Daniel Georg Morhof ( nato il 6 febbraio 1639 in Wismar , morto il 30 luglio 1691 a Lubecca ) letterato e storico gli dedicò poi una breve silloge di epigrammi per la perdita di alcune sue produzioni poetiche.
Bauhuis Bernard, gesuita e poeta neo latino tedesco vissuto tra il 1575 ed il 1629.
Balde, Jakob: scrittore tedesco (Ensisheim, Alsazia, 1604-Neuburg 1668). Gesuita, fu professore di retorica a Monaco, Innsbruck e Ingolstadt, quindi storiografo alla corte bavarese e predicatore di corte a Neuburg. È il maggiore lirico latino dell'età barocca in Germania, tradotto in tedesco da Andreas Gryphius e altri e ammirato da Johann Herder. Scrisse anche una Batracomiomachia (1637), un Poema de vanitate mundi e alcuni drammi edificanti; la sua produzione lirica è raccolta in Lyrica (1643), Silvae lyricae (1643-46) e nelle Odae partheniae in lode di Maria (1648).
I Lirici cui allude in modo piuttosto generico Aprosio sono invece più esattamente di Balde, Jakob l'opera Sylvarum Libri 7, Monachii : Apud Heredes Cornelii Leyserii, 1643 - 221 p. ; 13 cm. - Num. rom. nel tit - Impronta - usu- s.e, t:s, GRIp (3) 1643 (R) - Paese di pubblicazione: DE - Lingua di pubblicazione: lat. - Localizzazioni: Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano
- Biblioteca del Seminario Vescovile - Bedonia - PR
Nella C.B.A. si trova comunque questa bella OPERA del Balde (non è l'edizione originale, si tratta di una ristampa), dal titolo per esteso De eclipsi solari anno MDCLIV die XII augusti in Europa a pluribus spectata tubo optico: nun iterum a Jacobo Balde e Societate Jesu tubo satirico perlustrata, Monaco 1662: l'eclissi del 12/VIII/1654 fu un fenomeno reale, variamente interpretato, ed il Balde ne analizzò l'apparizione non tanto da astronomo, cosa che per nulla era, ma da moralista e buon autore satirico.
Beroaldo, Filippo il Giovane
umanista italiano (Bologna 1472-Roma 1518). Nipote di Beroaldo il Vecchio, insegnò a Bologna e poi all'Archiginnasio di Roma. Segretario di Leone X, fu da lui nominato nel 1516 prefetto della Biblioteca Vaticana. La sua fama è legata alla pubblicazione (1515) dei primi sei libri degli Annales di Tacito; ma è rivalutata anche la sua poesia in latino: gli Epigrammata, di sapore catulliano, e i Carmina, che, riecheggiando per la prima volta nel Rinascimento la lirica oraziana, offrono nel contempo preziose informazioni sulla vita della Roma papale nel primo Cinquecento.
Beroaldo il Vecchio: umanista nato a Bologna nel 1453 e morto nella stessa città nel 1505. Ricevette un’accurata formazione classica con il parmense Francesco Puteolano. Nel 1472 assunse la cattedra di poetica e retorica allo Studio di Bologna. Si trasferì a Parma e poi a Parigi, dove rimase una anno. Tornò poi a Bologna nel 1479, dove riprese l’insegnamento presso lo Studio, che continuò fino alla morte. Sposò nel 1498 Camilla di Vincenzo Paleotti. Divenne famoso come filologo e ricevette riconoscimenti da parte di umanisti come Poliziano , Ermolao Barbaro , Giovanni Pico della Mirandola . Tra le opere ricordiamo la Oratio proverbialis (Bologna, 1499), i Commentari su Apuleio e la Declamatio philosophi medici, oratoris de excellentia disputantium. Le lettere sono prevalentemente inedite.
Severino, Marco Aurelio:
TOMMASO MORO Nome italianizzato dell'umanista inglese Thomas More, magistrato e gran cancelliere d'Inghilterra (Londra 1478 - ivi 1535).
Nicolas de Bourgogne
(1586-1649) anche noto con il nome latinizzato in Nicolaus Burgundius fu
giureconsulto noto anche per aver compilato una fortunata Historia belgica ed esercitò il suo insegnamento all'Università di Ingolstadt.
Molti suoi scritti sono di ordine professionale, giuridico ed anche storico: Aprosio, dimostrando una capacità di investigazione non comune, qui si riferisce ad una serie di elegie latine che il Burgundius aveva composto per una sua opera introvabile al momento in Italia ed in molti paesi stranieri ma presente alla British Library londinese e precisamente la pubblicazione
Nicolai Burgundii ... Poemata,,
Apud G. Lesteenum: Antuerpiae, 1621.
pp. 190. - 12º
RADER, Matthaeus, gesuita, filologo e storico nato nel 1561 ad Innichen (Südtirol) e morto il 22 dicembre 1634 a Monaco di Baviera.
FREINSHEIM [FREINSHEMIUS], JOHANN: classicista, filologo e critico nato ad Ulm il 16 Novembre 1608. Dopo gli studi universitari tenuti a Marburg, Giessen e Strasburgo si recò ad approfondire la propria cultura in Francia ove soggiornò per alcuni anni.
Vias, Balthasar de (con il nome latinizzato in Viassius): l'opera cui allude Aprosio non si è rinvenuta al momento secondo l'SBN italiano. Una copia si è individuata alla Biblioteca Nazionale di Parigi:
Dempster, Thomas:
Letterato, professore, autore nato a Cliftbog, Scozia, il 23 agosto 1579; morto a a Bologna il 6 settembre 1625: figlio di Thomas, Barone di Muresk, Auchterless e Killesmont, Aberdeenshire e di Jane Leslie, sorella del Barone di Balquhain.
Rosinus, Iohannes nome latinizzato
di Johann Roszfeld storico ed antiquario tedesco nato
ad Eisenach in Turingia nel 1551 e che insegnò a Ratisbona prima di dedicarsi esclusivamente all'attività di predicatore.. L' Antiquitatum Romanarum corpus costituisce la sua opera più rilevante.
Cabilliau, Baudouin (col nome latinizzato spesso in Cabillavus), gesuita, storico e filologo nato ad Ypres nel Belgio l'anno 1568 e morto nel 1652.
CURZIO RUFO QUINTO:
storico romano, intorno alla cui vita non abbiamo notizie e di cui è discussa la cronologia.
Infatti alcuni, ed è l'opinione più probabile, lo riferiscono all'età di Caligola o di Claudio, altri lo riportano con qualche fondamento di ragione al tempo di Vespasiano (Stroux), altri lo posticipano all'epoca di Traiano e della rinascita imperiale, o lo fanno anche molto posteriore, assegnandolo perfino al sec. IV: ma questa pare opinione assurda. Fu identificato con il Curzio Rufo ricordato da Plinio e da Tacito, che da umili origini salì al consolato e al governatorato della provincia d'Africa; ma sembra più probabile l'identificazione dello storico con il retore Curzio Rufo di cui parla Svetonio, collocandolo in ordine cronologico fra Porcio Latrone e Valerio Primano. Nessuno degli antichi ci ha tramandato notizie su di lui, ed egli stesso non ama parlare di sé, né dei tempi in cui visse; d'altra parte essendo la sua opera mutila dei primi due libri, ci mancano quelle parti proemiali in cui di solito si trovano elementi utili alla biografia.
Sotto il suo nome ci è pervenuta in un codice carolingio (mutilo, come già detto) una Storia di Alessandro Magno in dieci libri, scritta nello stile e nella lingua del sec. I dell'impero. L'opera, che tradisce un fine moraleggiante ed educativo (oltreché narrativo), è condotta nei canoni della scuola retorica dell'epoca, la quale si era impadronita della figura di Alessandro per adattarla e piegarla alle proprie tesi e dimostrazioni didattiche. Su questo sostrato s'inserisce il filone romanzesco e avventuroso, con ricerca del coloristico, del patetico e del meraviglioso; l'autore bada all'effetto, si compiace di contrasti drammatici, e dà una narrazione in complesso ricca, colorita, immaginosa, dimostrando buone qualità come narratore. Sua fonte principale è Clitarco; non mancano tracce di uno scrittore competente di cose militari, forse Tolomeo di Lago; a questi elementi di derivazione, Curzio Rufo aggiunge qualche nota personale nel delineare il carattere di Alessandro, del quale sente il fascino e fa in sostanza l'esaltazione, pur ricordandone i vizi e gli eccessi.
[GIUSEPPE CORRADI da "NOVA - UTET" ]
Macrobio, Teodosio Ambrosio:
scrittore latino nato attorno al 360 di origine africana o greca; la sua attività letteraria perdurò fino ai primi decenni del sec. V.
Fece parte dell'ambiente pagano di Simmaco e di Nicomaco Flaviano e appartenne alla classe aristocratica senatoria ricoprendo la carica di funzionario imperiale in Spagna e in Africa. Grammatico, compose un De differentiis et societatibus Graeci Latinique verbi, pervenutoci frammentario, sulle divergenze e similarità del greco e del latino, dimostrando un'approfondita conoscenza delle due lingue. Scrisse anche i Commentarii al Somnium Scipionis di Cicerone, in due libri, procurandosi il merito di avere conservato e tramandato questa parte del VI De re publica, mentre il rimanente andò perduto. Le riflessioni di Macrobio sulla cosmologia, sull'anima e sulla divinità rivelano una impostazione di pensiero decisamente platonica; i Commentarii costituiscono infatti uno dei riferimenti precipui per l'approfondimento delle dottrine platoniche fino al sec. XII. Un'altra opera di Macrobio suscita interesse per la riproduzione dell'ambiente culturale dell'età basso imperiale, i Saturnalia, in sette libri, dedicati anch'essi, come i Commentarii, al figlio Eustachio. La forma in cui è ideato il testo è quella dialogica conviviale, sul genere del Simposio di Platone, dei Saggi a banchetto di Ateneo, del Simposio dell'imperatore Giuliano. Macrobio immagina che durante i tre giorni festivi dei Saturnalia, intorno al 380, si imbandissero grandiosi banchetti con finalità di erudizione nelle case di noti personaggi della cultura: tra i più celebri interlocutori figurano Vettio Agonio Pretestato, volgarizzatore di testi latini e greci, Q. Aurelio Simmaco Virio, Nicomaco Flaviano, il retore Eusebio, i filosofi Oro ed Eustazio, il medico Disario, Avieno, Cecina, Rufio Albino ed altri. I dialoghi assumono la veste di vere e proprie discussioni sulle conoscenze, le ideologie religiose, il concetto del mondo dei vari personaggi, senza seguire un ordine prestabilito, ma toccando tutti i punti della cultura tradizionale: nel libro I si disserta sugli antichi culti italici; nel libro II si ricordano sentenze proverbiali famose; nel libro III l'attenzione verte su Virgilio che perdura come argomento fulcrale dei libri III e IV; la dietologia e l'igiene alimentare insieme ad altre nozioni mediche chiudono l'opera. I Saturnalia presentano lacune nei libri II, III, IV e il VII è mutilo della parte finale. Virgilio è comunque l'argomento dominante; dalla poesia e dal pensiero del mantovano prendono le mosse disquisizioni di poesia, di retorica, di filosofia, di diritto; obtrectator Vergilii viene dipinto Evàngelo, mentre il giovane Servio è uno degli interlocutori che chiarisce passi oscuri della lirica virgiliana. Ancora una volta, anche con Macrobio, si assiste a una celebrazione del passato della grande cultura tradizionale e, conseguentemente, a una certa chiusura di orizzonti per il presente ed il futuro i cui tempi sono in netta evoluzione e in visibile cambiamento rispetto all'età classica.
[SANDRA ISETTA da "NOVA - UTET"]
Eliano:
Eliano , Claudio, il Sofista Erudito e filosofo (Preneste ca. 175 - Roma ca. 235).
Visse a Roma sotto il regno di Caracalla e di Alessandro Severo, e fu discepolo del sofista Pausania. Studiò eloquenza e conobbe così profondamente la lingua greca da scrivere le sue opere in un greco attico manierato e con pretese di eleganza, che piacque molto ai suoi contemporanei. Di Eliano ci sono pervenuti una Perì zoon idiòtetos (Sulla natura degli animali) e due dei 14 libri che componevano la Poikìle historìa (Storia varia), una raccolta di notizie di storia naturale e di aneddoti su figure storiche e mitiche.
[GIACOMO SASSO da "NOVA - UTET" ]
Elmenhorst, Geverhard, filologo ed editore critico. Ecco le sue opere rinvenute nelle biblioteche italiane secondo lo schema informatico SBN:
Andriani, Giovanni Battista [gesuita, corrispondente dell'Aprosio, conosciuto nel contesto dell'Accademia dei Filomati di Siena: all'Andriani l'erudito intemelio dedicò un capitolo dello Scudo di Rinaldo], Paradisus voluptatis euersus, siue de Christi Domini cruciatibus. Oratio Io. Bapt. Andriani Soc. Iesu habita in sacello pontificum Vaticano ..., Romae : typis haeredum Francisci Corbelletti, 1643 - 11, 1 p. ; 4o - Segn.: A8 Stemma del dedicatario cardinale Marco Antonio Franciotti sul frontespizio - Impronta - m&pe I.S. stus ase- (C) 1643 (A) - Paese di pubblicazione: IT - Lingua di pubblicazione: lat. - Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
-CIMITERO - CIMITERI (EPOCA ROMANA: NECROPOLI - INUMAZIONE - INCINERAZIONE - MUMMIE E MUMMIFICAZIONE - RITI FUNEBRI > DAL TESTO GUIDA SEICENTESCO DI G. B. CASALI)
Heinsius, Daniel <1580-1655>,
Laus asini. In qua, praeter eius animalis laudes ac natura propria, cum politica non pauca, tum nonnulla alia diuersae eruditionis, asperguntur. Ad senatum populumque eorum, qui, ignari omnium, scientias ac literas hoc tempore contemnunt,
Lugduni Batavorum : ex officina Elzeviriana, 1623
- 8, 222 i.e. 224 p. ; 4o
- Per il nome dell'A., Daniel Hensius, cfr.: A. Willems, Les Elzevier, p. 60, n. 215
- Marca (Il Solitario. Uomo sotto albero: Non solus) sul front
- Segn. *4 A-2E4
- Ripetute nella numerazione le p. 120-121
- Impronta - umem ern- t,in toqu (3) 1623 (R)
-Paese di pubblicazione: NL
-Lingua di pubblicazione: latino
-Localizzazioni: Biblioteca civica - Mondovi'
- Biblioteca nazionale centrale - Firenze
- Biblioteca nazionale Braidense - Milano
- Biblioteca Palatina - Parma
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca nazionale Marciana - Venezia
-CAPELLI - ACCONCIATURA DEI CAPELLI (CURA - MODE - PETTINATURE - TINTURE - POSTICCI - PARUCCHE IN EPOCA ROMANA)
Buzzaccarini, Antonio <1578?-1634>,
Poesie in lingua rustica padouana di Berteuello dalle Brentelle, cioe madrigali, Bradamante irata. Isabella, e Zerbino. Orlando addolorato. Lamenti raccolti & imitati da' leggiadri canti dell'Ariosto. ...
Nuouamente poste in luce,
In Venetia : presso Daniel Bissuccio, 1612
- 8, 132, 4 p. : ill. ; 4o
- Cfr. British Library
- Bertevello dalle Brentelle pseud. di Buzzaccarini Antonio
- Marca n.c. sul front
- Cors. ; rom
- Segn.: A4 B-H8 I88
- Iniziali e fregi xil
- Tutte le p. entro cornice xil
- Impronta - ala- o.ro e.e, S'Ch (3) 1612 (A)
- Altri titoli collegati: [Pubblicato con] Sbrauamante scorezza de Berteuello dalle Brentelle contain pauan. Caua fuora del slibrazzon de Barba Vigo Arosto -
[Pubblicato con] Zerbin e la Bella. De Berteuello dalle Brentelle contain pauan. Lomento stramuo, e cernu da i viersi de Barba Vigo Arosto -
Rolando Fastubio de Berteuello dalle Brentelle contain pauan. Lomento stramuo, e cernu da i viersi de Barba Vigo Arosto
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: italiano
-Localizzazioni: Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
Lampietti, Domenico [Lampietti, Domenico , vissuto nel XVI secolo, poeta padovano - Nome su edizioni: Domenego Lampietti ditto Lenzo Durello]
Rime di Domenego Lampietti ditto Lenzo Durello. In lingua rustega padouana parte prima. Di nuouo stampate & con soma diligenza corrette, In Padoua : Appresso Paolo Meietti, 1582 - [6] c., 40 p. ; 16. - Numeri: Impronta - eren e.e, taa, ReVa (3) 1582 (R) - Paese di pubblicazione: IT - Lingua di pubblicazione: ita - Localizzazioni: Biblioteca universitaria - Napoli
Paolo Foglietta
(1520 - 1596):
nobile d'antico stampo, fustigò i costumi rilassati del suo tempo, attaccando soprattutto i "cangi", ossia l'usura, il prestito ad interesse, su cui si basava ormai l'intera economia genovese del tempo, e cercò inutilmente di richiamare i genovesi alle antiche virtù: Nel ciclo di sonetti detto delle "garie"(galee) incita i concittadini a costruire navi per difendere la città e i suoi possedimenti e a non farsi dominare dall'ozio.
La porta magica di piazza Vittorio a Roma, è uno dei pochi monumenti alchemici giunti fino a noi, famosa per i suoi simboli e le sue iscrizioni.
La pratica dell’alchimia per la regina Cristina di Svezia fu una preoccupazione costante per buona parte della sua vita adulta. Il suo interesse per l’alchimia ebbe anche alcune interessanti correlazioni col movimento rosicruciano.
Marchese Francesco Maria Santinelli:
nato a Pesaro il 20 aprile del 1627 da Alessandro e Margherita Santacroce, il marchese Francesco Maria Santinelli [che Valerio Zani definì "l'ingenio più focoso ch'abbia il furor Poetico a tempi nostri perfezionato" nell Memorie , imprese, ritratti de' Signori Accademici Gelati, Bologna, 1672, p. 169 ) debuttò come romanziere, nel 1647, con "Le donne guerriere".
Giuseppe Francesco Borri, figlio del medico Branda Borri, fece i suoi studi nel seminario dei gesuiti, a Roma; studi che non terminò, perché venne licenziato per insubordinazione, il 16 marzo del 1649. Ammesso in seguito in Vaticano, si diede allo studio della medicina , della chimica e dell'alchimia. Nel 1654, ricercato dalla polizia pontificia perché dava scandalo con le sue abitudini eccentriche e scapigliate, finse di correggersi. Dopo la morte di Innocenzo X, avvenuta nel 1655, essendo stato innalzato alla tiara (il 7 aprile dello stesso anno) Alessandro VII, nemico dei novatori, egli che era tra questi, e per aver confutato un certo dogma sulla Madonna, e per avere ideato una riforma della chiesa cattolica (voleva un solo ovile, un solo pastore, l'unione dei fedeli con gl'infedeli e la venuta del regno di Dio sulla terra), si vide ridotto a mal partito. Difatti il nuovo pontefice, appena asceso il soglio, aveva emanata l'enciclica contro i novatori. Tale nuovo pericolo fece decidere il Borri ad allontanarsi da Roma (probabilmente verso la fine del 1656, cioè dopo avere visitato Cristina Alessandra e il Palombara) ed a rifugiarsi nella sua nativa città, dove tornò ad esporre le dottrine sovvertitrici tra i fautori di idee progressiste ed a fare proseliti, alcuni dei quali (1659) furono arrestati e processati da quella Inquisizione. Costretto a fuggire nuovamente riparò in Svizzera. In quel periodo si svolse a Milano il processo intentato ai suoi seguaci, che terminò con l'abiura (26 marzo 1661), di tali eresiarchi. Subito dopo l'Inquisizione di Roma aprì un processo contro il Borri, e - riuscite vane le intimazioni, fatte in data 2 marzo 1659 e 2 ottobre 1660, - lo condannò in contumacia "rilasciando, in mancanza della persona, la sua effige al cardinale progovernatore e suo luogotenete criminale, per eseguire in essa le dovute pene" Il 2 gennaio 1661 seguì, nella chiesa di Minerva, l'abiura dei quattro discepoli del Borri, alla presenza di molti prelati e di numeroso popolo, e il giorno seguente, come risulta dal sommario processuale "l'effige del detto Giuseppe Francesco Borri, dipinta al naturale in un quadro, fu portata per Roma sopra un carro, accompagnato dalli Ministri di Giustizia, nella piazza di Campo di Fiori, dove dal carnefice fu appicata sulle forche e dopo abbruciata con suoi scritti".
"La cavalleria dello Speron d'Oro sorse nella prima metà del XIV secolo, come dignità equestre, ma non come Ordine cavalleresco.
Bade, Josse <1462-1535> umanista e tipografo fiammingo, nato ad Assche nel 1462, morto a Parigi nel 1535 - Nome su edizioni: Ascensius Badius; Ascensius; Iodocus Badius Ascensius; Iodocus Badius; Ascensus; Iodocus Badius Lucenus. Diede alle stampe il Das Narrenschiff (traducibile in italiano come La Nave dei pazzi)
poemetto allegorico-satirico dello scrittore tedesco Sebastian Brant pubblicato nel 1494, dove sono rappresentate le follie personificate da tutte le condizioni sociali.
Grattarolo, Guglielmo <1516-1568>: Medico del Collegio dei medici fisici di Bergamo, accusato di aver sostenuto proposizioni contro l'ortodossia della fede, abiurò di fronte all'Inquisizione di Milano. Fu comunque condannato alla pena capitale in contumacia. Nato a Bergamo nel 1516, morì a Basilea nel 1568 Nome su edizioni: G. Gratarolo Bergomate - Grattarolo, Guglielmo - Grataroli, Guglielmo - Grataroli/Gratarolo, Guglielmo - Gratarolus, Guilelmus - Grataroli, Guillaume - Gratarolo, Guilelmus - Grataroli, Guglielmo (vedi anche: Grataroli (Grataroli), Guglielmo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 58, Roma Istituto della Enciclopedia Italiana 2002, pp. 731-735): qui se ne può anche osservare un raro ritratto tratto da
Boissard, Jean-Jacques,
Bibliotheca chalcographica ... 1652-1669.
Giacinto Onofrio autore, o forse soltanto erudito, misconosciuto (XVI- XVII secc.) di cui viene riprodotta una composizione da Aprosio nel testo della Grillaia.
Vasquez, Gabriel:
teologo e filosofo (1549-1604). Gesuita, insegnò ad Ocaña, Madrid, Alcalá e Roma, componendo contemporaneamente la sua opera filosofica fondamentale, un vastissimo Commento in otto volumi alla Summa Theologica di San Tommaso. Fu uno dei più autorevoli teologi della Controriforma. In metafisica respinge la separabilità dell'essenza dall'esistenza; in teologia è fautore della tesi del concorso di Dio in tutta la creazione.
Gazet, Angelin <1568-1653>, Vide la luce a Saint-Pol-sur-Ternoise nei pressi della città d' Arras e si dedicò alle pubblicazioni sotto lo pseudonimo latino di Angelinus Gazaeus utilizzando la specificazione geo-storica preromana dell'area d'origine di atrebate. Parecchio scrisse contro i ministri protestanti di Normandia (vedi: Frère, Le Bibliographe normand, II-296) : fu rettore dei collegi gesuiti d'Arras, Valenciennes e Cambrai.
Gli atrebati ("coloni") erano una tribù belgica della Gallia e della Britannia prima della conquista romana .
Francesco Corbetta (1620-1681)
Chitarrista e compositore italiano nato a Pavia. Iniziò la sua fortunata attività a Bologne nel 1639 quando pubblicò i suoi Scherzi armonici. Nel 1643 lo si trova quale maestro di chitarra del duca di Mantova: in tale periodo diede alle stampe i Varii Capricii per la guittara spagnuola a Milano. Quindi nel 1648 "Varii scherzi di sonate per la chitara".
Personaggio complesso, talora persino inquietante, Aprosio offre il suo sapere secondo vari sistemi di decrittazione e sempre per giovare a qualche sua postulazione o per demotivare eventuali critiche alle sue scelte od al suo ambiente di appartenenza.
Falconi, Pietro Giacomo
Ricci, Giovanni Giacomo
"Innanzitutto una premessa di carattere bibliografico: non vi sono notizie sulla famiglia Solari, se non scarsissime e riferite ai primi anni del XX secolo, nell'opera del Manno, Il Patriziato Subalpino, reperibile dattiloscritta presso l'Archivio di Stato di Torino; abbiamo dovuto così riferirci ad opere più generiche, come quelle dell'Angius e dello Spreti.
Piccart, Michael [Pickhard] (1574-1620) nato a Norimberga, laureatosi ad Altdorf (1592); docente dal 1599 di Logica, dal 1604 di Poesia e dal 1613 di Metafisica: classicista studioso, tra gli altri, di Oppiano, che tradusse dal greco in latino, e di Aristotele: fu autore di molte opere ma dall'Aprosio viene espressamente citato per l'opera
Observationum Historico-Politicarum Decades, Norimberga, 1621-1624: l'erudito intemelio estrapola le sue citazioni dalla IV Decade - Capitolo X (da cui pare essere ispirato in merito alla riflessione del capitolo IV della Grillaia sulla vacuità dei titoli onorifici) e precisamente dal contenuto di pagina 223.
Glisenti, Fabio:
Medico, figlio di Antonio. Nato a Vestone in Valsabbia (Brescia) e morto nel 1615 - Nome su edizioni: Fabio Glissenti; Fabius Gliscentius brixienses.
Stefano Guazzo:
Nacque a Casale Monferrato (Alessandria) nel 1530 e morì a Pavia nel 1593. Proveniente da nobile famiglia, compì studi di diritto ed entrò al servizio dei Gonzaga, seguendo Ludovico in Francia, e rimanendovi sette anni. Tornato in Italia nel 1562, lavorò per Margherita Paleologa, madre del duca Guglielmo.
Guasco, Annibale: Poeta, oratore e scrittore nato ad Alessandria nel 1540 e ivi morto nel 1619. Dal 1589 ricoprì alcuni incarichi politici per la sua città - Nome su edizioni: Annibal Guasco; Annibal Guasco Alessandrino; Annibal Guaschus; Annibal Guaschus Alexandrinus.
"Altro importante monumento di Vasto è il castello Caldoresco, che ricorda le vicende e la storia di un’altra grande famiglia di feudatari: i Caldora.
Elio Lampridio Cerva (Aelius Lampridius Cervinus):
Oratore, lessicografo e poeta incoronato.
Bernardo Tasso:
Letterato e poeta nato a Venezia nel 1493 e morto a Ostiglia (Mantova) nel 1569. La famiglia era di origine bergamasca: alcuni studiosi hanno così ipotizzato che egli fosse nato a Bergamo. Visse dapprima quale cortigiano presso il conte Guido Rangone, poi presso Renata d’Este, duchessa di Ferrara; in seguito (dal 1532) passò alla corte del principe di Salerno, Ferrante Sanseverino, che accompagnò nella spedizione di Tunisi. Da lui fu inviato in Francia e nelle Fiandre, e lo raggiunse in Germania, dove si era recato quale ambasciatore presso Carlo V dopo l’insurrezione del popolo napoletano contro il viceré don Pedro de Toledo, che aveva deciso di introdurre l’Inquisizione nel reame. Quando il Sanseverino fu dichiarato ribelle ed esiliato, Bernardo fu travolto nella rovina politica di lui e dovette sopportare la confisca dei beni e l’amarezza dell’esilio (1522). Andò, fra l’altro, a Venezia e a Ferrara; nel 1554 era a Roma, dove lo raggiunse il figlioletto decenne Torquato, natogli dal matrimonio con Porzia de’ Rossi, che aveva sposato nel 1536. Fu poi accolto da Guidobaldo II, duca d’Urbino; soggiornò per qualche tempo a Pesaro, poi a Venezia, dove portò a compimento nel 1560 la stampa dell’Amadigi. Non avendogli questa pubblicazione, né quella delle Rime, procurato l’agiatezza sperata, il Tasso si stabilì presso il cardinale Luigi d’Este e in seguito (1563) passò alla corte di Guglielmo Gonzaga, che gli affidò vari incarichi a Roma e in Francia. Nel 1569 ebbe da lui la carica di podestà di Ostiglia, che però esercitò per breve tempo, poiché morì in quello stesso anno.
Il moralismo aprosiano ha più valenze di quando si pensi e spesso, al di là delle postazioni ideologiche o predicatorie di superficie, nasconde i meccanismi dell'inquirente che di fatto il frate, acutissimo osservatore del sistema sociale di appartenenza sarebbe divenuto quale Vicario dell'Inquisizione facendo propria la qualità di vedere oltre le apparenze.
Fuchs, Samuel [medico, 1588-1630], Samuelis Fuchsii Cuslino Pomerani Metoposcopia & ophthalmoscopia, Argentinae : excudebat Theodosius Glaserus : sumptibus Pauli Ledertz, 1615 - 16, 140, 4 p. : ill. ; 8o - Ultime 2 c. bianche Segn.: ):(8, A-I8 Ritr. calcogr. - Impronta - s.ns e.do u*ca inin (3) 1615 (R) - Paese di pubblicazione: FR - Lingua di pubblicazione: lat. - Localizzazioni: Biblioteca universitaria di Bologna - Biblioteca nazionale centrale - Firenze - Biblioteca nazionale Braidense - Milano - Biblioteca Trivulziana - Archivio storico civico - Milano - Biblioteca Estense Universitaria - Modena - Biblioteca Reale - Torino- Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino
Metoposcopia: Così viene definita una tecnica che permetterebbe di leggere il carattere di un individuo dal suo volto, o meglio dalle sue rughe. Risale ad oltre di 400 anni orsono.
Arconatus, Hieronymus
(1553-1599): poeta neolatino nasce a Löwenberg (Slesia) da famiglia di origini italiane (Aprosio se ne vale estesamente nel Capitolo XXII dello Scudo di Rinaldo) svolti gli studi ginnasiali a Breslau compie a Padova quelli universitari poi viaggia molto per l'Europa occidentale: dal 1579 al 1583/84 risiede a Vienna al servizio dell'imperatore quindi dal 1593 al 1597 risiede, opera e lavora a Praga.
HIERONYMI ARCONATI SILESII
Nicolò Crasso (c. 1585-1653) avvocato ed erudito veneziano di cui alla C.B.A. si conservano:
Sopra la vittoria navale della Serenissima repubblica di venetia contra Turchi ... canzone di Nicolo' Tasso In Venetia : per Andrea Bba [!], 1649 8 p. ; 4°. - Canzone all'Ill.mo e Eccell.mo Sig.or Giovanni Cappello ... di Nicolo' Crasso, In Venetia, 1646 [6] c. ; 4°. - Canzone all'Ill.mo e Eccell.mo Sig.r Leonardo Foscolo ... per le sue gloriosissime imprese contra Turchi, di Nicolo' Crasso, In Venetia : per Andrea Baba, 1648 10 p. ; 4°. - Elpidio consolato, favola marittima di Publio Licinio .. Venetia : per Angelo Salvadori (Venetia : per Angelo Salvadori, libraro a' San Moise, 1623) [13], 139, [2] p. : 1 ill. ; 12° - Andreae Mauroceni veneti senatoris praestantiss. vita a Nicolao Crasso conscripta .., Venetijs : apud Evangelistam Deuchinum, 1622 90, [1] p.
Aggiunti, Niccolo <1600-1635>,
Nicolai Adiunctii Burgensis Oratio de praecipuis tormentis Christi redemptoris nostri ... Pisis habita est in Collegio Ducali ..,
Pisis : apud Ioannem Fontanum, 1619
- [8] c. ; 8.
- A-B4. Ultima c. bianca.
- Impronta - osi- e-e- ume- es,& (C) 1619 (A)
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: lat.
- Localizzazioni: Biblioteca Estense Universitaria - Modena
Scardeone, Bernardino <1478-1574> Notizie: Ecclesiastico, erudito, storico. Nato a Padova nel 1478, morto nel 1574. Nome su edizioni: Bernardino Scardeone; Bernardinus Scardaeonius Patauinus.
