cultura barocca
TERMINOLOGIA GIURIDICA

TERMINOLOGIA GIURIDICA DEL DIRITTO INTERMEDIO

-ABOLIZIONE :dir.>abolitio-onis="amnistia, revoca, abrogazione".

-ACCUSA (da Accusare dal lat. accusare da causare = dare per causa, far causa)>"Atto con cui si imputa a una persona una mancanza,una colpa,un abuso,un delitto;imputazione, carico, addebito">Accusare-Muovere accuse = "sostenere la colpevolezza"; Atto di accusa = "L'atto con cui si imputa all'accusato il fatto delittuoso a lui attribuito" > BATTAGLIA, I, s.v.

"A coda d'una bestia tratto" (> Libro II degli Stat.Crim.> condotto al supplizio estremo per pubblica CATARSI come nel caso di Omicidi [l8], Assassini [11], Rapinatori [24], Autori di Sacrilègi [25]: vedi PUBBLICO AMMONIMENTO secondo i dettami del Diritto intermedio.

-ALLEGAZIONE> Dir."Esposto presentato dall'avvocato al giudice con l'istanza, per illustrare i motivi delle conclusioni adottate nell'istanza stessa"> A.MANZONI, Pr. Sp.,3 (44) dove A. è prossimo a "supplica"(Allegare in BATTAGLIA,s.v.,3,"al giudice portare ragioni a sostegno del proprio diritto").

-AMMETTERE (AMMISSIONE)> Dir. ant. = "Dar facoltà di comparire in giudizio, imputare" (BATTAGLIA, I, s.v. di sign. giurid.).

AMMINISTRAZIONE (DELLA GIUSTIZIA)> Per gli Stat. Crim. del 1556 l' amministrazione della giustizia, con Rito ordinario o straordinario, era demandata al PRETORE ed al Giudice dei Malefici e (SAVELLI, p. 37) a tutte quelle altre magistrature ed uffici (Stat. Crim., Lib. I, cap.1) ad quos de criminibus, aut de aliquo eorum pertinet cognoscere, vel jurisdictio est demandata> magistrature come quella dei Padri del Comune o dell'Arte della seta.
Su questa frammentazione organizzativa della giustizia interagiva variamente il POTERE POLITICO: una casistica di interventi riguardava il Senato, ad iniziare dai "Crimini di lesa maestà" (Stat. Crim., Lib. II, Camera per l'autorità di intervento su bestemmiatori (cap.1), peccatori libidinosi (cap.2) e seminatori di scandali.
Il popolo ed i ceti nobiliari subalterni mossero accuse sempre più dure contro scorrette INTROMISSIONI dei Collegi nella giustizia criminale> SAVELLI cit.ricuce il dibattito politico e giuridico che presuppose DISTINZIONE tra potere politico e potere giudiziario dopo la Costituzione del 1576 e con l'erezione della ROTA CRIMINALE.
Col tempo, però, il Potere politico cercò, con indubbia efficacia, di RIDIMENSIONARE questa nuova situazione e ricondurre sotto l'egida della Signoria il controllo della Giustizia Criminale.

ARBITRIO vedi RITO ORDINARIO e RITO STRAORDINARIO > I pericoli di totale Arbitrio del giudice tanto per quanto riguarda la GIUSTIZIA DELLO STATO quanto della GIUSTIZIA DELLA CHIESA fu sottolineato dal BECCARIA(cap.XXIX, Della cattura).
Tale Arbitrio equivaleva, anche, all'uso o no di particolari procedure investigative, mediate sia dalla letteratura criminalistica che dal diritto canonico.
Poichè alcuni giudici si valevano anche nel genovesato ancora nel XVIII, a loro "arbitrio insindacabile" di forme controverse di prova parecchi autori entrarono in contesa, essendo alcuni a favore dell'utilizzazione di ogni espediente pur di individuare un colpevole mentre altri, più saggiamente, pensavano di doversi attenere ai criteri dettati dalla scienza o comunque dal buonsenso, senza scadere nella superstizione.
Di un tipo di prova, che cioè i cadaveri degli assassinati sanguinino se davanti a loro vengono esposti i colpevoli della loro morte si occupò anche A. APROSIO nella sua Grillaia al cap. XII, pp. 143-144 intitolato " se alla presenza dei Micidiarij le ferite degli uccisi mandino fuori il sangue" [e peraltro l'agostiniano intemelio vi cita due casi delittuosi nel territorio di Ventimiglia, uno accaduto nel nel 1620 (PAGINA 143, PARAGRAFO 3) quando lui era fanciullo ed un secondo molto dopo, nel 1654 (PAGINE 143-144, DA PARAGRAFO 3): entrambi "svelati" tramite siffatto sistema probatorio).
L'argomento introdotto da APROSIO con estrema prudenza non era però cosa da poco ma rimandava ad una discussione filosofica e medica, che contrapponeva la scuola ippocratico-galenica e la spagiria, e su cui la Chiesa romana, nonostante varie titubanze, giammai aveva preso una posizione definitiva: il tutto risulta per la precisione da ricondurre al dibattito sulla TEORIA DELLE ANTIPATIE E SIMPATIE TRA MACRO E MICROCOSMO e principalmente alla CLASSIFICAZIONE dello scozzese SILVESTRO RATTAY che appunto elenca questa prova (e ne cita, tra molti altri, una sua SPIEGAZIONE [DA P. 62 IN ALTO]) che risulta astratta da ogni tipo di criminale vaghezza inquisitoriale per risultare piuttosto innestata in un CONTESTO ALCHEMICO e di MAGIA NATURALE, certamente controverso e comunque soprattutto connesso ai temi dell'UNGUENTO ARMARIO e della POLVERE SIMPATETICA, ma certo non privo di supporti culturali.
Questo straordinario sistema probatorio di colpa (in Italia massimamente studiato da PIETRO SERVIO) era stato però più volte applicato ad inchieste criminali non comportanti reati avverso la religione anche se parecchi giusdicenti ne avevano criticata l'oggettività: dalla lettura del GRILLO aprosiano, il saggio cioè di un uomo curiosissimo ma caratterialmente refrattario alla violenza fisica, si intravede una formidabile perplessità intellettuale entro cui la credenza nella realtà del magnetismo universale (cioè delle interazioni tra macrocosmo e microcosmo sull'asse di antipatia e simpatia: epocalmente innegabile stante anche il miracolo di San Gennaro) palesemente urta (come si legge sul FINE DI PAGINA 149, CAPOVERSO 13 e seguenti) con la possibilità di avvalersi lecitamente di tale sistema probatorio (che proprio queste sostanziali brutalità, connesse ad altre violenze investigative siano state alla base di quella rinuncia alla carica di Vicario inquisitoriale, parimenti fatta con molta cautela dall'agostiniano, senza mai parlarne -lui così logorroico- quasi per la paura di essere coinvolto in tematiche per lui sconvenienti se non rischiose?).
Peraltri il penalista Francesco Casone (anche Casoni) di Oderzo, non mancando di suscitarsi critiche da più fronti, scrisse "non stimo che dal dar sangue i cadaveri possa derivare alcun indizio, se non al massimo un ben vago suggerimento ad aprire un'inchiesta. Tale effusione di sangue deriva infatti da ragioni tuttora ignote, che non debbono far trarre la benché minima conseguenza o conclusione. Qualsiasi magistrato resti quindi soddisfatto dal giudicare col buon senso e la prudenza che s'addicono all'uomo savio ed onesto, accantonando quei misteri che spettano unicamente alla Divina Provvidenza: del resto per il bene della legge non occorre sapere più di quanto occorra o serva": e poco dopo Nel XVII sec. il medico fiorentino Giovanni Nardi (precisando che la fuoriuscita di sangue dai cadaveri dopo un certo tempo dalla morte era fenomeno di studio per medici o scienziati ed in nessun modo, a pro dei giudici, prova di reità d'un accusato) inoltrò questa ammonizione a tutti i magistrati italiani: "Si guardino bene quanti presiedono all'applicazione del diritto di sottoporre alle torture alcun uomo, davanti al quale il cadavere d'un assassinato abbia versato sangue dalle ferite" [passi del Casone e del Nardi, in latino, ripresi e tradotti dal luogo cit. della Grillaia: vedi lo SCRITTO INTEGRALE del Nardium nel Theatrum Sympaticum..., ed. Norimberga del 1662].


