cultura barocca
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GIUSEPPE LUIGI BIAMONTI, illustre classicista (per una lettura integrativa clicca qui) docente, tragediografo e poeta vissuto a cavallo tra '700 (peraltro quasi omonimo del moderno illustre concittadino Francesco Biamonti) di S. Biagio della Cima ) nella PARTE FINALE della sua ODE un tempo giustamente famosa [ADDIO AL GIARDINO DI BOBOLI qui riprodotta da AMBROGIO BALBI (VEDILO QUI CON ALTRE SUE PUBBLICAZIONI, SPECIE SULLA ROMANITA') nel suo volume qui integralmente digitalizzato con utile indice degli autori VERSI SCELTI DE' POETI LIGURI VIVENTI NELL'ANNO 1789] in qualche modo risulta correlato alla produzione di UGO FOSCOLO che nel suo capolavoro, il carme neoclassico DEI SEPOLCRI fece, come il BIAMONTI, dell' UPUPA (CONTRO LA SPECIFICITA' DEL BEL VOLATILE MAGISTRALMENTE RISCATTATO DA EUGENIO MONTALE NEI SUOI OSSI DI SEPPIA DEFINENDOLO ILARE UCCELLO CALUNNIATO DAI POETI) un VOLATILE LUGUBRE(COME QUI SI LEGGE) tragico frequentatore dei CIMITERI E DELLE ROVINE che, con una natura selvaggia, parevano caratterizzare queste CONTRADE su cui ad onta della GIUSTA FAMA DI SPLENDORE NATURALISTICO E SERENITA' AMBIENTALE FORTUNATAMENTE ESORCIZZATA DALLA ESPERIENZA DEL "GRAND TOUR" A PARTIRE DAL XIX SECOLO data anche la peculiarità dell'AREALE SOSPESO TRA FRANCIA E ITALIA e così pure dall'urto atavico tra RELITTI DI PAGANESIMO E RICONSACRAZIONI CRISTIANE non mancavano connessioni a manifestazioni di STREGONERIA IN GENERALE- STREGHE SUPREME -STREGONERIA NELL'AREA DELLE DIOCESI DI TRANSIZIONE TRA AREA CATTOLICA E RIFORMATA - STREGONERIA NEL PONENTE LIGURE E (VEDI INDICE) TRA DIOCESI INTEMELIA E AREA FRANCO PROVENZALE .

GIUSEPPE LUIGI BIAMONTI
fu all'epoca una vera e propria celebrità [ tra le altre cose fu "maestro di greco antico di Vincenzo Monti" e come ha scritto Giovanna Sarra nel "Dizionario Biografico degli Italiani" - Volume 20 -1977 fu anche pedagogo a Bologna della poetessa Teresa Carniani, famosa anche per una controversa relazione con Giacomo Leopardi] pur se oggi nella profluvie di nomi e tendenze è abbastanza dimenticato: alla sua opera un altro dimenticato letterato genovese" -come altri qui proposti- all'epoca illustre qual fu Ambrogio Balbi in questa ormai rara ma preziosa silloge "Versi scelti de' Poeti Liguri viventi nell'anno 1789" (scorri gli indici moderni)in cui trascrisse queste due importanti liriche del Biamonti che al pari di tutta l'opera del Balbi merita comunque un recupero anche per riscoprire i tanti poeti che fiorivano viventi in Liguria all'epoca in cui si avvicinavano quei "Nuovi Tempi Napoleonici" nel cui contesto ebbe parte non irrilevante Ugo Foscolo. [ Ne Il Raccoglitore ossia Archivj di Geografia, di Viaggi e di Filosofia, di Economia, politica, di Istoria, di Eloquenza, di Poesia, di Critica, di Archeologia, di Novelle, di Belle Arti, di Teatri e Feste, di Bibliografie e di Miscellanee, Volume XXIV, Milano, Dalla Società Tipografica de' Classici Italiani, 1824 il compilatore ovvero il prolifico Davide Bertolotti scrisse queste note a guisa di necrologio e di accompagnamento alla proposizione dell' Addio al Giardino di Boboli del Biamonti reputato da molti l'opera migliore del Biamonti ma ormai quasi introvabile [Addio al giardino di Boboli : Carme / del professore Giuseppe Biamonti Milano : dalla tipografia d'Omobono Manini, 1828 80 p. ; 19 cm. - Note = Sul front.: Con altri componimenti di moderni italiani - conservato in = Biblioteca statale