Jonin, Gilbert (1596 - 1638) gesuita, erudito e filologo, nato a Saint-Flour, docente di retorica e lettere umane a Lione.
Leoni, Ambrogio
Graswinckel, Theodor<1600-1666>,
Thod. J.F. Graswinckeli: I.c. Maris liberi vindiciae: adversus Petrum Baptistam Burgum Ligustici maritimi dominii assertorem,
Hagae-Comitum : ex typographia Adriani Vlac, 1652
- 16, 280 p. ; 4o
- Front. stampato in rosso e nero
- Fregi xilogr.
- Segn.: )(- 2)(4 A-2M4
- Impronta - t)a- C.e. i-s. admu (3) 1652 (R)
- Paese di pubblicazione: NL
- Lingua di pubblicazione: lat.
- Localizzazioni: Biblioteca Trivulziana - Archivio storico civico - Milano
- Biblioteca Reale - Torino - TO - 1 es
Alla C.B.A. di Weitz, Johann [Hohenkirchen - Turingia (Germania) 1576-1642] si trova la seguente opera:
Canutius, Bertilius:
Aprosio lo nomina, italianizzandone il nome, in Bartilo Canuto ma è verisimilmente da identificare con
Bertel Knudsen Aquilonius (1588-1650) latinista e filologo, nato
il 7-3-1588, studente dal
1606 ad Herlufsholm, debuttò nel 1609 in ambito letterario con l'opera
Lusuum juvenilium liber 2dus. Odas sive Horatianas verius parodias continens: si sposò nel
1614 con Geske Johansdatter von Bippen (nata ca. 1599, morta nel 1615) e quindi nel
1616 con Elisabeth Nielsdatter . Morì il
7-1-1650.
Mandeville, John o Johan de Mandeville:
nome legato al testo dei Mandeville 's Travels ("I viaggi di Mandeville"), ca. 1356-57, un classico della letteratura di viaggio che raggiunse nel tardo Medioevo un'enorme popolarità, perfino superiore a quella del Milione di Marco Polo.
Scritto originariamente in francese (forse nel dialetto franco-normanno corrente nell'Inghilterra del Trecento), esso fu ben presto tradotto in tutte le principali lingue europee e godette in Inghilterra d'un successo particolare, in quanto Mandeville sarebbe stato un cavaliere inglese e il più noto viaggiatore inglese del Medioevo. Ma verso la fine del secolo XIX diversi studiosi giunsero alla conclusione che Mandeville non era mai esistito, se non nell'immaginazione di un medico di Liegi, Jean de Bourgogne, scrittore dilettante vissuto in Inghilterra. Questa teoria si complicò ulteriormente quando, nel 1923, il curatore della migliore redazione inglese dei Travels arrivò a sostenere che il vero autore non era il medico, ma il notaio Jean d'Outremeuse, suo amico e biografo. Tipico frutto di un'epoca in cui i limiti fra il normale e il meraviglioso erano ancora fluttuanti e in cui era avvertito il bisogno di crearsi un'altra realtà, stravagante e favolosa, in cui proiettare le proprie aspirazioni ad un miglioramento positivo dell'uomo e della società, il libro ha all'inizio il tono di una guida turistica per i pellegrini in Terra Santa, ma il piacere del viaggio fantastico porta via via in terre sempre più lontane e favolose. Tra le numerosissime fonti ci sono i libri di viaggio collegabili alle crociate e alle scoperte dell'Asia centro-orientale (di Giovanni da Pian del Carpine, Marco Polo, Odorico da Pordenone) ma anche una vasta letteratura poetica e dottrinale (come i testi enciclopedici di Vincenzo de Beauvais) che aveva tramandato al Medioevo l'antica teratologia orientale.
[Ermanno Barisone da "NOVA - UTET"].
Circoncisione
dal lat. circumcido , taglio intorno =
ETNOLOGIA. Rimozione parziale o totale del prepuzio, pratica di pseudo-mutilazione assumente significati diversi a seconda dei contesti entro i quali è praticata.
Presso alcune culture tradizionali, la Circoncisione è il rito di iniziazione principe, simbolo della piena appartenenza al genere maschile in un gruppo umano; talora assume i tratti di una vera e propria antropopoiesi. Nella religione ebraica e islamica la Circoncisione ha luogo nella prima infanzia, mentre nelle culture di interesse etnologico viene eseguita alla pubertà o anche più tardi (konso dell'Etiopia), segnando ritualmente l'ingresso del ragazzo nella società degli adulti maschi. Analogo rito di passaggio al femminile è la clitoridectomia o excisione. La Circoncisione è diffusa nell'Africa subsahariana e in Australia (spesso seguita dalla subincisione); altrove la Circoncisione è sporadica (semplice incisione e non ablazione del prepuzio). Le più moderne interpretazioni assegnano alla Circoncisione la funzione di precisazione del sesso del bambino, considerato di genere neutro.
[ERNESTA CERULLI in NOVA - UTET]
Severino, Marco Aurelio,
Titolo: Marci Aurelii Severini apud neapolitanos medici ac philosophi regii De abscessuum recondita natura, libri VIII ... Editio novissima, multis iconibus aere incisis ornata, ac locupletiori rerum, verborum, et historiarum, indice donata ...
- Neapoli : typis Vincentii Manfredi expensis Stephani Manfredii, 1763
- [20], 343, [48] p. : ill. ; 8
- Segn.: *4,2*,3*2,A-Z4,Aa-Zz4,3A-3C4
- Marca sul front.
- Note di contenuto sul front.
- Iniz. e fregi xil.
- Cors., rom.
- Localizzazioni: Biblioteca comunale Ugo Granafei di Serranova - Mesagne - BR
- Biblioteca dello Studentato teologico dei Padri Passionisti - Napoli
- Biblioteca della Societa' napoletana di storia patria - Napoli
Severino, Marco Aurelio,
Titolo: Marci Aurelii Severini ... De recondita abscessuum natura, libri 8. 1. De abscessu critico, ... 2. De abscessibus per congestum. 3. De abscessibus anomalis. 4. De novissime observatis abscessibus. 5. De paedarthrocace, abscessu puerorum proprio. 6. De gibbis, valgis, varis et aliis ... 7. De epinyctidibus, ... 8. De paidanchone ... Accesserunt clarissimorum virorum judicia super hunc de recondita abscessuum natura tractatum
Editio secunda,
Francofurti : impensis Ioannis Beyeri, typis Caspari Rotelii, 1643
- 28, 168 i.e. 466, 46 p. : antip. e ill. calcogr. ; 4o
- Tit. dell'antip.: De recondita abscessuum natura libri 8. Marci Aurelii Severini
- L'indicazione di edizione compare sull'antip.
- Segn.: )(-3)(44)("A-3S4
- Diversi errori nella numerazione delle pagine
- Impronta - e.e- eses s,ut Agdi (3) 1643 (R)
Localizzazioni: Biblioteca nazionale Braidense - Milano
- Biblioteca del Seminario maggiore - Padova
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Severino, Marco Aurelio,
Marci Aurelii Severini ... De abscessuum recondita natura, libri VIII. 1. De abscessu critico, ... 2. De ascessibus per congestum, 3. De ascessibus anomalis. 4. De novissime observatis abscessibus. 5. De paedarthrocace, ... 6. De gibbis, valgis, varis, ... 7. De epinyctidibus, roseolis ... 8. De ...
Editio novissima, multis iconibus aere incisis ornata, ... Accedunt & clarissimorum virorum judicia super hunc de recondita abscessuum natura tractatum,
Neapoli : Typis Vincentii Manfredi, expensis Stephani Manfredii, 1763
- [20], 343, [49! p. : 17 c. di tav. ; 4o
- Marca sul front.
- Segn.: *-2*4 3*4 A-3C4
- Ritr. dell'Autore
- Impronta - I.VA o-od ,&s, prAb (3) 1763 (R)
- Localizzazioni: Biblioteca provinciale - Foggia
- Biblioteca medica statale - Roma
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
- Biblioteca scientifica Alberto Cencelli - Roma
- Biblioteca dell'Accademia di storia dell'arte sanitaria - Roma
- Biblioteca della Accademia Lancisiana - Roma
Figlio di un giudice regio, fu educato dapprima in casa del cardinale John Morton, quindi a Oxford, dove studiò filosofia, approfondì la conoscenza del greco e si dedicò infine agli studi giuridici, sempre eccellendo per la vivacità dell'ingegno, il serio raccoglimento, il candore dei costumi, che lo resero caro a umanisti come John Colet ed Erasmo da Rotterdam
La mitezza del carattere, l'incapacità di adottare la spregiudicatezza e l'empirismo dell'uomo d'azione, una ferrea tempra morale posero il More nella più ardua posizione allorché si venne delineando con sempre maggiore fermezza il proposito del re di divorziare da Caterina d'Aragona per sposare Anna Bolena. Invano sollecitato da Enrico VIII a schierarsi apertamente in favore del divorzio, riluttò tenacemente, e quando apparve chiaro che il disegno del re avrebbe condotto a una aperta rottura con la curia di Roma, preferì dimettersi (1532) e si ritirò fra i teneri affetti familiari, in dignitosa povertà. Fatto segno a blandizie e a minacce, rifiutò di piegarsi al capriccio sovrano, disertò la cerimonia dell'incoronazione della nuova regina e nel marzo 1534, invitato a sottoscrivere l'atto di successione che proclamava legittimi i discendenti di Enrico e di Anna, accettò di giurare fedeltà alla dinastia, ma rifiutò di riconoscere la supremazia regia sopra qualunque autorità e la legittimità del divorzio. Egli respingeva così la pretesa del monarca di erigersi a capo della chiesa d'Inghilterra e ribadiva la propria fedeltà alla gerarchia cattolica romana. Accusato di tradimento e incarcerato, resistette alle affettuose pressioni familiari, che lo esortavano a salvare la vita con un compromesso, e con stoica serenità salì il patibolo nella Torre di Londra il 7-VII-1535, conscio di morire martire per la fede cattolica. La notizia della sua fine commosse l'Europa con un'ondata di cordoglio e di esecrazione per il tiranno. Leone XIII lo beatificò nel 1886 e Pio XI nel 1935, nel quarto centenario del sacrificio, lo proclamò assunto tra i santi.
Scrittore latino di squisita eleganza formale, traduttore, in collaborazione con Erasmo, di alcuni Dialoghi di Luciano (1506) e, con William Lily, di epigrammi greci (Progymnasmata, 1518 e 1520), prosatore inglese robusto, autore di vivaci epigrammi, di trattazioni storico-biografiche (tra cui una Vita di Pico della Mirandola, ca. 1510, e una Storia di Riccardo III), etiche e apologetiche, il More deve la sua fama soprattutto al Libellus vere aureus nec minus salutaris quam festivus de optimo reipublicae statu deque nova insula Utopia, ch'egli prese a comporre ad Anversa nel 1515 e pubblicò a Lovanio nel 1516 mentre la seconda edizione vide la luce nel 1517 a Parigi e quella definitiva a Basilea nel 1518.
Opera classica nella storia del pensiero politico, tanto che il suo nome è entrato nel linguaggio comune a designare i progetti di riforma radicale destituiti di ogni velleità e possibilità di attuazione pratica immediata, l'Utopia si divide in due libri: il primo è un esame spregiudicato e acuto del malessere economico e sociale dell'Inghilterra del primo Cinquecento, spogliata da una nobiltà avida e indolente, impoverita da vane guerre di prestigio, corsa da frati accattoni, da parassiti oziosi e violenti, da torme di contadini miserevoli espulsi dai campi e sospinti a formare i primi sfruttati del sistema manifatturiero. A questo paese in crisi More non suggerisce diretti espedienti di riforma e preferisce idealizzare nel regno dell'irreale un modello di stato perfetto, che veli le istanze profondamente rivoluzionarie con la cautela elusiva dell'opera di fantasia. Nasce così il secondo libro dell'Utopia, nutrito di amaro realismo e di una profonda fede nella bontà della natura e nell'opera illuminata della ragione: i cittadini dell'isola felice vivono raggruppati in vasti nuclei familiari, ospitati in belle e salubri città, intenti ai lavori dell'artigianato e dell'agricoltura; tutti lavorano e nessuno possiede; i pasti sono presi in comune e la collettività provvede ai bisogni di tutti; represso l'ozio e il parassitismo, una grande abbondanza di sussistenze allieta gli utopiensi, i quali però debbono vivere in un regime di grande caserma, regolati in ogni gesto quotidiano da norme e orari rigorosi.
Il governo è patriarcale, nei nuclei familiari retti dagli anziani, e democraticamente elettivo nei raggruppamenti maggiori, fino al magistrato supremo; semplici e poche sono le leggi, a ciascuno palesi senza ricorso ai legulei, e l'azione di governo si rivolge in massima parte alla regolamentazione delle attività economiche; le genti felici di Utopia sono per natura pacifiche, ma non imbelli, pronte sempre alla guerra difensiva e anche all'offensiva per abbattere i tiranni e soccorrere i popoli amici. Qui si rivela il lato più interessante del programma del More, la profonda coerenza del sistema: posti su un piano di totale eguaglianza economica, gli uomini dovrebbero deporre ogni attrito sociale e conseguire una compatta unità spirituale e politica: questa unità si risolverebbe a sua volta in impulso espansivo, in coraggiosa azione tendente a irradiare con i commerci, con la persuasione e con le armi, l'ideale collettivistico di Utopia sopra tutta la Terra. Taluno ha voluto pertanto riconoscere nel libretto la vera formulazione dottrinale del socialismo, fondata su questa consapevolezza d'una supremazia di concezione e di ordinamenti tale da doversi necessariamente imporre all'ecumene. In realtà il significato dell'opera è più ristretto, non dovendosi dimenticare nella valutazione quelli che ne costituiscono i limiti e le premesse: l'imitazione platonica da un lato e gli spunti realistici della situazione inglese dall'altro. Se è superficiale la riduzione del libretto a mero vagheggiamento scherzoso, costituiscono punti deboli della costruzione la staticità stessa dell'ordinamento, da cui ogni idea di progresso rimane esclusa, e la morale edonistica, utilitaria e perciò schiettamente individualistica degli utopiensi, contrapposta al collettivismo della società; anche la religione dell'isola felice non è che un vago naturalismo, dal quale i grandi apporti etici del cristianesimo sono esclusi; mentre il sistema assicura l'uguaglianza e la giustizia, nessuna parola risuona che susciti un più commosso calore e animi quei concetti di un senso di fraterna carità.
[LUIGI FIRPO DA "NOVA" - UTET]
Stando all'italiano SBN di questo autore sono reperibili nel nostro Paese le seguenti opere:
Bourgogne, Nicolas : de, Ius Belgarum circa bullarum pontificiarum receptionem, senza nome
Bourgogne, Nicolas : de, Ivs Belgarvm circa bullarvm pontificiarvm receptionem, s.l
Bourgogne, Nicolas : de, Nic. BurgundI J. C. ... Ad consuetudines Flandriae aliarumque gentium, tractatus controversiarum, in quibus potissimum discutiuntur, usuique, & moribus accomodantur non solum Flandriae, sed & aliarum regionum, ... Cui nunc accedit Auctarium, de modo Juris dicundi, & iis qui jurisdictioni in Flandria praesunt. - Editio ultima a mendis quam plurimis, quae in priores irrepserant, serio expurgata, Arnhemiae : apud Joh. Fridericum Hagium, 1670
Bourgogne, Nicolas : de, Nicolai Burgundi I.C. ... Commentarius de evictionibus theoricus & practicus, Lovanii: Vryenborch, Jan, 1647
Bourgogne, Nicolas : de, Nicolai BurgundI ... Historia Belgica. Ab anno 1558, Ingolstadii: Eder, Wilhelm Bayr, Johann, 1629
Bourgogne, Nicolas : de, Nicolai Burgundi i.c. ... Commentarius de evictionibus theoricus & practicus, Editio tertia., Lovanij, 1656
Bourgogne, Nicolas : de, Nicolai Burgundij I.C. ... Commentarius de euictionibus theoricus et praticus cui accedit Tractatus de periculis & culpis, editio quarta, Venetijs: Combi, Sebastiano
Bourgogne, Nicolas : de, Nicolai Burgundii ... Commentarius de evictionibus theoricus et practicus. Cui accedit Tractatus de periculis et culpis, Venetiis: Combi, Sebastiano
Bourgogne, Nicolas : de, Nicolai Burgundii ... Commentarius de periculis et culpis in contractibus, desumptus ex lectionibus Ingolstadiensibus, Venetiis: Combi, Sebastiano
Bourgogne, Nicolas : de, Nicolai BurgundI I.C. ... Historia belgica ab anno 1558, Prostant Antuerpiae: Tongheren, Guillaume : van, 1629
Bourgogne, Nicolas : de, Nicolai Burgundi Historia bavarica sive Ludovicus 4. imperator ... iterum edidit cum praefatione Iustus Christophorus Bohmer ..., Helmestadi: Schnorr, Salomon <1690-1723>, 1705
Bourgogne, Nicolas : de, Nicolai BurgundI ... Historia Belgica, ab anno 1558, Ingolstadij: Eder, Wilhelm Bayr, Johann, 1633
Bourgogne, Nicolas : de, [2]. Nicolai Burgundij I.C. ... Commentarius de periculus et culpis in contractibus desumptus ex lectionibus Ingolstadiensibus, Venetijs: Combi, Sebastiano
Bourgogne, Nicolas : de, Nicolai Burgundi ... quae de jure fecit Opera omnia, Bruxellis: Dobbeleer, Pierre, 1700
Bourgogne, Nicolas : de, Nicolai Burgundi I.C. ... Commentarius de periculis et culpis in contractibus. Desumptus ex lectionibus Ingolstadiensibus, Lovanii: Vryenborch, Jan, 1646
Rader, Matthaeus <1561-1634>, Viridarium sanctorum ex menaeis graecorum lectum, translatum et annotationib. ... a Matthaeo Radero de Societate Iesu .., Augustae VindelicorumAugustae Vindelicorum: Mang, Christoph, 1604
Rader, Matthaeus <1561-1634>, Syntagma de statu morientium. Ex Mss. codicibus illustrium bibliothecarum sereniss. Maximiliani Boiorum Ducis, & reipub. Augustanae depromptum. Latine factum notisque illustratum, per Matthaeum Raderum e Societate Iesu. .., [Augsburg] Augustae Vindelicorum: Mang, Christoph, 1604
Curtius Rufus, Quintus, Q. Curtii Rufi De rebus ab Alexandro Magno gestis libri octo in capita distincti, & synopsibus argumentisque illustrati. Accessere Vita Curtii, & elogia ... Alexander ab antiquis et variis scriptoribus ... per Matthaeum Raderum ..., Monachii: Hertzroy, Johann Berg, Adam <1.> witwe, 1617
Curtius Rufus, Quintus, Q. Curtii Rufi, Historia Alexandri Magni. Cum notis selectiss. variorum, Raderi, Freinshemii Loccenii, Blancardi, & c. Editio accuratissima. Accurante C.S.M.D, Lugduni Batauorum: Elzevier, Johannes <1652-1661>, 1658
Rader, Matthaeus <1561-1634>, Viridarii sanctorum pars tertia, continet illustria sanctorum exempla ex Graecis & Latinis scriptoribus deprompta a Matthaeo Radero, de Societate iesu, Augustae Vindelicorum: Hertzroy, Johann Dabertzhofer, Chrysostomus, 1612
Gretser, Jacob <1562-1625>, Trophaea Bauarica sancto Michaeli archangelo. In templo et gymnasio Societatis Iesu dicata Monachij. Anno 1597, [Monaco]: Berg, Adam
Martialis, Marcus Valerius, M. Valerii Martialis Epigrammaton libri omnes, nouis commentariis, multa cura, studioque, confectis, explicati, illustrati, rerumque & verborum, lemmatum item, & communium locorum variis & copiosis indicibus aucti a Matthaeo Radero, de Societate Iesu, Ingolstadii: Sartorius, Adam, 1602
Curtius Rufus, Quintus, Q. Curtii Rufi, Historia Alexandri Magni. Cum notis selectiss. variorum, Raderi, Freinshemii Loccenii, Blancardi, & c. Editio accuratissima. Accurante C.S.M.D, Lugduni Batavorum: Elzevier, Johannes <1652-1661>, 1658
Ioannes : Climacus
Rader, Matthaeus <1561-1634>, Matthaei Raderi de Societate Iesu, Ad M. Valerii Martialis epigrammaton libros omnes, plenis commentariis, nouo studio confectis, explicatos, emendatos, illustratos rerumque & verborum, lemmatum item, & communium locorum variis & copiosis indicibus auctos, curae secundae, Ingolstadii: Sartorius, Adam, 1611
Rader, Matthaeus <1561-1634>, Aula sancta Theodosii Iunioris, A. Pulcheriae sororis, Eudociae vxoris, Augustorum res gestas complexa, e Latinis, Graecis, editis, iniditis scriptoribus extructa, concinnata, perpolita, ... A Matthaeo Radero de Societate Iesu, Augustae Vindelicorum: Mang, Christoph, 1608
Martialis, Marcus Valerius, M. Val. Martialis Epigrammaton libri 12. Xeniorum lib. 1. Apophoretorum lib. 1. Rerum et verborum obscenitate sublata, mendisque plurimis ad optimorum exemplarium fidem, castigatis. Ad vsum gymnasiorum Societatis Iesu. ... Cura et studio Matthaei Raderi e Societate Iesu, Romae: Zannetti, Bartolomeo, 1609
Rader, Matthaeus, De vita Petri Canisii de Societate Iesu, sociorum Germania primi religiosissimi et doctissimi viri, bono rei catholicae nati, libri tres a Matthaeo Radero, ex eadem societate conscripti. Appendix de p. Theodorico Canisio Petri fratre, Anturpiae apud Hieronymum Verdussen. P.&F., 1615
Ioannes : Climacus
Chronicon Alexandrinum idemque astronomicum et ecclesiasticum, (vulgo Siculum seu Fasti Siculi) ab Sigonio, Panuinio, aliisque passim laudatum, partimque Graece editum; nunc integrum Graece cum Lati, Monachij: Berg, Anne witwe, 1615
Rader, Matthaeus <1561-1634>, Bavaria sancta Maximiliani sereniss. principis imperii comitis Palatini ... coepta, descripta eidemque nuncupata a Matthaeo Radero de Societate Iesu 1615, Monachi: Bencard, Johann Kaspar Sadeler, Raphael, 1704
Rader, Matthaeus <1561-1634>, [2!: Bavariae sanctae volumen alterum serenissimo principi Maximiliano ... a Matthaeo Radero de Soc. Iesu, Monachi, 1704
Rader, Matthaeus<1561-1634>, [3]: Bavariae sanctae volumen tertium serenissimo principi Maximiliano ... a Matthaeo Radero de Soc. Iesu, Monachi, 1704
Rader, Matthaeus <1561-1634>, [4]: Bavaria pia serenissimae quadrigae albertinae sive quadrigeminis fratribus serenissimis Ioanni Francisco Carolo, Ferdinando Guilielmo ...a Mattheo Radero ..., Monachii, 1704
Rader, Matthaeus <1561-1634>, Matthaei Raderi e Societate Iesu, Ad Q. Curtii Rufi, de Alexandro Magno historiam, prolusiones, librorum synopses, capitum argumenta, commentarii. Cum indice duplici, capitum & argumentorum, itemque rerum memorabilium copiosissimo, Coloniae Agrippinae: Kinckius, Johann, 1628
Rader, Matthaeus <1561-1634>, Matthaei Raderi de Societate Iesu, Ad. M. Valerii Martialis epigrammaton libros omnes, plenis commentariis, nouo studio confectis, explicatos, emendatos, illustratos, rerumque & verborum, lemmatum item, & communium locorum varijs & copiosis indicibus auctos, curae tertiae, plurimis locis meliores, Moguntiae: Meres, Hermann Kinckius, Johann, 1627
Rader, Matthaeus <1561-1634>, Matthaei Raderi e Societate Iesu, Analecta, tertiis commentariorum curis, ad Martialem iam editis, addenda, Coloniae Agrippinae: Kinckius, Johann, 1628
Curtius Rufus, Quintus, Q. Curtij Rufi De rebus ab Alexandro Magno gestis libri octo. In capita distincti synopsibus argumentisque, & figuris varijs, addita tabula geographica, illustrati. A R.P. Matthaeo Radero e Societate Iesu, Coloniae Agrippinae: Kinckius, Johann, 1630
Hugo, Herman <1588-1629>, Pia desideria Hermanni Hugonis Soc. Iesu. Quatuor nouissima Matth. Raderi et Ioh. Niesij S.I. Cum figuris aeneis, Coloniae Agrippinae, 1673
Rader, Matthaeus <1561-1634>, Bauaria sancta Maximiliani sereniss. principis Imperii comitis Palatini ... coepta, descripta eidemque nuncupata a Matthaeo Radero ..., Monaci-Monachii: Sadeler, Raphael <2.>Bergia, Anna vedova, 1615-1627
Rader, Matthaeus <1561-1634>, 3: Bauariae sanctae volumen tertium ... Devotum inscriptum et dicatum a Matthaeo Radero ..., MonachiiMonachii: Sadeler, Raphael <2.>Bergia, Anna vedova, 1627
Rader, Matthaeus <1561-1634>, Opuscula sacra Matthaei Raderi de Societate Iesu. Viridarii sanctorum partes tres; Aula sancta; S. Ioann. Climaci Liber ad pastorem; Syntagma de statu morientium, cum duabus odis; recognita passimque aucta, Monachii: Hertzroy, Johann Berg, Anne witwe, 1614
Rader, Matthaeus <1561-1634>, 1.1: Viridarii sanctorum pars prima, ex menaeis Graecorum lecta et translata, atque annotationibus illustrata, a Matthaeo Radero de Societate Iesu, Monachii, 1614
Rader, Matthaeus <1561-1634>, 1.2: Viridarii sanctorum pars altera, de simplici obedientia, et contemtu sui, cum auctario de quorundam simplicium dictis et factis. Ex Latinis, Italicis, Graecis delibata, conscripta, et recognita. A Matthaeo Radero de Societate Iesu, Monachii: Berg, Anne witwe, 1614
Rader, Matthaeus <1561-1634>, 1.3: Viridarii sanctorum pars tertia. Continet illustria sanctorum exempla, ex Graecis, et Latinis scriptoribus depromta, a Matthaeo Radero de Societate Iesu, Monachii, 1614
Rader, Matthaeus <1561-1634>, [2]: Aula sancta res gestas Theodosii imp. Arcadii f. Theodosii M.N. S. Pulcheriae virg. sororis, Eudociae coniugis, augustorum complexa scriptaque ... a Matthaeo Radero de Societate Iesu, Monachii, 1614
Ioannes : Climacus
Rader, Matthaeus <1561-1634>, Acta sacrosancti et oecumenici concilij octaui, Constantinopolitani quarti, nunc primum ex mss. codicibus illustrium bibliothecarum serenissimi Maximiliani Boiorum D. &c. et Augustanae Vindelicorum reipub. Graece cum Latina interpretatione edita, notisque passim illustrata per Matthaeum Raderum e Societate Iesu, Ingolstadij: Sartorius, Adam, 1604
Rader, Matthaeus <1561-1634>, Bauaria pia serenissimae quadrigae Albertinae siue quadrigeminis fratribus serenissimis Ioanni Francisco Carolo, ... dicata a Matthaeo Radero Soc. Iesu presbytero, Monachii-Monachii: Berg, Adam <1.> witwe Sadeler, Raphael <2.>, 1623
Curtius Rufus, Quintus, Q. Curtius Rufus De rebus gestis Alexandri Magni, cum commentariis Raderi, Salmasii, Bongarsii ... et Freinsheimii, huiusque et vetustioribus supplementis ... Accedunt figurae aeneae ad Historia Alexandri Magni apud Curtium illustrandam necessariae, Aa, Pieter van der <1. ; 1682-1730>
Trigault, Nicolas <1577-1628>, De christianis apud Iaponios triumphis siue De grauissima ibidem contra Christi fidem persecutione exorta anno 1612. vsq. ad annum 1620. Libri quinq. In annos totidem summa cum fide ex annuis Societatis Iesu litteris continua historiae serie distributi. ... Auctore p. Nicolao Trigautio eiusdem Societatis sacerdote Belga Duacensi cum Raderi auctario et iconibus Sadelerianis, Monachii [Monaco]: Sadeler, Raphael, 1623.
Petrus : Siculus, Petri Siculi Historia ex ms. codice Bibliothecae Vaticanae Graece cum Latina versione edita per Matthaeum Raderum e Societate Jesu, Ingolstadii: Sartorius, Adam, 1604
Martialis, Marcus Valerius, M. V. Martialis Epigrammata ad codices parisinos accurate recensita variis lectionibus, notis veteribus et novis, graeca interdum versione, notitia literaria, et indice locupletissimo illustraverunt quinque parisiensis academiae professores Volumen primum (-tertium et ultimum), Parisiis [Parigi]: Didot, FirminLemaire, Nicolas Eloi, 1825
Rader, Matthaeus <1561-1634>, Matthaei Raderi e Societate Iesu. Ad Senecae Medeam commentarij, Monachij: Segen, Melchior, 1631
Ritornò a Strasburgo nel 1637 e nel 1642 fu chiamato quale professore di eloquenza all'università di Upsala.
Nel 1647 fu chiamato a Stoccolma dalla Regina di Svezia Cristina quale
bibliotecario e storiografo di corte. Nel 1650 ritornò alla sua attivita di docenza ad Upsala-
Poi verso il 1656 fu fatto professore onorario ad
Heidelberg: si spense il 31 Agosto 1660 in quest'ultima città.Fu un esperto filologo e compilatore, divenuto famoso soprattutto per le sue investigazioni critiche su Livio, Quinto Curzio Rufo e Floro.
Secondo l'SBN nelle biblioteche italiane sono reperibili le seguenti sue opere:
Curtius Rufus, Quintus,
Quinti Curtii Rufi De rebus gestis Alexandri Magni libri superstites. Cum Supplemntis Ioannis Freinshemii,
Berolini : sumptibus Ambrosii Haude, 1746
- [20], 500, [26] p., [1] c. di tav. : ritr. ; 12
- Front. anche in francese
- Testo Latino e francese su due colonne
- Prima del front. ritr. di Federico il grande, inc
- Sul front. Inc.
- Segn.: [ast.]6 2[ast]2 A-2K8 2L2
- Impronta - erRE t.ad s.es fipe (3) 1746 (A)
-Localizzazioni: Biblioteca Giustino Fortunato - Roma
Freinshemius, Johann,
[2]: A supplement of the Second decad of Livie's Roman History. Written in Latine and dedicated to Christina, queen of Swedes ... by J. Freinshemius. Newly translated into English,
London : printed for Joshua Kirton, Abel Rpoer, Gabriel Bedell, and George Sawbridge, 1659
- 95 p. ; fol.
- Impronta - isa- heid byn- thha (3) 1659 (A)
Fa parte di: The Romane historie written by T. Livius of Padua. Also, the breviaries of L. Florus: with a Chronology to the vvhole historie; and the topography of Rome in old time. Translated of latine into English, by Philemon Holland ... To whichis now added, A supplement of the Second decad of Livy ... lately written in Latine by I. Freinschemius, and now newly translated into English
Freinshemius , Johann
Vias, Balthasar de,
Sylvae regiae Balthasaris de Vias,... quibus selecti Francorum annalium et politioris literaturae flores inseruntur (1623),
Lutetiae : N. Buon, (s. d.)
- In-4 °
In Italia è stata reperita solo l'opera:
Vias, Balthasar de,
Ad sanctissimum Urbanum 8. Pont. Max. Balthasaris Viassii panegyris,
Aquis-Sextiis : apud S. David, 1628
- 11 p. ; 27 cm
- Num. rom. nel titolo
-Paese di pubblicazione: FR
-Lingua di pubblicazione: lat.
-Localizzazioni: Biblioteca comunale - Palazzo Sormani
Svolse gli studi universitari a Cambridge che tuttavia lasciò presto per recarsi a Parigi.