ASILO (DIRITTO DI ASILO)> vedi (FEDELE, s.v.): Il cristianesimo, in nome del principio evangelico di carità, accolse dal mondo greco e romano l'istituto dell'Asilo pei rei rifugiatisi in luogo sacro.
I codici teodosiano e giustinianeo riconobbero il Diritto d'Asilo come garanzia d'una più equa amministrazione della giustizia.
In epoca feudale si considerarono inviolabili non solo gli edifici di culto ma anche il terreno che li circondava, spesso tanto vasto che qualche reo poteva vivervi con comodità specie se di famiglia ricca.
Il Concilio di Trento, coi Deliberati del 1563-'64, riconobbe al Diritto d'Asilo nelle chiese un'origine divina sì che ogni violazione era sacrilegio e comportava scomunica.
Poichè ne seguirono abusi e scontri fra Vescovi e Magistratura si restrinse la portata del Diritto d'A. di cui non più godettero i rei di delitti come omicidi e sacrilegi (di qui le sottigliezze con cui si contrapposero diritto laico ed ecclesiastico: quasi a prevedere queste novità negli Statuti genovesi, pur anteriori ai Deliberati di Trento, si insinuarono in molti reati comuni (Avvelenamenti, Bestemmie, Violenze a donne, Peccati carnali contro natura ecc.) i caratteri del Sacrilegio (per punire evitando ostacoli ecclesiastici e concessioni di Asilo)> d'altro canto fu riconosciuto - magari per poi cavillare, come nel caso delle Streghe di Triora - ampio margine d'azione all'Inquisizione, (cap. 89 del II lib.) invitando Magistrati e Bargello a collaborare con Vescovi, Arcivescovo ed Inquisitore di Genova.

ATTORE: chi agisce in giudizio, promuovendo un'azione legale contro altri (vedi Convenuto).

ATTUARIO> Cancelliere, notaio degli atti giudiziali presso le antiche corti di giustizia o Curie.

AVVOCATO [vedi DIGESTO = III, 3] : BATTAGLIA s.v.>"Colui che nell'azione giudiziaria presta assistenza a una delle parti (all'attore, al convenuto o all'imputato): sempre dal BATTAGLIA si apprende che nel medioevo era in auge anche la forma CAUSIDICO (CAUSIDICI) poi caduta in disuso ed evolutasi in senso prima scherzoso e quindi spregiativo ad indicare AVVOCATI di basso profilo od incompetenti.
Per un inquadramento della postazione ecclesiastica maturata ai primi del XVIII secolo vedi la voce ADVOCATUS nella monumentale BIBLIOTHECA CANONICA... del padre francescano Lucio Ferraris.

BANNO (ant. per BANDO) da cui Bannire (per Bandire)>s.v. del BATTAGLIA come Bannalità
E' termine giuridico proprio delle LEGGI ANTICHE DEI BARBARI POI PASSATE NEL DIRITTO MEDIEVALE: tutto è più propriamente in relazione alla valenza giurisdizionale e semantica del termine BANNUM con cui si indicano vari e complessi POTERI ISTITUZIONALE destinati comunque in Italia ad una rapida involuzione, con conseguente decadimento.
BANDO (BANNO - BANNALITA') (XI-XIV secolo) acquisisce poi il valore semantico di CONDANNA: sicché leggendosi in ANTICHI STATUTI COME QUESTI DIGITALIZZATI DEL '200, ad esempio, "BANNUM SOL. XV" sia da intendere "CONDANNA (MULTA PECUNIARIA) DI 15 SOLDI".
Successivamente, e per estensione, "DAR BANDO, METTERE AL BANDO, AVERE IN BANDO acquisirà il valore semantico di ELIMINARE, ABOLIRE, SCACCIARE, ESCLUDERE, RESPINGERE e quindi ESILIARE pena gravissima e rischiosissima (attesa l'opera dei "Cacciatori di Taglie") ascritta tra le PENE DA COMMINARE ai REI entro questi LIBRI CRIMINALI del XVI secolo [interazioni etimologiche = bandire (ant. bannire) v. tr. , dal got. bandwian "fare un segnale", (io bandisco, tu bandisci, ecc.) = neologismo = bannare = (neologismo)(informatica) interdire la comunicazione o l'accesso di uno o più utenti ad un sito internet, un server, una chat, un forum dal verbo inglese to ban, tradotto alla lettera in "bandire" (vedi BATTAGLIA s.v. "bandire" = nell'ambito delle nuove parole dell'uso "bannare", voce transitiva, informatica, neologismo italiano dal 1998 conesso a Internet, derivato dall'inglese to ban: nel gergo di Internet escludere da una chat o da un forum: derivato = bannaggio, sinonimo = bananare vedi T. De Mauro, Utet sotto voce bannare, VIII, Nuove Parole Italiane dell'Uso II in "Grande Dizionario dell'Uso", VIII")].
Dal termine BANNO deriva in epoca medievale il concetto giurisdizionale di SIGNORIA BANNALE.
Per SIGNORIA BANNALE (come quella dei DORIA DI DOLCEACQUA) si intende in epoca medievale una forma di governo più diffusa in Francia che in Italia. Questa peculiarità si evince da varie norme e dagli stessi cinquecenteschi DIRITTI (IURA) dei Doria, che parlano ancora di BANNUM e BANDITAE.
Il riferimento all'area francese, piuttosto che a quella italiana dove la signoria bannale è meno diffusa non deve neppure stupire, in quanto gli ARDUINICI erano imparentati col casato Sabaudo di provenienza geo-culturale transalpina.
La SIGNORIA BANNALE è contraddistinta da un cumulo di poteri (o BANNUM), che competono al signore in tutti e tre i settori del diritto pubblico (legislazione, amministrazione e giurisdizione), capacità di ius dicere.
Il BANNUM è il potere di comandare, di costringere e di punire gli uomini liberi; da ciò trae origine il termine BANNITUS ("BANDITO") l'individuo allontanato con la forza della legge ed esiliato dalle terre signorili proprio in vigore del BANNUM.
Il signore detiene due potestà che sostanziano l'istituto della SIGNORIA BANNALE.
E' basilare la sua facoltà di IMPOSIZIONE FISCALE per l'uso di beni pubblici e comuni che tratta alla stregua di res propria: per esempio a riguardo del pascolo sulle terre signorili, la raccolta di legna (legnatico), la vendita delle merci (teloneo), l'attraversamento di un ponte o di un guado (pontaticum).
Altre imposizioni pecuniarie promanano da CONDANNE GIUDIZIARIE.
La II essenziale facoltà è la POTESTA' MILITARE.
Quanti vengono ascritti fra le forze signorili prestano servizio secondo le proprie possibilità. I "rurali" (quindi anche gli allodiali), privi delle risorse per procacciarsi come d'uso epocale le armi, non partecipano aa operazioni belliche: essi deve prestare ospitalità, vitto e alloggio alle truppe. Oltre a ciò possono venir tenuti al rispetto delle operae o giornate lavorative da prestarsi al signore, le quali possono ripetersi a intervalli regolari (e allora saranno dette angarie) oppure essere richieste arbitrariamente (parangarie). Una loro ulteriore forma di partecipazione indiretta al conflitto può esser data sotto forma di rispetto delle richieste in denaro (collectae), del diritto di prelazione sull'alienazione di immobili, ed ancora sul rispetto, nell'interpretazione di una ormai molto discussa interpretazione storica e giuridica, del presunto IUS PRIMAE NOCTIS.

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CANCELLAZIONE vedi BATTAGLIA, II, s. v.: Cancellazione> annullamento di sentenza -
CASSARE/-CASSATO> "Annullare, abrogare, revocare una sentenza" (anche però "radiare da un albo, collegio o corporazione", "destituire, licenziare").

CAUSA:Procedimento giudiziario per dirimere una controversia (C. civile) od accertare la responsabilità di un imputato e infliggere al colpevole la pena prescritta(C. giudiziaria).

