperta di Colombo e neppure alle "Relazioni" sull'Impero "messicano" ma riguardò tutto il Nuovo Mondo, destinato ad una tragica conquista europea, estendendosi sino al Nord quanto soprattutto all'Impero Inca = furono parecchi però i casi in cui convissero incomprensione e timore avverso le piante esotiche e/o provenienti dal "Nuovo Mondo" od "America" = il caso della patata quindi quello del pomodoro [ per un approfondimento leggi qui: Da una malintesa etimologia e da una errata postulazione scientifica del botanico Dodoens i tanti pregiudizi contro il Pomodoro. = vedi anche però come con la finalizzazione della litoranea "Strada della Cornice" e della "Ferrovia Ventimiglia-Genova" l'agricoltura si evolva in attività commerciale da esportazione e in industria] ed in ultimo quello della china donde il chinino guardata a lungo tra timore e speranza a differenza dell'assai meno utile guaiaco erroneamente reputato una vera e propria panacea contro la sifilide. Del resto anche a livello di scuole mediche - medici e medicina (vedi indice) i contrasti erano notevoli a riguardo dell'uso di quelle che erano dette "piante straniere" vale a dire, perlopiù, le "piante del Nuovo Mondo": un caso emblematico è lo scontro tra il medico paracelsiano Zefiriele Tomaso Bovio e il Medico Razionale Claudio Gelli laddove il primo sosteneva nel suo Melampigo risposta alle obiezioni del Gelli qui del pari trascritte e multimedializzate l'uso delle "piante nuove" in antitesi con il secondo (N. d. R. = da A. Colin a P. Pomet si descrissero, specie a riguardo della farmacopea, le droghe del "Nuovo Mondo" con considerazioni interessante, seppur talora discutibili, in merito alla cultura delle sostanze allucinogene, sciamaniche e psicotrope anche del "Nuova Mondo" ) . I grandi viaggi oceanici portarono una attenzione su determinate piante, mediamente non necessariamente americane ma esotiche e già conosciute di cui si ebbe un uso rinnovato se non più accentuato e spesso modificato per le esigenze di scoperte, esplorazioni e soprattutto dei grandi traffici navali (si parla degli "agrumi" il cui contenuto di vitamina C era importantissimo per i lunghi viaggi in mare quale vitaminico ed antiscorbutico, specie sotto la forma poi elaborata dell'agro) mentre a livello di conquista spagnola dell'Anauhac o Messico altre piante, non ignote al contesto europeo, vennero in qualche maniera riscoperte = ad esempio il "cotone" (Gossypium L., 1753) è una pianta arbustiva appartenente alla famiglia Malvaceae, originaria del subcontinente indiano e delle regioni tropicali e subtropicali dell'Africa e delle Americhe: importata in Europa dagli arabi era tuttavia di importanza vitale in area mesoamericana e, tra i tanti usi, era utilizzata per rinforzare le armature dei soldati di rango e degli ufficiali dell'esercito azteco: certo non poteva fermare i proiettili o i fendenti delle spade di metallo ma gli effetti dovevano essere superiori al pensabile o quanto meno servire, in particolari condizioni, tenendo conto che anche gli spagnoli, pur dotati di corazze metalliche, se ne valsero per ricoprire le parti del corpo meno protette come qui si legge. Tra i testi seicenteschi della Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia specifici in merito alle "nuove" piante e colture "americane" son da menzionare pubblicazioni sul su Tabacco (volumi di autori vari), quindi su Cacao (volume di Antonius Colmenerus de Ledesma) ed ancora sul Chili - Mais (volume di Juan Eusebio Nieremberg) e finalmente sul Caffè (volume di Antonio Fausto Naironi). Ovunque ma soprattutto nella capitale imperiale azteca (vedi) attivissimo era il commercio di ogni sorta di prodotti, anche strani per un europeo del tempo = enormi erano peraltro i mercati della città come qui si legge e come sempre scrive Cortés seppur con alcune incongruenze pur se tante osservazioni sono non solo corrette ma utili come quelle in merito alla "contrada delle erbe", specie delle erbe medicinali vendute da appositi commercianti in qualche maniera "aromatarii" (le erbe aromatiche ed odorifere o quelle cui erano attribuite particolari valenze curative erano utilizzate dagli Aztechi nei " bagni a vapore " per cui da parte europea si tracciò, con loro sconvenienza, una costumanza parallela -pur non trattandosi delle Terme classiche- all'uso fattone da parte dei Gentili e quindi ripreso da Arabi e Turchi) ma anche in relazione alle locande e taverne, alle "aziende di trasporto con un fervore continuo di facchini ecc. ecc. senza però dimenticare il grande spazio del mercato dedicato alla vendita del mais (non escluse le varie forme di prodotto cotto e confezionato) e pure citando un edificio entro l'area del mercato con uffici, funzionari e guardie preposti a risolvere i contenziosi che evidentemente potessero insorgere in occasione di qualche difficile operazione di compravendita. Tuttavia il ventimigliese Aprosio, anche se ne ebbe contezza, non si soffermò ad esaminare questa varietà di prodotti e commercianti (nemmeno -fuori del discorso mercantile- indugiando a riportare, sempre che gli fossero giunte cosa non affatto improbabile, osservazioni sui preti e sacerdoti preposti oltre che al culto anche all'educazione