Si recò quindi a Lovanio ove fu notato da un esponente della Santa Sede che si adoperò onde
si trasferisse a Roma e frundo di una pensione o borsa di studio frequentasse un seminario papale
Dati i peggioramenti della sua già incerta salute dovette poi trasferirsi a Tournai dove alla fine si segnalò quale professore di studi umanistici: dopo un intervallo a Poitou, fu ancora professore di studi umanistici ma a Tolousa. Fra poco, lo zelo in dissentions locali lo ha trasmesso alla deriva una volta di più. Declinando una sedia di filosofia a Montpellier, ha competuto con successo per una di oratoria a Nimes. Passò attraverso varie vicissitudini professionali e famigliari ma ebbe una discreta continuità didattica a Parigi ove insegnò materie umanistice per sette anni, fino a quando fu invitato a risedere a Londra in qualità di storico ufficiale di re Giacomo I. Il matrimonio in Inghilterra non si coniugò con la fortuna attesa anche la crisi della casa reale: per questo motivosi recò in Italia e grazie all'appoggio granducale ottenne la cattedra universitaria di legge civile a Firenze. Staccatosi dal granduca ottenne una docenza a Bologna negli studi umanistici: anche in questa città la sua vita tormentata non ebbe quiete e fu colpito da sostetti di simpatie ereticali ad opera dell'Inquisizione: morto nel 1625 fu poi sepolto nella chiesa di S. Domenico a Bologna.
Storicamente ebbe indubbio valore ma fu spesso accusato di parteggiare troppo per il suo paese la Sozia continuamente esaltato:
in particolare alcuni eminenti storici ecclesiastici irlandesi del diciassettesimo secolo (in particolare John Colgan e John Lynch) gli si contrapposero in quanto aveva attribuito per nascita alla Scozia molti santi e beati dai natali irlandesi
Autore di tragedie, poemi e ha tuttavia il vertice della sua produzione nella Historia Ecclesiastica Gentis Scotorum [da Enciclopedia cattolica]: segue comunque qui il corpus delle sue opere rintracciabili in Italia secondo l'SBN:
Dempster, Thomas , Antiquitatum romanarum corpus absolutissimum, in quo praeter ea quae Ioannes Rosinus delineauerat, infinita supplentur, mutantur, adduntur. Ex criticis, et omnibus utriusque linguae auctoribus collectum: poetis, oratoribus, historicis, iurisconsultis, qui laudati, explicati, correctiq. Thoma Dempstero a Muresk, I.C. Scoto, auctore. Editio noua, Genevae: Chouet, Pierre <2.> & Chouet, Jacques <3.>, 1620
Dempster, Thomas, Antiquitatum romanarum corpus absolutissimum, in quo praeter ea quae Ioannes Rosinus delineauerat, Infinita supplentur, mutantur, adduntur: ex criticis, et omnibus vtriusque linguae auctoribus collectum ..., Genevae: Chouet, Samuel, 1558
In obitum Aldinae catellae. Lacrymae poeticae, Parisijs: Buon, Nicolas, 1622
Dempster, Thomas, Keraunos kai obelos in glossas Lib. 4. Institut. Iustiniani Vbi ad amussim criticam glossae, leges ipsae, autores latini, et graeci examinantur corriguntur per Thomam Demspterum I.C. Scotum. baronem de Muresk hum. profess. eminentem. Ad illustriss. comitem Octauium Ruinium patricium Bononiensem, Bononiae: Tebaldini, Nicolo Mascheroni, Girolamo, 1622
Aldrovandi, Ulisse, Vlyssis Aldrouandi ... Quadrupedum omnium bisulcorum historia. Ioannes Cornelius Vteruerius Belga colligere incaepit Thomas Dempsterus ... perfecte absoluit ... cum indice copiosissimo, Bonon., Bononiae: Ferroni, Giovanni BattistaBernia, Marco Antonio, 1642
Dempster, Thomas, Menologium scotorum in quo nullus nisi Scotus gente aut conuersatione, ...colligit publicat et inscribit ... Thomas Dempsterus ... opus ecclesiasticae hierarchiae ac monasticae vitae dignitati augendae, hae resi in Scotia vigenti consundendae operose utile, Bononiae: Tebaldini, Nicolo, 1622
Dempster, Thomas, Scotorum scriptorum nomenclatura. Quartum aucta. Sancti 679. beati 81. papae 5. ... Ex suis historiarum lib. 19. excerpsit Thomas Dempsterus ..., Bononiae: Tebaldini, Nicolo, 1622
Dempster, Thomas, Antiquitatum Romanarum corpus absolutissimum, in quo praeter ea quae Ioannes Rosinus delineauerat, infinita supplentur, mutantur, adduntur: ... Thoma Dempstero a Muresk , I.C. Scoto, auctore, Geneuae: Chouet, Samuel, 1559 i.e. 1659
Dempster, Thomas, Historia ecclesiastica gentis Scotorum lib. 19. Qua viri sanctitati literis, dignitatibus toto orbe illustres, & familiae, et Scoticae in varias vrbes transmissae, & praecipue Placentia recensentur. ... Auctore Thoma Dempstero Scoto ..., Bononiae: Tebaldini, Nicolo, 1627
Rosinus, Ioannes, Antiquitatum romanorum corpus absolutissimum, in quo praeter ea quae Ioannes Rosinus delineauerat, infinita supplentur, mutantur, adduntur ... Thoma Dempstero a Muresk, I.C. Scoto, auctore, Apud Petrum & Iacobum Chouet, 1632
Dempster, Thomas, 1
Dempster, Thomas, Apparatus ad historiam Scoticam lib. 2. accesserunt martyrologium Scoticum sanctorum 1679. Scriptorum Scotorum 1603. nomenclatura. Auctore Thoma Dempstero ..., Bononiae: Tebaldini, Nicolo, 1622
Dempster, Thomas, 2: Apparatus ad historiam Scoticam lib. 2. De regni & regum Scotorum maiestate res domi forisque literis & armis gloriose gestae ..., Bononiae: Tebaldini, Nicolo, 1622
Aldrovandi, Ulisse, Vlyssis Aldrouandi patricii Bononiensis Quadrupedum omnium bisulcorum historia. Ioannes Cornelius Vteruerius Belga colligere incaepit. Thomas Dempsterus Baro a Muresk Scotus i.c. perfecte absoluit. Hieronymus Tamburinus in lucem edidit ... Cum indice copiosissimo, Bononiae: Bonomi, SebastianoTamburini, Girolamo, 1621
Passeri, Giovanni Battista <1694-1780>, Jo. Baptistae Passerii ... In Thomae Dempsteri libros de Etruria regali paralipomena, quibus tabulae eidem operi additae illustrantur. Accedunt dissertationes de re nummaria Etruscorum, de nominibus Etruscorum, et notae in tabulas Eugubinas, Lucae: Venturini, Leonardo, 1767
Aldrovandi, Ulisse, Vlyssis Aldrouandi ... Quadrupedum omnium bisulcorum historia. Quam Ioannes Cornelius Vteruerius belga colligere incoepit, Thomas Dempsterus ... perfecte absoluit, Marcus Antonius Bernia denuo in lucem edidit. Cum indice copiossissimo, Francofurti ad Moenum: Haubold, Peder <1646-1679>Rotel, Kaspar, 1647
Rosinus, Iohannes, Iohannis Rosini Antiquitatum Romanarum corpus absolutissimum, cum notis doctissimis ac locupletissimis Thomae Dempsteri J.C. Cui accedunt Pauli Manutii libri 2. De legibus et De senatu, cum Andreae Schotti Electis, 1. De priscis roman. gentibus ac familiis. 2. De tribubus rom. 35. rusticis atque urbanis. 3. De ludis festisque rom. ex kalendario vetere. Cum indice locupletissimo rerum ac verborum, & aeneis figuris accuratissimis urbis, &c, Amstelaedami: Schouten, Salomon, 1743
Rosinus, Iohannes, Johannis Rosini Antiquitatum Romanarum corpus absolutissimum, cum notis doctissimis ac locupletissimis Thomae Dempsteri J.C. Cui accedunt Pauli Manutii libri 2. De legibus, et de senatu, cum Andreae Schotti electis, 1. De priscis Rom. gentib. ac familiis. 2. De tribubus Rom. 35. rusticis atque urbanis. 3. De ludis festisque Rom. ex kalendario vetere. Cum indice locupletissimo rerum ac verborum, & aeneis figuris accuratissimis urbis, &c, Trajecti ad Rhenum: Water, Willem van de <1686-1728>, 1701
Dempster, Thomas, Antiquitatum Romanarum corpus absolutissimum in quo praeter ea quae Ioannes Rosinus delineauerat, infinita supplentur, mutantur, adduntur ex criticis et omnibus ... Thoma Dempstero a Muresk, I. C. Scoto, auctore, Aureliae Allobrogum: Cartier, Gabriel, 1620
Aldrovandi, Ulisse, Vlyssis Aldrouandi ... Quadrupedum omnium bisulcorum historia. Ioannes Cornelius Vteruerius Belga colligere incaepit Thomas Dempsterus ... perfecte absoluit. ... cum indice copiosissimo, Bononiae: Ferroni, Giovanni Battista, 1642
Morì nel 1626.
Seguono qui le di lui opere individuate nelle biblioteche italiane secondo il sistema informatico SBN:
Dempster, Thomas , Antiquitatum romanarum corpus absolutissimum, in quo praeter ea quae Ioannes Rosinus delineauerat, infinita supplentur, mutantur, adduntur. Ex criticis, et omnibus utriusque linguae auctoribus collectum: poetis, oratoribus, historicis, iurisconsultis, qui laudati, explicati, correctiq. Thoma Dempstero a Muresk, I.C. Scoto, auctore. Editio noua, Genevae: Chouet, Pierre <2.> & Chouet, Jacques <3.>, 1620
Dempster, Thomas, Antiquitatum romanarum corpus absolutissimum, in quo praeter ea quae Ioannes Rosinus delineauerat, Infinita supplentur, mutantur, adduntur: ex criticis, et omnibus vtriusque linguae auctoribus collectum ..., Genevae: Chouet, Samuel, 1558
Rosinus, Iohannes, Romanarum antiquitatum libri decem ex variis scriptoribus summa fide singularique diligentia collecti a Ioanne Rosino Bartholomaei F. Isennacensi Thuringo. Cum indicibus locupletissimis, BasileaeBasileae: Waldkirch, Konrad von Perna, Peter Erben, 1583
Dempster, Thomas , Antiquitatum Romanarum corpus absolutissimum, in quo praeter ea quae Ioannes Rosinus delineauerat, infinita supplentur, mutantur, adduntur: ... Thoma Dempstero a Muresk, I.C. Scoto, auctore, Geneuae: Chouet, Samuel, 1559 i.e. 1659
Rosinus, Iohannes, Iohannis Rosini Antiquitatum Romanarum corpus absolutissimum, cum notis doctissimis ac locupletissimis Thomae Dempsteri J.C. Cui accedunt Pauli Manutii libri 2. De legibus et De senatu, cum Andreae Schotti Electis, 1. De priscis roman. gentibus ac familiis. 2. De tribubus rom. 35. rusticis atque urbanis. 3. De ludis festisque rom. ex kalendario vetere. Cum indice locupletissimo rerum ac verborum, & aeneis figuris accuratissimis urbis, &c, Amstelaedami: Schouten, Salomon, 1743
Rosinus, Iohannes, Johannis Rosini Antiquitatum Romanarum corpus absolutissimum, cum notis doctissimis ac locupletissimis Thomae Dempsteri J.C. Cui accedunt Pauli Manutii libri 2. De legibus, et de senatu, cum Andreae Schotti electis, 1. De priscis Rom. gentib. ac familiis. 2. De tribubus Rom. 35. rusticis atque urbanis. 3. De ludis festisque Rom. ex kalendario vetere. Cum indice locupletissimo rerum ac verborum, & aeneis figuris accuratissimis urbis, &c, Trajecti ad Rhenum: Water, Willem van de <1686-1728>, 1701
Dempster, Thomas, Antiquitatum Romanarum corpus absolutissimum in quo praeter ea quae Ioannes Rosinus delineauerat, infinita supplentur, mutantur, adduntur ex criticis et omnibus ... Thoma Dempstero a Muresk, I. C. Scoto, auctore, Aureliae Allobrogum: Cartier, Gabriel, 1620
Rosinus, Iohannes, Antiquitatum Romanarum corpus absolutissimum in quo praeter ea quae Ioannes Rosinus delineauerat, infinita supplentur, mutantur, adduntur ex criticis et omnibus ... Thoma Dempstero a Muresk, I. C. Scoto, auctore, [Ginevra!: Chouet, Pierre <2.> & Chouet, Jacques <3.>, 1632
Dempster, Thomas , Antiquitatum Romanarum corpus absolutissimum, in quo praeter ea, quae Ioannes Rosinus delineaverat, infinita supplentur, mutantur, adduntur ... Thoma Dempstero a Muresk, J.C. Scoto auctore. Huic postrema editioni accesserunt. Electa, 1. De priscis Rom. gentil. ac familis. 2. De tribus Rom. 35. rusticis atque urbanis. 3. De ludis festiqu. Rom. ex kalendario vetere. Studio And. Schotti .., Coloniae: Kalcoven, Jodokus, anno 1645
Dempster, Thomas , Antiquitatum Romanarum corpus absolutissimum in quo praeter ea quae Ioannes Rosinus delineauerat, infinita supplentur, mutantur, adduntur. Ex criticis, et omnibus vtriusque linguae auctoribus collectum. ... Thoma Dempstero a Muresk, I.C. Scoto, auctore. Ad potentissimum augustissimumque principem Iacobum 1. monarcham magnae Britanniae, &c, Lutetiae Parisiorum: Le Bouc, Jean, 1613
Rosinus, Iohannes, Romanarum antiquitatum libri decem ex variis scriptoribus summa fide singularique diligentia collecti a Ioanne Rosino Bartholomaei F. Isennacensi Thuringo. Cum indicibus locupletissimis, Lugduni: La Porte, Sibylle de, 1585
Rosinus, Iohannes, Romanarum antiquitatum libri decem, ex variis scriptoribus summa fide singularique diligentia collecti, a Ioanne Rosino Bartholomaei ... Cum indicibus locupletissimis, Genevae: Gamonet, Estienne, 1611
Rosinus, Iohannes, Joannis Rosini Antiquitatum Romanarum corpus absolutissimum. Cum notis doctissimis ac locupletiss. Thomae Dempsteri J.C. huic postremae editioni accuratissimae accesserunt Pauli Manutii lib.2. De legibus, et de senatu, cum And. Schotti electis, 1. De priscis Rom. gentil. ac familiis. 2. De tribubus Rom 35. rusticis atque urbanis. 3. De ludis festisque Rom. ex kalendario vetere. Cum indice locupletissimo rerum ac verborum, & aeneis figuris accuratissimis vrbis &c. Accurante Cornelio Schrevelio, Lugduni Batavorum: Hackius, Petrus & Hackius, Jacobus & Hackius Cornelius, 1663
Dempster, Thomas, Antiquitatum Romanarum corpus absolutissimum, in quo praeter ea quae Ioannes Rosinus delineauerat, infinita supplentur, mutantur, adduntur: ex criticis, et omnibus vtriusque linguae auctoribus collectum, ... Thoma Dempstero a Muresk, I. C. Scoto, auctore, Genevae: Chouet, Pierre <2.> & Chouet, Jacques <3.>, 1640
Ecco le sue opere rintracciate nelle biblioteche italiane secondo l'indice informatico SBN:
Bauhuis, Bernard, Bernardi Bauhusii et Balduini Cabillaui e Soc. Iesu Epigrammata. Caroli Malapertii ex eadem Soc. Poemata, Antuerpiae: Officina Plantiniana
Cabilliau, Baudouin, R. P. Balduini Cabiliaui Iprensis e Societate Iesu Epistolarum heroum et heroidum libri quatuor, Antuerpiae: Aertssens, Hendrik <1.>, 1636
Cabilliau, Baudouin, Balduini Cabilliani e Soc. Iesu Magdalena, Antuerpiae: Officina Plantiniana
Cabilliau, Baudouin, Phosphorus sive Ioannes Baptista auctore R.P.B. Balduino Cabillavo Iprensi Societatis Iesu, Lovany: Coenesteyn, Corneille, 1642
Cabilliau, Baudouin, Balduini Cabillaui Yprensis e Societate Iesu Epigrammata selecta, Antuerpiae: Officina Plantiniana
Cabilliau, Baudouin, Lemmata nouo-antiqua pancarpia, ex natura, historia, moribus, in gratiam studiosae iuuentutis tetrastichis illigata. Cum indice titulorum, in quos digesta sunt, [12] 12o.Per l'A., Baudoin Cabilliau, cfr. Backer-Sommervogel, v. 2: Bellet, Francois, 353 p.
- Paese di pubblicazione: DE - Lingua di pubblicazione: lat., greco - Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale - Firenze - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma - Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
Minucius Felix, Marcus,
M. Minucii Felicis Octavius cum integris Woweri, Elmenhorstii, Heraldi & Rigaltii notis aliorumque hinc inde collectis ex recensione Iacobi Gronovii qui emendationes & explicationes suas adjecit. Accedunt Caecilius Cyprianus De idolorum vanitate. & Iulius Firmicus Maternus V.C. De errore profanarum religionum,
Rotterodami : apud Joh. Danielem Beman, 1743
- 20, 496, 24 p. ; 8o
- Antip. calcogr,
- Front. stampato in rosso e nero
- Segn.: [ast!8 2[ast!8 A-2I8 2K4
- Impronta - isa- uiu- edan mite (3) 1743 (R)
-Paese di pubblicazione: NL
-Lingua di pubblicazione: lat
-Localizzazioni: Biblioteca del Seminario arcivescovile - Torino
Minucius Felix, Marcus,
Marci Minutii Felicis Octavius Geverhartus Elmenhorstius recensuit et librum commentarium adiecit,
[Hamburg], 1612
- 2pt. in 1 v. ([4], 41 ; XCII, [5] p.) ; 2o.
- Cfr. COPAC
- Front. inc.
- Segn.: [pigreco]4, A-R4
- Impronta - m.n- s,on usut negi (3) 1612 (R)
-Paese di pubblicazione: DE
-Lingua di pubblicazione: latino
-Localizzazioni: Biblioteca della Società napoletana di storia patria - Napoli
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
Minucius Felix, Marcus,
M. Minucii Felicis Octavius cum integris omnium notis ac commentariis, novaque recensione Jacobi Ouzelii. Cuius & accedunt animadversiones. Accedit praeterea liber Julii Firmici Materni V.C. De errore profanarum religionum,
Lugduni Batavorum : ex officina Ioannis Maire, 1652
- [40!, 44, [2!, 46, 140, 36, 32, 212, [24!, 56 p. ; 4o
- Vignetta inc. sul front. stampato in rosso e nero
- Segn.: pp [ast!p 2[ast!-5[ast!4 A-E4 F4, A4 B-F4 G4, a4 b-3k4, A-G4
- Impronta - ++++ amt- l-e- ejin (3) 1652 (A)
- Minucius Felix, Marcus -
Wowern, Johann : von <1574-1612> -
Herauld, Didier
Apuleius
Apuleii Madaurensis Platonici Opera omnia quae exstant. Geuerhartus Elmenhorstius ex mstis & vett. codd. recensuit, librumque emendationum & indices absolutissimos adiecit,
Francofurti : in officina Wecheliana, apud Danielem & Davidem Aubrios, & Clementem Schleichium, 1621
- 3 v. ; 8o.
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
Apuleius,
Appuleii Opera omnia, cum notis integris Petri Colvii, Ioannis Wowerii, Godeschalci Stewechii, Geverharti Elmenhorstii, et aliorum, inprimis cum animadversionibus hucusque ineditis Francisci Oudendorpii
, Lugduni Batavorum : apud van der Eyk et Vygh, 1786-1823
- 3 v. ; 4o
- I vol. 2 e 3 editi: apud S. et J. Luchtmans
- 27 cm
-Paese di pubblicazione: NL
-Lingua di pubblicazione: lat
-Localizzazioni: Biblioteca del Dipartimento di scienze dell'antichità dell'Università degli studi di Milano -
Biblioteca del Dipartimento di scienze dell'antichita' dell'Universita' degli studi di Padova - Padova
Arnobius,
Arnobii Disputationum adversus gentes libri 7. Gebhart. Elmenhorstius collatis diversis codicibus recensuit et observationibus illustravit,
Hamburgi, 1610
- [4], 150, [28], 158, [2] p. : front. calcogr. ; fol.
- Le Observationes iniziano con proprio occhietto a c. 2A1r.
- Segn.: P2 A-Y4, 2A-T4 V6
- VD 17 on line, nr: 23:265496D
- Impronta - e.r, i-n- tes- trde (3) 1610 (R)
-Paese di pubblicazione: DE
-Lingua di pubblicazione: lat
-Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca della Societa' napoletana di storia patria - Napoli
Apuleius,
Appuleii Metamorphoseon libri 11. Cum notis integris Petri Colvii, Joannis Wowerii, Godeschalci Stewechii, Geverharti Elmenhorstii, & aliorum, imprimis cum animadversionibus hucusque ineditis Francisci Oudendorpii. Praefationem praemisit David Ruhnkenius,
Lugduni Batavorum : apud Van der Eyk et Vygh, 1786
- 4, XII, 818, 2 p. ; 4
- Riferimenti: The Bodleian library-CD 25082
- Segn.: \pigreco!2 \ast!4 2\ast!2 A-5K4 5L2
- Impronta - umum o-n* e-i- celu (3) 1786 (R)
-Paese di pubblicazione: NL
-Lingua di pubblicazione: lat
-Localizzazioni: Biblioteca comunale - Imola - BO
- Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano
- Biblioteca del Dipartimento di scienze dell'antichità dell'Università degli studi di Milano -
Biblioteca del Dipartimento di scienze dell'antichita' dell'Università degli studi di Padova - Padova - PD
Biblioteca Palatina - Parma
Arnobius,
Arnobij Afri Aduersus gentes libri 7. Cum recensione viri celeberrimi, & integris omnium commentariis...
Editio novissima atque omnium accuratissima,
Lugduni Batauorum : ex officina Ioannis Maire, 1651
- 4 pt. ([12], 255, [1]; 156; [4], 191, [89]; 283, [21] p.) ; 4
- Per i nomi dei curatori, Claude de Saumaise e Antonius Thysius, cfr. NUC pre-1956, v. 22, p. 74
- Vignetta calcogr. sul front. incisa da Cornelis van Dalen
- Front. stampato in rosso e nero
- Segn.: "(\1+*") 2*" A-2I4; A-T4 V"; " A-2M4; A-2P4
- Pt. 2: Theodori Canteri Notae ad Arnobium e con occhietto a c. E1r: Godescalci Stewechij Heusdani In libros 7. Arnobij Adversus gentes electa; pt. 3: Gebhardi Elmenhorstij Observationes ad Arnobium, et in eundem collectanea variarum lectionum; pt. 4: Desiderij Heraldi Animadversiones et castigationes, ad Arnobij libros 7
- Ciascuna pt. preceduta da proprio occhietto
-Titolo uniforme: Adversus nationes
- Impronta - u-e- gii- m-i, noto (3) 1651 (R)
-Paese di pubblicazione: NL
-Lingua di pubblicazione: lat
-Localizzazioni: Biblioteca pubblica arcivescovile Annibale De Leo - Brindisi
- Biblioteca nazionale centrale - Firenze
- Biblioteca Estense Universitaria - Modena
- Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III - Napoli
- Biblioteca del Seminario maggiore - Padova
- Biblioteca comunale Giosue' Carducci - Spoleto - PG
- Biblioteca Palatina - Parma
- Biblioteca nazionale di Potenza - Potenza
- Biblioteca comunale Manfrediana - Faenza - RA
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca universitaria di Sassari
- Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino
- Biblioteca del Seminario arcivescovile - Torino
- Biblioteca dell'Istituto sociale dei padri gesuiti - Torino
- Biblioteca Diocesana - Tropea - VV
-CIMITERO - CIMITERI ROMANI (INUMAZIONI PAGANE: NORMATIVA LEGALE DELLE PROCEDURE DI SEPPELLIMENTO)
-CIMITERO - CIMITERI ROMANI (INUMAZIONI PAGANE): DIRITTO ALLA SEPOLTURA PER I CADAVERI DEI GIUSTIZIATI SECONDO IL TITOLO 24.0. DEL DIG. (LIBRO XLVIII)
-CIMITERO - CIMITERI (INUMAZIONI PALEOCRISTIANE: CATACOMBA - CATACOMBE - LORO TIPOLOGIA, EVOLUZIONE STORICA E SIMBOLOGIA CORRELATA)
-
-
-CIMITERO - CIMITERI (TECNICHE DI SEPPELLIMENTO DALL'ETA' ANTICA ALL' INTERMEDIA: INDICE E TESTO DELLA SILLOGE SEICENTESCA DI FLORIANO DOLFI, IL DULPHUS)
-CIMITERO - CIMITERI (IL FIORIRE SEI-SETTECENTESCO DI SUPERSTIZIONI SU MORTE E CIMITERI)
-CIMITERO - CIMITERI: LA CULTURA POPOLARE E CONTRORIFORMISTA DI FANTASMI E/O SPETTRI
-CIMITERO - CIMITERI: LA CULTURA POPOLARE E CONTRORIFORMISTA DI " RITORNANTI "
-CIMITERO - CIMITERI (LA RIFORMA SETTECENTESCA DEI CIMITERI: EDITTO DI SAINT-CLOUD)
Heinsius, Daniel <1580-1655>,
Laus asini : tertia parte auctior cum alijs festivis opusculis, quorum seriem pagella sequens indicat...,
Lugd. Batavorum : ex off. Elzeviriana, 1629
- [10] c., 438 p. ; 10 cm .
-Paese di pubblicazione: FR
-Lingua di pubblicazione: latino
-Localizzazioni: Biblioteca provinciale Scipione e Giulio Capone - Avellino
Heinsius, Daniel <1580-1655>,
Laus asini tertia pars auctior: cum alijs festivis opusculis, quorum seriem pagella sequens indicat,
Lugd. Batauorum : ex officina Elzeviriana, 1629
- 20, 438, 2 p. ; 24o lungo
- Seconda ed. dell'opera di Daniel Heinsius: cfr. Willems, Les Elzevier, p. 82, n. 315
- Pubblicato da Bonaventura e Abraham Elzevier
- Front. inciso
- Segn.: *6 2*4 A-2N6 2O4
- La c. 2O4 e bianca
- Impronta - u-i- o-vt 7.n- aIej (3) 1629 (R)
-Paese di pubblicazione: NL
-Lingua di pubblicazione: latino
-Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale - Firenze
- Biblioteca nazionale Braidense - Milano
- Biblioteca civica De Gregoriana - Crescentino - VC
-CAPELLI - ACCONCIATURA DEI CAPELLI IN ETA' MEDIEVALE
-CAPELLI - ACCONCIATURA DEI CAPELLI NEL XVII SECOLO (BARBA - BAFFI - CAPELLI POSTICCI: VEDI POI IN DETTAGLIO LE ACCONCIATURE DONNESCHE)
-CAPELLI - ACCONCIATURA DEI CAPELLI NEL XVIII SECOLO (PARRUCCA - PARRUCCHE)
-CAPELLI - ACCONCIATURA DEI CAPELLI AI PRIMI DEL XIX SECOLO
-[ CURA DEI CAPELLI SECONDO IL MANOSCRITTO WENZEL: XVIII - XIX SECOLO ]
Buzzaccarini, Antonio <1578?-1634>,
Poesie in lingua rustica padouana di Berteuello dalle Brentelle, cioe madrigali, Bradamante irata, Isabella e Zerbino, Orlando addolorato, lamenti raccolti e imitati da leggiadri canti dell'Ariosto,
In Venetia : appresso Daniel Bissuccio
- 132, [4] p. : ill. ; 4o.
- Nome dell'A.: Antonio Buzzaccarini cfr. DBI
- Riferimenti: Agnelli-Ravegnani, Annali delle edizioni ariostee, v.2, p.261-263
- Segn.: A-H8 I12
- Tit. ricavato da: DBI, v.15, p.635-636
- Ultima c. bianca.
- Vignette, fregi, filett., cornici e final. xil
-Altri titoli collegati: [Pubblicato con] Sbrauamante scorezza de Berteuello dalle Brentelle contain pauan. Caua fuora del slibrazzon de Barba Vigo Arosto -
Zerbin e la Bella. De Berteuello dalle Brentelle contain pauan. Lomento stramuo, e cernu da i viersi de Barba Vigo Arosto -
[Pubblicato con] Rolando Fastubio de Berteuello dalle Brentelle contain pauan. Lomento stramuo, e cernu da i viersi de Barba Vigo Arosto
- Paese di pubblicazione: IT
-Lingua di pubblicazione: ita.
- Localizzazioni: Biblioteca comunale Ariostea - Ferrara -
Biblioteca nazionale centrale - Firenze
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
- Biblioteca comunale Ariostea - Ferrara
- Biblioteca nazionale centrale - Firenze
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
Aprosio se ne valse per una citazione a p. 123 del Capitolo XXI dello Scudo di Rinaldo anche se l'autore ligure più consono ai suoi interessi rimane verisimilmente il grande Gian Giacomo Cavalli e secondariamente l'epico taggiasco Stefano Rossi alias Nofaste Sorsi.
Ecco comunque le liriche del Foglietta.
[Poesie]
[PER ARMAR GALEE ]
Quando ri nostri antighi inscivan fuoe
d'esto porto de Zena con l'armà
re corne dentro ben favan tirà
a ri corsè ch'oura ne tran ro cuoe.
E ben messà ghe favan ro trazoe
e a cubozzon ri favan zù chiombà,
si che tegnivan ben netto ro mà
ni fummo moè temmen de ravioe.
Ma s'oura nave, barche, o bregantin
essan fuoe d'esto porto per nostro uso,
l'afferran presto questi chen mastin.
Ri què dri nostri legni fan ro fuso
si ben, che legno grosso, ò pichienin,
no ardisse chiù trà naso da pertuso.
E puoe che l'antigo uso
hemo lasciao d'armà garie assè
chiù no possemo villezzà ra stè.
Perchè san ch'oura armè
de vendegnari lò no s'attrovemo
e belle vigne con poche ughe semo.
[Quando i nostri antichi uscivano fuori
da questo porto di Genova con la flotta
erano ben capaci di fare ritirare le corna
ai corsari che ora ci strappano il cuore.
E gli facevano ben muovere il sedere
e li facevano cadere a capofitto,
così che tenevano ben pulito il mare
nè mai si spaventarono del fumo dei ravioli.
Ma se ora navi, barche, o brigantini
escono fuori dal porto per nostro uso,
l'afferrano tosto questi cani mastini.
I quali fanno una strage tale delle nostre imbarcazioni
che nè legno grosso, nè piccolo,
osa più mettere il naso fuor dal buco.
E da quando abbiamo abbandonato
l'antico uso di armare molte galee
non possiamo più villeggiare d'estate.
Perchè sanno che oggi non ci troviamo
abbastanza armati da fare una vendemmia di loro
e siamo belle vigne con poca uva. ]
Dond'è l'honò dri nostri antighi e groria?
Dond'è l'honò dri nostri antighi e groria?
chi han sott'e sovra terra e mà buttao,
perch'han ro vero honò tutti apprexao,
quanto noi l'oro, pompa e vanagroria?
Cose dé dì messé Paganin Doria
chi era fragello dri paghen ciamao?
Cose dé dì messè Giaxo Axerao,
e ri atri antighi degni de memoria?
Che paraxi da Re chì fà ne ven
puoe da un nostro vassallo, e da corsè,
batte ne ven per che garie n'hemo.
Ch'oura da Duchi tutti stà voggiemo,
ma quelli chi ro mondo tremà fen,
a Zena stavan da citten privè,
senza paraxi ornè.
Ma se ben vivi in gran paraxi stemo
in streita fossa morti allogieremo,
nì ciù mentè saremo;
donca come i antighi femo noì,
se morti e vivi havei voggiemo honoì.
Che son monto meggioì,
per fane honò, ri legni dre garìe
che re poise de cangi e pompe e prie.
[
Dove sono l'onore e la gloria dei nostri antichi,
che misero sottosopra terra e mare
perché apprezzarono il vero onore
quanto noi l'oro, il lusso e la vanagloria?
