La Repubblica di Genova tra XVII e XVIII secolo, nonostante la storia gloriosa ed un ruolo economico ancora rilevante, costituiva ormai uno Stato secondario nello scacchiere europeo: tuttavia in quest’epoca il suo territorio, ed in particolare l’estremo ponente, finì per costituire un “banco di sperimentazione per i primi moderni conflitti planetari”, addirittura una “sorta di laboratorio” in cui si andavano comprovando le inefficienze delle vecchie tattiche e strumentazioni militari ed al contempo venivano acclarate le prime concrete prove dei successi resi possibili da rinnovate strategie, sostenute soprattutto da nuove armi, tanto micidiali da rendere possibile la concretizzazione di sempre più esaustive e fortunate attestazioni di “guerra mirata” o “chirurgica” che dir si voglia [armi da fuoco (artiglierie)
destinate a percorrere una lunga via sulla strada evolutiva specialmente dalla graduale evoluzione dei cannoni e dei relativi proiettili con un percorso tecnologico affatto semplice che comportò volta per volta nuovi perfezionamenti = dall'uso dei proiettili esplosivi ai cannoni del XVII secolo ad artigierie diversificate secondo l'uso e la tipologia degli scontri per poi giungere nel Regno sabaudo alla realizzazione (assedio di Torino del 1706) delle prime efficaci artiglierie a retrocarica = preludio dell'arma d'artiglieria o cannone da 12 che avrebbe spesso deciso le sorti delle battaglie a partire della sotto menzionata "Guerra di Successione al Trono Imperiale"]
Ed in merito a ciò il momento storico per eccellenza si deve collocare in rapporto, verso la metà del ‘700, ai fatti della Guerra di Successione al Trono Imperiale d’Austria allorquando, morto senza eredi maschi l'imperatore Carlo VI (20-X-1740), l'elettore e duca di Baviera Carlo Alberto e l'elettore e duca di Sassonia Federico III di Polonia non riconobbero valida quella Prammatica Sanzione (1713) con cui il defunto imperatore aveva designata sua erede la figlia primogenita Maria Teresa: in dipendenza di ciò venne a costituirsi una forte coalizione antiaustriaca appoggiata da Francia, Spagna e Prussia mentre Maria Teresa ottenne l'aiuto di Inghilterra e Piemonte.
La Repubblica di Genova, circondata da queste forze cercò inizialmente di conservare una neutralità che di fatto fu ripetutamente violata dal passaggio di eserciti nemici. Del resto a ben leggere l' Elogio della Serenissima Repubblica pronunciato il 19 luglio 1744 nella Cattedrale di San Lorenzo per l'elezione del nuovo Doge il gesuita Giovanni Granelli lasciava seppur confusamente intendere, fra i panegirici di rito, la preoccupazione per le nubi minacciose che si addensavano sull'Europa, compreso il fragile territorio repubblicano, geopoliticamente al centro di un conflitto destinato ad assumere connotati prima continentali e poi addirittura mondiali con il coinvolgimento delle Colonie del Nuovo Mondo.
Il conflitto, iniziato con l'invasione della Slesia, provincia imperiale, si protrasse sino al 1748 quando, col trattato di Aquisgrana, chiudendosi le ostilità, il trono imperiale [peraltro moralmente danneggiato più di quanto si creda dall' insurrezione di Genova (episodio del “Balilla”)] fu definitivamente riconosciuto a Maria Teresa mentre la Prussia ottenne l'ambita Slesia ed, al contrario, la Francia non godette di alcun particolare vantaggio od ingrandimento territoriale: in quest'epoca, in cui si fecero le "prove generali" per i futuri conflitti su scala europea ed in cui fu esperimentata l'efficienza delle moderne ed addestrate truppe, si rinforzò, invece, notevolmente il Piemonte (poi doviziosamente compensato col guadagno di territori in Lombardia) spesso vittorioso proprio sul fronte ligure –e cosa poco nota, in virtù di un' evolutissima artiglieria- sui Franco-Spagnoli [fondamentale al riguardo fu, sul fronte occidentale, la vittoria del 1747 all'Assietta = v. R. CAPACCIO-B. DURANTE, Marciando per le Alpi...., Gribaudo (Paravia), Cavallermaggiore, 1993].
