Proprio nello Scudo di Rinaldo II
, Aprosio (forse anche suggestionato dalla letteratura francese di cui molto lesse e raccolse per la sua "Libraria comprese vere rarità = vedi l'Indice Moderno) sotto la specie, in particolare, di Maddeleine de Scudery della quale in Italia la produzione fu veicolata dalle traduzioni di Maiolino Bisaccioni) sviluppa un discorso coraggioso e interessante, sull'uso e l'abuso delle MONACAZIONI FORZATE (inserite in quel più esteso contesto che si affermerà nell'illuminismo sul crescente riconoscimento dei PREGI DELLA DONNA) in vigore fra tante famiglie agiate, quasi solo per salvaguardare i patrimoni, sistemando decorosamente i figli cadetti:Gli "Statuti Criminali di Genova" affrontano con rigore (visti
anche gli accordi in qualche modo - per quanto non sempre
equilibrato - intercorrenti fra Stato e Chiesa, fra giudici
laici ed Inquisitori del Santo Uffizio) il "problema" delle
suore o comunque delle donne relegate a tempo determinato, di
propria scelta o per volontà di famiglia, nei monasteri. Nel
libro II degli "Statuti" al capo III si sanzionano per esempio
la condanna capitale per chi abbia rapporti sessuali in convento
con una suora, multe da 300 a 600 lire, in casi di recidività,
per chi entri in convento senza autorizzazione ecclesiastica ed
al capo IV si minaccia ancora il supplizio estremo per chi
rapisca dal convento suore consenzienti o no.
La VITA NEI CONVENTI FEMMINILI (CLICCA PER APPROFONDIRE CON VARIE ALTRE VOCI)
"Rivolta" contro le "Monacazioni forzate
"E anche noi saremo madri..." suggerisce l'IMMAGINE DI UNA SUORA CHE SI TOGLIE L'ABITO CLAUSTRALE dipinta nel 1792 da Jean-Jeacques Lequeu sotto gli effetti anticlericali della Rivoluzione francese: l'immagine, polemica e sensuale della suora che, lascivamente si scopre il seno alludendo esplicitamente alla sua femminile, costituì un vero manifesto della Costituzione Civile del Clero successiva agli eventi rivoluzionari francesi: nel gesto, indubbiamente provocatorio, par liberarsi tutta la rabbia femminile contro la barbara usanza delle Monacazioni Forzate.
Tuttavia, benchè la Chiesa stessa avesse tentato di arginare l'abuso delle M. forzate e nonostante gli scritti polemici contro tale abuso di vari intellettuali come Leopardi e Carrer, l'usanza in tutta Italia, e soprattutto nel Meridione (per non dividere fra eredi il patrimonio di famiglia e contemporaneamente controllare rigidamente la condizione sociale del sesso femminile) sopravvisse a lungo anche violando le ottocentesche proibizioni legislative degli Stati (per il Nord dell'Italia e quindi anche per il territorio della Repubblica di Genova furono importanti i dettami del moderno Codice Napoleonico) o delle Province italiane di Stati stranieri (Gazzetta Ufficiale di Milano del 29 giugno 1853).
La scrittrice veneta Caterina Percoto, scrivendo a Giovanni Verga una lettera il 2 marzo 1872 in merito al suo romanzo Storia di una Capinera (che è poi storia di una Monacazione forzata ottocentesca nel catanese maturata su personali conoscenze del narratore siciliano), tenne a precisare che "...la sua bella Capinera...tocca con tanto cuore, una delle più dolorose piaghe che affliggono nel mio sesso la nostra società. Qui nel Veneto, grazie al codice Napoleone, è sparita da un pezzo la trista consuetudine di sacrificare alla vita monastica le povere nostre giovinette; ma dura tuttavia il barbaro costume di educare le donne alla clausura..."(CATTANEO, p.110).