CREDITI 7

Cesare Ripa autore d’una fortunata Iconologia o Descrizione di diverse imagini cavate dall’antichità e di propria invenzione (Gigliotti, Roma 1593), oera peraltro molto spesso citata da Aprosio, descri e sia l'INGANNO, cui attribuisce caratteristiche maschili, e la BUGIA cui conferisce invece connotati femminili:
INGANNO. Huomo, vestito di giallo, nella mano destra tenga molti hami, & nella sinistra un mazzo di fiori, dal quale esca un Serpe. Si dipinge con gli hami in mano, come quelli, che coperto dall'esca pungono, & tirano pungendo la preda, come l'ingannatore tirando gli animi semplici dove ei desidera li fà incautamente precipitare. Il mazzo di fiori co'l Serpe in mezzo significa l'odor finto della bontà, donde esce il veleno vero de gli effetti nocivi. BVGIA. Donna, involta, & ricoperta nell'habito suo quanto sia possibile, il vestimento da una parte sarà bianco, & dall'altra nero. Terrà in capo una Gaza, & in mano una sepia pesce. La parte del vestimento del color bianco mostra, che gli huomini bugiardi primieramente dicono qualche verità per nascondervi sotto la bugia. L'altra parte di dietro del vestimento nero si confà in quella sentenza di Trifone Grammatico Greco, la quale diceva, che le bugie hanno la coda nera, & per questa medesima ragione à questa imagine si pone in capo la Gaza, che è di color vario, & la Sepia, la quale, secondo, che racconta il Pierio Valeriano nel libro 28., quando si sente presa manda fuori della coda un certo humore nero, nel quale si nasconde, stimando con tale inganno fuggire dal pescatore. Così il bugiardo oscura se stesso con la fintione delle bugie, & non viene mai à luce di buona fama. BVGIA. Donna, giovane, brutta, ma artificiosamente vestita di color cangiante, dipinto tutto di mascare di più sorti, & di molte lingue. Sarà zoppa, cioè con una gamba di legno, tenendo nella sinistra mano un fascetto di paglia accesa. Santo Agostino dipinge la Bugia dicendo, che è falsa significatione della voce di coloro, che con mala intentione niegano, overo affermano una cosa falsa. Et però si rappresenta in una donna giovine, ma brutta, essendo vitio servile, & fuggito sommamente nelle conversationi de' nobili, in modo, che è venuto in uso hoggidì, che attestandosi la sua nobiltà, come per giuramento, nel parlare, si stima per cosa certa, che il ragionamento sia vero. Vestesi artificiosamente, perche con l'arte sua ella s'industria di dare ad intendere le cose, che non sono. La vesta di cangiante dipinta di varie sorti di mascare, & di lingue dimostra l'incostanza del bugiardo, il quale, dilungandosi dal vero nel favellare, dà diversa apparenza di essere à tutte le cose, & di qui è nato il proverbio, che dice Mendacem oportet esse memorem. Il fascetto di paglia accesa altro non significa se non che, sì come detto fuoco presto s'appiccia, & presto s'ammorza, così la bugia presto nasce, & presto muore. L'esser zoppa dà notizia di quel che si dice trivialmente, Che la bugia hà le gambe assai corte.


Fioretti, Benedetto [alias Udeno Nisieli] = vedi aprosiana Visiera Alzata da pagina 38.
Fioretti, Benedetto, Proginnasmi poetici di Vdeno Nisiely da Vernio, Accademico Apatista. Volume primo -quinto, In Firenze: Pignoni, Zanobi, 1620-1639
Fioretti, Benedetto, Aggiunzioni a' Proginnasmi poetici di Vdeno Nisieli accadem. apatista. All'eminentiss. e reuerendiss. sig. il sig. cardinale Francesco Barberini, In Firenze: Onofri, Francesco, 1661
Fioretti, Benedetto, Arte del verso italiano con le tavole delle rime di tutte le sorti copiosissime, del cavalier f. Tommaso Stigliani, con varie giunte, e notazioni di Pompeo Colonna ... e del Sillabario di Udenio Nisieli, In Venezia: Bettinelli, Tommaso, 1766
Fioretti, Benedetto, Osseruazioni di creanze Vdeno Nisieli autore. Aggiunteuene alcune del sig. Ostilio Contalgeni e la vita dell'autore del s. N.S. All'illustrissimo ... Filippo Bentiuogli ..., In Firenze: Stamperia di S.A.S. Sabatini, Jacopo
Fioretti, Benedetto, Proginnasmi poetici / Udeno Nisiely, In Firenze - 1695-1697
Fioretti, Benedetto, Proginnasmi poetici di Vdeno Nisieli Accademico Apatista. Con aggiunta di molti Proginnasmi e di varie Rime. Volume terzo. All'illustriss.mo e reuerendiss.mo sig. cardinale Barberino digniss. nipote del santiss. papa Vrbano ottauo, In Firenze: Cecconcelli, Pietro, 1627
Fioretti, Benedetto, Arte del verso italiano con le tauole delle rime di tutte le sorticopiosissime del caualier Fr. Tommaso Stigliani. Con varie giunte e notazionidi Pompeo Colonna principe di Gallicano, arricchita in questa novella edizione di molte definenze, e del Sillabario di Udeno Nisieli, In Venezia: Bettinelli, Tommaso, 1743
Fioretti, Benedetto, Rimario doue sono registrate tutte le voci toscane; le quali possono essere a onoreuole poesia conuenienti. Segue vn altro opuscolo intitolato Sillabario. Doue sono subordinate tutte le voci, le quali comprendono vna, o piu sillabe ... Vdeno Nisieli, autore .., In Fiorenza: Pignoni, Zanobi, 1641
Fioretti, Benedetto, Osseruazioni di creanze. Vdeno Nisieli autore, In Firenze: Nesti, Pietro, 1633
Fioretti, Benedetto, Proginnasmi poetici di Vdeno Nisiely Accademico Apatista con aggiunta di molti Proginnasmi, e di varie rime. Al serenissimo principe Gio. Gastone di Toscana, In Firenze: Matini, Piero, 1695-1697
Fioretti, Benedetto, Esercizi morali di Vdeno Nisieli. Volume primo, Florentiae: Landini

Di Nuti, Lodovico si conosce l'opera Vita, e costumi della seraphica vergine santa Chiara in prosa, insieme con la sua diuotissima representatione in ottaua rima. Raccolta dal padre baccelliere fra Ludouico Nuti d'Assisi ..., in Perugia : appresso Pietropaolo Orlando, 1590 (In Perugia : appresso Pietropaolo Orlando, 1590) 72 c. ; 8° - Marca (V171) in fine - Rom - Segn.: A-I8 - Iniziali e fregi xil - Sui front. vignetta xil. rappresentante s. Chiara - Bianca la c. D8 - A c. E1v, con proprio front.: La deuotissima representatione della seraphica vergine, e sposa di Christo santa Chiara d'Assisi .., -: Impronta - o-o, rae. o-uo qupe (C) 1590 (R) - Marca editoriale: Due figure in lotta su un ponte (V171) - [Pubblicato con] La deuotissima representatione della seraphica vergine, e sposa di Christo santa Chiara d'Assisi. Raccolta dal r.p. baccelliere fra Ludouico Nuti ..., - Paese di pubblicazione: IT - Lingua di pubblicazione: ita - Localizzazioni: Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma

Menage, Gilles <1613-1692> - Aegidii Menagii Juris ciuilis amoenitates cum praefatione Joannis Guilielmi Hoffmanni, et indicibus necessariis - Neapoli: Orsino, Vincenzo Porcelli, Giuseppe Maria, 1779
Menage, Gilles<1613-1692> - Aegidii Menagii Juris civilis amoenitates. Ad Ludov. Nublaeum, advocatum Parisiensem - Luteciae Parisiorum - 1677
Diogenes : Laertius - Diogenis Laertii De vitis, dogmatibus et apophthegmatibus clarorum philosophorum libri 10. Graece et Latine. Cum subjunctis integris annotationibus Is. Casauboni, Th. Aldobrandini & Mer. Casauboni. Latinam Ambrosii versionem complevit & emendavit Marcus Meibomius. Seorsum excusas AEg. Menagii in Diogenem observationes auctiores habet volumen 2. Ut & ejusdem Syntagma de mulieribus philosophis; et Joachimi Kuhnii ad Diogenem notas. Additae denique sunt priorum editionum praefationes, & indices locupletissimi, Amstelaedami: Wetstein, Hendrik, 1692
Launoy, Jean : de <1603-1678> - Ioannis Launoij Constantiensis Paris. theologi Duplex dissertatio. Vna continens iudicium de auctore vitae sancti Maurilij Andegauensis episcopi, ex ms. Andegauensi erutae. Altera Renati Andegauensis episcopi historiam attingens. ... Subiicitur Apologia pro Nefingo huius nominis primo Andegauensi episcopo, aduersus eum, qui Apologiam pro sancto Renato scripsit. Item Aegidij Menagij ad Guillelmum fratrem epistola, Lutetiae Parisiorum: Martin, Edme <2.>, 1663
Menage, Gilles <1613-1692> - Observations de monsieur Menage sur la langue francoise - A Paris: Barbin, Claude, 1672
Menage, Gilles<1613-1692> - Aegidii Menagii Poemata - Amstelodami: Officina Elzeviriana, Elzevier, Lodewijk <3.> & Elzevier, Daniel, 1663
Menage, Gilles <1613-1692> - [2]: In Diogenem Laertium Aegidii Menagii observationes & emendationes, hac editione plurimum auctae. Quibus subjungitur historia mulierum philosopharum eodem Menagio scriptore. Accedunt Joachimi Kuhnii in Diogenem Laertium observationes. Ut & variantes lectiones ex duobus codicibus mss. ... Epistolae & praefationes, variis Diogenis Laertii editi, Amstelaedami - 1692
Menage, Gilles<1613-1692> - 7: Anti-Baillet, ou critique du livre de mr. Baiillet (!), intitule Jugemens des Savans. Par Mr. Menage - A Amsterdam - 1725
Menage, Gilles <1613-1692> - Historia mulierum philosopharum. Scriptore Aegidio Menagio - Amstelodami: Wetstein, Hendrik, 1692
Menage, Gilles <1613-1692> - Menagiana ou les bons mots et remarques critiques, historiques, morales & d'erudition, de monsieur Menage, recuillies par ses amis. Tome premier (- quatrieme) - A Paris: Delaulne, Florentin veuve, 1729
Menage, Gilles <1613-1692> - Aegidi Menagii poemata - Parisis - 1658
Menage, Gilles <1613-1692> - Poemata / Aegidii Menagii - Parisiis: Cramoisy, Sebastien <1.> & Mabre-Cramoisy, Sebastien, 1668
Tasso, Torquato - Aminta, favola pastorale di Torquato Tasso - In Orleans: Jacob, Charles Abraham Isaac Cazin, Hubert Martin, 1785
Menage, Gilles <1613-1692> - Menagiana, ou Bons mots, rencontres agreables, pense'es judicieuses et observations curieuses, de m. Menage ... Tome premiere [-quatrie'me] - A Amsterdam: De_Coup, Pierre, 1713-1716
Menage, Gilles <1613-1692> - 3: Menagiana, ou Les bons mots et remarques critiques, historiques, morales & d'erudition, de m. Menage, recueillies par ses amis - A Amsterdam - 1716
Menage, Gilles <1613-1692> - 4: Menagiana ou Les bons mots et remarques critiques, historiques, morales & d'erudition, de m. Menage, recueillies par ses amis - A Amsterdam - 1716
Balzac, Jean-Louis : Guez, sieur de <1594-1654> - Ioannis Ludouici Guezii Balzacii Carminum libri tres Eiusdem Epistolae selectae / Editore Aegidio Menagio - Parisiis - 1650
Rutilio, Bernardino <1504-1538> - Vitae tripartitae iurisconsultorum veterum a Bernardino Rutilio Ioanne Bertrando et Guilielmo Grotio conscriptae. Nunc primum in capita et paragraphos distinctas, summisque marginalibus perpetuis auctas iunctim et emendatiores edidit ac Biois nomikon Bertrandi vita ipsius auctore filio cum adnotationibus Friderici Iacobi Leickheri praemissa notas Aegidii Menagii, editoris lugdunensis et adhuc ineditas Thomae Reinesii cum Laurentii Pignorii epistola I. Paulum Romae patriae aduersus Betrand>- Halae Magdeburgicae: Serre, Felix : duGruner Schamberg, 1718
Menage, Gilles <1613-1692> - Dictionaire etymologique, ou Origines de la langue francoise, par Mr Menage - A Paris: Anisson, Jean, 1694
Menage, Gilles<1613-1692> - Aegidii Menagii Iuris civilis amoenitates. Ad Ludv. Nublaeum, advocatum Parisiensem - Luteciae Parisiorum - 1664
Tasso, Torquato - Aminta favola boscareccia di Torquato Tasso con le annotazioni d'Egidio Menagio - In Venezia: Pasquali, Giambattista, 1736
Menage, Gilles <1613-1692> - Mescolanze d'Egidio Menagio - In Venezia: Pasquali, Giambattista, 1736
Lucianus - Loukianou Samosateos Apanta. Luciani Samosatensis Opera. Tomus 1. [-2.]. Ex versione Ioannis Benedicti cum notis integris Ioannis Bourdelotii, Iacobi Palmerii a Grentemesnil, Tanaquilli Fabri, Aegidii Menagii, Francisci Guieti, Ioannis Georgii Graevii, Iacobi Gronovii, Lamberti Barlaei, Iacobi Tollii, & selectis aliorum, Amstelodami: Blaeu, Pieter & Blaeu Joan <2.>Janssonius van WaesbergheWolfgang, Abraham Goethals, Rembertus Someren Boom, 1687
Menage, Gilles <1613-1692> - Nenagiana ou Les bons mots, et remarques critiques, listoriques / de Gilles Menage ... - Paris - 1729
Casaubon, Isaac <1559-1614> - Isaaci Casauboni Notae atque Aegidii Menagii Observationes et emendationes in Diogenem Laertium. Addita est Historia mulierum philosopharum ab eodem Menagio scripta. scripta. Editionem ad exemplar Wetstenianum expressam atque indicibus instructam curavit Henricus Gustavus Huebnerus Lipsiensis. Volumen primum <- secundum> - Lipsiae Londini: Koehler, Karl Franz Black & Young & Young, 1830-1833
Menage, Gilles<1613-1692> - Aegidii Menagii juris civilis Amoenitates ad Ludovicum Nublaeum, advocatum Parisiensem - Francofurti & Lipsiae: Lanckisch, Friedrich <2.> erbenGunther, Christoph, 1680
Tasso, Torquato - Aminta fauola boscareccia di Torquato Tasso con le annotationi d'Egidio Menagio accademico della Crusca - In Parigi: Vitre, Antoine Courbe, Augustin, 1655
Menage, Gilles <1613-1692> - Historia mulierum philosopharum. Scriptore Aegidio Menagio. Accedit ejusdem Commentarius Italicus in 7. sonettum Francisci Petrarchae, a re non alienus - Lugduni: Anisson, Jean & Posuel, Jean & Rigaud, Claude, 1690
Menage, Gilles <1613-1692> - Mescolanze d'Egidio Menagio - In Rotterdamo: Leers, Reinier, 1692
Menage, Gilles <1613-1692> - Mescolanze d'Egidio Menagio - In Parigi: Bilaine, Louis, 1678
Menage, Gilles <1613-1692> - Aegidii Menagii Iuris civilis amoenitates ad Ludovicum Nublaeum advocatum parisiensem - Francofurti et Lipsiae: Lanckisch Erben, 1738
Menage, Gilles <1613-1692> - Menagiana ou les bons mots et remarques critiques, historiques, morales et d'erudition, de M. Menage ... Tome premier [-quatrieme! - A Amsterdam: Harrevelt, Evert van, 1762
Menage, Gilles <1613-1692> - Menagiana, ou Les bons mots, les pensees critiques, historiques, morales et d'erudition, de Monsieur Menage, recuellies par ses Amis - A Paris: Delaulne, Florentin & Delaulne, Pierre, avec privilege d (IT\ICCU\LO1E\013510) (7/47) [Monografia] - Menage, Gilles<1613-1692> - Menagiana, ou Bon mots, rencontres agreables, pensees judicieuses, et observations curieuses de M. Menage - A Amsterdam: De Coup, Pierre, 1713
Menage, Gilles <1613-1692> - Le origini della lingua italiana compilate dal s.re Egidio Menagio, gentiluomo francese. Colla giunta de' Modi di dire italiani, raccolti, e dichiarati dal medesimo - In Geneva: Chouet, Jean Antoine, 1685
Menage, Gilles <1613-1692> - Dictionnaire etymologique de la langue francoise, par M. Menage, avec les origines francoises de M. de Caseneuve, les additions du R.P. Jacob, & de M. Simon de Valheber , le discours du R.P. Besnier sur la science des etymologies, & le vocabulaire hagiologique de M. l\'abbe Chastelain, A Paris: Briasson, 1750
Menage, Gilles <1613-1692> - Le origini della lingua italiana compilate dal s.re Egidio Menagio - In ParigiIn Parigi - 1669
Menage, Gilles <1613-1692> - AntiBaillet, ou critique du livre de Mr.Baillet, intitule Jugemens des savans par Mr. Menage ; avec les Observation de Mr. De La Monnoye, & les Reflexions sules Jugemens des savans par Mr. Menage ; avec les Observation de Mr. De La Monnoye, & les Reflexions sules Jugemens des savans, A Paris - 1730
Menage, Gilles<1613-1692> - Anti-Baillet, ou Critique du livre de Mr. Baillet, intitule Jugemens des Savans. Par. Mr. Menage. Avec les observations de Mr. de La Monnoye ... - A Paris: Charpentier, Henry, 1730
Menage, Gilles <1613-1692> - 2: Tome second contenant le Discours de Menage, sur la troisieme comedie de Terence - A Amsterdam - 1715
Menage, Gilles <1613-1692> - Les origines de la langue francoise / [Menage] - A Paris: Courbe, Augustin, 1650
Launoy, Jean : de <1603-1678> - Dissertatio duplex: vna continens iudicium de auctore vitae sancti Maurilij Andegauensis episcopi, ... Altera Renati Andegauensis episcopi historiam attigens - Lutetiae Parisiorum: Martin, Edme <2.>, 1650
Menage, Gilles <1613-1692> - Aegidii Menagii Juris civilis amoenitates editio novissima accuratior cum praefatione Joannis Guilielmi Hoffmanni, et indicibus necessariis - Neapoli: Orsino, VincenzoPorcelli, Giuseppe Maria, 1779
Bernier, Jean - Anti-menagiana ou l'on cherche ces bons mots, cette morale, ces pensees judicieuses, & tout ce que l'affiche du menagiana nous a promis - A Paris: Houry, Laurent : d'Langronne, Simon <1639-1721>Osmont, Charles <1.>, 1793
Menage, Gilles<1613-1692> - Menagiana, ou Bon Mots, rencontres agreables, pensees judicieuses et observations curieuses - Amsterdam: Coup, Pieter : de <1684-1731>, 1713-1716
Menage, Gilles <1613-1692> - Anti-Baillet ou critique du livre de Mr. Baillet, intitule' Jugemens des Savans. Par. Mr. Menage. Tome premier (-second) - A La Haye: Dole, Louis van & Dole, Henry van, 1690
Menage, Gilles <1613-1692> - Menagiana, ou bons mots, rencontres agreables, pense'es judicieuses, et observations curieuses, de M. Menage, de l'academie francoise - A Amsterdam: Braakman, Adriaan, 1693


La solennità Cattolica del Corpus Domini (espressione latina che significa Corpo del Signore) è una delle principali solennità dell'anno liturgico. Oggi più propriamente viene chiamata solennità del Corpo e Sangue di Cristo. In quelle nazioni dove è festa di precetto, viene celebrata il giovedì dopo la solennità della Santissima Trinità e, nelle altre nazioni, la domenica successiva.
Venne istituita l'8 settembre 1264 da papa Urbano IV con la Bolla Transiturus de hoc mundo in seguito al miracolo di Bolsena; nacque però in Belgio nel 1246 come festa della Diocesi di Liegi. Il suo scopo era quello di celebrare la reale presenza di Cristo nell'Eucaristia.
Questa festa viene celebrata il primo giovedì dopo la prima domenica successiva alla Pentecoste, ma in quelle nazioni dove essa non è festa di precetto (per esempio, l'Italia) si celebra la domenica successiva, in conformità con le Norme generali per l'ordinamento dell'anno liturgico e del calendario; tuttavia in altri paesi, dove è festa di precetto (per esempio nei cantoni cattolici della Svizzera, in Spagna, in Baviera) il giovedì è anche una festività nazionale.
In alcune località, (per esempio a Genzano di Roma, Pievepelago di Modena, Spotorno) lungo il percorso della processione viene realizzata l'infiorata un tappeto naturale costituito da pannelli con petali di fiori. Alcune tradizioni, vogliono che i petali utilizzati per la realizzazione delle opere floreali, debbano essere freschi e raccolti all'albeggiare; verrebbe da pensare che Aprosio per questa sua dissertazione sull'infioramento delle vie si sia ispirato proprio all'infiorata di Genzano, affermatasi però come tale un secolo dopo: molto più semplicemente il frate agostiniano ha guardato nella sua coeva Ventimiglia e verisimilmente si è rifatto a quanto scritto sulle processioni in questo seicentesco
Decreto del Vescovo Mauro Promontorio mirante forse a fissare norme precise per le più importanti processioni liturgiche, pur riprendendo i dettami di una consuetudine diffusissima nella stessa Liguria
A Campobasso, questa festività è particolarmente sentita. La mattina di tale Domenica, sfilano per le vie del capoluogo i "Misteri", carri portati a spalla che raffigurano 13 figure sante.
L'inno del Corpus Domini, cantato nella processione e nei Vespri è il Pange Lingua. Esiste anche una sequenza per il Corpus Domini: il Lauda Sion Salvatorem.
Nel 1977, in Italia la Conferenza episcopale decise di spostare i festeggiamenti alla seconda domenica dopo Pentecoste. Con legge 5 marzo 1977, n. 54, cessarono di essere considerate festive in Italia, agli effetti civili, oltre al giorno del Corpus Domini: l'Epifania (6 gennaio), il giorno di San Giuseppe (19 marzo), il giorno dell'Ascensione (40 gg. dopo la Pasqua), il giorno dei Santi Apostoli Pietro e Paolo (29 giugno) e furono spostate rispettivamente alla prima domenica di giugno ed alla prima di novembre le celebrazioni della Festa della Repubblica (giorno 2 giugno) e dell'Unità Nazionale (ex Festa della Vittoria della prima guerra mondiale, 4 novembre). Otto anni dopo, con il D.P.R. 792/1985, veniva ripristinata, sempre agli effetti civili, la festività dell'Epifania e, limitatamente al Comune di Roma, quella dei S.A. Pietro e Paolo. Nel 2006 ridivenne festivo anche il giorno 2 giugno, al quale fu riportata la celebrazione della Festa della Repubblica [da Wikipedia, con integrazioni]


In merito ad autori come Aprosio (ed anche il suo discepolo Gandolfo), non specificatamente letterati/poeti ma letterati/trattatisti e per giunta in qualche modo condizionati quali religiosi e come religiosi autori di opere di varia erudizione, anche giuridica e moralistica, non si può veramente discettare in maniera completa senza addentrarsi nei meandri di quel DIRITTO INTERMEDIO che risulta esser stato base irrinunciabile su cui approfondire la conoscenza del COMPLESSO SISTEMA SOCIALE DELL'EPOCA.
Su questa direttrice è irrinunciabile l'ausilio di opere specifiche di dimensione enciclopedica e tra queste per estensione, completezza e
vastità oltre che profondità delle fonti utilizzate la BIBLIOTHECA CANONICA, JURIDICA, MORALIS, THEOLOGICA... del padre francescano Lucio Ferraris risulta opera davvero essenziale: da essa, con una riccheza di precisione documentaria notevole, si sono qui estrapolate molte NOZIONI CHE DESCRIVONO LO STRETTO LEGAME ALLORA ESISTENTE TRA VITA RELIGIOSA E VITA LAICA.
Contestualmente, dalla amplissima voce contenuta nella stessa opera, precisamente la voce RESTITUTIO, cioè il RISARCIMENTO, si possono, per via diretta ed indiretta, estrapolare una miriade di ulteriori dati e nozioni, su cui si confrontò parimenti l'Aprosio moralista e vicario dell'Inquisizione, altrimenti incomprensibili ed invece basilari per intendere molti degli interventi a stampa dell'agostiniano intemelio, su argomenti di vita pubblica e religiosa, contenuti in sue opere, specie la Grillaia e lo Scudo di Rinaldo I sia per la parte pubblicata sia per quella rimasta inedita (soprattutto in merito allo Scudo di Rinaldo II).
Propriamente Lucio Ferraris nella BIBLIOTHECA CANONICA... affronta la voce RESTITUTIO distinguendone utilmente la trattazione in vari ARTICOLI e propriamente:
-ARTICOLO I ("TUTTE LE COSE CHE CONCERNONO LA NATURA DELLA RESTITUZIONE, LE SUE RADICI, LA NECESSITA' E QUANTI AD ESSA SONO TENUTI")
-ARTICOLO II ("TUTTE LE COSE CHE CONCERNONO LA RESTITUZIONE IN CASO DI OMICIDIO, PERCOSSE O MUTILAZIONI")
-ARTICOLO III ("CHE COSA, A CHI E QUANDO SI DEBBA RESTITUIRE?")
-ARTICOLO IV ("DOVE, IN CHE FORMA E SECONDO QUALE ORDINE DEBBA FARSI LA RESTITUZIONE?")
-ARTICOLO V ("TUTTO CIO' CHE CONCERNE LE CAUSE SCUSANTI O NON DALLA RESTITUZIONE: COME O LA SI DEBBA DILAZIONARE O DEL TUTTO POSSA OMETTERSI")
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Per quanto concerne l'ARTICOLO I vedi: 80: "finti poveri" - 81: adulterio - 82: stupro - 83:genitori - 84: quanti rinvengono infanti esposti innanzi alla propria porta e li espongono innanzi alla porta di casa altrui - 85: compratori e venditori - Possessor bonae, & malae Fidei - Gabella - Pascua (Pascoli) - Impediens - Fur (Furto) - Dominium - Officium Divinum - Canonicus - Detractio (art 5) - Bellum (art 2 - 3) - Culpa - Damnificatio.

Per quanto concerne l'ARTICOLO II la VOCE BASE è il lessema OMICIDA tenuto ancora ben distinto dal lessema ASSASSINO

Per quanto concerne l'ARTICOLO III vedi: Possessor bonae & malae fidei - Commodatum - Locator - Mutuum - Emptio/Venditio - Emphyteusis - Ludus (Gioco - Gioco d'azzardo) - Dominium - Bellum (art 2) - Bona (Beni, art.4) - Damnificatio - Damnum - Usura (vedi art. 1, da n. 80 a 94) - Meretrice/Prostituta - Oggetti variamente ritrovati - Oggetti ritrovati sulla spiaggia del mare o di un fiume dopo naufragio - Oggetti ed altri beni rinvenuti in mare dopo naufragio o salvati da incendi, devastazioni, alluvioni - Tesoro: rinvenimento di un tesoro [Vari collegamenti tra voce DOMINIUM e voce RESTITUTIO: animali selvatici (7) - animali custoditi in allevamenti cintati (8) - animali domestici e selvatici ma addomesticati (9) - caccia: a chi spetti la fiera colpita mortalmente (9) - caccia: a chi spetti la fiera od il volatile lievemente ferito e poi catturato da altri con reti (11) - caccia: dubbi in merito a chi spetti la fiera colpita e da altri catturata (12) - Si divida l'animale selvatico da qualcuno scovato e inseguito e da altri catturato (13) - Casi diversi su pesci caduti entro la rete dei pescatori e da altri poi presi (14) - Il caso di api che abbandonino il proprio alveare ed altrove prendano dimora (15) - Beni di ignoto padrone, persi per caso o portati dopo naufragio sulla spiaggia e da altri trovati (17) - Le cose di ignoto padrone trovate, se non si trovi costui, si applicano ad uso pio ed a vantaggio dei poveri sempre che povero non sia chi le ha trovate sì da trattenerle lecitamente in parte o in tutto (18) - Il caso di un bene palesemente abbandonato (22) - Casi di merci ed altri beni dopo naufragio portati sul litorale (24) - Si rendano al legittimo proprietario i beni recuperati da qualche naufragio - Tesoro scoperto: casistica (26 a eguire) - Tesoro scoperto in luogo pubblico spetti al Principe locale o alla Comunità (36) - Tesoro rinvenuto in luogo sacro (38) - Tesoro scoperto con qualche magico artificio si dia al Fisco(39) - Casi concernenti chi abbia trovato un tesoro in un bene mobile od immobile acquistato da altro pregresso padrone (41) - Caso del ritrovamento di piombo e ferro in un fondo o bene mobile acquistato (41) - Caso di un soldato che abbia venduto un sacco portato via al nemico entro cui stavano celate lamine d'oro o d'argento (42) - Leggi concernenti il ritrovamento di tesori (da 43) - Alluvione: casi vari (46 - 48) - Isola dopo alluvione formatasi in mare aperto, di chi sia (49) - Considerazioni su carte scritte, pitture, quadri ecc.(da 67)


Nel suo celebre "Vocabolario della lingua italiana" parlando di CHIESA / CHIESE Tullio De Mauro dà le seguenti definizioni "chiesa s.f. (FO) - 1a spec. con iniz. maiusc., comunità dei fedeli che professano una delle confessioni cristiane: la C. cattolica apostolica romana; C. protestante, C. anglicana, C. luterana, C. evangelica, C. metodista, C. riformata, C. valdese | estens., comunità spirituale formata da tutti i cristiani: Gesù Cristo fondò la C. - 1b per anton., spec. con iniz. maiusc., la chiesa cattolica, sia come insieme di fedeli sia come struttura organizzata: i beni della C.; libera C. in libero Stato; le preghiere della C. per la pace | comunità di rito particolare all'interno della C. cattolica: C. ambrosiana - 1c estens., circoscrizione territoriale religiosa: parroco, vescovo che governa la propria c. - 2 edificio sacro in cui si svolgono pubblicamente gli atti di culto delle religioni cristiane: andare in c.; una c. romanica, gotica, barocca - 3 il clero, la gerarchia ecclesiastica.
La definizione è esaustiva per quanto concerne un dizionario e tuttavia per avere un'idea delle infinite valenze che, nel dettaglio, ai tempi dell'Aprosio e del Gandolfo si conferivano a quel
PECULIARE EDIFICIO SACRO = DI CUI QUI SI PUO' VEDERE PARTENDO DALLE VOCI BASILICA E CATTEDRALE UN DETTAGLIATO ELENCO REALIZZATO SULLA BASE DELLA SOTTOSTANTE OPERA DI LUCIO FERRARIS: su tale EDIFICIO SACRO detto in volgare CHIESA dal latino ECCLESIA per un approfondimento pare ancora necessario rifarsi alle sottostanti minuziosissime considerazioni fatte dal già menzionato teologo e giurista francescano Lucio Ferraris nella sua
BIBLIOTHECA CANONICA, JURIDICA... specificatamente alla voce ECCLESIA la cui ampia trattazione è così ripartita:
1 PROLOGO SOTTO TITOLO DELLA VOCE ECCLESIA e quattro articoli sviluppanti tematiche diverse: per la precisione ARTICOLO I / Ecclesia in sensu morali capta quoad ejus esse, & principales notas - ARTICOLO II / Ecclesia quo ad ejus Visibilitatem, Indefectibilitatem, & Infallibilitatem - ARTICOLO III / Ecclesia materialis quo ad ejus aedificationem, dotatione, & reparationem - ARTICOLO IV / Ecclesia quo ad ejus Consecrationem, Execrationem, & Reconciliationem - ARTICOLO V / Varia miscellanea Ecclesiam concernentia.
I PRIMI DUE ARTICOLI sono di contenuto spiccatamente teologico e spirituale: il loro commento sarebbe improprio, e per le capacità di chi scrive e per il contesto di questo lavoro: la loro consultazione, facendosi guidare dai Sommari con cui iniziano può essere giovevole per intendere la spiritualità della chiesa romana e la sua postazione a fronte di altri culti; dal punto di vista sorico e letterario un discorso a parte può valere per quei settori di discussione concernenti INFEDELI, EBREI, ERETICI ECC.: in merito a ciò dell' ARTICOLO II si leggano queste considerazioni a partire dal paragrafo 12 e dell' ARTICOLO II si analizzi questa lunghissima APPENDICE mirante a sancire la infallibilità della Chiesa Apostolica Romana a fronte delle postulazioni degli Innovatori.
Il TERZO ARTICOLO della voce ECCLESIA, il cui titolo, seppur in latino è chiaro ("chiesa materiale cioè chiesa come edificio sacro: ogni cosa che la riguarda in merito alla costruzione, dotazione ed eventuali restauri") non solo è di lampante chiarezza ma (a prescindere in vari punto dalla citazione dell'unità lineare di misura della canna giudicata basilare per valutare la distanza delle 140 canne "generalmente" obbligatoria per segnare il distacco spaziale tra strutture cenobitiche diverse) si rivela di estrema utilità per la conoscenza di ogni particolare della chiesa quale edificio sacro tra XVII e XVIII secolo. I rimandi storici contenuti fanno sì che quanto meno sia utile qui, voce per voce e con opportuna esplicazione dei tanti punti trattati, si offra un moderno
****************INDICE TEMATICO ****************.
Molto interessante risulta pure il QUARTO ARTICOLO il cui titolo sostanzialmente detta "Tuuto ciò che riguarda una chiesa in merito alla sua consacrazione, profanazione e purificazione": anche in questo caso risulta assai giovevole, per le ragioni addotte in merito all'articolo precedente, proporre voce per voce e con adeguata esplicazione dei punti trattati, un moderno
****************INDICE TEMATICO ****************.
Una miscellanea di molteplici argomenti riveste invece il QUINTO ARTICOLO: molti trattano le priorità durante le celebrazioni, la disposizione e fruizione di sedili, panche e tappeti, i rapporti di precedenza tra autorità religiose e laiche ed in questo caso (molto specifico e formale) l'indice tematico di seguito proposto è stato dimensionato secondo il sommario ideato dal Ferraris: successivamente venendovi trattati argomenti di più spiccato interesse esistenziale e sociale si è provveduto ad organizzare un moderno
****************INDICE TEMATICO ****************.