CONTRADDIZIONE - CONTRADDIZIONI nel DIRITTO INTERMEDIO> vedi Diritto intermedio ed anche Amministrazione della Giustizia.

COMPARIZIONE (dal verbo Comparire dal lat. comparere con cambio di coniug.)>"Atto con cui le parti (in un giudizio civile) o l'imputato (in un giudizio penale) o il testimone si presentano davanti al giudice. Mandato di comparizione: atto con cui giudice istruttore o pretore ordinano che l'imputato si presenti personalmente dinanzi a loro. - Ordine di comparizione: atto emesso dal pubblico ministero che ha lo stesso effetto del mandato> BATTAGLIA, III, s.v.

COMPOSIZIONE nel Diritto penale intermedio vedi: Pacificazione, Risarcimento, Soddisfazione

-CONFESSIONE NEL DIRITTO CIVILE E PENALE (Confessare)> la C. è il risultato massimo, di ogni inchiesta del diritto intermedio, per conseguire salda probatoria di colpevolezza e comminare condanne. Risultato "cercato" ed anche "estorto" con Tortura: naturalmente "estorto" secondo la morale odierna ma a quei tempi ritenuto lecito a patto che venissero rispettate le procedure degli Statuti Criminali (v. cap.XV, Libro I): tutti i capi del lib. I e molti del II o "delle pene" riportano questa esigenza della magistratura e, a parte inviti generici alla moderazione, nel crepuscolo della Camera delle torture, era in pratica lasciato grande arbitrio agli inquirenti per ottenere completa Confessione .

CONFISCARE> Sottoporre a confisca, devolvere al fisco (dal lat. fiscus>"erario imperiale"> erario pubblico) beni, proprietà dei condannati, incamerare cose introdotte illegalmente in uno Stato o di cui lo Stato vuole impedire la circolazione> vedi FISCO (per la peculiare accezione in area genovese) e SEQUESTRARE [S.A.I.> 75, 191 e 134> i beni di Eretici si dovrebbero sempre confiscare a pro del Fisco del Santo Ufficio mentre quelli di non eretici, per caso confiscati con quelli dei colpevoli, devono esser subito resi ai legittimi padroni: comunque "Il Supremo Tribunale condona la consficatione de' beni a quelli che ritornano a Santa Chiesa e si pentono"] > BECCARIA, capo XXV, criticò questo sistema di rivalsa patrimoniale ad opera dello Stato (e contestualmente della Chiesa): "Ma chi è bandito ed escluso per sempre dalla società, dev'egli esser privato dei suoi beni? Una tal questione è suscettibile di differenti aspetti. Il perdere i beni è una pena maggiore di quella del bando; vi debbono dunque essere alcuni casi in cui, proporzionatamente a' delitti, vi sia la perdita di tutto o di parte dei beni, ed alcuni no. La perdita del tutto sarà quando il bando intimato dalla legge sia tale che annienti tutt'i rapporti che sono tra la società e un cittadino delinquente; allora muore il cittadino e resta l'uomo, e rispetto al corpo politico deve produrre lo stesso effetto che la morte naturale. Parrebbe dunque che i beni tolti al reo dovessero toccare ai legittimi successori piuttosto che al principe, poiché la morte ed un tal bando sono lo stesso riguardo al corpo politico. Ma non è per questa sottigliezza che oso disapprovare le confische dei beni. Se alcuni hanno sostenuto che le confische sieno state un freno alle vendette ed alle prepotenze private, non riflettono che, quantunque le pene producano un bene, non però sono sempre giuste, perché per esser tali debbono essere giuste, perché per esser tali debbono essere necessarie, ed un'utile ingiustizia non può essere tollerata da quel legislatore che vuol chiudere tutte le porte alla vigilante tirannia che lusinga col bene momentaneo e colla felicità di alcuni illustri, sprezzando l'esterminio futuro e le lacrime d'infiniti oscuri. Le confische mettono un prezzo sulle teste dei deboli, fanno soffrire all'innocente la pena del reo e pongono gl'innocenti medesimi nella disperata necessità di commettere i delitti. Qual più tristo spettacolo che una famiglia strascinata all'infamia ed alla miseria dai delitti di un capo, alla quale la sommissione ordinata dalle leggi impedirebbe il prevenirgli, quand'anche vi fossero i mezzi per farlo!".

CONVENUTO: giurid.="citato in giudizio"(BATTAGLIA,s.v.,n. 2).

CURIA> TRIBUNALE , organo giudiziario collegiale. Per estensione il corpo sociale di tutte le persone che in un dato luogo si occupano dell'amministrazione della giustizia. In senso stretto, i giudici e i loro vicari ed ausiliari, esclusi gli avvocati e procuratori (che costituiscono il Foro): in senso lato giudici ed avvocati, il mondo, l'ambiente giudiziario e forense, il complesso di questioni, problemi, affari, riguardanti l'amministrazione della giustizia, le professioni dei giudici, avvocati ecc. (BATTAGLIA,III, s.v., n.6). Oltre alle tre principali CURIE di Genova cui si dovevano demandare importanti controversie o gli atti per "crimini gravi", ogni municipalità (Podesteria o Capitanato che fosse) aveva (generalmente nel "Palazzo Pubblico" con annessa la Camera dei tormenti ed un piccolo carcere) una sua CURIA ove si dibattevano dai giusdicenti locali vari tipi di cause, specie contenziosi civili e quelle cause demandate (già in base ai primi capi del libro I degli Statuti Criminali del 1556) alle usanze civili e penali degli Statuti municipali od ordinamenti di giustizia del luogo riconosciuti competenti dalla Signoria.

DENUNCIA (Denunciazione deverbale da Denunciare)>"Dir. Ciascuno dei vari tipi di atti con cui un soggetto privato, di propria iniziativa,o in adempimento di un dovere legale, porta formalmente a conoscenza della competente autorità l'esistenza di una situazione di fatto sotto qualche aspetto rilevante giuridicamente...D. penale: atto con cui qualunque persona, mediante una dichiarazione scritta od orale, generalmente di propria iniziativa (ma in certi ordinamenti, o per certi reati, per obbligo di legge) porta a conoscenza della giustizia che è stato commesso un fatto costituente reato perseguibile d'ufficio.- Impropriamente Querela, "rapporto, referto">BATTAGLIA, IV, s.v., 4.

DIRITTO INTERMEDIO o DELL'ETA' INTERMEDIA: "Diritto vigente in Italia nel periodo tra fine Impero Romano d'Occidente (V sec.) e Rivoluzione francese (fine '700): BATTAGLIA, s.v. intermedio, 4.
La sostanziale Contraddizione del D.intermedio (prescindendo dal più noto e consequenziale teorema che "si fosse sempre rei in caso d'accusa, querela o denuncia non provandosi il contrario") si può ascrivere alla coesistenza conflittuale in esso di due distinte Tradizioni giuridiche: quella del Diritto consuetudinario dei popoli germanici che abbatterono l'Impero romano (D. consuetudinario ispirato ad una Giustizia restitutiva ispirata alla composizione fra le parti, tramite un risarcimento: ma vedi qui anche voci pacificazione e soddisfazione) e quella del Diritto di Stato che si sviluppava invece nel contesto del sistema giuridico dell'Impero romano e quindi nell'ambito pubblico (Diritto di Stato ispirato cioè sempre ai principi della pena come risposta ad uno stato di reità provata, sino agli estremi della pena di morte e della mutilazione).
Come per gran parte degli Stati europei, con la parziale eccezione inglese, il limite strutturale del Diritto penale genovese (e in generale del Diritto dell'età intermedia) si può riassumere nel costante urto fra queste due consuetudini giuridiche e nel lungo perdurare, sino alle riforme dei Lumi, del principio della composizione sì che, a fronte di pene sancite negli Statuti Criminali, si leggono apertamente (negli infiniti distinguo dei giudici se sia nel frattempo intercorsa o meno composizione o pacificazione) le disparità strutturali intercorrenti nel caso che il reo appartenesse ad uno strato sociale elevato con la facoltà di comporre il proprio crimine tramite un opportuno risarcimento alla vittima od ai suoi eredi) o nel caso che il reo, di umile condizione, non fosse in grado di portare avanti alcuna composizione e quindi, in assenza di risarcimento, finisse per diventare vittima senza scampo dei tormenti di Stato (forma di un principio aritmetico della Giustizia che previlegiò sempre quanti godevano di una superiore condizione sociale: questo sistema giuridico, come detto, lo si riscontra a Genova come nella quasi totalità dei Paesi europei, fino all'estremo - anche per longevità - del "caso della Polonia" studiato da C.H.TALBOT, Relation of the State of Polonia and the United Provinces of That Crown, Anno 1598, in Elementa ad fontium editiones, t.XIII, Roma, 1965).