di Cremona - Cremona - Biblioteca Universitaria - Genova - Biblioteca comunale Teresiana - Mantova] ignorando il Bertolotti che la stessa come qui si vede era stata proposta da Ambrogio Balbi nella sua opera appena sopra citata = a tutto questo il Bertolotti riporta il testo della lapide realizzata dal Borda a celebrazione del Biamonti ove si registra un'imprecisione, che già il Bertolotti commise ad inizio della sua nota, facendo il letterato nativo di Ventimiglia (IM) e non di San Biagio (IM) (del resto non mancano incertezze sui suoi natali e già nel XIX secolo lo Spotorno nel V volume della sua Storia Letteraria della Liguria prese poi il destro per correggere alcune disinformazioni sul Biamonti come pure in merito ai natali = a prove di un'ulteriore discrepanza è da dire che mentre la targa apposta a sua memoria e celebrazione riporta come anno di nascita il 1761 ma la Treccani e l'Accademia delle Scienze di Torino l'anno dei natali del Biamonti è spostato al 1762 sì che anche per questo giova leggere una serie di moderne bibliografie : Egidio Bellorini, BIAMONTI, Giuseppe voce nella "Enciclopedia Italiana, Volume 6, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1930. e Giovanni Ponte, BIAMONTI, Giuseppe in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 10, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1968. = leggi l'articolo qui riprodotto per la completezza e modernità delle osservazioni)]

Nel dettaglio ancora ai tempi del Foscolo VENTIMIGLIA "CITTA' ANTICHISSIMA" che da tempo costituisce un importante polo turistico e commerciale aveva ancora UNA FAMA DI CITTA' INSALUBRE E PERIGLIOSA CHE ERA NATA BEN PRIMA DEL '600 E CHE SAREBBE PERDURATA nonostante l'eruditissimo suo cittadino Angelico Aprosio ne scrisse anche questa APPASSIONATA DIFESA DEFINENDOLA DEGNA DELL' ALBARO DI A. G. BRIGNOLE SALE E SEDE PERFETTA DELL'OTIUM NEGOTIOSUM TIPICO DEI CLASSICI.
Il MANOSCRITTO WENZEL grossomodo coevo degli eventi connessi all'opera del Biamonti e del Foscolo non mancò di sottolineare i progressi che andavano facendosi in queste CONTRADE ANCHE PER LE MODERNIZZAZIONI E LE BONIFICHE PROPOSTE DA NAPOLEONE I E POI RECUPERATE DOPO LA SUA CADUTA.
Ma occorre dire che se PAURE PREGRESSE E FATTI REALMENTE ACCADUTI NEL PASSATO QUANTO APPARENTEMENTE INSPIEGABILI NEL PONENTE LIGURE contribuivano da un verso ad alimentare antichi timori per altro lato essi venivano recuparati ed amplificati dalla PRODUZIONE POETICA CHE MAI IN EFFETTI AVEVA RINUNCIATO A "DILETTARE" ATTRAVERSO LA RICERCA DELLA "MERAVIGLIA" O QUANTOMENO DELLA "BIZZARRIA".
E se per vari aspetti tutto questo si andava recuperando a livello di una LETTERATURA MINORE DI "ORDINE POPOLARE" -IN GRAN PARTE DISPERSA- DESTINATA AD INCIDERE SUL GUSTO NUOVO DELL'ORRIDO E DEL SELVAGGIO: LA LETTERATURA DEI FOGLI VOLANTI O RAGGUAGLI per altri aspetti ancora si andava PROPONENDO UNA SOLUZIONE POETICA DI "AULICA DIGNITA'" ALTERNATIVA SIA AL NEOCLASSICISMO CHE ALLA PRODUZIONE ILLUMINISTICA IN SENSO LATO: LA LETTERATURA PREROMANTICA.

Secoli di mancata legislazione sulle inumazioni e l'esistenza di un PAUROSO APPARATO DEI "SEGNI DELLA MORTE" (VEDI INDICE) avevano peraltro alimentato, talora sulla base di STORIE REALI enfatizzate dai TREMENDI SPETTACOLI DI GIUSTIZIA più spesso sulle fondamenta della SUPERSTIZIONE col passar del tempo trasformata in CRONACA NERA DAL NASCENTE GIORNALISMO COME QUI SI VEDE, un'atmosfera di terrore il cui simbolo era per certi versi costituito dalla SEGGETTA DEI MORTI.