La FAMIGLIA SFORZA fu un'importantissima famiglia che dalla fine del XIV secolo caratterizzò la storia italiana ed europea.
Il nome della casata deriva dal soprannome del suo fondatore, Muzio Attendolo (Cotignola, 1369 - vicino Pescara, 1424), chiamato Sforza (Forte) per la sua prestanza, un capitano di ventura della Romagna al servizio dei re Angioini di Napoli. Fu la dinastia di condottieri italiani che ebbe più fortuna.
Il ramo di Milano
Il primo Duca di Milano fu il figlio maggiore di Muzio Attendolo, Francesco (1401-1466), che acquisì il titolo ducale grazie al suo matrimonio con Bianca Maria Visconti, ultima erede del Duca Filippo Maria Visconti, morto nel 1447. Da questo matrimonio originò il ramo principale della famiglia. Il successore di Francesco I fu Galeazzo Maria (1444-1476), Duca dal 1466 alla morte, che sposò Bona di Savoia. Suo successore fu il figlio Gian Galeazzo (1469-1494), che, a causa della sua debolezza ed inettitudine, in pratica non governò mai direttamente, egli sposò Isabella d'Aragona. La reggenza del ducato fu da subito nelle mani di Ludovico Sforza detto il Moro, che ebbe il titolo di Duca solo a partire dalla morte del nipote; Ludovico il Moro sposò Beatrice d'Este. A riprova del prestigio goduto dal casato milanese in quel periodo vi è il matrimonio celebrato tra Bianca Maria, sorella di Gian Galeazzo e l’imperatore Massimiliano I d’Asburgo. Ludovico il Moro governò sul Ducato fino al 1500, anno in cui fu definitivamente sconfitto e preso prigioniero dai francesi. Dopo che i francesi furono cacciati dall'esercito di mercenari svizzeri dell'impero (1512), il ducato di Milano tornò per alcuni anni nelle mani dei figli di Ludovico il Moro, Massimiliano (1493-1530) e Francesco II (1495-1535), che sposò Cristina di Danimarca, nipote dell'imperatore Carlo V. Costoro, coinvolti nelle guerre tra Francia ed Impero, regnarono ad intervalli e sotto la protezione degli Asburgo, ai quali, dopo la morte di Francesco II senza eredi, passò il ducato.
Il ramo di Pesaro
Il secondogenito di Muzio Attendolo, Alessandro Sforza di Pesaro (1409-1473), fu il capostipite del ramo di Pesaro, della cui città tenne la Signoria dal 1445 al 1500. Giovanni Sforza fu il primo marito di Lucrezia Borgia e venne spodestato del suo titolo dall'ex-cognato Cesare Borgia.
Il ramo di Santa Fiora degli Sforza
Il fondatore del ramo di Santa Fiora fu il terzogenito di Muzio Attendolo, Bosio (1411-1476) Questo ramo ebbe il suo periodo di massimo splendore nel '500, grazie all’accortezza diplomatica ed alle alleanze intessute dal primo conte, Guido, il quale, non solo era spostato con una parente di Paolo III Farnese, ma riuscì a far sposare due dei suoi discendenti con la figlia e la nipote del medesimo pontefice. Grazie a queste strategie, i membri della sua famiglia poterono avere brillanti carriere ecclesiastiche e militari. Nel ‘600, però, vuoi per la dismissione e la vendita di molte proprietà, vuoi per le politiche del Granduca di Toscana, il potere degli Sforza cominciò ad affievolirsi. Nel 1674 grazie al matrimonio tra Federico e Livia Cesarini, una ricca ereditiera romana, la famiglia cambiò nome trasformandosi in Sforza-Cesarini e trasferendosi a Roma.
Linea di Successione
Ramo di Milano
Muzio Attendolo Sforza (conte di Cotignola)
Francesco I Sforza (duca di Milano dal 1450 al 1466)
Galeazzo Maria Sforza (duca di Milano dal 1466 al 1476)
Gian Galeazzo Maria Sforza (duca di Milano dal 1476-94)
Ludovico il Moro (duca di Milano dal 1494 al 1499)
Ercole Massimiliano Sforza (duca di Milano dal 1512 al 1515)
Francesco II Sforza (duca di Milano dal 1521 al 1524)
Ramo di Pesaro
Muzio Attendolo Sforza (conte di Cotignola)
Alessandro Sforza (signore di Pesaro)
Costanzo I Sforza (signore di Pesaro)
Giovanni Sforza (signore di Pesaro)
Costanzo II Sforza (signore di Pesaro)
Ramo di Santa Fiora degli Sforza
Muzio Attendolo Sforza (conte di Cotignola)
Bosio I Sforza (conte di Cotignola, signore di Castell'Arquato)
Francesco Sforza di Cotignola (conte di Cotignola)
Sforzino Sforza di Castell'Arquato (signore di Castell'Arquato)
Guido Sforza di Santa Fiora (conte di Santa Fiora)
Giovanni Sforza di Santa Fiora (conte di Santa Fiora)
Federico I Sforza di Santa Fiora (conte di Santa Fiora)
Bosio II Sforza di Santa Fiora (conte di Santa Fiora)
Sforza di Castell'Arquato (marchese di Castell'Arquato)
Francesco Sforza di Varzi (conte di Cotignola, marchese di Varzi)
Mario I Sforza di Santa Fiora (conte di Santa Fiora)
Federico II Sforza di Santa Fiora (conte di Santa Fiora)
Alessandro Sforza di Segni (duca di Segni)
Mario II Sforza di Santa Fiora (duca di Onano, conte di Santa Fiora)
Ludovico Sforza di Onano (duca di Onano)
Paolo II Sforza dei Conti di Santa Fiora, Marchese di Proceno nato il 12 .6.1602 , morto il 12 .9.1669
Francesco Sforza di Santa Fiora (duca di Onano, conte di Santa Fiora)
Federico Sforza di Segni (duca di Segni) ramo Sforza-Cesarini
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Cesare Ripa autore d’una fortunata Iconologia o Descrizione di diverse imagini cavate dall’antichità e di propria invenzione (Gigliotti, Roma 1593), oera peraltro molto spesso citata da Aprosio, descri e sia l'INGANNO, cui attribuisce caratteristiche maschili, e la BUGIA cui conferisce invece connotati femminili:
INGANNO.
Huomo, vestito di giallo, nella mano destra tenga molti hami, & nella sinistra un mazzo di fiori, dal quale esca un Serpe. Si dipinge con gli hami in mano, come quelli, che coperto dall'esca pungono, & tirano pungendo la preda, come l'ingannatore tirando gli animi semplici dove ei desidera li fà incautamente precipitare. Il mazzo di fiori co'l Serpe in mezzo significa l'odor finto della bontà, donde esce il veleno vero de gli effetti nocivi.
BVGIA. Donna, involta, & ricoperta nell'habito suo quanto sia possibile, il vestimento da una parte sarà bianco, & dall'altra nero. Terrà in capo una Gaza, & in mano una sepia pesce. La parte del vestimento del color bianco mostra, che gli huomini bugiardi primieramente dicono qualche verità per nascondervi sotto la bugia. L'altra parte di dietro del vestimento nero si confà in quella sentenza di Trifone Grammatico Greco, la quale diceva, che le bugie hanno la coda nera, & per questa medesima ragione à questa imagine si pone in capo la Gaza, che è di color vario, & la Sepia, la quale, secondo, che racconta il Pierio Valeriano nel libro 28., quando si sente presa manda fuori della coda un certo humore nero, nel quale si nasconde, stimando con tale inganno fuggire dal pescatore. Così il bugiardo oscura se stesso con la fintione delle bugie, & non viene mai à luce di buona fama.
BVGIA.
Donna, giovane, brutta, ma artificiosamente vestita di color cangiante, dipinto tutto di mascare di più sorti, & di molte lingue. Sarà zoppa, cioè con una gamba di legno, tenendo nella sinistra mano un fascetto di paglia accesa. Santo Agostino dipinge la Bugia dicendo, che è falsa significatione della voce di coloro, che con mala intentione niegano, overo affermano una cosa falsa. Et però si rappresenta in una donna giovine, ma brutta, essendo vitio servile, & fuggito sommamente nelle conversationi de' nobili, in modo, che è venuto in uso hoggidì, che attestandosi la sua nobiltà, come per giuramento, nel parlare, si stima per cosa certa, che il ragionamento sia vero. Vestesi artificiosamente, perche con l'arte sua ella s'industria di dare ad intendere le cose, che non sono. La vesta di cangiante dipinta di varie sorti di mascare, & di lingue dimostra l'incostanza del bugiardo, il quale, dilungandosi dal vero nel favellare, dà diversa apparenza di essere à tutte le cose, & di qui è nato il proverbio, che dice Mendacem oportet esse memorem. Il fascetto di paglia accesa altro non significa se non che, sì come detto fuoco presto s'appiccia, & presto s'ammorza, così la bugia presto nasce, & presto muore. L'esser zoppa dà notizia di quel che si dice trivialmente, Che la bugia hà le gambe assai corte.

La corrente spirituale dei FARISEI costituisce, probabilmente, il gruppo religioso più significativo all'interno del giudaismo, nel periodo che va dalla fine del II secolo a.C. al 70 d.C. ed oltre. Le testimonianze più note sui farisei sono costituite dal Nuovo Testamento e dalle opere dello storico Flavio Giuseppe . Poiché, tuttavia, l'ebraismo rabbinico o moderno (cfr. infra) è, essenzialmente, derivato dal fariseismo, anche esso ci attesta molti aspetti della dottrina e del pensiero di tale corrente spirituale. I sadducei si reclutavano sociologicamente in un'aristocrazia di nascita e di denaro, i farisei corrispondono ad una nuova aristocrazia fondata sulla cultura, ossia sulla conoscenza della Scrittura. Con essi si viene così a creare nella società ebraica una classe di intellettuali e di persone colte, in opposizione alla vecchia aristocrazia chiusa e tradizionalista. L'ambiente fariseo comprendeva gli scribi, vale a dire quanti insegnavano la Legge; ma gli scribi non erano necessariamente farisei. Pur annoverando nel suo seno individui spregiudicati, il movimento fariseo rappresentava nel giudaismo la corrente piu fervente, più aperta e più moderata. Emersi sulla scena sociale alla fine del II secolo a.C. sotto gli Asmonei, si collegano alla reazione non solo culturale, ma anche religiosa, contro l'ellenismo, e sono al loro inizio identificabili con gli asidei. Ruppero con la casa asmonea sotto Giovanni Ircano (134 – 104 a.C.) e fu verso quest’epoca che apparvero costituiti in partito (àiresis), chiamati da Giuseppe Flavio col nome di farisei, ossia i "separati". Probabilmente il termine fu coniato dagli oppositori con intento dispregiativo; tra loro si chiamavano invece chaverìm ("congregati", "compagni"). Sul piano dottrinale, caratteristica dei Farisei è l'ammissione di uno sviluppo dogmatico e giuridico: intransigenti sulla sostanza della fede e della legge, si mostrano duttili sulle sue applicazioni. Le tendenze progressiste dei farisei si ritrovano sul piano teologico; anzitutto sullo sviluppo dell'escatologia: "Per essi ogni anima è imperitura, ma soltanto quella dei buoni passa in un altro corpo, mentre quella dei malvagi è punita con un castigo eterno" (Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica II, 163). Grandi figure di farisei hanno costellato il periodo ellenistico-romano: Hillel, sotto il regno di Erode, fu l'iniziatore della cultura farisea; questi, di posizioni moderate, aveva in Shammai un interlocutore dalle rigide tesi dottrinali; tra il 30 e il 70 circa, incontriamo Gamaliele, che intervenne al Sinedrio in favore dei cristiani e fu maestro di Paolo di Tarso. Il fariseo Gamaliele, dottore in legge, fa rilasciare gli apostoli appena arrestati paragonandoli a due famosi capi zeloti, Giuda il Galileo e Teuda: «Ma essi, udendo queste cose fremevano d'ira, e si proponevano di ucciderli. Ma un fariseo, di nome Gamaliele, dottore della legge, onorato da tutto il popolo, alzatosi in piedi nel sinedrio, comandò che gli apostoli venissero un momento allontanati. Poi disse loro: «Uomini d'Israele, badate bene a quello che state per fare circa questi uomini. Poiché, prima d'ora, sorse Teuda, dicendo di essere qualcuno; presso di lui si raccolsero circa quattrocento uomini; egli fu ucciso, e tutti quelli che gli avevano dato ascolto furono dispersi e ridotti a nulla. Dopo di lui sorse Giuda il Galileo, ai giorni del censimento, e si trascinò dietro della gente; anch'egli perì, e tutti quelli che gli avevano dato ascolto furono dispersi. E ora vi dico: tenetevi lontani da loro, e ritiratevi da questi uomini; perché, se questo disegno o quest'opera è dagli uomini, sarà distrutta; ma se è da Dio, voi non potrete distruggerli, se non volete trovarvi a combattere anche contro Dio».» (At 5,33-39) Circa la contiguità tra i farisei e gli zeloti «Giuda il Galileo introdusse una quarta setta i cui membri sono in tutto d'accordo con i farisei, eccetto un invincibile amore per la libertà che fa loro accettare solo Dio come signore e padrone. Essi disprezzano i diversi tipi di morte e i supplizi dei loro parenti e non chiamano nessun uomo signore." (Giuseppe Flavio, Ant. Giud., XVIII, 23)» Fallita la ribellione dei giudei ai romani nel I secolo d.C., e distrutta Gerusalemme, i farisei emersero dalla catastrofe che aveva travolto la loro nazione quale unica corrente spirituale vitale, capace di coagularne attorno a sé i resti che non vennero assimilati dalla società romano-ellenica o che non si convertirono al cristianesimo. Dai farisei trae origine l'ebraismo rabbinico o moderno. [Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.]


Nel DIRITTO INTERMEDIO uno dei principi basilari è la salvaguardia della EMPTIO o ACQUISTO e della VENDITIO o VENDITA ai fini del buon funzionamento della MERCATURA.
Lucio Ferraris nella sua
BIBLIOTHECA CANONICA... affronta, attraverso una grande disanima, la voce EMPTIO - VENDITIO distinguendone la trattazione in vari ARTICOLI e precisamente:
-ARTICOLO I ("ACQUISTO E VENDITA, QUALE SIA LA LORO ESSENZA, DA CHI ED IN MERITO A COSA POSSANO VENIR FATTI, E DEBBANO O NON ESSER FINALIZZATI")
-ARTICOLO II ("TUTTE LE COSE CHE RIGUARDANO IL COMPRATORE")
-ARTICOLO III ("OGNI COSA CHE CONCERNE VENDITA E VENDITORE")
-ARTICOLO IV ("TUTTO CIO' CHE RIGUARDA IL VANTAGGIO, IL PERICOLO ED IL RECESSO DELLA COSA VENDUTA")
-ARTICOLO V ("TUTTE LE NORMATIVE CHE CONCERNONO ACQUISTO E VENDITA")
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La figura di Diotima appare nel Simposio di Platone, nominata da Socrate.
Platone ragionava dell’amore avendo una concezione dell’essere che non corrisponde veramente all’esperienza di chi ama. Chi ama sa che c’è altro, perché ne dipende e ne dipende la sua felicità; Platone pensa all’essere come uno, immutabile e beato, autosufficiente, e pensa all’amore come a un mezzo per elevarsi a un essere così inteso. Tra questa concezione e quella esperienza, il tramite è costituito dalla nozione di possesso. Il filosofo inaugura così la metafisica patriarcale che concepisce la relazione non nei termini di uno scambio ma nei termini di una appropriazione di una proprietà, tra un soggetto e un oggetto (di desiderio, conoscenza, azione). così si spenge la creatività dell’essere. Il possesso dell’altro fissa il desiderio e fissa il senso dell’essere, mettendo fine allo scambio aperto dal senso di mancanza.
Diotima, la maestra di Socrate, insegnava tutt’altra cosa, e cioè che l’amore, per chi ama, non è un mezzo per arrivare alla scienza del bene, del bello e del vero, perché l’amore, vagabondo, mediatore e mendicante, è esso stesso quella scienza; e che l’essere non è né uno né due, ma passaggio. Amore per lei era passaggio ad altro, riconoscimento dell’altro, relazione, era mancanza accettata, era apertura, andirivieni, accadimento, precarietà, contingenza, era attesa ed irruzione d’altro. Questo è l’essere, secondo l’intelligenza d’amore dei testi della mitologia mistica femminile, la capacità di agire efficacemente facendo riposare la volontà, la nostra povera, buona volontà che lavora da più di duemila anni ed è esausta, e facendo lavorare al suo posto il desiderio, per il quale lavorare non è più faticoso che giocare per le creature bambine.
Le condizioni perché il desiderio possa così lavorare sono quelle di una pratica politica ben trovata. La storia del movimento delle donne è la storia delle sue pratiche, che hanno tutte in comune due tratti: il partire da sé e il primato della relazione, che fa dell’altro non un opposto a sé, non un oggetto di conoscenza e volontà, ma il termine di una relazione di scambio in cui il sapere nasce e la volontà va in vacanza uscendo da sé per far posto all’altro, come accade nella relazione che dà vita a una nuova vita. L’esporsi agli incontri e ai rapporti diventa così fonte di esistenza libera. Per quello che di sé cambia in quella esposizione.
Perché non c’è altro modo di cambiare le cose che essere disposti al cambiamento di sé, e il paradigma perenne di questa disponibilità è l’innamoramento. L’amore che vuole essere all’altezza ma non teme di essere trovato mancante, e converte il piombo di una insopportabile dipendenza nell’oro di una mancanza accettata che apre la porta all’altro [testo da Filosofia e Dintorni - on line]

Jacob Louis : de Saint Charles "L'idea, poi, di segnalare le pubblicazioni edite periodicamente in un determinato contesto territoriale, ha origini antiche: risale, lo si sa, al padre carmelitano Louis Jacob de Saint Charles, il quale nel 1645 pubblicò a Parigi un repertorio dal titolo Bibliographia Parisina" così si legge nella Bibliografia umbra : bollettino bibliografico. 5: 1991-1994, a cura di Claudio Leonardi [et al.]. Perugia, Guerra Edizioni : Regione dell'Umbria, 1998. L, 662 p. (Bibliografia e documentazione; 5)
Dell'autore cui Aprosio italianizzò all'uso del tempo il nome in Ludovico Giacobi si son reperite nelle biblioteche italiane le seguenti opere:
Jacob, Louis - R.A.P. Ludouici Iacob, De claris scriptoribus
Cabilonensibus libri 3. In 1. agitur de iis, qui vel ortu vel aliqua dignitate floruerunt. In 2 qui in dioecesi & praefectura Cabilonensi nati sunt. In 3. qui in eadem dioecesi mortui sunt, Parisiis: Cramoisy, Sebastien & Cramoisy, Gabriel, 1652
Jacob, Louis - Bibliotheca pontificia duobus libris distincta. In primo agitur ex professo de omnibus Romanis pontificibus ... Cui adiungitur catalogus haereticorum, ... Accedit fragmentum libelli S. Marcelli Romani martyris, B. Petri apostoli discipuli, e peruetusto breuiario MS. Flauiniacensi desumptum, & hactenus ineditum. De disputatione B. Petri & Simonis Magi. Autore R.P.F. Ludouico Iacob a S. Carolo, Cabilonensi, Burgundo, ordinis Carmelitarum alumno, Lugduni: Anisson, LaurentBoissat, Gabriel heritiers, 1643
Jacob, Louis - Traicte des plus belles bibliotheques publiques et particulieres, qui ont este, & qui sont a present dans le monde. Divise en deux parties. Compose par le p. Louys Iacob ... Premiere <-seconde> - A Paris: Le Duc, Rolet, 1644
Jacob, Louis - Bibliographia Parisina, hoc est catalogus omnium librorum Parisijs 1650. inclusiue excusorum / Ludouicus Jacob - Parisiis: Cramoisy, Sebastien & Cramoisy, Gabriel, 1651
Jacob, Louis - R.P. Ludouici Iacob, ... Bibliographia Parisina, hoc est Catalogus omnium librorum Parisiis annis 1643. & 1644. inclusiue excussorum - Parisiis: Le Duc, Rolet, 1645 Jacob, Louis - R.P. Ludouici Iacob, ... Bibliographia Parisina, hoc est Catalogus omnium librorum Parisiis anno 1645. inclusiue excusorum - Parisiis: Le Duc, Rolet, 1646
Jacob, Louis - Bibliographia Parisina, hoc est, Catalogus omnium librorum Parisijs, annis 1647. & 1648. inclusiue excusorum / [Fr. Ludouicus Iacob] - Parisiis: Cramoisy, Sebastien & Cramoisy, Gabriel, 1649
Jacob, Louis - R.P. Ludouici Iacob, ... Bibliographia Gallica vniuersalis, hoc est, Catalogus omnium librorum per vniuersum regnum Galliae annis 1643. 1644. & 1645. excusorum - Parisiis: Le Duc, Rolet, 1646
Jacob, Louis - R.P. Ludouici Iacob, ... Bibliographia Gallica vniuersalis, hoc est, Catalogus omnium librorum per vniuersum Galliae regnum anno 1646. excusorum - Parisiis: Camusat, Jean veuve & Le_Petit, Pierre, 1647
Jacob Louis : de Saint Charles - Bibliotheca pontificia, duobus libri distincta: in primo agitur ... de omnibus Romanis Pontificibus a S. Petro usque a S. D. N. Urbanum VIII. ac de pseudopontificibus, qui scriptis claruerunt. In secundo vero de ominbus Auctoribus, qui cum in generali tum in particulari eorum vitas, & laudes necnon praecellentiam auctoritatemve posteritati consecrarunt. Cui adiungitur Catalogus Haereticorum, qui adversus Romanos Pontifices aliquid ediderunt. Variis & locupletissimis Indicbus exornata. Accedit fragmentum libelli S. Marcelli Romani Martyris, B. Petri & Simonis Magi. Auctore R. P. F., Lugduni: Anisson, Laurent Boissat, Gabriel eredi, 1643
Decimus Magnus Ausonius: Decimus Magnus Ausonius nacque a Bordeaux nel c.310, figlio di un medico compì gli studi a Tolosa e insegnò per trent'anni grammatica e retorica nella città natale (che allora si chiamava Burdigala). Nel c.367 l'imperatore Valentinianus I lo chiamò a Treviri per educare il figlio, Gratianus.
Da entrambi ottenne benefici e cariche, fino ad arrivare alla carica di console (379). In tarda età si convertì al cristianesimo. Morì nel c.395.
La copiosa produzione di Ausonius, in prosa e versi, ha il segno della retorica: spesso è esibizionismo erudito, virtuosismo metrico.
Più fresco è nell'Efemeride (Ephemeris), poemetto in vari metri, che descrive i diversi momenti della giornata del poeta; forse la sua cosa migliore è il Mosella, 483 esametri in cui narra un viaggio fatto lungo questo fiume.
Compose Epigrammi (Epigrammata) soprattutto erotici, vari carmi in onore di Bissula, una schiava germanica.
Restano inoltre 25 lettere in versi, alcune delle quali indirizzate al suo discepolo Paulino da Nola.


Il Monastero viene fondato da Madre Teresa di Gesù, unica erede della nobile famiglia Gimma Calò, per ordine dell’arcivescovo di Bari, Mons. Giulio Vaccaro. Egli decide di intitolarlo “S. Teresa Nuova”, a ricordo del Monastero “S. Teresa delle Donne”, sorto in Bari nel 1646 e poi soppresso. La prima sede della nuova Comunità monastica è proprio la casa natale della Fondatrice, il bellissimo Palazzo Gimma, in piazza Massari. Successivamente, nel 1929, poiché il numero delle religiose consacrate cresceva a vista d’occhio, vennero acquistati alcuni stabili adiacenti e il palazzo venne collegato alla vicina Chiesa di S. Maria degli Angeli. Quindi, nel 1935, fu necessario trasferire la comunità, che contava 35 suore e altre che chiedevano di essere ammesse, in uno stabile ancora più grande e la scelta cadde su un’antica villa circondata da un ampio appezzamento di terreno in contrada “Gratia Montis”, l’attuale via Amendola. Infine nel 1958, essendo divenuto inagibile lo stabile adibito a monastero, venne costruito un nuovo edificio poco distante, l’odierna sede, che sorge in via Amendola, n.128, nel cuore della Città Universitaria (Facoltà di Agraria e Politecnico). Si compone di un Monastero di stretta clausura (vedi foto), circondato da un lussureggiante giardino di fiori, piante e alberi da frutto (vedi foto). Dispone di una bella Chiesa, molto frequentata dai fedeli (vedi foto), di una foresteria e di uno stabile secentesco, un tempo adibito a mensa dei poveri e ora in fase di ristrutturazione. Si conservano alcune antiche immagini di santi appartenute alla famiglia Gimma. Altre sono invece state eseguite dalla stessa Madre Teresa di Gesù. Particolarmente interessante è il Coro, fornito di pregevoli stalli lignei tardo secenteschi dipinti e raffiguranti scene della vita sacra, opera unica nel suo genere (vedi foto). Un quadro della Sacra Famiglia sembra della scuola del Finoglio (vedi foto). La cornice era fissata con spine di rose. Inoltre degne di nota perché risalenti al ‘600 e al ‘700 sono alcune tele e un dipinto su rame[vedi: www.santateresanuova.it]

Cabrera, Alonso : de, Tomo 1.[-2.] de consideraciones en los Euangelios de los domingos de aduiento, y festiuidades que en este tiempo caen, hasta el domingo de la septuagesima por el R.P.M. frai Alonso de Cabrera dela orden de Santo Domingo de la prouincia de Andaluzia .., En Barcelona: Sanchez, Lucas, 1609
Cabrera, Alonso : de, Libro de consideraciones sobre los euangelios, des el domingo de septuagesima, y todos los domingos y ferias de Quaresima, hasta el domingo de la octaua de resurreccion. Composto por el m.r.p. maestro fray Alonso Cabrera ... Con un breue tratado, anadido agora para consuelo de scrupulosos, del mesmo autor. Agora en esta vltima impression va anadido vn sermon predicado por el mesmo autor en la muerte del rey don Phelipe 2. Tomo primero, Graells, Gabriel & Dotil, Gerardo Simon, Juan Amello
Cabrera, Alonso : de, 2: Segunda parte de las consideraciones sobre todos los euangelios de la Quaresima desde el domingo quarto y feris, hasta la octaua de la Resurreccion. Compuesto por el r.m. fray Alonso Cabrera .., En Barcelona: Graells, Gabriel & Dotil, GerardoAmello, Joan, 1606
Cabrera, Alonso : de, Tomo primero [- segundo] de las consideraciones en los Euangelios de los domingos de Aduiento, y festiuidades que en este tiempo caen, hasta el domingo de la Septuagesima. Por el. R.P.M. fray Alonso de Cabrera .., En Caragoca: Sanchez, Lucas, 1610
Cabrera, Alonso : de, 2: Tomo segundo de las consideraciones del Aduiento, desde el dia de la Circuncision de Iesu Christo N.S. hasta el de la Purificacion. Por el R.P.M. fray Alonso de de Cabrera .., En Caragoca, 1610
Cabrera, Alonso : de, Sermon del p. Alonso Cabrera en las honras del serenissimo y catholico rey Filipo segundo, que hizo la villa de Madrid, en S. Domingo el Real, vltimo de otubre de 1598, En Roma: Zannetti, Luigi, 1599
Cabrera, Alonso : de, Libro de consideraciones sobre los euangelios, desde el domingo de septuagesima, y todos los domingos y ferias de Quaresma, hasta el domingo de la octaua de resurreccion. Compuesto por el m.r.p. maestro fray Alonso Cabrera ... Con un breue tratado, anadido agora, Graells, Gabriel & Dotil, Gerardo Bonilla, Juan Amello, Joan
Cabrera, Alonso : de, 2: Segunda. Parte de las consideraciones sobre todos los euangelios de laQuaresima desde el domingo quarto y feris, hasta la octaua de la Resurreccion. Compuesto por el r.p.m. fray Alonso Cabrera .., Impresso en Barcelona: Amello, Joan, 1602


GIULIO CESARE CAPACCIO nacque a Campagna d’Eboli (Salerno) nel 1552 e morì a Napoli nel 1634.
Ricevette una formazione filosofica presso i Domenicani, e conseguì studi giuridici tra Napoli e Bologna.
Tornato a Napoli nel 1575, si dedicò a studi storici con la stesura della Historia neapolitana (Napoli, 1607) e scrisse un trattato di epistolografia, Il Segretario (Roma, 1589).
Curò una sorta di rifacimento della fortunata opera di Alciato Emblemata nel trattato Il Principe (Venezia, 1620), di argomento politico.
L’ultima opera, Il forastiero (Napoli, 1630), riprende tematiche relative alla teorizzazione di uno stato clericale.
Presso la
CBA del Capaccio si conserva La vera antichità di Pozzuolo, descritta da Giulio Cesare Capaccio ... ove con l'historia di tutte le cose che concorrono, si narrano la bellezza di Posilipo, l'origine della città di Pozzuolo, Baia, Miseno, Cuma, Ischia .., In Napoli : appresso Gio. Giacomo Carlino, e Costantino Vitale, 1607 [38], 386, [1] p. : 1 ill. ; 8°. ma a p. 423 (fine) del La Biblioteca Aprosiana... Aprosia elenca, come donatagli da Angelico Aprosio Seniore di Ventimiglia l'opera Delle prediche quadragesimali di Giulio Cesare Capaccio, professor della sacra teologia. Parte prima. , In Napoli : appresso Horatio Saluiani, 1581 (In Napoli : appresso Horatio Saluiani, 1582).
Tra le opere più famose dell'erudito campano sono però da ascrivere: Della selua dei concetti scritturali di Giulio Cesare Capaccio . Parte prima ... , In Venetia : appresso Barezzo Barezzi, e Gioseffo Peluso, 1594, Il Secretario... ed in primo luogo, per le osservazioni sull'emblematica, appunto gli Emblemata.


Lotario della famiglia dei conti di Segni nacque a Gavignano nel 1160. Colto ed austero, Lotario studiò teologia a Parigi, alla prestigiosa scuola del monastero di S. Vittore, poi a Bologna si specializzò in diritto canonico sotto la guida di Uguccione da Pisa. Nel 1189 venne nominato cardinale da Clemente III, poi, alla morte di Celestino III, salì al soglio pontificio con il nome di Innocenzo III, a soli 38 anni, l'8 gennaio 1198. In lui il sapere giuridico si fuse presto con la meditazione ascetica ed una profonda esigenza di purificazione. Queste premesse diedero origine al trattato "De miseria umanae conditionis", più noto con il nome "De contemptu mundi" (il disprezzo del mondo). Convinto assertore della teocrazia, cioè della supremazia del potere spirituale su ogni altra forma di potere, Innocenzo III, valutava attentamente tutti i riflessi politici del suo essere il rappresentante di Cristo sulla terra. Al papa, dunque, spettavano entrambi i poteri, spirituale e temporale, con la facoltà di delegare il potere temporale all'imperatore, semplice braccio secolare della Chiesa. A causa della morte dell'imperatore Enrico VI, si trovò subito a dover prendere posizione fra i tre contendenti alla successione: Ottone di Brunswick, Filippo di Svevia e Federico II di Svevia, ancora bambino. Morto Filippo di Svevia nel 1208, Innocenzo incoronò imperatore Ottone, ma già l'anno successivo lo scomunicò a causa delle pretese avanzate sul regno di Sicilia di cui era legittimo erede Federico II, che la madre, Costanza d'Altavilla, aveva saggiamente posto sotto la tutela papale già dal 1198. Sconfitto nel 1214 a Bouvines, Ottone scomparve dalla scena politica e Federico II rimase l'unico pretendente legittimo al titolo imperiale. Papa Innocenzo si impegnò attivamente anche nel consolidare i confini dello Stato della Chiesa ed il potere effettivo del papato, ottenendo il riconoscimento di molti regni come feudi della Chiesa. La sua attenzione si volse anche alle crociate di cui, tuttavia, perse ben presto il controllo: la IV crociata, infatti, si risolse nella conquista di Costantinopoli a prezzo di violenze tali che costarono la scomunica ai Veneziani, mentre la crociata contro gli Albigesi, il ramo provenzale dell'eresia catara, terminò in un inutile massacro nel 1229 ad opera di Simone di Montfort. Progetto di tutto il pontificato di Innocenzo III fu la riforma morale e disciplinare del clero corrotto e secolarizzato. Il papa diede, infatti, avvio, alla riforma della struttura diocesana della Chiesa e sostenne lo sviluppo degli Ordini francescano e domenicano. Durante un viaggio a Roma S. Francesco gli sottopose la regola che intendeva applicare alla sua nascente comunità monastica. Narrano le cronache francescane che tutti i dubbi di Innocenzo III furono fugati da un sogno in cui il papa vide la chiesa di S. Giovanni in Laterano pericolante sostenuta solo dal santo. Questo episodio è rappresentato nel ciclo di affreschi giotteschi della Basilica superiore di Assisi. L'approvazione della regola francescana da parte di Innocenzo III, tuttavia, fu solo il "primo sigillo" poichè fu pronunciata solo oralmente, senza che a questa seguisse una ufficiale bolla papale. L'approvazione ufficiale (la "seconda corona") venne soltanto nel 1223 ad opera del successore di Innocenzo III. Il 16 luglio 1216, a Perugia Innocenzo III morì di malaria. Sulla cattedra di Pietro salì, dopo soli due giorni, il cardinale Cencio Savelli, con il nome di Onorio III.