DIRITTO (FORME DI)> oltre al D. civile, penale, misto (di combinazione fra tribunale laico e religioso) ed ecclesiastico (sancito dai "Canoni" e soggetto ad esegesi degli "Interpreti" ed all'applicazione degli Inquisitori> celebre commentatore fu M.BONACINA) bisogna ricordare che nel Dominio di Genova aveva grande importanza il D. Municipale> termine (anche Legge municipale) con cui si davano le norme che regolavano, per fatti di ordinaria amministrazione (e coll'implicita referenza al D. penale o civile dello Stato nei casi gravi), la vita delle comunità: v. "Capitoli Criminali" della "Magnifica Comunità degli Otto Luoghi"(S.Biagio, Sasso, Bordighera, Borghetto S.Nicolò, Camporosso, Vallecrosia, Soldano, Vallebona): DURANTE-POGGI, pp. 327-339 e "Regolamento Campestre per la Comunità degli Otto Luoghi" p.349 a p.353.

DIRITTO (RAPPORTO FRA DIRITTO DELLO STATO E DIRITTO ECCLESIASTICO)> Nonostante la considerazione per Bronislaw Geremek (Crimine, Criminalità, Criminali nell'Europa dell'Ancien Régime, in La Scienza e la Colpa..., Electa, Milano, 1985, pp.19-32: notevole la sua osservazione che il crimine massimo è nel Diritto intermedio l'aggressione alla proprietà come nel caso del furto, e -aggiungiamo - in quello delle adulterazioni di metalli preziosi e monete) non si ravvede nei Paesi latini (da lui piuttosto trascurati a pieno vantaggio di quelli centroeuropei, nordici e di matrice religiosa non cattolica) lo squilibrio a tutto favore della giustizia laica. In Italia e Spagna, ma anche in altri Stati e Paesi mediterranei e cattolici, la forza dell'Inquisizione, dopo i dettami del Concilio di Trento, fu tale da incidere pesantemente su molti procedimenti criminali che facilmente potevano ora essere collegati (effettivamente a differenza che nel passato antecedente alla Controriforma), per i grandi crimini (incesto, sodomia, omicidio, assassinio, parricidio, incendio volontario) alla colpa d'eresia o che addirittura venivano esasperati nella severità proprio in funzione della loro postazione antireligiosa e blasfema (bestemmiatori, eretici ed apostati, libertini, sacrìlegi, streghe e maghi, facitori di pozioni velenifere, violatori di conventi e della vita claustrale, ecc.)> scorrendo gli Statuti Criminali genovesi si individua un rinnovato vigore del diritto ecclesiastico sancito non tanto dai capitoli che intimano collaborazione coll'autorità ecclesiastica ed inquisitoriale (libro II, cap.89) ma da varie, sparse osservazioni sui procedimenti penali di foro misto o comunque di interazione tra foro dello Stato e foro della Chiesa ed ancor più dall'aumentata severità dei capitoli penali relativi alla salvaguardia della morale cattolica e della religione. D'altro caanto se è reale la resistenza dello Stato alle intromissioni ecclesiastiche nella sua giustizia è altrettanto concreto il rinnovato potere della Chiesa di interferire sul diritto penale, magari e purtroppo sino al punto che, per risolvere contrasti di autorità, nessuno riusciva vincitore, sino ad una sorta di paralisi dell'apparato giudiziario come nel caso del Procedimento di stregoneria di Triora di fine '500 ove i confini tra giudici laici ed ecclesiastici paiono a volte minimi e dove, a fronte delle leggi dello Stato, si ebbe sempre cura di salvaguardare le leggi della Chiesa: sin al punto che la Repubblica, per giustificare il suo operato giuridico a fronte di alcune proteste dell'Inquisitore, dovette garantirsi i favori di potenti cardinali del Palazzo dei Papi.

ECCEZIONE > Nel diritto civile e penale dell'Antico regime si considerava E. ogni mezzo di difesa di cui si serviva il convenuto o l'imputato per ottenere il rigetto della domanda dell'attore od il proscioglimento dall'imputazione. Al capo XI del I lib. di questi Statuti genovesi risultano menzionate l' E. dilatoria (per dimostrare che la controparte non può ancora ottenere una sentenza di accoglimento perché non è maturato il tempo per far valere il suo diritto), l'E. declinatoria (valevole a ritogliere al magistrato adito la conoscenza della controversia) e l'E. perentoria (volta a dimostrare la totale infondatezza del diritto fatto valere dalla controparte in giudizio ed a provocare di conseguenza la chiusura di quest' ultimo con una sentenza di rigetto nel merito)>BATTAGLIA, s.v.

ESECUZIONE > (1)"Applicazione, attuazione (di una legge o di un altro provvedimento della pubblica autorità contenente norme generali come decreto, editto, bolla ecc.); il provvedere che la legge sia osservata dai consociati, e in genere che essa produca i suoi effetti sia giuridici che materiali" -(2)" Adempimento degli obblighi nascenti da un negozio giuridico " -(3)"L'attuazione di quanto è disposto da una sentenza" -(4) "Il mettere in atto una pena (generalmente in seguito a condanna ), anche esecuzione di pena, esecuzione penale" -(5) "Dis.-Esecuzione della giustizia> attuazione della giustizia (come legge morale e legge dello Stato)-imporre osservanza coatta di leggi o ordini; dare attuazione a sentenza di condanna (specie alla pena capitale)" = BATTAGLIA,V, s.v.

ESCUSSIONE : "Azione esecutiva intentata dal creditore per ottenere il pagamento da parte del debitore mediante espropriazione dei suoi beni - Beneficio di E.: il diritto che in certi casi compete a un debitore solidale, per cui il creditore non può rivolgersi a lui se non dopo aver inutilmente tentato, anche mediante esecuzione forzata (risultata infruttuosa) di ottenere il pagamento da un altro debitore solidale" = BATTAGLIA, V, s. v. e numeri.

ETA' INTERMEDIA > "Periodo compreso all'incirca fra la caduta dell'Impero romano d'Occidente (fine del V secolo) e la Rivoluzione francese (fine secolo XVIII)"> BATTAGLIA, s.v. intermedio, 4.

FEDECOMMESSO anche FIDECOMMESSO: nel diritto intermedio (cui però era giunto dal diritto romano augusteo e postaugusteo: vedi DIGESTO al LIBRO XXX.0, al LIBRO XXXI.0, al LIBRO XXXII.0) era un istituto giuridico con cui il testatore vincolava i beni ereditari (specie i beni immobili) ai propri discendenti per una o più generazioni, e spesso all'infinito, sì che tali beni diventavano inalienabili e non potevano uscire di famiglia (F. di famiglia, per dare fondamento giuridico al diritto di primogenitura e maggiorascato)> Fedecommissario> persona che ha ricevuto beni ereditari per F. e che, pur essendo proprietario di tali beni, non può alienarli e deve a sua volta trasmetterli ai propri discendenti.

FIDEIUSSIONE Contratto con cui un soggetto (Fideiussore anche Mallevadore) garantisce l'adempimento del debito di un terzo, obbligandosi personalmente con il suo creditore.

FORO > in senso lato il complesso delle persone (giudici, avvocati ed anche cancellieri ed ufficiali giudiziari) che, in una determinata circoscrizione giudiziaria, esercitano o concorrono ad esercitare il potere giurisdizionale. In senso stretto il complesso degli avvocati e dei procuratori legali che esercitano la loro attività davanti ad una determinata autorità giudiziaria (in contrapposizione a Curia)> vedi anche: FORO CIVILE (o SECOLARE); FORO ECCLESIASTICO ; FORO (L'UNO E L'ALTRO FORO) ; FORO MISTO ; FORO (previlegiato o speciale) ; FORO (previlegio del F.) .