Contestualmente nell'Europa orientale una recente supposta EPIDEMIA DI VAMPIRISMO CHE PER LA GRAVITA' COMPORTO' L'INTERVENTO DELLA CORTE IMPERIALE D'AUSTRIA e per un duplice effetto questo evento se da un lato attirò lo SLANCIO ANTICLERICALE del potente e razionale quanto sarcastico e sempre satirico PENSIERO ILLUMINISTA per altro lato proprio contro l'ottimismo illuminista ma anche contro il suo anticlericalismo e scetticismo diede energia a quella
POESIA PREROMANTICA, IN CUI IL LATO LUGUBRE E SEPOLCRALE EVIDENZIAVA LO SCORAMENTO PER ALCUNE DELUSIONI CAUSATE DALL'ILLUMINISMO: DI CUI QUI SI PROPONE COME TARDO MA SCONOSCIUTO QUANTO EMBLEMATICO TESTIMONE LETTERARIO L'ODE UN'ORA AL CIMITERO DI GIORGIO BRIANOCHE PER CERTI ASPETTI ASSORBE E RECUPERA IN CHIAVE ANCORA RINNOVATA
LE CONSIDERAZIONI POETICHE SULL'
UPUPA
ED ALTRESI' LE RIFLESSIONI SCONSOLATE DI UGO FOSCOLO SULLA SELVAGGIA NATURA DEL PONENTE LIGURE SEGNATA DALLA DISSEMINATE
"CROCI DI VIANDANTI ASSASSINATI"

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In definitiva la tematica del lugubre era corteggiata da diverse temperie culturali sì da riproporre variamente il tema di VAMPIRO, LAMIA, STREGA VAMPIRO E DEI LORO FAMIGLI, APPUNTO LE CREATURE DELLA NOTTE TRA CUI SI ASCRIVEVA L'UPUPA STESSA NEL CONTESTO DI POSTAZIONI LETTERARIE E IDEOLOGICHE ANCHE ANTITETICHE.
pur se propriamente solo o quasi
SULLA SCIA DELLA LETTERATURA PREROMANTICA, LUGUBRE E SEPOLCRALE
per cui le
ROVINE E SOPRATTUTTO I CIMITERI COSTITUIVANO I LUOGHI IDEALI OVE NASCONDERSI, PROFANARE, ELABORARE MAGICHE OPERAZIONI ED ANCORA TENDERE AGGUATI AGLI SPROVVEDUTI VISITATORI
[a titolo d'esempio terribile quanto oggi pressoché sconosciuta all'epoca e alla radice di future narrazioni orrorifiche era la vicenda ben reale dei
CRIMINALI MANGONES CHE TRAFUGAVANO I CADAVERI INUMATI PER I LORO ESPERIMENTI ED ORRIBILI SCOPI]
sarebbe in seguito proceduta autonomamente
e quindi si sarebbe clamorosamente affermata la
LETTERATURA ORRORIFICA E DI FANTASIA DEL XIX E DEL XX SECOLO.
Al tempo dei DUE POETI la scienza ornitologica era già sì evoluta da render noto agli intelletti colti che l ' UPUPA PER NULLA ERA UN UCCELLO "INFERNALE" ma piuttosto, semmai, un volatile grazioso, insettivoro, abbastanza diffuso in Italia oltre che in Europa. L'UPUPA (scientificamente "UPUPA EPOPOS" della Famiglia dei Coraciiformi) è in effetti un piccolo volatile dal piumaggio rossiccio con ali e coda a strisce bianche e un ciuffo di penne erettili sul capo che solleva quando teme il sopraggiungere di un pericolo (celebre anche per una celeberrima fotografia il RISCATTO CHE DELL'UPUPA fece in Ossi di Seppia Eugenio Montale definendola "Upupa, ilare uccello calunniato/ dai poeti...). Di modeste dimensioni (non supera i 30 cm.), compie migrazioni periodiche e nidifica entro la cavità degli alberi o tra le rocce ove depone in media da 4 a 7 uova una sola volta all'anno. Pare che propria questa assidua ricerca di ripari e nascondigli ove nidificare abbia sin da tempi remoti suggerita la leggenda di uccello amante dell'oscurità e delle tenebre.