Pietro Mangiadore (Manducatore = Petrus Comestor) nacque a Troyes, in Francia, all'inizio del secolo XII e morì nell'abbazia di San Vittore nel 1179, dopo essere stato cancelliere dell'università di Parigi. La sua opera Historia Scholastica, è un commento allegorico alla Bibbia.
Di seguito le opere di Comestor reperite nelle biblioteche italiane:
Petrus : Comestor <12.sec.>, Historia scolastica magistri Petri comestoris sacre scripture breuem nimis et obscuram elucidans nunc post exactam de studiosamque diligentiam reuisa, .. - Venundantur parisius ...Ope atque impensa ... Johannis Petit Parisiensis librarij illic. impressa: Petit, Jean
Petrus : Comestor <12.sec.>, Petri Comestoris Scolastica historia, Liber genesis / edidit Agneta Sylwan, Turnhout - 2005
Petrus : Comestor<12.sec.>, Historia scholastica. Magistri Petri Comestoris historia scholastica magnam sacre scripture partem: que et in serie et in glossis diffusa erat: perbreuiter complectens mendis omnibus post primam editionem seclusis in lucem exit: cum optimis capitulorum quotationibus in margine decenter adiunctis, Impressa lugduni: Crespin, Jean
Petrus : Comestor <12.sec.>, Scholastica historia/ Magistri Petri Comestoris, Lione
Petrus : Comestor <12.sec.>, Historia scholastica magistri Petri comestoris sacre scripture seriem breuem nimis & obscuram elucidans: nunc post exactam studiosamque diligentiam reuisa, ac in marginibus quotationibus capitulorum illustrata. Parisius nouissime impressa, Venundatur Parisius [Parigi]: Regnault, Francois
Adamus : Scotus, Adami Scoti canonici regularis ordinis praemonstratensis opera omnia (...) : accedunt Magistri Petri Comestoris historia scholastica sermones olim sub nomine Petri Comestoris historia scholastica sermones olim sub nomine Petri blesensis editi necnon Godefridi viterbiensis chronicon cui titulus memoriae saeculorum sive Pantheon / accurante J.-P. Migne, Parisiis, 1855
Petrus : Comestor <12.sec.>, Historia scholastica eruditissimi viri. Magistri Petri Comestoris excellens opus. Magnam Sacrae Scripturae partem, quae & in serie, & in glossis crebro diffusa erat, breviter complectens, mendis omnibus post omnes omnium hactenus editiones seclusis in lucem exit. Cum optimis capitulorum quotationibus decenter appositis, Beneventi: Stamperia arcivescovile , 1699
Petrus : Comestor<12.sec.>, Historia scholastica. Eruditissimi viri magistri Petri Comestoris: excellens opus quod Historia Scholastica inscribitur, magnam sacre scripture partem, que & in serie & glossis crebro diffusa erat, breuiter complectens, mendis omnibus post omnes omnium hactenus editiones seclusis, in lucem exit cum optimis capitulorum quotationibus in margine decenter appositis, Impressa Lugduni
Petrus : Comestor <12.sec.>, Scholastica historia magistri Petri comestoris: sacre scripture seriem breuem nimis: et expositam ex ponentis, Hagenaw: Gran, Heinrich Rynman de Oringaw, Joannes
Petrus : Comestor <12.sec.>, Petra Comestora Manducatora Historia Scholastica : cast 2., Kniha Ruth Evangelia (kap. 36.) / kvydani upravil Jan V. Novak, Praze, 1914 Petrus : Comestor <12.sec.>, Historia scholastica magistri Petri comestoris sacre scripture seriem breuem nimis & obscuram elucidans, Argentine Petrus : Comestor <12.sec.>, Petri Comestoris Historia scholastica excellens opus, Venetiis: Bortoli, Antonio, 1729
Adamus : Scotus, 198: Adami Scoti canonici regularis ordinis Praemonstratensis opera omnia. Accedunt magistri Petri Comestoris Historia scholastica, Sermones olim sub nomine Petri Blesensis editi, necnon Godefridi Viterbiensis Chronicon, cui titulus Memoriae saeculorum sive Pantheon / accurante J.-P. Migne, Lutetiae Parisiorum - 1855
Simon : Tornacensis, De sacramentis : textes inedits / Maitre Simon et son groupe ; [a cura di] Henri Weisweiler. Appendice: De sacramentis : texte inedit / Pierre le Mangeur [a cura di], Louvain, 1937


Juan Maldonado: teologo ed esegeta nato nel 1533 a Casas de Reina, nel distretto di Llerena, 66 leghe da Madrid e morto a Roma, il 5 gennaio, 1583.
All'età di quattordici o di quindici che studiò all'università di Salamanca il latino, il greco con Ferman Nuñez (El Pinciano), la filosofia con Toledo (in seguito cardinale ) e la teologia con Padre Domingo Soto.
Maldonado pensò dapprima di dedicarsi alla giurisprudenza ma, persuaso da uno dei suoi compagni, si dedicò alla teologia.
Per un quadriennio studiò le scienze sacre: conseguito il dottorato prese ad insegnare la filosofia, la teologia ed il grecoproprio nell'università di Salamanca.
Entrò quindi nella Compagnia di Gesù il 19 agosto 1562 in Roma e per determinati mesi esaminò i casi di coscienza nell'università romana.
Al Collegio di Clermont a Parigi giunse nell' autunno 1563.
Nel febbraio del 1564, prese a disquisire sul De Anima di Aristotele.
Nel periodo 1565 - 1569 si dedicò esclusivamente alla teologia.
I suoi impegni vennero fermati dall'incerta salute sì che dovette prendere un anno di riposo.
Nel 1570 fu inviato Poitou, dove il Calvinismo si andava affermando prepotentemente: ebbe tanto successo comunque che la gente di Poitiers fece petizione perché venisse aperto un Collegio di gesuiti.
Ritornò quindi ai suoi impegni teologici ed ottenne la conversione al cattolicesimo di vari principi protestanti.
Per esempio riuscì a convertire la duchessa de Bouillon che si era transformata in in una Calvinista
Ebbe altre incombenze, tenne varie dispute e naturalmente si fece molti nemici, sia tra i colleghi universitari che soprattutto fra i Calvinisti.
Il papa, per risparmiargli aspre contese, lo incaricò dell'insegnamento di teologia in Tolosa ma la sua missione fu impedita dai dal Calvinisti che bloccarono le strade che lo avrebbero portato alla novella destinazione: riparò quindi a Bourges per scrivere il suo commento sul Gospels.
Nel 1580 partecipò come elettore alla quarta congregazione generale, a Roma, in cui tenne il discorso di apertura. Acquaviva, che fu scelto quale Generale dell'Ordine gli ordinò di rimanere a Roma e Gregorio XIII lo pose a capo della commissione per la revisione di alcuni testi sacri. Nel 1583, quindici giorni prima della sua morte portò al Generale i suoi commenti non finiti.
Era un uomo di virtù eminente, di intelletto sottile, di memoria eccellente, dalle lettura immense e di grande erudizione: anche per questo fu spesso consultato dai personaggi più illustri di Francia ed fu cercato dal re della Polonia per il bene dei suoi domini. Fu invero accusato di casuali manifestazioni d'impeto e di un'eccessivo attaccamento alle sue idee. Ai suoi tempi la teologia a Parigi era decaduta: prevalevano ormai altri argomenti filosofici ed il latino barbaro.
Maldonado ridiede dignità alle Scritture, ai Padri ed alla teologia relegando i nuovi i filosofi in condizioni subalterne.
Ripropose il Latino elegante dell'antichità ed elaborando uno schema della teologia più completo di quello che era stato in uso, lo adattò ai bisogni della chiesa e della Francia.
Tra le sue opere si rammentano particolarmente i Commentarii in quatuor Evangelistas (appunto citati da Angelico Aprosio) Brescia, 2 vol., 1598: cui seguirono tante altre edizioni (Lione, 1598, 1607, 1615); (Mainz, 1602, 1604); (Parigi, 1617, 1621); (Brescia, 2 vol., 1598), (Venezia 1606) = edizioni moderne: Mainz, 5 vol., 1840; 2 vol., 1853-63; Barcellona 10 vol., 1881-82.


Valderrama, Pedro : de, di cui, sotto voce , parla l'Ossinger scrivendo:
"de Valderrama Petrus, natione Hispanus, Patria Hispalensis, Alumnus Provinciae Bethicae, Filius Coenobii Hispalensis, ad initium Saeculi 17 adhuc vivebat, nam die 15 Septembris 1611 Hispali e vita excessit. Tantam eloquentiae famam obtinuit, ut superiorum aetatum disertissimis Concionatoribus ingenio et facundia par haberetur, zelus vero, Religiosae disciplinae, pacis studium, pietas, prudentia atque doctrina eum ad summum Provinciae gradum honoris extulerunt. Caeterum de re literaria per sequentia ingenii sui monumenta bene promeruit, ejus enim calamo in lingua Hispanica prodierunt:
Exercicios espirituales para todos los dias de la quaresma. Hispali in aede Augustiniana tres tomi 1602, in 4. Barcinone 1604. Olyssippone et Caesar Augustae 1605. Salmanticae 1611 apud Franciscum Clementem, in 4. Venetiis Italice 1609 per Franciscum de Franchis, in 4. Exercicios espirituales para las Domenicas de Adviento. Barcinone 1607. Exercicios espirituales para los tres Domengos de Septuagesima, Sexagesima y Quinquagesima. Barcinone 1607. Olyssippone eodem anno et alibi 1608, in 4. Exercicios espirituales para todas las festividades de los Santos tres partes. Olyssippone 1606, in 4. Barcinone 1607 et Mariti 1608 et 1610, in fol. Apud Alphonsum Martinum. Theatro de las Religiones (id est) Orationes sacrae de omni fere Religiosorum Ordinum Patriarchis, aliisque sanctitate illustribus eorum Sodalibus. [P. 909] Opus posthumum Hispali in nostro Coenobio typis Ludovici de Estupinam 1612. Barcinone 1615, in fol. Venetiis 1616. Conciones per octavam Sanctissimi Sacramenti. Mariale duobus tomis comprehensum. Oratio in Beatificatione B. Ignatii Lojolae. Nicolaus Antonius Hispalensis in Bibliotheca Hispana, tomo II, pag. 198, col. II. Christianus Jöcher in universali Lexico Eruditorum, tomo IV, col. 1397. Thomas Gratianus in Anastasi Augustiniana, pag. 256. Antuerpiae 1613. Cornelius Curtius in Elogiis virorum illustrium Ordinis nostri, pag. 287. Antuerpiae 1636. Thomas de Herrera in Alphabeto Augustiniano, tomo II, pag. 288, col. I. Madriti 1644. Nicolaus Crusenius in Monastico Augustiniano, parte III, cap. 48, pag. 243. Monachii 1623. Philippus Elssius in Encomiastico Augustiniano, pag. 572".
Il Servizio Bibliotecario Nazionale riporta presenti nelle biblioteche italiane le seguenti sue opere:
Valderrama, Pedro : de <1550-1611>, Exercicios espirituales para todos los dias de la Quaresima. Primera, segunda, y tercera parte. Compuesto por el p.m. Pedro de Valderrama, del orden de s. Augustin, En Barcelona, Impresso en Barcelona: Cendrat, Jaime, 1604
Valderrama, Pedro : de <1550-1611>, Teatro de las religiones. Compuesto por el p. maestro fray Pedro de Valderrama .., En Barcelona en la emprenta de Lorenco Deu: Manescal, Miguel Deu, Llorenc, 1615
Valderrama, Pedro : de<1550-1611>, Exercicios espirituales para todos los dias de la quaresima. Primera, segunta, y tercera parte. Compuesto por el p.m.f. Pedro De Valderrama del orden de san Augustini, Impresso en Caragoca: Lavayen, Carlos de, 1606
Valderrama, Pedro : de <1550-1611>, Primera,tercera] parte de los exercicios espirituales para todas las festiuidades de los sanctos. ... Compuesto por el p.m. fray Pedro de Valderrama de la orden de S. Augustin .., En Barcelona, Impresso en Barcelona: Cormellas, Sebastian de, 1607
Valderrama, Pedro : de <1550-1611>, 1: Contiene esta primera parte las quatro Dominicas del Aduiento, y desde la fiesta de San Andres hasta la Annunciation de nuestra Senora. Compuesto por el P.M. fray Pedro de Valderrama .., En Barcelona: Cormellas, Sebastian de, 1607
Valderrama, Pedro : de <1550-1611>, 2: Contiene las fiestas que hay desde la de san Marcos Euangelista hasta la de santa Maria Madalena. Compuesto por le P.M. fray Pedro de Valderrama .., En Barcelona: Cormellas, Sebastian de, 1607
Valderrama, Pedro : de <1550-1611>, 3: Contiene las fiestas que ay desde la del apostol Santiago, hasta la de Santa Catalina. Compuesta por el P.M fray Pedro de Valderrama, .., En Barcelona, Impresso en Barcelona: Cormellas, Sebastian de, 1607
Valderrama, Pedro : de<1550-1611>, Primera,tercera parte de los exercicios espirituales para todas las festuidades de los santos. Compuesto por el P.M,F. Pedro de Valderrama, de la orden de san Augustin, ..., Impresso en Lisboa, 1606
Valderrama, Pedro : de <1550-1611>, Primera (-tercera) parte de los exercicios espirituales para todas las festiuidades de los sanctos. ... Compuesto por el p.m. fray Pedro de Valderrama .., En Barcelona: Cendrat, Jaime, 1607
Valderrama, Pedro : de <1550-1611>, 1: Contiene esta primera parte los quatro dominicas del Aduiento, y desde la fiesta de san Andres hasta la annuncicion de nuestra Senora, En Barcelona: Cendrat, Jaime, 1607
Valderrama, Pedro : de <1550-1611>, 2: Contiene las fiestas que hay desde la de s. Marcos Euangelista, hasta la de santa Maria Madalena, En Barcelona: Graells, Gabriel & Dotil, Gerardo Simon, Juan, 1607
Valderrama, Pedro : de <1550-1611>, 3: Contiene las fiestas que ay desdela del apostol Santiago, hasta la de santa Catalina. Compuesta por el padre fray Pedro de Valderrama, ... Con indices muy copiosos de todas tres partes, .., En Barcelona: Cendrat, Jaime, 1607
Valderrama, Pedro : de <1550-1611>, Exercicios espirituales para los tres domingos de septuagessima, sexagessima, y quinquagessima. Compuesto por el p.m.f. Pedro de Valderrama .., En Barcelona, Impresso en Barcelona: Cormellas, Sebastian de, 1607
Valderrama, Pedro : de <1550-1611>, Il Valderrama quadragesimale diuiso in tre parti per tutti li giorni di quaresima in essercitii spirituali come ancho per le domeniche di settuagesima, sessagesima, e quinquagesima, composti dal m.r.p.m. Pietro di Valderrama ... tradotto dal m.r.p.m. Egidio Gottardi da Rimino ... dalla lingua spagnuola nella nostra italiana: e ricorretto di nuouo con diligentiss. correttione dallo stesso p.m. Egidio Gottardi. Arricchito da diuersi, e dottissimi padri (come dallo stesso) in questa seconda , In Venetia: De Franceschi, Giacomo, 1614
Valderrama, Pedro : de <1550-1611>, Exercicios espirituales, para todos los dias de la Quaresma. Compuesto por el P.M.F Pedro de Valderrama ..., En Barcelona, Impresso en Barcelona: Graells, Gabriel & Dotil, Gerardo Simon, Juan, 1604
Valderrama, Pedro : de <1550-1611>, Exercicios espirituales para todos los dias de la Quaresima. Primera, segunda, y tercera parte. Compuesto por el p.m.f. Pedro de Valder rama ... . Van anadidos en esta postrera impression sermones para los tre domingos antes de Quaresma, y otro del prendimento de Christo, Impresso en Salamanca: Cea Tesa, Francisco de & Ramirez, Antonia vidua Ramirez, Antonia vidua, 1611
Valderrama, Pedro : de <1550-1611>, Il Valderrama quadragesimale diuiso in tre parti, per tutti li giorni di quaresima, in essercitii spirituali, come anco per le domeniche di settuagesima, sessagesima, e e quinquagesima. Composti dal m.r.p.m. Pietro di Valderrama ... Tradotto dal m.r.p.m. Egidio Gottardi da Rimino .., In Venetia: De Franceschi, Giacomo, 1617
Valderrama, Pedro : de <1550-1611>, Il Valderrama quadragesimale et essercitij spirituali per le domeniche di Settuagesima, Sessagesima, e Quinquagesima, & per tutti li giorni di Quaresima; diuiso in tre parti. Composto dal m.r.p.m. Pietro di Valderrama predicatore famosissimo dell'Ordine di s. Agostino. Et dal m.r.p.f. Egidio Gottardi da Rimini teologo e predicatore agostiniano tradotto dalla lingua spagnuola nella nostra italiana. Aggiuntoui cinque copiosissime tauole .., In Venetia: De Franceschi, Giovanni Antonio & De Franceschi, Giacomo, 1609
Valderrama, Pedro : de <1550-1611>, Primera, segunda, y tercera parte de los exercicios espirituales, para todas las festiuidades de los santos. Aoradenueuo emendado, y compuesto por al Maestro F. Pedro de Valderrama... Dedicato a nuestra Senora de Atocha. Loque se contiene en este libro se vera en la segunda hoja, En Madrid: Martin de Balboa, Alonso, 1608
Valderrama, Pedro : de <1550-1611>, Exercicios espirituales para los tres domingos de septuagesima, sexagesima, y quinquagesima. Compuesto por ... Pedro de Valderrama .., En Barcelona, Impresso en Barcelona: Simon, Juan, 1608


JACQUES, DE VITRI ("VITRIACO"), Sermones in epistolas, et evangelia dominicalia totius anni / authore reverendissimo D. Iacobo de Vitriaco, Venetiis : apud Giordanum Zilettum, 1578. - 1405 str. ; 22 cm.


Gottardi, Egidio , Predica del b. Andrea Auellino chierico regolare. Nouellamente beatificato dalla santita di n.s. papa Vrbano 8. Fatta dal m.r.p. maestro Egidio Gottardi da Rimino ... il di 10. nouembre 1624. nella chiesa delli rr.pp. Teatini ..., In Rimino : per Giouanni Simbeni
Valderrama, Pedro : de <1550-1611>, Il Valderrama quadragesimale diuiso in tre parti per tutti li giorni di quaresima in essercitii spirituali come ancho per le domeniche di settuagesima, sessagesima, e quinquagesima, composti dal m.r.p.m. Pietro di Valderrama ... tradotto dal m.r.p.m. Egidio Gottardi da Rimino ... dalla lingua spagnuola nella nostra italiana: e ricorretto di nuouo con diligentiss. correttione dallo stesso p.m. Egidio Gottardi. Arricchito da diuersi, e dottissimi padri (come dallo stesso) in questa seconda, In Venetia: De Franceschi, Giacomo, 1614
Valderrama, Pedro : de <1550-1611>, Il Valderrama quadragesimale diuiso in tre parti, per tutti li giorni di quaresima, in essercitii spirituali, come anco per le domeniche di settuagesima, sessagesima, e quinquagesima. Composti dal m.r.p.m. Pietro di Valderrama ... Tradotto dal m.r.p.m. Egidio Gottardi da Rimino .., In Venetia: De Franceschi, Giacomo, 1617
Valderrama, Pedro : de <1550-1611>, Il Valderrama quadragesimale et essercitij spirituali per le domeniche di Settuagesima, Sessagesima, e Quinquagesima, & per tutti li giorni di Quaresima; diuiso in tre parti. Composto dal m.r.p.m. Pietro di Valderrama predicatore famosissimo dell\'Ordine di s. Agostino. Et dal m.r.p.f. Egidio Gottardi da Rimini teologo e predicatore agostiniano tradotto dalla lingua spagnuola nella nostra italiana. Aggiuntoui cinque copiosissime tauole .., In Venetia: De Franceschi, Giovanni Antonio & De Franceschi, Giacomo, 1609

Sanchez, Gaspar <1554-1628>, Gasparis Sanctii Centumputeolani ... In duodecim prophetas minores & Baruch commentarii cum paraphrasi, Lugduni: Cardon, Jacques & Cavellat, Pierre, 1621
Sanchez, Gaspar <1554-1628>, R.P. Gasparis Sanchez ... Conciones, in dominicis, et feriis quadragesimae, in quibus frequentius conciones haberi solent. ... Venetiis : apud Paulum Vgolinum, 1601, Ugolino Paolo
Sanchez, Gaspar, Gasparis Sanctii ... In Canticum canticorum comentarij. Cum expositione Psalmi 67. Quem in Canticis respexisse videtur Salomon, Lugduni: Cardon, Horace <1.>, 1616
Sanchez, Gaspar <1554-1628>, Gasparis Sanctij Centumputeolani e Societate iesu ... Commentarij in actus apostolorum. Accessit disputatio de Sancti Iacobi & Pauli apostolorum in Hispaniam aduentu, Lugduni: Cardon, Horace <1.>, 1616
Sanchez, Gaspar <1554-1628>, Gasparis Sanctii Centumputeolani ... In quatuor libros regum & duos Paralipomenon Commentarii. Indicibus cum Locorum Scripturae, Regularum, & Prouerbiorum, formarumque prouerbialium, tum rerum memorabilium illustrati, Antuerpiae: Keerberghen, Jan van, 1624
Sanchez, Gaspar <1554-1628>, Conciones, in dominicis, et feriis quadragesimae, in quibus frequentius conciones haberi solent: r.p. Gaspare Sanchez, Societatis Iesu auctore: in eorum dierum afferuntur tres, vel quatuor conciones, & in vnaquaque earum complures discursus, ad loca varia communia pertinentes. Opus sane omnibus concionatoribus desiderabile: etin |] hac, Venetiis: Farri, Domenico eredi, 1608
Sanchez, Gaspar<1554-1628>, Gasparis Sanctij Centumputeolani e Societate Iesu ... In Canticum canticorum commentarij. Cum expositione Psalmi 67. Quem in Canticis respexisse videtur Salomon, Lugduni: Cardon, Horace <1.>, 1616
Sanchez, Gaspar <1554-1628>, Gasparis Sanctii Centumputeolani, ... In libros Ruth, Esdrae, Nehemiae, Tobiae, Iudith, Esther, Machabaeorum commentarij, Lugduni: Cardon, Jacques, 1628
Sanchez, Gaspar <1554-1628>, R.P. Gasparis Sanchez ... Conciones, in dominicis, et feriis Quadragesimae, in quibus frequentius conciones haberi solent. .., Brixiae: Compagnia Bresciana, 1600
Sanchez, Gaspar <1554-1628>, R.P. Gasparis Sanchez ... Conciones, in dominicis, et feriis Quadragesimae, in quibus frequentius conciones haberi solent. .., Brixiae: Compagnia Bresciana, 1599
(Sanchez, Gaspar <1554-1628>, Gasparis Sanctij Centumputeolani, e Societate Iesu theologi, ... In libros Ruth, Esdrae, Nehemiae, Tobiae, Iudith, Esther, Machabaeorum Commentarij, Lugduni: Cardon, Jacques & Cavellat, Pierre, 1627
Sanchez, Gaspar <1554-1628>, Gasparis Sanctii Centumputeolani, ... In Ieremiam prophetam commentarii cum paraphrasi. Accessit explicatio Psalmi 136. Paraphrasis item poetica ad Threnos, & eundem psalmum, Lugduni: Cardon, Horace <1.>, 1618
Sanchez, Gaspar <1554-1628>, Gasparis Sanctii, Centumputeolani ... In librum Iob commentarii cum paraphrasi, Lugduni: Cardon, Jacques & Cavellat, Pierre, 1625
Sanchez, Gaspar <1554-1628>, Gasparis Sanctii, Centumputeolani, ... In Ezechielem & Danielem prophetas commentarij cum paraphrasi, Lugduni: Cardon, Horace <1.>, 1619
Sanchez, Gaspar <1554-1628>, Gasparis Sanctii Centumputeolani, ... In quatuor Libros regum, & duos Paralipomenon, commentarii, Lugduni: Cardon, Jacques & Cavellat, Pierre, 1623
Sanchez, Gaspar <1554-1628>, Gasparis Sanctii Centumputeolani, ... In Isaiam prophetam commentarii cum paraphrasi, Lugduni: Cardon, Horace <1.>, 1615
Sanchez, Gaspar <1554-1628>, R.p. Gasparis Sanctii ... In Isaiam prophetam commentarii cum paraphrasi, & indicibus vtilissimis. .., Moguntiae: Schonwetter, Johann Theobald, 1616
Sanchez, Gaspar<1554-1628>, Gasparis sanctii Centumputeolani ... Commentarii in actus apostolorum. Accessit disputatio de sancti Iacobi & Pauli apostolorum in Hispaniam aduentu, Coloniae Agrippinae, 1617
Sanchez, Gaspar <1554-1628>, Gasparis Sanctij Centumputeolani e Societate Iesu theologi, In Collegio Complutensi sacrarum literar In Zachariam prophetam commentarij cum paraphrasi. Nunc primum euulgati cum tribus indicibus vtilissimis.- Lugduni : apud Horatium Cardon, 1616, Cardon, Horace <1.>


Sibilla, Bartolomeo <15.sec.>, Speculum peregrinarum quaestionum eruditissimi viri Bartholomei sybille Monopolitani: ... Tres decades complectens: in quibus varie quaestiones de animalibus rationalibus in coniuncto: & separati. .., Impressum Lugduni: Myt, Jacques
Cafaro, Costantino, Speculum peregrinarum quaestionum forensium decisarum. Authore Constantino Cafaro .. , Neapoli: Paci, Giovanni Francesco, 1665
Sibilla, Bartolomeo <15.sec.>, Speculum peregrinarum quaestionum, Fr. Bartholomaei Sybillae Monopolitani, ... In quo, de animabus, de coelo, inferno, purgatorio de alijs scitu dignissimis (varijs quaestionibus, per tres decades) pertractatur. Denuo reuisum, ac postrema hac edictione ab omnibus diligentissime, ... Per R.P.Fr. Cyprianum Guidum Lucensem .., Venetiis: Zaltieri, Marco Antonio, 1587
Sibilla, Bartolomeo<15.sec.>, Speculum peregrinarum questionum. eruditissimi viri Bartholomei Sibille ... Tres decades complectens in quibus varie questiones de animabus rationalibus in coniuncto: & separatis. deque angelis bonis & malis: multisque alijs scitu dignissimis: & ad ipsas responsiones ponuntur. Ex vastis & viuacissimis theologorum: iurispontificum: philosophorum ac astrologorum: campis & floribus excerptum. ..., Venundantur Lugd., Impressum Lugduni: Myt, Jacques Gabiano, Scipion
Sibilla, Bartolomeo <15.sec.>, Speculum peregrinarum quaestionum, fr. Bartholomaei Sybillae Monopolitani,... iIn quo, De animabus, De coelo,... Denuo revisum, et postrema hac edictione... Per R. P. F Cyprianum Guidum Lucensem...Cum indice quaestionum, & rerum memorabilium, nuper emisso, Venetiis: Bertano, Pietro, 1609
Sibilla, Bartolomeo <15.sec.>, Speculum peregrinarum quaestionum, F. Bartholomaei Sybillae Monopolitani ... Multis olim mendis castigatum, & uariis additionibus F. Raffaelis Maffei Veneti Seruitae illustrius redditum,Venetiis: Bertano, Giovanni Antonio, 1582


Tasso, Faustino , De' sermoni in honore della beata Vergine, sopra l'euangelio, exurgens Maria abijt in Montana. E sopra il Magnificat anima mea Dominum. Del R.P. Faustino Tasso, de' Minori osseruanti, libro primo -secondo. ..., In Venetia: Somasco, Giovanni Battista <1.>, 1587-1589
Tasso, Faustino , Oratione della felicita, e del sommo bene, del R.P. Faustino Tasso de minori osseruanti, da lui composta, e publicamente recitata in Vinetia nell'accademia d'Vranici .., In Vinetia: Imberti, Domenico, 1587
Tasso, Faustino , Le historie de' successi de' nostri tempi, del R. P. Faustino Tasso vinitiano de' minori osseruanti, diuise in tredici libri. Nelle quali si contengono tumulti, ribellioni, seditioni, tradimenti, ... & altre cose occorse fra catolici, & heretici, dal fine dell'anno 1561 fino al principio dell'anno 1580. ..., Guerra, Domenico & Guerra, Giovanni Battista
Tasso, Faustino , Venti ragionamenti familiari sopra la venuta del Messia del r.p. Faustino Tasso minore osseruante fatti in Napoli ad alcuni hebrei ... l'anno 1575 : ne' quali con l'autorita de' teologi christ. e de' rabbini hebr. si dichiarano i piu importanti misterij della Santiss. Trinita, & i piu secreti sacramenti della venuta del Messia ..., In Venetia: Rampazetto, Giovanni Antonio, 1585
Tasso, Faustino , Il primo [-secondo] libro delle rime toscane del R. Faustino Tasso vinitiano academico detto il Somerso. Raccolte da diuersi luoghi, & date in luce da Girolamo Campeggio. .., In Turino, Stampato in Turino: Dolce, Francesco & C., 1573
Minadoi, Giovanni Tommaso , Io Thomae Minadoi ... Philodicus, siue de ptisana, eiusue cremore, pleuriticis propinando, dialogus. ... Nunc vero ab erroribus quamplurimus emendatus, ac meliori typo donatus, per R.P. Faustinum Tassum, ..., Venetiis: Guerra, Domenico & Guerra, Giovanni Battista, 1587
Cino : da Pistoia, Delle rime toscane dell'eccell.mo Cino Sigibaldi da Pistoia raccolte ... e date in luce dal r.p. Faustino Tasso... Libro primo, In Venetia: Imberti, Giovanni Domenico, 1589
Tasso, Faustino , Venti ragionamenti familiari sopra la venuta del Messia. Del R.P. Faustino Tasso, minore osseruante. Fatti in Napoli ad alcuni hebrei ... l'anno 1575. ... Con due tavole: vna de ragionamenti; l'altra delle materie notabili .., In Venetia: Somasco, Giovanni Battista <1.>Rampazetto, Giovanni Antonio, 1585
Tasso, Faustino , Della conuersione del peccatore, del r.p. Faustino Tasso Vinitiano, dell'Ordine osseruante di s. Francesco, libro primo -terzo..., In Venetia: Guerra, Domenico & Guerra, Giovanni Battista, 1578
Tasso, Faustino , Parafrase sopra i sette salmi penitentiali. Del R. P. Faustino Tasso ... Con gli argomenti nel principio de tutti i Salmi, & una diuotissima oratione nel fine ... Con sette essercitij spirituali ..., In Venetia: Farri, Domenico, 1591


Ennio: Quinto Ennio nacque nel 239 a.C. a Rudiae (vicino Lecce) un posto intriso di cultura greca. Ennio giunse a Roma a quasi settant'anni nel 204 a.C. in piena seconda guerra punica. A condurlo con sè secondo la tradizione fu Catone che lo incontrò in Sardegna. A Roma Ennio svolse attività di insegnante ma presto nel 190 si affermò come autore scenico. Nel 189-187 accompagna Marco Fulvio Nobiliore in Grecia con l'incombenza di illustrare nei suoi versi la campagna militare. A questa vittoria 189 Ennio dedica una praetexta , Ennio sarà favorito dalla famiglia di Nobiliore e degli Scipioni. Riceverà una grossa ricompensa, la cittadinanza romana. Negli ultimi anni della sua vita si dedicò alla stesura degli Annales il poema epico che gli darà fama indiscussa a Roma. Ci restano una ventina di titoli di coturnate e un numero assai ricco di citazioni parecchie in Cicerone. È rimasta traccia di due praetextae, l'Ambracia e le Sabinae, una di argomento contemporaneo e una legata alla leggenda storica.
Delle commedie ci rimangono due titoli oltretutto incerti la Caupuncula (ostessa) e Pancratiastes (lottatore).
Il capolavoro di Ennio sono gli Annales poema epico in esametri che in diciotto libri, narrava la storia di Roma: ce ne restano 437 frammenti per un totale di 600 versi. Poi c'è una larga varietà di opere minori:
Hedyphagètica (il mangiar bene); Sota ; Quattro libri di Saturae ; Lo Scipio... Sicura è anche la composizione di epigrammi in distici elegiaci.
Ennio fu fecondo poeta di teatro con una produzione che si estende fino alla morte (Thyestes 169).
Fu l'ultimo poeta latino a coltivare insieme tragedia e commedia. La sua mediocrità come poeta comico fu già notata dagli antichi.
Fu grande nella tragedia, il suo poeta preferito era Euripide del V secolo il più aperto all'introspezione psicologica e alle situazioni di maggiore passionalità.
Da Euripide tradusse con grande libertà molte tragedie soprattutto quelle del ciclo troiano.
Da Eschilo derivò le Eumènides e forse gli Hectoris litra, da Sofocle derivò probabilmente l'Aiace.

Marco Terenzio Varrone (Reate, oggi Rieti, in Sabina, nel 116 - 27 a.C.)
L'elemento più significativo della vita di V. è sicuramente la sua longevità, che lo mette in condizione di assistere agli eventi che vanno dal comparire di Mario sulla scena politica all'ascesa di Augusto.
Studiò a Roma e ad Atene. Difensore della tradizione (secondo, potremmo dire, quasi il dettato genetico della sua origine sabina), si schierò dalla parte di Pompeo, ricoprendo la carica di tribuno della plebe e, in seguito, quella di pretore, senza peraltro proseguire e concludere il suo "cursus honorum". Cesare gli perdonò e gli affidò addirittura la biblioteca pubblica che intendeva instaurare in Roma: la scelta proprio di V. potrebbe spiegare la valenza politica del progetto cesariano: il mondo nuovo che dittatore sta realizzando si preoccupa di mantenere la memoria del passato per trasmetterla ai posteri. Pare, infine, che V. sia stato anche consigliere di Augusto per le questioni religiose.
Opere
Ancor più che come poeta moralizzante, V. agì sul suo tempo come erudito. La sua riflessione si estese a tutti i campi che si presentavano agli "antiquari" del suo secolo, in una sorta di "summa" enciclopedica del sapere in lingua latina dagli inizi della storia di Roma fino all'età repubblicana: dal passato della lingua latina ("De lingua latina") alla storia letteraria di Roma ("De poetis", "De poematis", eccetera, con particolare riguardo per i problemi sollevati dal teatro di Plauto), alla religione romana e alla "vetustà" delle istituzioni e dei costumi profani ("Antiquitates"), fino al diritto (15 libri di diritto civile), alla cronologia generale, alla genealogia delle famiglie nobili, passando ancora per la geografia, l'agricoltura ("De re rustica"), la geometria, l'aritmetica, per concludere infine con un quadro dei differenti sistemi filosofici.
Ecco, nello specifico, i contenuti delle opere maggiori, di cui purtroppo spesso conserviamo solo i titoli o scarsi frammenti:
- De rustica. In 3 libri: il I tratta dell’agricoltura in generale; il II dell’allevamento del bestiame; il III degli animali da villa e da cortile.
Non destinata all’istruzione pratica del fattore (se non nelle apparenze), ma scritta piuttosto per alimentare e compiacere l’ideologia (tradizionalmente romana) del ricco proprietario terriero - secondo il presupposto del processo di concentrazione delle terre - l’opera in qualche modo "estetizza" la vita agricola: essa testimonia anche il cambiamento profondo dell'ideale di "agricola", definitivamente trasformatosi in gentiluomo di campagna, che conosce tutti gli aspetti della gestione di un'azienda, ma non ha più alcun diretto contatto col lavoro dei campi.
Altre caratteristiche dell'opera sono: la profonda conoscenza della materia, la formula dialogica - spesso briosa ed arguta, quando non è soffocata dall’erudizione - e l’amore per la sana vita dei campi.
- Antiquitates rerum humanarum et divinarum. In 41 libri: da S. Agostino, che ce ne ha conservato lo schema strutturale, apprendiamo che essa si divideva in due parti, dedicate la I alle antichità profane (libri 1-25), la II a quelle sacre (libri 26-41). La storia - come è qui concepita - è soprattutto storia di costumi, di istituzioni, e anche di "mentalità"; è la storia collettiva del popolo romano, sentito come un organismo unitario in evoluzione.
- Imagines. Quest'opera, conosciuta anche sotto il titolo di "Hebdomades", è in 15 libri e consta di 700 ritratti di uomini illustri, latini e greci, accompagnato ognuno da un elogio in versi e da una notizia in prosa, disposti in 7 su un foglio e distribuiti in diverse categorie: capitani, politici, poeti, ecc…
- De lingua latina. Primo trattato sistematico di grammatica latina, l'opera era divisa in 3 parti: sull’etimologia (libri II-VII), la teoria delle declinazioni (VIII-XIII) e la sintassi (XIV-XXV).
Dei libri superstiti (V-X), i primi 3 parlano dunque di etimologia, mentre gli altri della flessione, e in particolare discutono la questione, allora in voga, dell’ "anomalia" e dell’ "analogia" (ovvero, la prevalenza, nei fenomeni linguistici, dell'uso o della norma). V. propende sostanzialmente per la seconda opzione.
- Logistorici. In 76 libri, è una serie di "trattatelli", che affrontavano argomenti storici e filosofici con ampia documentazione: ogni libro recava come titolo il nome di un personaggio storico, seguito dall'indicazione del tema trattato, ad es. "Marius, de fortuna", "Catus, de liberis educandi"…
- Disciplinarum libri IX. In 9 libri, è una vera e propria enciclopedia delle arti liberali, che si occupava di grammatica, dialettica, geometria, aritmetica, astrologia, musica, medicina in forma organica e manualistica;
- Saturae Menippeae. In 150 libri, in chiave etico-didascalica, ad emulazione dei prosimetri di Menippeo di Gàdara (filosofo cinico, severo fustigatore dei corrotti costumi), ma anche vicine alla tradizione satirica romana. Dai frammenti superstiti, si comprende come l'autore abbia trovato, nella forma aperta (per contenuti, lingua e metro) caratteristica di questo genere, il mezzo ideale per esprimere la propria visione del mondo, volta alla idealizzazione della purezza di costumi del passato.