Che deve dire messer Paganino Doria,
che era chiamato flagello degli infedeli?
Che deve dire messer Biagio Assereto
e gli altri antichi degni di memoria,
che ci vedono costruire qui palazzi da re
e poi sconfiggere da un nostro vassallo o dai corsari
perché non abbiamo galee?
Ché adesso vogliamo tutti vivere da Duchi,
ma coloro che fecero tremare il mondo
vissero a Genova come privati cittadini
senza palazzi ornati
Ma, sebbene da vivi abitiamo grandi palazzi,
da morti alloggeremo in una stretta fossa
né più saremo ricordati
Quindi, facciamo come gli antichi
se vogliamo avere onori da vivi e da morti;
poiché sono molto migliori
i legni delle galee, per farci onore,
che non le polizze di cambio, i lussi e i gioielli.]
Se duoe de Zena...
Se duoe de Zena ra Rivera assè
perchè chiù da guardara a n'ha garie,
nì chiù s'ode in Rivera ca stromie
e tamborin sunnà pe ri corsè.
Ni re gente de nuoette dorman moè
che ghe fan turchi e mori scorrarie,
e se personne son troppo adormie
lighè se troevan prima che dessè.
E streiti in brasso da ri corsè presto
in fusta son portè figgie e figgiuoe,
si fan là dentro de tutt'erba un fassio,
che boettan i homi , e donne à catafassio,
e inseme si ben strenzan quello, e questo,
che spesso fan buttaghe ro sciao fuoe.
Ni ghe va di da cuoe:
Ohimè che moero, ohimè che vegno a men,
che ri lascian morì perchè son chen.
E ben mennan re moen,
che onde feran con ta furia van,
che sempre ro segnà restà ghe fan.
E ro sangue ne tran:
sin che Zena no fa legni armà
ghe conven ra Rivera abandonà.
[
Si duole di Genova la Riviera assai
perchè più non ha galee da proteggerla,
né più s'odono in riviera che campane a stormo
e suonare tamburi per i corsari.
Né la gente dorme mai di notte
perché vi fanno Turchi e Mori scorrerie,
e se le persone sono troppo addormentate,
si trovano legate prima di svegliarsi.
E stretti in braccio dai corsari presto
sulle fuste son portate donne e bambini
e là dentro fanno d'ogni erba un fascio,
ché buttano donne e uomini alla rinfusa
e stringono assieme questo e quello a tal punto
da fargli uscire il fiato.
Né vale dirgli accorati:
Ohimé che muoio, ohimé svengo,
perché li lasciano morire, quei cani.
E assestano tali colpi,
che dove colpiscono con tal furia vanno,
e sempre vi fanno restare il segno.
E ci succhiano il sangue:
fin che Genova non fa armare navi
le conviene abbandonare la Riviera.]
Da Citten no vestimo...
Da citten no vestimo, ma da Conti
ch'emmo cangiao ra Toga in pompe e galle
e tutti à re virtù demmo de spalle,
e corre derré à vitij semo pronti.
No andà chiù se degnemo su ri ponti
a receive dre lanne e spacchià balle
che à noi conven pù fà, che in questa valle
semo nassui, circondà da monti.
Ni vive da Baroin poemo d'intrà
che ne conven per forza esse mercanti
o Zena moere nostra abandonà.
Ro scosà ne conven tegnì davanti
e a ra butega infin ne conven stà,
o scorre ri Ponenti e ri Levanti.
[
Non vestiamo da cittadini, ma da conti,
perché abbiamo cambiato la toga in pompe e galle
e tutti alla virtù diamo le spalle
e ad inseguire i vizi siamo pronti.
Non ci degniamo più di andare sui ponti
a ricevere lane e vendere balle,
cosa che pure ci conviene fare, poichè
siamo nati in questa valle circondata da monti.
Nè possiamo vivere di rendita come Baroni,
ché dobbiamo per forza essere mercanti
o Genova madre nostra abbandonare.
Il grembiule dobbiamo tenere davanti,
infine, e stare in bottega,
oppure depredare il Ponente e il Levante.]
Zena moere de regni e de cittè
Zena moere de regni e de cittè
zà reginna dro mà fò tanto brava
che navegando de gren Rè piggiava
non che menui e pichieni corsè.
Che a travaggiava con garie armè
e ligava nemixi e noi servava,
e chenne grosse da per lé schiancava,
chi ancora son per Zena spanteghè.
Ma si ben l'otio l'ha marcìa chie,
che da per lé stà drita a no puoe chiù,
non che fà come avanti bravarie.
E s'un baston da poeise reze su
in man noi no ghe demo de garie
Zena à ra fin porreiva caze zù.
Ni Renna oura a pà chiù,
anzi de Renna a pà vegnùa un messo
perchè parla che veggo de trasmesso
e bàttera ben spesso;
ma se ro legno dre garie a l'ha,
de corsè ra marinna a spasserà.
E Renna a tornerà
perchè castiga matti, in concruxon,
re garie de Zena dì se pon.
[
Genova madre di regni e di città
già fu regina del mare tanto coraggiosa
che navigando catturava grandi Re
nonché minuti e piccoli corsari.
Perché lavorava con galee armate,
e legava nemici e ci salvava
e grandi catene da sola spezzava,
che ancora oggi sono sparse per Genova.
Ma a tal punto l'ozio l'ha fatta marcire
che non può più star dritta da sé,
e tanto meno compiere atti di coraggio.
E se in mano per sorreggersi un bastone
fatto di galee noi non le diamo
Genova infine potrebbe cadere.
Né ora sembra più una Regina
ma di Regina sembra divenuta un messo,
perché parla per conto d'altri
e spesso è battuta.
Ma se il legno delle galee ha
ripulirà il mare dai corsari.
E tornerà Regina
perché in conclusione castiga matti
le galere di Genova possono essere dette.]
Gren ville hemo dattorno ra Cittè
Gren ville hemo dattorno ra Cittè
re què venzan con l'arte ra natura,
chi han sempre belle scioì, frute e verdura,
e pareixi terrestri son chiamè,
e in queste ville hemo paraxi assè
grendi e ben feti per architettura,
con de fontanne belle otra mezura,
de marmaro scorpìe e naturè.
Ma che ne zoa avei sì belle ville
se quando è tempo goe no re poemo,
perchè chiù n'hemo a Zena unna garia?
E conven che ra guardia in villa femo,
perchè a trovà ne vennan corsè mille,
ri què ne mennan, se dormimo, via
su fusta, ò su garia;
e homi e donne fuzze fan,
ni a piggià braghe, ò camixette, stan,
che mostran quello ch'han:
e se ben torre e guardie in villa femo,
da ri corsè piggiase ancon vegghemo.
E intrà se ri veiremo
dentro Zena, non che intri giardin,
se à fà garie no tornemo infin.
[
Grandi ville abbiamo attorno alla città
le quali vincono con l'arte la natura,
piene di bei fiori, frutta e verdura,
e paradisi terrestri son chiamate.
E in queste ville abbiamo molti palazzi,
grandi e ben fatti per architettura,
con fontane belle oltre misura
scolpite in marmo e al naturale.
Ma che ci giova avere sì belle ville,
se quando è tempo non ce le possiamo godere,
perché non abbiamo più a Genova una galea?
E in villeggiatura dobbiamo fare la guardia,
perché vengono a farci visita mille corsari,
i quali, se siamo addormentati, ci portano via,
su fusta o su galea,
e fanno fuggire uomini e donne
che non stanno a prendere pantaloni o camicette,
ma mostrano quel che hanno.
E benché facciamo in villa torri e posti di guardia
ci vediamo ancora catturare dai corsari.
E ce li vedremo entrare
dentro Genova, nonché nei giardini,
se infine non torniamo a costruire galee.]
Voì vorei pu coxin...
Voì vorei pù coxin che tuttavia
à beive stagghe com'un oca à muoegio
dentr'a fontanna d'Heliconna, ò truoegio,
perché reste agro com'unna limia.
Povera e nua va ra poesia
e mi Foggietta fuoeggie chiù no vuoeggio
ma vorreiva oro in cangio d'orofuoeggio,
chi è solo insegna ancuoe d'ogni hostaria.
E derré fa ro loro ogni personna
à chi cerca orofuoeggio e vuoe ghirlande,
ma un Aze d'oro carrego è adoraou.
Ni perché à beive l'egua d'Heliconna
ra me foggietta devegnì puoe grande,
ni ro senno dro povero è apprexaou.
[
Voi, cugino, volete che io stia sempre
a bere come un oca a mollo
nella fontana o lavatoio di Elicona,
e farmi restare a secco come un limone.
Povera e nuda va la poesia,
e io Foglietta foglie più non voglio,
ma vorrei oro invece di alloro,
che oggidì è solo l'insegna delle osterie.
E ogni persona si fa beffe
di chi cerca l'alloro e vuol ghirlande,
ma un asino carico d'oro viene adorato.
Non perché beve l'acqua d'Elicona
la mia foglietta può divenire grande,
né il senno di un povero viene apprezzato. ]
Da Zena parto quaxi desperao
Da Zena parto quaxi desperao
perché da paro me no posso stà,
che paraxi da Re se gh'usa fà
e dorman ri citten dentro brocao.
E quaxi ogni personna dro me grao
caga in arinto e in oro vuoe mangià,
e da Papa ogni dì vuoe ben pappà
e in stalla ten cavalli da Imperao.
Però ognun scacchia, frappa, e va pomposo
e ten paggi e derré vuoe servitoì,
si ogni cosa chì ne costa un oeggio.
Però Zena à ri ricchi lassà vuoeggio,
dond'un povero spussa de virtuoso,
no possando fà speize da segnoì.
E ri pubrichi honoì
à noì pà che no toccan, zuro à Dé,
che misso ro comun s'amo deré,
e cascun fa per lé.
Si faxemo raxon che sé de pria,
quello Grimado che soretto cria
ch'o cerca compagnia.
Però ro comun poere oura se duoe,
ch'o n'aggie in tenti figgi un bon figgiuoe.
[
Da Genova parto quasi disperato
perché non ci posso stare da mio pari,
che vi si costruiscono palazzi da Re,
e i cittadini dormono nel broccato.
E quasi ogni persona del mio grado
caca in argento, e in oro vuol mangiare,
e da Papa ogni dì vuol ben pappare,
e in stalla mantiene cavalli da Imperatore.
Perciò ognuno maneggia, va attorno e si vanta,
e tiene paggi, e vuole servitori al suo seguito,
sicché ogni cosa qui ci costa un occhio.
Perciò Genova ai ricchi lasciar voglio,
dove un povero puzza di virtuoso,
non potendo fare spese da signori.
E le cariche pubbliche
a noi pare non tocchino, giuraddio,
ché il bene comune ce lo siamo messo per di dietro,
e ognuno pensa a sé.
Così ci facciamo una ragione che sia una statua
quel Grimaldi che soletto grida
che cerca compagnia.
Perciò il padre comune ora si duole,
che tra tanti figli non ha un buon figliolo.]
Maitinna
Quando de scuoeggio in scuoeggio va Maitinna
accuoeggiando patelle gritte e zin,
l'egua deven crestallo puro e fin
e de sarà ven doce ra marinna.
E l'areghe e l'arenna e l'herbettinna
deven d'oro smerado e de rubin
e ri pessi d'arinto brillarin
e Nettun senza in testa se gh'inchinna.
E ro sò per no cuoexera s'asconde,
ma ne fa lumme in cangio ro sò viso:
ro vento treppa int're sò trezze bronde.
Ma no treppo zà mi, perchè m'aviso
che se a se vè si bella dentr'i onde
ch'a no amme sarvo lé como Narciso.
[
Quando "Maitina" va di scoglio in scoglio
raccogliendo telline, granchi, ricci,
l'acqua diviene cristallo puro e fine
e il mare da salato diventa dolce.
E l'alghe e la sabbia e l'erbettina
divengono d'oro smeraldo e di rubino
e i pesci d'argento splendente
e Nettuno a capo scoperto le si inchina
Ed il sole per non scottarla si nasconde
ma in cambio il suo viso ci rischiara
il vento scherza fra le sue trecce bionde.
Ma non scherzo già io, perchè m'accorgo
che se vede sè stessa così bella nelle onde
può amare solo sè stessa, come Narciso.]
Essa costituisce uno degli ingressi di Villa Palombara sull’Esquilino, dove il Marchese Massimiliano Palombara riuniva le persone più colte di quei tempi come Cristina di Svezia cioè "la Basilissa "come si soleva dire a Roma: ovvero l'ancora potente ex Regina di Svezia, Padre "Atanasio" Kircher, l’astronomo Domenico Cassini, il marchese Francesco Maria Santinelli, Giuseppe Francesco Borri, l'abate Domenico Federici ed altri ancora stando anche alle divagazioni dell'ottocentesco erudito Francesco Girolamo Cancellieri.
.
Villa Palombara comprendeva gran parte dell’attuale piazza Vittorio e si estendeva fino a Piazza Dante.
Era ancora intatta nel 1840 come possiamo vedere in un affresco del Palazzo dei Principi Massimo, eredi dei beni e dell’archivio Palombara, per il matrimonio (16-03-1765) dell’ultima Savelli Palombara, Barbara, con il principe Francesco, e da alcune fotografie del 1872.
Mentre la "Porta Magica" è nota a tutti coloro che si sono interessati dell’antica storia della chimica e dell’alchimia, poco conosciuta è la figura del marchese Massimiliano Palombara, profondo cultore delle scienze ermetiche. Scopo d’un mio lavoro pubblicato qualche anno fà ed un altro più recente, è stato quello di mettere in luce la personalità ermetica del Palombara e dimostrare come a lui vanno attribuite le iscrizioni sugli stipiti della porta e non al misterioso pellegrino di cui ci parla il Cancellieri, spesso identificato con Francesco Borri, medico e alchimista milanese.
Secondo il Cancellieri, Massimiliano Savelli-Palombara, poeta e alchimista, fu un personaggio di grande rilievo nella Roma del ‘600.
Coltissimo, di grande abilità nel rimare in italiano e in latino, volle velare profonde verità ermetiche sotto forma poetica.Gli scritti e le rime del Palombara, ignorati per più di tre secoli, sono contenuti in un manoscritto Reginense della Biblioteca Vaticana dal titolo "La Bugia"; in un manoscritto autografo di una biblioteca privata dallo stesso titolo, ma di un contenuto diverso; in due codici dell’Archivio Palombara-Massimi, composto da sole Rime e Canzoni (Prot.34 e 35).
Fu gentiluomo di Cristina di Svezia e rimase alla sua corte per tutta la vita.
In una sua canzone inedita ("Si discorre sopra la pietra filosofale") dedica alla Regina alcune strofe ammirandola per la sua rinunzia al trono, per abbracciare la religione cattolica, e il suo mecenatismo verso le arti e le scienze (Arc. Massimo. Palombara, Prot.35).
Ma alla vita di corte e della città preferiva restare nella sua villa sull’Esquilino dedicarsi agli studi, alla campagna e vivere semplicemente a contatto con la Natura.
Più volte nelle sue rime egli cita Roma e deplora lo stato di corruzione e di abbandono in cui si trova la città: "Roma già fu, quella che vedi è un’altra".
Secondo il poeta, dopo Morieno (un alchimista romano del sec.VIII), la tradizione si è interrotta; Roma non ha generato più veri Maestri capaci di percorrere il difficile sentiero dell'
ALCHIMIA e giungere al segreto della Trasmutazione dei metalli. Ma egli spera che sotto il papato di Alessandro VII, Roma ritorni al suo antico, splendore, alle "Grandezze prime".
E proprio il ricordo dell’antica tradizione che spinge il nobile romano a tramandare il messaggio della tradizione italica accogliendo quel ramo d’oro di Enea, che a lui la Lupa di Romolo e Remo ha consegnato.
Investito da tale missione, come Virgilio mostrerà la via, Massimiliano Savelli-Palombara, poeta e alchimista, nel contesto della accademia ospitata nella sua dimora, farà da guida al "visita interiore terrae" e cioè alla discesa nelle profondità di se stessi.
All’oracolo e all’antro della Sibilla, fanno riscontro l’oracolo e l’antro di Mercurio del Palombara, a cui potrà accedere solo "chi con cuore avrà varcato la porta del suo giardino".
Oltre che la città anche il popolo romano è molto caro al Palombara. Nella parabola in cui racconta il suo avventurarsi nell’antro di Mercurio, alla domanda di chi dovrà aiutare una volta realizzata la "pietra filosofale" l’oracolo risponde: "Romuli tui", cioè i figli di Roma. Ancora al suo popolo e sopratutto ai suoi adepti si rivolge nella scritta che è sulla soglia della porta ermetica: "È opera occulta del vero sapiente aprire la terra affinchè germogli la salute del popolo".
La porta della villa Palombara può essere considerata un piccolo ma esauriente trattato d’alchimia.
Sugli stipiti vediamo i simboli alchemici, alternati da massime ermetiche indicanti passaggi, consigli istruzioni per chi si accinge alla Grande Opera, cioè alla "trasformazione del piombo in oro".
Il bassorilievo che sormonta l’architrave della porta della villa Palombara è identico all'immagine proposta nel frontespizio dell’Aureum Seculum Redivivum del Madathanus, saggio rosacrociano, cosa la quale farebbe pensare che anche il Palombara facesse Parte dei Rosacroce, confraternita esoterica e segreta il cui fine mirava ad una fratellanza universale.
Ciò potrebbe avere un riscontro in alcuni versi della Bugia dove l’autore si augura che la "Rosa rapita torni a rifiorire in Campidoglio" sotto il papato di Alessandro VII (Fabio Chigi).
I simboli (syllabae chimicae) invece sono tratti dalla "Commentatio de Pharmaco Catholico" pubblicati nella Chymica Vannus, nel 1666.
Nella cornice esterna del bassorilievo circolare troviamo un’epigrafe in cui è espresso il concetto della Trinità:
TRI SUNT MIRABILIA DEUS ET HOMO
MATER ET VIRGO TRINUS ET UNUS
"Tre sono le cose mirabili Dio e Uomo; Madre e Vergine; Trino e Uno". Nel fondo del bassorilievo vediamo due triangoli incrociati che formano una stella a sei punte, cioè il "sigillo di Salomone", unione d’acqua e fuoco, spirito e materia, come in alto così in basso. Sulla parte inferiore del sigillo vi è un cerchio più piccolo con la scritta: "Centrum in trigono centri", sormontato dalla croce dei 4 elementi e con al centro il simbolo solare.
È tutta una simbologia complessa che indica il processo di reintegrazione dell’uomo nel cosmo, l’Unità del Tutto.
In alto sull’architrave, scritta in ebraico, è l’invocazione allo Spirito Santo: "Ruah Elohim". Nulla si può operare senza il suo aiuto . Segue l’avvertimento che non si entra nel giardino dell’Esperidi, e cioè attraverso la porta, senza l’uccisione del drago che ne sta a guardia.
HORTI MAGICI INGRESSUM HESPERIUS CUSTODIT DRACO ET SINE ALCIDE COLCHICAS DELICIAS NON GUSTASSET IASON
"Il drago delle Esperidi custodisce l’ingresso del magico giardino e senza Alcide (Ercole), Giasone non avrebbe assaporato le delizie della Colchide".
Il drago rappresenta le passioni, gli istinti; Ercole la volontà; con la vittoria sul drago s’inizia la pratica alchemica, il cui svolgimento è indicato sugli stipiti della "porta" dove possiamo distinguere le tre fasi del processo alchemico: il nero, il bianco, il rosso.
Cominciando dall’alto in basso e da sinistra a destra, accenneremo sommariamente a questi simboli, rimandando per un maggior approfondimento ai libri citati nella bibliografia. Simbolo di Saturno
QUANDO IN TUA DOMO
NIGRI CORVI
PARTURIENT ALBAS
COLUMBAS
TUNC VOCABERIS
SAPIENS
Saturno rappresenta la materia prima, il piombo, il nero: "Quando nella tua casa neri corvi partoriranno bianche colombe allora sarai detto saggio".
In quest’iscrizione è indicata la trasformazione del piombo (i neri corvi) in argento (le bianche colombe), il passaggio dal nero al bianco.
Simbolo di Giove
DIAMETER SPHAERAE
THAU CIRCULI
CRUX ORBIS
NON ORBIS PROSUNT
Giove, lo stagno, corrisponde al Nous, alla mente illuminata, l’obiettivo a cui tende l’adepto. Nell’iscrizione "Il diametro della sfera, il tau del circolo, la croce del globo non giovano ai ciechi" è l’ammonimento che la scienza ermetica non può essere nè capita, nè essere utile ai profani.
Simbolo di Marte
QUI SCIT
COMBURERE AQUA ET LAVARE IGNE
FACIT DE TERRA
CAELUM
ET DE CAELO TERRAM
PRETIOSAM
Marte, il ferro, corrisponde alla volontà necessaria per portare a termine l’Opera:"Chi sa bruciare con l’acqua e lavare col fuoco, fa della terra cielo e del cielo terra preziosa".
Nell’iscrizione è racchiuso il concetto fondamentale dell’Alchimia, il "Solve et coagula".
Simbolo di Venere
SI FECERIS VOLARE
TERRAM SUPER
CAPUT TUUM
EIUS PENNIS
AQUAS TORRENTUM
CONVERTES IN PETRAM
Venere, il rame, corrisponde all’amore. Anche in questa epigrafe troviamo il concetto del "Solve et coagula": "Se avrai fatto volare la terra sopra la tua testa con le sue penne (le penne sono i vapori che s’innalzano dal fondo dell’uovo filosofico dove son rinchiusi Zolfo, Mercurio e Sale) convertirai in pietra le acque dei torrenti".
Si tratta di mutare una sostanza, inizialmente solida (terra), in sostanza liquida (acqua) tramutarla in aria (volatile) e poi fissarla in pietra argentea ed aurea.
Simbolo di Mercurio
AZOT ET IGNIS
DEALBANDO
LATONAM VENIET
SINE VESTE DIANA
Mercurio, l’argento vivo, indica la fase al Bianco, come leggiamo nell’iscrizione: "L’Azot e il fuoco imbiancando Latona, verrà senza veste Diana". L’Azot è il "mercurio dei saggi", l’intelletto agente; il "fuoco" è quello interiore, quello della volontà.
Quando la Materia (Latona) sarà stata del tutto purificata, Diana appare nuda, si realizza l’argento, cioè la chiarezza e la purezza del mentale, l’Iside Svelata.
Simbolo Solare
FILIUS NOSTER
MORTUUS VIVIT
REX AB IGNE REDIT
ET CONIUGIO
GAUDET OCCULTO
Nell’iscrizione leggiamo: ‘Il nostro figlio morto vive, torna Re dal fuoco e gode dell’occulto accoppiamento".
È la realizzazione del Rebis è la nascita del "figlio regale" la fase al rosso, simboleggiata dalla fenice che rinasce dalle ceneri. Spirito e materia sono diventati tutt’uno: è il frutto delle nozze alchemiche".
All’argenteo regno di Diana subentra l’aureo regno di Apollo, alla Rosa Bianca, che indica la realizzazione dell’argento, subentra la "Rosa Rossa".
Sul piano della soglia è l’iscrizione: "Si sedes non is" che si può leggere da sinistra a destra: "Se siedi non procedi"; e da destra verso sinistra: "Se non siedi procedi".
È l’invito a camminare ad operare; operare soprattutto per il bene degli altri, come troviamo accanto al simbolo della monade nell’epigrafe che è sulla soglia dove termina il viaggio ermetico:
EST OPUS OCCULTUM VERI SOPHI APERIRE TERRAM
UT GERMINET SALUTEM PRO POPULO
"È opera occulta del vero sapiente aprire la terra, affinchè germini la salvezza per il popolo".
È la discesa agli "inferi" nelle profondità della terra, la realizzazione del Vitriol, che porterà alla conquista del "Vello d’oro".
È quanto promette il Palombara a chi come Giasone scopre ed oltrepassa la soglia della "porta" del suo giardino "ubi vallus claudit vellus".
VILLAE IANUAM
TRANANDO
RECLUDENS IASON
OBTINET LOCUPLES
VELLUS MEDEAE
1680
I principi basilari dell’Alchimia sono Zolfo (+), Mercurio (-) e Sale ( ) che rappresentano le tre polarità della Materia Unica (l’Etere cosmico).
Psicologicamente questi tre principi corrispondono nell’uomo: Zolfo, il Nous, lo Spirito il Sé Superiore; Mercurio: l’anima, intermediaria tra Spirito e Materia, è il campo dove avvengono le lotte e le purificazioni; Sale: il corpo anch’esso elemento da lavorare perché diventi perfetto.
Scopo dell’Alchimia è la trasformazione dei metalli vili, del piombo in oro:
il piombo rappresenta la materia pesante caotica sia del metallo che della natura dell’uomo; l’oro come "luce solidificata" o "sole terreno" esprime la perfezione dei metalli e della natura umana. Alla base della trasformazione dei metalli è il Solve e Coagula.
Si tratta di separare, sciogliere la materia, in modo di liberare oro e argento, Sole e Luna, Maschio e Femmina, per poi farli di nuovo unire.
Separare cioè "il sottile dallo spesso", fino a realizzare le nozze alchemiche rappresentate nell’iconografia alchemica dal Re vestito di rosso e la Regina vestita di bianco.
La porta è stata restaurata grazie all’I.SV.E.UR. (Istituto per lo sviluppo dell’Edilizia ed Urbanistica) d’accordo con la Sovrintendenza dei Beni Culturali sotto la Direzione della Dott.ssa Nicoletta Cardano.
Bibliografia:
P. Bornia, La porta magica di Roma , in "Luce e Ombra"-Verona 1915
M. Gabriele, Il giardino di Hermes, Ediz. Ianua-Roma 1986
L. Pirrotta, La porta Ermetica, Ediz. Athanor-Roma 1979
E. Canseliet, Deux Logis Alchimique, Paris 1979
AA.VV. La Porta Magica, a cura di N. Cardano, Ediz. Palombi-Roma 1990
I trattati originali rosicruciani del 1614 diffusero la forte aspettativa dell’avvento di una nuova era ed una riforma universale delle arti, circolando diffusamente negli ambienti radicali paracelsiani del nord Europa.
Gli elementi rosicruciani che sarebbero affiorati in Italia, tuttavia, sembrano essere scaturiti da un interesse puramente alchemico; le operazioni trasmutatorie promettevano una prossima restaurazione dell’età dell’oro ed erano soprattutto adombrate in forma poetica.
Sebbene l’antiquario reale di Stoccolma, Johannes Bureus, avesse dedicato a Cristina una copia manoscritta delle sue speculazioni sull’origine mistica delle rune, l’Alduruna Rediviva (1643) ed una copia del suo scritto apocalittico il Ruggito del Leone del Nord (1644) non è noto se egli le abbia mostrato anche la sua replica alla Fama rosicruciana, la Fama e Scanzia Redux (1616).
Nel 1646, probabilmente ispirata da letture spirituali, Cristina cercò di istituire un Ordine di Immanuel, ma il suo consigliere Jophan Adler Salvius espresse l’opinione che la cosa sarebbe potuta apparire un vuoto trastullo infantile; in tal modo l’idea venne accantonata.
D’altra parte, nel 1653, la regina istituì l’Ordine dell’Amaranta, che aveva come emblema una ghirlanda sempreverde, simbolo della vita eterna. Per gli antichi greci, le foglie dell’amaranta crescevano nella Colchide, oltre le sponde del Mar Nero.
Ella conferì l’ordine agli assistenti spagnoli che la aiutarono a prepararsi alla conversione al cattolicesimo, concretizzatasi dopo l’abdicazione del 1654. Cristina lasciò la Svezia e si stabilì a Roma come la convertita più famosa del suo tempo.
Prima di ciò, comunque, Cristina era stata avvicinata dall’alchimista Johannes Franck, che descriveva il suo futuro regno come il compimento della profezia di Paracelso e della visione del Sendivogio sul ritorno di Elia Artista e sul sorgere di una monarchia "metallica" nel Nord.
Provvisto di questo bagaglio di visioni, Franck stimolò la regina ad intraprendere la ricerca della polvere rosso rubino dei Filosofi. Egli espresse questa speranza nel trattato che offrì all’attenzione della regina, il Colloquium Philosophicum cum diis montanis (Upsala 1651).
All’incirca nello stesso periodo, a Cristina fu offerto un testo che trattava di magia cabalistica dall’ermetista Michel Le Blon, stampatore, che si faceva in tal modo latore dell’offerta di Rabbi Menasseh ben Israel.
Le Blon ottenne una copia del Piccolo libro di Preghiera di Jacob Boehme dal mistico e seguace di Boehme Abraham Von Franckemberg, ed iniziò a tradurlo in francese a Stoccolma, proprio durante il 1651.
Cristina si stava già avvicinando al cattolicesimo, ma è possibile che venisse a sapere della traduzione in corso dallo stesso Le Blon, che fungeva da suo consigliere culturale.
All’incirca nello stesso periodo, ella induceva il grecista Johannes Schefferus a scrivere una storia dei Pitagorici che vedrà la stampa un decennio più tardi con il titolo di De natura et constitutione Philosophiae Italicae seu Pytagorichae (Upsala 1664).
L’inclinazione di Cristina per lo studio dei manoscritti greci fu oggetto della critica di Descartes durante la visita del filosofo a Stoccolma, nel 1650. Cristina replicò che riteneva le idee cartesiane come già formulate dallo scettico Sesto Empirico e da Platone.
In quel periodo, la regina leggeva anche una copia del De Mysteriis Aegyptiorum di Giamblico, un testo che usa fonti ermetiche e platoniche nella sua descrizione della teurgia e della divinazione come metodi per entrare in contatto con divinità e demoni.
Nel 1656, a Pesaro, Cristina scrive al grecista Lucas Holstenius a Roma, che aveva edito la Vita di Pitagora di Porfirio e rivela i suoi interessi affermando che "…le opere platoniche sono rare, da queste parti, come gli unicorni…".
A Pesaro, inoltre, la regina fu salutata in versi da Francesco Maria Santinelli, un fecondo poeta che fu introdotto alla sua corte.
Un anno dopo, il fratello del Santinelli, Ludovico, fu testimone dell’assassinio di Monaldesco, perpetrato su ordine di Cristina a Fontainebleau.
Francesco Maria si trovava per affari a Roma durante questo efferato evento, ma, nondimeno, giocava un ruolo di primo piano nelle macchinazioni di Cristina.
Monaldesco aveva tradito il piano della regina, appoggiato dai francesi, per conquistare il potere nel regno di Napoli con un attacco a sorpresa al dominio spagnolo.
Dopo lo scandalo provocato dall’omicidio, i fratelli Santinelli abbandonarono la corte di Cristina.
Nel 1659 Francesco Maria scrisse un poema, il Carlo V, dedicato all’imperatore Leopoldo a Vienna.
In esso vi è un verso che recita: "…la mia Rosa Croce Aurea fortuna…" (V. 89).
Successivamente, nel 1666, scrisse un poema alchemico con un commentario, la Lux obnubilata suapte natura refulgens, usando lo pseudonimo di Fra Marc’Antonio Crasselame Chinese.
In un’altra raccolta di versi, scritta nel 1656 a Roma dal marchese Massimiliano Palombara, La Bugia - di cui è conservata una ulteriore stesura nella collezione di Cristina della Biblioteca Vaticana (Ms. Reginensis Latini 1521) - si può leggere : "….una compagnia intitolata della rosea Croce, e come altri dicono dell’Aurea Croce…".
Tali riferimenti sparsi corroborano l’ipotesi che, tra gli alchimisti italiani, si fosse sviluppata un’identità rosicruciana - identità che può essere considerata come una prefigurazione del Gold - Und Rosenkreutz Order fondato da Sincerus Renatus (Salomon Richter) nel 1710.
Nel 1656, come puntualizza Mino Gabriele, un Signor Francesco Melosi legge alcuni versi sulla Bugia (il candelabro) nell’accademia di Cristina, pronunciando frasi come "..la Bugia su l’argento e vera alchimia" (Ms. Barb. Lat. 3885 fl. 85r-88r).
Cristina quasi certamente ha contatti con poeti ed alchimisti che hanno preso parte alle aspettative rosicruciane.