Nei primi anni della guerra, ai tempi dell'avanzata dei Francesi e degli Spagnoli, che facilmente conquistarono Ventimiglia il Generale spagnolo Marchese Las Minas fu il vero "distruggitore" del Castello di Dolceacqua che, ad onta della pregressa fama quale roccaforte e della posizione strategica a controllo della valle del Nervia, costituiva ormai un sistema fortificato del tutto superato in quanto rispondente piuttosto ai criteri bellici del rinascimento. Il Marchesato di Dolceacqua, cui apparteneva il maniero, abbandonate certe reiterate ambiguità politico-diplomatiche aveva ormai abbandonata Genova, cui per tradizione appartenevano i Doria legandosi al forte Stato piemontese dei Savoia in dichiarata ed inevitabile espansione verso la costa ligure ponentina: e per conseguenza il castello, difeso mirando soprattutto alla protezione del ponte sul fiume e non delle colline circostanti, era diventato una testa di ponte sabauda ben avanzata contro la Repubblica di Genova ma, nel contingente storico, anche un pericoloso caposaldo austro-sardo gravitante contro le forze nemiche gallo-ispane che andavano concentrandosi nell’agro ventimigliese. Sui bastioni del grande fortilizio si potevano contare tre cannoni in bronzo, due "sagri" o "colubrine" (armi tipiche del XVI secolo che sparavano palle in ferro del peso di 12 libbre), un mortaio, quattro spingarde calibro 15, cioè una potenza di fuoco alquanto modesta a fronte dei tempi e delle innovazioni tecnologiche dei mezzi d’offesa. Gli uditori generali sabaudi prevedendo degli attacchi a questa principale difesa del Marchesato avevano allora fatto dotare il maniero di artiglieria pesante (purtroppo fissa e non quindi in grado di spostare il tiro su eventuali bersagli in movimento o siti fuori del suo raggio d'intervento) provvedendo pure all'eliminazione dei loggioni rinascimentali sì che il bel complesso era di fatto divenuto una fortificazione in cui avevano sede anche le aule del tribunale, delle carceri e dell'autorità sabauda come è annotato alla nota 23 di p. 67 del volume Marciando per le Alpi... .
Forte del suo ruolo di comandante dell'armata spagnola, per dare ai nemici in ritirata, a guisa di deterrente, una prova d'efficienza bellica (mentre si dava con 3670 soldati iberici al loro inseguimento sin alla sabauda Oneglia che prese ma dove però gli Austro-Sardi lo fermarono tenendo il controllo dell'entroterra) il Las Minas il 7-V-1744 ordinò ad una colonna di 800 uomini (forniti di una moderna artiglieria da campagna), proveniente da Sospeil, di calare su Dolceacqua e prenderne, anche distruggendolo, il castello a guardia della via del Nervia e difeso da una guarnigione di piemontesi al servizio del Sabaudo Conte Rivara.
Tre batterie di cannoni spagnoli, per un giorno e quasi indisturbate, bombardarono il Castello. Le batterie erano state ben disposte, in modo da sviluppare un micidiale fuoco incrociato: in effetti un’anteprima di “guerra chirurgica”, mirata a demolire rapidamente e con efficienza la basilare struttura bellica della località risparmiando per quanto possibile i bersagli civili.
I cannoni sparavano dall’alto sito del Convento dolceacquino, ove la colonna era giunta subito, e dalle postazioni, successivamente raggiunte, del monte Bottone e della chiesa di S. Giorgio: i
danni si rivelarono presto ingenti e lo stesso giorno dell'attacco (17 maggio 1744) il Rivara ritenne conveniente arrendersi adducendo anche i danni provocati ad alcune civili abitazioni dalle bombe che non raggiunsero il maniero. La presa del castello avvenne quasi subito senza spargimenti di sangue e senza saccheggi: secondo un nuovo rituale di guerra ispirato all’efficienza ed alla salvaguardia delle conquiste fatte (ed al riguardo una guarnigione iberica si sistemò entro il maniero onde prendere controllo formale e sostanziale del Marchesato).
Franco-Spagnoli ed Austro-Sardi si sarebbero poi ripetutamente contesa la base militare in un alternarsi di avanzate e fughe più o meno ragionate in funzione dell'importanza strategica degli itinerari che ad esso conducevano.
In tempi successivi ma sempre nel corso della guerra di successione al trono imperiale il re piemontese Carlo Emanuele III passando per Dolceacqua [momentaneamente ripresa] con 2000 soldati il 10 ottobre 1746, osservando i ruderi del castello dal sito del Convento di Nostra Signora della Muta (Mota), mentre prendeva una diramazione strategica per Ventimiglia e la strada del Roia, si rese conto della sua inefficienza (e quindi dell'inutilità di un possibile restauro) contro i moderni cannoni e decise di farlo smantellare come baluardo militare. Sapeva bene il condottiero piemontese che per la strategia del suo tempo erano necessarie, in quei siti, fortificazioni d'altura, certo meno pittoresche ma più efficienti e che egli fece lestamente realizzare dagli ingegneri di guerra Guibert e Rombò e che furono poi abilmente gestite dal condottiero germanico al servizio dei Savoia barone di Leutrum.