Eraclito di Efeso (Efeso 535 a.C. - 475 a.C.) uno fra i più importanti filosofi presocratici della Grecia. Di Eraclito di Efeso si hanno pochissime notizie riguardanti la vita, e delle sua opera filosofica sono sopravvissuti soltanto pochi frammenti. Per questo il suo pensiero risulta particolarmente difficile da comprendere, ed è stato interpretato nei modi più diversi. Eraclito, inoltre, aveva fama di cripticità già nella sua epoca. Ad esempio, Aristotele, che si suppone abbia letto integralmente l'opera di Eraclito, lo definisce "l'oscuro". Di famiglia aristocratica, il pensiero di Eraclito sembra risentire di tale ambiente sociale: “Uno è per me diecimila, se è il migliore”.
Il suo pensiero filosofico è volto a tenere una posizione alternativa rispetto al naturalismo della scuola di Talete, Anassimandro e Anassimene sul tema della natura ultima della realtà.
Eraclito è comunemente definito come il filosofo che sostiene che solo il cambiamento e il movimento siano reali e che l'identità delle cose uguali a sé stesse sia illusoria. Nella vulgata filosofica Eraclito è il pensatore del tutto scorre (panta rei) e del fuoco che sarebbe l'elemento da cui deriva ciò che ci circonda.
Il pensiero
Dell'opera di Eraclito ci rimangono frammenti sparsi, in forma di aforismi oracolari.
Gli svegli e i dormienti (Eraclito, un pensiero aristocratico)
Alla base del pensiero filosofico di Eraclito c’è la contrapposizione fra la mentalità degli uomini comuni, i dormienti appunto, e i filosofi, che rappresentano gli svegli, ossia quelle persone, che, andando oltre le apparenze, sanno cogliere il senso intriseco delle cose. Eraclito intende per filosofi tutti quelli che sanno indagare a fondo la loro anima, che, essendo illimitata, offre all’interrogando la possibilità di una ricerca altrettanto infinita. Il pensiero eracliteo è aristocratico, quindi, in quanto Eraclito definisce la maggioranza degli uomini superficiali, poiché tendono a dormire in un sonno mentale profondo che non permette loro di comprendere le leggi autentiche del mondo circostante.
Teoria del divenire (Panta rei come Essere)
Altra chiave importante per cercare di avvicinarsi il più possibile al pensiero filosofico eracliteo è senza dubbio la teoria del divenire. Tutto il mondo viene considerato come un enorme flusso perenne nel quale nessuna cosa è mai la stessa poiché tutto si trasforma ed è in una continua evoluzione. Per questi motivi, Eraclito identifica la forma dell’Essere nel Divenire, dacché ogni cosa è soggetta al tempo e alla sua relativa trasformazione. Eraclito sostiene che solo il cambiamento e il movimento siano reali e che l'identità delle cose uguali a se stesse sia illusoria: per Eraclito tutto scorre (panta rei).
A proposito del divenire, Eraclito ha detto: "Nessun uomo può bagnarsi nello stesso fiume per due volte, perché né l'uomo né le acque del fiume sono gli stessi". In realtà il famoso motto "panta rei" non è attestato nei frammenti di Eraclito giunti fino a noi ed è probabilmente da attribuirsi al suo discepolo Cratilo che svilupperà il pensiero del maestro, estremizzandolo. Ma la formula lessicale "panta rei" verrà coniata ed utilizzata la prima volta solo da Simplicio in Phys., 1313, 11. La teoria di Eraclito è alternativa all'ontologia di Parmenide, il filosofo dell'unità e dell'identità dell'Essere, il quale insegna ai suoi allievi che il cambiamento è un'illusione, un abbaglio, e che ogni cosa è fondamentalmente statica.
La dottrina dei contrari
La dottrina dell’unità dei contrari è forse l’aspetto più originale del pensiero filosofico eracliteo. La legge segreta del mondo risiede nel rapporto di interdipendenza di due concetti opposti, che, in quanto tali, lottano fra di loro ma, nello stesso tempo, non possono fare a meno l’uno dell’altro dato che vivono solo l’uno in virtù dell’altro. Quindi niente esisterebbe se allo stesso tempo non esistesse anche il suo opposto.
Infatti possiamo notare che, nel caso in cui ci trovassimo di fronte una salita e vedessimo un nostro amico al di sopra di essa, quello ci direbbe che è una discesa. Si crea così una specie di armonia fra i due contrari. Inoltre molti di essi sono soggettivi come il caldo e il freddo. In questa dualità, guerra fra i contrari (polemòs) in superficie, ma armonia in profondità, Eraclito vide quello che lui definiva il logos, la legge universale della Natura.
L'archè
I primi filosofi greci cercavano l'"archè" negli enti della realtà sensibile, a partire da Talete il cui unico frammento pervenutoci afferma che "l'archè è l'acqua". È costante nella filosofia antica la consapevolezza che le cose derivano da un principio che in quanto tale è unico, ingenerato e imperituro, indivisibile ed immutabile.
La dottrina delle quattro essenze fondamentali della Terra (acqua, vento, aria, fuoco) fornisce gli elementi tra i quali i primi filosofi greci scelsero l'"archè", i più generali tra i costituenti del mondo sensibile. Platone mostrerà che l'archè del sensibile sono le idee iperuraniche, e che dunque non può essere trovata nemmeno nei costituenti fondamentali, e che il sensibile postula l'esistenza di una realtà trascendente che lo causa.
Aristotele affermò che l'archè Influenza su autori successivi
Nel passaggio da Parmenide ed Eraclito a Platone, Hegel intravide la dialettica fondamentale della filosofia greca. La filosofia di Parmenide per Hegel è riassumibile con la frase "tutto è, nulla diviene" (tesi), mentre quella di Eraclito "tutto diviene, nulla è" (antitesi). Il primo è il filosofo dell'essere, mentre il secondo quello del "panta rei". Il momento di sintesi è Platone che mostrerà che il non-essere esiste solo in senso relativo e darà un fondamento filosofico al senso greco del divenire.
Frammenti
Universalità del lògos
Ascoltando non me, ma il logos, è saggio convenire che tutto è uno (DK 22 B 50)
Logos
Il principio è il lògos (Apertura del "De Rerum Natura")
Di questo lògos che è sempre gli uomini non hanno intelligenza, sia prima di averlo ascoltato sia subito dopo averlo ascoltato; benché infatti tutte le cose accadano secondo questo lògos, essi assomigliano a persone inesperte, pur provandosi in parole e in opere tali quali sono quelle che io spiego, distinguendo secondo natura ciascuna cosa e dicendo com'è. Ma agli altri uomini rimane celato ciò che fanno da svegli, allo stesso modo che non sono coscienti di ciò che fanno dormendo. (DK 22 B 1)
La teoria del divenire
A chi discende nello stesso fiume sopraggiungono acque sempre nuove. Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell'impetuosità e della velocità del mutamento, si disperde e si raccoglie, viene e va. Negli stessi fiumi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo. (DK 22 B 49 a)
La dottrina dei contrari
L'opposto concorde e dei discordi bellissima armonia. (DK 22 B 8)
La guerra
Polemos è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dei e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi.
Bisogna però sapere che la guerra è comune (a tutte le cose), che la giustizia è contesa e che tutto accade secondo contesa e necessità
. (DK 22 B 53 e B 80)
Il fuoco
Il dio è giorno notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame, e muta come il fuoco quando si mescola ai profumi e prende nome dall'aroma di ognuno di essi (DK 22 B 68)
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Roberto di Molesme
Dalla data della morte, avvenuta nel 1111, quando aveva circa 83 anni, possiamo dedurre l'anno di nascita: 1028 o 1029. La famiglia era della zona del Tonnerois ed è lì che ricevette la sua formazione. Roberto abbracciò la vita religiosa nell'abbazia di Montier-la-Celle presso Troyes all'età di quindici anni. Ben presto divenne priore claustrale, probabilmente nell'anno 1050. Verso il 1068 i monaci di Saint Michel di Tonnerre elessero Roberto come abate, il quale accettò di buon grado e cercò di introdurre varie riforme. Scontrandosi con la resistenza dei monaci, fu costretto a ritornare al suo monastero di appartenenza, a Troyes e subito dopo fu eletto priore di Saint Ayoul. Ma anche qui la sua permanenza fu breve: nel 1074 realizzò il suo desiderio di vita eremitica ritirandosi nei boschi di Collan. Presto altri eremiti si radunarono attorno a lui e il gruppo divenne così numeroso da consigliare Ia fondazione di un monastero. Gli eremiti di Collan, a loro volta, grazie alla intercessione del papa Gregorio VII, ottennero che Roberto fosse eletto loro priore. Nel 1075 Roberto fonda la nuova sede degli eremiti a Molesme, iniziando ad introdurre quelle riforme, come il cenobitismo puro di San Benedetto, che saranno alla base del movimento cistercense. Sull'esempio di Molesme le chiese cistercensi saranno dedicate alla Madre di Dio. Portare in onore il lavoro manuale fu un altro punto importante del programma di Roberto. Sicuramente l'ideale di Molesme racchiudeva il germe di Cîteaux e quest'ultimo fu il fiorire normale, logico e storico, del primo. Dal 1081 in poi, passato un periodo di estrema povertà, l'abbazia vedeva aumentare la zona di influenza spirituale e le donazioni dei signori della zona. Nel 1085 Molesme è un'abbazia potente e ricca. Questo provoca nei monaci una rilassatezza dell'osservanza. Resosi conto del cambiamento, Roberto cercò di ripristinare l'antico rigore, ma senza successo. Per questo motivo Roberto si stabilì ad Auch presso un gruppo di eremiti, ma nel 1094 dopo circa cinque anni, fu costretto da una lettera di papa Urbano II a riprendere il pastorale abbaziale a Molesme. Questi atti pontifici confermano la conoscenza e la stima di cui godeva Roberto presso i suoi e i grandi della religione. Tornato a Molesme, Roberto intraprese nuovamente il ripristino della disciplina. A poco a poco alcuni punti della Regola di San Benedetto caduti in disuso furono nuovamente introdotti. Fra i più ferventi animatori della nuova corrente si trovò il monaco Alberico. Roberto si trovò però di fronte all'opposizione di altri monaci che erano contrari a seguire rigidamente la Regola. Così dopo un periodo di difficile convivenza, Roberto, con venti monaci, fra cui Stefano e Alberico, ottenne l'autorizzazione a lasciare Molesme e fondare una nuova abbazia nel 1098, in un luogo donato da Eudes I, chiamato "Cistellum", da cui il nome di Cîteaux. Avevano la concessione per la caccia, la pesca, il pascolo, il taglio del bosco e la coltivazione. Questa esenzione da ogni influenza del potere secolare permetteva una vita dedicata interamente a Dio, secondo la Regola benedettina. I cistercensi, grazie al loro modo di vivere che costituiva l'ammirazione di tutti, godevano del favore dei potenti, prelati e signori. Molesme intanto era caduta in disgrazia, e i monaci si rivolsero ai superiori per riavere Roberto come abate. La loro richiesta fu accolta, così nel 1099 alla riunione di Port-d'Anselle fu deciso il ritorno di Roberto a Molesme. Roberto non avendo altra scelta, all'età di 70 anni, tornò nella sua vecchia abbazia, non senza sofferenza per dover lasciare il luogo che era il coronamento dei suoi sforzi. Durante i dodici anni che gli sarebbero rimasti rialzò il livello della sua comunità a tal punto che essa acquistò una grande fama. Roberto morì il 17 aprile 1111 dopo una esistenza dedicata alla vita monastica.
Sant' Alberico di Citeaux Abate
Non abbiamo notizie intorno alla sua nascita e ai primi anni. Ancor giovane, , si pose sotto il governo di Roberto di Molesme, che era allora superiore di un gruppo di solitari a Colane, non distante da Tonnerre. Non prestandosi però il luogo allo sviluppo di una comunità, nel 1075 Roberto, Alberico e gli altri si ritirarono a Molesme, nella diocesi di Langres, dove fondarono un monastero, di cui Roberto fu abate e Alberico priore. Ben presto il fervore degli inizi, per colpa dei lasciti e delle donazioni si trasformò in indisciplina e ribellione, al punto che l'abate, non riuscendo a riportare l'ordine, si allontanò. Il peso del monastero restò tutto sul priore, che, a sua volta, fiancheggiato dal monaco inglese Stefano Harding, tentò di ristabilire la disciplina. Si ebbe ingiurie e contumelie, carcere e prigione, cosicché fu costretto, come il suo superiore, ad andarsene insieme con Stefano. Ma le cose non tardarono a comporsi. I monaci, pentiti, riebbero Roberto come abate, A. come priore e Stefano come sottopriore. L'osservanza rifiorì. Nondimeno i tre santi monaci, desiderosi di maggior solitudine, formularono ed attuarono il progetto di ritirarsi a Citeaux, nella diocesi di Chalons-sur-Saone, per fondarvi un nuovo ordine. L'abbandono di Molesme avvenne nel 1098. Li seguirono altri ventuno monaci. L'inizio fu assai penoso, perché occorreva disboscare il terreno per avere terra da seminare e così provvedere al sostentamento della nuova famiglia monastica. Per ordine di Urbano II, a cui i religiosi di Molesme si erano rivolti reclamando il loro abate, s. Roberto dovette presto lasciare Citeaux; gli succedette Alberico, che non poté sottrarsi all'unanime voto dei compagni. Prevedendo la tempesta che si sarebbe scatenata contro il nuovo monastero da parte dei monasteri rilassati, si premurò di chiedere a Pasquale II la protezione apostolica e l'esenzione dall'autorità vescovile e da ogni ingerenza laica, privilegi che il papa accordò con una bolla del 15 ott. 1100, indirizzata allo stesso Alberico. Devotissimo alla Madonna, la elesse a Patrona del suo monastero, consacrandolo a Lei, che gli apparve più volte, assicurandolo del grande incremento che avrebbe avuto il suo istituto e della Sua assistenza e protezione. In seguito ad una visione, cambiò l'abito dei suoi religiosi da nero in bianco. La devozione alla Madonna, di cui i Cistercensi si fecero promotori, ebbe inizio nell'Ordine proprio da s. Alberico. Chiuse la sua vita il 26 genn. 1108 con una santa morte. Vecchio e macerato dalle penitenze, dal lavoro e dalle lunghe preghiere notturne, che aggiungeva all'Opus Dei, il suo volto s'illuminò di luce celestiale al Sancta Maria delle litanie dei Santi, rendendo il suo spirito. Non mancarono miracoli dopo la sua morte, come se ne erano avuti quando era in vita. Il breviario cistercense, molto restio all'introduzione di feste di santi e beati, accettò assai tardi la sua festa; peraltro, fu ritenuto santo fin dal tempo della sua morte e con tale qualifica nominato da ìutti quelli che hanno scritto sulle origini cistercensi. Nel Menologium Cisterciense dell'Henriquez il 26 gennaio si ha un lungo elogio del santo, di cui parlò il Baronio, nelle note al suo Martirologio, il 29 aprile, giorno della morte di s. Roberto, primo abate di Citeaux.
Stefano Harding
Nacque verso il 1059 in Inghilterra. La sua famiglia era dell'alta nobiltà inglese. Trascorso il periodo del noviziato nell'abbazia benedettina di Sherborne, si recò in Francia per completare gli studi nelle scuole delle maggiori cattedrali francesi. Verso il 1085, ritornando da un pellegrinaggio a Roma si fermò, insieme al suo compagno di viaggio, all'abbazia di Molesme. Entrambi divennero monaci sotto la direzione dell'abate Roberto. Stefano era convinto che lo scopo ed il significato dei voti religiosi era quello di assicurare la propria salvezza e di dare gloria a Dio con l'osservanza della Regola. (Quando questo scopo non si realizzava, allora Stefano consigliava di lasciare il monastero e di recarsi altrove, ove questo fosse possibile raggiungerlo.) Si associò ben presto ai più fervorosi che desideravano una vita più austera e fece parte dei 21 monaci che fondarono Cîteaux. Egli aveva una personalità adatta per essere il braccio destro del proprio abate nelle trattative presso le autorità. Nessuno meglio di lui poteva esporre e difendere la causa della riforma, né sopportare le fatiche dei viaggi, dato che era un ex pellegrino, né conoscere gli usi della corte, dato che discendeva da una famiglia nobile. Durante la sua vita dovette spesso correre di qua e di là sia per contrattare la raccolta di manoscritti e testi liturgici, sia per migliorare lo stato finanziario della propria abbazia ed instaurare nuove fondazioni. Divenuto abate, ebbe subito la fiducia dei nobili vicini, che con le loro donazioni accrebbero la proprietà del monastero, proprio quando le vocazioni cominciavano a farsi numerose. Si volle però premunire dal rischio di ritornare alla situazione di Molesme e proibì ai donatori di venire a visitare il monastero per trattenervisi con la loro corte a scopo devozionale e interruppe le "riunioni di corte" che si tenevano molte volte all'anno in corrispondenza delle feste principali. Questa misura radicale, in contrasto con gli usi del tempo, non gli alienò la simpatia e l'aiuto dei potenti. Per quanto riguarda l'innovazione liturgica Stefano e i suoi fratelli decisero di bandire dall'oratorio tutto ciò che risentiva di ricchezza od ornamento superfluo. Stefano era uno studioso: migliorò la liturgia facendo anche ricerche, difficili per quei tempi, per avere degli inni autentici di sant'Ambrogio; curò le ricerche accurate dei libri della Bibbia, anche sui testi ebraici originali con l'aiuto di Rabbini eruditi e il risultato fu una preziosa Bibbia che fece miniare dallo scriptorium di Cîteaux e che è giunta fino a noi. Seguirono altri lavori come la trascrizione, sempre riccamente miniata, dei Moralia in Job di san Gregorio Magno, opere che furono tra i capolavori dell'epoca. Grande merito di Stefano fu comunque quello di aver redatto la Carta di Carità , nel 1119, grazie alla quale si potettero risolvere i problemi di ordine giuridico che si crearono in seguito alla fondazione di nuove abbazie, agevolandone lo sviluppo. Grazie a questa Carta si ebbe una crescita del numero delle fondazioni cistercensi costante, tanto che verso il 1150 l'Ordine contava circa cinquecento nuove abbazie. Verso il 1150 comparsero le monache dell'Ordine di Cîteaux. Fu una conseguenza dell'aggregazione, nel 1147 della piccola congregazione d'Obazine, che comprendeva anche un'abbazia di monache. In generale l'osservanza seguita dalle monache della congregazione era assimilabile a quelle di Cluny. Gli abati cistercensi dovevano limitarsi a offrire loro oltre all'aiuto materiale, il loro appoggio morale, esclusa la direzione spirituale regolare.


Nei suoi contemporanei Tommaso d'Aquino lasciò un ricordo profondo e indelebile, per la finezza e acutezza della sua intelligenza, per la grandezza e originalità del suo genio.
Guglielmo di Tocco, il suo primo biografo [ Tommaso : d'Aquino - Summa totius theologiae S. Thomae de Aquino doctoris angelici ... Cum commentariis et opusculis R.D.D. Thomae de Vio Caietani ... Eruditissima fr. Chrysostomi Iauelli commentaria ... Formales elucidationes ... per R.P.F. Seraphinum Capponi a Porrecta ... Augustini Hunnaei Axiomata de sacramentis ecclesiae, atque eiusdem catechismus. ... Sex indices vniuersales ... autorisque vita, R.P.F. Gulielmo de Thocco authore ... nunc primum edita. ..., Venetiis: Giunta, 1588 = Tocco, Guglielmo : de, Ystoria sancti Thome de Aquino de Guillaume de Tocco (1323) / Edition critique, introduction et notes Claire le Brun-Gouanvic Toronto, 1996] sottolinea la straordinaria originalità di san Tommaso in tutto ciò che faceva: "Fra' Tommaso proponeva nelle sue lezioni problemi nuovi, scopriva nuovi metodi, impiegava nuove concatenazioni di prove, e nell'udirlo spiegare, poiché proponeva una nuova dottrina con nuovi argomenti, non si poteva dubitare che Dio, attraverso l'irradiarsi di questa nuova luce e la novità di questa ispirazione, gli avesse fatto dono dell'insegnamento, in parole e scritti, di una nuova dottrina".


COS = dal latino cos = "pietra dura, pietra da affilare, levigare"> giuoco linguistico per alludere alla proprietà di Aprosio senior nel raffinare gli animi a recepire i buoni sentimenti e ad estrinsecarli contestualmente ai doni di una cultura assai lavorata e forgiata con lo studio e le buone lettere.


CAPPONI, Serafino, (vedi qui il Compendium theologicae veritatis beati Alberti Magni Ratisponensis episcopi septem libris digestum : cum centenario codice Alberti nomine sub sereniss, duce Venetiarum insignito collatum & expurgatum : cum scholiis utilissimis / per R.P.F. Seraphynum Caponi ... ; indici quadruplici pro studiosis & praedicatoribus coornatum, Venetiis : apud Ioannem Baptistam Somascum, 1584. - [32], 547, [53] p. ; 8°) ebbe Il nome di famiglia Capponi ma venne denominato Porrecta dal luogo di nascita (1536): morì quindi a Bologna, il 2 gennaio, 1614, dopo esser entrato nell' ordine domenicano sempre a Bologna nel 1552. La sua vita è stata dedicata interamente allo studio, all'insegnamento, alla scrittura ed alla predica. Il suo miglior lavoro fu forse un commento della "Summa" di S Tommaso.
Scrisse pure commenti importanti sui libri di vecchio e nuovi testamento.
Nel 1606, il Capponi fu invitato ad insegnare teologia in un monastero vicino a Bologna, ma morì appena due anni dopo.
Michele Pio, che ne scrisse labiografia, dichiarò che l'ultimo giorno della sua vita il Porrecta finalizzò la sua spiegazione sull'ultimo verso dei Salmi.
La gente di Bologna lo venerò addirittura come santo: il suo corpo venne esumato (1615) dalla seppelliterra della Comunità onde venir posto in una chiesa domenicana.


GIOVANNI CRISOSTOMO (345 ca.-407): nato ad Antiochia intorno al 345 da famiglia cristiana agiata, Giovanni seguì inizialmente l'insegnamento retorico di Libanio, per poi abbandonare la vita di avvocato e retore ritirandosi, fino al 378, sui monti della Siria.
Tornato in patria, Giovanni seguì la carriera ecclesiastica: ordinato sacerdote nel 386, fu un ottimo predicatore, coadiuvando il vescovo Flaviano fino al 397, dopo cui fu ordinato vescovo e patriarca di Costantinopoli.
Il suo costante e coraggioso impegno contro la corruzione della corte di Arcadio e di sua moglie Eudossia gli valsero l'ostilità dell'imperatrice; inoltre il patriarca di Alessandria, Teofilo, riunì un sinodo a Calcedonia, alla fine del 403, per deporre Giovanni dalla carica patriarcale nella capitale.
Condannato dall'imperatore all'esilio in Bitinia, Giovanni fu ben presto richiamato a furor di popolo; tuttavia un nuovo attacco al sovrano causò la rottura definitiva e l'esilio di Giovanni a Cucusa, una borgata dell'Isauria, nel 404.
A Cucusa Giovanni passò tre anni di fervida attività, finché un nuovo ordine di spostamento sul Mar Nero, a Pitiunte, non lo costrinse ad un faticoso viaggio, che lo stremò, fermandolo a Comana, in Cappadocia, dove morì il 14 settembre del 407.
Dopo trent'anni, dichiarato santo e venerato come "Crisostomo" (Bocca d'Oro), Giovanni fu riportato a Costantinopoli e sepolto, per ironia della sorte, accanto ad Arcadio ed Eudossia.
Tra le circa 650 omelie a noi pervenute - molte spurie -, che dettero al Crisostomo l'appellativo con cui era destinato a divenire famoso nell'età bizantina, si possono distinguere alcuni gruppi tematici: - Contro i giudei: sono 8 omelie pronunciate tra il 386 ed il 387, contro i cristiani che si lasciavano affascinare dalle feste ebraiche.
Rivelano un forte antisemitismo e evidenziano la potenza politica degli ebrei di Antiochia.
- Sull'incomprensibilità di Dio: 5 omelie contro gli anomeisti, che negavano, estremizzando l'arianesimo, la consustanzialità del Figlio e del Padre.
Giovanni afferma, sulle orme dei Padri Cappadoci, l'impenetrabilità di Dio alla ragione umana, che deve arrendersi di fronte al mistero della Trinità senza cercare di penetrarlo e quindi rinunciando ad ipotesi necessariamente imperfette.
- Sulle statue: 21 discorsi del 387, rivolti alla plebe di Antiochia, che si era ribellata all'aumento delle tasse imposto da Teodosio per risanare le casse imperiali e ne aveva abbattuto le statue.
Di fronte alla minaccia di ritorsioni da parte dell'imperatore si posero sia Giovanni che il suo maestro Libanio.
Il Crisostomo, incoraggiando i fedeli, nel contempo critica le passioni eccessive che portano alle rivolte e attacca gli spettacoli licenziosi.
- Catechesi battesimali: ampia serie di discorsi del 390, atti a preparare i catecumeni al battesimo, sono una preziosa testimonianza della liturgia battesimale del IV secolo.
- Omelie esegetiche: sono interpretazioni su Genesi e Salmi da una parte, e sui Vangeli, gli Atti e le lettere paoline dall'altro.
Rifiutando l'interpretazione allegorica, Giovanni scorge nei testi insegnamenti morali pratici e diretti al miglioramento della vita interiore di tutti i giorni.
- Ad Eutropio: 2 omelie del 399 in difesa del potente ed arrogante favorito dell'imperatore Arcadio caduto in disgrazia, che Giovanni generosamente difende mostrandogli l'instabilità della gloria umana.
- Omelie costantinopolitane: una prima, pronunciata prima di partire per l'esilio, nel 403, cerca di calmare i fedeli mostrando loro che comunque la Chiesa è invincibile e le distanze non separano pastore e fedeli.
La seconda omelia ringrazia i fedeli per il ritorno dall'esilio ed esalta la castità della Chiesa, che ha respinto le calunnie contro l'autore.
Composti prima dell'ordinazione sacerdotale i suoi Trattati mostrano forti influssi dell'insegnamento retorico di Libanio nell'accuratezza formale e nella scelta di un lessico vicino a quello demostenico e platonico.
- Esortazione a Teodoro: è un protrettico alla vita monastica rivolto ad un amico che aveva abbandonato il monachesimo.
- Contro gli avversari della vita monastica: trattato in 3 libri, ispirato per contenuto e forma ai dialoghi platonici e diretto contro gli attacchi anti-ascetici di pagani e cristiani.
- Paragone tra il monaco ed il sovrano: sviluppo cristiano del celebre parallelo platonico tra filosofo e tiranno, poi ripreso nelle filosofie ellenistiche.
Giovanni sostituisce al saggio stoico l'asceta cristiano.
- A Stagirio: discorso consolatorio per un amico vittima degli eccessi della vita ascetica, risente molto del topos classico della consolatio.
- Sul sacerdozio: capolavoro tra i trattati del Crisostomo, è un dialogo di struttura platonico-ciceroniana, diviso in 6 libri, di cui i più importanti sono IV-VI, improntati a definire l'eloquenza cristiana, di cui modello è san Paolo, ed a stabilire come massima regola di vita sacerdotale l'impegno non solo ascetico, cioè volto a stabilire la perfezione interiore, ma anche sociale, rivolto a migliorare la società.
Documento dell'esilio di Giovanni negli ultimi quattro anni di vita, le 236 lettere sono preziose testimonianze degli eventi di cui l'autore fu testimone e vittima e ci offrono un documento del suo fervore sacerdotale.
L'immensa produzione di Giovanni Crisostomo (occupa ben 17 grossi volumi nell'edizione della Patrologia Graeca del Migne) è il massimo prodotto dell'eloquenza cristiana antica.
La sua vasta cultura retorica e filosofica è visibile già nell'impostazione del discorso: Platone è modello principe per la struttura dei trattati, mentre Demostene fa da modulo portante per le orazioni volte a convincere e polemizzare.
Sono però presenti anche numerose reminiscenze che improntano lo stile ed il lessico al più puro e lineare atticismo, privo di gonfiezze ed ornamenti eccessivi.
Ma se nel suo maestro Libanio questi modelli restavano puri espedienti ornamentali, Giovanni può ben meritare il soprannome di "Bocca d'Oro" (Crisostomo) perché ne ha fatto momento irrinunciabile di espressione di verità profondamente radicate nella sua personalità di uomo e sacerdote attento ai bisogni dei fedeli ed alla grave crisi in cui si trovò ad operare.
Le qualità morali e letterarie che ancora oggi si ammirano nell'eloquenza crisostomiana trovano ulteriore conferma nell'alto impegno da lui profuso contro gli eccessi morali, criticati come causa unica del diffuso pauperismo dell'epoca: proprio dei conflitti e delle sperequazioni del tardo IV secolo è Giovanni, più che il suo maestro Libanio, ad offrire un quadro letterariamente e documentaristicamente più soddisfacente per i moderni.