Vi è anche un disegno alchemico di pugno della regina che illustra alcuni apparecchi alchemici di distillazione.
Dobbiamo tuttavia ricordare che gli accenni ai rosicruciani nel testo di Palombara non ricorrono nella versione della Bugia posseduta da Cristina.
Esiste comunque un altro manoscritto della sua collezione francese, intitolato Veritas Hermetica (Ms. Reg. Lat. 1218).
Questo testo riporta alcuni brani sulla raccolta della rugiada e sulla sua lavorazione e fa inoltre riferimento ad alcuni Fratres Rori Cocti (fratelli della rugiada cotta).
Cristina possedeva anche circa quaranta manoscritti alchemici dei principali autori medievali, oltre a vari manuali di alchimia pratica. La sua biblioteca includeva opere di Geber, Giovanni Scoto, Arnaldo da Villanova, Raimondo Lullo, Alberto Magno, Tommaso D’Aquino, Bernardo Trevisano, George Ripley, George Anrach D’Argentine, Johan Grasshof ed una edizione del Rosarium Philosophorum - con le sue immagini alchemiche di fusione del re- Sole e della regina- Luna in un’unione ermafrodita.
Vi è anche la Porta Magica, costruita nel 1680 nel giardino romano del Palombara, il cui portale è sovrastato da un bassorilievo con un emblema tratto dall’opera di allegorie alchemiche Aureum Seculum Redivivum (1621) di Henricus Madathanus.
Esso consiste in una croce posta al di sopra di un circolo al cui interno è inscritto un esagramma che recita: centrum in trigono centri.
Mino Gabriele concentra la sua attenzione sulla costruzione geometrica del bassorilievo, e mostra che essa è simile a quella del 21° emblema dell’Atalanta Fugiens di Michael Maier (Frankfurt 1617) in cui un uomo con un paio di compassi è impegnato a disegnare un esagramma tracciando un triangolo all’interno di un largo cerchio mentre alla base un quadrato è posto all’interno di un centro più piccolo. La porta del Palombara è contornata da segni alchemici e da varie iscrizioni latine che si riferiscono al processo alchemico.
I simboli dei sette segni principali sono tratti dalla Commentatio de Pharmaco Catholico (Amsterdam 1666) di Johannes de Monte Snyder e sono in sequenza: Saturno-Piombo, Giove-Stagno, Marte-Ferro, Venere-Bronzo, Mercurio, Antimonio e Vetriolo. La Porta è ancora visitabile a Roma, in Piazza Vittorio Emanuele.
Circola una leggenda che racconta che la porta fu eretta come commemorazione di una riuscita trasmutazione che avrebbe avuto luogo negli appartamenti di Cristina. Questa versione dei fatti venne alla luce per la prima volta in forma scritta nel 1804 in una descrizione di Roma in cui si racconta che un giovane del Nord - un "Giovane ultramontano"- venne alla corte di Cristina e produsse alcuni frammenti d’oro, per poi sparire nel nulla.
Come abbiamo visto, Cristina possedeva una copia della Bugia e di altri scritti in rima del Palombara. Ella inoltre aveva concesso un posto all’interno della sua corte al Palombara e ne aiuterà la famiglia anche dopo la morte del suo protetto. Possiamo dunque definire Cristina come protettrice e patrona del nobile pesarese e tale ruolo probabilmente ha anche ispirato l’opera poetica del Palombara. La sua "vicinanza ispiratrice" era apprezzata, del resto, anche da altri uomini di lettere.
Dopo la sua morte, Cristina fu addirittura eletta simbolicamente a capo - Basilissa- dei poeti che formavano la sua accademia, che continuò a riunirsi nel suo palazzo.
La Porta Magica di villa Palombara è sormontata da una scritta in ebraico "Ruach Elohim" (Spirito del Signore) ed attorno all’emblema alchemico di cui sopra vi è il testo: TRIA SUNT MIRABILIA, DEUS ET HOMO, MATER ET VIRGO, TRINUS ET UNUS.
In altra parte ora distrutta, vi era la divisa VILLAE IANUAM TRANANDO RECLUDENS IASON OBTINET LOCUPLES VELLUS MEDEAE 1680 (Oltrepassando la porta della villa Giasone ottenne il ricco vello di Medea 1680).
Anche sulla Porta si può leggere una iscrizione che allude ai viaggi mitici degli argonauti: HORTI MAGICI INGRESSUM HESPERIUS CUSTODIT DRACO ET SINE ALCIDE COLCHIAS DELICIAS NON GUSTASSET IASON (Un drago custodisce l’ingresso del giardino magico delle Esperidi, e senza Ercole Giasone non avrebbe gustato le delizie della Colchide).
Da sinistra a destra, le altre iscrizioni recitano: QUANDO IN TUA DOMO NIGRI CORVI PARTURIENT ALBAS COLOMBAS TUNC VOCAVERIS SAPIENS (quando nella tua casa il nero corvo partorirà la bianca colomba, allora potrai essere chiamato savio). DIAMETER SPHERAE THAU CIRCULI CRUX ORBIS NON ORBIS PROSUNT (il diametro della sfera, la tau del cerchio, la croce del globo non servono al mondo). QUI SCIT COMBURERE AQUA ET LAVARE IGNE FACIT DE TERRA CAELUM EET DE CAELO TERRAM PRETIOSAM (colui che sa cuocere con l’acqua e lavare col fuoco fa della terra cielo e del cielo terra preziosa) . SI FECERIS VOLARE TERRAM SUPER CAPUT TUUM EIUS PENNIS AQUAS TORRENTUM CONVERTES IN PETRAM (se farai volare la terra al di sopra del tuo capo, con le sue penne convertirai in pietra il torrente delle acque). AZOTH ET IGNIS DEALBANDO LATONAM VENIET SINE VESTE DIANA (Quando Azoth e fuoco sbiancano Latona, Diana verrà senza vesti). FILIUS NOSTER MORTUS VIVIT REX AB IGNE REDIT ET CONIUGO GAUDET OCCULTO (Il nostro figlio morto vive, il re ritorna dal fuoco e gode nell’occulta generazione). EST OPUS OCCULTUM VERI SOPHI APERIRE TERRAM UT GERMINES SALUTEM PRO POPULO (è l’opera occulta dei filosofi che fa germinare la salvezza per il popolo).
Sulla soglia vi è poi un breve verso palindromo: SI SEDES NON IS (ossia, da sinistra a destra "se ti siedi non vai", e da destra a sinistra "se non siedi vai").
Contemporaneamente alla costruzione della porta, nello stesso anno fu pubblicato a Ulm un trattato di un Johannes de Monte Hermetis dal titolo Esplicatio centri in trigono centri per somnium - Das ist Erläuterung dess Hermetischen Güldenen Fluss. Il testo è suddiviso in cinque parti. Nella prima parte troviamo un Aenigma Cabalisticum, poi la Esplicatio centri in trigono centri ed in seguito due commentari alchemici alla grande opera scritti da "…Dem Löwen dess Rothen Creutzes…" (il Leone dalla Rossa Croce). Chiude l’opera un testo di medicina astrologica sul modo di curare le infermità con l’aiuto delle stelle. La esplicatio descrive l’incontro del triangolo a vertice in alto con quello a vertice in basso, rappresentanti rispettivamente il fuoco e l’acqua. La stesura è contemporanea alla costruzione della Porta Magica, ma, purtroppo, ciò non getta alcuna luce ulteriore sulla figura del Palombara.
L’Aureum Seculum Redivivum di Henricus Madathanus è assai suggestivo in relazione alla figura di Cristina, dal momento che descrive, oltre a vari esempi di saggezza muliebre come Rachele e Lea, una figura regale femminile che ricopre, nel testo, vari ruoli (in versione inglese ).
Significativamente Madathanus conclude il testo definendosi "frater Aurae Crucis".
Nel 1625 il libro fu ristampato in due diverse edizioni, una indipendente, l’altra all’interno del Musaeum Hermeticum di Lucas Jennis, che aveva anche edito le opere rosicruciane di Michael Maier.
L’emblema viene ripreso nuovamente da Wienner Von Sonnenfels nel 1747 nel suo Splendor Lucis, oder Glanz des Lichts pubblicato a Vienna.
La parte inferiore dell’emblema di Madathanus, il centrum in trigono centri, fu riprodotta nell’opera Geheime Figuren der Rosenkreutzer (Altona 1785-1788) opera molto diffusa all’interno del Gold - und Rosenkreutz Order.
Non vi sono prove che possano stabilire con esattezza quando Cristina incominciò ad interessarsi di alchimia, ma il suo interesse per la materia si accrebbe probabilmente verso la fine della sua esistenza.
Nell’estate del 1667, ad Amburgo, Cristina sperimentò con il profeta messianico ed alchimista Giuseppe Francesco Borri, ma il Cardinale Azzolino le scrisse di evitare la compagnia del Borri, dal momento che questi era ricercato dall’Inquisizione.
Cristina, in questo periodo, corrispondeva anche con un altro alchimista, Johan Rudolf Glauber.
Manifestava anche un interesse spiccato per la scoperta del fosforo ad opera di Henning Brandt.
Nella sua collezione di manoscritti spirituali medievali, che comprendeva oltre 2000 titoli, erano inclusi testi di Gioacchino da Fiore e Campanella.
Nel catalogo della sua biblioteca figura anche una copia dell’Asclepius ermetico. La raccolta comprende ancora la Steganografia del Tritemio (Ms. Reg. Lat. 1344) e la Monas Hyeroglyphica (Ms. Reg. Lat. 1266).
Cristina possedeva anche parti del Picatrix ed una versione latina del Sefer-ha-Raziel (Ms. Rg. Lat. 1300 ) un testo di magia angelica.
La collezione di opere a stampa comprendeva parecchie migliaia di titoli, tra i quali le opere di Paracelso e gli scritti alchemici di Johan Theurneisser ed Andrea Libavius.
Nel 1655 donava al suo libraio Isaac Vossius una ampia collezione di manoscritti alchemici di provenienza praghese.
Questa collezione era appartenuta a Rodolfo II e comprendeva opere in tedesco, ceco e latino, collezione ora nota come Codices Vossiani Chymici all’università di Leida.
L’elenco completo dei libri di Cristina è contenuto in un documento ora nella Bodleian Library ad Oxford, documento preceduto dal disegno di una rosa in piena fioritura con accanto il testo "Erst einen knop danach einen Rosen" (Prima un bocciolo e poi una rosa).
Un lista simile presente in Vaticano è invece preceduta dal disegno di una Bibbia della stressa mano della rosa, con un’ape ed un ragno accompagnati dalla scritta " Mel ibit tibi fel"- all’incirca, il miele addolcirà la tua amarezza - emblema che riporta alla mente la rosa con l’ape e la ragnatela del Summum Bonum di Robert Fludd, ma che, probabilmente, è una simbologia correlabile a diverse correnti mistiche.
Cristina manifestava una ardente passione nei suoi studi alchemici ed introdusse ai suoi esperimenti anche una giovane donna chiamata Sibilla.
Ella si serviva anche di un alchimista pratico, Pietro Antonio Bandiera, che gestiva il suo laboratorio e al quale, in sede testamentaria, Cristina lasciò tutte le attrezzature.
Giovan Battista Comastri dedicò alla regina un trattato alchemico, lo Specchio della Verità (Venezia 1683).
Vi è inoltre un documento redatto di pugno di Cristina dal titolo "Il laboratorio Filosofico - paradossi chimici " ma esso appare essere una raccolta di appunti tratti da un testo di titolo analogo.
L’ultimo testo che Cristina abbia letto, ritrovato sul suo letto di morte nel 1689, fu una lettera di Samuel Forberger sulla medicina universale, l’Alkaest.
Era Cristina una adepta coinvolta nel circolo riservato del Palombara, o piuttosto era semplicemente una mecenate animata da un’ardente curiosità intellettuale? Sicuramente fu una donna dalla forte personalità. Protestava di possedere una mente interamente mascolina, scevra delle normali manchevolezze della femminilità.
Questa convinzione doveva concretizzarsi nella aspirazione ardente ad una reale trasmutazione.
Nella raccolta dei suoi quaderni, che ella lasciò al Cardinale Azzolino, ora nel Riksarkivet, a Stoccolma, c’è un testo italiano sul quale Cristina aveva appuntato : "…questa scrittura mi fu dato 8 Avril 1682".
In questo libro si legge la prima descrizione dell’abdicazione di Cristina e del suo viaggio a Roma.
Senza preavviso vi si legge una frase che recita: "…La natura perfetterà l’opera…", mentre nella storia compare un giovinetto di nome Alessandro.
Il testo continua con la descrizione dei futuri viaggi di Alessandro a Costantinopoli per convertire i turchi.
E’ proprio a partire dalle suggestioni generate da questa lettura che la ex-regina, a Roma, vorrà assumere il nome di Cristina-Alessandra.
È probabile che la profezia del libro, con la sua promessa della meravigliosa metamorfosi, parlasse al sogno interiore di Cristina di perfezionare se stessa.
In questa aspirazione, la visione aristotelica della donna come uomo incompleto gioca un ruolo di primo piano, ma parte altrettanto importante dovette avere anche la visione alchimistica del perfezionamento androginale delle opposte polarità.
Tuttavia, riguardo la Cristina alchimista, è lecito nutrire qualche dubbio intorno al suo effettivo grado di esperienza.
In una lettera indirizzata ad Amburgo al cardinale Azzolino nel marzo 1667, ella descriveva una trasmutazione eseguita con successo da un contadino tedesco.
L’erudito Helvetius, in precedenza scettico nei confronti della scienza alchemica, era presente all’evento ed ora era garante dell’autenticità dell’operazione.
Cristina aggiunge anzi che con un grano di polvere di proiezione si possono convertire 500 libbre di piombo - circa 250 Kg. - in puro oro a 24 carati.
Ciò è molto lontano dalla proporzione che la tradizione insegna essere di un grano di polvere per ogni 15 grani d’oro.
Cristina non specificò se il risultato fosse frutto di una moltiplicazione.
Forse, in seguito, ella accrebbe le sue conoscenze, specie dopo l’incontro con Borri e dopo aver stabilito il suo laboratorio personale a Roma.
Possiamo concludere che Cristina possedesse una certa conoscenza della materia alchemica basandoci su di una delle sue massime, che recitava: "La Chimica è una bella scienza. Essa è l’anatomia della Natura ed è la vera chiave che apre la via a tutti i tesori. Dà la ricchezza, la sanità, la gloria e la vera saggezza al suo possessore". Aggiungeva che, nonostante l’alchimia fosse stata recentemente degradata da ciarlatani, essa rimaneva l’arte regale per eccellenza.
Fedele ai suoi ideali platonici, la regina aveva fatto coniare una medaglia che regalava ai suoi visitatori e che recava su di un lato un sole splendente, e sull’altro il motto "Nec falso- nec alieno" - né con falsa, né con estranea (luce).
Era questo il modo con cui amava presentarsi: come una regina filosofo ma rappresentata come un re solare.
La sua filosofia non era quella del moderno razionalismo di Descartes, ma piuttosto quella dell’antica philosophia perennis e della teoria della trasmutazione alchemica.
Bibliografia:
Susanna Akerman, Queen Christina of Sweden and her Circle: The Transformation of a Philosophical Libertine, Brill, Leiden 1991.
Susanna Akerman, Rose Cross Over the Baltic: The Spread of Rosicrucianism in Northern Europe, Brill, Leiden 1998.
Jeanne Bignami, Odier and Anna Maria Partini, Cristina di Svezia e le scienze occulte , Physis 1983, pp. 251-278.
P. C. Van Boeren, Codices Vossiani Chymici Leiden 1975.
Eugène Canseliet, Deux Logis Alchimique: En marge de la science et de l’histoire, Pauvert, Paris 1979 (1945).
Giovanni Batista Comastri, Specchio della Verita - dedicata alla Regina Cristina di Svezia, Venezia 1683. A cura di Anna Maria Partini. Edizione Mediterranee, Rome 1989.
Mino Gabriele, Il giardino di Hermes: Massimiliano Palombara alchimista e rosacroce nella Roma del Seicento, (Con la prima edizione del codice autografo della Bugia - 1656). Editrice Ianua, Rome 1986.
Kjell Lekeby, Drottning Kristinas gudomliga metamorfos. Från intersexualitet till mansblivande , Fenix 1997:2.
Marchese Massimiliano Palombara, La Bugia: Rime ermetiche e altri scritti. Da un Codice Reginense del sec. XVII , a cura di Anna Maria Partini. Edizione Mediterranee, Rome 1983.
La Porta Magica, Luoghi e memorie nel giardino di piazza Vittorio, A cura di Nicoletta Cardano. Fratelli Palombi Editori, Rome 1990.
Francesco Maria Santinelli, Sonetti Alchimici e altri scritti inediti, A cura di Anna Maria Partini. Edizione Mediterranee, Rome 1985.
Arne Wettermark, Christine de Suède et la science des roys: Quelques maximes a la lumière de la tradition hermétique, Nouvelles de la Republique des lettres 1990 : 2 pp. 61-82.
Fu stimato presso i contemporanei come poeta. Entrato nel 1656 al servizio della regina Cristina di Svezia (che nel dicembre dell'anno precedente (1655), di passaggio per Pesaro, era stata ricevuta nel palazzo dei Santinelli), la seguì a Roma e in Francia, suo Cameriere maggiore: i contemporanei e i biografi accennano a segreti, foschi amori della regina con Santinelli, che da alcuni si volle persino implicato nell'uccisione del precedente "favorito" di Cristina, il marchese Rinaldo Monaldeschi.
Nei suoi soggiorni romani Cristina di Svezia si circondò di personaggi non certo privi di interessi alchemici; tra essi ricordiamo Francesco Borri, il Marchese Massimiliano Palombara, Gian Domenico Cssini, padre Domenico Federici e padre Athanasius Kircher.
Si sostiene che Santinelli abbia compiuto i suoi studi, verosimilmente di diritto e filosofia.
Per certo esiste una corrispondenza tra lui e Ciro di Pers (altro importante poeta) da Roma durata circa sei mesi , tra il 1657 e il 1658. Alcuni ipotizzano che abbia compiuto i suoi studi invece a Bologna e Padova.
Si può anche pensare che il rapporto con il Santinelli, per altro più anziano di lui di sei anni, possa esser già in essere al momento del trasferimento di quest'ultimo a Roma al seguito di Cristina di Svezia.
E proprio questa amicizia potrebbe avere in qualche modo aperto la strada del Federici verso amicizie altolocate. D'altro canto gia nel 1656 il Santinelli aveva già prodotto opere letterarie, e non è escluso che l'amicizia tra il Federici e Ciro di Pers possa essere stata mediata proprio dallo stesso Santinelli.
Nel 1659 ormai "decaduto dalla volubil grazia della regina" fu a Vienna per ambasceria" (lettera di Federino Scripi cappellano dell'Imperatore, scritta da Vienna a Girolamo Giordani il 20 giugno del 1659 e conservata a cc. 287-9 del ms. Oliv. 426 della Bibl. Oliveriana di Pesaro): in questo verosimilmente primo contatto con la Corte imperiale il Santinelli riscosse la stima e la simpatia di Leopoldo I, che in seguito ne consacrò la chiara fama letteraria nominandolo Cameriere della Chiave d'Oro e suo consigliere. Sposatosi nel 1667 con Maria Aldobrandini, vedova del Duca di Ceri e cugina del duca di Modena, il Santinelli si ritirò finalmente a Venezia, dove (come annota l'erudito pescarese Domenico Bonamini) "visse in felice calma dopo tante sofferte burrasche" e dove morì nel 1697.
A Pesaro aprì un'accademia intitolata ai DISINVOLTI.
Altro punto di contatto tra il Santinelli e il Federici è la città di Venezia (Santinelli si trasferì a Venezia nella seconda metà del seicento (dopo il 1667) lo stesso Federici fu ambasciatore di Leopoldo I a Venezia dal febbraio del 1668 dove vi rimase fino al gennaio del 1680).
Entrambi appartenevano all'Accademia Fanese degli Scomposti.
Ancora è da sottolineare la comune amicizia con il Dottori, poeta padovano.
Amicizia e stima nutrì per il Santinelli il Dottori: lo attestano, oltre alla dedica dell'ode "La virtù immobile, overo la Costanza (Opere I pp. 6667-71) il sonetto "per il Carlo V, poema eroico del Signor marchese Santinelli (Opere Iia p.4) e due lettere indirizzate da Padova al Santinelli negli ultimi mesi del 1683 e conservate nel ms. Oliv. 316/III, 41 e 73 della Bibl. Oliveriana di Pesaro.
Altrettanta stima fu rivolta dal dottori al Federici (V. corrispondenza Carlo De' Dottori: Lettere a Domenico Federici, a cura di Giorgio Cerboni Baiardi, Aralia Editore Urbino, 1971 per il CNR di Firenze).
A Venezia il Santinelli ed il Federici sicuramente incontrarono con Federicus Gualdus enigmatica figura di alchimista che visse a Venezia nella seconda metà del seicento.
In un passo della Critica della Morte o Apologia della Vita, anonima operetta tradotta dall'inglese ed impressa a Venezia nel 1697 si dice : " Questa fama dunque fu quella, che sopra ogni altra cosa fece concepire una ferma opinion, che il Signor Gualdi avesse il secreto de' secreti, e fu allora, che più di prima il Signor Marchese Santinelli s'invogliò della di lui confidenza, e la procurò per ogni mezzo; (…) onde uscito alla luce poco tempo dopo un picciolo libro intitolato Androgenes Hermeticus, che fu stampato a spese di esso Marchese, si disse che fosse dottrina del Gualdi, mentre in effetto pochi anno scritto così bene di codesta Scienza sovraumana, come si legge in detta operetta. Non si deve però neanche togliere la gloria di essa al Signor Marchese, li di cui sonetti ammirabili in questo proposito danno splendore alle stampe, e fanno ben supporre che anche lì'Androgenes possa essere il suo".
L'incontro tra il Santinelli ed il Gualdi dovrebbe essere avvenuto intorno al 1678, tale considerazione deriva dal fatto che l'Androgenes Hermeticus apparve a Lione nel 1680 per i tipi di Ioannes Trevis.
Tra il 1647 ed il 1686 diede alle stampe numerose raccolte di rime, canzoni, odi e drammi musicali.
.
Della sua ricca produzione letteraria (un elenco della sua ricca produzione letteraria è riportato nel "Saggio di bibliografia della Città di Pesaro e contado" a cura di Italo Zicàri, Città di Castello, Unione arti grafiche 1950 pp- 40-1) .
Possono ricordarsi oltre alle numerose poesie liriche, il dramma "L'Armida nemica amante e sposa" (1669), i drammi "La disperazione fortunata" 1659 e "Lalessandro overo il Trionfo di se stesso" (1673) e il poema dedicato a Leopoldo I nel 1676 "Il Carlo Quinto overo Tunisi racquistata… con l'allegorie del dottor Paolo Ariani".
Dopo le sentenze di Milano e di Roma, il Borri si recò in Alsazia e quindi si fermò alquanto a Strasburgo; passò in seguito ad Amsterdam, dove si stabilì.
"Tutti gli scrittori sono concordi nell'affermare che in quella città egli raggiunse l'apogeo della sua fortuna e della sua fama: per le sue cure meravigliose fu ritenuto medico insuperabile, un vero taumaturgo. Ai poveri prodigava i suoi aiuti e le sue medicine gratuitamente e tutti quelli che ricorrevano a lui se ne partivano guariti: "cavalieri e principi di Francia e di Germania veniovano per le poste a consultarlo e conoscerlo". Il Senato di Amsterdam lo fece cittadino di quella città: gli onori si aggiunsero ai lauti guadagni che, pare, lo condussero a una vita tutt'altro che sobria e umile, quale aveva predicato ai suoi seguaci in Italia. Nacquero bentosto negli scienziati e nei medici locali invidie e calunnie, rafforzate dal fatto ch'egli con la sua vita fastosa s'era creato dei debiti cui non poteva far fronte; ma anche ad Amsterdam, come già a Roma e a Milano, quando stavano per mettergli le mani addosso per arrestarlo, egli fuggì (1664), senza che nessuno potesse raggiungerlo".
Arrivato a Copenaghen si fece largamente sovvenire dal re Federico III, (1664-1670) allo scopo di trasmutar metalli, come ad Amburgo carpì nuove somme all'ex regina Cristina, sempre per la crisopea. Doveva correre allora l'autunno del 1666, perché appunto in quell'epoca ella partì nuovamente da Roma, per non trovarvi che nel 1668.
Probabilmente nel 1669, il Borri tornò a Copenaghen, dove "Federico III gli concesse le più alte onorificenze e lo fece proprio consigliere e ministro"
Il 19 febbraio 1670 questo suo ultimo mecenate morì e gli successe il figlio Cristiano V, a lui avverso.
L' alchimista, sapiendosi odiato dai cortigiani, risolse di abbandonare la Danimarca e rifugiarsi in Turchia, ma mal gliene incolse, che avviatosi per la Moravia, a Goldingen fu fatto imprigionare dal governatore, che fortemente dubitava di lui.
Nel 1670 l'imperatore d'Austria Leopoldo I, dietro richiesta del nunzio pontificio, cardinale Antonio Pignatelli (poi papa Innocenzo XII), lo fece consegnare al pontefice, che allora era Clemente X (Altieri) (1670-1676), il quale ordinò che fosse rinchiuso in una cella di Castel Sant'Angelo, in attesa della sentenza capitale. Passarono così circa due anni, dopo i quali fu riaperto il processo (7 maggio 1672), nel quale non gli fu confermata la pena di morte, ma il "carcere perpetuo, l'abiura pubblica ed altri atti d'umiliazione e di penitenza". Tale sentenza porta la data del 25 settembre 1672. Il giorno seguente il Borri fu costretto a ritrattare pubblicamente, nella chiesa della Minerva, le proprie idee, o - come allora si diceva - ad abiurare i propri errori.
"Sotto le severe arcate di quella chiesa si erano raccolti principi e baroni, cardinali e ambasciatori in gran pompa, compresi i due inquisitori, e l'inrrequieto popolino dell'Urbe. Questo, anzi, aveva occupato il tempio fin dalle prime ore del giorno e mangiava e beveva allegramente - senza rispetto alcuno per la santità del luogo - su tavole imbandite sulle sedie o sulle balaustre degli altari. Orbene, mentre il reo vestito degli abiti dell'Inquisizione (tunica nera, senza collare, scendente fino alle calcagna, sul petto e sul dorso dipintevi croci rosse), avvinto da catene le mani e i piedi, ginocchioni s'un palco da patibolo, con un cero sulla destra adempiva le formalità processuali, il popolino ch'era avido di gustarsi un atroce spettacolo, si mise a gridare a squarciagola: Al fuoco! al fuoco!...".
Dopo l'abiura, il Borri fu condotto nelle carceri del Sant'Uffizio, dove rimase fino al 1678. In quell'anno il duca d'Estrées, ambasciatore di Francia, che - col permesso del Pontefice - era stato curatyo dal Borri e guarito miracolosamente, ottenne che quest'ultimo fosse trasferito in carceri meno dure a Castel Sant'Angelo, e gli venisse anche accordato di crearsi colà un laboratorio alchemico.
Gli fu anche concesso di uscire liberamente da Castello, per esercitare la sua professione, attendere alle ricerche ermetiche e frequentare a case patrizie.
Godendo così quasi di una libertà completa, il Borri rivide Cristina di Svezia e la sua corte, e certo anche il marchese Palombara, e passò intere notti al palazzo Riario, accanto al "fornello filosofico".
Con la morte dell'ex regina di Svezia e con la elevazione al pontificato di Innocenzo XII, cessò la libertà per il ravveduto: per ordine di quel pontefice venne rinchiuso rigorosamente (1691) in Castel Sant'Angelo, dove morì per febbri miasmatiche il 20 Agosto 1695.
Domenico Federici (1633-1720), al quale la biblioteca comunale di Fano deve il nome, fu uomo di cultura dai più svariati interessi, ai quali probabilmente non fu estranea l'Alchimia, ovvero la "scienza" dell'epoca.
Alcune vicende della vita del Federici sono tuttora poco chiare, a cominciare dalle protezioni che gli consentirono appena ventunenne di essere nominato abate dell'Abbazia di San Martino in Vaska, nella diocesi di Pécs in Ungheria. Da notizie da noi assunte direttamente presso la National Széchényi Library di Budapest, risulta che l'incarico fu puramente onorifico, in quanto già all'epoca della nomina del Federici la diocesi era occupata dai Turchi, che distrussero totalmente l'Abbazia e mantennero l'occupazione fino al 1686.
La stessa fonte afferma altresì che non si ha alcuna conoscenza dei nomi degli abati del monastero precedenti alla data del 1687.
Altrettanto poco chiara è la causa della carcerazione del Federici per tre anni (1660-1663) nella rocca di Rattenburg, sul fiume Inn.
Ipotesi e supposizioni possono essere costruite interpretando i quattro sonetti che il Federici stesso scrisse a tal proposito. Egli si sentì vittima di un'ingiustizia, di un intrigo di corte, ma dovuto a quale fatto? Motivi politici? Attività e interessi malvisti? Può essere, ma non sono da escludere neppure cause di ordine sentimentale, essendo allora il Federici in giovane e focosa età.
"…. e a me quel Giove ch'ha di Rezia il freno
perché mirarmi Apollo suo non vuole
pon sul torso non reo l'alpi dell'Eno...".
E ancora:
"…colà vergin vestal, di stupro colta,
viva porgeasi alla gran madre in seno;
qui l'innocente, che ne men s'ascolta,
al sospettar d'un giudice terreno
vivo la vita sua piagne sepolta".
Si può ricamare sul riferimento ad Apollo, bel giovane che forse troppe attenzioni dedicava al Nostro, oppure simbolo del sole alchemico, l'oro, forse con riferimento a studi non autorizzati. In ogni caso alcune parole o azioni del Federici furono mal interpretate dall'arciduca Carlo Ferdinando landesfürst del Tirolo (1646-1662), stupisce quindi ulteriormente la rapida ascesa dell'Abate, nel 1664 a Fano, uomo libero, accademico scomposto, e rapidamente reintegrato nelle grazie della corte imperiale.
Risulta poi che il Nostro entri a far parte della cesarea Accademia dei Curiosi di Natura.[7] L'Accademia sarebbe stata fondata nel 1656, per volere di Ferdinando III, da Leopoldo I e presieduta dal Generale Raimondo Montecuccoli. Tale notizia fu riportata dal canonico Billi, che ipotizzò l'appartenenza del Nostro a tale Accademia a seguito dell'amicizia che lo legava al Montecuccoli e del prestigio di cui il Federici godeva presso la corte imperiale, essendo Consigliere dell'Imperatore Leopoldo.
A nostro avviso l'ipotesi del Billi, anziché essere avvalorata, dovrebbe essere riferita con cautela, in quanto sarebbe priva di fondamento, non solo perché lo stesso Billi non ne dà alcuna certezza, ma soprattutto perché non si tratterebbe neppure dell'Accademia dei Curiosi di Natura. Effettivamente nel 1656 venne fondata, dall'Arciduca Leopoldo Guglielmo, l'Accademia Italiana chiamata dei Novelli o dei Crescenti, presieduta da Raimondo Montecuccoli e della quale fecero parte l'imperatore Leopoldo, l'imperatrice e un ristrettissimo numero di italiani.
Da ciò sembra azzardato dedurre che il Federici appartenesse all'Accademia dei Novelli o dei Crescenti; riguardo poi a quella dei Curiosi di Natura, si tratterebbe di altro gruppo, fondato nel 1652 da Laurentin Bausch (1605-1665).
Ci siamo quindi interessati presso la Deutsche Akademie der Naturfoscher Leopoldina o Academia Cesarea Leopoldino-Carolina Naturae Curiosorum, tuttora esistente con sede in Halle/S. per avere notizie sull'appartenenza del Federici all'Accademia, nominando anche gli pseudonimi che il Nostro avrebbe potuto adoperare (Nicodemo Riccafede, Teophylus Novalckindus). Abbiamo ricevuto una lettera di risposta da cui si evince che l'Abate Federici non fu mai membro dell'Accademia Leopoldina dei Curiosi di Natura.