Questo episodio, per quanto calamitoso a riguardo delle genti del ponente di Liguria, comprovò a tutti, militari e non, di quanto la realtà degli eserciti fosse cambiata in forza di queste (ed altre) trasformazioni tecnologiche: a tal punto, data la crescente e micidiale efficienza delle forze armate, avevano quanto meno ragione d’essere le nuove norme dirigistiche atte a regolamentare tanto la vita militare quanto i mai facili rapporti dei soldati con le popolazioni locali sia che fossero amiche sia che costituissero terre invase: tutto ciò anche allo scopo di evitare devastazioni e saccheggi che, via via, con l'affermazione degli eserciti nazionali, risultavano anche estranei al foraggiamento delle truppe (fatte salve, nelle più drammatiche emergenze, requisizioni forzate, comunque da condurre sotto la guida degli ufficiali e nel rispetto delle consegne) sopravvivendo come forma indecorosa di sopraffazione ed arricchimento.
Non era trascorso molto tempo invero, i fatti risalivano al 1672 nell’ambito di un ennesimo conflitto tra Genova ed i Savoia, da quando le cose erano andate esattamente al contrario, alla maniera antica per intendersi, ed oltre che ai danni bellici i civili dell’area intemelia si erano dovuti piegare a peregrine violenze di soldati saccheggiatori.
La testimonianza più oggettiva dei fatti per quanto abbastanza scarna proviene da G. Rossi che nella sua Storia del Marchesato di Dolceacqua scrisse: Il generale genovese Prato partito da Ventimiglia il 10 ottobre [risalendo da Ventimiglia la valle del Nervia] assaliva il castello di Dolceacqua, nel quale con forte presidio erasi forticato il sabaudo Marchese di Entraque. Dolceacqua stava per cedere agli assalitori quando il Prato informato che un contingente nemico aveva assalito Penna e minacciava Ventimiglia, temendo di trovarsi rinchiuso fra due fuochi, ordinava una pronta ritirata. Ma era egli giunto appena nelle vicinanze di Camporosso, che si accorse di'essere inseguito alle spalle dai soldati, che egli avea resi liberi col partire; ed ordinato un alto, presso la chiesuola di San Pietro annessa al cimitero, aiutato di consigli ed opera da uomini di Camporosso, rosi da lungo astio contro quelli di Dolceacqua, fu in grado d'ingaggiare in favorevoli condizioni un'aspra zuffa contro gli assalitori. Durò essa accanita per più ore, volgendosi alla fine in aperto sbaraglio contrario ai ducali, che dovettero ritirarsi malconci, lasciando morti sul campo sessantasei di loro, oltre non pochi feriti e prigionieri".
Contrariamente alle aspettative di un uomo moderno il soccorso ottenuto per conseguire la vittoria non rese affatto riconoscenti od al limite meno feroci le truppe genovesi che si abbandonarono poi al saccheggio determinando una grave situazione economica per gli uomini di Camporosso, che, giammai ripagati dei danni patiti ad opera del Parlamento di Ventimiglia, si appellarono a Genova il 14-XII-1682 (sono introvabili le suppliche delle altre ville: B.DURANTE-POGGI, Storia della Magnifica Comunità degli Otto Luoghi, Bordighera, 1986, pp. 283 sgg.) portando avanti decisamente la scissione degli Otto Luoghi dal Capoluogo di Ventimiglia: era l’atto conclusivo delle enormi tensioni sussistenti tra i nobili del capoluogo che di fatto controllavano e gestivano il locale Parlamento a proprio beneficio o comunque a vantaggio della città con palese scapito dei ceti meno abbienti (un'insurrezione armata antinobiliare -di cui qui si propongono antiche relazioni- aveva già scosso Ventimiglia durante la I guerra contro il Piemonte nel 1625 quando i popolani trassero occasione di rivolta dall’inettitudine del patriziato locale e delle autorità genovesi per saccheggiare e perseguire i loro impauriti “padroni”): in particolare la miopia intellettuale ed amministrativa del gruppo magnatizio intemelio si abbatteva da sempre, sino al punto d’alienarsene ogni favore, sui residenti delle dipendenze rurali ad occidente della città, le così dette ville, che da tempo comunque si erano attivati presso la Signoria genovese per ottenere una separazione amministrativa da Ventimiglia.