Nobili, Flaminio <1532-1590>, Flaminii Nobilii ... Quaestiones logicae ad Cosmum Medicem Florentinorum, .., Lucae: Busdraghi, Vincenzo, 1562
Nobili, Flaminio <1532-1590>, Trattato dell'amore humano composto, & donato ha gia molti anni da M. Flaminio Nobili all'illustriss. & eccellentiss. signor prencipe di Firenze, & di Siena, In Lucca: Busdraghi, Vincenzo, 1567
Ioannes : Chrysostomus, Diui Ioannis Chrysostomi archiepiscopi Constantinopolitani Opera, quaecumque in hunc diem Latio donata noscuntur, omnia ... in quinque tomos digesta ... His accesserunt notationes d. Flaminii Nobilii ... et aliquot homiliae nondum impressae ... Cum duobus indicibus ..., Venetiis: Giunta, Lucantonio <2.>Nicolini da Sabbio, Domenico, 1583
Ioannes : Chrysostomus, Diui Ioannis Chrysostomi archiepiscopi Constantinopolitani Opera, quaecumque in hunc diem Latio donata noscuntur, omnia ... in quinque tomos digesta ... his accesserunt notationes d. Flaminij Nobilij ... Et aliquot homiliae nondum impressae ... Cum duobus indicibus ..., Venetiis: Sessa, Melchiorre <1.> eredi Nicolini da Sabbio, Domenico, 1583
Ioannes : Chrysostomus, Diui Ioannis Chrysostomi archiepiscopi Constantinopolitani Opera, quaecumque in hunc diem Latio donata noscuntur, omnia, cum ad collationem Latinorum codicum mirae antiquitatis, tum ad Graecorum exemplarium fidem innumeris pene locis natiuae integritati restituta, vix vlli aestimandis laboribus virorum linguae vtriusque insigniter callentium: in quinque tomos digesta. Per sacrae theologiae magistros valde insignes accurate visa, correcta, expurgata. His accesserunt notationes d. Flaminij, Venetiis: Ziletti, Francesco Nicolini da Sabbio, Domenico, 1583
Ioannes : Chrysostomus, Sancti Ioannis Chrysostomi Sermones in epistolam diui Pauli ad Philippenses multo et pleniores, et emendatiores quam antehac impressi fuerint. Flaminio Nobilio interprete. Notationes in eiusdem patris sententias, quae aut interpretis, aut exemplarium uitio pias laedere aures possunt. D. Basilij Magni epistolae duae. Beati Maximi Monachi, et confessoris sermo ad pietatem exercens ..., Romae: Angeli, Giuseppe, 1578
Nobili, Flaminio <1532-1590>, Cardinalis breuis. institutio. A. Fl. No. olim. Italico. sermone scripta, in gratiam sereniss. magni Hetruriae ducis Ferdinandi Medicis cum a Pio 4. P.M. esset adolesce adolescens in numerum S.R.E. cardinalium cooptatus: & nunc primum in Romanam conuersa lingua, a Iosepho Auria Neapolitano. ..., Romae: Paolini, StefanoFacii, Lepido, 1602
Nobili, Flaminio<1532-1590>, Flaminii Nobilii De praedestinatione libri duo. In quibus multae, & perobscurae sacrarum litterarum sententiae ex antiquorum patrum auctoritate explicantur. ..., Romae, apud haeredes Antonij Bladij: Blado, Antonio eredi, 1581
Nobili, Flaminio <1532-1590>, Trattato dell'amore humano dell'eccellente signor Flaminio Nobili. Con alcuni discorsi del medesimo sopra le piu importanti quistioni in materia d'honore. dai quali si si vede come un vero cauagliero si debba reglare nelle sue attioni. Con due tauole delle cose notabili, che in esssi si contengono. .., Stampato in Bologna: Bonardo, PellegrinoGiannotti, Emilio, 1580
Nobili, Flaminio <1532-1590>, Discorsi di Flaminio Nobili sopra le piu importanti quistioni in materia dell'onore, di bel nuovo ristampati, e diligentemente corretti, contenendosi in essi bellissimi documenti per impedire le vendette co' duelli ..., In Napoli: Ricciardo, Francesco, 1727
Nobili, Flaminio <1532-1590>, Meditatione sopra il Pater noster et l'Aue Maria. Del sig. Flaminio Nobili, In Vercelli: , Francesco, 1591
, Vetus Testamentum secundum 70. Latine redditum et ex auctoritate Sixti 5. pont. max. editum Additus est index dictionum & loquutionum hebraicarum, graecarum, latinarum, quarum obseruatio visa est non inutilis futura, Romae: Stamperia del Popolo RomanoFerrari, Giorgio, 1588
Ioannes : Chrysostomus, Sancti Ioannis Chrysostomi Sermones in epistolam diui Pauli ad Philippenses multo et pleniores, et emendatiores quam antehac impressi fuerint. Flaminio Nobilio interprete ... D. Basilij Magni Epistolae duae. Beati Maximi monachi, & confessoris Sermo ad pietatem exercens. ..., Romae: De Angelis, Giuseppe, 1578
Ioannes : Chrysostomus, Sancti patris nostri Ioannis Chrysostomi ... Homiliae tres grauissimae, atque vtilissimae, Latine nunc primum editae, Flaminio Nobilio interprete, ..., Romae: Bericchia, Giacomo, 1589
Nobili, Flaminio <1532-1590>, I sette salmi penitentiali con vna breue, et chiara spositione, secondo quel sentimento, che conuiene ad vn penitente, senza allontanarsi dal letterale. I salmi della compieta ... Meditatione sopra il Magnificat ... Del signor Flaminio Nobili, In Vercelli: Bonati, Francesco, 1590
Ioannes : Chrysostomus, Sancti Io. Chrysostomi Epistolae duae ad viduam iuniorem, numquam antehac impressae. Vna de minuendo luctu, altera de non iterando coniugio. Flaminio Nobilio interprete,Romae: Blado, Antonio eredi, 1576
Nobili, Flaminio <1532-1590>, De rebus gestis Stephani 1. regis Poloniae magni ducis Lithuaniae, etc. contra magnum Moschorum ducem narratio. Edictum regium &c. ad milites / Flaminius Nobilius!, Romae: Blado, Antonio eredi, 1582
Nobili, Flaminio<1532-1590>, I sette salmi penitentiali con una breue, et chiara spositione, secondo quel sentimento, che conuiene ad un penitente, senza allontanarsi dal letterale. I salmi della compieta ... Meditatione sopra il Magnificat ... del sig. Flaminio Nobili. Con Privilegio, In Vercelli: Bonati, Francesco, 1590
Nobili, Flaminio <1532-1590>, Flaminii Nobili Lucensis ... De hominis felicitate libri tres. Ad Pium quartum pontificem maximum. De vera, & falsa voluptate libri duo. De honore liber unus .., Lucae: Busdrago, Vincenzo, 1563
Nobili, Flaminio <1532-1590>, Flaminii Nobilii De honore. Ad Franciscum Medicem florentinorum, et senensium principem. Liber, Lucae : apud Vincentium Busdragum, 1563
I sette salmi penitentiali con vna breue et chiara spositione ... del signor Flaminio Nobili, In Venetia: Nicolini da Sabbio, Domenico, 1583
Aristoteles, Aristotelis De generatione, & interitu liber primus, a Flaminio Nobilio in Latinam linguam conuersus, et simplici primum verborum explanatione, deinde quaestionibus copiosissimis ad finem cuiusque capitis appositis illustratus. .., Lucae: Busdraghi, Vincenzo, 1567
Ioannes : Chrysostomus, Diui Ioannis Chrysostomi archiepiscopi Constantinopolitani Opera, quaecumque in hunc diem Latio donata noscuntur, omnia, cum ad collationem latinorum codicum mirae antiquitatis, tum ad graecorum exemplarium fidem innumeris pene locis natiuae integritati restituta, vix vlli aestimandis laboribus virorum linguae vtriusque insigniter callentium: in quinque tomos digesta. Per sacrae theologiae magistros valde insignes accurate visa, correcta, expurgata. His accesserunt notationes d. Flaminij Venetiis: Nicolini da Sabbio, Domenico, 1583
Nobili, Flaminio <1532-1590>, Flaminii Nobilii ... De hominis felicitate libri tres. Ad Pium quartum pontificem maximum. De vera, & falsa voluptate libri duo. De honore liber unus. ..., Lucae: Busdraghi, Vincenzo, 1563
Aristoteles, Aristotelis De generatione, et interitu. Liber primus -secundus. A Flaminio Nobilio in Latinam linguam conuersus, et ... illustratus, Patauii: Tozzi, Pietro Paolo & Speroni, Giovanni soci, 1596-1598


CHIESE MEDIOEVALI ENTRO LE MURA DI ROMA
S. Sisto Vecchio - Rione Celio, piazza Numa Pompilio
.
La chiesa è denominata S. Sisto Vecchio, per distinguerla dalla nuova chiesa nel rione Monti intitolata ai Ss. Domenico e Sisto, dove le domenicane di S. Sisto si trasferirono nel sec. XVIII. La prima menzione della chiesa di S. Sisto Vecchio è nel Liber Pontificalis, in cui si ricorda che papa Anastasio I (399-401) fecit autem et basilicam, quae dicitur "Crescentiana" in regione II, via Mamurtini, in urbe Roma; ove la via Mamurtini (da correggere in via Mamertina) è da identificare con l'attuale via Druso. La denominazione di titulus Crescentianae compare ancora nel 499 mentre a partire dal 595 essa è sostituita dall'intitolazione a S. Sisto.
La basilica paleocristiana (sec. IV) era a tre navate divise da arcate poggianti su ventiquattro colonne, di cui sei (di granito bigio con capitelli a foglie d'acqua e pulvini) sono ancora in situ; altre colonne e capitelli sono state riadoperate nel monastero; la chiesa primitiva aveva il pavimento in opus sectile a m. 3,45 sotto l'attuale e misurava m. 47,40 x 17,80. La navata centrale, alta m. 13,25, era illuminata da dodici finestre per parte. L'antica abside, priva di calotta, era coperta a tetto e vi erano praticate tre finestre. La facciata, preceduta da un quadriportico, era costituita da una trifora sormontata da tre finestrema fu modificata al tempo di Adriano I (772-795).
La chiesa ebbe importanti donazioni al tempo di Leone III (802-806) e Gregorio IV (827-844) e poi subì una radicale trasformazione sotto Innocenzo III (1198-1216); la fabbrica paleocristiana, parzialmente interrata, fu ricostruita a livello più alto (oltre due metri) ad unica navata e in proporzioni più piccole; dell'antico edificio si conservò soltanto l'abside (che fu decorata con importanti affreschi ancor oggi visibili) e si eresse ex novo il campanile.
A partire dal sec. XIII, la storia di S. Sisto si intreccia con quella del vicino monastero di S. Maria in Tempulo ; nel 1219 affidò la chiesa di S. Sisto a s. Domenico che, nel 1220-21, vi trasferì le Suore Domenicane, primo ordine monastico di clausura: molte di loro provenivano dal Monasterium Tempuli. Esse condussero con loro ingenti ricchezze e la famosa icona di S. Maria in Tempulo: premesse queste necessarie affinché l'impresa avviata da s. Domenico avesse successo. Le Tempoline trasferirono a S. Sisto anche la loro storia, gli usi liturgici greci seguiti dalla comunità fin dalle sue origini, come la recita per cento volte al giorno per tutto l'anno del Kirie elison e del Kristi eleison, tradizione che proseguì fino al 1793. L'icona continuò ad essere venerata in questo nuovo monastero, e vi rimase per 356 anni: oggi si trova in S. Maria del Rosario a Monte Mario, col titolo di Nostra Signora del Rosario. II Catalogo di Torino delle chiese di Roma (al numero 278 della numerazione) rende noto che intorno al 1320 nel monastero risiedevano settanta monache e sedici frati predicatori.
La chiesa fu restaurata sotto Sisto IV (1471-1484: di questo restauro resta, non in situ, la porta principale marmorea con l'iscrizione commemorativa), sotto Gregorio XIII (1572-1585) - epoca in cui fu anche costruito il chiostro che fiancheggia la chiesa - e sotto Benedetto XIII. Con la Rivoluzione Francese l'edificio decadde. Dopo alterne vicende, nel 1892 il complesso risorse grazie alla iniziativa di una terziaria domenicana, Maria Antonia Lalia, che ottenne l'autorizzazione di fondarvi una nuova Congregazione di Suore Domenicane, che è tuttora fiorente. A seguito dei restauri effettuati negli anni 1930-35 furono scavati i resti della basilica primitiva, ulteriormente esplorati nel 1967-68.
Un importante ciclo di affreschi è stato individuato nella stretta intercapedine tra l'abside dell'epoca di Innocenzo III e quella creata nel corso degli interventi quattrocenteschi. Gli affreschi sono divisi in due parti dall'inserimento dell'abside posteriore.
Nella parte sinistra dell'abside sono malamente visibili una serie di Santi e un pannello con angeli oranti; segue una Pentecoste e una duplice scena relativa alla Vita di s. Caterina da Siena con accanto un santo martire e due santi giovani.
Nella parte destra sono una mezza figura di santo, una Presentazione della Vergine al Tempio, rappresentazioni di quattro santi. Le scene della Vita di s. Caterina e queste ultime rappresentazioni di Santi sono da ascrivere ad un maestro che ha operato tra la fine del sec. XIV e l'inizio del successivo, mentre tutti gli altri affreschi risalgono alla prima metà del sec. XIV: in particolare gli angeli oranti sono stati datati ai primi anni del secolo, mentre agli anni intorno al 1320 dovrebbero risalire i santi e i due pannelli della Presentazione al tempio e della Pentecoste che si collocano nell'ambito della bottega di Pietro Cavallini.
Accanto alla chiesa è il chiostro in cui sono visibili parti decorative della chiesa paleocristiana. Sul lato destro è l'ingresso alla Sala Capitolare con portale e due finestre a bifora; in essa si conservano quattro colonne della chiesa primitiva (due con i capitelli originali). Sull'ala del chiostro dalla parte della chiesa, affiorano archi, colonne e capitelli della chiesa primitiva.



SUPER EXORDIUM CISTERCIENSIS COENOBII
3 Nos cistercienses, primi huius ecclesiae fundatores, successoribus nostris stilo praesenti notificamus: quam canonice, quanta auctoritate, a quibus etiam personis, quibus temporibus, coenobium et tenor vitae illorum exordium sumpserit; 4 ut huius rei propalata sincera veritate, tenacius et locum et observantiam sanctae regulae in eo a nobis per Dei gratiam utcumque inchoatam ament, 5 pro nobisque, qui pondus diei et aestus indefesse sustinuimus, orent, 6 in arta et angusta via quam regula demonstrat, usque ad exhalationem spiritus desudent, 7 quatinus deposita carnis sarcina, in requie sempiterna feliciter pausent.
Incipiunt capitula 1 Exordium cisterciensis coenobii
2 Epistola Hugonis legati.
3 De egressu cisterciensium monachorum de Molismo, et de adventu eorum ad Cistercium, et de monasterio quod inceperunt.
4 Quomodo locus ille in abbatiam surrexerit.
5 Quod Molismenses aures domini Papae pro redditu Roberti abbatis inquietaverint.
6 Epistola domni Papae pro reditu abbatis.
7 Decretura legati de toto negocio molismensium atque cisterciensium.
8 Commendatio abbatis Roberti.
9 De electione Alberici primi abbatis cisterciensis ecclesiae.
10 De privilegio romano.
11 Epistola Iohannis et Benedicti cardinalium.
12 Epistola Hugonis lugdunensis.
13 Epistola episcopi cabilonensis.
14 Privilegium romanum.
15 Instituta monachorum cisterciensium de Molismo venientium.
16 De tristitia eorum.
17 De morte primi abbatis et promotione secundi, et de institutis atque laetitia eorum.
18 De abbatiis.
I
Exordium cisterciensis coenobii
2 ANNO ab incarnatione domini millesimo nonagesimo octavo, beatae memoriae Robertus molismensis ecclesiae in episcopatu lingonensi fundatae primus abbas, et quidam eiusdem coenobii fratres, ad venerabilem Hugonem tunc apostolicae sedis legatum ac lugdunensis ecclesiae archiepiscopum venerunt, vitam suam sub custodia sanctae regulae patris Benedicti se ordinaturos pollicentes, 3 et idcirco ad hoc liberius exequendum, ut eis et sui iuvaminis apostolica auctoritatea robur porrigeret, constanter flagitantes.
4 Quorum votis legatus ille laetanter favens, tali epistola exordii eorum fundamentum iecit.
II
Epistola Hugonis legati
2 HUGO, lugdunensis archiepiscopus et sedis apostolicae legatus, Roberto molismensi abbati et fratribus cum eo secundum regulam sancti Benedicti Deo servire cupientibus.
3 NOTUM sit omnibus de sanctae matris ecclesiae profectu gaudentibus, vos et quosdam filios vestros molismensis coenobii fratres, Lugduni in nostra praesentia astitisse, ac regulae beatissimi Benedicti, quam illuc hucusque tepide ac negligenter in eodem monasterio tenueratis, artius deinceps atque perfectius inhaerere velle professos fuisse. 4 Quod quia in loco praedicto, pluribus impedientibus causis, constat adimpleri non posse, nos utriusque partis saluti, videlicet inde recedentium atque illic remanentium, providentes, in locum alium, quem vobis divina largitas designaverit, vos declinare, ibique salubrius atque quietius domino famulari, utile diximus fore. 5 Vobis ergo tunc praesentibus - Roberto abbati, fratribus quoque Alberico, Odoni, Iohanni, Stephano, Letaldo et Petro - sed et omnibus quos regulariter et communi consilio vobis sociare decreveritis, hoc sanctum. propositum servare et tunc consuluimus.
6 ET ut in hoc perseveretis praecipimus, et auctoritate apostolica per sigilii nostri impressionem in perpetuum confirmamus.
III
De egressu cisterciensium monachorum de Molismo, et de adventu eorum ad Cistercium, et de monasterio quod inceperunt
2 POST haec, tali ac tanta antedictus abbas et sui auctoritate freti, Molismum redierunt, et de illo religioso fratrum collegio socios votum in regula habentes elegerunt, ita ut inter eos qui legato Lugduni fuerant locuti, et illos qui de coenobio vocati, viginti et unus monachi essent; talique stipati comitatu, ad heremum, quae Cistercium dicebatur, alacriter tetenderunt. 3 Qui locus in episcopatu Cabilonensi situs, et pro nemoris spinarumque tunc temporis opacitate accessui hominum insolitus, a solis feris inhabitabatur. 4 Ad quem viri Dei venientes, locumque illum religioni quara animo iamiamque conceperant, et propter quam illuc advenerant habiliorem, quanto saecularibus despicabiliorem et inaccessibilem intelligentes, 5 nemoris et spinarum densitate praecisa ac remota, monasterium ibidem voluntate cabilonensis episcopi, et consensu illius cuius locus erat, construere coeperunt. 6 Nam viri isti apud Molismum positi saepius inter se, Dei gratia aspirati, de transgressione regulae beati Benedicti patris monachorum loquebantur, conquerebantur, contristabantur, videntes se caeterosque monachos hanc regulam sollempni professione servaturos promississe, eamque minime custodisse, et ob hoc periurii crimen scienter incurrisse ; et propter hoc, apostolicae sedis legati auctoritate, ubi praelibavimus, ad hanc solitudinem, ut professionem suam observantia sanctae regulae adimplerent, veniebant. 7 Tunc domnus Odo, dux Burgundiae, sancto fervore eorum delectatus sanctaeque romanae ecclesiae praescripti legati litteris rogatus, monasterium. ligneum quod inceperunt de suis totum consummavit, illosque inibi in omnibus necessariis diu procuravit, et terris et pecoribus abunde sublevavit.
IIII
Quomodo locus ille in abbatiam surrexit
2 EODEM tempore abbas qui advenerat ab episcopo illius dioecesis virgam pastoralem cum cura monachorum, iussu praedicti legati, suscepit, fratresque qui secum advenerant in eodem loco stabilitatem regulariter firmare fecit; sicque ecclesia illa in abbatiam canonice apostolicaque auctoritate crescendo surrexit.
V
Quod Molismenses aures domini Papae pro reditu Roberti abbatis inquietaverint
2 IGITUR haud multo elapso temporis spacio, Molismenses monachi voluntate domni Gaufredi abbatis sui, qui Roberto successerat, domnum Urbanum Papam Romae adeuntes, postulare coeperunt, ut saepedictus Robertus in locum pristinum restitueretur. 3 Quorum importunitate motus Papa mandavit legato suo, venerabili scilicet Hugoni, ut si fieri posset , idem abbas reverteretur, et monachi heremum diligentes in pace consisterent.
VI
Epistola domni Papae pro reditu abbatis
2 URBANUS, episcopus, servus servorum Dei, venerabili fratri et coepiscopo Hugoni apostolicae sedis vicario: salutem et apostolicam benedictionem.
3 MOLISMENSIUM fratrum magnum in concilio clamorem. accepimus, abbatis sui reditum vehementius postulantium. 4 Dicebant enim religionem. in suo loco eversam, seque pro abbatis illius absentia odio apud principes et caeteros vicinos haberi. 5 Coacti tandem a fratribus nostris, dilectioni tuae per praesentia scripta mandamus, significantes gratum nobis existere, ut si fieri posset, abbas ille ab heremo ad monasterium reducatur. 6 Quod si implere nequiveris, curae tibi sit, ut et qui heremum diligunt conquiescant, et qui in coenobio sunt regularibus disciplinis inserviant.
7 His apostolicis litteris legatus lectis, viros authenticos et religiosos convocavit, et de praesenti negotio quae subter sunt exarata diffinivit.
VII
Decretum legati de toto negotio Molismensium atque Cisterciensium
2 HUGO, lugdunensis ecclesiae servus, carissimo fratri Roberto lingonensium episcopo: salutem.
3 QUID de negotio molismensis ecclesiae in colloquio apud Portum Ansillae nuper habito diffinierimus, fraternitati vestrae notificare necessarium duximus. 4 Venerunt ante nos illuc cum litteris vestris molismenses monachi, loci sui desolationem. atque destructionem, quam per remotionem Roberti abbatis incurrerant ostendentes, ipsumque sibi reddi in patrem magnopere postulantes. 5 Nullo modo enim aliter sperabant pacemet quietem molismensi ecclesiae posse restitui, vel monastici ordinis vigorem in pristinum statum. Illic revocari. 6 Affuit etiam ibi in praesentia nostra frater Gaufredus, quem eidem ecclesiae in abbatem ordinavistis, dicens se libenter ipsi Roberto velut patri suo locum daturum, si nobis placeret ut eum molismensi ecclesiae remitteremus. 7 Audita igitur vestra et ipsorum. molismensium petitione, relectis etiam domni Papae litteris super hoc negotio nobis directis, totum dispositioni et arbitrio nostro committentis, tandem multorum virorum religiosorum tam episcoporum quam aliorum qui nobiscum aderant consilio, precibus vestris et eorum acquiescentes, molismensi ecclesiae ipsum restituere decrevimus: 8 ita videlicet, ut priusquam redeat, Cabilonem veniens, in manu fratris nostri cabilonensis episcopi, cui secundum consuetudinem caeterorum abbatum professionem fecit, virgam et curam abbatiae reddat, atque monachos novi monasterii, qui ei sicut abbati suo professionem fecerunt et obedientiam promiserunt, ab ipsa professione et obedientia liberos et absolutos dimittat; ac sic ab ipso episcopo professionis quam ei et cabilonensi ecclesiae fecit, absolutionem accipiat. 9 Dedimus etiam licentiam cum eo redeundi Molismum omnibus illis de fratribus Novi Monasterii qui eum secuti fuerint quando a Novo Monasterio recesserit, tali conditione: ut de caetero neutri neutros sollicitare vel recipere praesumant, nisi secundum quod beatus Benedictus monachos noti monasterii praecipit recipiendos. 10 Postquam haec supradicta fecerit, remittimus eum dilectioni vestrae, ut molismensi ecclesiae illum. in abbatem restituatis, ita tamen, ut si deinceps eamdem ecclesiam solita levitate deseruerit, nullus ei substituatur, vivente praefato Gaufredo abbate, absque nostro et vestro eiusdemque Gaufredi assensu. Quae omnia apostolica auctoritate rata esse praecipimus. 11 De capella etiam praedicti abbatis Roberti, et de caeteris rebus quas a molismensi ecclesia recedens secum. tulit et cum eis cabilonensi episcopo atque Novo Monasterio se reddidit, id statuimus: ut omnia fratribus Novi Monasterii salva permaneant, praeter breviarium quoddam, quod usque ad festivitatem sancti Iohannis Baptistae retinebunt ut transcribant, assensu molismensium.
12 Huic autem diffinitioni interfuerunt episcopi Norigaudus eduensis, Walterius cabilonensis, Beraudus maticensis, Pontius belicensis; et abbates Petrus trenorciensis, larento divionensis, Gaucerannus athanascensis, Petrus quoque camerarius, multi alii viri honesti et boni testimonii.
13 Haec omnia abbas ille laudavit et fecit, absolvendo cistercienses ab obedientia quam ei in illo vel in molismensi loco promiserant, et domnus Walterius cabilonensis episcopus abbatera a cura illius ecclesiae liberum dimisit; sicque reversus est, et quidam monachi cum eo, qui heremum non diligebant. 14 Hac ergo ratione apostolicaque dispensatione, istae duae abbatiae in pace et libertate summa remanserunt. Rediens vero abbas, secum pro scuto defensionis has litteras episcopo suo detulit:
VIII
Commendatio abbatis Roberti
2 Dilectissimo fratri et coepiscopo Roberto lingonensi episcopo, Galterius cabilonensis ecclesiae servus: salutem.
3 NOTUM sit vobis fratrem Robertum, cui abbatiam illam in nostro episcopatu sitam, quae Novum Monasterium dicitur, commiseramus, a professione quam. cabilonensi ecclesiae fecit, ab obedientia quam nobis promisit, secundum domni archiepiscopi Hugonis diffinitionem. a nobis esse absolutum. 4 Ipse autem monachos illos qui in praefato Novo Monasterio remanere decreverunt, ab obedientia quam sibi promiserant et professione absolvit, et liberos dimisit. 5 Illum igitur amodo suscipere et honorifice tractare ne vereamini. Valete.
IX
De electione Alberici primi abbatis cisterciensis Ecclesiae
2 VIDUATA igitur suo pastore, cisterciensis ecclesia convenit, ac regulari electione quemdam fratrem, Albericum nomine, in abbatem sibi promovit, virum scilicet litteratum, in divinis et humanis satis gnarum, amatorem. regulae et fratrum, 3 quique prioris officium et in molismensi et in illa diutius gerebat ecclesia, multumque diu nitendo laboraverat, ut ad illum de Molismo transmigrarent fratres locum, et pro hoc negotio multa opprobria, carcerem verbera perpessus fuerat.
X
De privilegio romano
2 PRAEFATUS Albericus, cura pastorali, licet multum. renitens, suscepta cogitare coepit veluti vir mirabilis providentiae, quae tribulationum procellae sibi creditam domum aliquando concutientes vexare possent, et praecavens in futurum, cum consilio fratrum, transmisit monachos duos, Iohannem et Ilbodum Romam, domnum. Papam Paschalem. per eos exorans, ut ecclesia sua sub apostolicae licae protectionis alis quieta et tuta ab omnium ecclesiasticarum seculariumve pressura personarum perpetuo sederet. 3 Qui fratres, praedicti Hugonis archiepiscopi, Iohannisque et Benedicti romanae ecclesiae cardinalium, Galterii quoque cabilonensis episcopi, litteris sigillatis freti, Romam prospere ierunt redierunt, antequam ipse Papa Paschalis in captione positus imperatoris peccaret, reportantes eiusdem apostolicum privilegium, iuxta vota abbatis sociorum que eius per omnia exaratum. 4 Has epistolas, privilegium etiam romanu: congruum duximus in hoc opusculo relinquere, ut posteri nostri intelligant quam magno consilio et auctoritate ecclesia eorum sit fundata.
XI
Epistola Iohannis et Benedicti cardinalium
2 Domno patri Papae Paschali, et ubique laude eximia praedicando, Iohannes et Benedictus: seipsos per omnia.
3 QUIA vestri moderaminis est omnibus ecclesiis providere et iustis poscentium votis manum porrigere, vestraeque iustitiae adiumento religio christiana fulta debet incrementum sumere, vestram sanctitatem. obnixius deprecamur, quatenus harum litterarum baiulis nostro consilio a quibusdam religiosis fratribus paternitati vestrae missis, aures pietatis vestrae flectere dignemini. 4 Petunt enim ut praeceptum quod de quiete et suae religionis stabilitate a praedecessore vestro domno nostro beatae memoriae Papa Urbano acceperunt, et quod secundum eiusdem praecepti tenorem archiepiscopus lugdunensis tunc legatus, et alii coepiscopi et abbates, inter eos et molismensem. abbatiam, a qua religionis causa discesserant, diffinierunt, vestrae auctoritatis privilegio in perpetuum maneat inconvulsum. 5 Ipsi enim vidimus, eorumque verae religioni testimonium perhibemus.
XII
Epistola Hugonis lugdunensis
2 Reverendissimo patri et domno suo Paschali Papae, Hugo lugdunensis ecclesiae servus: per omnia seipsum.
3 FRATRES isti praesentium geruli, ad paternitatis vestrae celsitudinem tendentes, per nos transitum fecerunt. 4 Et quia infra provinciam nostram videlicet in episcopatu. cabilonensi mansionem habent, humilitatis nostrae litteris apud celsitudinem vestram se commendari petierunt.
5 Sciatis autem eos esse de quodam loco, qui Novum Monasterium vocatur, ad quem de molismensi ecclesia cum abbate suo exeuntes, propter artiorem et secretiorem vitam secundum regulam beati Benedicti, quam proposuerant tenendam, habitandum venerunt, depositis quorumdam monasteriorum. consuctudinibus, imbecillitatem. suam ad tantum pondus sustinendum imparem iudicantes. 6 Unde molismensis ecclesiae fratres et quidam alii adiacentes monachi eos infestare et inquietare non desinunt, aestimantes se viliores ac despectiores haberi apud saeculum, si isti quasi singulares et novi monachi inter eos habitare videantur. 7 Quapropter desiderantissimam nobis paternitatem vestram humiliter et cum fiducia deprecamur, ut fratres istos totam spem suam in vobis post Dominum ponentes et idcirco ad apostolatus vestri auctoritatem confugientes benigne pro more vestro respiciatis et eos et locum ipsorum. ab hac infestatione et inquietudine liberando, auctoritatis vestrae privilegio muniatis, 8 utpote pauperes Christi nullam contra suos aemulos divitiis vel potentia defensionem. parantes, sed in sola Dei et vestra clementia spem habentes.
XIII
Epistola episcopi cabilonensis
2 Venerabili patri Papae Paschali, Galterius cabilonensis episcopus
[così si legge in questo SUPER EXORDIUM CISTERCIENSIS COENOBII] : salutem et debitam subiectionem.
3 SICUT sanctitas vestra, ut fideles in vera religione proficiant, ardenter desiderat, sic eisdem vestrae protectionis umbram, vestrae consolationis fomentum deesse non expedit. 4 Suppliciter ergo petimus, quatenus quod factum est de fratribus illis, qui artioris vitae desiderio a molismensi ecclesia sanctorum virorum consilio recesserunt, quos in nostro episcopatu divina pietas collocavit, a quibus transmissi praesentium litterarum baiuli vobis praesentes adsunt, secundum praedecessoris vestri praeceptum, et lugdunensis archiepiscopi apostolicae sedis tunc legati, et coepiscoporum et abbatum, diffinitionem et scriptum, cui rei nos praesentes et eius auctores cum aliis extitimus, 5 vos approbare, et ut locus ille abbatia libera in perpetuum permaneat, salva tamen nostrae personae successorumque nostrorum canonica reverentia, auctoritatis vestrae privilegio corroborare dignemini. Sed et abbas quem in eodem loco ordinavimus, et caeteri fratres totis viribus hanc confirmationem in suae quietis tutelam a vestra flagitant pietate.
XIIII
Privilegium romanum
2 Paschalis, episcopus, servus servorum Dei, venerabili Alberico Novi Monasterii abbati, quod in cabilonensi parrochia situm est, eiusque successoribus regulariter substituendis: in perpetuum.
3 DESIDERIUM quod ad religiosum propositum et animarum salutem pertinere monstratur, auctore Deo, sine aliqua est dilatione complendum. 4 Unde nos, o filii in Domino dilectissimi, citra difficultatem. omnem vestrarum precum petitionem admittimus, quia religioni vestrae paterno congratulamur affectu. 5 Locum igitur illum quem inhabitandum pro quiete monastica elegistis, ab omnium mortalium molestiis tutum ac liberum fore sancimus, et abbatiam illic perpetuo haberi, ac sub apostolicae sedis tutela specialiter protegi, salva cabilonensis ecclesiae canonica reverentia. 6 Praesentis itaque decreti pagina interdicimus, ne cuiquam omnino personae liceat statum vestrae conversationis immutare, neque vestri, quod Novum dicitur, coenobii monachos sine regulari commendatione suscipere, neque congregationem vestram astutiis quibuslibet aut violentiis perturbare. 7 Eam sane controversiae decisionem, quam inter vos et molismensis claustri monachos, frater noster lugdunensis archiepiscopus tunc apostolicae sedis vicarius, cum provinciae suae episcopis aliisque religiosis viris ex praecepto praedecessoris nostri apostolicae memoriae Urbani secundi perpetravit, nos tanquam rationabilem ac laudabilem confirmamus. 8 Vos igitur, filii in Christo dilectissimi ac desiderantissimi, meminisse debetis, quia pars vestri saeculares latitudines, pars ipsas etiam monasterii laxioris minus austeras angustias reliquistis. 9 Ut ergo hac semper gratia digniores censeamini, Dei semper timorem et amorem in cordibus vestris habere satagite, ut quanto a saecularibus tumultibus et deliciis liberiores estis, tanto amplius placere Deo totis mentis et animae virtutibus anheletis.
10 Sane si quis in crastinum archiepiscopus aut episcopus, imperator aut rex, princeps aut dux, comes aut vicecomes, iudex aut ecclesiastica quaelibet saecularisve persona, hanc nostrae constitutionis paginam sciens, contra eam venire temptaverit, secundo tertiove commonita, si non satisfactione congrua emendaverit, potestatis honorisque sui dignitate careat, reumque se divino iudicio existere de perpetrata iniquitate cognoscat, et a sacratissimo corpore et sanguine Dei ac Domini nostri Ihesu Christi aliena fiat, atque in extremo examine districtae ultioni subiaceat. 11 Cunctis autem eidem loco iusta servantibus, sit pax Domini nostri lhesu Christi, quatenus et hic fructum bonae actionis percipiant, et apud districtum iudicem praemia aeternae pacis inveniant.
XV
Instituta monachorum cisterciensium de Molismo venientium
2 DEHINC abbas ille et fratres eius, non immemores sponsionis suae, regulam beati Benedicti in loco illo ordinare et unanimiter statuerunt tenere, reicientes a se quicquid regulae refragabatur: froccos videlicet et pellicias ac staminia, caputia quoque et femoralia, pectina et coopertoria, stramina lectorum ac diversa ciborum in refectorio fercula, sagimen etiam et caetera omnia quae puritati regulae adversabantur. 3 Sicque rectitudinem regulae supra cunctum vitae suae tenorem ducentes, tam in ecclesiasticis quam in caeteris observationibus regulae vestigiis sunt adaequati seu conformati. 4 Exuti ergo veterem hominem, novum se induisse gaudebant. 5 Et quia nec in regula, nec in vita sancti Benedicti eumdem doctorem legebant possedisse ecclesias vel altaria, seu oblationes aut sepulturas vel decimas aliorum hominum, seu furnos vel molendina, aut villas vel rusticos, nec etiam feminas monasterium eius intrasse, nec mortuos ibidem excepta sorore sua sepelisse, ideo haec omnia abdicaverunt, dicentes:
6 Ubi beatus pater Benedictus docet ut monachus a saecularibus actibus se faciat alienum, ibi liquido testatur haec non debere versari in actibus vel cordibus monachorum, qui nominis sui ethimologiam haec fugiendo sectari debent. 7 Decimas quoque aiebant a sanctis patribus, qui organa erant Spiritus Sancti, quorumque statuta transgredi sacrilegium est committere, in quattuor partitiones distributas, unam scilicet episcopo, alteram presbytero, tertiam hospitibus ad illam ecclesiam venientibus, seu viduis et orphanis sive pauperibus aliunde victum non habentibus, quartam restaurationi ecclesiae. 8 Et quia in hoc computo personam monachi, qui terras suas possidet, unde et per se et per pecora sua laborando vivat, non reperiebant, idcirco haec veluti aliorum ius iniuste sibi usurpare detrectabant.
9 Ecce huius saeculi divitiis spretis, coeperunt novi milites Christi cum paupere Christo pauperes, inter se tractare quo ingenio quove artificio seu quo exercitio, in hac vita se hospitesque divites et pauperes supervenientes, quos ut Christum suscipere praecipit regula sustentarent. 10 Tunc diffinierunt se conversos laicos barbatos licentia episcopi sui suscepturos, eosque in vita et morte, excepto monachatu, ut semetipsos tractaturos, et homines etiam mercenarios; quia sine adminiculo istorum non intelligebant se plenarie die sive nocte praecepta regulae posse servare; 11 suscepturos quoque terras ab habitatione hominum remotas, et vineas et prata et silvas, aquasque ad faciendos molendinos, ad proprios tamen usus et ad piscationem, et equos pecoraque diversa necessitati hominum utilia. 12 Et cum alicubi curtes ad agriculturas exercendas instituissent, decreverunt ut praedicti conversi domos illas regerent, non monachi, quia habitatio monachorum secundum regulam debet esse in claustro ipsorum. 13 Quia etiam beatum Benedictum non in civitatibus, nec in castellis aut in villis, sed in locis a frequentia populi semotis coenobia construxisse sancti viri illi sciebant, idem se aemulari promittebant. 14 Et sicut ille monasteria constructa per duodenos monachos adiuncto patre disponebat, sic se acturos confirmabant.
XVI
De tristitia illorum 2 ILLUD virum Dei praedictum abbatem et suos aliquantulum moestitiae subdidit, quod raro quis illis diebus illuc ad eos imitandos venerit. 3 Viri enim, sancti thesaurum virtutum coelitus inventum, successoribus ad multorum salutem a profuturum committere gestiebant; 4 sed fere omnes videntes et audientes vitae eorum asperitatem insolitam et quasi inauditam, plus corde et corpore elongare quam approximare se eis festinabant, et de perseverantia eorum. titubare non cessabant; 5 sed Dei misericordia, qui hanc militiam spiritualem suis inspiravit, ad multorum profectum egregie eam amplificare et consummare non cessavit, sicuti sequentia declarabunt
. XVII
De morte primi abbatis et de promotione secundi, et de institutis et laetitia eorum
2 VIR autem Domini Albericus, in schola Christi per novem. annos et dimidium regulari disciplina feliciter exercitatus, migravit ad Dominum fide et virtutibus gloriosus, et ideo in vita aeterna a Deo merito beandus. 3 Huic successit quidam frater Stephanus nomine, anglicus natione, qui et ipse cum aliis de Molismo illuc advenerat, quique amator regulae et loci erat. 4 Huius temporibus interdixerunt fratres una cura eodem abbate, ne dux illius terme seu alius aliquis princeps curiam suam aliquo tempore in illa ecclesia tenerent, sicut antea in sollemnitatibus agere solebant. 5 Deinde ne quid in domo Dei, in qua die ac nocte Deo servire devotecupiebant, remaneret quod superbiam aut superfluitatem redoleret, aut paupertatem custodem virtutum quam sponte elegerant, aliquando corrumperet, 6 confirmaverunt ne retinerent cruces aureas seu argenteas nisi tantummodo ligneas coloribus depictas, neque candelabra nisi unum ferreum, neque thuribula nisi cupraea vel ferrea, neque casulas nisi de fustaneo vel lino, sine pallio auroque et argento, neque albas vel amictus nisi de lino, similiter sine pallio, auro et argento. 7 Pallia vero omnia et cappas atque dalmaticas tunicasque ex toto dimiserunt; sed calices argenteos non aureos, sed si fieri poterit deauratos, et fistulam argenteam, et si possibile fuerit deauratam, stolas quoque ac manipulos de pallio tantum, sine auro et argento retinuerunt. 8 Pallae autem altarium ut de lino fierent et sine pictura plane praecipiebant, et ut ampullae vinariae sine auro et argento essent.
9 Illis diebus in terris et vineis ac pratis curtibusque eadem. ecclesia crevit, nec religione decrevit. 10 Ergo istis temporibus visitavit locum illum Deus, viscera misericordiae suae effundens super se petentes, ad se clamantes, coram se lacrimantes, die ac nocte longa profundaque suspiria trahentes, et fere ostio desperationis appropinquantes, pro eo quod successoribus pene carerent. 11 Nam tot clericos litteratos et nobiles, laicos etiam in saeculo potentes et aeque nobiles, uno tempore ad illam Dei gratia transmisit ecclesiam, ut triginta insimul in cellam novitiorum alacriter intrarent, ac bene contra propria vitia et incitamenta malignorum spirituum fortiter decertando, cursum suum consummarent. 12 Quorum exemploc senes et iuvenes, diversaeque aetatis homines in diversis mundi partibus animati, videntes scilicet in istis possibile fore, quod antea impossibile in custodienda regula formidabant, postead illuc curreree, superba colla iugo Christi suavi subdere, dura et aspera regulae praecepta ardenter amare, ecclesiamque illam. mirabiliter laetificare et corroborare coeperunt.
XVIII
De abbatiis
2 ABHINC abbatias in diversis episcopatibus ordinaverunt, quae tam larga potentique benedictione Domini in dies crescebant, ut infra octo annos, inter illos qui de cisterciensi coenobio specialiter fuerant egressi, et caeteros qui ex eisdem fuerant exorti, duodecim coenobia constructa fuerint inventa
.