Dopo queste curiosità e precisazioni su alcuni eventi della biografia del Federici che contribuiscono a rendere la sua vita già misteriosa ancora più interessante, affrontiamo ora il tema che maggiormente ci ha stimolato, ovvero il Federici alchimista, proprio quell'aspetto che lui stesso ha cercato di occultare.
Tra i manoscritti conservati nella biblioteca comunale di Fano esiste un plico denominato "Segreto Federiciano" contenente tra l'altro 37 lettere trascritte da un anonimo, tutte di argomento alchemico, ricevute ed inviate dall'Abate dal 1678 al 1684 [L'Abate
Domenico Federici
e
Il SUO SEGRETO ALCHEMICO
di Massimo Agostini e Rita Zengarini
Tratto da: "Intorno al Segreto Federiciano"
Quaderni dell'Accademia Fanestre,
n°1/2002, ed.Grapho5, Fano
]
Francesco Girolamo Cancellieri:
Secondo la leggenda, trasmessaci nel 1802 dall'abate erudita Francesco Girolamo Cancellieri , uno stibeum pellegrino fu ospitato nella villa per una notte. Il "pellegrino", identificabile con l'alchimista Francesco Giustiniani Bono , dimorò per una notte nei giardini della villa alla ricerca di una misteriosa erba capace di produrre l'oro, il mattino seguente fu visto scomparire per sempre attraverso la porta, ma lasciò dietro alcune pagliuzze d'oro frutto di una riuscita trasmutazione alchemica, e una misteriosa carta piena di enigmi e simboli magici che doveva contenere il segreto della pietra filosofale .
In merito alla sua produzione il volume che qui interessa è:
Dissertazioni epistolari di G. B. Visconti e Filippo Waquier de la Barthe sopra la statua del Discobolo scoperta nella villa Palombara con le illustrazioni della medesima pubblicate da Carlo Fea e Giuseppe Ant. Guattani e coll'aggiunta delle illustrazioni di altri due Discoboli dissotterrati nella via Appia e nella villa Adriana prodotte da Ennio Quirino Visconti raccolte ed arricchite con note e con le bizzarre iscrizioni della villa Palombara da Francesco Cancellieri,
In Roma : presso Antonio Fulgoni, 1806
- VIII, 88 p., 2 c. di tav. : ill. ; 8
- Segn. : pi greco 1 a 4 chi 1 A-E 8 F 4
- Impronta - laa, I.r- i,r- tuco (3) 1806 (R)
Chiamata anche Milizia Aurata, veniva conferita come dignità cavalleresca sia dai Romani pontefici che dagli imperatori.
Chi aspirava ad ottenere lo Speron d'Oro doveva compiere un periodo di servizio in qualità di paggio, oppure prestare servizio militare.
Al termine di tale periodo veniva armato cavaliere con una solenne cerimonia, nel corso della quale riceveva le armi, il cingolo militare e gli speroni d'oro.
L'insignito non aveva alcun obbligo o vincolo, salvo, in alcuni casi, di rispondere in caso di guerra, nei riguardi di chi lo aveva investito, Sommo Pontefice o Imperatore.
Per tradizione l'appartenenza alla Milizia Aurata conferiva la nobiltà personale, in alcuni casi anche la nobiltà ereditaria: per quanto non facilmente reperibile il volume forse più interessante sull'argomento resta Luigi Angeli, Memorie storiche dell'Ordine Aurato, ossia dello Speron d'oro, Roma, Mugnoz, 1841, pp. XII - 174 - cc.nn. 2 (opera illustrata da una tavola a colori e da due tavole incise in rame raffiguranti insegne ed uniformi dell'Ordine).
Dal secolo XVI si iniziò ad unire alla dignità cavalleresca dello speron d'oro, il titolo di conte del sacro palazzo lateranense o conte palatino.
Con la fine del medioevo, la Milizia aurata decadde di prestigio, divenendo una semplice distinzione onorifica conferita molto spesso per sub collazione.
Infatti nel 1367 il Sommo Pontefice Urbano V concesse al Marchese di Ferrara la facoltà di creare cavalieri dello Speron d'Oro; tale prerogativa, detta di sub collazione, venne nel tempo altresì concessa anche a collegi ed università.
Anche la famiglia ducale degli SFORZA SANTA FIORA, a cui successero i Cesarini Sforza, ottennero la facoltà di investire CAVALIERI AURATI: come ACCADDE anche per ANGELICO APROSIO, per il tramite dell'ACCADEMIA DEI GENIALI DI CODOGNO, subinvestita dagli SFORZA, con DIPLOMA DEL 18 0TTOBRE 1649.
Con la fine del Sacro Romano Impero, per rinuncia di Francesco II d'Absburgo (1806) cessò di esistere la milizia aurata di creazione imperiale, mentre quella di derivazione pontificia crebbe in splendore, sotto il pontificato di Pio VII.
Infatti in tale periodo la milizia aurata da dignità cavalleresca iniziò il processo di trasformazione in una Istituzione cavalleresca, con i relativi Statuti e con la concessione, il 16 febbraio 1803, di una uniforme.
Il Sommo Pontefice Gregorio XVI con il Breve Cum Hominum Mentes del 31 ottobre 1841 definì infine le caratteristiche e la struttura dell'Ordine della Milizia Aurata, ponendolo sotto la protezione di San Silvestro I papa.
L'Ordine prese quindi la denominazione di Ordine Aurato di San Silvestro Papa o dello Speron d'Oro.
Con la riforma di tutti gli Ordini equestri pontifici avvenuta nel 1905, sotto il pontificato di San Pio X, anche la Milizia Aurata di San Silvestro Papa o dello Speron d'Oro ritrovò tutto il suo prestigio ed il suo splendore.
Con Bolla 7 febbraio 1905, l' Ordine venne staccato dal titolo di San Silvestro Papa, divenendo quest'ultimo Ordine anch'esso pontificio.
Sempre con la medesima Bolla, l'Ordine dello Speron d'Oro venne posto al secondo posto nella graduatoria degli Ordini cavallereschi pontifici, dopo l'Ordine Supremo del Cristo e prima dell'Ordine Piano.
L'Ordine si compone di una sola classe di cavalieri, limitata al numero di cento, e di norma viene conferito solo ai Capi di Stato non cattolici ed ai capi di governo.
L'insegna si compone di una croce ottagona o biforcata, smaltata di giallo, portante fra le due punte inferiori, sospeso lo speron d'oro. Caricato nel cuore della croce uno scudetto circolare di bianco, circondato da un cerchio d'oro, con nella parte anteriore il monogramma della Santa Vergine, protettrice dell'Ordine e sul rovescio la data MDCCCCV e sul cerchio "PIUS X RESTITUIT".
La croce è infine sovrastata da un trofeo d'armi in oro. Esiste ovviamente anche la placca, mentre il nastro della decorazione è di rosso bordato di bianco.
L'Ordine, al pari di tutti gli altri Ordini cavallereschi pontifici, dispone di uniforme.
Per i cavalieri dello Speron d'Oro l'uniforme si compone di una tunica di panno rosso a doppio petto, con collo e paramani di velluto in seta nera, con ricami in oro; i pantaloni, di panno nero, hanno una banda intessuta d'oro. Il copricapo nero di felpa porta la coccarda pontificia.
L'uniforme si completa con lo spadino, gli speroni d'oro ed altri accessori" [Gli Ordini Cavallereschi
di Giorgio Aldrighetti
: ORDINE DELLO SPERON D' ORO
( Milizia Aurata ) - saggio on line internet
].
Non costituisce certo uno degli argomenti più interessanti in merito alla figura di Angelico Aprosio ma al pari di tanti uomini del suo tempo egli tenne gran conto del possesso di titoli onorifici e che contestualmente ebbe grande considerazione per gli antichi ordini religiosi cavallereschi.
Mediamente fece cenno solo a titoli concernenti la sua appartenenza ad accademie culturali però in un'operetta, come quasi tutte scritta sotto pseudonimo, ed intitolata Le Vigilie del Capricorno... egli si definì Conte Palatino e Cavaliere Aurato. Fermo restando che nulla ho rinvenuto in merito ma che pare altresì arduo dubitare della citazione occorre precisare che tali titolature cavalleresche esistevano realmente e che erano da rimandare all' Ordine della
Milizia Aurata su cui qui si possono leggere alcuni utili riferimenti.
Bocchini, Bartolomeo
Bocchini, Bartolomeo
Bocchini, Bartolomeo
Bocchini, Bartolomeo
Bocchini, Bartolomeo
Bocchini, Bartolomeo
Bocchini, Bartolomeo
Bocchini, Bartolomeo
Bocchini, Bartolomeo
Bocchini, Bartolomeo
Bocchini, Bartolomeo
Bocchini, Bartolomeo
Bocchini, Bartolomeo
Bocchini, Bartolomeo
Bocchini, Bartolomeo
Bocchini, Bartolomeo
Bocchini, Bartolomeo
Bocchini, Bartolomeo
Bocchini, Bartolomeo
Bocchini, Bartolomeo
Bocchini, Bartolomeo
Bocchini, Bartolomeo
Bocchini, Bartolomeo
Bocchini, Bartolomeo
Non si sono al momento trovate citazioni specifiche su di lui e nemmeno pubblicazioni secondo l'SBN: risulta comunque menzionato nella composizione
De gli SCHERZI ARMONICI Trovati, e facilitatì In alcune curiosissime Suonate Sopra LA CHITARRA SPAGNUOLA DA FRANCESCO CORBETTA PAVESE. All'Illustriss. Sig. e Padron Colendiss.mo IL SIGNOR CO. ODOARDO PEPOLI In Bolog. per Giacomo Monti, e Carlo Zenero. Con licenza de Super. 1639.
f. 1v - bianco -
f. 2r - ILLUSTRISS. SIG. E Padron Colendiss. . . . [dedica a Odoardo Pepoli]
f. 2v - "Bologna li 4. Settembre 1639 Di V.S. Illustriss. Humiliss. e divotiss. Servitore Francesco Corbetta Pavese"
f. 3r - AL LETTORE ["questo primo tratto della mia penna"]
f. 3v - Del Sig. Giacinto Onofrio ALL'AUTORE [composizione encomiastica per Francesco Corbetta]
Di lui secondo l'SBN si sono reperite le seguenti opere nelle biblioteche italiane:
Gazet, Angelin, Pia Hilaria R.P. Angelini Gazaei e Societate Iesu Atrebatis, Antuerpiae: Officina Plantiniana
Gazet, Angelin, Pia Hilaria R.P. Angelini Gazaei e Societate Iesu, Atrebatis. Noua editio auctior, Mussiponti: Cramoisy, Sebastien <1. ; 1606-1669>, 1625
Gazet, Angelin, Pia hilaria variaque carmina R. P. Angelini Gazaei e Societate Iesu, Atrebatis, Duaci: Bellere, Balthazar, 1619
Gazet, Angelin, Pia hilaria variaque carmina R. P. Angelini Gazaei e Societate Iesu, Atrebatis, Dilingae: Rem, Ulrich, 1623
Gazet, Angelin, Pia hilaria Angelini Gazaei accessit tomus alter cum indice philologico, Londini, 1657
Gazet, Angelin, Pia hilaria r.p. Angelini Gazaei e Societate Iesu atrebatis. Tomus secundus, Insulis: Rache, Pierre de, 1638
Gazet, Angelin, Pia Hilaria R.P. Angelini Gazaei e Societate Iesu atrebatis, Coloniae, 1631
Gli atrebati in Gallia
Vivevano attorno all'odierna Artois (Francia settentrionale), con capitale Nemetocenna, l'odierna Arras .
Nel 57 a.C. parteciparono all'alleanza promossa dai Belgi contro Gaio Giulio Cesare , contribuendo con 15.000 uomini. Dato che non si giunse a una vera battaglia, l'alleanza si sciolse e Cesare marciò allora contro diverse tribù, sottomettendole.
Gli atrebati si allearono con i nervi e i viromandui e attaccarono Cesare sul fiume Sambre . Agirono in maniera così rapida e inaspettata che alcuni romani non ebebro il tempo di trovare rifugio. Cesare riuscì però a rovesciare la situazione: i Nervi sarebbero stati quasi del tutto annientati. Gli atuatuci, che stavano dirigndosi verso la battaglia, fecero retromarcia.
Dopo la conquista degli atrebati, Cesare mise sul trono uno di loro, Commio , che, poi, partecipò alle spedizioni di Cesare in Britannia (55 - 54 e negoziò la resa di Cassivellauno . In cambio dei suoi servigi, ebbe il potere sulla tribù dei morini . Comunque, nel 52si unì ai ribelli guidati da Vercingetorige . Dopo la resa di Vercingetorige, Commio ebbe altri scontri coi romani, negoziò una tregua con Marco Antonio e alla fine fuggì con alcuni suoi seguaci in Britannia. Sebra, comuqnue, aver mantenuto una certa influenza in Gallia.
Nel II secolo d.C. Tolomeo nela sua Geografia dice che gli "atribati" vivevano sulla costa della Gallia belgica vicino al fiume Sequana (odierna Senna ) e menziona, come loro città, Metacum .
Gli atrebati in Britannia
Commio divenne subito sovrano degli atrebati britannici e sembra aver fondato un regno. Il loro territorio comprendeva il moderno Hampshire , il Sussex occidentale e il Surrey , incentrato sulla capitale Calleva Atrebatum (odierna Silchester ). L'insediamento degli atrebati in Britannia non fu un movimento di massa. Secondo l'archeologo Barry Cunliffe si sarebbe trattato di "una serie le tribù indigene, forse con un certo numero di elementi belgici immigrati".
È possibile che il termine "atrebati" si riferisse soltanto alla casa o alla dinastia regnante e non a un intero gruppo etnico. Commio e i suoi seguaci, dopo essere arrivati in Britannia, potrebbero aver espanso gradualmente la loro sfera d'influenza, creando una specie di proto-stato. Comunque è ipotizzabile che Commio avesse in Britannia qualche parente: infatti, durante la prima spedizione cesariana nell'isola (55), egli fu in grado di fornire un piccolo contingente di cavalleria, dopo che quella romana non aveva potuto attraversare la Manica , Commius poteva fornire ad un piccolo gruppo dei horsemen dalla sua gente, suggerente che può già avere parentele in Gran-Bretagna a quel tempo. Dopodiché gli atrebati furono riconosciuti come regno cliente di Roma .
Tre successivi sovrani degli atrebati britannici sulle loro monete si definivano figli di commio: Tincomaro , Eppillo e Verica . Tincomaro sembrerebbe aver regnato dal 25 al 20 insieme al padre. Dopo la morte di quest'ultimo, Tincomaro regnò sulla parte settentrionale del regno da Calleva, mentre Eppillo dominò il sud da Noviomago (Chichester ). Testimonianze numismatiche e arhceologiche suggeriscono che Tincomaro assunse un atteggiamento più filo-romano rispetto al padre e John Creighton , basandosi sul linguaggio figurato delle monete, ipotizza che sarebbe stato un ostaggio diplomatico sotto il regno di Augusto .
Le Res Gestae di Agusuto menzionano due re britannici supplici presso l'imperatore (forse attorno al d.C.). Il passo è corrotto, ma uno dei due potrebbe essere stato proprio Tincomaro (l'altro Dubnovellauno dei trinovantes o dei cantiaci ). Tincomaro sarebbe stato spodestato dal fratello Epillo, sulle cui monete, a un certo punto, si legge "Rex". Ciò indircherebbe che venne riconosciuto come sovrano dai romani.
Attorno al 15 , a Eppillo successe al trono Verica (più o meno nello stesso periodo, un sovrano di nome Eppillo fece la sua comparsa come re dei cantiaci, nel Kent ). Ma il regno di Verica era pressato dall'espansione dei catuvellauni di Cunobelino . Calleva cadde nelle mani di Epaticco , fratello di Cunobelino, attorno al 25 . Verica riconquistò parte del territorio dopo la morte di Epaticco (attorno al 35 ), ma il figlio di Cunobelino, Carataco , assunse la direzione della campagna militare e sottomise gli atrebati (inizi degli anni Quaranta).
Verica fuggì a Roma, dando così al nuovo imperatore Claudio il pretesto per la conquista della Britannia.
Dopo che i romani ebbero preso possesso dell'isola, parte delle terre degli atrebati furono organizzate nel regno filo-romano dei regnensi , sotto Tiberio Claudio Cogidubno , che era forse il figlio di Verica. Il territorio tribale fu più tardi organizzato nelle civitates (distretti amministrativi della provincia romana ) degli atrebati, regnensi e forse belgi.
Successivamente il Corbetta soggiornò in Inghilterra con il titolo di gentiluomo di camera della regina: fra l'altro insegnò l'uso dello strumento al sovrano Carlo II e ad altri membri della nobiltà.
Nel 1670 Francesco Corbetta fu di nuovo in Francia ove editò a Parigi La Guitarre Royalle utilizzando il nome francesizzato di Francisque Corbett.
Gaspar Sanz parlando di Francesco Corbetta nella sua opera "Instruccion de musica sobre la guitarra españolalo ha giudicato come il migliore di tutti i chitarristi (el mejor de todos). Francesco Corbetta si spense a Parigi nel 1681 fra il cordoglio e la generale ammirazione come detta il suo epitaffio:
" Ci-gît l'Amphion de nos jours,
Fancisque cet homme si rare
Qui fit parler à la guitare
Le vrai langage des amours.
Il gagna par son harmonie
Le coeur des princes et des rois
Et plusieurs ont cru qu'un génie
Prenait soin de conduire ses doigts ... ".
In questo stesso lavoro si sviluppa il principio che per qualificare la sua residenza e il suo lavoro a Ventimiglia città (come lui stesso scrive nel repertorio biblioteconomico de La Biblioteca Aprosiana...) all'epoca giudicata paludosa ed insalubre da lato climatico l'erudito frate ne sviluppa, pur con qualche malcelato distinguo, un inaspettato quadro edenico quale sede ideale per la sua "Libraria" e per sviluppare i suoi studi nel pieno rispetto dell'ideale classicheggiante dell'eruditissimo otium negotiosum.
A questo limite di decodificazione ben si intende come Aprosio non abbia alcuna intenzione di far giudicare in una città sì poco reputata il suo ritorno alla stregua di un esilio ma piuttosto di una per nulla disdicevole scelta di quiete e laboriosità
Niente eccepisce a siffatte riflessioni ma, come detto più volte, le postulazioni aprosiane veicolano più messaggi e spesso sul tronco di un apparente unico ragionamento si possono decrittare distinte valenze documentarie.
Per gli uomini di cultura la qualificazione ambientale dell'agro intemelio può benissimo forgiarsi su un sistema di citazioni classicheggianti e sul teorema nulla affatto improprio del sito ottimale per il culto dell'otium negotiosum.
Per l'opinione corrente, quella non necessariamente erudita o culturalmente sofisticata ma semmai pregna di perigliosa superstizione, si impongono in merito alla cattiva fama climatica di Ventimiglia altre e diverse considerazioni che Aprosio, da autore che sa maneggiare la penna, non sviluppa in maniera settoriale ma che lascia crescere e fa accreditare nel contesto stesso del suo Elogio di Ventimiglia: logicamente la portata di questo suo secondo messaggio risulta decifrabile solo se ci si cala nel contesto epocale e si analizza il problema ambientale della città sotto il profilo di altre caratteristiche, non ultima di certo la carica aprosiana di Vicario dell'Inquisizione.
La fama di costituire un luogo climaticamente malsano nel XVII secolo rappresenta un handicap non solo "promozionale" per la città: prescindendo infatti dagli autori stessi registrati da Aprosio la stessa opinione popolare ha consapevolezza di queste problematiche ed in merito esistono delle precise registrazioni documentarie di epoche diverse.
Da uomo intelligente Aprosio lascia comprendere che la sostanza del problema gli è ben nota e che dipende essenzialmente dalla mancanza di cure dell'ambiente per responsabile pigrizia delle autorità.
Ma proprio perchè è intelligente e non privo d'astuzia sa di doversi, in questo caso, esporre oltre misura, e non solo verso i lontani amici letterati ma anche e soprattutto in merito ai suoi doveri di inquisitore ecclesiastico: al punto di attaccare apertamente la classe dirigente locale (cosa per lui inconsueta).
Il problema basilare di cui Aprosio è consapevole e che rischia d'essere evocato in merito all'insalubrità di Ventimiglia, anche a scapito della razionalità, risulta connesso ad una serie di constatazioni pratiche, suggerite per "esperienza storica", che il male, pure nel senso demoniaco del termine alberga, per le stesse postulazioni degli inquisitori, nei luoghi più flagellati da difficoltà climatiche.
Nello specifico di eventi reiterati e della codificazione canonica nulla vieta alla credenza seicentesca di ipotizzare l'agro ventimigliese quale sito di manifestazioni di magia tempestaria: la magia tempestaria, meglio che ovunque si annida, nell'orrorifico del tempo, in qui luoghi degradati, che non mancano nella Ventimiglia barocca.
Anche per tal ragione Aprosio cura di valorizzare il Roja e di sancire la limpidezza cristallina delle sue acque popolate d'ottime trote che nulla può suggerire di malefico: come vicario inquisitoriale sa bene che le acque limacciose sono correlate ai luoghi più sinistri e da indagatore ecclesiastico dell'incubo non ignora quanto l'areale intemelio sia caratterizzato da una civiltà delle acque taumaturgiche e non che stando ai postulati di Gregorio Magno affonda in tradizioni pagane mai del tutto rimesse dalla cultura popolare e già incentivate dall'autorità religiosa romano imperiale, da siti pulsori mai del tutto obliati dalla coscienza collettiva come l' Isola Tiberina ed il tempio di Esculapio a Roma.
Una civiltà delle acque che peraltro fiorisce nel seicentesco vasto agro storico intemelio e soprattutto vigorosamente procedondo per la valle del Nervia avendo l'epicentro arcaico nel sito di Lago Pigo, nel pignasco, ma intersecandosi (per direttrici tanto verticali quanto orizzontali, sia locali che interregionali) lungo vari tragitti e sistemi insediativi ed sublimandosi, forse proprio entro i territori prebendali ed il duecentesco meccanismo dei sistemi ospedalieri, nell'area dell' ospedale di N. S. della Rota.
In questa vasta topografia di lotta alla "superstizione delle acque" si recuperano quasi tutti gli "ingredienti" cristiani della "sconsacrazione-riconsacrazione" quali il teorema delle Donne del Calvario o di S. Giorgio che uccide il drago delle acque: ha sempre un po' stupito l'assenza di un culto prossimo a qualche sorgente per S. BARTOLOMEO APOSTOLO: per antonomasia il santo taumaturgico andato a surrogare con i suoi templi i siti sacrali dedicati ad Asclepio/Esculapio. Tuttavia in questo excursus rimane significativa l'indicazione, mai troppo soppesata, dell'esistenza nel territorio di Rocchetta Nervina di una "fonte dell'abate" prossima ad una "cappella di S. Bartolomeo".
Falconi, Pietro Giacomo
Ricci, Giovanni Giacomo
Ricci, Giovanni Giacomo
Ricci, Giovanni Giacomo
Ricci, Giovanni Giacomo
Ricci, Giovanni Giacomo
Ricci, Giovanni Giacomo
Ricci, Giovanni Giacomo
Ricci, Giovanni Giacomo
Ricci, Giovanni Giacomo
Parlare della secolare famiglia dei Solari e di tutte le sue diramazioni in questo lavoro sarebbe probabilmente fuori luogo, interessando a noi solamente il ramo cosiddetto del Borgo: possiamo dire però che questo ramo deriva da quei Solari originari di Asti che non tornarono in quel Comune dopo la prima cacciata della loro famiglia, ma esularono tra Italia e Francia.
Questo ramo ha origine da Benentino, vivente in Francia sul principio del XIV sec., il quale ebbe due figli: Antonio e Agostino; dal primo discendono direttamente i del Borgo, dal secondo i Monasterolo, dei quali non è il caso di trattare in questo lavoro.
Antonio, alla morte del padre, tornò in Italia e cominciò il suo avvicinamento al Pinerolese: ebbe cinque figli, fra i quali Bonifacio I, che acquistò il castello di Stupinigi dalla famiglia dei Cavoretto, nel 1350, ed il castello di Moretta dal principe Giacomo di Acaia il 17 agosto 1362, al prezzo di ventunomila fiorini d'oro.
Ma a noi interessa anche un altro figlio, e cioè Marchetto, che fu padre di Borgognone, il quale acquistò, come abbiamo visto, il castello di Macello nel 1396, assieme al cugino Filippo, colonnello dei principi di Acaia, figlio di Bonifacio I, che nel 1385 fu investito da Amedeo VII del castello di Casalgrasso e successivamente di quello di Torre S. Giorgio.
Filippo morì ancor giovane, nel 1400, annegando nel Pellice (curiosamente come il suo omonimo principe di Acaia), e poichè Borgognone non ebbe discendenti, il feudo passò nelle sole mani del primogenito di Filippo, Bonifacio II, che ebbe l'incarico di scudiero di Giovanni di Borbone e poi di Ludovico di Savoia.
Bonifacio II ebbe numerosi figli, ma solamente due di loro ebbero discendenza, dando così origine a due rami diversi all'interno della famiglia: Sebastiano, che si distinse nell'esercito dei Savoia durante la guerra contro Francesco Sforza, e Vasino, anche lui uomo d'arme, che combattè a Cipro nel 1460 e quindi fu nominato governatore di varie città del Piemonte, tra le quali possiamo ricordare Cavallermaggiore e Carignano.
Di un altro figlio di Bonifacio II, Manfredo, è custodita una statua di marmo all'interno della chiesa del Colletto, presso Pinerolo, che lo ritrae in preghiera in tenuta militare.
Il ramo di Sebastiano (che era il primogenito) conservò il titolo formale di signori di Macello, ma più importante per il paese fu certamente il ramo di Vasino; comunque dobbiamo ricordare della discendenza di Sebastiano suo figlio Giovanni Francesco, che il duca Carlo II di Savoia nominò nel 1540 consigliere per la minore età di Emanuele Filiberto suo figlio; Giulio Cesare, che ricevette da Emanuele Filiberto il titolo di conte di Moretta; Antonio Bonifacio, colonnello, fondatore nel 1668 dei Dragoni di Piemonte (l'attuale Nizza Cavalleria, di stanza a Pinerolo); e, infine, Giovanni Maria, ultimo del suo ramo, Scudiero della Regina nel 1722.
Vasino sposò Andreotta S. Martino di Strambino, ed ebbe cinque figli, dei quali il primogenito fu Carlo, che rivestì un ruolo determinante nel dar lustro a questo ramo dei Solaro: fu infatti nominato paggio del re di Francia Carlo VIII, che accompagnò a Napoli nel 1493; nel 1513 fu nominato da Luigi XII Commissario generale di tutti i Regi Eserciti di qua e di là delle Alpi, e quindi fu mandato a Londra, insieme ad altri quattro cavalieri francesi, come ostaggio al re d'Inghilterra in garanzia di pace; oltre ad altri importanti incarichi politici e diplomatici, fu nominato Governatore di Torino quando la città fu occupata dalle truppe francesi, tentando di riappacificare, senza riuscirci, il re di Francia ed il duca di Savoia; morì nel castello di Tourne Loi di Parigi, del quale era Governatore, nel 1552.
Carlo ebbe due mogli, avendo sposato una contessa di Favria in prime nozze, e Fiorenza di Piossasco in seconde; e se il primo matrimonio fu infecondo, il secondo gli portò quattro figli: Vasino, primogenito, che si diede alla carriera ecclesiastica e divenne abate del monastero di Roulz in Lorena; Francesco, che occupò varie cariche presso la corte di Francia, dove fu scudiere e gentiluomo di camera del re, ed ottenne le insegne dell'ordine di San Michele; Alessandro, cavaliere di Malta, prevosto e commendatore di Macello; e Giovanni, che fu ambasciatore di Carlo IX di Francia presso l'imperatore.
Francesco sposò Lucrezia Costa di Polonghera ed ebbe due figli: Carlo e Ludovico, per i quali venne eretto in contea il feudo di Macello con patenti del 18 agosto 1592.
Carlo fu ambasciatore di Carlo Emanuele I presso Luigi XIII di Francia, e Grande Scudiere del principe Maurizio di Savoia; morì senza figli e nominò suo erede il nipote Giovanni Francesco Emanuele.
Ludovico fu il primo marchese di Dogliani, feudo che acquistò nel 1615, e passò tutta la sua vita al servizio di casa Savoia, il che gli fruttò numerosi incarichi di prestigio: divenne infatti comandante della piazza di Oneglia, ambasciatore presso Filippo II di Spagna, e governatore di Nizza, dove morì.
Dalla moglie Paola di Challant, figlia di Claudio e di Bona di Savoia Racconigi, ebbe sei figli: il primogenito, Giovanni Francesco Emanuele fu governatore di Vercelli, Asti, e del Ducato di Milano, e sposò Silvia dei Marchesi Villa, da cui ebbe Giovanni Giuseppe, morto senza discendenza.
Il secondo figlio di Ludovico fu Maurizio Solari, cavaliere di Malta, arcidiacono di Vercelli e vescovo di Mondovì.
Terzogenito fu Carlo Gerolamo, primo marchese di Borgo San Dalmazzo, feudo acquistato dalla famiglia dei Forni di Modena: da qui la sua famiglia prese il nome definitivo di Solaro del Borgo.
Sposò Maria Roero di Cortanze e ne ebbe un figlio, Ignazio Francesco (morto nel 1743), che riunì tutti i possedimenti della famiglia, ed i relativi titoli nobiliari, nelle proprie mani.
Ignazio Francesco sposò Elena dei conti S. Martino da cui ebbe due figli: Giovanni (1700-1746), morto senza lasciare discendenza, e Carlo Gerolamo II, che premorì al padre, ma fece in tempo a sposarsi con Maria Delfina Simiane dei marchesi di Pianezza, e ad avere tre figli: Francesco Ignazio, Carlo Maurizio ed Ignazio Maria Filippo.
Il primo, Francesco Ignazio, ebbe tre mogli e due figli: Giuseppe Vincenzo dalla seconda, che apparteneva alla famiglia dei conti Ferrero di Ormea, e Vittorio, morto nel 1806 senza figli, dalla terza, dei conti Benso di Cavour.
Giuseppe Vincenzo (1770-1815) raccolse l'eredità del nonno materno, il marchese Simiane di Pianezza, che portò un notevole incremento ai propri averi, incremento perso in gran parte, a causa della rivoluzione francese che aveva fatto sentire i suoi effetti anche a Macello, tanto è vero che il 9 dicembre 1798 fu saccheggiato il Castello...".
Glisenti, Fabio
Glisenti, Fabio
Glisenti, Fabio
Svolse poi alcune missioni diplomatiche, ancora per conto dei Gonzaga, in Francia e presso la corte pontificia.
Nel 1561 fondò l’Accademia degli Illustrati, alla quale partecipò con il nome di Elevato. Nel 1574 usciva a Brescia il trattato La Civil Conversazione , che godette di grande successo e fu ristampato in molte edizioni e traduzioni. Nel 1586 pubblicava a Milano i Dialoghi piacevoli, di argomento composito. Nel 1589 si trasferì a Pavia, con il figlio Giovanni Antonio che vi svolgeva gli studi di diritto. Sempre a Pavia, prese parte all’Accademia degli Affidati.