Sia BIAMONTI che FOSCOLO non potevano ignorare, a fine XVIII secolo e ai primi XIX, la realtà scientifica ma costruirono le loro due poesie sul gioco linguistico in cui l'allitterazione della "U" finiva per sviluppare una sorta di suono onomatopeico che evocava quello attribuito alle entità dell'oltretomba intravista nei CIMITERI del tempo per effetto del fenomeno dei FUOCHI FATUI che alimentavano date anche LE TECNICHE DI INUMAZIONE LE RICORRENTI DICERIE SU "FANTASMI" E "RITORNANTI DALLA MORTE"
.

A chiosa di queste riflessioni si può annotare che al contesto di queste riflessioni, anche per la specificità semantica, restò estraneo, curiosamente ciò che con il Vampiro, la Strega e il Lupo Mannaro era un tempo ai primi posti delle considerazioni esoteriche, cioè NITTICORACE (misterioso e indecifrabile volatile del cattivo augurio e frequentatore delle aree sepolcrali di cui parlò anche PLINIO SENIORE) fu sì preferibilmente accostato alla CIVETTA ["Il nitticorace, detto anche nottola/...il nitticorace è immondo...e preferisce le tenebre alla luce" come riporta il Bestiario medievale "Fisiologo versio BIs" ("Bestiari medievali", cit., pp.20-22, VII) in stretto collegamento con le "Etimologie" (XII, VII, 40 e 41) di ISIDORO" ("Il nitticorace è anch'esso una nottola ed è un uccello che rifugge la luce e non sopporta di vedere il sole")]. In queste descrizioni comunque il "NITTICORACE" o "corvo della notte" permette identificazioni varie, tanto con la "CIVETTA" quanto col "GUFO" e con altri volatili notturni compreso il "PIPISTRELLO EUROPEO" e l'"UPUPA", che uccello notturno come visto proprio non è e che invece ISIDORO di Siviglia nelle "Etimologie" (XII, VII, 66) descrisse come un animale sporco, dal capo coperto da una cresta di alti ciuffi, un uccello che altresì mangerebbe escrementi umani, che vivrebbe tra le tombe ed il cui sangue esorcizzerebbe, entro i sogni di chi se ne cospargerebbe, demoni "soffocatori": il tutto contro una visione più fausta dell'"UPUPA" alimentata in genere dai Bestiari mdievali che ne fecero un simbolo dell'amore filiale verso i genitori deboli ed invecchiati> peraltro nel complesso panorama dei tanti uccelli notturni, in qualche modo collegati col male, col misterioso e comunque coll'enigmatico, si potrebbe in ultima analisi addirittura tirare in ballo la "spinturnice"di Plinio X 37, il brutto e infausto uccello già menzionato da Festo - ed ascritto dagli ornitologi al gracchio - che avrebbe spesso profanato are ed altari rubandone il carbone)".





































































