Sono scarni i dati documentari sulla medicina militare nell' epoca repubblicana di Roma. Dalle fonti si apprende che prima di Augusto, secondo Tito Livio, quanti venissero feriti e potessero venir soccorsi
sarebbero stati condotti nei villaggi nei villaggi limitrofi per le possibili cure.
Naturalmente la celerità nei soccorsi era basilare sia per arrestare eventuale emorragie che per cauterizzare ferite altrimenti destinate a qualche letale infezione.
Augusto approntando una riforma dell'esercito introdusse la figure dei medici militari per cui al contrario di quelli civili la dote basilare risiedeva eminentemente -sfruttando una raffinata strumentazione- nella formazione chirurgica accompagnata da una capacità professionale -anche di formazione letteraria (vedi testi digitalizzati)- di individuare le condizioni ottimali teraputiche contestualmente alle ottimali dislocazioni di alloggiamento a fine igienica onde garantire una buona condizione generale dei soldati = era tanto sofisticata la strutturazione dei valetudinaria che sarebbero occorsi molti secoli prima che opportuni regolamenti dei "nuovi eserciti", qui proposti digitalizzati, ne proponessero gli organigrammi e l'organizzazione di base (come in un contesto più generale , oltre che la regolamentazione della disciplina delle truppe, la classificazione dei militi secondo graduatorie di merito e specialmente di specializzazioni oltre che, come più genericamente nell'età mediana, di gerarchie). Tra i tanti compiti dei diversi specialisti di un ospedale militare rmano era anche dovere dei loro medici quello appurare che gli accampamenti permanenti o castra stativa venissero locati
in prossimità di corsi d'acqua ma lungi da acque stagnati e quindi malsane, sì da costituire alla fine paludi malariche (contro cui l'Impero di Roma combattè più di ogni altra civiltà fino a tempi relativamente recenti (vedi) come comprova l'enorme sforzo di bonificazione delle Paludi Pontine su cui ha scritto pagine importanti G. B. Casali nel '600 (leggi qui); avevano essi del pari cura d'evitare l'impianto degli accampamenti in regioni aride, non ombreggiate da alberi o cui fosse arduo portare vettovaglie ed accedere con carriaggi.
In ogni castrum legionario o ausiliario i medici supervisionavano poi l'erezione degli ospedali militari (valetudinaria da valetudinarium) = vedi Pseudo-Igino, De Munitionibus Castrorum, 4 e 35; Vegezio, Epitoma rei militaris, II, 10; III, 2..
Relativamente alla professione in se stessa ai medici miltari era richiesta una grande esperienza pratica certo eminentemente se non esclusivamente empirica forgiata in maniera diretta
sui campi di battaglia.
E nell'agone della battaglia sia i medici che i loro inservienti stavano in numero considerevole proprio dietro le prime linee sì da curare i soldati feriti sul posto.
Per gli interventi si avvalevano di una varietà di strumenti chirurgici notevolmente sofisticati per l'epoca atti a rimuovere celermente frecce, lance e dardi, pulire e disinfettare le ferite con acqua pulita per poi se necessario applicare punti di sutura. Agli inservienti spettava tra l'altro l'obbligo di bendare le ferite.
La rapidità era basilare nella pulizia, chiusura e bendaggio della ferita, soprattutto quando se profonda, in mancanza di antibiotici, sì dai prevenire un'infezione che potesse condurre poi ad una morte lenta e agonizzante per gangrena = in effetti i Romani come scrive Amatus Lustanus conoscevano l'Usnea barbata (gergalmente detta "barba di Bosco") sotto vari nomi bryum o muscus od usnea cui riconoscevano varie proprietà ma non quella che ne fece un prodotto quasi inconsapevolmente basilare di certe guarigioni da infezioni apparentemente incurabili = dal seicento -pur senza intuirne la specificità medicamentosa- essa sarebbe infatti rientrata come componente
essenziale dell' "Unguento Armario" cioè dell'"Unguento ad uso delle ferite di guerra" secondo una determinata scuola medica : a prescindere dalle controversie su questa specifica teoria l' Usnea o Barba di Bosco (Usnea barbata), famiglia usneacee, è un lichene, che propriamente contiene acido usnico batteriostatico, atto ad arrestare, con buoni risultati, i processi infettivi;
in particolare gli estratti di "Usnea barbata" coadiuvano le naturali difese contro le infezioni batteriche e micotiche sì che l' Alexandrian, Storia della filosofia occulta, a cura di D. Chioatto, Milano 1996, P. 342 giunse a definirla un "oscuro presentimento della penicillina" (del resto l'assenza di strumenti di investigazione approfondita ad iniziare dal microscopio e l'ignoranza che le infezioni potessero esser scatenate da microorganismi, batteri e germi era e sarebbe stato per secoli un antemurale gnoseologico anche a fronte di altre piante potenzialmente battericide ed utilizzate empiricamente come nel caso dell'aglio).