La Repubblica (timorosa di tumulti a vantaggio del Piemonte e per questo motivo più o meno consapevolmente preoccupata dell'insorgere, in questa periferia strategica del Dominio, di espressioni destabilizzanti di violenza contadina e/o privata/locale, connesse magari allo sviluppo esponenziale di fazioni e parentelle ) emise, l'11-II-1683, un decreto per la separazione delle ville da Ventimiglia rispetto all' "economico": ferma cioè l'unità giurisdizionale di Ventimiglia e ville nel "Capitanato intemelio", si concedeva autonomia economica e fiscale ai borghi rurali (Camporosso appunto ma anche Bordighera, Vallecrosia, San Biagio, Soldano, Borghetto S. Nicolò, Vallebona e Sasso) di modo che gli introiti di tasse e gabelle riscosse nella loro giurisdizione amministrativa andassero a vantaggio delle comunità rurali. Onde gestire organicamente la non semplice questione il Senato ingiunse che, una volta divise ufficialmente le amministrazioni, si redigessero Capitoli per regolamentare separazione, reciproci carichi, obblighi ed introiti. Le ville accettarono di buon grado la divisione e subito nominarono propri deputati per seguire la procedura ma, prima di una esaustiva conclusione del contenzioso, passarono parecchi anni, tra confronti legali: le opposizioni erano mosse soprattutto da Ventimiglia abbastanza in crisi per la mancanza degli introiti fiscali delle ville, della vendita obbligatoriamente calmierata dei loro territori e soprattutto della mancanza di aree coltivabili, tenendo conto pure dei gravi danni causati da carestie e guerre. L' 1/ 2/ 1686 a Genova si comprovarono, finalmente, i Capitoli per le operazioni di divisione, con riferimento alla separazione economica per territori, stante onesta valutazione. Il 21-IV-1686, a Bordighera (nell' Oratorio di S. Bartolomeo) i deputati delle ville stesero un Documento che costituisce davvero l'elemento basilare per la loro autonomia amministrativa: era l’atto della “Separazione per l’economico delle ville da Ventimiglia e la loro istituzione nella Magnifica Comunità degli Otto Luoghi”.
Altro quindi che occupazione pacifica nel 1672!... le truppe genovesi, col loro saccheggio, avevano accelerato un processo a catena già innescato ma ancora languente e probabilmente dilazionabile nel tempo: i soldati di Genova impossibilitati a saccheggiare, come verisimilmente speravano, la nemica Dolceacqua (già legata ai Savoia le cui forze vi stanziavano) una volta rientrati in terra genovese si erano avventati sul patrimonio di coloro per cui combattevano ma che, contestualmente, li foraggiavano e li ospitavano.
Le truppe si erano comportate come accadeva nel passato ed al modo che avrebbe caratterizzato ancora il XVII secolo: il soldo ricevuto dallo Stato, per atavica tradizione, “doveva” esser rimpinguato con i frutti delle conquiste e, allorché queste risultavano infattibili, anche con la devastazione delle terre dello Stato per cui combattevano. Si trattava sia di soldati mercenari quanto di militi villani che andavano a comporre il variegato esercito ligure: e siffatta parcellizazione ed impermeabiltà dei corpi armati rendeva vieppiù problematico un generale, pronto e rigido controllo delle forze armate: oltre a ciò tra le milizie mercenarie risultavano arruolati, con genti liguri ed italiane, soldati tedeschi e feroci miliziani corsi che, per quanto o forse perché accorpati in autonome formazioni nazionali, vivevano in ostile distacco dai residenti civili e ben poco riguardo provavano per i beni di genti che sentivano a loro estranee per storia, costumanze e diritti. Siffatta convivenza per nulla era facile e comportava disordini non facilmente sedabili che, da tempo, andavano estrinsecandosi sotto varie forme di violenza dai duelli tra soldati a molteplici forme di angherie e sorprusi perpetrati a scapito di civili e persone inermi dell’uno e l’altro sesso difficili da reprimersi sia dalla giustizia centrale, e poi più specificatamente dalla Rota criminale, quanto più specificatamente dai Tribunali o Curie locali.
Una differenza corposa quindi anche per quanto concerne la correlazione delle truppe a riguardo della popolazione civile si evidenzia tra i fatti bellici, prima elencati, di metà ‘700 (che con la "Guerra di Successione al Trono Imperiale" segnano davvero la creazione dei "Nuovi Eserciti") e queste descritte scorribande di tardo ‘600: alcuni decenni, non certo una valanga di anni, avevano finito per determinare la creazione di “nuovi eserciti” non più, in maniera erratica, sotto il profilo disciplinare [come variamente qui scritto anche se non soprattutto per i rapporti con la popolazione civile specie ricorrendo le feste con tutti i loro "perigli" (come qui si vede) e specialmente dove numerosi erano i soldati come nelle Piazzeforti militari qual era Ventimiglia], governati dal capriccio o dall’arrendevolezza dei vari comandanti.