FORO CIVILE (o SECOLARE) > il potere giurisdizionale, la competenza giurisdizionale spettante all'autorità civile, in contrapposizione a foro ecclesiastico: vedi la GIUSTIZIA NELLA REPUBBLICA DI GENOVA

FORO ECCLESIASTICO (Tribunale ecclesiastico)> tribunale della Chiesa competente in determinate materie civili (p.es. reati di un ecclesiastico, controversie di diritto matrimoniale o in cui una delle parti fosse un ecclesiastico),e le cui decisioni avevano efficacia anche nell'ordinamento dello Stato.

FORO (L'UNO E L'ALTRO FORO) > cioè quello civile e quello ecclesiastico> espressione analoga a quella latina utrumque jus; vedi DANTE, Paradiso, canto X, verso 103.

FORO MISTO > doppia competenza, in linea di principio, sia del potere giurisdizionale civile che di quello ecclesiastico per determinate materie> in tal campo i contrasti erano frequenti e si tentò un rimedio con esplicazioni, "Indici e prontuari".

FORO previlegiato o speciale, previlegiato o speciale> giudice speciale (perlopiù ecclesiastico) competente a conoscere, in deroga alla competenza dei giudici ordinari, tutte le cause o certe categorie di cause quando esse riguardavano determinate categorie (specie ecclesiastici e religiosi ed anche nobili).

FORO (previlegio del F.) > uno dei previlegi che il diritto canonico dell'età intermedia riconosceva agli ecclesiastici, cioè quello di essere giudicati (nella maggior parte delle materie) dalle autorità giudiziarie ecclesiastiche, anche per questioni civili e penali di natura profana. Il Previlegio del foro indicava analoghe prerogative per determinati ceti sociali, come i nobili, di essere cioè giudicati da magistrati speciali, diversi da quelli ordinariamente competenti.

GARANTISMO ;Concetto estraneo al Diritto dell'età intermedia, tormentata dalle ingerenze dei politici nell'amministrazione della giustizia come inteso dai giuristi genovesi nel vano tentativo di frenare le influenze politiche coll'istituzione dei tribunali della Rota.
Nel Diritto moderno per Garantismo = Carattere proprio delle più evolute costituzioni democratico liberali, consistente nel fatto che esse predispongono congegni giuridici sempre più sicuri ed efficienti (controllo giurisdizionale della legittimità costituzionale delle leggi ordinarie) per la rigorosa osservanza di norme ed ordinamento costituzionale da parte del potere politico (governo e parlamento): BATTAGLIA, s.v.

GIUDICE DEI MALEFICI > Giudice del tribunale penale in Genova vedi Governo di Firenze [in REZASCO 258] " Il Potestà... conosceva tutte le cause criminali, deputava tre de' suoi giudici per vederle, chiamavansi i giudici de' malefizzi".

IMMUNITA' ECCLESIASTICA (vedi anche Asilo)> v. Carcere dell' Inquisizione: forte fu il dibattito tra Stato e Chiesa sull' Asilo a rei in possessi ecclesiastici o luoghi di culto: la Chiesa tutelò il Asilo anche, quando dovette cedere alle richieste del Potere statale, salvaguardando le sue Immunità sia come Asilo sia come Tutela di edifici religiosi, sacerdoti e monaci.

INCANTO [a Genova anche CALLEGA]= s.m. dal latino medievale inquantum, composto da in ("in") e quantum ("quanto") in merito alla domanda in quantum? cioè "a quanto, a quale prezzo (si vende)?"> Stor.Diritto. Nell'età intermedia modo usato dall'autorità di vendere, dopo opportuna "informazione" a pro della cittadinanza, in un "luogo pubblico" ("mercato", "pubblica piazza")" un bene esibito ed offerto da un pubblico banditore" (Precone, dal lat. Praeco -onis = "colui che chiama avanti) per "offerte mai inferiori al prezzo base": brevissimo era "il tempo" che intercorreva tra l'offerta più alta e la considerazione del suo autore quale "compratore": la "consegna" del bene ed il suo "pagamento" erano immediati.
Distintamente invece Pubblico Incanto o Pubblici Incanti, nel diritto civile come nel diritto amministrativo della Repubblica di Genova, erano un'asta pubblica o gara, preceduta da opportuna pubblicità, eseguita secondo modalità indicate da un ufficiale pubblico, un "cancelliere" per esempio, per il cui mezzo l'autorità giudiziaria, preventivamente fissati i diritti di terzi, provvedeva alla vendita di beni Confiscati o Pignorati (PIGNORAMENTO) per debiti, insolvenze o provvedimenti penali.

INQUISIZIONE LAICA E CRIMINALE > v.i cap. vari del I lib. degli "Stat."o "delle Procedure": vedi: Magistrato dell' Inquisitore di Stato per l'evoluzione giurisdizionale dell'ufficio.

INTERDETTO ECCLESIASTICO > Dir. canonico> Fu una delle armi storiche contro l'istituzione laica per la tutela di antichi previlegi ecclesiastici come i diritti di decima, di manomorta e foro ecclesiastico> Sanzione di dir. canonico (con natura di censura o pena medicinale, od anche di pena vendicativa a seconda che sia volta a promuovere il ravvedimento del colpevole od a punirlo) che senza escluderla (come fa la Scomunica) dalla comunione ecclesiale, interdice alla persona o alle persone colpite il godimento di determinati beni spirituali,privandoli di determinati sacramenti e riti e dei diritti che ne derivano; si distingue in I, personale e I. locale, a seconda che esso colpisca direttamente certe persone ovunque vengano a trovarsi o colpisca certi luoghi (ove è proibito a chiunque partecipare o celebrare determinati sacramenti e riti); sia l'uno che l'altro si distinguono poi in I. generale e I. particolare a seconda che riguardi una comunità (parrocchiale, diocesana, statale = I. generale personale) o il territorio di tale comunità (I. generale locale) od una determinata persona (interdetto particolare personale), un particolare luogo sacro (I. particolare locale). Per I. papale si intende quello riservato al Papa (cioé l' I. generale) mentre quello particolare o generale parrocchiale può essere pronuziato o decretato dal vescovo.

ISTITUIRE : "promuovere, instaurare una causa, un procedimento giudiziario, una lite" (BATTAGLIA, s.v., 8).

ISTRUIRE UNA CAUSA OD UN PROCESSO > preparare una causa giudiziaria per la decisione, raccogliendo il materiale probatorio e svolgendo tutte quelle altre attività giudiziarie riguardanti questioni di fatto o di diritto, i cui risultati sono utili al giudice per formulare il suo giudizio> instaurare e promuovere lo svolgimento di un processo.