Dalla medicina greca che si era vieppiù fatto spazio nell'ecumene romano con l'arrivo a Roma di esimi specialisti, anche i medici dell'esercito romano trassero svariati giovamenti ed in particolare ereditarono una vasta conoscenza delle proprietà curative di piante ed erbe medicinali (vedi indici) = si trattava di una scienza più complessa di quanto creduto comunemente e soprattutto in continua evoluzione al segno che
dai Rizotomi dell'epoca romana in forza anche della scienza araba che del sapere romano fu apertamente debitrice si trasmisero ulteriori competenze che raggiunsero la Cristianità e si ramificarono nell'opera degli Aromatari e degli Erboristi oltre che di quelle che in tempi meno tormentati dalla superstizione furono dette le "Donne Savie", "Donne Rimedianti", "Buone Donne" ma anche risultarono gratificate dell'appelativo vero e proprio di "Medichesse".
Molti erano i medicamenti del mondo vegetale che offrirono valide soluzioni terapeutiche ai medici romani e tra queste primeggiò spesso la Centaurea anche se a scorrere un indice che giammai potrà esser esaustivo e pur calcolando le nuove acquisizioni degli erboristi si può già intendere leggendo qui partendo a leggere in ordine alfabetico dall'"Abrotano" (pressoché venerato dai Greci per le potenzialità farmaceutiche) si scopre di quanti medicamenti potessero fruire i medici romani.
Resti di almeno 5 piante medicinali sono stati trovati nei siti di un forte, suggerendo che tali erbe erano coltivate all'interno del forte in veri e propri giardini da giudicare per molti aspetti anticipatori dei monastici Giardini dei Semplici.
Il Praefectus castrorum [Davies (1989), p. 214.
] era a capo dell'intiero organigramma sanitario: sotto stava immedatamente l'Optio valetudinarii, o direttore dell'ospedale militare della fortezza legionaria, che fungeva da responsabile amministrativo [Holder (1982), p. 78.
] .
Ai vertici del servizio clinico oprava un "medico-capo" detto Medicus: specialmente nella parte orientale dell'Impero, il Medicus era generalmente persona qualificata ed esperta, occasionalmente perfino anche un accademico ed in merito è esemplificativo il caso di Pedanio Dioscoride, un chirurgo militare dell'epoca di Nerone, il quale pubblicò un trattato (De Medicinali Materia libri sex), che rimase per secoli come libro base dei testi di medicina.[Davies (1989), p. 214.
= Il greco Ippocrate non apprezzava particolarmente la chirurgia specie per l'assenza di anestetici, antidolorifici e antibatterici enormi limiti tuttavia non impedirono la messa a punto di tecniche operatorie sofisticate e valide, né il posto di rilievo che occupò la chirurgia, soprattutto quella traumatologica di guerra. Si trattava tuttavia di una pratica cruenta, violenta, straziante, subita con terrore e quindi delegata a figure alternative obbligate ad indossare abiti corti per essere meglio distinte dai medici che invece vestivano lunghe tuniche drappeggiate.
A Roma, in un tempio eretto sull'isola Tiberina, era venerato il dio, Esculapio il cui culto fu importato dalla Grecia nel 293 a.C. a seguito di una epidemia di peste. I romani, pur tenendole in gran conto, non amavano praticare personalmente alcune attività e così affidavano agli schiavi, spesso greci o alessandrini, l'educazione culturale dei propri figli ed anche la loro salute. I più eminenti medici della Roma augustea provenivano per lo più dalla periferia dell'Impero. Uno di questi fu Aulo Cornelio Celso un enciclopedista vissuto nel I secolo e originario forse della Gallia che nell'ultimo volume del suo De Medicina tratta lo stato dell'arte chirurgica ai suoi tempi fornendoci utili informazioni. Descrive perfettamente molti interventi da quello per cataratta a quello di tonsillectomia alla craniotomia, alla incisione degli ascessi, alla litotomia, alla cura delle fratture, alle manovre ostetriche più complesse. Celso dimostra una buona conoscenza dell'anatomia e anche degli oppioidi
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