A Genova come in tutti gli Stati, sostanzialmente alle prese con identici problemi, l’attenzione prestata agli eserciti crebbe velocemente di rilievo: a fronte di continui contrasti e violente incomprensioni scatenantesi tra militari e civili non aveva più importanza l’efficienza di un reparto, le qualità di un capo, la ferocia di gruppi selezionati di militi, come i Corsi capaci di ogni sopportazione fisica e poi implacabili coi nemici.
Maturò ovunque dal '700 la consapevolezza che l’efficienza di un esercito non dipendeva solo dalle sue potenzialità offensive, specie se queste erano estremamente difficili da incanalare nel giusto ordine delle cose.
Le riflessioni giuridiche sul tema delle Disciplina dei soldati e del tema sempre scabroso dei rapporti delle soldatesche con la popolazione civile con il passar del tempo divennero numerosissime in previsione di interventi chiaramente urgenti onde frenare il crescere di varie forme di crimini ed abusi = del resto, attese le esigenze di approntare forze considerevoli, in ogni Paese, italiano ed europeo, l'apparato militare era ramificato con milizie nazionali e mercenari, spesso in conflitto tra loro, e comunque nel suo contesto convivevano, con la lealtà di tanti, la criminalità di non pochi ed anche forme di superstizione che inducevano diversi militi a delinquere sia per guadagno che per male azioni in combutta con figure variamente collegate alla pratica di "arti proibite".
Con evidenza assolutamente non risultava quindi più bastante, se mai lo era stata, nonostante la terribile apparenza la
Legge dello Stato detta anche Diritto del doppio Foro per le correlazioni con la Giustizia Ecclesiastica
che -ma specie a scapito dei più "deboli" come i "diversi", le "streghe", gli "eretici", gli "untori", gli "intellettuali dissidenti" come pure briganti da strada e criminali comuni magari efferati ma senza appoggi e soprattutto senza quella valenza socio-economica che permetteva di ricorrere all'ambiguo istituto della Restitutio e spesso eludere la giusta pena- si sublimava in questi terrificanti spettacoli di giustizia (vedi) registrati da quella
primitiva forma di giornalismo di cronaca nera che furono i "Fogli Volanti"
che andarono, assai più di quanto oggi si pensi, ad alimentare dal XIX sec.
la letteratura fantastica, l'horror e la futura giallistica come si evince dalla campionatura qui proposta
.
Tutto ciò in dipendenza anche della poca forza della polizia locale, cioè del bargello e dei suoi famigli o birri ma anche della giustizia centrale notoriamente già in difficoltà se non di frequente tenuta in scacco nel contrastare la delinquenza di strada e/o quella organizzata (vedi) ed in particolare quella delle potentissime fazioni e/o"parentelle" già rivelatesi in grado di controllare dei complessi demici come ad es. la Val Polcevera e Sestri Ponente.
Infinite speculazioni sul tema andarono di conseguenza a a riempire le pagine di tanti tomi di diritto penale ed in particolare si deve segnalare l’opera di Francesco Giuseppe De Angelis (Tractatus Criminalis. De delictis in tres parte divisus, Venetiis, apud Paulum Balleonium, 1705) illustre criminalista meridionale che nella seconda parte (Franc. Josephi De Angelis ... Tractatus criminalis de delictis pars secunda, in qua agitur de delictis propriis diversorum, ad proprium esse spectanctibus, vel ratione personae, vel muneris, seu proprii officii. Cum novo indice titulorum, ac rerum notabilium) di questo, all’epoca, celeberrimo lavoro e specificatamente al capo XXXVII svolse un’ampia dissertazione sui crimini perpetrati da soldati e miliziani (De Militum delictis eorumque Ducum, & aliorum Officialium necnon Ducum Campaneae & Circitorum poenis &c: clicca qui per leggerne il testo digitalizzato) proponendo le varie soluzioni di legge ed indicando le pene da comminarsi in rapporto alla tipologia ed entità dei reati perpetrati.
Sarebbe qui pretenzioso dire se ed eventualmente in che misura gli scritti del De Angelis abbiano influenzato la stesura dei regolamenti militari in merito soprattutto all’individuazione delle colpe, alle investigazioni, ai procedimenti avverso gli accusati ed alla sanzione delle pene. Certamente la portata del suo lavoro non dovette sfuggire agli estensori italiani degli “ordinamenti militari” e tantomeno agli ufficiali genovesi che si adoprarono alla formulazione di queste normative.