Guasco, Annibale, Lettere del signor Annibale Guasco alessandrino ridotte sotto questi capi. Di ragguagli. .., In Milano: Pontio, Pacifico eredi & Piccaglia, Giovanni Battista, 1601
Guasco, Annibale, Tela cangiante del signor Annibal Guasco alessandrino. In madrigali tre mila, cento dieci. Opera morale, diletteuole, & vtilissima. Con vn filo, che ne manifesta tutto l'ordimento ..., In Milano: Da Ponte, Pacifico eredi & Piccaglia, Giovanni Battista, 1605
Guasco, Annibale, Lettere del signore Annibal Guasco alessandrino, ordinate sotto li capi seguenti ..., In Trivigi: Bertoni, Giovanni Battista, 1603
Guasco, Annibale, Il secondo volume delle lettere del signor Annibal Guasco alessandrino, ridotte sotto questi capi ... Con due vtili, & curiosi trattati per giunta. L'vno della precedenza tra l'amare, & l'essere amato. L'altro in materia d'honore ..., In Alessandria: Motto, Felice, 1607
Pozzo, Nicolo, Oratione di Nicolo Pozzo dottor fisico alessandrino. Da lui recitata il di 16 febbraio 1619, nelle essequie fatte per il signore Annibale Guasco morto il di 4 del detto mese, & anno. Con alcuni de' componimenti de' quali era ornato tutto l'apparato lugubre, In Alessandria: Motti, Dionisio & Soto, Giovanni, 1619
Guasco, Annibale, Le rime del Signor Annibal Guasco, In Pavia: Bartoli, Girolamo
Guasco, Annibale, Disputatio Annibalis Guaschi Patricii Alexandrini cum Raphaele Domenico Lucense ... de animarum humanarum aequalitate, cum amplissima auctoris additione de D. Thomae in hac re sententia. Necnon eiusdem Solutio ad argumentum de caussa [|] incorruptibilitatis intelligentiarum, denuo impressae, & ab erroribus primae impressionis exp, Alexandriae: Quinciano, Ercole, 1600
Guasco, Annibale, Ragionamento del sig. Annibal Guasco a D. Lauinia sua figliuola, della maniera del gouernarsi ella in corte; andando per Dama ..., In Turino, Stampata in Turino: Bevilacqua, Niccolo eredi, 1586
Guasco, Annibale, Lettere del signor Annibal Guasco Alessandrino, ridotte sotto questi capi Di ragguaglio, di complimenti, di complimenti misti ..., In Pavia: Bordone, AgostinoRossi, Giovanni Battista, 1618
Boccaccio, Giovanni <1313-1375>, La Ghismonda, composta in ottaua rima dal sig. Annibal Guasco; con l'istesso testo del Boccaccio, et alcuni altri componimenti dell'autore, In Pavia: Bartoli, Girolamo, 1583
Guasco, Annibale, Oratione dell'ill. sig. Annibal Guasco nella riforma del publico gouerno della citta d'Alessandria, sua patria Al Consiglio generale d'essa citta, In Alessandria: Quinciano, Ercole, 1589
Guasco, Annibale, Quaestio disputata inter Annibalem Guaschum Alexandrinum et Raphaelem Domenicum Lucensem ordinis Praedicatorum, vtrum inter animas humanas alia sit essentialiter perfectior alia. Accessit ipsimet questioni Additio eiusdem Annibalis Guaschi, per quam explicatur quid D. Thomas de hac re senserit. Insuper, solutio argumenti, de causa incorruptibilitatis intelligentiarum, Trini: Giolito de Ferrari, Giovanni Francesco, 1577
Guasco, Annibale, Opera del sig. Annibal Guasco in ottaua rima, per la natiuita del Signore; con altri componimenti spirituali, & alcuni pochi per giunta, in diuerse materie, con cento madrigali a due sue figliuole, tutti d'vn medesimo soggetto, notato in principio d'essi, [12] 8o. sul front. e in fineoMarca mostro a cinque teste con motto Vulnere virtus vi rescit: Bordoni, OttavioBartoli, 176 c.
La famiglia Caldora giunse in Italia al seguito di Carlo I d’Angiò.
Stabilitasi in Abruzzo ottenne 38 baronie, 16 contadi, il marchesato del Vasto ed il ducato di Bari.
All’inizio del ‘400, Giacomo Caldora era l’erede di una delle famiglie più importanti del regno di Napoli.
Fu allievo di Braccio da Montone e, nella battaglia dell’Aquila il 2 giugno 1424, superò il suo maestro sconfiggendolo (Braccio da Montone, morì tre giorni dopo, a causa delle ferite infertegli per vendetta dai suoi nemici perugini).
Di spirito fiero ed indipendente, all’apice della carriera, era ormai uno dei padroni del Regno e si dice perfino che avesse intenzione di fondare un triumvirato per spartirselo con altri baroni.
Fu creato duca di Bari da Giovanna II d’Angiò.
Il suo motto, inciso nella sella del cavallo, era Coelum coeli Domino, terram autem dedit filiis hominum.
Morì in battaglia nel 1439, mentre assaliva un castello.
La storia dei Caldora si intreccia con quella di Vasto quando il Consiglio Decurionale, per salvaguardare la città che da soli 56 anni era riuscita ad ottenere di essere considerata Demanio Regio, decise di assoldare il capitano di ventura, Giacomo Caldora, barone di Castel del Giudice.
Giacomo Caldora accettò l’invito, ma appena entrato nelle mura cittadine, usò le sue milizie per proclamarsi signore del Vasto.
Possedeva una buona cultura ed accumulò ingenti ricchezze con gli stipendi che alcuni stati italiani gli pagavano, non tanto per essere difesi, quanto per assicurarsi di non dover essere attaccati dalle sue milizie.
Non amava i titoli ed apprezzava solo ciò che poteva procurarsi con le proprie capacità.
Nonostante fosse intestatario di numerose baronie, alcune contee e perfino del ducato di Bari, amava firmarsi semplicemente col suo nome, come testimonia la firma apposta sull’atto d’acquisto dell’orto degli Agostiniani in Vasto, datato 8 ottobre 1427: Jacobus Caldora, miles armorum capitaneum.
Poco prima del 1439, dette inizio alla ricostruzione del castello del Vasto secondo la nuova tecnica dell’architettura detta ‘a bastioni’.
Poco dopo il compimento del suo castello Giacomo Caldora morì per un improvviso infarto a Colle Sannita.
Il re Renato d’Angiò, confermò al figlio Antonio tutti i possedimenti feudali e le cariche ed uffici goduti dall’estinto (fra le quali quelle di Gran Connestabile e Viceré).
In seguito alla vittoria di Alfonso d’Aragona sugli angioini, Antonio Caldora volle sfidarlo apertamente per riconquistare il regno.
Fu sconfitto ma gli fu consentito di conservare alcuni feudi tra cui la contea di Monteodorisio.
Con la sconfitta di Antonio Caldora, Vasto tornò, per la seconda volta, al regio Demanio.
Tale situazione durò per poco tempo poiché solo due anni dopo, Alfonso d’Aragona dette il territorio ad Innico di Guevara.
Con la morte del re nel 1458, i maggiori baroni napoletani si opposero al figlio illegittimo Ferdinando e chiamarono in loro aiuto Giovanni d’Angiò, figlio di Renato.
Lo sbarco a Napoli del 1458, calamitò i maggiori baroni, fra cui Antonio Caldora in aiuto dell’angioino e Ferdinando battuto a Sarno riuscì a fatica e con appena venti cavalieri a riparare a Napoli.
A Vasto, nello stesso periodo si trovavano Innico di Guevara, due fratelli d’Avalos, suoi parenti, e un buon numero di cavalieri.
Tutti accorsero in aiuto del re Ferdinando, lasciando senza difesa la città.
Ne approfittò Antonio Caldora che nel 1463 da Monteodorisio piombò su Vasto, conquistandola.
Ferdinando aveva nel frattempo recuperato forze e territori e decise così di porre termine una volta per tutte alle ostilità con il Caldora.
Pertanto nell’ottobre del 1464, giunse a Vasto con un forte esercito.
Antonio Caldora, si era già rifugiato nella rocca di Civitaluparella, ma aveva lasciato nel castello di Vasto i migliori artiglieri ed i più fedeli veterani, tutti al comando del valoroso Raniero di Lagny, fratello della sua seconda moglie.
Durante l’assedio venne fatta grande strage tra le file del re aragonese.
Tutti gli attacchi furono inutili, cosicché l’assedio fu allentato e l’esercito si limitò a circondare i territori attorno a Vasto per impedire che rifornimenti potessero giungere al castello.
Antonio Caldora, lasciato il rifugio di Civitaluparella, riuscì a tornare di nascosto al suo castello.
Lo scacco dell’assedio fu superato da una rivolta cittadina contro il Caldora, ed il popolo dopo averlo catturato, aprì le porte della città all’esercito aragonese.
Per intercessione del duca di Milano, Francesco Sforza, al Caldora fu attribuita una pensione, ma fu condannato a non muoversi da Napoli.
Non potendo tollerare tale situazione fuggì via mare.
Morì qualche tempo dopo a Jesi in casa di un armigero veterano di suo padre.
Vasto tornò alla condizione demaniale che durò fino al 1471 anno in cui re Ferdinando proclamò marchese del Vasto Pietro di Guevara, succeduto al padre Innico.
Nel 1485, per il reato di fellonia, gli furono tolti tutti i feudi e Vasto tornò ancora una volta al Regio Demanio.
Nel 1496, Ferdinando II, infeudò Vasto a Rodrigo d’Avalos e, a causa della prematura morte di questi, al fratello Innico II.
Nessuna testimonianza resta a Vasto dello stemma dei Caldora che era: inquartato d’oro e d’azzurro.
L’unica fonte era rappresentata dallo stemma scolpito sul portone della fabbrica originaria del palazzo che in seguito sarebbe diventato palazzo d’Avalos.
Purtroppo, però esso andò perduto quando i de Guevara, nuovi feudatari del Vasto dopo i Caldora, lo fecero scalpellare per sostituirlo con il proprio.
Rami della famiglia Caldora passarono a Narni ed a Mondovì in Piemonte.
Ai Caldora di Mondovì appartenevano Stefano governatore di Castelsardo, Carlo comandante della cittadella di Torino e Michele maggior comandante la cittadella di Mondovì.
Essi si distinsero particolarmente nella seconda metà del XVIII secolo nella guerra contro i francesi e gli spagnoli.
In particolare Carlo e Michele Caldora parteciparono alla battaglia contro i francesi al colle dell’Assietta ed ottennero dal re di Sardegna, Carlo Emanuele III l’ordine Mauriziano.
Avevano per stemma: spaccato d’oro e d’azzurro addentellato di quattro pezzi del primo su cinque del secondo; motto nec nil, nec nimium.
Per non far estinguere questo ramo i titoli passarono alla famiglia Toesca (Toesca-Caldora).
Un altro ramo passò nel napoletano ed in Calabria.
“Nec sapio Illyriam, sed vivo et tota latina majestate loquor” diceva di sé il raguseo Elio Lampridio Cerva, nato nel 1460.
La vita di Cerva, uno dei poeti più dotti del suo tempo, fu tempestosa e inquieta, marcata dalla forte insofferenza nei confronti dei contatti impuri e barbariche maniere da cui era circondato.
Sentendo materno più il latino che lo slavo, visse tutta la vita in una violenta contrapposizione con il “rozzo” vicinato.
I suoi tormenti sociolinguistici, trovarono sfogo nelle sue elegie come rimpianto dei tempi in cui a Ragusa non risuonava altra lingua che quella latina, o come augurio di non sentir più l’eco di quella stribiligo illirica, “scittica lingua che infetta”.
La sua indole passionale e intensa prenderà inoltre forma negli ardenti versi (secondo l’opinione di alcuni critici, i migliori che abbia scritto), di tono più o meno esplicito, delle elegie erotiche del ciclo di Flavia dedicato però non solo all’omonima romana spudorata e lussuriosa, ma anche alla matrona ragusea della famiglia Bona.
L’intolleranza della sua natura verso qualsiasi tipo di oppressione, salvo che in versi, ha lasciato segno anche in atti ufficiali del comune: ebbe infatti uno scontro in pubblico con la suocera, per cui dovette trascorrere le vacanze di Natale in prigione (successivamente descritte in un’Elegia dell’incarcerato).
Di lui sappiamo inoltre che a 13 anni andò a Roma, al seguito dello zio Stefano, ambasciatore della curia papale di Sisto IV: qui fece vita goliardica, svegliò il suo talento poetico che lo fece accogliere nel circolo di Pomponio Leto, e gli meritò la corona d’alloro, con cui fu incoronato in Campidoglio.
Lì studiò la drammaturgia antica e stese uno studio sulle commedie di Plauto.
È di questo periodo il Lexicon (1480), dizionario enciclopedico in latino, di 429 pagine e in grande formato (33 x 23 cm).
Al ritorno a Ragusa “creatura di Roma”, negli anni ’90, cominciò a lavorare a scuola, e come il suo predecessore, fu portavoce della Repubblica di Ragusa.
Finalmente, forse spinto dalle circostanze in cui viveva, decise di ritirarsi in solitudine sull’isola incantata di Ombla, dove rimase fino al 1521, anno in cui scomparve.
Nonostante il titolo di poeta, che gli venne attribuito nei documenti comunali, Cerva durante la vita pubblicò solo quattro brevi componimenti.
La sua opera principale, De Epidauro è rimasta incompiuta: si tratta di un poema epico il cui soggetto sono le invasioni turche del territorio raguseo.
In due codici della biblioteca Vaticana sono raccolte invece poesie latine di vario argomento - familiare, religioso e amoroso - con vivaci richiami sia agli altri testi del tempo che alla sua rovente natura (in alcune per esempio descrive quali assalti rinascimentali, violenze amorose che non gli dovevano essere del tutto estranee).
Comunque, le opere di uno dei più grandi umanisti ragusei, la cui opera letteraria supera di gran lunga quella dei suoi contemporanei e concittadini, oggi vengono pubblicate più all’estero che in Croazia.
Ci restano di lui alcune opere derivate da grandi modelli classici, specialmente da Museo e da Ovidio; del primo, egli parafrasò in un poemetto la favola di Ero e Leandro , del secondo quella di Piramo e Tisbe. Maggiore attenzione meritano le Rime (la cui edizione definitiva è del 1560), che comprendono canzoni, odi, sonetti, egloghe. Tasso scrisse inoltre due poemi cavallereschi in ottava rima: il già citato Amadigi, pubblicato nel 1560, iniziato in endecasillabi sciolti e poi adattato in ottava rima per volere del committente e per assecondare i gusti del pubblico, e il Floridante, incompiuto ampliamento di un episodio dell’Amadigi, pubblicato postumo a cura del figlio Torquato nel 1587. Alcune considerazioni di poetica si trovano nel Ragionamento della poesia (1562), che riproduce un discorso tenuto nel 1560 nell’Accademia della Fama di Venezia, di cui Tasso era stato anche segretario. Rispecchiano invece piuttosto da vicino l’attività di uomo di corte i diversi libri delle Lettere, pubblicati fin dal 1549, più volte ripubblicati e ampliati, e considerati per tutto il corso del XVI e del XVII secolo mirabili esempi di scrittura epistolare.
Nel CAPITOLO XXII dello Scudo di Rinaldo tutta la riflessione, apparentemente solo erudita e comunque in superdicie abbastanza oziosa, sulla critica alla costumanza epocale di portare la fronte coperta dai capelli, specialmente per via d'una frangia, sia da uomini che da donne, veicola un messaggio più sostanziale.
Il problema è che l'Aprosio scrive per uomini colti del suo tempo e quindi si uniforma a postazioni retoriche ben conosciute e connotate da relativamente pochi: in definitiva il Capitolo deve esser letto, in un certo modo dalla sua fine, per intenderne la sostanza e rivederlo poi dall'inizio.
Ben leggendolo si nota come tante citazioni (di autori spesso stranieri come Fuchs, Samuel e Arconatus, Hieronymus del quale riproduce un efficace epigramma latino sul tema od ancora del tanto da lui ammirato Marziale d'Inghilterra) finiscono in conclusione per esser riassorbite dal frate intemelio in un epigramma latino dell'abbastanza sconosciuto Giacomo Lipsio.
Traducendolo si nota come l'autore si rivolga, con intento ammonitorio un po' per tutti, a guardarsi da chi, donne come di conseguenza pure uomini, porti velata dai capelli la fronte bruciata con un marchio: la frons inusta era infatti un mezzo distintivo, specificatamente definito NOTA DI INFAMIA per segnalare determinati criminali anche se come gergalmente si dice tuttora, "fatta la legge, trovato l'inganno", per via della moda si trovò il mezzo di nascondere siffatto sfregio sì da poter circolare senza rendere conto della punizione patita.
Sin dall’antichità personaggi quali Pitagora, Aristotele, Plinio legavano alle fattezze del viso il temperamento dell’individuo. Leonardo da Vinci fu uno dei grandi sostenitori di questo legame che, nel corso del XVI secolo, viene analizzato e studiato sempre più scientificamente e porterà alla nascita della fisiognomica. Uno dei contributi più significativi nello sviluppo di questa pseudo-scienza si deve senza dubbio a Gerolamo Cardano, illustre matematico, filosofo e occultista del ’500. I suoi studi sulla fisiognomica, che egli chiama “Metoposcopia” si concentrano soprattutto sulla lettura delle pieghe della fronte con metodi analoghi a quelli usati per la mano. Secondo Cardano la fronte umana è solcata da 7 righe, o grinze. Partendo da quella più vicina alle sopracciglia verso l’attaccatura dei capelli, esse vengono denominate utilizzando il nome dei corpi celesti. A ognuno di essi, a sua volta, corrisponde una tipologia di carattere. La prima linea corrisponderà alla Luna, la seconda a Mercurio, la terza a Venere,
la quarta al Sole, la quinta a Marte, la sesta a Giove e la settima a Saturno. La linea più evidente corrisponde al tratto distintivo della nostra personalità. Ecco di seguito le qualità relative a ogni astro: Luna = dolce, romantico, sognatore, sensibile, affettuoso, pronto a farsi coinvolgere emotivamente, incline alla malinconia se non si sente benvoluto. In questi casi diventa instabile, capriccioso, lunatico, vorrebbe sempre essere dove non è pur essendo pigro. Ha latenti doti artistiche che dovrebbe cercare di valorizzare per acquisire maggiore sicurezza in se stesso. Mercurio = intelligente, acuto, abile, diplomatico. Non è mai a corto di argomentazioni e sa essere molto convincente. Non c’è situazione che lo colga impreparato o difficoltà per la quale non sa trovare una via d’uscita. Ama i cambiamenti, provoca cambiamenti, puà essere
discontinuo per molteplicità d’interessi. Quando non ha qualcuno in simpatia puà farsi temere per le sue maliziosità. Quando vuole ottenere qualcosa e non ci riesce, la sua condotta puà lasciare a desiderare quanto a trasparenza. Venere = l’amore è all’apice dei suoi pensieri, è sentimentale per eccellenza. Spontaneo e sincero, pieno di buoni sentimenti, capace di soffrire per amore, ma anche di dimenticare presto le pene preso da un altro grande amore. Sensuale e raffinato, tende a spendere eccessivamente per l’estetica e in comfort. è troppo selettivo e puà diventare snob, se anche la linea di Marte è molto sviluppata la sensualità puà prendergli la mano. Sole = riunisce in sè le qualità positive di tutti i pianeti con un rischio: la vanità, la mania di grandezza che possono renderlo tutto fumo e niente arrosto. Marte = attivo e positivo, curioso, gran lavoratore, generoso, coraggioso e sempre pronto a gettarsi in qualche avventura. è il primo artefice della sua fortuna. Deve perà guardarsi dall’impazienza
e dalla collera che possono fargli perdere successo, amori e amici. Giove = leale, generoso, amabile, rispettoso delle tradizioni, degli altri, perfetto come amico, figlio, madre, moglie, marito, dipendente, superiore. Ha il punto debole nella vanità e gli adulatori possono causare la sua rovina. Saturno = concentrato, riflessivo, analitico, affidabile, razionale. Se non si apre perchè gli altri possano apprezzare le sue doti di cuore e di mente e se non impara a essere più ottimista rischia l’isolamento e questo porterebbe all’egoismo, all’ipocrisia, allo spirito vendicativo. Secondo Gerolamo Cardano, naturalmente anche eventuali segni che s’incrociano o si accavallano alle linee della fronte, hanno un loro significato ben preciso. Una croce ben visibile sulle righe, o sezioni, a esempio, indica che si possiedono tutte le migliori qualità dell’astro equivalente. Una riga leggermente interrotta, sottilissima in alcuni punti, indica che si tende a non usare appieno le qualità a essa corrispondenti. Una riga nettamente interrotta
in più punti indica che non ci sono le qualità dell’astro corrispondente ma solamente i difetti. Se una riga è attraversata da piccole linee ondulate indica che si desidera fare nuove esperienze, viaggiare. Se le ondulazioni alle estremità volgono verso il basso, il viaggio avverrà per terra o mare, se volgono verso l’alto avverrà per cielo. La forma delle righe è piacevolmente sinuosa, un pà come un serpentello? Indica che le qualità del pianeta sono più evidenti del normale. Due righe si toccano all’attaccatura dei capelli? Vuol dire che esse si annullano vicendevolmente. E per finire se le righe sono tagliate da una piccola linea verticale, è un segnale di pericolo: vuol dire che si ha qualche nemico. Viene da domandarsi, leggendo questi trattati sull’interpretazione del carattere effettuata attraverso l’analisi delle rughe e dei “segni” del tempo presenti sui volti, quanto successo possano riscuotere studi simili oggi. In tempi in cui la ricerca dell’eterna e chirurgica bellezza esteriore finisce col condizionare sempre di più stili e comportamenti che dovrebbero essere frutto di un’interiorità, ormai plagiata da uno stereotipo.
Secondo l'SBN pubblica:
Hieronymi Arconati Leorini Silesii. ... Poematum recentiorum volumen, in quo continentur Epigrammata Elegiae, et Carmina heroica. ...,
Viennae Austriae : typis Nicolai Pierij, 1591
- 4, 291 i.e. 239, 13 p. ; 8o
- Marca (La Filosofia: donna seduta con corona e nelle mani un libro e uno scettro) sul front.
- Cors. ; rom.
- Segn.: A-Q8
- Iniziali e fregi xil.
- Impronta - u*on o.is ort* PeAD (3) 1591 (A)
- Lingua di pubblicazione: latino
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Una sua antologia di liriche, qui sotto proposta, si legge in
Gruytere, Jan <1560-1627>, Delitiae poetarum Germanorum huius superiorisque aeui illustrium pars 1 - 6. collectore A. F. G. G., Francofurti : excudebat Nicolaus Hoffmannus : sumptibus Iacobi Fischeri, 1612 - 6 v. ; 16o - Le iniziali identificano probabilmente Jan Gruytere, cfr. BN Opale-plus, n. FRBNF33339206 e NUC pre-1956, v. 221, p. 60 - Marca (il Tempo a cavallo di un cervo. Tempus) sui front. - Paese di pubblicazione: DE - Lingua di pubblicazione: lat. - Localizzazioni: Biblioteca provinciale - Foggia - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma - Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
Ad Ernestum, Archiducem Austriae.
AT mea ne fuerint te tanto Principe digna,
(Nam tua quis possit te dare digna satis?)
O saltem placeat certa et devota voluntas,
Qua nihil Superis gratius esse reor.
Laus est magna, legat si magnus carmina Princeps
Maotor, si auctorem diligat atque probet.
In effigiem Hieron. Beckii.
Yulius Aristotelis non hic, non Socratis est hic:
Tantus in amborum vix fuit ore decor.
Ad Richardum Streinsum.
Sol velut auricomus radiis splendentibus antei
Siderei, longe lumina cuncta poli:
Sic proceres longe cunctos, Richarde, relinquis
A tergo, ingenii nobilitate tui:
Sic variae exsuperas doctrinae dotibus; usu
Sic magno rerum, moleque consilii.
Claruit haud aliis Nestor virtutibus ille,
Mellistuns casus fluxit ab ore sonus.
O utinam plures numeraret patria tellus,
Qui tibi conferri, magne Richarde, queant:
Prospectum melius rebus communibus esset:
Non ita lamentis omnia plena forent.
Sistedecem Aiaces huc; illuc Nestora siste
Unum: unus Nestor commoda plura dabit.
De uxore minus bona.
Quidam maritus coniugem audiens suam.
In amne vicino periisse, protinus
Erumpit, adversique currit fluminis
Ripa, queat si eam fluentem cernere.
Cur non secundo currat amnis gurgite
Rogatus; inquit: viva coniux omnia
Prapostere fecit: reor quod mortua
Faciat idem; nec defluat, sed refluat.
De Manlino.
Manlinus melius suae maritae
Lascivae cupit, et satis politae,
Ipsi quam sibi, quam suis ocellis;
Non quod sit speciosa, quod pudica.
Sed quod desidia procul remota,
Quaestu quem capit ex labore grato,
Seruet sola domum, augeat, regatque.
Lurcuni cuidam.
Largius ignavam quod prandens fundis in alunm
Illud idem pransus turpiter ore vomis.
Hoc bibulos omnes facile aequas? viceris omnes,
Cum sanie foedam quando vomes animam.
Tumulo Iulii a Salmis.
Dormit in hoc tumulo Veneris pulcherrima proles.
Perpetuum luge quisquis amore cales.
Nam tua nunc circum glacies praecordia crescer,
Flamma nec in toto corpore dulcis erit.
Fallor, obire nequit Divorum cura Cupido.
In caelos, rerra post habita rediit.
Tu tamen hunc venerare locum, ceu Numine plenum.
Sparge colorati lilia mista rosis.
Si Veneris puerum quando contingat obire.
Non alibi cineres conderet ille suos.
De literarum commoditate.
Tempora odoriferis toties velata corollis;
Et nardo toties humida facta coma:
Accensum toties non unius igne pueliae
Pectus, et Ideliae furta Iocosa Deae.
Ardor inexpletus Ceretis, Bachique; innentae
Concta quid haec prosunt? quidve decoris habent?
Paullatim intereunt: docili sed condita mente,
Auribus et fidis funus ad usque manent.
In effigiem Elisabethae Austriae.
Humanam quicumque putas hanc esse figuram,
Falleris: hos oculos, haec gerit ora Charis.
Addere si pictor potuisset caeetera; mente,
Haec eadem Pallas, stemmate luno foret.
In Radium.
Castra diu Radium tenuere Cupidinis, acer
In quibus et solers miles ubique fuit.
Vulnera saeva etiam pro cara passas amante est.
Chirurgi faciunt iurgia crebra fidem.
Nuncalus armis, alia nunc casside sumpta,
Miles Mavortis castra subire parat.
Valnera sia audia accepit tanta puellis;
Qualia armato cominus hoste feret?
Ad Fidentinum.
Fidentine meum ne tangas obsecto librum:
Insano capiti pagina nulla patet.
Si tamen hoc caruisse nequis; tu sobrius illam,
Tange; alii tangent cum caluere mero,
Amico.
Vis nobis facinus referre, cuncti
Quo risu moriamur ô amice,
Ne tantum scelus in tuos sodales
Comittas: facinus referre noli,
Ad Henricum Nickhardum.
Inter Neptunum, Vulcanum, et Pallada quondam
Suborta fertur non levis contentio;
Nimirum utilius quis opus proferret in orbem,
Et plura multo quod ministet commoda.
In medium Neptunus equum, quod idoneus ille
Arationi sit futurus, et simul
Vecturae, statuit. Pallas commonstrat ad omnes
Iniurias procul fugandas aeris
Tecta. hominem fictum Vulcanus sistit; id ipsum
Rarus fore omnium magis praestans opus.
Arbiter his Momus delectus carpere caepit,
Et hoc et illud pro sua libidine:
Ante alia humanum rependit corpus, et eius
Fabrum, fenestellas minus quod pectori
Fer quas ocultum, si quid penetralibus imis
Lateret, aspici queat, is adstrinxerit.
Scilicet haud facile est hominum cognoscere corda,
Cum saepe dicant aliud atque sentiant.
At Nickharde tibi clatris nil est opus ullis;
In ore namque cor, et in corde os habes.
De Codro.
Vulnifico Codrus me rodit dente, mihique
Se veteri iunctum iactat amicitia.
Mentitur veteris non est hoc munus amici;
Est inimicitiae res manifesta novae
Ad Davidem Ungnadum.
Pectore sollicito si quisquam nosse laboret.
Non quae sint Regum Pontificumque dapes
Sed quibus in supera consuevit Iupitet aula
Coniuge cum Diva caelitibusque frui;
Illetuis mensis, Ungnade, accumbat: Habebit
Caelum, caelicolas, nectar et ambrosiam.
De muliere morosa.
Propria quam genitrix odit cane peius et angue:
Pignora quaeque odio propria ventris habent:
Quam tolerate nequit, tolerans licet, ipse matitus:
Haecbona sit? bona, si sit bona Tisyphonae?
Medicus et Poeta.
Quis melior, medicus vel vates? gratus uterque
Est clario, hic succis, cantibus ille, Deo.
Corpora restituit medicus languentia; vitam
Saepe etiam ad multos protrahit usque dies.
Atvates curans animi vitia insita, dignum
Laude vitum nullo tempore obire sinit.
Vivida quantum igitur fragili mens corpore praestat,
Est tantum medico quisque poeta prior.
Hoc tamen excepto; medicus quod praemia sumat
Magna; miser vates nil nisi verba ferat.
Magnificentia.
Est hominis magni, posse, et non velle nocerer
Maior at ille, inopem qui fovet atque iuvat.
Ad Iacobum Maripetrum venetum.
Ille suum Cicero non tanta laude poetam
Ornavit. quanta, tu Maripetre tuum.
Sum tuns aeternum, si der mihi vivere Clotho:
Sirapiat vitam sum tuus usque tamen.
At quia Pierias non norunt tempora frondes
Nostra, nec Aonio Flumine labra madent;
Ingenio quia destituor, melaudibus istis
Non ornas potius, sed Maripetre, oneras.
Modus se nosse.
Laurea serta alius Parnaso quaerat in alto,
Et rapiat frondes ex Helicone sacras:
Ardua me tentate vetat, mediumque tenere
Phoebeiiuvenis sors meruenda indet.
Ah summa est virtus, post Numina dia, seipsum
Noscere, metiti seque suo modulo.
Biboni.
Horas me male collocare dicis,
Cum Phoebi citharam fidesque tracto:
Attu quid facis? amphoras Bacchi
Cum noctem in mediam trahis bibendo?
Etvinum male collocas, et horas.
Ad Waikardum Comitem Salmium.
Pulcer in irriguo ceu surgit flosculus horto,
Et metuit nullas sole favente minas:
Sic Waikarde, tibi surgunt iucunda iuventae
Tempeta; sic pingit purpura rubra genas.
At sortis Mortisque metu quo liber haberi
Et decus aeternum commeruisse queas;
Utere, sicut agis, studio virtutis; in orbe,
Er virtute nihil sirmius esse puta.
Hugoni Blotio.
Ex te quod nullam sobolem tua suscipit uxor;
Errat, desidiae qui putat esse tuae.
Quin ego te nimium solertem iudico, Bloti:
Alternis vicibus destruis atque struis.
Maximiliano Archiduci Austria.
Prandentem quoties te maiestate serena
Coenantemve oculis aspicio timidis:
Inclite vis dicam Princeps, quaetunc mihi sit mens?
Hospitem in aetherea me reor esse domo.
Ambrosiam reor esse dapes, tua pocula nectar:
Te, quamvis Iuno nulla sit, esse Iovem.
In poetam Vagabundum.
Doctus es in genio praestans, et multa diserte
Scribis; sed vitam turpiter exul agis.
Non aliter vili splender circumdata plumbo,
Gemma, merumque bonum foeda lagena fovet.
In maledicum.
Omnia quod rodis, quod mordes dente canino,
Quis te non rabidum dixerit esse canem?
Sed quia nulla facis cum sanguine vulnera, non es
Re canis; ignavus nomine sed cynicus.
Ad Davidem Ungnadum.
Res belli tractas, pacis non negligis artes:
Hinc tibi Mars, illinc ornat Apollo caput.
Fronti nulla fides.
Cernis ut haec gemmas imitentur poma rubentes;
Turpiculos, vermes attamen intus alant?
Sic hominum formaenon tutum est fidere: vultu
Sub roseo tabes lunida saepe latet.
Paupertas.
Res bona paupertas: Domnum cum cetera mutent,
Perraro dominum deserit illa suum.
Medicus.
Non male cum medico confertur Spongia: lympham
Dum bibit hac, aurum dum capit ille, iuvant.
Pictori.
Uxorem ducis: duplicas tibi, Adame, laboren:
Pingere namque die; fingere nocte potes.
Tria insatiabilia.
Omnia cum possint expleri; tempore nullo,
Expleri possunt, femina, flamma, fretum.