" Giuseppe Luigi Biamonti nato a San Biagio della Cima presso Bordighera nel 1762, compì i primi studi a Ventimiglia; nel 1777 era a Roma, allievo del Collegio Romano, avviato alla carriera ecclesiastica; introdotto nella società colta della Roma di Pio VI, diventava precettore in casa Doria, amico e maestro di greco del Monti; nel 1785 scriveva la sua prima tragedia,Ifigenia in Tauri, pubblicata nel 1789 con prefazione dello stesso Monti. Fu per breve tempo a Firenze, nel marzo 1788, e nel ricordo di quella visita pubblicò l'anno successivo gli sciolti intitolati Addio al giardino di Boboli; a Firenze ritornò altre volte per motivi di studio; così vi fu per qualche anno, attorno al 1802, e vi conobbe l'Alfieri. Nel 1791 tuttavia si era già stabilito a Milano come precettore dei conti Della Somaglia; di li passò a Bologna nel 1805, nominato alla fine del 1804 professore di eloquenza italiana e latina in quell'università, dove succedeva al Giordani. A Bologna acquistò fama per la sua erudizione classica (nel frattempo aveva studiato anche l'ebraico e iniziato studi e versioni della Bibbia) e per le sue Orazioni; inoltre, fin dal 1803, aveva concluso la sua traduzione dell'Iliade, che pare fosse tenuta presente poi dal Monti, e nel 1804 pubblicava la tragedia Sofonisba. ABologna - dove si legò d'amicizia con Teresa Carniani Malvezzi - insegnò fino al 1809; soppresse le cattedre d'eloquenza nel Regno d'Italia, e ottenuta una pensione, tornò a Milano in casa Della Somaglia e fu vice bibliotecario a Brera. Nel 1810perse la pensione per i suoi atteggiamenti politici (aveva ripreso a comporre il poema Camillo - iniziatonel 1801, sospeso nel 1805-d'orientamento reazionario e filoaustriaco); con la Restaurazione, dal governo di Vittorio Emanuele I, alla fine del 1814, ebbe la cattedra d'eloquenza nell'università torinese; ivi pronunciò nuove celebrate orazioni che attestano come i suoi interessi culturali si fossero estesi dalla filologia classica e biblica alla filosofia e soprattutto all'estetica. Nei periodi di vacanza ritornava a Milano presso i conti Della Somaglia; e qui pubblicò incompleto, fra il '14e il '17, il Camillo. Nel 1815venne chiamato, con il Monti, il Paradisi ed altri studiosi, a far parte della commissione dell'Istituto italiano di scienze lettere e arti incaricata di perfezionare il Dizionario della lingua nazionale; nella successiva polemica con la Crusca intervenne tardivamente, schierandosi con i tradizionalisti toscaneggianti e pubblicando nel 1821le Lettere di Panfilo a Polifilo, dirette contro le tesi sostenute dal Perticari nell'Apologia del libro della volgare eloquenza di Dante; siguastarono quindi i suoi rapporti col Monti, che del resto ormai da un quindicennio si erano fatti meno cordiali per una disputa filologica sul catulliano "Arsinoes Locridos ales equos". Il B. si spense a Milano il 13 ott. 1824. Portato soprattutto alla riflessione analitica, il B. fu uomo di grandissima erudizione, come attestano specialmente le sue postille filologiche (in genere inedite, e studiate dal Giambelli), ma anche le sue versioni, i suoi trattati, i suoi discorsi, i suoi stessi scritti polemici. Orientato alla chiarezza, alla precisione, al senso delle proporzioni, non poteva essere che classicista (si vedano in proposito i suoi trattati Della locuzione oratoria e Dell'arte poetica e la sua orazione Del Bello); ma, sia pure con scarsa profondità e originalità, volle accordare con i precetti dell'utile dulci, dell'arte come "imitazione della natura" (intesa come perfezione e bellezza aggraziata), dell'"armonia", l'attenzione per il "sublime", preromanticamente interpretato come richiamo al grandioso, al tragico, al senso d'infinito e di caducità umana che è suggerito soprattutto dalle rovine (cfr. le sue orazioni Dell'armonia e Del sublime).
Opere
Gli scritti principali del B. (alcuni versi, tra cui l'Addio a Boboli, le due tragedie edite, i trattati Della locuzione oratoria e Dell'arte poetica, le più importanti orazioni bolognesi e torinesi, le Lettere di Panfilo a Polifilo, alcune odi pindariche tradotte) si leggono nei tre voll. delle Opere precettive oratorie e poetiche, Parma 1841; a parte restano: Camillo, poema, Milano 1814-17, e qualche verso d'occasione. La sua versione dell'Edipo re sofocleo apparve nel periodico Antologia italiana, Torino 1847; varie lettere furono pubblicate da S. Grosso. Inedite si conservano nella Bibl. dell'Archiginnasio di Bologna (che possiede anche mss. di opere edite del B.) due lettere (11 luglio 1812e 19 apr. 1819; mss. Mezzofanti, XIX, 79-80); un'altra lettera (13 agosto 1808)è nel ms. 2086della Bibl. Univers. di Bologna; la Bibl. Nazionale di Torino possiede numerosi inediti del B., raccolti in cinque voll. (già segnati Bc. 79-82, e ora S I 2); questi contengono, fra l'altro, canti del Camillo, orazioni, le tragedie Atamante e Andromaca, traduz. da Giobbe ed Epitteto, la versione di tragedie di Sofocle.