E del resto gli ufficiali incaricati di siffatto lavoro non poterono dimensionare nel solo campo dell’individuazione delle colpe e della loro repressione il proprio lavoro: furono obbligati a strutturare gli “Ordinamenti” in maniera variegata, sì che molteplici aspetti della vita militare, sia in guerra che in pace, venissero soppesati al fine ultimo di ingabbiare entro un sistema non solo di controllo disciplinare ma anche di organizzazione, esercitazione, vita di relazione gerarchica e non, conservazione dei patrimoni e via discorrendo. Il tutto al fine di rendere le forze armate delle realtà ben gestibili: anche per questo si impose la pubblicazione e la divulgazione dei “regolamenti” e, un po’ come avveniva con le grida, si ingiunse che le norme, periodicamente, venissero lette e rilette alla truppa schierata sì che nessuno potesse appellarsi, a guisa di difesa, all’ignoranza degli “ordinamenti” finendo con il cercare giustificazione e scuse per un comportamento antisociale storicamente innervato su quella tradizione militare che della licenza e dell’arbitrio aveva finito per fare un assioma comportamentale.
L’analisi dei settecenteschi “ordinamenti militari di Genova”, a questo punto, risulta utile di per se stessa quale recupero di una documentazione importante quanto poco nota e, contestualmente, date le convergenze contenutistiche tra questi statuti (anche tra quelli italiani e stranieri) siffatta analisi può giovare a comprendere la portata di quella grande rivoluzione che, in forza di queste normative, determinò la costituzione anche giuridica degli eserciti moderni.
In merito a Genova, ferma restando la presumibile laboriosità del Governo in tutte le sue emanazioni dalla Camera, al Senato, ai Collegi ed ancora ai Consigli per giungere al basilare Magistrato di Guerra (se vogliamo una sorta di Ministero di Guerra), la finalizzazione degli “Ordinamenti Militari” si data dal 1710 con la stesura de gli Instituti e ordini militari da osservarsi dalle truppe della sereniss. Republica di Genova registrati per ordine dell'illustriss. sig. Pietro Maria Gentile, generale e commissionato dall'illustriss. et eccellentisii. magistrato di guerra dal colonnello Lorenzo Maria Zignago, Genova, Antonio Scionico, 1710.
Per effetto di una sequela di innovazioni, di decreti, grida e bandi scaturiti nel tempo, in rapida successioni, tali Ordinamenti ebbero in realtà vita breve e presto furono surrogati da una rinnovata proposizione a stampa titolata Instituti et Ordini Militari da osservarsi dalle Truppe della Serenissima repubblica di Genova stabiliti et deliberati dall’Illustrissimo et Eccellentissimo Magistrato di Guerra et ancora approvati da Serenissimi Collegi per loro Decreto de 22 Genaro 1722 formati dal Colonello Lorenzo Maria Zignago, stampati l’anno 1710, e di nuovo ristampati l’anno 1722, in Genova, per Gio. Battista Casamara, nella Piazza delle cinque Lampade.
CLICCA QUI SUI SOTTOSTANTI COLLEGAMENTI PER ACCEDERE ALLE DISTINTE VOCI DEGLI "STATUTI MILITARI DELLA REPUBBLICA DI GENOVA" DETTI ANCHE DALL'ESTENSORE "STATUTI DEL COLONNELLO ZIGNAGO" E QUI PROPOSTI, PER VIA DI COMPARAZIONE TIPOLOGICA, COME EMBLEMATICI DEI PROVVEDIMENTI DI TUTTI GLI STATI, ITALIANI ED EUROPEI, PER REGOLAMENTARE LA DISCIPLINA DEI SOLDATI A PARTIRE DAL XVIII SEC.
1 - TESTO GENERALE DELLE VARIE PARTI DEGLI "ORDINAMENTI MILITARI"
2 -APPROVAZIONE DEI SERENISSIMI COLLEGI E INTRODUZIONE
3 - DELL'ARRUOLAMENTO DEI SOLDATI
4 -"DELL’ESERCIZIO E DISCIPLINA DELLA SOLDATESCA"
MANOVRE, EVOLUZIONI, PARATE, USO DELLE ARMI ECC. ECC.