L'elemento tossicologico nella stregoneria e nel demonismo medioevale
di
S. Marszalkowicz in AA.VV., Lavori di storia della medicina compilati nell'Anno Accademico 1936-37-XV, Arti Grafiche Bodonia, Roma, pp. 80-93, 1938

Un punto di fondamentale importanza nella patogenesi del demonismo medioevale, è costituito dall'elemento tossicologico, rappresentato da filtri, pomate, fumigazioni, polveri, confezionate su base di tossici vari. Pur essendo universalmente nota l'esistenza di questo ricettario nel laboratorio della strega, non ci è sembrato che ad esso fosse data la importanza che merita; importanza fondamentale e staremo quasi per dire conditio sine qua non alla effettuazione della demonologia e del satanismo medioevale, tanto che si può affermare che esso altro non è che l'espressione di un delirio tossico in individui psichicamente tarati, svolgentesi in una particolare atmosfera che indirizzava il detto delirio verso determinate espressioni.
Al delirio tossico noi infatti dobbiamo attribuire il fattore fondamentale del satanismo, e cioè il fattore sensistico, pur essendo allucinatorio.
Non per questo però esso fu meno potente ad agire sulla mentalità dei soggetti, i quali, non rendendosi conto del lato patologico e dell'azione farmacologica delle droghe usate, giuravano d'aver realmente visto Satana, di averlo adorato e di essere stati con lui al
sabba. La sicurezza di queste persone, che suggellavano col rogo e con la tortura la verità delle loro asserzioni, agiva potentemente sulla suggestionabilità della massa, ed era confermata dalla potente fede; e così, quale catena ininterrotta, e quale circolo vizioso, il demonismo si protrasse fino ad epoche relativamente recenti, anche se menti illuminate e precorritrici fecero intravedere, da tempo, il lato patologico del fenomeno.
Le droghe usate dalle streghe nelle loro funzioni sataniche sono conosciute, se non tutte, almeno in gran parte.
Sappiamo così che esse agiscono in virtù di alcaloidi contenuti nelle piante prescelte, alcaloidi che hanno potere di provocare stati allucinatori a carattere, quasi sempre, terroristico.
Tali, per esempio, l'oppio, il giusquiamo, il solanum nigrum, la mandragora, la belladonna ecc. E se non tutti gli alcaloidi contenuti in queste piante sono capaci di provocare direttamente l'allucinazione, sono sempre dotati di un potere sinergico, che aumenta l'azione dell'alcaloide principale.
Si potrà obiettare facilmente che non esiste una droga capace di provocare una particolare allucinazione, sempre improntata allo stesso soggetto che, nel caso nostro, è Satana e l'ambiente satanico.
A questa obiezione possiamo rispondere che è fatto risaputo, che il soggetto circondandosi di un determinato ambiente ha la possibilità di indirizzare a suo piacimento il corso dell'allucinazione che interverrà dopo l'assunzione della droga.
Questa avvertenza è notissima ai fumatori d'oppio dell'estremo oriente, ai bevitori, mangiatori e fumatori di haschisch, i quali si circondano di una atmosfera favorevole al corso che essi vogliono dare all'allucinazione.
Uno dei più geniali consumatori di haschisch, il Baudelaire che ha scritto una delle più smaglianti pagine di tossicologia voluttuaria col suo libro intitolato I paradisi artificiali ci assicura che nel celebre albergo Pimodan, dove si adunavano i mangiatori di haschisch, la formazione dell'ambiente era una delle condizioni essenziali per il futuro svolgersi dell'allucinazione.
Quale migliore ambiente, per l'attuarsi di un'allucinazione satanica, di quello che circondava le streghe? Ambiente psichico, ambiente materiale. Sia che si trattasse del misterioso laboratorio, dove fumavano i ceri di grasso umano (veri o creduti, ciò era lo stesso per il potere di suggestione) dove il teschio ghignava nella penombra rossastra, dove il gufo mandava il suo lamento, dove la pergamena fatta con pelle di bambino (vera o presunta) attendeva la firma diabolica, dove il circolo magico tracciato in terra, doveva difendere lo stregone dall'impeto satanico; sia che si trattasse della stanza usuale, dove la strega, nuda, si ungeva con l'unguento tossico con tutta l'aspettativa tesa verso il prossimo sabba, di cui già pregustava l'orrida attrattiva, creandosi un ambiente psichico, interno, perfettamente satanistico; sia nell'un caso che nell'altro, l'allucinazione non poteva essere diversa da quel carattere in cui la strega, in cui la società tutta era immersa.
L'ambiente era universale. Satana era da per tutto e tutto insidiava; era nelle cattedrali misteriose, era nei chiostri silenziosi, era nelle notti lunari e in quelle di procella, era nel gatto che sprizzava scintille, era nel cane che ululava alla luna, poteva essere nel cibo quotidiano di cui si cibava la monaca, era infine nella mente di tutti, ribadito dalle mille torture che asserivano la sua presenza, dalle mille fiamme dei mille roghi che avevano bruciato i suoi sacerdoti, dai racconti ingranditi dall'immaginazione o creati di sana pianta, o fedeli riproduttori dei deliri tossici. Nel demonismo credevano i dotti, credevano gl'ignoranti, credevano i giudici, credevano i carnefici; folgoravano i predicatori, maledivano gli ascetici scrittori e i teologi. La strega, figlia di strega, era nata in quell'ambiente che veniva concentrato e distillato nelle pareti domestiche. Essa sapeva di essere figlia del demonio, essa sapeva che doveva esser sua, in un mostruoso incesto, anima e corpo: essa sapeva che al principe delle tenebre era legata in vita ed oltre il rogo fiammeggiante simbolo terreno dell'inferno che doveva essere la tomba eterna della sua anima dannata.
Tale era l'ambiente: tragico, esasperante, tale da sconvolgere, con la certezza dell'allucinato, le menti più solide.
E tale, necessariamente doveva essere l'allucinazione prodotta dai tossici usati.
E quale azione avrà dovuto esplicare questo fattore allucinatorio sulla patogenesi del demonismo? Un'azione fondamentale: la stessa azione fondamentale che in qualsiasi forma delirante esercita l'elemento allucinazione.
Esso rappresentava, infatti, l'unico dato sensoriale, per falso che esso fosse: era l'unico mezzo col quale la strega veniva a contatto di sensi (così essa credeva fermamente) con la potenza infernale; l'unico mezzo, cioè, che dava una apparenza di assoluta sicurezza alla dottrina ed alla religione satanica.
Per tale ragione noi non esitiamo ad affermare che l'elemento tossicologico rappresenta nel demonismo medioevale, in tutte le sue numerose diramazioni della stregoneria, della magia nera ecc. un elemento basale, e tale da farci interpretare tutto il quadro morboso alla stregua di un delirio tossico, con allucinazioni, svolgentesi su di un terreno psichicamente tarato.
La stregoneria e la demonologia hanno il loro inizio nella preistoria. I popoli primitivi hanno i loro stregoni - sacerdoti che hanno il potere di curare malattie e di evitare i danni provocati da invisibili forze soprannaturali, o al contrario provocare questi mali invocando le stesse forze. I mezzi per agire sono formule magiche, incantesimi, preghiere, sacrifici e differenti droghe credute magiche. Gli stregoni per agire, dovevano essere in estasi prodotte con movimenti ritmici o più spesso con stupefacenti.
Specialmente le donne che per preparare il cibo dovevano raccogliere differenti piante sui campi e nei boschi o d'altra parte erano le naturali "infermiere" appresero le proprietà curatrici e velenose di molte piante. Se qualcuna aveva più larghe conoscenze, era rispettata dai vicini come strega o donna saggia. Data la interpretazione magica de l'ordine delle cose, anche queste piante erano ritenute magiche. A volte erano credute incarnazioni di divinità e si tributavano loro speciali riti. La strega insegnava questa scienza alla figlia che veniva consacrata fin dall'infanzia. Con lo sviluppo della cultura, le religioni divenivano più idealistiche e si concentravano già nei tempi, dove i sacerdoti esercitavano anche la pratica medica. Ma il pensiero magico sebbene affievolito non scomparve, né la gente poteva sempre recarsi nei tempi, onde le streghe conservarono la loro funzione. Conoscendo esse le azioni farmacologiche delle piante conobbero anche la loro azione velenosa: divennero, così, preparatrici di veleni. In questo stato esisteva la stregoneria negli ultimi secoli del mondo classico.
Non differentemente si comportarono i popoli nordici che invasero l'impero Romano. Essi, come tutti i popoli primitivi avevano le loro streghe-sacerdotesse e medichesse. Come tutti gli altri popoli avevano le loro maggiori feste nei tempi critici delle stagioni, cioè il 30 aprile giorno critico della primavera, il 24 giugno, (giorno di S. Giovanni Battista, giorno più lungo dell'anno) e più di rado il 21 dicembre, (giorno di S. Tommaso, giorno più corto). Queste feste a carattere propiziatorio per ottenere la fertilità, erano ricche di riferimenti simbolici, o materiali, alla generazione. Il phallus e il capro (bestia prolifica) erano particolarmente onorati, con culti spesso osceni fino alla congiunzione con la figura simboleggiante la divinità o anche coi capri, sue bestie sacre.
I popoli germanici trovarono tracce di riti analoghi nei popoli invasi: il culto per Dionisio, Bacco, Priapo, Sabasio (una divinità frigia). Queste tradizioni hanno avuto il loro influsso, sia sulla modalità dei riti, sia probabilmente sulla denominazione sabba (festa di Sabasio).
L'intervento del Cristianesimo tentò sradicare queste costumanze doppiamente condannabili, e dove non poté conseguire l'abolizione operò, almeno, la trasformazione.
Così le principali feste pagane, debitamente trasformate, furono adottate dal cristianesimo (p. e. la festa del 24 giugno è divenuta la festa di S. Giovanni) e presero sia la forma, che il contenuto puramente cristiano. Anche le divinità pagane trovarono il loro posto nella nuova religione trasformate in demoni e spiriti maligni.
Fu così che la strega sebbene cristiana, rimase a causa del mestiere legata alle sue divinità, che il Cristianesimo aveva trasformato in demoni. Di qui il culto infernale.
Come nei tempi pagani, essa ha dato talvolta alla luce figli concepiti nei rapporti incestuosi; essendo questo il privilegio dei grandi sacerdoti in alcune religioni primitive; questo sembrava dar loro proprietà magiche straordinarie, forse appunto per il carattere perverso e anormale dei rapporti.
Il sabba, la festa orgiastica pagana si è trasformata col passare dei secoli o nella "Messa nera" a o nel sabba delle streghe.
Le "messe nere" si celebravano con partecipazione di grandi folle. Il rito era costituito da una parte, dai vecchi riti pagani del fallismo e delle feste orgiastiche consacrate dalla strega; dall'altra dai riti cristiani fatti al contrario in onore del Satana, e consacrati abitualmente da un prete. Queste messe erano specialmente frequenti nella Francia Meridionale ed anche Centrale, dove le influenze delle Sette Orientali come i Manichei era risentita e specialmente dopo il ritorno dalle Crociate.
In altri Paesi dove la popolazione non veniva a partecipare alle feste, le streghe stesse si radunavano in luoghi appartati e non visitati, come cimiteri, rovine, che sembravano anche essere i posti preferiti dagli spiriti; od anche nell'abitazione d'una strega.
Fin dal tempo delle vere feste pagane, dopo l'uso dei filtri inebrianti, le streghe avevano illusioni e allucinazioni di divinità e spiriti. L'uso di questi filtri magici si conservò, dando alle streghe la illusione di essere in volo, di incontrare gli spiriti e di avere con loro rapporti.
Col tempo la tecnica si sviluppò. Alla fine del secolo XIV impararono a confezionare unguenti, stupefacenti, ed il "mezzo di comunicazione" divenne il manico della scopa. Le streghe si spogliavano, inforcavano il manico della scopa, bevevano "bevande diaboliche" o facevano fumigazioni con erbe magiche. Dal secolo XIV invece, per lo più, si ungevano con unguenti speciali tutto il corpo, sotto le ascelle, gli inguini, introducevano l'unguento anche nell'orifizio anale e vaginale, cercando di introdurlo il più profondamente che era possibile. Dopo qualche tempo sembrava loro di volare per il camino verso il grande convegno che, secondo il paese, era Benevento, Toledo, Brocken ecc.
La Chiesa cristiana, ammettendo la forma degli spiriti maligni che considerava nemici di Dio, combattè con ogni arma la stregoneria, non più considerata come residuo del paganesimo, ma come empia lotta contro Dio, con l'alleanza contro i suoi nemici. Le streghe, erano inoltre imputate di danneggiare i fedeli, con l'aiuto di Satana, uccidendo con lo sguardo i feti nelle incinte, causando malattie ecc. E ancor peggio, con le efficaci cure "facevano propaganda" per il diavolo e allontanavano i fedeli da Dio. Contro la stregoneria, come contro l'eresia, v'era in questi tempi una arma-il rogo.
Ma il rigore dei tribunali, gli strazi delle torture non raggiunsero il desiderato effetto di far cessare le epidemie di demonismo.
Ogni processo di stregoneria suscitava una grandissima impressione. Le particolarità che le streghe raccontavano sui loro sabba, subito si diffondevano in tutta la località. Molte donne per curiosità provavano questi unguenti e filtri diabolici e.... davvero volavano al sabba e sembrava loro di essere streghe. Tutto ciò, unito ad una costituzione isterica, ad una diffusione di suggestionabilità data da l'indole dei tempi, dall'ignoranza, dall'azione intimidatrice della Chiesa, dei Tribunali fece sì che la stregoneria e il demonismo crescessero a dismisura.
Sintomo sicuro che la sospettata fosse strega, era un'area anestetica, che il diavolo imprimeva sul corpo della donna dopo il patto. In epoca di generale isterismo non era difficile trovare queste "stigmate isteriche" e non ci si deve meravigliare, che piccoli paesi come Trier abbiano mandato ciascuno in un anno 6-7000 "streghe" al rogo. Le condanne raggiunsero un livello così alto, che i governi erano costretti ad intervenire per interrompere questi processi. Già da tempo si sentivano voci, specialmente di medici, che queste streghe fossero semplici psicopatiche; subito erano costretti a tacere sotto la minaccia dell'Inquisizione: "Chi dubita dell'esistenza del male, non crede neanche nel bene"; o ancor peggio, sotto la minaccia di accusa di essere stregoni e di volere in questo modo salvare i propri amici.
Allorchè questi eccessi diminuirono, diminuì anche il numero delle streghe. Con la nascita del razionalismo scientifico le superstizioni perdettero molti fedeli. Nel tempo "dell'assolutismo illuminato" non si facevano più processi di stregoneria. Se vi fu nel regno di Luigi XIV un processo della strega Voisin, non era più per stregoneria, ma per avvelenamenti ed omicidi.
Dei rapporti che già abbiamo accennato, fra isterismo e stregoneria hanno scritto molti. Passeremo dunque senz'altro alle allucinazioni e visioni diaboliche, prodotte dagli stupefacenti usati dalle streghe, cercando di ravvicinare la loro azione farmacologica alle visioni infernali del demonismo, sempre tenendo presente l'indirizzo del delirio dato dalle circostanze ambientali.
Cominceremo dal probabile meccanismo delle allucinazioni.
I veleni che producono allucinazioni ed illusioni, agiscono, secondo lo schema comune delle allucinazioni, con offuscamento del sensorio e della coscienza, e con l'eccitazione dei centri rappresentativi. I vari tossici hanno queste due proprietà in modo diverso. L'offuscamento può essere relativamente poco palese; se invece l'eccitazione dei centri è molto forte, può con meccanismo psicogeno "bloccare" i centri sensoriali, e viceversa. Dalle alterazioni provocate nelle funzioni psichiche, dall'azione sulla cenestesi, dipendono la coordinazione delle immagini, l'indole spiacevole o piacevole; dalle suggestioni precedenti alla intossicazione dipende il "tema" delle allucinazioni. Con lo stesso meccanismo in rapporto ai momenti necessari sopra descritti, possono comparire illusioni e sogni tossici significativi; spesso anche il quadro dell'intossicazione passa dalla illusione alla allucinazione e finisce con il sogno.
Passiamo ora alle droghe, sicuramente od anche probabilmente usate per questo scopo.
La conoscenza delle piante usate dalle streghe per la confezione delle loro pomate, dei loro soffumigi e delle loro bevande ci proviene da più fonti.
Prima di tutto i libri che trattano di magia fanno spesso allusione a questa o quella pianta e alle virtù che le sono inerenti; i libri di materia medica, nell'elencare le virtù delle varie erbe, menzionano anche quelle che vengono usate dalle streghe, per i loro filtri.
Gli atti dei processi, i libri inquisitoriali, le confessioni delle streghe, hanno spesso riferimenti che sono utili a questo scopo. Si ha una larga conoscenza dei filtri delle streghe e delle bevande delle streghe a base di decozioni di semi di giusquiamo, somministrati dai giudici ai condannati a morte per diminuire le sofferenze della esecuzione [non raramente però (aggiungiamo noi) concessione fatta solo a chi si poteva permettere queste soluzioni e se non concesse -attese le ambiguità del Diritto Intermedio si ricorreva alla corruzione di qualche funzionario della giustizia che avesse relazione con gli esecutori e l'estremo supplizio: ma molto di questo era possibile quasi solo a chi poteva pagare tal triste servizio = al pari di quello di avvalersi dietro grandi somme versate d'una speciale ed efficiente quanto costosa macchina di morte o quantomeno di pagare segretamente il Boia onde non ubriacarsi -come spesso accadeva per vincere l'inevitabile ripugnanza- ed eseguire, specie la decapitazione, con un colpo preciso senza oscene ripetizioni]. Infine abbiamo la testimonianza della tradizione popolare che continua a chiamare ancora erba del diavolo, erba delle streghe ecc. alcune piante di nota azione farmacologica stupefacente o allucinante (mandragora, giusquiamo, belladonna ecc.).
Le identificazioni che noi seguiamo, sono quelle che sono divenute oramai ufficiali e che sono riconosciute da tutti coloro che si sono occupati dell'argomento.
Tralasciando quelle di origine non europea (cannabis indica, Anhalonium Levinii) osserveremo solo quelle più comuni ai nostri paesi.
Fra quest'ultime, le più attive sono, le solanacee, che erano appunto quelle principalmente usate: accanto al gruppo dell'Atropa Belladonna e del Hyoscyarnus niger, contenenti gli alcaloidi tropeinici, è il gruppo con azione allucinatoria meno notevole del
Solanum contenente l'alcaloide glucosidico solanina.
Fra gli alcaloidi tropeinici sono preponderanti la iosciamina (tropato di atropina) levogira, la iosciamina racemica o atropina e la scopolamina o ioscina.
Osserviamo, di questi alcaloidi, solo l'azione sul sistema nervoso centrale.
L'atropina agisce provocando eccitazione motoria e psichica, insieme con offuscamento del sensorio e della coscienza. I sintomi appaiono già dopo la somministrazione di 5-10 mg. L'avvelenato, presenta fuga d'idee, loquacità, voglia di camminare, di correre, che contrasta con le vertigini, i tremori degli arti, l'andamento titubante e l'impossibilità di reggersi sui piedi. Compaiono allucinazioni visive e dell'udito, con eccitamento maniacale, accompagnato da riso convulso, o talvolta eccitamento furibondo. Il più delle volte, il delirio è di natura triste per le sofferenze in mezzo alle quali si svolge, ma può anche essere allegro.
Le allucinazioni visive ed acutistiche sono accompagnate da abolizione della vista, udito e tatto. E' anche diminuita la sensibilità generale. Dopo qualche tempo diminuisce l'irritazione e si cambia in stanchezza e sonnolenza. Dopo grandi dosi l'avvelenato diviene soporoso, comatoso, la temperatura cade, il polso diviene piccolo e si ha morte con sintomi d'asfissia.
La scopolamina è il più velenoso degli alcaloidi contenuto nella belladonna. Già somministrando una dose di 0,5 mg., compare in seguito ad uno stato più lieve d'esaltazione, inceppamento della lingua, ottundimento psichico, senso di peso al capo, come se vi fosse posto sopra un corpo pesante; si ha inoltre la impressione che una forza invisibile chiuda le palpebre; la vista è confusa, gli oggetti sembrano aver preso una forma allungata; ad occhi aperti si hanno le allucinazioni visive più varie, ad es. un cerchio nero su fondo argenteo. Poscia le palpebre si chiudono al sonno. Il sonno è pieno di fantasmi. Nell'avvelenamento da scopolamina l'allucinosi è più spiccata che non in quello da atropina. Esistono anche allucinazioni visive di indole terrifica, allucinazioni disgustose dell'olfatto e del gusto, che possono essere messe in rapporto con i cibi disgustosi che costituivano i banchetti infernali.
L'atropina e la scopolanina penetrano abbastanza facilmente per mezzo della cute e della mucosa, con le bevande, le pomate, e gli impiastri. Penetra anche col fumo attraverso ai polmoni, come vediamo nell'azione delle sigarette antiasmatiche. Penetra rapidamente nel circolo ed estrinseca la sua azione quando viene somministrata per retto. Tutti questi modi erano attuati dalle streghe (pomate, fumigazioni, bevande ecc.).
La dose letale di questi alcaloidi è relativamente alta; frequentemente, anche dopo avvelenamento con sintomi assai gravi, avviene la guarigione.
Le streghe, naturalmente, non usavano gli alcaloidi, ma le piante che li contengono. Fra le più note era l'Atropa belladonna, chiamata anche "erba delle streghe", pianta perenne che cresce nei luoghi montuosi ed ombreggiati dell'Europa centrale e meridionale. Contiene 0,30% fino a 0,80% di atropina; l'alcaloide è contenuto nelle foglie, nella radice e nel frutto. Il contenuto in scopolamina è scarso ed il quadro di avvelenamento è uguale a quello per atropina. Solo quando si somministra per bocca compaiono nausea e vomiti per azione irritante dei componenti accessori sullo stomaco.
Forse per evitare questi inconvenienti, come pure per il rapido assorbimento per la mucosa rettale, preferivano, le streghe, l'introduzione per via cutanea.
La Datura stramonium vegeta in quasi tutta l'Europa e Turkestan; gli alcaloidi sono contenuti nelle foglie e nei semi. Era conosciuta col nome di pane spinoso, erba del diavolo, erba delle streghe, erba dei demoniaci.
Oltre ad illusioni ed allucinazioni, provoca frequentemente uno stato di stupore psichico con amnesia retrograda ed anterograda. Gli avvelenati presentano delirii che talvolta ricordano gli schizofrenici o "ebbrezza lucida" ed esercitano differenti atti in modo puramente automatico. Nonostante l'apparente coscienza hanno l'attenzione e la capacità assimilativa totalmente paralizzata. Di questa azione facevano uso, i ladri per stupefare le vittime, od anche per crimini libidinosi. Quando cessa lo stupore, rimane ancora una certa confusione mentale con tendenza, a riempire le lacune amnesiche con confabulazioni. Tra le descrizioni riguardanti le streghe, ve ne sono alcune che potrebbero essere interpretate come stati di avvelenamento con stramonio. Sembra che la leggenda della maga Circe voglia alludere allo stramonio indicando il veleno usato da essa.
Il Hyoscyamus niger è una pianta biennale comune in Europa. Gli alcaloidi si trovano nelle foglie, nei semi e nelle frutta. Per la presenza di scopolamina in un grado superiore, l'azione di questa si estrinseca con maggiore evidenza; i sintomi periferici sono simili all'avvelenamento con belladonna, mentre quelli psichici differiscono. La più importante differenza è la maggiore azione ipnotica e il minore eccitamento motorio; si ha la mancanza dello stimolo a saltare, ridere ed altre esagerazioni dei movimenti, si producono cefalea, vertigine, diminuzione della sensibilità, sussurrio nelle orecchie, ambliopia, fotofobia, afonia o laloplegia, diminuzione dell'olfatto, assopimento, sonnolenza con allucinazioni visive, dell'udito, sonno profondo con sogni spaventosi, come nella descrizione dell'avvelenamento da scopolamina. Si noti come la maggioranza di questi tossici diano luogo a allucinazioni terrificanti.
La sua azione allucinante è molto spiccata e già nella antichità la chiamavano "Apollinaris" - producente spirito profetico.
L'Atropa Mandragora, pianta dell'Europa meridionale, era molto nota come erba magica, ma la sua azione non differisce molto da quella delle piante sopra ricordate. Il sugo della pianta fresca, le radici e le frutta, contengono le iosciamine, la scopolamina e la mandragorina.
Nella sua azione si avvicina al giusquiamo. Provoca allucinazioni con eccitazione maniacale o melanconia e sonno profondo in genere a carattere scopolaminico.
Era molto nota come erba distintamente magica, oltre che per l'azione farmacodinamica, per la forma biforcata della radice che fu paragonata alla figura umana. Si chiamava anche "antropomorphon" o "semihomo ". Da questo hanno l'origine le leggende sul pericolo mortale di strappare la pianta e l'uso delle radici come amuleti, come pure l'idea che essa sia la rincarnazione dello spirito del fuoco.
La Mandragora era anche usata frequentemente dalle streghe perché contiene gli stessi alcaloidi e per le sue virtù farmaco-dinamiche, che la rendono simile al giusquiamo.
Al gruppo del solanum appartengono le solanacee d'azione allucinante più debole: il Solanum dulcamara, comune nell'Europa Meridionale, ed il solanum nigrum, presente in tutta Europa. Il principio attivo è la solanina, alcaloide glucosidico.
Essa provoca ansia ed inquietudine genera le, cefalea, senso di ebbrezza, eccitamento maniacale, ninfomania, sogni spaventosi o più spesso impossibilità di addormentarsi.
L'oppio è l'estratto di teste immature di papavero, specie Papaver somniferum.
L'azione dell'oppio, principalmente dovuta alla morfina, è caratterizzata da allucinazioni spesso di carattere erotico, delirii, e successivamente sopore e sonno. Avvelenamenti gravi danno uno stato comatoso, che si trasforma in morte.
La frequenza delle allucinazioni e dei delirii, negli oppiofagi e fumatori in Oriente, si spiegano in genere o colla differente reazione delle razze orientali all'oppio, o con il differente contenuto in alcaloidi, dell'oppio orientale.
L'azione principale del nostro oppio si esplica nell'analgesi, nell'euforia, e nell'indifferenza completa verso tutto ciò che non è il proprio "io".
In piccole dosi potrebbe essere stato aggiunto alle solanacee per calmare un poco la loro azione eccitante. E' ammissibile che sia stato usato insieme con la belladonna, stramonio o giusquiamo od anche con l'aconito per confezionare i filtri analgesici e calmanti per poter sopportare le torture ed il rogo.
Questo ottundimento ottenuto con le solanacee usate nei filtri analgesizzanti, spiegherebbe anche la condotta di molte streghe ai processi, quando senza alcuna ragione si accusavano di molti delitti che aggravavano la loro pena.
L'Agaricus muscarius è un fungo velenoso noto per contenere l'alcaloide muscarina, eccitante del parasimpatico. Ma oltre questo alcaloide e sostanze volatili che sono velenose per le mosche, si trova in esso una sostanza ancora non precisata che ha azione stupefacente. In maggiore quantità questa sostanza si trova nei funghi che crescono nei paesi settentrionali. Sono ancora in uso per questo scopo fra i popoli della Siberia settentrionale. Nonostante che l'uso dell'Agaricus muscarius per questo scopo sia ignoto, in Europa, non si può affermare categoricamente che fosse sconosciuto alle streghe dei paesi nordici. Questa sostanza stupefacente presa per bocca, viene emessa inalterata con l'urina così che gli indigeni bevono le proprie urine per ubriacarsi. Azione: la coscienza sul principio è conservata o si ha per un certo tempo un lieve obnubilamento di essa, che permette però al soggetto di star in piedi e di esercitare la sua volontà. In questo stato egli ha la sensazione di una felicità interna completa. Ha anche allucinazioni e illusioni e parla con persone presenti solo nella sua immaginazione. Si sente ricco, vede cose assai belle, ecc. Interrogato risponde ragionatamente ma sempre riferendosi ai fantasmi che in quel suo stato di ebbrezza sono per lui realtà. Altri invece sono tristi, piangono o sono in eccitazione motoria.
Si ha spesso macropsia: un piccolo foro gli sembra un terribile abisso. I suoi atti sono conformi a tali suoi errori di visione. Gli sciamani usano questo fungo per produrre l'estasi.
Altre erbe, il cui uso da parte delle streghe è però dubbio, sono il luppolo, la cicuta, il colchico.
Il luppolo (Humulus luppulus) oltre i principi amari, che agiscono in modo eccitante sulla mucosa gastrica, ha anche un'azione inebriante lieve. Produce cefalea, ottundimento e stupore, debolezza delle gambe e sonnolenza. In genere è poco velenoso. Potrebbe essere stato aggiunto ai farmaci diabolici per produrre più rapidamente il sonno e per la sua azione sedativa. Una simile azione inebriante, sia per azione narcotica diretta, sia per la dilatazione dei vasi del cervello, (azione di nitrito d'amile) l'hanno gli olii eterei, contenuti in molte altre erbe.
Alcuni AA. descrivono come erbe "magiche" l'elleboro, la cicuta terrestre (Conium maculatum) ed il colchico (Colchicum autumnale). Ma la loro azione sul sistema nervoso centrale è legata a dosi troppo forti, che hanno dovuto procurare, prima, gravissimi disordini organici, onde non è presumibile che sieno tutte usate a scopo puramente allucinatorio.
Dalle descrizione suddette sembra che le erbe principali (oltre l'agaricus, la conoscenza dell'azione stupefacente del quale da parte delle streghe è dubbia), fossero del gruppo delle piante tropeiniche, essendo la loro azione allucinante la più forte, ed in dosi poco tossiche, e la loro dose letale, relativamente alta. Non parliamo già dei casi di ipersensibilità, quando dosi piccolissime producono sindromi cerebrali.
Le altre erbe erano probabilmente usate per lo più come sinergiche sia nell'azione eccitante che sedativa, e producente offuscamento sensoriale. Le streghe avevano senza dubbio larghe conoscenze dell'azione sinergica di queste erbe, e forse di molte altre, in questa descrizione non ricordate. Tutti gli Autori sono d'accordo nell'asserire che esse sapevano combinare le erbe in modo da produrre la desiderata azione allucinante.
Tale ci appare, dopo questa breve disamina, la demonologia medioevale, considerata specialmente nella sua parte di relazione sensistica con il mondo preternaturale: un delirio tossico (talvolta sopra costituzione isterica), provocato da farmaci dati in forma di pomate, fumigazioni e bevande e indirizzato verso speciali forme diaboliche dall'ambiente psichico in cui il soggetto viveva.
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In seguito alle vicende del 1848-49, si assiste in quasi tutti gli stati italiani ad un generale ritorno a regimi assolutistici: il solo sovrano che mantiene fede allo Statuto è, Vittorio Emanuele II . Così superata la crisi del '49, il ministero d'Azeglio procede ad importanti riforme legislative con le leggi proposte dal guardasigilli Siccardi (1850), vengono aboliti il foro ecclesiastico, dell diritto d'asilo e si limitano le proprietà del clero.
La Chiesa Romana tuttavia da tempo aveva percepito i pericoli insiti in particolare nel principio generale dell'IMMUNITA' ECCLESIASTICA e per diretta conseguenza nell' abuso del DIRITTO D'ASILO ECCLESIASTICO vera e propria via di scampo da giuste condanne per una marea di criminali e delinquenti pericolosissimi (problematiche connesse ad una troppo frequente concessione del "diritto d'asilo" furono spesso evidenziate dal diritto degli Stati come qui si apprende dai cinquecenteschi Statuti criminali della Repubblica di Genova leggendo questo comma del Capitolo LXXI dettante Resti interdetto a chiunque di dar ospitalità a Ribelli messi al pubblico bando e nel pieno XVII secolo gli eccessi della concessione del "diritto d'asilo" fu ben colta da Papa Innocenzo X (1644-1655) che entro il suo progetto di riforma della vita claustrale, con molti altri interventi, ritenenne di dover abolire vari piccoli conventi in Italia atteso che mancando di fondi e sovvenzioni per sopravvivere non pochi erano quelli che andavano offrendo troppo liberamente -tra lo scontento degli Stati- dietro adeguato compenso sotto forma di elemosina diritto d'asilo ecclesiastico ad un numero esorbitante di delinquenti di diversa estrazione.
Di questa riforma della "vita caustrale" voluta papa Innocenzo X dovette occuparsi l'erudito ventimigliese Angelico Aprosio, eletto proprio nel 1652 "Vicario Generale della Congregazione Agostiniana Genovese della Consolazione", che si trovò tra fortissime resistenze e tanti problemi a sovraintendere, per quanto di sua competenza, alla "soppressione di diversi piccoli conventi" = cosa che lo portò ad occuparsi del delicatissimo probleme della soppressione di piccoli conventi che, mancando di fondi, si sovvenzionavano per sopravvivere tramite una esasperata concessione del diritto d'asilo ecclesiastici chiave di volta, dietro pagamento, per molti furfanti di sfuggire alla giustizia ordinaria. La storia di questo lavorio intellettuale forgiato su principi di giusto revisionismo, peraltro non risolta nel '600, si legge in ampia parte nella cronistoria dell' ABUSO DEL DIRITTO D'ASILO qui proposta digitalizzata sotto la VOCE = IMMUNITAS ECCLESIASTICA ET ECCLESIARUM nella BIBLIOTHECA CANONICA... di Lucio Ferraris anche se occorre in questa sede assolutamente consultare le settecentesche Officii nostri di Benedetto XIV e Pastoralis officii di Clemente XIII che rappresentarono ridimensionamenti fondamentali dei principi di immunità ecclesiastica e di diritto d'asilo.
