Fonti e Bibl.: V. Monti,Epistolario, a c. di A. Bertoldi, Firenze 1928, I, pp. 251, 335, 336, 339, 341, 397; II, pp. 169, 293, 336, 341, 357, 359, 364, 378, 385, 421; IV, pp. 142, 179 s.; V, p. 385; P. Giordani,Epistolario, a c. di G. Ferretti, Bari 1937, I, p. 28; U. Foscolo, Epistolario, a c. di P. Carli, II, Firenze 1952, pp. 250 n. 2, 523 n. 3; IV, ibid. 1954, p. 17; Lettere ined. di G. Boucheron e di altri, a c. di S. Grosso, Novara 1897, pp. 2-6, 29 s. (con lettere ined.); Effemeridi letter. di Roma, XVIII(1789), n. 22 (sull'Ifigenia); V. Monti, prefaz. all'Ifigenia in Tauri, Roma 1789; B. Benincasa,Notizie storico-critiche, premesse all'ediz. della Sofonisba, Venezia 1804; necrologio in Antologia, XVI(1824), p. 165; V. Bigliani, prefaz. all'ediz. delle Orazioni, Torino 1831; C. Lucchesini,Opere edite e ined., Lucca 1832, VIII, pp. 168 s.; G. B. Spotorno, aggiunte alla prefaz. del Bigliani, in Opere, Parma 1841, I, pp. 18-20; T. Vallauri,Storia della poesia in Piemonte, Torino 1841, II, pp. 286-288, 326; V. Gioberti,Introduz. allo studio della filosofia, Capolago 1845, I, p. 65; Id.,Del primato morale e civile degli Italiani, Milano 1848, p. 517; Id.,Del rinnovamento civile d'Italia, a c. di F. Nicolini, Bari 1912, III, p. 122; Id.,Ricordi bibliogr. e carteggio, a c. di G. Massari, Torino 1861, II, pp. 32 s.; Id.,Del Bello, a c. di G. Castelli, Milano 1939, p. 49; G. Casalis,San Biagio, in Dizion. stor.-geograf.-statist. degli stati di S. M. il re di Sardegna, XVIII, Torino 1849, pp. 161 s.; M. Pieri,Vita scritta da lui medesimo, Firenze 1850, I, pp. 152-56, 293-95, 298, 306, 463; G. B. Spotorno,Storia letter. della Liguria, V, Genova 1858, pp. 64-66; S. Grosso,Sugli studi di F. Ambrosoli nelle lettere greche e latine, Milano 1871, cap. X; T. Vallauri,Vita scritta da esso, Torino 1878, pp. 45 s., 54, 58 s.; S. Grosso,G. B. Poeta,professore di eloquenza,prosatore, Bologna 1880 (fondamentale; pubblicaz. di lettere ined. a T. Carniani Malvezzi); G. Gandolfi,La contessa Teresa Malvezzi e il suo salotto, Bologna 1900, cap. IV; G. Giambelli, Di G. B. Cenni bibliografici e critici, in Atti dell'Accad. dei Lincei, classe di scienze morali, s. 5, X (1902), pp. 1-52 (fondamentale); G. Zaccagnini,Una polemica letter. del Monti.in Rass. crit. della letter. ital., VIII(1903), pp. 193-205; G. Mazzoni,L'Ottocento, Milano s.d., I, pp. 77, 122, 319 s., 400, 404, 475; G. B. Viale, G. B. poeta e letterato, Roma 1924; E. Bellorini, G. B., in Enciclop. Ital., VI, Roma 1930, p. 858; G. Bustico,Alcune lettere ined. a G. B., in Mélanges Hauvette, Paris 1934, pp. 535-42; L. Simeoni,Storia dell'univers. di Bologna, Bologna 1940, II, pp. 157, 170.