In Amorem marmoreum.
Dormit Amor: caveas illi interrumpere somnum;
Confodiat iaculis ne tua corda suis.
De libellis suis lectori.
Si quid in his chartis occurrat mollius, aures
Radere quodve tuas, lector amice, queat;
Da veniam: haud alti mores sunt temporis huius.
O te felicem qui levitate cares!
Ut sine labe tamen nostros percurrete lusus,
Possis, virgineus nec rubor ora notet;
Prudentes imiteris apes, quae dulcia maris
Ex herbis etiam fingete mella student.
Vel si non potes hos; ne saltem, sicut Arachne,
Suavibus e violis dira venena trahas.
Ut cuique est animus, sic prodest carmen obestve:
Aspergi maculis mens generosa nequit.
Ad Castricum.
Quid te magnanimum, quid iactas, Castrice, fortem?
Quid capiti ostendas vulnera facta tuo?
Arguit ignavum et vilem numerosa cicatrix:
vulnera qui infligit fortiter ille facit.
Zoilo.
Non opus est nostros ut rodas, Zoile, versus;
Ipse ego quos toties rodo, vocoque malos;
Quos toties nihil esse puto. seruire palato
Si vis, nerodas, Zoile, rosa prius.
De rosis autumnalibus.
Cur rosa multa meo passim nascatur in horto,
Et circum surgat gramen ubique novum;
Caussa subest. facit hoc curarum maximus aestus,
Pectore qui nostro nocte dieque funt.
Et facit hoc ingens lacrimarum flumen, ocellis
De nostris, nullo sine quod usque ruit.
Haec commista duo in solitos producere flores
Possint: ah possent vota replere ema!
In Thrasonem.
Miraris magnumque putas tot bella, tot inter
Convertas acies te cecidisse minus
.
Esse aliquid concedo; nihil sed miror: inepra
Nam belli arrider victima nulla Deo.
Militisille boni nomen laudemque tuetur,
Fortiter adversi qui cadit ense viri.
In obitum Mich. Teufelii.
Et te virtutemque tuam mors aemula nobis
Invidet: ah nimis, ah hinc properanter abis.
Clade tua Princeps luget pius, indolet aula,
Et multi lacrimas haud cohibere queunt.
Ingeminant Musae suspiria tristia; quarum
Patronus toto tempore fidus eras.
Etipuit festina quidem Clotho tibi vitam;
Sed meriti famam saecula nulla adiment.
Insulso cuidam.
A sale nomen habes; defendis sed male nomen:
Nil magis insulsum te tua terra tulit.
In obitum Filii.
Cum lux prima tibi fulgeret, nate, per hortos
Crescebat nostros copia larga rosae.
Nunc cum tenigras rapiant mala fata sub umbras.
Atque extrema dre; occidat ista tibi;
Pungentes spinae circum praecordia crescunt,
Ferales tribuli confordiuntque iecur.
Ille velut florum intempestivus fuit ortus:
Heu mihi, natalis sic quoque nate tuus.
Eiusdem Epitaphium.
Floribus hunc tumulum ne spargas hospes in illo
Nam nulli cineres, nulla nec ossa iacent.
Omnia quod rapiat, querimur mors impia: sed non
Est ita; Franciscum non potuit rapere.
Angleus Angelico caetu portatus ad astra,
Ignorat mortis vim. tumulique situm.
Tullii commendatio.
Ut tibi Romani veniat vindemia mellis;
Non alias foveas, quam Ciceronis apes.
Nelle biblioteche italiane stando al SBN si trovano poi:
Crasso, Nicolo,
Nicolai Crassi iunioris Elogia patritiorum Venetorum, belli, pacisque artibus illustrium,
Venetiis : apud Euangelistam Deuchinum, 1612
- 107, 5 p. ; 4
- S. Piantanida, L. Diotallevi, G. Livraghi, Autori italiani del '600 n. 1025; British Library, Catalogue of seventeenth century Italian books, v. 1 p. 271; NUC pre-1956 v. 126 p. 495
- Le ultime 4 p. sono bianche
- Fregi, iniziali orn. e fig. e finalini
- Segn.: A-O4
- Marca sul front.
- Impronta - a,n- r.am i*el niri (3) 1612 (R)
- Localizzazioni: Biblioteca civica Giovanni Canna - Casale Monferrato - AL
- Biblioteca Ludovico Jacobilli del Seminario vescovile - Foligno - PG
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
- Biblioteca Querini Stampalia - Venezia
Crasso, Nicolo,
Nicolai Crassi iunioris, Veneti ... Antiparaenesis ad Caesarem Baronium cardinalem pro seren. Veneta republica, Patauii : apud Robertum Meiettum, 1606
- 80 p. : ill. ; 4o
- British Library, Catalogue of seventeenth century Italian books, I, p. 271
Segn.: A-K4
- Vignetta sul front. (Donna con sole e clessidra: Laborare, non vinci solet)
- Impronta - m-o- uiin ami- aveu (3) 1606 (R)
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca della Fondazione Luigi Firpo. Centro di studi sul pensiero politico - Torino
Crasso, Nicolo,
Pisaura gens a Nicolao Crasso philosophiae, et iuris vtriusque consulto conscripta,
Venetiis : apud haeredes Combi, 1652
- 136 p. ; 4o.
- Marca calcogr. (La Minerva) di Celta sul front.
- Segn.: A-R4.
- Impronta - r-De x-r, usu- Else (3) 1652 (R)
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca del Seminario vescovile - Acqui Terme - AL
Crasso, Nicolo,
Elpidio consolato fauola marittima di Publio Licinio all'ill.mo sig. Francesco Viaro ..
(In Venetia : presso Angelo Saluadori libraro a San Moise, 1623)
- [12], 139, [3] p. ; 12o.
- Front. calcogr.
- Licinio Publio è pseudonimo di Nicolo Crasso, cfr.: Michel & Michel., Rep. 17.s., conserves dans France, vol. 2, p. 143
- Marca (Colomba. Salvia salvat) in fine
- Segn.: A-F12G6
- Impronta - ile- tei, o,a. SiDo (3) 1623 (R)
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale Braidense - Milano
- Biblioteca Palatina - Parma -
Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca centrale della Facoltà di lettere e filosofia dell'Università degli studi di Torino
- Biblioteca nazionale Marciana - Venezia
Contarini, Gasparo,
Della Republica, e magistrati di Venetia. Libri cinque di Gasparo Contarini... Con vn Ragionamento intorno alla medesima di Donato Giannotti fiorentino, colle Annotationi sopra i due suddetti autori di Nicolo Crasso, et i Discorsi de' gouerni ciuili di Sebastiano Erizzo, e 15 discorsi di Bartolomeo Caualcanti. Aggiontoui vn Discorso dell'eccellenza delle republiche
, Venetia : per Nicolo Pezzana, 1678
- 552, 240 p. ; 16 (16 cm)
- Aut.dell'ult.disc.: Aldo Manuzio
- Front. xil. agg.
- Marca al front. tip.: Giglio
- Rom.; cors.
- Segn.: A-Z12, Aa-Kk12
- Impr.: alhe o-ta e,a, mime (7) 1678 (R)
- Localizzazioni: Servizi bibliotecari ed informatici dell'Università Ca ' Foscari di Venezia
Contarini, Gasparo,
Della republica, e magistrati di Venetia. Libri cinque di Gasparo Contarini, che fu poi cardinale. Con vn Ragionamento intorno alla medesima di Donato Giannotti fiorentino, colle Annotationi sopra i due suddetti autori di Nicolo Crasso, et i Discorsi de' gouerni ciuili di Sebastiano Erizzo, e 15 Discorsi di Bartolomeo Caualcanti. Aggiontoui vn Discorso dell'eccellenza delle republiche
, Venetia : per Nicolo Pezzana, 1678
- 552, 240 p., 7 c. di tav. : ill. e antip. calcogr. ; 12o
- Tit. dell'antip.: Republica di Venetia del cardinal Contarini, Gianotti, et altri autori
- Marca non controllata (Giglio) sul front.
- Rom., cors.
- Iniz.orn.
- Segn.: A-2K\1"
- La c. P4 segn. P6, T5 segn. T3
- A c. P0r: Annotationi di Nicolo Crasso sopra i libri della Republica Venetiana di Donato Giannotti fiorentino, e di Gasparo Contarini cardinale. Tradotte da Giouanni de' Piccioli cenedese..
- Impronta - alhe o-ta e,a, mime (7) 1678 (R)
- Localizzazioni: Biblioteca civica - Biella -.
- Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano
- Biblioteca delle facoltà di Giurisprudenza e Lettere e filosofia dell'Università degli studi di Milano
Biblioteca Palatina - Parma
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma -
- Biblioteca della Fondazione Luigi Firpo. Centro di studi sul pensiero politico - Torino
- Biblioteca civica Attilio Hortis - Trieste
- Servizi bibliotecari ed informatici dell'Università Ca ' Foscari di Venezia
Giannotti, Donato <1492-1573>,
Donati Iannotii Florentini Dialogi de repub. Venetorum. Cum notis et lib. singulari de forma eiusdem reipublicae...,
Lugd. Batau. : ex officina Elzeviriana, 1631
- 4, 506, 18 p., 6 c. di tav. ripieg. : ill. ; 24o
- Seconda ed. elzeviriana dell'anno 1631: cfr. Willems, Les Elzevier, p. 90, n. 353
- Pubblicato da Bonaventura e Abraham Elsevier
- Front. inciso con simbolo di Venezia
- Marca tipogr. sul front. a p. 289
- Segn.: *o A-2B8 2C8(2C2+ch1,2C3+ch1,5) 2D-2I8 2K6
- A p. 289, con front. proprio: In Donatum Iannotium et Casparem Contarenum cardinalem, de republica Veneta, notae ..., a cura di Niccolo Crasso, il cui nome figura nella dedica, a c. T2r
- Impronta - *.ma o,ue eti- omni (3) 1631 (R)
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale - Firenze
- Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano
- Biblioteca Estense Universitaria - Modena - MO - 1 es.
- Biblioteca Palatina - Parma
- Biblioteca dell'Istituto di storia del diritto italiano della Facoltà di giurisprudenza dell'Università degli studi di Roma La Sapienza - Roma
- Biblioteca Reale - Torino
- Biblioteca nazionale universitaria - Torino
- Biblioteca della Fondazione Luigi Firpo. Centro di studi sul pensiero politico - Torino
- Biblioteca civica Attilio Hortis - Trieste
Giannotti, Donato <1492-1573>,
Donati Iannotii Florentini Dialogi de repub. Venetorum. Cum notis et lib. singulari de forma eiusdem reipublicae...,
Lugd. Batau. : ex officina Elzeviriana, 1631
- 4, 467, 9 p., 4 c. di tav. : ill. ; 24o
- Prima di 2 ed. del 1631: cfr. Willems, Les Elzevier, p. 90, n. 353
- Pubblicato da Bonaventura e Abraham Elzevier
- Front. inciso da Cornelis Claesz. Duysend con simbolo di Venezia
- Marca tipogr. sul front. a p. 267
- Segn.: (...)" A-2F82G6
- A p. 267 con front. proprio: In Donatum Iannotium et Casparem Contarenum notae ..., a cura di Nicolo Crasso, il cui nome figura a c. R7r
- Impronta - 8.i- doo- ese- midi (3) 1631 (R)
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale - Firenze
- Biblioteca statale del Monumento nazionale di Montecassino - Cassino - FR
- Biblioteca delle facoltà di Giurisprudenza e Lettere e filosofia dell'Università degli studi di Milano
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca Reale - Torino
- Biblioteca civica De Gregoriana - Crescentino - VC
- Biblioteca d'arte del Museo civico Correr - Venezia
- Biblioteca civica Bertoliana - Vicenza
Sarpi, Paolo <1552-1623>,
De iurisdictione serenissimae reipublicae Venetae in mare Adriaticum epistola Francisci de Ingenuis, Germani, ad Liberium Vincentium, Hollandum, adversus Ioh. Baptistam Valenzolam, Hispanum, et Laurentium Motinum, Romanum, qui jurisdictionem illam non pridem impugnare ausi sunt
, Eleutheropoli [i.e. Venezia], 1619
- 8 c. ; 4o
- Di Paolo Sarpi: cfr. Parenti, Dizionario dei luoghi di stampa falsi, inventati o supposti, p. 78
- Tradotto in latino da Nicolo Crasso
- Pubblicato a Venezia
- Segn.: A-B4
- La c. A4v è bianca
- Impronta - m&i- e,o- n-*& i-r. (C) 1619 (R)
Localizzazioni: Biblioteca della Fondazione Luigi Firpo. Centro di studi sul pensiero politico - Torino
Loredano, Giovanni Francesco <1607-1661>,
L' Adamo di Gio. Francesco Loredano. Nobile veneto,
In Venetia et di nuouo in Macerata : appresso Agostino Grisei, 1652
- [12], 180 p. ; 12o
- Marca sul front.: leone e motto: Nullius occursu
- Dedica firmata da Nicolo Crasso
- Segn.: +12 A-G12
- Impronta - e-Se o-to toti NiGa (3) 1652 (R)
Localizzazioni: Accademia Georgica - Treia - MC
Crasso, Nicolo,
Nescimus quid vesper serus vehat satyra Menippaea LiberI VincentI Hollandi
, 1620
- 46, [2] p. ; 4.
- Dedica di Liberius Vincentius Hollandus a Franciscus de Ingenuis (pseud. di Paolo Sarpi); cfr. Melzi, v. 2 p. 126)
Liberius Vincentius Hollandus è pseud. di Nicolo Crasso; cfr. G. Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime, Milano 1848-1859, v. 2 p. 126
- Segn.: A-F4.
- Stampato probabilmente ad Amsterdam; cfr. BM (Compact ed.) v. 26 p. 230 col. 254
- Impronta - uet. etos r-t* inId (3) 1620 (R)
- Localizzazioni: Biblioteca del Seminario maggiore - Padova
- Biblioteca nazionale Marciana - Venezia
Contarini, Gasparo,
Della Republica, et magistrati di Venetia. Libri cinque di M. Gasparo Contarini, che fu poi cardinale. Con vn ragionamento intorno alla medesima di M. Donato Gianotti fiorentino. Colle annotazioni sopra li due sudetti auttori\| di Nicolo Crasso, et i Discorsi de' gouerni ciuili di M. Sebastiano Erizzo, & 15 Discorsi di M. Bartolomeo Caualcanti, aggiuntoui vn Discorso dell'Eccellenza delle Republiche. All'Illustriss. & Eccellentis. Sig. il Sig. Giovanni di Zamoscia Zamoiski, ..,
In Venetia : per Francesco Storti, 1650
- 551, 1, 238, 2 p., 7 c. di tav. ripieg. : antip. calcogr. ; 12o
- Cfr.: Catalogue of seventeenth century italian books in the British library, v. 1, p. 255
- Marca (donna seduta su leone) sul front.
- Nel titolo il numero 15 è espresso: XV
- Segn.: A-Z12, A-K12
- Tit. dell'antip. calcogr.: Republica di Venetia del cardinal Contarini Gianotti, et altri autori
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale - Firenze
- Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca centrale d'ateneo dell'Istituto universitario di architettura di Venezia
Morosini, Andrea <1558-1618>,
5: Tomo quinto, che comprende i sei primi libri dell'Istorie veneziane latinamente scritte dal senatore Andrea Morosini. Aggiuntavi la vita dell'autore, e un indice copiosissimo,
In Venezia : appresso il Lovisa, 1719
- LX, 6, 638 p. : ritr. ; 4o
- Marca al front.
- Rom., cors., gr.
- Iniz.orn., fregi
- Segn.: a4, b-f4, g6, A-2R8, 2S8
- A c. a 3 r: Andreae Mauroceni, Veneti senatoris praestantissimi, vita, a
Crasso, Nicolo,
Andreae Mauroceni Veneti senatoris praestantiss. vita a Nicolao Crasso conscripta ...
Venetijs : apud Euangelistam Deuchinum, 1621
- 90, [2] p. ; fol.
- Cfr. British Library, Catalogue of seventeenth century Italian books, I, p. 271
- Marca tipogr. (simile a V337) sul front
- Segn.: A-K4 L6
- La c. L 6v e' bianca
- Impronta - e-s, a.s* o,l- Mare (3) 1621 (A)
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale - Firenze
- Biblioteca della Fondazione Luigi Firpo. Centro di studi sul pensiero politico - Torino
Loredano, Giovanni Francesco <1607-1661>,
L' Adamo di Gio. Francesco Loredano. Nobile veneto,
In Venetia : appresso li Guerigli, 1650
- 92, 4 p. : antip. calcogr. ; 12o
- Antip. incisa da Giovanni Georgi
- Dedica firmata da Nicolo Crasso
- Segn.: A-D\1"
- Bianche le ultime 2 c.
- Impronta - o-Ha a-l- ilne depe (7) 1650 (R)
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Aggiunti, Niccolo <1600-1635>,
Nicolai Adiunctii Bugensis Oratio de mathematicae laudibus habita in florentissima Pisarum academia ... ad serenissimum Ferdinandum 2. magnum Etruriae ducem 5,
Romae : ex typographia Iacobi Mascardi, 1627
- 34, 2 p. ; 4
- Segn.: A-C4D6
- Bianca l'ultima c.? - Stemma del dedicatario sul front
- Impronta - emi- t,o- n-as tiha (3) 1627 (R)
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: lat.
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Secondo il SBN nelle biblioteche italiane si trovano:
Augustinus, Aurelius
Scardeone, Bernardino, Naue euangelica esposta per la religione dal reuerendo sacerdote Bernardino Scardeone padouano, In Vinegia: Valvassori, Giovanni Andrea
Augustinus, Aurelius
Scardeone, Bernardino, Bernardini Scardeonii, canonici Patauini, De antiquitate vrbis Patauii, & claris ciuibus Patauinis, libri tres, in quindecim classes distincti. Eiusdem appendix De sepulchris insignibus exterorum Patauii iacentium, Basileae: Episcopius, Nikolaus <2.>, 1560
Scardeone, Bernardino, Bernardini Scardaeonii Patauini presbyteri De castitate libri septem. De sacris Virginibus. Liber primus. ..., Venetiis: Arrivabene, Andrea Farri, Giovanni & fratelli, 1542
Di lui, secondo l'SBN, si trovano nelle biblioteche italiane:
Jonin, Gilbert, Gilbertou Ioninou ... Ethike mytologia monobiblos. Alphabetha gnomika monobiblos. Gilberti Ionini ... Moralis mythologia, liber singularis. Alphabeta gnomica, liber singularis. Alphabeta gnomica, liber singularis, Lugduni: Du Four, Claude, 1637
Jonin, Gilbert, Gilberti Ionini ... Ethica poesis. Quidquid praecipies, esto breuis: ut cito dicta percipiant animi dociles, teneantque fideles. Horat. in Arte, Lugduni: Du Four, Claude, 1637
Jonin, Gilbert, Augusto regi Sigismundo 3. vigor Poloni Martis: victoriam de Othomannica tirannide canoras inter Musas gratulator, dum Ioannes Nicolaus Smogulecki philosophiam publice propugnat in Coll.o Rom.o Soc.is Iesu, Romae: Corbelletti, Francesco
Jonin, Gilbert, Gilberti Ionini Aruerni e Societate Iesu Odarum libri 4. & Epodon 1. ad illustriss. et reuer. dominum, D. Petrum de Fenouillet, .., Lugduni: Prost, Jacques & Prost, Andre & Prost, Matthieu, 1630
Jonin, Gilbert, Lyrica Gilberti Ionini Arueri e Societate Iesu. Siue Odarum libri 4. &Epodon 1. .., Coloniae Agrippinae: Wolter, Bernhard <1598-1635>
Jonin, Gilbert, Gilberti Ionini Poematum libri 2. Ad illustrissimum & generosissimum dominum, D. Iustum Ludouicum a Turnone, .., Lugduni: DuFour, Claude, 1637
Leoni, Ambrogio
Leoni, Ambrogio
Leoni, Ambrogio
Leoni, Ambrogio
Leoni, Ambrogio
Borgo, Pietro Battista
Senckenberg, Heinrich Christian von <1704-1768>,
Imperii Germanici Ius ac Possessio in Genua Ligustica eiusque ditionibus a primis originibus usque huc repetita ac vindicata fide monimentorum tum impressorum ... coronidis vice iunximus 1) Petri Baptistae Burgi de Dominio reipublicae Genuensis in Mari liguistico ..., 2)Anonymi Dissertationem de rescindendo contractu Finariensi ... 3) Andreae de Andreis ejusdem argumenti libellum
Hanoverae : Apud Nicolai Forsteri & filii haeredes, 1751
- XIV, [6], 870, [26] p., [3] c. di tav. ; 4o
- Antiporta calcogr. incisa da J. C. Sysang
- Iniziali, testatine e fregi xilogr. - Segn.: )(-)()(4 p4 A-5V4
- Impronta - abo- e-i- r.o- do(o (3) 1751 (R)
- Paese di pubblicazione: DE
- Lingua di pubblicazione: lat.
- Localizzazioni: Biblioteca del Dipartimento di scienze giuridiche Antonio Cicu dell'Università degli studi di Bologna
- Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano
- Biblioteca Reale - Torino
- Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino
Borgo, Pietro Battista
Borgo, Pietro Battista
Borgo, Pietro Battista
Borgo, Pietro Battista
Borgo, Pietro Battista
Borgo, Pietro Battista
Borgo, Pietro Battista
P. Terentij Afri Comoediae commentario illustratae, a M. Iohanne Weitzio .., Lipsiae : sumtibus Jacobi Apelii Bibl., 1610 [14], 854, [59] p. ; 8°
Nelle altre biblioteche italiane stando al SBN si sono individuate le opere:
Valerius Flaccus, Gaius, C. Valerii Flacci Setini Balbi Argonauticon libri octo, cum notis integris Ludovici Carrionis, Laurentii Balbi Liliensis, Justi Zinzerlingi, Christophori Bulaei, Gerardi Vossii et Nicolai Heinsii, et selectis Aegidii Maserii, Joannis Baptistae Pii, Joannis Weitzii, et aliorum, curante Petro Burmanno, qui & suas adnotationes adjecit, Leidae: Luchtmans, Samuel <1. ; 1709-1755>, 1724
Endelechius Severus
Weitz, Johann <1576-1642>, Oratio de contemnendis sycophantarum arrosionibus; quam ... sub decanatu philosophico ... Hieremiae Setseri publice recitauit Iohannes VVeitzius Hohenkirchensis Tyrigeta, Ienae: Steinmann, Tobias, 1599
Hilarius : Pictaviensis
Weitz, Johann <1576-1642>, M. Johannis Weitzii Feriae cereales tempore messis anno 1632 in Schola Gothana transactae, Schleusingae: Mohr, Johannes VictorinusMarckart, Thomas, 1636
Salvianus : Massiliensis, S. Presbyterorum Salviani massiliensis opera : cum libro commentario Conradi Rittershusii ac notis integris Johannis Weitzii, Tobiae Adami, Theodori Sitzmanni, Iohannis Alexandri Brassicani, Stephani Baluzii et Vincentii lirinensis commonitorium ab eodem Baluzio Tutulensi ad fidem veterum codicum mss. emendatum & illustratum, premissa dissertatione G. Calixti in Vincent. Lir. ..., Breamae, 1688
Pochi gli studi su di lui e tutti danesi:
1887 - C.F. Bricka: Dansk Biografisk Lexikon. Bind 1-19. Gyldendal, 1887-1905 : Rørdam
1920 - Dansk Biografisk Håndleksikon, 1920-1926
1924 - Ehrencron-Müller: Forfatterlexikon omfattende Danmark, Norge og Island indtil 1814. Bd 1-12, 1924-39 : bind 1, side 133-136
1933 - Dansk Biografisk Leksikon. 2. udgave, 1933-1944
1953 - Afsnit i bøger om forfatteren eller forfatterskabet: Danske metrikere. Bind 1, side 327ff
1974 - Gyldendals litteraturleksikon. Bind 1-4, 1974
1979 - Dansk Biografisk Leksikon. 3. udgave, 1979-84 : bind 1, H.A. Hens
2001 - Dansk forfatterleksikon. Biografier. Redigeret af John Chr. Jørgensen. Rosinante, 2001
Stando al SBN di lui in Italia nelle biblioteche si trovano solo due opere:
Canutius, Bertilius,
Gnomae et similitudines non omnes sed maxime insignes quae in epist. Canutii inspersae. Collectore C. Vevaero P,
Rostochii : curante Jo. Hallervordio, 1623
- Bianca l'ultima c
- Impronta - usi- iai: t.a- acsu (3) 1623 (R)
- Paese di pubblicazione: DE
- Lingua di pubblicazione: lat
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Canutius, Bertilius,
Bertili Canuti Epistolarum selectarum centuriae quinq. Quae Lipsianum aliquid habent infusum & ad morem ac modum novae illius Musae. ... Similitudinum item Atticarum, libri duo & commentariolis quibusdam, sive notae sunt, in Marcum & Matthaeum selecti,
Rostochii : literis Mauritii Saxonis : impensis Johan. Hallervord. bibl., 1623
- 16, 899, i.e.898, 6 p. ; 8o
- Segn.: A-3L83M4
- Omessa nellla numerazione la p. 131
- Impronta - utmq peon I.IS feno (3) 1623 (A)
- Paese di pubblicazione: DE
- Lingua di pubblicazione: lat.
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Alla British Library si trovano le opere:
CANUTIUS, Bartolus,
Ad poeticam danicam deductio. 1641. [With a facsimile.] Lat. & Dan.
CANUTIUS, Bartolus,
B. Canutii Juvenilium reliquiae, et properata laborum interludia. MS. note [scrittura autografa].
M. Saxo: Rostochii, 1615, pp. 293,
8º.
CANUTIUS, Bartolus,
Bertili Canuti Epistolarum centuria auspicalis in qua aeternas lacrimas sacris suae cineribus reliquit...,
Ex officina^ typographica^ G. Kelneri: Witebergae, 1617, pp. 208, 8º.
Nelle biblioteche scandinave trovasi:
CANUTIUS, Bartolus, Epicon in s. memoriam ... D. Annae-Catharinae R. Daniae, Norveg. Vendorum, Gothorum?´, &c.., In : Resen (H.) the Elder, Bishop of Zealand. Anna-Catharina, etc. [1612.] 8º.
Aqvilonius, Bertel Knudsen, Bertili Canuti Epistolarum centuria auspicalis, 1617.
Aqvilonius, Bertel Knudsen, Similitudinum Atticarum libri septem. : A variis scriptis... selecti... Cornel. Aqvil. in mundum emittente..., 1639
Aquilonius, Bertel Knudsen, Declamatio Polemica De Secundis Auspiciis Danicae in Sveciam Expeditionis, Copenhagen,1611.
Aquilonius, Bertel Knudsen, Q. Horatii Manes, Copenhagen, 1615.
Aquilonius, Bertel Knudsen, Ad Poeticam Danicam Deductio, Copenhagen, 1631.
Aquilonius, Bertel Knudsen, "De Altitudine Danica Panegyricus." "De Danicae Linguae cum Graeca mistione". In Interludia Et Diatribae, Copenhagen, 1641
Secondo l'SBN si segnalano in Italia:
Mandeville, John
In Francia, Parigi, Bibliotheque nazionale: - Catalogue des manuscrits des fonds Libri et Barrois. Paris, 1888. 8vo. cf. pp. 251-253: leggesi
Hic Jacet Vir Nobilis, D. Ioannes De Mandeville, Aliter Dictus Ad Barbam, Miles, Dominus De Campdi, Natus De Anglia, Medicinae Professor, Deuotissimus, Orator, & Bonorum Largissimus Pauperibus Erogator Qui Toto Quasi Orbe Lustrato, Leodij Diem Vitae Suae Clausit Extremum.
Anno Dom.
1371, Mensis Nouembris, die 17.
L'opera dell'enigmatico autore è caratterizzata dai seguenti capitoli:
Capvt. 1 Commendatio breuis terrae Hierosolymltanae.
2 Iter ab Anglia tam per terras quàm per aquas, vsque in Constantinopolim.
3 De vrbe Constantinopoli, et reliquijs ibidem contentis.
4 Via tam per terras quàm per aquas, à Constantinopoli vsque Acharon, vel Acon.
5 Via à Francia et Flandria, per solas terras vsque in Hierusalem.
6 Via de Cypro vel de Hierusalem, vsque in Babyloniam Egypti.
7 De Pallatio Soldani, et nominibus praeteritorum Soldanorum.
8 De Campo Balsami in Egypto.
9 De Nilo fluuio, et Egypti territorio.
10 De conductu Soldani.
11 De Monasterio Sinay.
12 Iter per desertum Sinay, vsque in Iudeam.
13 De ciuitate Bethleem, et semita, vsque in Ierusalem.
14 De Ecclesia gloriosi sepulchri Domini in vrbe Ierusalem.
15 De tribus alijs Ecclesiis, et specialiter de Templo Domini.
16 De pluribus locis sacris extra vrbem.
17 De sacris locis extra muros ciuitatis.
18 De alijs locis notabilibus.
19 De Nazareth et Samaria.
20 De Territorio Galileae et Samariae.
21 De secta detestabili Sarracenorum.
22 De vita Mahometi.
23 De colloquio Authoris cum Soldano.
24 Persuasio ad non credentes terrarum diuersitates per orbem terrae.
25 De Armenia, et Persia.
26 De Ethiopia et diamantibus, ac de infima et media India.
27 De foresto piperis.
28 De Ecclesia beati Thomae Apostoli.
29 De quibusdam meridionalibus insulis, et farina et melle.
30 De Regno Cynocephalorum, et alijs Insulis.
31 De multis alijs insulis Meridionalibus.
32 De bona regione Mangi.
33 De Pygmeis, et itinere vsque prouinciam Cathay.
34 De pallacio Imperatoris magni Chan.
35 De quatuor solemnitatibus, quas magnus Chan celebrat in Anno.
36 De praestigijs in festo, et de comitatu Imperatoris.
37 Qua de causa dicitur magnus Chan.
38 De territorio Cathay, et moribus Tartarorum.
39 De sepultura Imperatoris magni Chan, et de creatione successoris.
40 De multis regionibus Imperio Tartariae subiectis.
41 De magnificentia Imperatoris Indiae.
42 De frequentia Palatij, et comitatu Imperatoris praesbiteri Ioannis.
43 De quisbusdam miris per Regiones Imperij Indiae.
44 De loco et dispositione Vallis infaustae.
45 De quibusdam alijs admirandis, per Indorum insulas.
46 De periculis et tormentis in valle infausta.
47 De Bragmannorum insulis, et aliorum.
48 Aliquíd de loco Paradisi terrestris per auditum.
49 In reuertendo de Regnis Cassam, et Riboth, de Diuite Epulone, vel consimili.
50 De compositione huius tractatus in Ciuitate Leodiensi.
Liber Praesens, Cvivs Avthor est Ioannes Mandevil militaris ordinis, agit de diuersis patrijs, Regionibus, Prouincijs, et insulis, Turcia, Armenia maiore et minore, aegypto, Lybia bassa et alta, Syria, Arabia, Persia, Chaldaea, Tartaria, India, et de infinitis insulis, Ciuitatibus, villis, castris, et locis, quae gentes, legum, morum, ac rituum inhabitant diuersorum.
.
La Circoncisione ebraica consiste nell'ablazione del prepuzio, ed è interpretata dalla religione ebraica come segno del patto fra Dio e il popolo ebraico; essa è considerata da molti rabbini il principale comandamento dato da Dio agli ebrei: non è pertanto un rito di iniziazione paragonabile al battesimo cristiano, in quanto l'essere ebreo non dipende dalla Circoncisione, ma dall'essere nato da madre ebrea. Secondo la Bibbia la Circoncisione fu istituita da Dio stesso quando comandò ad Abramo di circoncidere ogni maschio di Israele (Gen. 17, 9-14). Alle origini non fu pertanto rito distintivo degli ebrei. La teologia della Circoncisione si sviluppò probabilmente durante l'esilio babilonese, quando, in mezzo a gente che non praticava la Circoncisione, questa poté divenire segno distintivo e di appartenenza al popolo eletto.