OFFICII NOSTRI
I doveri del nostro Ufficio non solo Ci impongono l’impegno di rispettare scrupolosamente e di dar corso alle Leggi dei Sacri Canoni e alle Costituzioni dei Romani Pontefici Nostri Predecessori, nella interpretazione delle quali nessun dubbio o ambiguità è dato riscontrare; ma anche Ci richiedono di provvedere ad amputare e rimuovere, pubblicando opportune dichiarazioni, una nascente messe di dubbi circa alcune di quelle leggi.
1. E invero il Nostro Predecessore Papa Gregorio XIV di felice memoria, avendo presente la provvida sanzione del Diritto Canonico, per la quale appunto, sotto il titolo De homicidio volontario, vel casuali cap. I, era stato rinnovato l’antico precetto della Legge dettata da Dio nell’Esodo: Se alcuno intenzionalmente e proditoriamente avrà ucciso il suo prossimo, lo trascinerai via dal mio Altare e lo manderai a morte, attraverso la Sua Costituzione, edita nell’anno dell’Incarnazione del Signore 1591, il 24 maggio, che comincia: "Cum alias", decretò che non si doveva affatto accordare l’immunità Ecclesiastica a coloro che avessero ucciso in modo proditorio il loro prossimo e che si fossero poi rifugiati nelle Chiese e nei luoghi sacri. Inoltre anche il Papa Benedetto XIII Nostro Predecessore, di venerata memoria, che ha accresciuto il Nostro prestigio, ha pubblicato, nell’anno della Incarnazione del Signore 1725, il giorno 8 giugno, una Costituzione che comincia con Ex quo divina che escluse e respinse dal beneficio dell’immunità Ecclesiastica non solo coloro che avessero compiuto in modo proditorio (come detto sopra) un omicidio, ma anche gli uccisori del loro prossimo con premeditata decisione. Infine il recente Predecessore Nostro Clemente Papa XII, di santa memoria, nella sua Costituzione che comincia con In supremo justitiae solio, pubblicata nell’anno della Incarnazione del Signore 1734, il 1° gennaio, volle e decretò che del beneficio della predetta immunità per nulla godessero coloro che in una rissa avessero compiuto un omicidio, purché l’omicidio non fosse stato accidentale o conseguente alla propria difesa.
2. Inoltre gli stessi Predecessori già ricordati, Benedetto e Clemente, a quei delitti che erano compresi nel Diritto Canonico e nella Costituzione Gregoriana, ne aggiunsero parecchi altri; stabilirono che chi li avesse commessi sarebbe stato escluso dal predetto diritto d’asilo e dalla facoltà di rifugiarsi presso le Chiese e i luoghi sacri e religiosi; soppressero, con dichiarazioni e definizioni, varie questioni e controversie sollevate da Dottori interpreti del predetto Diritto e delle Costituzioni Apostoliche che trattano della immunità locale, come si può desumere dallo spirito di quelle stesse Costituzioni e anche da una delle nostre Istituzioni che pubblicammo quando reggevamo la Chiesa arcivescovile di Bologna (per l’istruzione di quel popolo affidato alla Nostra sollecitudine) e che è stampata nel secondo tomo delle Edizioni Italiche n. 21, mentre nella edizione latina portano il numero 61.
3. Oltre a ciò, si stabilisce come possa una Curia Ecclesiastica, nel caso di un delitto in tal modo contemplato, procedere alla cattura del delinquente dal luogo immune e trasferirlo alle proprie carceri, avendo il nominato Predecessore Benedetto stabilito che, circa la qualità del delitto in questione e della persona incriminata, vi fosse un congruo numero di quegli indizi che solitamente vengono reputati sufficienti a decretare la cattura. Per essere poi legalmente in grado di rimettere e consegnare il prigioniero ai Ministri e ai Funzionari della Curia Secolare, Benedetto aveva decretato che dal processo informativo istruito contro lo stesso prigioniero dovevano risultare indizi che conforme alle norme del diritto si chiamano ultra torturam; successivamente l’altro Predecessore Clemente XII più ampiamente dichiarò che quante volte risultasse al giudice Ecclesiastico, dagli indizi raccolti non oltre la tortura ma soltanto attraverso la tortura, che il delitto contemplato era stato commesso dal prigioniero, egli stesso poteva rimettere e consegnare il prigioniero alla Curia secolare. D’altronde gli stessi Predecessori non vollero che per alcun verso fosse sminuita l’Autorità Ecclesiastica in ragione di quanto detto, né che fosse colta occasione alcuna di ledere la giustizia. Piuttosto stabilirono che mai si potesse procedere alla cattura di tali delinquenti in luogo immune senza l’autorizzazione del Vescovo e senza l’intervento di persona Ecclesiastica incaricata dallo stesso Vescovo; e che mai si potesse affidare e consegnare gli stessi prigionieri (anche quando concorrano i predetti indizi) ai Funzionari della Curia secolare, se non in forza di quella legge (da rispettare sotto minaccia di gravissime censure) per cui devono essere restituiti alla Chiesa o al Luogo immune gli stessi prigionieri, fino a quando non siano chiariti e confutati tali indizi nel corso del processo.
4. Poiché quelle norme che dal ricordato Predecessore Clemente furono aggiunte alle sanzioni del comune diritto e delle Costituzioni Gregoriane e Benedettine, non si estendevano affatto oltre i confini dei Domini temporali della Sede Apostolica, ci parve opportuno estenderle anche alle altre regioni, i cui Principi ne facessero richiesta. Pertanto nei Concordati che furono stipulati sia nell’anno 1741 col carissimo in Cristo figlio Nostro Carlo, illustre Re delle Due Sicilie, sia, nell’anno seguente 1742, con l’altro parimenti carissimo in Cristo figlio Nostro Carlo Emanuele, illustre Re di Sardegna, concedemmo che nei Domini degli stessi Re avessero vigore le premesse disposizioni e le altre contenute nella predetta lettera di Clemente; di poi estendemmo ed ampliammo i Concordati anche ad altri Domini di Principi che ne facevano richiesta, pubblicando una specifica lettera (di cui un esempio è dato vedere nel primo Tomo del Nostro Bullario, Constitut. 88), che comincia: Alias felicis.
5. Invero, poiché tutte queste misure adottate dai predetti Nostri Predecessori e da Noi stessi non bastarono a togliere di mezzo o a prevenire completamente tutte le questioni che di solito insorgono nei Tribunali sia circa la natura degli omicidi da considerare in relazione ai prigionieri, sia circa il modo di applicare le predette Costituzioni nei vari casi di tali omicidi e di altri delitti dei prigionieri, giudicammo che Ci fosse riservato questo ulteriore compito, di non tollerare che in nessun modo rimanessero inerti, di fronte alle difficoltà e ai dubbi, le regole d’intervento in tali questioni, con le quali molto spesso è necessario soppesare e condurre a termine gli atti processuali sia dei Giudici Ecclesiastici, sia Secolari.
Pertanto, dopo aver soppesato prontamente ogni questione e aver udito non pochi Venerabili Fratelli Nostri Cardinali di Santa Romana Chiesa e altri autorevoli uomini e periti in Diritto Canonico ed esperti in processi criminali, per Nostra decisione e per quella pienezza di Autorità Apostolica che esercitiamo, decretammo di dichiarare il pensiero Nostro e dei Nostri Predecessori e di porre di nuovo alcune questioni nel seguente modo.
6. E in primo luogo, mentre nella ricordata Costituzione del Predecessore Gregorio che comincia con Cum alias si enumerano quei delitti che devono essere considerati esclusi dal beneficio della immunità Ecclesiastica e si fa menzione solamente dei delinquenti Laici, e solo di essi ha anche parlato l’altro Predecessore Benedetto nella sopracitata Costituzione che comincia con Ex quo Divina, piacque al lodato Predecessore Clemente XII estendere ed ampliare la sua Costituzione che comincia In supremo Justitiae solio anche agli Ecclesiastici di ogni grado e ordine che hanno perpetrato un omicidio con volontà premeditata, in modo che essi, in ogni caso, non possano godere della immunità Ecclesiastica; purché tuttavia il processo per l’omicidio da loro commesso sia riconosciuto dal loro giudice Ecclesiastico competente e da questo i colpevoli, se furono riconosciuti tali prima della pena del sangue, siano puniti dopo aver prestato degna attenzione alle prescrizioni dei Sacri Canoni.
7. Inoltre, poiché fu avanzato il dubbio se entro questo ampliamento ed estensione del Predecessore Clemente siano compresi anche gli insegnanti degli Ordini Regolari e gli alunni, Noi, per togliere ogni dubbio in materia, decidemmo e dichiarammo che saranno da includervi tutti e ciascuno di qualunque Ordine, Congregazione, Compagnia e Istituto regolare, tanto i Professi in tali Sodalizi quanto gli aggregati di qualunque modo, di qualunque grado e condizione fossero, anche se insigniti di qualche privilegio degli stessi Ordini o di qualunque altra espressa e distinta menzione personale e dei loro Ordini: siano compresi nella censura della presente e delle precedenti Costituzioni. Se accadesse mai (Dio non voglia) che qualcuno avesse perpetrato un omicidio premeditato, dovrà essere escluso dal beneficio della Immunità Ecclesiastica, secondo il dettato delle stesse Costituzioni di Benedetto e di Clemente.
8. E poiché il ricordato Predecessore Clemente, con speciale decreto pubblicato nel giorno 5 ottobre dell’anno 1736, dichiarò espressamente che anche le donne che avessero commesso qualche delitto di tal fatta (da doversi considerare fra quelli esclusi dal beneficio della Immunità locale in conformità delle disposizioni già dette) dovevano essere giudicate con diritto pari a quello degli uomini e che nel disposto della sua Lettera che comincia In supremo Justitiae solio devono essere comprese assolutamente in modo equo, Noi, secondo lo spirito di questa Nostra Costituzione, approviamo e confermiamo la predetta dichiarazione e aggiungiamo ad essa l’intatta forza di una legge inviolabile, secondo la quale occorre essere giudicati nei casi che si presentano. Decidiamo del pari e confermiamo, in base al disposto dello stesso Clemente e di questa Nostra Costituzione, che anche i soldati siano compresi in tutte e per tutte le disposizioni, né si può favorirli o attribuire ad essi, in tal materia, alcun privilegio militare.
9. Inoltre, poiché nella predetta Costituzione del Predecessore Clemente sono esclusi dal beneficio della predetta Immunità tutti e ciascuno, tanto Laici che Ecclesiastici, inquisiti e processati, perseguiti in contumacia e condannati per causa e in occasione di un omicidio, anche commesso nel corso di una rissa, con le armi o sia con arnesi idonei per loro natura ad uccidere, purché l’omicidio non sia stato causale o dovuto alla propria difesa, spesso avvenne di discutere se si debba considerare escluso dal beneficio d’Immunità locale colui che non accidentalmente o per legittima difesa in una rissa commise un omicidio o con un bastone o con un sasso che, beninteso, non sono armi, se così si possono definire, e comunque non sono di solito considerate armi per loro natura idonee ad uccidere, Noi dunque, nel chiarire un tal dubbio, stabilimmo che qualunque omicida, sia uomo sia donna, sia Laico sia Ecclesiastico secolare o regolare di qualsivoglia Ordine che anche con un bastone o con un sasso abbia ucciso il suo prossimo, non può affatto godere del diritto di asilo ecclesiastico, quando sia accertato dalle circostanze del delitto che il suo atto, anche se compiuto in una rissa non per accidente o per necessaria autodifesa, fu commesso per odio e con intenzione e volontà di nuocere. Questa Nostra definizione è conforme alla Legge Divina che si trova nel Libro dei Numeri, dove, designati i luoghi d’asilo per coloro che involontariamente avessero effuso il sangue del prossimo, così si prosegue: Se alcuno avrà ferito di spada e il ferito ne morirà, sarà reo di omicidio ed egli stesso dovrà morire. Se avrà lanciato una pietra e il colpo avrà ucciso, sia punito allo stesso modo. Se chi è percosso da un bastone morirà, sarà vendicato col sangue del picchiatore. Il parente dell’ucciso ucciderà l’omicida; non appena sarà catturato, lo uccida. Se un tale per odio avrà colpito un uomo o in un agguato gli avrà lanciato qualcosa o, come nemico, lo abbia percosso di mano e lo abbia ucciso, il picchiatore sarà reo di omicidio; il parente dell’ucciso, non appena avrà trovato l’uccisore, lo sgozzerà. Che se poi per caso e senza odio e inimicizia avrà compiuto alcuno di quegli omicidi e ciò sia stato provato al cospetto del popolo e fra il colpevole e il vicino di sangue la questione sia dibattuta, l’innocente sarà sottratto alla mano vendicatrice e per sentenza sarà ricondotto nella città nella quale si era rifugiato e quivi rimarrà finché il Grande Sacerdote, che fu unto dall’Olio Santo, non morirà (Nm 35,16-25).
10. Accade poi negli omicidi (ciò che non ha luogo negli altri delitti denunciati) che chi sia stato percosso o colpito non muoia all’istante ma che piuttosto sopravviva per qualche ora o qualche giorno. Frattanto il picchiatore, rifugiandosi in una Chiesa o in altro luogo immune, gode del diritto d’asilo di cui non può essere privato come omicida finché chi è stato percosso da lui rimane fra i vivi; mentre da quello stesso luogo immune egli non tralascia di spiare con ansia la vita del ferito, se capisce che questi potrà vivere a lungo, in nessun modo si allontana dal rifugio raggiunto; quando poi viene a sapere che quegli ha perso la vita in seguito alla ferita infertagli, presa la fuga eludendo la sorveglianza dei magistrati, in buon punto provvede a se stesso e si sottrae alle meritate pene. Poiché da coloro che sono preposti all’amministrazione della giustizia a Noi fu detto che un tale fatto accade spesso, e certo non senza grave danno della pubblica tranquillità per la speranza d’impunità che i facinorosi concepiscono, convinti di poter evadere nel medesimo modo, gli stessi magistrati ci hanno chiesto di rimuovere con gli opportuni rimedi della Nostra previdenza un male di tal fatta.
11. Perciò Noi, per consiglio dei predetti Nostri Fratelli e di altri saggi, con la presente lettera giudichiamo e decidiamo che, quando un violento si rifugi in una Chiesa o in altro Sacro o Religioso luogo, se i chirurghi chiamati ad esaminare la ferita avranno riferito essere presente un grave pericolo di vita, allora sia consegnato alle carceri il violento, dopo averlo strappato dal luogo immune, rispettando le procedure; e che in forza di questa legge, egli sia restituito alla Chiesa, qualora il ferito sopravviva oltre il tempo stabilito dalle leggi e per di più subisca le stesse pene alle quali (nelle ricordate Lettere di Benedetto e di Clemente) sono sottoposti coloro che rifiutano di restituire il delinquente loro affidato in base a indizi sufficienti per torturarlo dopo che il delinquente avrà chiarito gli indizi in sua difesa
. 12. E invero nella citata Costituzione del Predecessore Gregorio circa la facoltà di chiedere l’estradizione dei delinquenti da luogo immune nei casi previsti, fu stabilito che tale facoltà appartenga solo ai Vescovi e agli altri Prelati superiori ai Vescovi e non già agli altri inferiori ai Vescovi, anche se gli altri sono Ordinari o di Nessuna Diocesi. Cosicché, verificandosi il caso delittuoso in luogo escluso e non sottoposto ad alcuna Diocesi, allora tale affare sia affidato al più vicino Vescovo, come fu confermato anche dall’altro Nostro Predecessore Benedetto nella sopracitata sua Costituzione; la stessa norma Noi pure approviamo e confermiamo ai sensi della presente Lettera. Ma poiché su tale argomento furono a Noi riportate non poche lagnanze che certe Curie Ecclesiastiche avanzarono a nome dei Funzionari della Curia Secolare, e convennero di rinviare la cattura dei delinquenti, nei casi contemplati, più a lungo del lecito, Noi con ogni premura e impegno persuadiamo e con riguardo ordiniamo che gli stessi Venerabili Fratelli Vescovi e gli altri superiori Presuli delle Chiese facciano in modo di rimuovere ogni occasione di querele per questo genere di questioni, e ogni volta che si tratti di delinquenti nei casi previsti, non ricusino di raccogliere gli opportuni indizi contro di essi; e se ammettono che quegli indizi, richiesti conforme alle premesse, sono veramente sufficienti, quanto prima decidano di trarre fuori gli stessi delinquenti dal luogo immune, affinché siano detenuti o nelle carceri episcopali in nome della Chiesa, o siano trasferiti con le debite cautele alle carceri della Curia Laicale, ove saranno ristretti in nome della stessa Chiesa. Infatti non si può invocare l’obbligo dello zelo Ecclesiastico nell’impedire il corso della giustizia, prescritto dalle Costituzioni Apostoliche contro i facinorosi, ma piuttosto nell’affermare e sostenere l’immunità della Chiesa e di tutti gli altri luoghi Ecclesiastici e i diritti personali, quando accada che siano infrante e violate le prescrizioni delle sacre leggi. Quando tuttavia riteniamo che tali indugi intervengano soprattutto se i predetti acclarati delitti sono perpetrati non nelle Città ma in Diocesi, in luoghi remoti dalla sede della Curia Ecclesiastica, per questo motivo Noi tramite questa stessa Lettera concediamo facoltà e comunichiamo ai predetti Vescovi e agli altri Superiori Prelati che ogni volta che saranno interpellati circa casi di tal genere da parte della Curia laicale, potranno affidare ai loro Vicari foranei o alle altre persone ecclesiastiche da deputare a tale funzione da parte degli stessi superiori, l’incarico di raccogliere gli indizi giuridicamente necessari per la cattura, affinché, esaminati appunto tali indizi, gli stessi Superiori, conforme al diritto, siano al più presto idonei alla cattura dei delinquenti.
13. E certamente tutte queste disposizioni che fin qui annunciammo, definimmo e prescrivemmo sia in questa Nostra Urbe, sia a Bologna, Ferrara, Benevento e in tutte le altre città, terre e luoghi direttamente o indirettamente soggetti a Noi e alla Santa Romana Chiesa e che richiedono una speciale e distinta menzione, e nelle Curie Ecclesiastiche e Secolari dei quali luoghi, anche Baronali, come anche in altri Regni, Province e Possedimenti ai quali le citate Costituzioni dei Nostri Predecessori, sia con particolari concessioni (come sopra è detto), sia per mezzo di Concordati furono estese e ampliate (fin dove appunto si distinguano convenientemente, ma in armonia con gli stessi Concordati, dai quali in nessun modo intendiamo derogare), vogliamo che siano rispettate in ogni caso e decidemmo che abbiano perpetuo fondamento e che raggiungano e ottengano i loro dovuti effetti in tutti i singoli Domini, Regni e Luoghi, tanto dai Giudici delle Curie Ecclesiastiche che Secolari, dai Magistrati, dai Funzionari, dai Ministri e da tutti coloro i quali hanno e avranno competenza pro tempore in materia.
14. Ciò che nelle citate Costituzioni dei Nostri Predecessori, sotto minaccia di gravissime pene, fu vietato, e cioè che né le Curie Secolari né i loro Magistrati, Giudici e Funzionari catturino, portino via dalle Chiese, dai Monasteri e dai luoghi sacri o imprigionino, anche nei casi previsti, un delinquente senza l’intervento dell’Autorità Ecclesiastica, o che osino o presumano di giungere in qualche modo a dichiarare che dai predetti prelevati sono stati commessi crimini previsti nelle Costituzioni degli stessi Predecessori (mentre questa facoltà, come si è detto, è riconosciuta appartenere ai soli Vescovi), Noi con sentimento, autorità e insistenza confermiamo e ordiniamo anche ad essi, e a tutti coloro ai quali questa funzione compete e competerà in avvenire, di rispettare le presenti norme sempre, senza eccezione. Abbiamo deciso e sancito che chi agirà in senso contrario e i trasgressori debbano incorrere in quelle stesse pene che sono state indicate nelle predette Costituzioni, ritenendo che si debbano considerare fra i trasgressori anche coloro che, disprezzando l’Autorità Ecclesiastica e le Sanzioni canoniche, trascurano il prescritto ricorso ai Superiori Ecclesiastici, presumono di poter assediare i Luoghi immuni e vietano che siano portati alimenti a coloro che si proteggono in un Sacro rifugio, o altrimenti li costringono a darsi in potere della Curia Secolare. Noi infatti decidiamo e dichiariamo che coloro che hanno osato tanto, sia che fuggano da delitti accertati, sia che si trovino inquisiti di altri non accertati, incorrano in tutte e nelle singole pene e censure previste contro chi viola l’Immunità Ecclesiastica secondo il diritto e le pene annunciate e prescritte nelle predette Costituzioni Apostoliche. Certo non ignoriamo che anche in altri tempi ricorrevano spesso azioni violente, ma insieme sappiamo che dalla Chiesa furono sempre condannate e proscritte; e ciò dimostrano a sufficienza quegli Statuti che furono raccolti in parecchi Concili Provinciali, allo scadere del decimoterzo e decimoquarto secolo della Chiesa. Ivi infatti sono ricordati gli assedi delle Chiese, la sottrazione degli alimenti e gli altri espedienti per i quali coloro che si erano rifugiati nelle Chiese erano costretti alla resa; tutti quelli che avranno osato tentare tali azioni, saranno feriti dalla spada dell’anatema. E Noi dunque che non possiamo né vogliamo abbandonare lo spirito della Chiesa tante volte apertamente manifestato circa le questioni predette e dai Nostri Predecessori costantemente rispettato, fedeli in tutto a tale spirito, giudichiamo e dichiariamo che tutti e i singoli che abbiano osato usare violenza in tal modo contro coloro che si trovano sotto la tutela dell’Immunità Ecclesiastica, oltre alle altre pene e censure prescritte e sancite e da applicare senza altra dichiarazione contro quelli che violano la stessa immunità, come si è detto, saranno privati e considerati indegni di ogni beneficio e privilegio del rifugio e dell’asilo Ecclesiastico, tanto presso le Chiese e i luoghi immuni da loro così violati, quanto presso le altre Chiese e i Luoghi Sacri e Religiosi e saranno da giudicare alla stessa stregua di tutti coloro che fanno violenza sui rifugiati o li catturano di forza e li portano via dalla Chiesa o da altro luogo immune; il lodato Predecessore Benedetto XIII, nella sua citata Costituzione, dichiarò invero che "essi non potranno né dovranno mai godere non solo della immunità della Chiesa che hanno violato, ma anche di ciascuna altra Chiesa". E Noi giudicammo che anche i predetti siano da ascrivere nel numero dei violenti.
15. Infine poiché, come abbiamo appreso, tra le Curie del nostro Dominio Temporale e di non pochi Domini confinanti, è invalsa una certa consuetudine, per cui coloro che abbiano commesso delitti di una certa specie nell’uno o nell’altro di tali Domini e si siano rifugiati entro i confini dell’altro, siano catturati nella Curia vicina a quel Dominio in cui fu commesso il delitto e consegnati alla stessa Curia. E quando, come a Noi fu riferito, accada talvolta di frapporre indugio in tali trasferimenti, per il fatto che quei delinquenti si erano messi al sicuro nelle terre verso cui erano fuggiti, sotto la tutela di una Chiesa o di alcun altro Luogo immune, allora Noi, volendo opportunamente congiungere le ragioni della Immunità Ecclesiastica con la retta amministrazione della Giustizia e con la tranquillità dello Stato, deliberammo e ordinammo che se tali fuggitivi avranno commesso un delitto di quelli che sono compresi nelle predette Costituzioni Apostoliche e nel Dominio temporale della Chiesa Romana, si raccolgano e si accumulino gli indizi (richiesti per procedere alla cattura) da parte del Vescovo Diocesano o da quello più vicino a quel luogo ove fu commesso il delitto. Quegli indizi, poi, senza indugio siano trasmessi al Vescovo dell’altro luogo in cui il delinquente trovò asilo, affinché con la sua autorità e con l’intervento di persona Ecclesiastica si possa procedere alla sua estradizione dal Luogo immune. Con lo stesso criterio si deve procedere se nei predetti Domini di altri Principi, nei quali vige la consuetudine della citata consegna, viene commesso un delitto di tale specie: ciò, sia in forza delle Costituzioni Gregoriana e Benedettina, sia a motivo del Concordato con la Sede Apostolica, sia per estensione di altra Costituzione di Clemente XII richiamata espressamente dalla Sede Apostolica.
Vogliamo e ordiniamo che il Vescovo, al quale la materia compete in forza del luogo in cui il delitto fu commesso, provveda a che siano raccolti gli accennati indizi necessari per la cattura, e li trasmetta al Vescovo dello Stato Ecclesiastico nel cui territorio il reo del delitto scelse l’asilo, affinché, con l’autorità di questo Antistite, fatti salvi i principi da rispettare, il delinquente possa essere estradato dal luogo del rifugio e, se così esige la norma, essere consegnato alla Curia esterna che ne fece richiesta.
Vogliamo tuttavia che in ognuno dei casi predetti, nei quali si tratti soltanto dei delitti descritti più sopra, siano osservate rigorosamente le leggi e le procedure sia delle Costituzioni di Clemente sia dei Concordati, sia ovviamente quando il delinquente sia ristretto nelle carceri in nome della Chiesa, sia anche quando, solamente da parte dei Vescovi, sia espresso un giudizio negativo finché da tutti gli altri Giudici Ecclesiastici si dichiari (in base agli indizi, come si è detto, sufficienti alla tortura) se il delitto, di cui si tratta, debba essere annoverato tra quelli descritti o meno; e infine, anche nel caso che si riferisce all’obbligo di restituire il reo sulla scorta delle citate Costituzioni, fino a quando costui nel corso del processo non avrà emendato e attenuato gli indizi che sono contro di lui.
16. Vogliamo infine che la presente Lettera e i suoi contenuti abbiano potere e forza di perpetua validità e i suoi integri e pieni effetti nei luoghi e nei Domini predetti e, con particolare riguardo, in qualsiasi luogo e popolo; che sia rispettata da tutti e dai singoli ai quali è rivolta e in ogni caso si rivolgerà anche in futuro secondo le circostanze, sotto la minaccia delle pene e delle censure previste, in cui devono tosto incorrere i trasgressori; e così, e non altrimenti, come nelle premesse, decretiamo che sia applicata da tutti i Giudici Ordinari e Delegati, anche dai Cardinali della Santa Chiesa Romana, anche dai Legati de latere, da tutte le Congregazioni dei Cardinali e dai Nunzi della Sede Apostolica, nonché dalle Curie secolari, dai Magistrati, e da chiunque altro sia o sarà investito di qualsivoglia carica o potere, anche se degno di particolare nota e menzione, e da quanti, in qualsiasi altro modo, abbiano facoltà e autorità di giudicare e di interpretare; e sia nullo e inefficace il giudizio che, da chicchessia o da qualsiasi autorità, scientemente o per ignoranza espresso, indicherà di operare diversamente.
17. Nonostante le premesse e tutte le altre Costituzioni Apostoliche, le Regole e le Ordinazioni e ogni Legge Ecclesiastica o Secolare, gli editti, gli scritti, gli usi e le consuetudini anche immemorabili; i privilegi, gl’indulti, le facoltà, le persone d’ogni sorta degne di speciale menzione e illustri per quale e quanta vuoi sublime carica e autorità, e anche oberate di qualsivogliano urgentissime cause, o gli Ordini di Regolari, anche di Mendicanti, di Militari e anche di San Giovanni Gerosolimitano, o di Monaci, o le Congregazioni di Chierici Regolari, le Società e gl’Istituti, anche della Compagnia di Gesù, e tutti gli altri che vanno sotto qualunque forma e denominazione, e con qualunque clausola e decreto, anche affini per obiettivi e per pienezza di potere, concessi concistorialmente o in qualunque modo contrario a quanto premesso, anche se più volte confermati e rinnovati: A tutti questi ed ai singoli – i concetti, la forma e le finalità dei quali, anche se impliciti e riservati, con la presente Lettera s’intendono pienamente espressi – Noi, da questo ufficio, con piena conoscenza e potestà, ai sensi di quanto premesso, deroghiamo; e vogliamo sia derogato, respinta ogni eccezione contraria. Se ad alcuni, tutti assieme o separatamente, sia stato concesso da questa stessa Sede che in nessun caso, o al di fuori di certi casi, e per cause diverse, non possano essere scomunicati, sospesi o interdetti, se non per Lettere della stessa Sede, i medesimi facciano piena e motivata menzione di tale Indulto, parola per parola.
18. Affinché, poi, la presente Lettera e il suo contenuto siano recati a conoscenza di tutti, e affinché nessuno osi allegare l’ignoranza della materia, vogliamo che la Lettera sia pubblicata alle porte della Chiesa di San Giovanni in Laterano, della Basilica del Principe degli Apostoli dell’Urbe, della Cancelleria Apostolica, della Curia Generale Innocenziana e negli altri soliti e consueti luoghi dell’Urbe, per mezzo dei Nostri Cursori, come è di costume; vogliamo che copie di essa siano affisse, in modo che così pubblicate e affisse, tutti e ciascuno – cui essa è rivolta e sarà rivolta in futuro – ne dispongano, come se a ciascuno di essi fosse comunicata e notificata personalmente; vogliamo anche che le copie di essa, anche a stampa, purché sottoscritte di pugno da un pubblico Notaio e munite del sigillo di persona dotata di dignità Ecclesiastica, abbiano in ogni luogo la stessa fiducia che si avrebbe per la presente Lettera se fosse esibita e mostrata in originale.
19. Pertanto a nessuno sia lecito violare questa pagina delle Nostre dichiarazioni, definizioni, ordinazioni, affermazioni, proibizioni, mandati, decreti e volontà, od opporsi ad essa con atto temerario. Se qualcuno poi avrà osato tanto, incorrerà nell’indignazione di Dio Onnipotente e dei Beati Pietro e Paolo suoi Apostoli.
Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, nell’anno 1749 dell’Incarnazione del Signore, il 15 marzo, anno decimo del Nostro Pontificato.



ufficio divino loc. s. m. lit.: 1 preghiera liturgica composta di salmi, inni, brani delle sacre scritture e patristici, che viene recitata ogni giorno in ore canoniche dai preti secolari e dai religiosi consacrati: dire, recitare, cantare l'u. divino - 2 estens., libro o breviario che contiene tali testi