Teresa Carniani nata a Firenze nel 1785 da Cipriano e da Elisabetta Fabbroni, ancora bambina fu istruita nella geometria dal dotto zio Giovanni Fabbroni; ma la madre volle abituarla soprattutto alle cure domestiche, dandole in seguito qualche cognizione superficiale di inglese e francese, musica e disegno "a solo ornamento". Aveva sedici anni quando il conte Francesco Malvezzi de' Medici, bolognese d'antichissima famiglia, cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, la sposò, conducendola, nel novembre del 1802, nella sua città. A Bologna la C. visse quietamente, frequentando la buona società; ebbe tre figli che morirono subito, poi, il 10 sett. 1819, le nacque un maschio, Giovanni, che sopravvisse e della cui educazione volle occuparsi personalmente. Felice nel matrimonio, poco impegnata dalle attività domestiche, la giovane contessa pensò di tornare agli studi di mal grado abbandonati, anche attratta dalla magnifica biblioteca del suocero, dottissimo bibliografo. Con l'amore agli studi, sorse in lei il desiderio di conoscere di persona gl'illustri letterati di passaggio per la città, o ivi residenti, e perciò aprì a un'ospitalità garbata il suo salotto ottenendo, in cambio, l'amicizia di molti esponenti della cultura. L'abate G. Biamonti, finché fu professore di eloquenza a Bologna, le dette lezioni di filosofia antica, e, attraverso le proprie traduzioni, le fece conoscere i classici greci; partito dalla città, si mantenne in contatto epistolare con lei, su un piano di fervore religioso che era comune ad entrambi; P. Costa la trattava come un "amico" stimato e caro, piuttosto che come una dama, mentre la distoglieva dalla imitazione del Frugoni, presente nei versi giovanili di lei; col Mezzofanti, allora semplice prete, riprendeva lo studio della lingua inglese e con la contessa Olimpia de Bianchi, amica di M.me de Staël, quello della lingua e letteratura francese; da sola la C. studiava il latino, consultandosi col Garattoni circa il modo di tradurre Cicerone. Frutto di tali studi furono i volgarizzamenti ciceroniani Della Repubblica (Bologna 1827), Della Natura degli dei (Bologna 1828, Milano 1836), Della divinazione e del fato (Bologna 1830), Del Supremo dei beni e dei mali (Bologna 1835) e del Lucullo (Bologna 1836), dei quali furono apprezzati la serietà e lo stile elegante e sostenuto, forse con un eccesso di cortesia rivolto più alla dama ospitale e graziosa che alla letterata troppo toscaneggiante. Dall'inglese la C. tradusse Il Riccio rapito del Pope (Bologna 1822) e il Messia, egloga dello stesso (Bologna 1927), diffusamente recensito da S. Betti nel Giornale arcadico del novembre 1827. Altri lavori degni di considerazione sono il volgarizzamento Alla Maestà di Carlo IV imperatore esortazione di F. Petrarca per la pace d'Italia (Firenze 1827) e le trentun ottave anonime, Firenze tornata al granducal governo l'anno 1815 (Bologna 1854), che le si posson facilmente attribuire poiché l'esemplare trovato nell'archivio Malvezzi de' Medici porta correzioni di sua mano. Scrisse altre poesie originali, alcune per modestia pubblicate anonime, che rivelano una cultura non comune e un'indole dolce e malinconica, sovente espressa nell'imitazione del Petrarca. La principale sua opera poetica è il poemetto La cacciata del tiranno Gualtieri accaduta in Firenze l'anno 1343, Bologna 1832 (i primi tre canti erano già usciti a Firenze nel 1827). L'argomento è ricavato dalla cronaca di G. Villani e dalla storia di Bologna del Ghirardacci, le descrizioni di luoghi e paesi da La montagna bolognese del Calindri. Per questo e per gli altri suoi lavori alla C. non mancarono lodi e onori, diplomi e titoli accademici. Intanto il suo salotto, reso prezioso dalla fama letteraria della contessa, ospitava pure, nell'arco di venti anni, lo Strocchi, il marchese Angelelli, l'Orioli, l'Azzoguidi, il Testa, don Apponte, la Tambroni, il Prandi, il Pozzetti, il Butturini, il Perticari, i cardinali Lante e Spina. Amicissimo le fu il Monti, che ne cantò le lodi in un'ottava estemporanea ("Bionda la chioma in vaghe trecce avvolta / Ed alta fronte ov'è l'ingegno espresso…": cfr. V. Monti, Epistolario, IV, p. 145) e le chiese quale fiore voleva le fosse dedicato nella sua Feroniade (la C. gli rispose in un sonetto che preferiva il modesto ligustro). Molto la stimava anche il Pindemonte (le lettere di questo e altri illustri personaggi indirizzate alla contessa si trovano nell'archivio Malvezzi de' Medici a Bologna).