5 - OBBLIGHI DEGLI UFFICIALI
6 - DISCIPLINA MILITARE - NORME - REATI - PENE
7 -INDICE DEL GOVERNO DELLE PIAZZEFORTI E DELLE FORTEZZE
8 -INDICE DEGLI ONORI MILITARI DA ATTRIBUIRSI ALLE VARIE AUTORITA' IN VISITA A FORTEZZE E PIAZZE MILITARI
9 -IL REGGIMENTO GENOVESE: SUA DISCIPLINA E DIREZIONE TRA XVII -XVIII SECOLO SECONDO QUANTO REDASSE, CON APPROVAZIONE DEL MAGISTRATO DI GUERRA DEL 3-II-1719 IL COLONNELLO ERCHISIA NEL SUO REGOLAMENTO PER LA DISCIPLINA E BUONA DIREZIONE DE REGIMENTI STAMPATO ASSIEME AGLI STATUTI MILITARI DELLO ZIGNAGO
10 -"LE GERARCHIE DELL'ESERCITO DI GENOVA"
* - DAL "SERGENTE GENERALE" (COMANDANTE SUPREMO DELL'ESERCITO) AI SOLDATI SEMPLICI = ELENCO RAGIONATO
Sull'opera si può tuttora leggere di Gianni Rapetti un saggio on line ( Una esatta disciplina. La giustizia militare al tempo del Re Sole: il caso dell’esercito genovese ): con diligenza e concisione l’autore analizza, dal volume del 1722 individuato presso la genovese civica Biblioteca Berio, la parte relativa all’apparato delle pene, che elenca con una certa minuteria le colpe dei soldati delinquenti e ne indica le pene. Questa è forse la parte più coinvolgente del testo ma ne costituisce soltanto un settore: al fine di analizzare compiutamente gli
“Ordinamenti” e di inquadrarne, in modo competente, la significanza e la valenza qui sopra per la prima voltane è stato riprodotto il testo integrale (da esemplare di biblioteca privata) dper via di un’edizione critica, che fonda la sua sostanza sulla stretta correlazione tra il testo stesso degli statuti (riprodotto salvo qualche aggiustamento in via grafica conservativa) ed il susseguente, glossario che non costituisce solo esplicazione dei contenuti testuali ma che, più esaustivamente, ne interpreta ed inquadra moltissimi punti, in linea diacronica quanto sincronica, in correlazione sia alla realtà guerresco-militare quanto al portato sociale ed economico della repubblica genovese.
E di più, Mutatis mutandis, assodata la convergenza contenutistica di siffatto genere di statuti (in maniera sorprendente gli Articles of War del Duca di Marlborough, hanno punti di convergenza con questi ordinamenti genovesi: per esempio in merito al trattamento dei “soldati rei di blasfemia” od a quelli “rei di stregherie” nonostante si trattasse di normative appartenenti a contesti religiosamente diversi) è innegabile che la decrittazione di siffatta normativa militare genovese può concorrere, a guisa di campionatura, nel vagliare come nel XVIII secolo pressoché ovunque, fatte salve distinzioni locali, in linea di massima interagissero analogamente esperienze militari, vita sociale, giurisprudenza, postazioni ecclesiali: e tra queste -a riprova di siffatte riflessioni- nel sancito rispetto della popolazione civile, un articolo specifico, vale a dire l'
ARTICOLO 35 CONCERNENTE FRA L'ALTRO IL CRIMINE DI STUPRO
che costituisce un indubbio progresso in merito ai reati di
STUPRO (VIOLENZA SESSUALE) E SPECIFICATAMENTE IN RELAZIONE AL TERRIBILE STUPRO DI GUERRA E/O STUPRO ETNICO
anche se occorre sempre rammentare come la radicata conservazione della valenza giuridica propria del diritto intermedio del principio di
**********RESTITUTIO O RISARCIMENTO**********
(COMUNQUE APPLICABILE COME QUI SI LEGGE PER OGNI GENERE DI REATO)
NE ATTUTISSE LA VALENZA E POTESSE MITIGARE LA GRAVITA' DELLA PENA SPECIE SE COME QUI SI PUO LEGGERE LA VIOLENZA CARNALE O LA MOLESTIA FOSSE STATA PERPETRATA DA UFFICIALI O COMUNQUE DA PERSONALE MILITARE DI VALENZA SOCIO ECONOMICA SUPERIORE.
Di conseguenza risulta evidente che molto si sarebbe dovuto ancora fare anche se la strada era oramai stata indicata.