LEGATO
è una
DISPOSIZIONE TESTAMENTARIA - NORMA DI TESTAMENTI
per cui viene favorita una persona diversa dall'erede con l'attribuzione di uno o più beni particolari [dal lat. legatus part.pass. di legare].
Nell'età intermedia se ne fece un grande uso: basti vedere quelli fatti per DETERMINATE OPERE PUBBLICHE ED ASSISTENZIALI, DI ENTI RELIGIOSI E NON già nel XIII secolo.
Col tempo quello di far LASCITI - LEGATI - TESTAMENTI A FAVORE DI PUBBLICHE INIZIATIVE divenne un vero e proprio abuso che generò confusione, scardinò veri e propri patrimoni, finì per mettere l'una contro l'altra le chiese o i conventi che presero l'abitudine di contenderseli magari per via di qualche cavillo.
APROSIO attento alle varie stranezze dell'umana esistenza, seppur sotto un sorriso più apparente che sostanziale, ebbe la sagacia di proporre la gravità che spesso derivava dalla stravaganza di certi testamenti, lasciti e legati come ben si può leggere nelle sua Grillaia (opera quasi certamente da rivalutare) discorrendo della questione nel
CAPITOLO o GRILLO XXVI
ed ancor più dettagliatamente da
PAGINA 345, PAR. 2
di tale pubblicazione moralistico-polemica ed erudita.
In effetti la Chiesa cercò di ordinare questo arduo campo e la documentazione più rilevante ci proviene dalle voci
******************TESTAMENTO******************
della BIBLIOTHECA CANONICA... del GIURISTA E TEOLOGO FRANCESCANO LUCIO FERRARIS
Tuttavia le decisioni finali e risolutive furono prese molto tempo dopo l'epoca aprosiana, a partire dal
GOVERNO RIVOLUZIONARIO LIGURE
per giungere poi
alla grande
RISTRUTTURAZIONE DELLA CHIESA DURANTE L'IMPERO DI NAPOLEONE.
Su tale questione,
a titolo esemplificativo, si propongono qui basilari testimonianze, estrapolate dalla storia della cittadina di Vallecrosia precisamente quelle del LASCITO - LEGATO DI GIOVANNI APROSIO (sec. XVI) e del seicentesco LASCITO - LEGATO DI MARCO ANTONIO LAMBERTI [occorrerà comunque molto tempo ancora, sino all'instaurazione del Regno unitario italiano per assistere ad un vero riordianmento dell'antico sistema di PUBBLICA ASSISTENZA ED UTILITA' su cui verteva l'antica Repubblica di Genova: un ulteriore esempio fu offerto della PUBBLICA ISTRUZIONE
che quando non compariva ben strutturata su SISTEMI CORPORATIVI DI TIPO ECCLESIASTICO risultava organizzata in funzione di opere caritatevoli e filantropiche, spessissimo non esenti da problematiche anche di ardua soluzione (magari per l'inadempienza, col tempo, di interssati eredi) come nel caso del LEGATO SEICENTESCO DI GIOVANNI APROSIO PER LA PUBBLICA SCUOLA DI VALLECROSIA].


MANOMORTA (Diritto di M.>Abolizione della M.)> Dir.stor. [comp. da mano (dal francese main nel senso di 'possesso, autorità') e morto nel significato di 'rigido' con riferimento ad impossibilità d'alienazione]> BATTAGLIA,s.v.,1> "Ciascuno degli istituti di origine feudale che comportava, a favore degli appartenenti alla classe dominante (signori feudali, nobili, corporazioni, enti e istituzioni ecclesiastiche) diritti perpetui (per gli appartenenti alle classi subalterne, obblighi e oneri) di natura personale (divieto per servi della gleba e vassalli di disporre dei loro beni e la somma da pagare per liberarsi da tale divieto; e il diritto del signore feudale di succedere al vassallo deceduto senza eredi maschi) e soprattutto di natura reale come fedecommessi, maggiorascati, colonie perpetue e simili rapporti agrari. Pure : l'insieme di tali istituti, comportanti vincoli di natura reale e perpetua sulla proprietà immobiliare (tale regime fu razionalizzato e poi eliminato dall' assolutismo illuminato, dalla Rivoluzione Francese e dagli Stati liberali dell' '800, con un complesso di riforme o Abolizione della M.)".

NEGOZIO GIURIDICO > "Atto consistente in una manifestazione (per lo più in una dichiarazione orale o scritta) di volontà rivolta a dare, mediante la costituzione, la modifica dei rapporti o di altre situazioni giuridiche, un determinato assetto a certi rapporti o interessi sociali (specialmente economici) che fanno capo all'autore o agli autori dell'atto stesso" (vedi BATTAGLIA, XI, n.9).

NOTAIO: il notaio (o, nella dizione antica, tuttora usata, notaro) è un libero professionista e contemporaneamente un pubblico ufficiale, figura speciale prevista dall'ordinamento per favorire la registrazione capillare degli atti (in genere di diritto privato) stipulati fra i cittadini, a complemento e strumento, ed in delega generale, della funzione di registro provveduta dallo stato. Nel diritto italiano, infatti, secondo quanto recita l'art. 1 della legge 16 febbraio 1913, n. 89 ("legge notarile"), "I notari sono ufficiali pubblici istituiti per ricevere gli atti tra vivi e di ultima volontà, attribuire loro pubblica fede, conservarne il deposito, rilasciarne le copie, i certificati e gli estratti". L'etimo della parola "notaio" deriva dal latino "notare" ossia "annotare, prender nota". Il notaio è in pratica colui che, per conto dello Stato, non solo ha la funzione di accertare l'identità delle parti e attribuire pubblica fede a quanto stipulato avanti a lui ma altresì di compiere un vero e proprio controllo di legittimità degli atti e curarne tutti i successivi adempimenti, tra cui la corretta registrazione e trascrizione nei pubblici registri. Inoltre, il notaio è delegato anche alla riscossione di certe imposte relative ad alcuni tipi di atti rogati. L'atto pubblico è anche detto rogito ed è propriamente "atto di notaio" in quanto non si tratta di un semplice atto sottoscritto dalle parti dinanzi al notaio, bensì di un atto che è stato redatto dal notaio riducendo nella forma giuridica più appropriata la volontà delle parti; pertanto l'atto si perfeziona solo con la firma del notaio. Peraltro anche nelle scritture private autenticate, il notaio non si limita ad accertare che le parti abbiano sottoscritto in sua presenza, ma effettua il medesimo controllo di legittimità e cura ugualmente tutti gli adempimenti successivi. Antonio Olivieri in una sua brillante recensione on line all'opera di G. Tamba intitolata Notai, Regno d'Italia, in Federico II. Enciclopedia fridericiana ( vol. II, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2005, pp. 396- 401) scrive:" nella sua breve ma densa sintesi sul notariato nel Regno d'Italia nell'età di Federico II Giorgio Tamba ha affrontato alcuni fra i temi di maggior rilievo per la storia notarile del periodo: il sorgere di formulari di nuova concezione e dei primi trattati di ars notarie, limitando il suo discorso all'opera di Ranieri da Perugia; il problema della nomina dei notai, con particolare attenzione per la politica tenuta a riguardo da Federico II; i provvedimenti delle autorità comunali a tutela della correttezza nell'esercizio dell'officium notarie, con un accenno brevissimo alla produzione documentaria comunale, ovunque affidata ai notai, e alla sua crescita esponenziale proprio negli anni di Federico II; il controllo della preparazione dei notai da parte dei comuni cittadini e la scelta conseguente di istituire esami di notariato di fronte a commissioni nominate dai comuni stessi; commissioni che in alcune città risultarono, in tutto o in parte, affidate al controllo delle società dei notai. L'argomento che più ha impegnato Tamba è stato, tuttavia, quello delle procedure mediante le quali venivano nominati i notai e, ancor più, quello delle autorità in grado di procedere a tali nomine; delle autorità pubbliche, quindi, che potevano fare della persona che riceveva la nomina a notaio una publica persona, in grado di redigere publica instrumenta. Sebbene la prassi, come ben dimostrano alcuni dei privilegi di nomina che Ranieri da Perugia comprese nella parte finale del suo Liber formularius, conoscesse soluzioni diverse, appare tuttavia chiaro come la coscienza giuridica del tempo non ponesse dubbi sul fatto che la potestà di nomina dei notai fosse una regalia, ovvero che fosse prerogativa dell'imperatore e dei suoi delegati la capacità di nominare i notai. Al principio dell'età fridericiana era ancora attivo un certo numero di notai nominati dagli imperatori precedenti al momento delle loro discese in Italia; altri erano stati nominati da alti dignitari imperiali; altri ancora da persone che avevano ricevuto la facoltà di nomina dall'imperatore stesso. I più erano stati nominati dai membri delle famiglie dei conti palatini, come quella dei conti palatini di Lomello, per intenderci. Vi erano poi, come Tamba bene ricorda, notai nominati da autorità ecclesiastiche, cui la capacità di nomina era stata concessa dagli imperatori stessi (Tamba cita notai nominati per antica concessione da autorità ecclesiastiche [utile tuttora la BIBLIOTHECA CANONICA, JURIDICA di L. Ferraris: alla voce NOTARIUS si disquisisce, tra altre cose, dei NOTAI DI NOMINA PAPALE E IMPERIALE, dei NOTAI DEL SANT'UFFICIO, dei NOTARI APOSTOLICI E PROTONOTARI APOSTOLICI, delle RESPONSABILITA', DOVERI, COLPE EVENTUALI DEI NOTAI]). Esistevano anche città e magistrature cittadine che si erano viste concesse dagli imperatori, in forme diverse, la potestà di nomina dei notai: tutti ricorderanno Genova, grazie al libro di Giorgio Costamagna, ma alla città ligure va aggiunta Pavia, ai cui consoli il privilegio fu concesso da Enrico VI nel 1191.
Fuori da tali due privilegi, unici per quel che si sa, sembra che già prima della fine del XII secolo alcuni comuni avessero preso a nominare notai. I notai di nomina comunale – fenomeno che si direbbe marginale ancora nel terzo decennio del Duecento, come sembra indicare il caso di Bologna – non ottenevano però una licentia ubique exercendi. La loro facoltà di rogare instrumenti validi era limitata alla città e al suo distretto, come precisa, per esempio, uno degli instrumenti che Ranieri incluse nella parte finale del suo Liber formularius, che documenta l'investitura del podestà di Bologna Guglielmo Rangoni a un certo Leuzo Arduini de officio notarie.
Federico II nominò notai nel Regno d'Italia già prima della incoronazione imperiale del novembre 1220. Riguardo alla concessione dei poteri di nomina dei notai fu assai prudente: confermò concessioni divenute ormai tradizionali (ai conti di Lomello, a Genova, a Pavia, ecc.), ma non ne aggiunse altre.
Effettuata nelle forme dell'investitura feudale, la nomina dei notai risultava da una procedura, adombrata dai privilegi di investitura, nella quale era previsto formalmente l'accertamento della fidelitas e probitas (o della peritia et industria, come si legge in un privilegio di nomina di Ottone IV inserto nel citato Liber formularius) del futuro notaio. Tuttavia, l'ironia di Odofredo sulla preparazione dei giudici di nomina imperiale può bene, per analogia, indurre a nutrire qualche sospetto sull'accuratezza di tali verifiche delle capacità dei candidati. Sarà bene, tuttavia, non generalizzare.
L'acuirsi dello scontro con i comuni della Lega lombarda, pur di là dalle punte massime che videro l'emanazione di provvedimenti estremi, tra cui la privazione inflitta alle città dell'officium tabellionatus, ebbe conseguenze anche nel campo ristretto del notariato. Lo dimostra il rarefarsi delle nomine di notai da parte di Federico II e dei pochi suoi diretti rappresentanti. Esse vennero ristrette alle città alleate o non ostili alla parte imperiale, come Cortona, mentre nelle città antimperiali i notai nominati dell'imperatore o da suoi delegati si ridussero molto. A queste ultime città, come testimonia ancora il caso ben documentato di Bologna, restavano i notai nominati dai conti palatini e quelli che le stesse autorità cittadine provvedevano a nominare.
È ancora il più volte citato Ranieri da Perugia a fornirci un esempio delle soluzioni pratiche, fortemente innovative, adottate dai comuni cittadini per risolvere il problema del reclutamento dei notai: venne tagliato il nodo gordiano della nomina e fu il giudice del podestà a disporre, con una semplice sentenza, l'iscrizione del candidato, che aveva già superato l'esame comunale di notariato, nel libro della matricola dei notai della città. Il notaio così abilitato poteva esercitare nella città e nel suo distretto anche senza procurarsi un tradizionale privilegio di nomina rilasciato dall'imperatore o da suoi delegati.
Di là dagli scontri politici tra l'Impero e le città italiane, pure importanti, la nuova politica notarile dei comuni si rese necessaria per la forte crescita della domanda documentaria. Essa generò un analogo aumento del numero dei notai. Gli agenti e le procedure di produzione e uso della documentazione acquisirono, insomma, nelle società cittadine dell'Italia centro-settentrionale un rilievo complessivo inusitato rispetto al recente passato. Fu allora che le esigenze comunali di controllo sulla professione notarile condussero, come è noto, alla creazione di procedure d'esame degli aspiranti notai gestite dai comuni stessi o dalle società notarili cittadine".