dei fanciulli indugiando piuttosto quasi esclusivamente sui prodotti sopra menzionati = in fondo Aprosio era un biblifilo ed un letterato sicché nel contesto della "scoperta del Nuovo Mondo" si soffermò principalmente sull'esperienza letteraria rimase e incentrando la sua curiosa investigazione su una polemica davvero accesa quella tra G. B. Marino autore dell'Adone e il letterato di Matera T. Stigliani, non casualmente autore de Il Mondo Nuovo ma attivo nella "querelle" in forza del suo Occhiale, contro cui cui si collegò seguendo una vasta schiera di fautori dell'Adone, seppur tardivamente, il ventimigliese Aprosio chiaro sostenitore del marinismo ortodosso (ed una pianta medicamentosa il "Veratro" usato all'epoca contro la follia andrà poi a concludere la polemica antistiglianea dell'Aprosio sotto i titoli di Veratro I e quindi Veratro II quasi a dare del folle allo Stigliani inducendolo a curarsi per bene) tra le varie difese dell'opera del Marino, e contestualmente le critiche allo Stigliani, si soffermò in particolare su una contesa, tra i due, di ordine botanico. E tra le molte difese che "il Ventimiglia" organizzò in relazione all'Adone si allega " questo interessante discorso botanico dagli evidenti contenuti antistiglianei " (e non si dimentichi, come già scritto, che T. Stigliani editò un grande poema più aderente alla moderazione letteraria dall'emblematico titolo de Il Mondo Nuovo): il citato discorso di Aprosio risulta strutturato sulla scia delle discussioni in merito ad un fiore del "Giardino del Piacere", in Cipro, di Venere la Passiflora, vale a dire il "Fior della Passione" e/o "Granadiglia" che, in merito agli aspetti della querelle Stigliani-Marino sull'Adone, giammai, a giudizio del letterato di Matera, avrebbe dovuto trovarsi nel giardino di Venere nella mitologica Cipro, essendo invece pianta scoperta dai Gesuiti nelle Americhe ( Non bisogna dimenticare del resto che proprio a Siena (1628), Angelico, tra gli scaffali della libreria di Gian Paolo Ardoi, s’imbattè nell’ Occhiale di Tomaso Stigliani, il "famigerato libercolo" in cui il poeta e critico di Matera aveva raccolto vari rilievi critici al poema Adone di G.B Marino, l'autore già noto Aprosio ma divenuto proprio a Siena un autentico "mito letterario" del ventimigliese come per tanti altri e che, avendolo ben esaminato non poteva non aver constatato come nel suo Occhiale ed in particolare a pagina 41 in merito al Canto VI dell'Adone e specificatamente, tra i fiori, a riguardo della granadiglia) "Il Ventimiglia", da marinista ortodosso, giustificò almeno ad una lettura di superficie quale licenza poetica, riprovata solo dall'esasperato regolismo aristotelico stiglianeo anche se quel grande e moderno studioso dell'Adone che fu Padre Pozzi -anche sulla scorta di altrui scoperte- ha intuito una certa mariniana titubanza, "espressa sotto forma di concettoso interrogativo sulla sua reale presenza", nell'assegnare, tal fiore entro il mitologico "Giardino" quasi che il poeta ne avesse soppesata la portata concettuale, su un piano - sempre periglioso data anche l'epocale situazione- di messaggio teologico ma pure esistenziale e a dire la verità nemmeno privo di valenze pubblicistiche nel contesto dello scontro fra Cattolici e Riformati, specialmente attesa la sua peculiarità di esser "fiore" sospeso tra i distinti quanto contradditori richiami sia all'amor sacro che all' amor profano e lascivo (in effetti Aprosio aveva per sua parte sua aveva in qualche modo colte le osservazioni di Padre Pozzi e andava dando l'impressione d'aver colto il motivo profondo di simile incertezza del Marino anche se poi quasi preso dal timore di qualche critica ha eluso ogni riflessione per quanto concettosa onde pervenire ad una negazione radicale se non brutale della presenza del fiore nel "Giardino di Venere" con lo scrivere di seguito Non favello della digressione della Granadiglia, essendo spropositatissima: e tanto più che l'istesso Autore dice, che non v'era -proprio nello stesso Cap. VI alla riga VI dal basso di p. 56 della Sferza Poetica- attribuendo ingiustamente allo stesso Marino, destreggiatosi invece abilmente fra ipotesi diverse per trattare della splendida pianta pur dimostrando d'aver contezza della sua impossibilità a stare in tal luogo mitologico = le ragioni di questa ultima postazione aprosiana? sono difficile a dirsi, forse dipendenti da momenti distinti di composizione ma forse contestualmente dal fatto che, in un relativo spazio di tempo alcuni giudizi aprosiani venivano dissipati senza che l'autore, dopo tanta fatica, volesse distruggere quanto scritto in un periodo vicino ma antecedente: del resto può esser utile sapere che nel corso del suo giovanile soggiorno a Siena, peraltro coincidente con l'entusiastica scoperta del Marino Aprosio ebbe peraltro modo di frequentare l' Accademia degli Intronati che aveva assimilata quella dei Filomati ove conobbe l'erudito Cirino Santi che era figlio di un letterato spesso citato nell'adunanza vale a dire Gismondi Santi uno dei sillogisti della raccolta sulla Granadiglia o Passiflora del Parlasca (vedi) di cui resta questa lirica sulla Passiflora)

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