Dopo l'ILLUMINISMO, la RIVOLUZIONE FRANCESE (che per strano che sembri ha nella GHIGLIOTTINA O "MORTE DEMOCRATICA" UNA DELLE SUE ICONE IN MERITO ALL'UGUAGLIANZA DEL CITTADINO DI FRONTE ALLA LEGGE) e dopo, è giusto dirlo, le POSTULAZIONI AVVERSO LA VECCHIA LEGGE E LE SUE FORME INQUISITORIALI DI CELEBRI ILLUMINISTI ITALIANI
Una via di svolta definitiva sul tema si sarebbe avuta solo solo con l' AVVENTO DI NAPOLEONE I e grazie al fatto che, per quanto rallentati, tali progressi non si arrestarono che parzialmente dopo LA "RESTAURAZIONE DI VIENNA" CHE PURE UMILIO' LA REPUBBLICA DI GENOVA SANCENDONE LA CANCELLAZIONE E L'ASSIMILAZIONE ENTRO LO "STATO SABAUDO".
Tra i vari ORDINAMENTI MILITARI FATTI REDIGERE DAL RE DI SARDEGNA CARLO FELICE (QUI TRASCRITTI INTEGRALMENTE) merita nel dettaglio del tema qui esser citato il REGIO EDITTO PENALE MILITARE DEL 1822 e in particolare quanto sancito dagli articoli concernenti i DELITTI CONTRO LE PERSONE E LE PROPRIETA' PUBBLICHE O PRIVATE (CAPITOLI 178 - 191)
E nonostante questo ancora MOLTO SI SAREBBE DOVUTO FARE CONTRO L'OSCURANTISMO sin oltre la RAGGIUNTA UNITA' D'TALIA passando anche attraverso la revisione ed uniformazione dei CODICI PENALI CON CONSEGUENTE REVISONE ANCHE DEI CODICI MILITARI.
Che lo Zignago abbia redatto il suo lavoro occhieggiando verso consimili scritti di altri Stati lo si intuisce proprio dalla sua registrazione e sottolineatura di alcune divergenze tipicamente “genovesi” come quando nella prima parte del lavoro, in merito al Cap. V o Delle Evoluzioni, l’ufficiale genovese annota “Ancorche restino obolite in molte parti l’Evoluzioni, che si praticavano gl’anni passati, si considera esservene molte le quali sono essenziali ne nostri Territorii angusti e siti montuosi, per tanto s’incarica a’ Sergenti Maggiori, a’ Capitani, e a’ tutti gl’altri Ufficiali, a’ quali spetta di disciplinare la Soldatesca, d’insegnarle le seguenti, come sono espresse nella presente Instruzione…”.
Gli Instituti et Ordini Militari del 1722 sono un volume in 8° di 14 e 272 pagine. Le prime 14 pagine (non numerate) sono occupate dal frontespizio (cui segue una pagina bianca), dalla Approvazione De Serenissimi Collegi (p.3 - 6), dall’ Introduzione (pp.7 – 8), dall’ Indice De Gli Argomenti di ciascun capitolo (pp. 9 – 14). Il testo vero e proprio inizia dalla pagina numerata 1 e si conclude alla pagina numerata 272: esso risulta distinto in III parti.
La I parte che tratta dell’arruolamento dei soldati, del governo delle truppe ha particolare significanza in merito al capitolo III (Dell’Esercizio e Disciplina della Soldatesca), capitolo IV (Del maneggio del Fucile e Bajonetta), capitolo V (Delle Evoluzioni): dopo la fine del capitolo IX segue un Ristretto delle pene imposte a Soldati rei o complici degl’infrascritti delitti da leggersi ad ogni Soldato arrollato di nuovo e ad ogni Compagnia una volta il mese (pp. 71 - 108) cui succede (pp. 109 - 115) un Estratto della Grida publicata concernente la facoltà conferita e confermata dall’uno e l’altro Consiglio della Repubblica Serenissima al Magistrato di Guerra, per punire coloro che assolderanno gente in questo Serenissimo Dominio per condurla fura Stato, & altri, che in qualonque modo dessero aiuti a questi tali.
La II parte del volume (pp. 117 – 210) detta invece esplicitamente "Del Regolamento e buona Disciplina delle Piazze, Fortezze, Forti, Ridotti di questo Serenissimo Dominio compreso la Corsica".
La III parte (pp. 211 – 272) sostanzialmente è deputata a precisare i rapporti sussistenti fra i vari gradi dei componenti dell’esercito (comprese le attestazioni d’onore da farsi reciprocamente e/o a pro di varie cariche dello Stato): a conclusione risulta trascritto il Regolamento per la Disciplina e buona Direzione de regimenti presentato dal Colonnello Erchisia e approvato dal Magistrato Eccellentissimo di Guerra li 3 di Febraro 1710 (pp. 232 – 272).
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