PACE (anche Pacificazione) > i contratti di P. ( Stat. Crim. , lib. II, capo 53 ) erano quelli con grande frequenza stretti, tramite atti notarili, per stabilire la fine delle inimicizie storiche nell'ambito delle diverse e potenti Parentelle , i cui conflitti erano di grave detrimento per la pace sociale.

PACIFICAZIONE (in Diritto intermedio anche Risarcimento e Soddisfazione)> surrogare una pena corporale con un accordo (quasi sempre di tipo economico) tra chi ha offeso e la parte lesa od i suoi eredi: vedi negli Stat.Crim. del 1556 il libro II ("Delle Pene") capi 11 - 18 - 54 - 74.

PRETORE URBANO (o DI CITTA') > massimo magistrato genovese della Curia criminale: la denominazione comporta un riferimento ad ordinamenti amministrativi e giudiziari medievali (la sua azione, per alcuni tipi di reati, doveva procedere in maniera collegiale con quella del Giudice dei Malefici).

PRINCIPALE DEBITORE (anche solo PRINCIPALE) : "debitore a garanzia del cui debito sono state prestate fideiussione, malleveria od altra garanzia personale" (BATTAGLIA, XIV, s.v., 26,3)

PRINCIPALE (DIRITTO) > "Il fondamento funzionale e il termine di riferimento di altri elementi secondari nell'ambito di una situazione complessiva (un bene, un atto o un rapporto in contrapposizione ad un accessorio: bene principale, negozio principale" (BATTAGLIA, XIV, s.v., 26,1).

PROBAZIONE : "Conferma di un'affermazione; argomento a prova o dimostrazione di un assunto" da cui Probatorio> " Proprio della prova (come mezzo ammissibile o usabile per la verità di un fatto), che si riferisce alla prova, da cui Mezzi Probatori"> vedi Tortura = BATTAGLIA, XIV, s. v.

PROCESSO : Procedimento davanti all'autorità giudiziaria (o autorità che esercita funzioni giudiziarie) per decidere una controversia (civile, penale, amministrativa, disciplinare ecc.) con partecipazione (o possibilità legalmente garantita di partecipazione) attiva e dialettica delle parti destinatarie degli effetti giuridici della pronuncia (sentenza) con cui si conclude> negli Statuti si menzionano accanto al P. penale ordinario, il P. formale e quello sommario a seconda che si svolga con l'assenza di tutte le formalità di procedura (in particolare con la pienezza del contradditorio e per giungere ad un accertamento o ad una pronuncia definitiva) o che si svolga in forma semplificata, senza pienezza del contradditorio, deferito a fase ulteriore (il frequnte ricorso a P. sommari causò prevaricazioni dei giudici, poi denunziate dall'illuminismo come espressioni degli scompensi del diritto penale dell'Antico Regime).

PRODURRE : presentare in un processo, a titolo di prova, un documento od altro oggetto depositandolo presso il giudice.

PUBBLICARE : portare a conoscenza di tutti i cittadini per via di specifica procedura legale, l'avvenuta promulgazione o emanazione di un atto normativo (legge, decreto o simili) od altro dell'autorità sovrana> v.BATTAGLIA, s.v, n.4.

PUBBLICAZIONE : Ciascuno dei vari tipi di procedura legale attraverso cui viene ufficialmente reso di pubblico dominio e conoscibile dalla generalità dei cittadini un determinato atto, fatto o situazione; il compimento delle operazioni previste da un tale tipo di procedura (al quale la legge ricollega determinati effetti giuridici)>BATTAGLIA, s.v.n.2.

PUBBLICAZIONE ECCLESIASTICA : Condannare pubblicamente con sentenza ecclesiastica, scomunicare> BATTAGLIA, s.v.,8 bis.

QUERELA (dal lat. querela da queri = lamentarsi da cui Querelante). Dir. pen. Atto giurid. con cui la parte offesa da un delitto che non è per legge perseguibile d'ufficio manifesta la volontà che si proceda penalmente contro il colpevole:> FILANGIERI, p.726: "Colloco nella classe de' delitti privati que' delitti che, senza querela della parte offesa, la parte pubblica non può perseguire come le piccole ingiurie, le vie di fatto leggiere ed altri piccioli delitti".