PASTORALIS OFFICII
1. La sollecitudine del Nostro dovere pastorale, affidato a Noi, anche se immeritevoli, per volere di Dio, Ci ammonisce innanzitutto di dare l’apostolico assenso ai voti dei Principi Cattolici a che non sia tolto niente all’immunità ecclesiale, e contemporaneamente si provveda alla tranquillità pubblica. Dunque, da parte del Nostro carissimo figlio in Cristo Carlo Emanuele, illustre Re di Sardegna, a Noi fu esposto che più volte allo stesso re Carlo Emanuele da parte di persone temporaneamente trovantisi nel Regno di Sardegna come Pro-re e da altri ministri, sono pervenuti lamenti a causa dei frequenti omicidi ed altri gravi delitti che in tutto questo Regno sempre più spesso vengono compiuti. Ad essi contribuiscono molto la facilità ed il vantaggio in forza dei quali delinquenti e uomini facinorosi, dopo aver commesso gravi crimini e delitti, per evitare la dovuta pena si rifugiano nelle Chiese ed in altri luoghi immuni esistenti in ogni parte del sopraddetto Regno, benché alcuni dei luoghi immuni e di tali Chiese non siano tenuti nella dovuta venerazione, né siano custoditi. Perciò il medesimo re Carlo Emanuele per eliminare e troncare totalmente obbrobrio sì pernicioso e detestabile, desidera grandemente che con la Nostra benevolenza apostolica Ci degniamo dichiarare quali siano i crimini e i delitti a seguito dei quali i rei ed i delinquenti contro la pubblica tranquillità e sicurezza, per non sfuggire alla pena a causa dei crimini commessi, non possano avere asilo ecclesiastico, in quanto anche d’ora in poi non godono affatto d’immunità ecclesiastica.
2. Di qui deriva che Noi, non meno per il compito impostoci per volere di Dio dalla sollecitudine apostolica quanto per il desiderio che abbiamo di curare la tranquillità pubblica, dopo quella matura riflessione che abbiamo avuto nelle precedenti deliberazioni, seguendo gli esempi degli altri Romani Pontefici, Nostri Predecessori, i quali, di più o di meno, secondo la necessità dei luoghi e la situazione dei tempi, applicarono il loro spirito per combattere la perversità degli uomini e provvedere alla tranquillità pubblica, limitarono il beneficio dell’immunità ecclesiastica, vogliamo aderire favorevolmente, per quanto possiamo nel Signore, alle pie domande del medesimo re Carlo Emanuele. Con Motu-proprio, e anche con Nostra sicura conoscenza e pienezza di potestà Apostolica, dichiariamo, stabiliamo e decidiamo che nel Regno di Sardegna non devono affatto avere asilo ecclesiastico i rei e colpevoli dei crimini sotto indicati, cioè: "primo". Quelli, che avranno commesso omicidio, eccettuato che si tratti di omicidio casuale, e a propria difesa con temperamento di tutela incolpabile; "secondo". Gli incendiari, cioè coloro che con dolo e di fatto metteranno, o faranno metter fuoco, o che consapevolmente daranno aiuto, e consiglio a chi mettesse fuoco a qualunque Chiesa, Luogo Sacro, o Religioso o a qualunque Casa abitabile sia tanto in Città, e Luoghi abitati, quanto fuori di essi; come altresì a Tuguri costruiti a guisa di casa soliti ad abitarsi da Contadini, o Pastori, o sopra gli Armenti, o le Greggi; a Vigne, Seminati, Oliveti, Selve, e qualunque altro Podere alberato, coltivato, e fruttifero; "terzo". Coloro, che faranno assassinare, o che per commissione data loro, assassineranno, o che ai suddetti scellerati danno aiuto, o consiglio, quantunque non ne sia seguita la morte; purché però si sia giunti al fatto proprio, cioè alla violenza, e sia sopraggiunta una ferita; "quarto". I Grassatori, e Ladri di strade pubbliche, e vicinali, anche per la prima volta, che commettessero un tale delitto, ancorché senza alcuna Offesa del Derubato. 3. Di immunità ecclesiastica invece non devono affatto godere: "Le Chiese rurali esistenti fuori delle Città, e Luoghi abitati, nelle quali non si conserva il Venerabile, eccettuate le Parrocchie, e le Chiese filiali delle medesime, nelle quali si esercita la cura delle Anime, con dichiarazione, che tanto rispetto alle suddette Chiese rurali riservate, quanto a riguardo di tutte altre Chiese, che sono in Città, e altri Luoghi abitati, non debba il beneficio dell’Asilo distendersi, quanto all’esteriore, ad altro, che all’Atrio, quando sia circondato di mura, o Portici, Scale, e Porte, tanto anteriori, che laterali, ed alla facciata anteriore solamente. Le Cappelle, e gli Oratori esistenti nelle Case de’ Particolari, e Magnati, quantunque abbiano privilegio di Cappelle pubbliche, e l’adito in strada pubblica; così parimenti tutte le Cappelle delle Fortezze, e Castelli chiusi, ancorché si conservi in esse il Santissimo Sacramento. I campanili separati dalle Chiese, e dalle muraglie di esse. Le Chiese dirute ed abbandonate, o tenute in stato indecente, quando non siano necessarie, o utili al servizio, e cultura spirituale dei Popoli, previa però la profanazione di esse, quali Noi ingiungiamo strettamente ai Vescovi e Ordinari di fare nel più breve tempo, che loro sia possibile. Gli Orti, e Giardini, e altri Luoghi di Chiese, e di qualsiasi altra Casa Religiosa, i quali non siano circondati da muraglie, e non sono compresi nella Clausura. Le Botteghe, e le Case attaccate alle muraglie delle Chiese, e dei Monasteri, o di qualsivoglia altra Casa Religiosa, quantunque abbiano interna comunicazione con le medesime, purché non siano comprese nella clausura. Le Case, nelle quali abitano i Sacerdoti, o altri Ecclesiastici, ancorché abbiano l’ingresso nella Chiesa, eccettuatone però le Case, ove abitano i Parroci, ed altri Ecclesiastici destinati alla cura, e custodia della Chiesa, purché bensì tali Case si abitino da essi stessi, e non da altri, le quali avendo l’immediata comunicazione interiore con la stessa Chiesa, godranno del Sacro Asilo, nonostante abbiano la porta con l’uscita in strada pubblica".
4. Affinché queste Nostre sopraddette disposizioni raggiungano il loro effetto, imponiamo ed ordiniamo con la presente Lettera a Voi, Fratelli Arcivescovi e Vescovi, che ognuno di Voi nelle sue rispettive città e in qualsiasi terra, paese e castello delle rispettive diocesi assegni ai rei e ai criminali che si trovano nelle chiese e nei luoghi immuni il tempo congruo, secondo il Vostro giudizio, e si affiggano i pubblici manifesti ed avvisi, informandoli che in avvenire, secondo la Nostra presente Disposizione, in alcune chiese e luoghi sopraddetti non debbano assolutamente godere dell’immunità ecclesiastica coloro che si trovano presentemente accusati di crimini commessi, e ordiniate che di lì siano trasferiti effettivamente nelle chiese e nei luoghi immuni da Noi voluti, dopo aver dichiarata, o se si preferisce implorata, ed ottenuta precedentemente, a loro vantaggio, la necessaria sicurezza dal braccio secolare.
5. Stabiliamo che questo presente documento sia sempre saldo, valido ed efficace, e che raggiunga il suo pieno ed integro compimento, anche nel futuro, ed ottenga a quelli ai quali interessa e per qualsiasi tempo interesserà, di essere pienamente osservato, da parte loro, rispettivamente inviolabilmente. Così, come nelle premesse, per qualunque giudice ordinario e delegato, anche per gli uditori delle Cause del Palazzo Apostolico e i Nunzi della Sede Apostolica, sia tolta loro e a ciascuno di loro qualsiasi facoltà ed autorità di giudicare e di interpretare, e se capitasse loro di dover giudicare o stabilire diversamente, ciò sia vano ed irrito, se fatto da chiunque o con qualsiasi autorità, consapevolmente oppure inconsciamente.
A questo Nostro Documento non si opponga nessuna costituzione o disposizione apostolica che vi fosse contraria né qualsiasi altro contrario documento. Vogliamo inoltre che le copie di questa lettera, trascritte o anche stampate, firmate da qualche notaio pubblico e munite con il sigillo di una persona costituita in dignità ecclesiastica, abbiano esattamente la stessa credibilità come se fosse esibito oppure presentato questo stesso Documento originale.
Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, sotto l’anello del Pescatore, il 21 marzo 1759, nel primo anno del Nostro Pontificato.



ARTICOLO III VOCE ECCLESIA - SOMMARIO -
Classificazione delle chiese (1)
-
Basilica (2 - 4)
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Cattedrale (5) -
Collegiata - Collegiate (6) -
Chiesa Matrice (7) -
Chiese Filiali (8) -
Chiese Battesimali (9) -
Chiese Parrocchiali (10) -
Assimilazione fra Chiese Parrocchiali e Filiali (11) -
Chiese Battesimali dette anche Matrici (12) -
Licenza episcopale per edificare una nuova chiesa (13) -
Licenza episcopale anche per chi già detiene il privilegio di edificare (14) -
Il Vescovo deve concedere sempre licenza di edificare senza ragionevole motivo in contraio: altrimenti è concesso ricorso (15) -
Licenza episcopale non richiesta per edificare un Oratorio in casa propria (16) -
Per edificare una chiesa con un monastero di regolari oltre al consenso del Vescovo è richiesto quello del Papa (17) -
Privilegio di Clemente IV ai Frati Mendicanti che per lo spazio di 300 canne dal loro complesso da altri Mendicanti o Monaci non si edifichino monastero e chiesa (18) -
Revisione di detto privilegio: ridimensionamento della distanza a 140 canne (19) -
Del privilegio delle 140 canne gli Ordini Mendicanti possono valersi contro altri Mendicanti ma pure contro esponenti di qualsiasi Ordine (20) -
Tale privilegio vale anche contro Presbiteri secolari che vivono in comunità (21) -
Ancora il privilegio vale anche contro Presbiteri qualsiasi chiesa di una Congregazione di laici (22) -
Tale privilegio non vale per i Gesuiti cui è concesso di edificare convento e chiesa entro lo spazio delle 140 canne (23) -
Tale privilegio ha vigore anche nel caso della traslazione di chiesa e convento (24) -
In forza di tale privilegio non si può tuttavia inibire l'ampliamento di un convento legittimamente eretto (25) -
Non essendo avvenuta una legittima edificazione si consentirà solo una piccola chiesa (26) -
Il "privilegio delle 140 canne" non ha vigore a fronte di Ospizi di Regolari, che non hanno chiese, o di Seminari (27) -
Il "privilegio delle 140 canne" può non decadere per carenza d'uso (28) -
Contro il "privilegio delle 140 canne" al Vescovo non è concesso innovare alcunché (29) -
Non è da pensare che questo privilegio sia stato abrogato in forza dei contenuti delle Bolle papali di Clemente VIII, Gregorio XV, Urbano VIII e Innocenzo X (30) -
Considerazioni di diversi interpreti sul "privilegio delle 140 canne" (31) -
La misurazione delle "140 canne" deve avvenire per linea d'aria e non per via di terra (32) -
La lunghezza di ogni "canna" deve corrispondere alla misura di "otto palmi" (33) -
Perchè si possa costruire una chiesa si richiede che goda di una dote sufficiente ai suoi servizi, alle esigenze del culto ed al mantenimento dei suoi ministri (34) -
Obblighi dell'edificatore di una chiesa e dei suoi eredi (35) -
Quando l'edificatore di una chiesa manchi di mezzi per dotarla benchè la stessa sia stata eretta su consenso del Vescovo, spetti a quest'ultimo contribuire alla dote della stessa (36) -
Ed il Vescovo debba fare di proprio senza alcun detrimento della chiesa (37) -
Una Cappella può esser eretta senza dotarla (38) -
Questo purchè alla Cappella non spetti qualche peculiare beneficio (39) -
La dote da assegnare deve esser adeguata per le sigenze dei ministri, delle luminarie e delle altre necessità (40) -
Per sapere se una dote da assegnare ad una nuova chiesa di Regolari attualmente si devono attendere, per comando di Urbano VIII, i decreti della Sacra Congregazione del Concilio (41) -
Onde erigere una chiesa si dev ben investigare che non sia di pregiudizio di altra chiesa, specie se di una Parrocchiale (42) -
Concedendosi dal Vescovo l'erezione di una nuova chiesa ma risultando questa in pregiudizio di una Parrocchiale, il Parroco di questa può appellarsi contro la licenza concessa (43) -
Se però nella concessione di una nuova chiesa il Vescovo tuteli i diritti della Parrocchiale allora non è richiesto il parere del suo Parroco nè questo può opporsi all'edificazione (44) -
Decreti vari in merito a questo argomento (da punto 45 a punto 50 compreso) -
Prima che si edifichi una nuova chiesa il Vescovo deve recarsi sul luogo della costruzione e lì, pubblicamente, deve indicare il sito dell'atrio, sistemare una croce e apporre la prima pietra (51) -
Al vescovo è tuttavia concesso di demandare ad altri l'affissione della croce e la sistemazione della prima pietra (52) -
Per erigere una nuova chiesa è concesso costringere un possibile vicino a vendere la sua casa od altro sito (53) -
Per erigere una nuova chiesa qualcuno può esser tenuto a vendere la propria casa anche se non è attigua alla chiesa erigenda ma di fronte ad ad essa divisa dalla pubblica via (54) -
Pur se sia legata da un fidecommisso una casa vicina alla chiesa erigenda od amplianda può, per obbligo, doversi vendere (55) -
E lo stesso vale nel caso che la casa sia stata proprietà di un'altra chiesa od opera pia (56) -
Perchè una casa od un possedimento si debbano vendere per l'erezione d'una chiesa nuova sono però da rispettare quattro condizioni (57) -
La prima è che si paghi il giusto prezzo (58) -
La seconda è che tale vendita sia del tutto necessaria (59) -
La terza è che tale casa sia contigua e più vicina delle altre (60) -
La quarta è che tale vendita non risulti di grave pregiudizio per chi vende e di poco frutto che l'erigenda chiesa (61) -
Concorrendo siffatte quattro condizioni il possessore della casa può esser costretto a venderla, altrimenti no (62) -
Per restaurare una chiesa cadente in rovina ci si attenga alle consuetudini dei luoghi (63) -
Non vigendo peculiari consuetudini dei luoghi la chiesa rovinante debba ripararsi sfruttando i suoi redditi (64) -
Qualora la chiesa non abbia redditi o piuttosto redditi adeguati alle necessità di restauro ma sia una Parrocchiale proprio il Parroco debba concorrere economicamente ai lavori (65) -
Non trattandosi invece di chiesa Parrocchiale debbano concorrere alle spese quanti in essa detengano un beneficio (66) -
Trattandosi di una chiesa i cui beneficiati non abbiano risorse sufficienti alle spese dei lavori di restauro debbano concorrere anche i Patroni, i Parrocchiani e tutti quanti in essa ricevono i Sacramenti e gli altri Divini Servigi (67) -
I restauri di una Cattedrale tocchino al Vescovo qualora abbia redditi superflui oppure la chiesa medesima non goda di redditi speciali per il mantenimento dell'edificio e non sussista qualche lecita consuetudine in contrario (68) -
Ma un vVescovo può non godere di redditi superflui per far riparare la cadente sua Cattedrale: sarà legittimo obbligare a concorrere i canonici che godono di redditi eccedenti le necessità (69) -
Ma può accadere che né il Vescovo né i Canonici godano di redditi superflui alla bisogna: allora il Vescovo con il Capitolo potrà ingiungere ad altri inferiori Chierici di contribuire del proprio possedendo il superfluo od ancora potrà destinare i frutti dei Benefici ai restauri necessari per la chiesa (70) -
Quanti debbano provvedere al restauro della chiesa non siano esenti dal contribuire anche a quello dell'abitazione del Rettore della stessa (71) -
Di più, gli stessi (mancando redditi sufficienti alla chiesa e non sussistendo contraria e legittima consuetudine) debbano economicamente provvedere anche al rinnovo e/o restauro dei paramenti ed ornamenti ecclesiastici (72) -
In merito a tutte queste cose si registra qui un recente decreto (73) -
Nei tempi antichi, edificandosi una chiesa, si badava che il suo capo o l'altare maggiore guardassero verso oriente (74) -
E non senza ragioni si badava che le chiese fosser costruite guardando ad oriente (75) -
Si riporta a questo punto la prima ragione (76) -
Si riporta a questo punto la seconda ragione (77) -
Si riporta a questo punto la terza ragione (78) -
Si riporta a questo punto la quarta ragione (79) -
Attualmente, benché più motivato di ogni altro, questo metodo di costruzione e posizionamento non è tuttavia assolutamente necessario (80) -
La forma delle chiese, di cui si valevano i fedeli sin dal tempo degli Apostoli, è immutata, piuttosto lunga e a guisa di nave (81) -
La chiesa è divisa in tre parti o stazioni. La prima è il Sacrario o Presbiterio o Sancta Sanctorum, la seconda è il Coro, la terza è la Nave o navata (82) -
Il Sacrario o Presbiterio o Sancta Sanctorum è quella stazione che dall'Altar maggiore volge verso la la chiesa (83) -
Perchè si chiama Presbiterio? (84) -
Il Presbiterio è la parte più nobile della chiesa (85) -
Perchè si chiama Sancta Sanctorum? (86) -
Perchè si chiama Sacrario? (86) -
La seconda parte della chiesa si chiama Coro; da dove deriva ciò? (da 88 a 89) -
Quando iniziò la costumanza di cantare alternativamente i Salmi (da 90 a 91) -
La terza parte della chiesa si dice nave da cui navata servendo per ricettacolo dei laici che assistono ai Riti Divini (92) -
In questa parte della chiesa un tempo i maschi risultavano divisi dalle femmine: i maschi stavano nella parte destra della nave e le femmine nella sinistra (93) -
E ciò fu stabilito dagli Apostoli medesimi (94) -
Aggiunte e commenti di mano diversa da quella dell'autore dell'opera -



ARTICOLO IV - VOCE ECCLESIA - SOMMARIO -
Cosa si intenda per Consacrazione di una chiesa (1) -
Secondo il diritto ordinario solo il Vescovo del luogo può consacrare una chiesa (2) -
Il Vescovo cioè deve essere proprio il titolare della Diocesi entro i cui confini è da consacrarsi la chiesa in questione (3) -
Il Vescovo di un'altra Diocesi non può consacrare una chiesa senza il permesso del titolare della Diocesi cui essa appartiene (4) -
Il Vescovo di un'altra Diocesi che consacri una chiesa senza il permesso del titolare della Diocesi cui essa appartiene viene sospeso per un anno dall'esercizio dei Pontificali e dalla celebrazione delle Messe (5) -
E tuttavia rimane valida la consacrazione di una chiesa fatta dal Vescovo di un'altra Diocesi senza il permesso del titolare della Diocesi cui la chiesa appartiene (6) -
Un Vescovo non può delegare la consacrazione di una chiesa ad un altro sacerdote che non ricopra la dignità episcopale (7) -
I Regolari hanno il privilegio di benedire solennemente le proprie chiese per potervi celebrare le Messe come se fossero state consacrate da un Vescovo (8) -
Inoltre i Regolari hanno il privilegio di far consacrare le loro chiese da qualunque Vescovo rutte le volte che il loro Vescovo diocesano, da loro richiesto secondo la giusta normativa, non abbia volto procedere alla consacrazione o l'abbia procrastinata per oltre quattro mesi (9) -
Siffato privilegio non è stato cassato dai deliberati del Concilio di Trento (10) -
Le chiese possono consacrarsi in qualsiasi giorno, anche non festivo (11) -
La consacrazione tuttavia non può avvenire se non nel contesto di una Messa (12) -
In ragione di ciò pecca il Vescovo che proceda alla consacrazione senza la celebrazione di una Messa (13) -
La consacrazione tuttavia conserva la sua validità (14) -
Le Cattedrali e le Parrocchiali dotate di più altari nelle città si devono consacrare entro un anno e nella Diocesi entro un biennio dopo che siano state restaurate (15) -
La chiesa che sia già stata consacrata non può poi esserlo una seconda volta (16) -
Però, ignorandosi od anche dubitandosi se sia stata davvero consacrata, è necessario procedere alla sua consacrazione (17) -
Non è però da consacrarsi una chiesa prima che si sia provveduto alla sua dotazione (18) -
Risulta di fatto sconsacrata una chiesa che totalmente o per la maggior parte sia andata distrutta e quindi sia stata riparata: in tal caso necessita di nuova consacrazione (19) -
Al contrario una chiesa che sia stata restaurata poco per volta nel tempo nelle sue parti ma abbia continuato a servire i fedeli non deve esser riconsacrata anche se a fine lavori l'edificio non conservi più alcuna traccia dei materiali con cui fu fatta la primigenia fabbrica (20) -
In tale eventualità risulta sufficiente che la parte nuova, volta per volta, venga esorcizzata con acqua benedetta (21) -
Nel caso che non tutta la chiesa e neppure la sua maggior parte sia stata rifatta, ma solo una porzione minore come per esempio il tetto non essendo state toccate le pareti, non sussisterà esigenza di nuova consacrazione (22) -
Trattandosi di chiesa distrutta da un incendio in modo tale che totalmente le pareti interne sian state del tutto o per la maggior parte devastate e rovinate, per quanto non corrano pericolo di precipitare o ruinare, deve provvedersi a nuova consacrazione (23) -
Nel caso di ampliamento d'una chiesa preesistente, risultando la parte nuova minore della primigenia, non occorrerà riconsacrazione ma basterà aspersione di acqua benedetta sulla parte nuova (24) -
Al contrario nel caso di ampliamento d'una chiesa preesistente, risultando la parte nuova maggiore della primigenia, sarà allora doveroso procedere ad una riconsacrazione (25) -
Son molti i casi in cui una chiesa risulta profanata ed abbia bisogno di esser purificata. Il caso per eccellenza si verifica quando in essa si sia versato molto sangue umano in dipendenza di una volontaria, ingiuriosa e peccaminosa azione(26) -
Il sangue sparso, perchè la chiesa risulti profanata, deve però essere umano (27) -
La chiesa risulta profanata sia che si sia sparso sangue proprio che sangue d'altri (28) -
Ma perchè si attui tale profanazione lo spargimento di sangue deve essere considerevole (29) -
Una chiesa non risulta profanata se non è scorso sangue anche se al suo interno qualcuno con estrema violenza abbia bastonato altra persona (30) -
E' anzi doveroso precisare che non sussiste profanazione anche se è scorsa gran quantità di sangue ma giammai in dipendenza di una peccaminosa e grave aggressione: se infatti l'aggressione sarà stata di lieve entità ma per caso il sangue versato sarà stato molto non si dovrà parlare di profanazione (31) -
Nel caso però di un'epistassi nasale abbondante dovuta a violenti percosse tra giovani di oltre quattordici anni sussisterà profanazione (32) -
Comunque perchè esista profanazione è sempre necessario che ciò accada in dipendenza d'una azione volontaria (33) -
Ed ancora per causar profanazione lo spargimento di sangue deve dipendere in ogni caso da un'aggressione ingiuriosa (34) -
Ed ancora per causar profanazione è obbligatorio che lo spargimento di sangue abbia la sua causa all'interno della chiesa (35) -
Il secondo caso di profanazione d'una chiesa è quando vi si perpetra un omicidio volonario ed ingiurioso, anche senza spargimento di sangue, sia riguardo a sè sia riguardo ad altri (36) -
Perchè si verifichi profanazione della chiesa è necessaria la perpetrazione di un omicidio volontario ed ingiurioso giacché in occasione d'un omicidio casuale o fatto senza intenzione di ingiuriare ma solo per propria legittima difesa non si può parlare di profanazione (37) -
Una chiesa si profana per la morte perpetratavi a danno d'un reo anche se sentenziata da un giudice (38) -
Al contrario la chiesa non risulta profanata se il medesimo giudice o qualunque altro giusdicente dal tetto o dalle pareti della medesima chiesa faccia sospendere o impiccare un uomo colpevole (39)< /A> -
Se qualchuno esternamente alla chiesa riceva una ferita mortale e quindi muoia per tale ferita all'interno della chiesa non è da ritenersi che per ciò la chiesa risulti profanata.Lo sarà invece se i fatti si svolgeranno al contrario di quanto appena detto (40) -
Se qualcuno, stando all'interno della chiesa, ucciderà qualcuno che invece risuletrà trovarsi al suo esterno, la chiesa stessa non risulterà profanata: anche qui se i fatti si svolgeranno al contrario sussisterà invece profanazione (41) -
Si propongon e si risolvono alcune obiezioni (da 42 a 43) -
Sussisterà profanazione della chiesa se qualcuno al suo interno, per difesa della fede, verrà ucciso o martirizzato (44) -
Il terzo caso per cui una chiesa risulta profanata si riscontra quando del liquido seminale umano, criminosamente e volontariamente, viene sparso al suo interno: e ciò in ogni caso, che il liquido seminale sia di uomo o donna, di eretico o di infedele (45) -
All'opposto la chiesa non risulta profanata se lo spargimento del liquido seminale avviene durante il sonno (46) -
Parimenti non sussiste profanazione nel caso della eiaculazione che qualcuno abbia contro la sua volontà per costrizione o nel caso si tratti di dispersione di sangue mestruale femminile (47) -
Una chiesa non risulta profanata per lo spargimento, anche volontario, di liquido seminale qualora ciò avvenga sul tetto della chiesa stessa o nei suoi sotterranei, in qualche caverna o cella, o coro, sacrestia, campanile, tribuna e confessionale siti esternamente al corpo della chiesa (48) -
La chiesa viene invece profanata se vi avvenga un carnale congiungimento coniugale senza una necessità assoluta (49) -
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Il quarto caso di profanazione d'una chiesa si verifica allorquando in essa si seppellisce, contro la normativa, qualche scomunicato od infedele (51) -
Ed avviene profanazione se il cadavere sepolto è quello di qualsiasi infedele, anche se trattasi di infante. Anzi, con probabilità, la stessa profanazione avviene pure se la sepoltura riguarda un unfante non battezzato seppur figlio di genitori fedeli (52) -
uest'ultima questione è però dibattura: e può esser probabile anche una sentenza contraria, di non profanazione, in merito alla sepoltura d'un infante non battezzato ma figlio di genitori di pura fede cattolico-cristiana (53) -
Qualora in una chiesa siano stati inumati degli eretici nominalmente mai denunciati seppur conosciuti non si ritiene che la sacra fabbrica sia stata profanata(54) -
Parimenti la chiesa non è da giudicarsi profanata venendovi sepolto un individuo morto in duello ma mai denunciato (55) -
Tutti i summenzionati casi di profanazione hanno vigore se pubblicamente avvenuti o resi di pubblica conoscenza (56) -
se tali casi in origine siano rimasti ignoti ma poi siano diventati pubblicamente notori la chiesa è da ritenersi profanata dal momento in cui si ebbe esatta conoscenza dei fatti: di conseguenza la chiesa deve essere riconsacrata (57) -
Effetti della violazione di una chiesa (58) -
Se qualcuno in una chiesa pubblicamente profanata celebra una Messa o tratta gli Uffici Divini od ancora seppellisce un defunto pecca mortalmente e però non lo si fa irregolare né lo si sospende (59) -
Qualora un sacerdote solo in forza del sacramento della Confessione sappia che la chiesa sia stata profanata potrà continuare lecitamente a celebrare in essa e non sussisterà obbligo d'alcuna riconsacrazione (60) -
Quando nel corso della celebrazione d'una Messa una chiesa viene pubblicamente profanata se tale profanazione risuletrà avvenuta prima del Canone sarà subito da far cessare il sacrificio: cosa non da farsi se ciò accadrà dopo il Canone (61) -
Venendo profanata una chiesa lo risulterà anche il cimitero ad essa contiguo: cosa che non avverrà sorgendo lontano da essa il cimitero stesso (62) -
Al contrario venendo profanato il cimitero, seppur contiguo alla chiesa, la profanazione non sarà da intendersi estesa anche a quest'ultima (63) -
Verificandosi il caso che esistano due o più cimiteri ma che uno solo venga profanato, siffatta profanazione non dovrà ritenersi estesa dall'uno all'altro cimitero pur se tramite una porta i due risultino in comunicazione diretta(64) -
La purificazione di una chiesa profanata nel caso che precedentemente sia stata consacrata non può avvenire se non per opera del Vescovo diocesano o, su consenso di quest'ultimo, per opera di un altro Vescovo: e bisogna precisare che al Vescovo diocesano non è concesso delegare alcun altro semplice sacerdote. (65) -
In merito a quest'ultima considerazione si riproducono qui vari Decreti (66) -
Solo per previlegio o commissione del Sommo Pontefice la purificazione d'una chiesa profanata può avvenire ad opera di un semplice sacerdote (67) -
Ai Prelati Regolari spetta il privilegio di purificare le chiese profanate, a loro soggette, anche se sian state prima consacrate, tramite l'aspersione d'acqua benedetta da loro stessi: e ciò nei casi che il Vescovo sia lontano oltre due diete o che debbano avvalersi d'acqua benedetta dal Vescovo stesso (68) -
Di detto privilegio di purificare le loro chiese con acqua per essi benedetta vale non solo quando la Sede Ordinaria Episcopale dista oltre due diete ma anche quando il Vescovo parimenti è lontano per qualche sua motivata assenza oppure non è reperibile per sua morte, rinuncia, deposizione, esilio e simili cose (69) -
Si precisa qui che ogni "dieta" corrisponde alla misura di "20 miglia italiane" (70) -
Allorquando la chiesa profanata non sia stata consacrata ma soltanto benedetta, può venir purificata ad opera di qualsivoglia semplice sacerdote per semplice aspersione d'acqua lustrale (71) -
Non sussiste esigenza che l'acqua, per purificare una chiesa non consacrata, sia stata benedetta dal Vescovo (72) -
Si consacri e si purifichi il cimitero secondo le stesse modalità e dalie stesse persone, per cui risulta esser stata consacrata e purificata la chiesa (73) -
Nuove Aggiunte di mano diversa rispetto a quella dell'autore -



ARTICOLO V - VOCE ECCLESIA - SOMMARIO -
Paragrafi 1 - 36: precedenze, privilegi, divieti durante le funzioni e le solennità -
Il Vescovo per giusta causa può spostare ad altro giorno più congruo onde evitare la conconcorrenza di altri offici la festa della consacrazione della chiesa (37) -
Le chiese possono essere intitolate ai Santi dell'Antico Testamento (38) -
Di norma è consentito suonare musica nella chiesa attenendosi alla normativa qui citata nel testo (39) -
Il Vescovo secondo la Costituzione di Alessandro VII del 23 aprile 1657 può sancire che nella chiesa con accompagnamento musicale si cantino solo composizioni sacre, di devozione ed ecclesiastiche (40) -
Il Vescovo in forza del Decreto del Concilio di Trento c. 8, sess. 22, de celebrat. Miss. può proibire, salvo che non sussista contraria consuetudine, che nelle chiese e nei pubblici oratori si cantino e si accompagnino con musica composizioni in vernacolo, anche qualora si tratti di canzoni di contenuto spirituale (41) -
Il Vescovo non può impedire ai Musici e/o agli Ufficiali delle Chiese di cantare con accompagnamento musicale se non dopo aver prima convocato il Maestro della Cappella dell Cattedrale(42) -
Per Decreto generale della Sacra Congregazione Episcopale si tollera la musica nella parte esterna delle chiese delle monache, laddove sussita tale locale consuetudine; non è invece tollerato ciò nei luoghi in cui l'usanza non è praticata né si ritiene di doverla concedere ex novo (43) -
Per rispetto della chiesa si ritiene di poter far allontanare operai ed artigiani che nei pressi dell'edificio vadano strillando scompostamente: parimenti si possono allontanare persone infami e sordide in grado di disturbare la pratica dei divini uffici. In nessuna casa contigua alla chiesa debbono trovarsi taverne ed alberghi atti ad ospitare persone atte all'uso di armi,commedianti e persone di tale genere. Come dettano i titoli qui registrati non possono risiedere meretrici presso la chiesa nè presso un monastero di monache ed è lecito allontanarle, comprese quelle che abitano non vicino alla chiesa o convento ma anche solo sulle vie che ad essa portano (44) -
Non è consentito costruire stalle contigue alla chiesa perché in ragione del fetore e dello strepito fatto da cavalli ed altri animali ivi custoditi si porterebbe vergogna alla pratica del culto (45) -
Di norma è consentito suonare musica nella chiesa attenendosi alla normativa qui citata nel testo (46) -
Di conseguenza compete ad ogni chiesa il privilegio di far sistemare altrove stalle od altri locali sordidi sia a ragione del fetore che delle cose sordide e dell'immondizia, che è sempre necessario stornare dall'ingresso della chiesa (46) -
In dettaglio se sopra una stalla, contigua alla chiesa, si è costrutto un fenile esso è subito da rimuovere per l'irreparabile pregiudizio e per il pericolo di possibili incendi (47) -
A completamento di queste riflessioni si propone qui una Enciclica di Papa Clemente XI nella quale a Patriarchi, Arcivescovi, Vescovi ed altri Ordinari d'Italia e delle Isole si raccomanda particolarissima cura delle chiese (48) -
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Testo in italiano; incipit = biasimo per il degrado di molte chiese che dovendo esser "Case di Orazione" paion ridotte a "Case di libertà e peccati" -
Segue l'invito a tutti i prelati di esaminare la presente Enciclica e le pregresse per "restituire alla Casa di Dio la riverenza ed il rispetto che l'è dovuto" -
I - Invito a valersi di Prediche, Sermoni, Editti e Lettere Circolari per richiamare la popolazione al rispetto delle chiese, minacciandosi sanzioni divine" -
II - I Confessori saranno invitati ad ammonire in tal senso i penitenti" -
III - In particolare le donne dovranno entrare nelle chiese vestite decorosamente e con modestia, rinnegando abiti ed acconciature provocanti, cose tutte idonee a suscitare pensieri ed atti peccaminosi -
IV - Non si conceda più agli uomini di sedersi mescolati alle donne ma per i due sessi si impongano spazi distinti: nè si conceda ad uomini e donne di intrattenersi nelle chiese in conversazioni che possano esser fonte di "indecente comunicazione" -
V - Anche invocando l'ausilio del Braccio Secolare si faccia in modo di allontanare dalle chiese adunanze che comportino strepiti od addirittura comportino trattative d'affari: in più si badi che coppie dei due sessi furtivamente non amoreggino in luogo sì sacro -
VI - Si vigili che al Sacrificio della Messa i fedeli assistano compiutamente sia nello spirito che negli atteggiamenti -
VII - Gli Ecclesiastici diano per primi l'esempio mai comportandosi negligentemente e in modo da scandalizzare i fedeli -
VIII - Siffatta modestia di Ecclesiastici e fedeli si tenga durante le Processioni evitando "discorsi vani e portamenti indecenti" -
IX - Ed ancor più s'invigili durante "le processioni in cui si porta il Santissimo Sacramento, o nelle Feste Solenni, o il Santo Viatico a gli Infermi" -
X - le feste e Solennità si celebrino con modestia e senza spettacoli, conviti esagerati e profane manifestazioni: tutto si svolga nel rispetto formale e cronologico dei Sacri Riti e delle Rubriche. Si badi che alle ore 24 cessino tutte le Funzioni e le chiese vengano chiuse ai fedeli -
XI - Violandosi il precedente punto le Feste potranno venir abolite e le chiese inadempienti potranno esser colpite da Interdetto -
XII - Minacciando severe pene si inibisca a Poveri e Mendicanti di entrare in chiesa, durante il culto, chiedendo l'elemosina agli astanti fedeli -
XIII - Spetti ai Parrochi vigilare sul rispetto di tutti i punti sopra scritti: i negligenti saranno denunciato al loro tribunale e giustamente castigati se mancanti -
XIV - Spetti lo stesso compito ai Superiori Regolari che, se negligenti, potranno anche sser denunziati alla Sacra Congregazione sì da esser privati dei loro Uffici od anche puniti con pene più severe -
EXPLICIT - FIRME - ROMA 26 LUGLIO 1701 -
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Non si possano tenere nelle chiese giuochi teatrali (49)-
Sia altresì proibito che vi avvengano Rappresentazioni o Commedie sia profane che sacre: quanti ne abbiano dato il permesso siano puniti. (50) In merito a rappresentazioni pie capaci di elevare gli animi i pareri degli interpreti non sono sempre concordi (50)-
In relazione a ciò la Sacra Congregazione suole però concedere la licenza però a queste condizioni (50 continuazione):
I - Che le rappresentazioni si tengano esternamente alla chiesa-
II - Che gli "attori" siano sacerdoti o chierici od altri pii uomini-
III - Che le rappresentazioni si tengano di giorno e mai di notte-
IV - Che l'Ordinario abbia prima visionato ed approvato i contenuti-
V - Che ogni cosa avvenga piamente senza suscitar scandali-
Nuove aggiunte di mano diversa da quella dell'autore-