Affettuosi furono i suoi rapporti con Giacomo Leopardi, dal maggio all'ottobre del 1826.
La C. - che aveva oltrepassato i quaranta anni quando conobbe il poeta, residente già da qualche anno in Bologna, ove nel 1824 aveva stampato le Canzoni e in quello stesso 1826 I versi - venne da lui giudicata una delle donne più colte del suo tempo e pur non essendo più giovane, gli apparve fornita di una grazia e uno spirito tali da creare "una illusione meravigliosa" di freschezza (G. Leopardi, Epistolario, I, p. 288: lettera del 30 maggio 1826 al fratello Carlo).
Il Leopardi visse i giorni seguenti al primo incontro "in una specie di delirio e di febbre" (ibid.); poi la relazione, consolidatasi in tranquilli incontri serali dedicati alla conversazione e alla lettura, divenne per lui come "un amore senza inquietudine" (ibid.).
La C. si commuoveva fino alle lacrime all'ascolto dei suoi versi.
Questa affettuosa relazione persuase il Leopardi che "ci sono veramente al mondo dei piaceri che io credeva impossibili e che io sono ancor capace d'illusioni stabili, malgrado la cognizione e l'assuefazione contraria, così radicata, ed ha risuscitato il mio cuore, dopo un sonno anzi una morte completa, durata per tanti anni" (ibid.).
Tuttavia, le sue visite troppo lunghe e frequenti cominciarono a infastidirla e, quando il poeta tornò nell'ottobre a Recanati, ella non gli scrisse mai, sebbene l'avesse promesso, mandandogli soltanto un esemplare dei suoi Frammenti della Repubblica di Cicerone volgarizzati (Bologna 1827), che il Leopardi, forse per cortesia, trovò degni di lode.
Tornato a Bologna sul finire dell'aprile del 1827, il Leopardi non ebbe più alcun pretesto per continuare la relazione con la Malvezzi, avendogli ella detto chiaramente che la sua conversazione l'annoiava.
In due lettere a lei dirette egli dichiara e ripete di essere un suo "molto fedele e vero e cordiale amico", ma dopo l'uscita del poema della Malvezzi, gratificato di un breve, sprezzante commento: "povera donna! Aveva veduto già il manoscritto" (nella lettera al conte Papadopoli del 25 febbr. 1828: Epistolario, II, p. 42), non si occupò più di lei.
Il Mestica tuttavia credette di veder consacrato nel Consalvo l'amore del poeta per lei, raffigurata nella pietosa Elvira, che accorda un bacio all'amante morente.
Gli ultimi anni della C. passarono nelle quiete abitudini studiose e casalinghe, benché per lungo tempo fosse tormentata da una malattia nervosa, le maggiori gioie venendole dal figlio Giovanni, che assunse nel '49 il comando della guardia civica. Si spense a Bologna la notte del 9 gennaio 1859.
Fonti e Bibl.: D. Diamilla Müller, Biogr. autografe ed ined. di illustri ital. di questo secolo, Torino 1853, pp. 216-23 (lettera autobiogr. scritta dalla C. a mons. C. E. Muzzarelli, da Bologna, in data 18 dic. 1829); F. Rocchi, Cenni necrol. della contessa T. C. Malvezzi, in Gazz. di Bologna, 9 genn. 1859; G. Leopardi, Epistolario, a cura di P. Viani, I-II, Napoli 1912, ad Indicem;V.Monti, Epistolario…, a cura di A. Bertoldi, IV, Firenze 1929, ad Indicem;G. Mestica, Gli amori di G. Leopardi, in Fanfulla della domenica, 4 apr. 1880; C. U. Posocco, Gli amori di G. Leopardi, Vittorio 1891, pp. 9-12; E. Boglien-Conigliani, La donna nella vita e nelle opere di G. Leopardi, Firenze 1898, pp. 173-219; G. Gandolfi, La contessa T. Malvezzi e il suo salotto, Bologna 1900; G. Mazzoni, L'Ottocento, II, Torino 1964, p. 465.