REGRESSO : vedi BATTAGLIA, XV, s.v., n.18: "Il recupero totale o parziale della somma che un soggetto ha dovuto pagare nell'interesse di altri; il diritto di effettuare tale recupero (Diritto di R. che spetta al garante fideiussore, al datore di ipoteca . avverso il debitore principale per recuperare l'importo del debito che abbia dovuto pagare al creditore o quello che spetta al condebitore che abbia pagato al comune creditore l'importo del debito, per recuperare dai propri condebitori le quote di debito su di essi gravanti)". Azione di R.: per far valere un Diritto di R..

RISARCIMENTO (vedi Diritto intermedio e le voci Pacificazione e Soddisfazione)>evitare ad opera di un reo (ma anche col concorso dei parenti specie nel caso che non desiderino che i suoi beni -a loro destinati per asse ereditario- vengano confiscati e quindi venduti all'incanto) una pena corporale previo accordi colla parte lesa ed i suoi eredi (eventualmente anche lo Stato) ed esborso nei tempi fissati per legge di una somma di RISARCIMENTO ritenuta congrua. Si riscontra Risarcimento negli Statuti Criminali del '56 al "libro I": cap. 9 ed al "libro II": capi 4 - 10 - 17 - 20 - 23 - 26 - 29 - 31 - 35 - 36 - 42 - 45 - 53 - 64 - 65 - 77 - 91 - 97.

RITO ORDINARIO/ RITO STRAORDINARIO > Nel R.o. del diritto intermedio repubblicano di Genova (anche per la Costituzione del 1528) le garanzie di giustizia erano intrecciate a varie ambiguità, formali e sostanziali: pur se in teoria ogni giudice, nonostante la discrezionalità riconosciutagli, avrebbe dovuto attenersi agli ordinamenti.

L'Arbitrio del giudice diveniva però quasi illimitato ogni volta che si PROCEDEVA con RITO SOMMARIO o STRAORDINARIO, RITO adottato quando un imputato, anziché davanti ad un giudice, si doveva presentare innanzi ad un organo di governo od amministrativo attese le qualità del reato.
Lo stesso giudice ordinario poteva comunque appellarsi al RITO STRAORDINARIO, attesi i comandamenti del Principe (FORCHERI, pp. 363 - 364).

ROTA CIVILE > RATTI (s.v. della R. Civile e Criminale) notava nel '700 che pei 2 tribunali abbisognavano "Dottori di Legge di nota probità.. Forestieri senz'aver parentela alcuna co' Cittadini Genovesi....(ed) eletti dai Serenissimi Collegi, e dal Minor Consiglio, ed hanno dal Pubblico un pingue onorario >"la R. Civile composta di tre Soggetti decide le liti e le differenze tra' Cittadini" (Altri giudici, su norme locali, ispirate al diritto di Genova, esercitavano nel Dominio).

ROTA PENALE > La R. P. o R. Criminale, rientrò nelle importanti ma controverse realizzazioni della Costituzione genovese del 1576. Per essa si sanciva separazione ed indipendenza del potere giurisdizionale penale da quello di governo secondo 4 regole:(1) L'amministrazione della giustizia penale spettava al giudice ordinario: R. criminale in ambito cittadino (tre giudici, di cui il Presidente -di durata annuale- era nominato Podestà, con l'assistenza dell'Avvocato Fiscale; Giusdicenti locali nel restante Dominio); (2) Rota e Giusdicenti dovevano giudicare sempre in conformità e rispetto della legge senza ricorrere al Rito sommario o straordinario; (3) Gli organi di governo e amministrazione erano privati di competenza penale e non potevano interferire negli affari dei giudici [l'art. 14 della P.II della Costituzione del 1576 abolì le ingerenze di Stato nell'amministrazione della giustizia, salvo crimini contro la Signoria: questione che però resta di oscura lettura visto l'art.44 della II P.];(4) L'art. 14 della Parte II poi riconosceva fra Senato e giudici solo rapporti amministrativi e limitatamente al diligente oprare di questi ultimi.

ROTALI (Giudici Rotali) > dovevano essere tre "foresti" senza parentele con cittadini genovesi: essi venivano eletti dai Collegi e dal Minor Consiglio sulla base d'una lista di nominativi su cui avevano fatto ricognizione due Governatori eletti a sorte. I Rotali rivestivano cariche triennali e, a rotazione annuale, fra i tre uno ricopriva ufficio di Podestà ed un altro di Fiscale. Avevano essi giurisdizione su Genova e le Tre Podesterie mentre sul restante Dominio giudicavano Podestà e Giusdicenti locali coll'obbligo però di inviare alla Rota tutte le cause che prevedessero la pena di morte (per un approfondimento clicca qui)

-SEQUESTRARE : sottoporre a sequestro cautelativo mobili od immobili, togliendone al possessore la disponibilità.

-SODDISFAZIONE (vedi Diritto intermedio e le voci Pacificazione e Risarcimento): evitare ad opera di un reo una pena corporale tramite accordi con la parte lesa od i suoi eredi (anche lo Stato) versando nei tempi di legge una somma per S. ritenuta congrua. Si riscontra S. nel libro II degli Statuti Criminali del '56 ai capi: 18, 20, 29, 35, 51, 60, 74, 75, 76, 77, 91.

-SUBASTAZIONE > in relaz. a Subastare = "vendere all'incanto" da Subasta sost.femm. non comune ="Vendita all' incanto" deriv. dal lat.(vendere)sub hasta = vendere all'incanto.

SURROGARE > "sostituire"> "sostituire un bene con un altro", qui, non del tutto propriamente, anche "sostituire una pena con un'altra, specie una pena corporale con una forte ammenda".

TESTIMONE/TESTIMONIANZA (TESTE) : si veda il DIGESTO GIUSTINIANEO alla RUBRICA 5 del LIBRO XXII.
Per il genovesato, in merito ai delitti criminali, v. Statuti,I-II, cap.vari ed in particolare LIBRO I,16: v. anche TESTIMONI IN DELITTI ECCLESIASTICI
Per la ricchezza di documentazioni e per approfondire l'argomento (specificatamente all'epoca di Aprosio e Gandolfo) vale però la pena di analizzare dalla BIBLIOTHECA CANONICA, JURIDICA... di Lucio Ferraris le voci TESTIMONE/TESTIMONI - FALSUM - FALSARIUS - MENDACIUM
.
Di importanza quasi assoluta risulta la voce TESTIMONE/TESTIMONI che è distinta in tre articoli per nulla solo relegati a trattare la voce testimonio in ambito del diritto ecclesiastico ma che estendono la loro competenza, come si diceva, all'uno e all'altro foro cioè tanto a quello ecclesiastico che a quello s' da offrire uno spaccato di vita sociale e dati altrimenti irrecuperabili.
L'ARTICOLO I prima del sommario e della trattazione comporta un sottotitolo emblematico "Tutto cio' che riguarda quanti possono o non esser testimoni, sia in senso generale in merito a tutto quanto, sia specificatamente ed in relazione a determinate persone e/o cause".
L'ARTICOLO II, più tecnico ma non meno utile, detta quale sottotitolo = "Si tratta in questo quanto riguarda il numero dei testimoni, i testimoni contesti, i singoli testimoni, i testi in merito alla conoscenza, quelli sulla credulità, i testimoni in merito all'udito e ancora quelli che hanno a che fare con la produzione, il giuramento, l'esame e gli interrogatori".
Chiaro è infine il sottotitolo che enuncia i sontenuti dell' ARTICOLO III = "In rapporto all'eccezione dei testimoni, alla loro ricusazione, alla costrizione ed all'obbligazione degli stessi".
Il tutto sostenuto da uno smisurato apparato bibliografico di cui l'autore elabora specifiche sigle e/o abbreviazioni, poi estesamente esplicate nell'indice dei nomi delle fonti.
Dall'ARTICOLO I si elaborano, dal testo vero e proprio, esplicazioni di rilievo. Per esempio i concetti di testimoni idonei(1-4) e soprattutto di testimoni inidonei(1-4) fra cui sono ascritti i maschi impuberi d'età minore di 14 anni e le bimbe di meno di 12 anni (8) - i pazzi ed i furiosi (9) - i sordomuti dalla nascita (10) con l'eccezione dei sordomuti per incidenti, capaci di scrivere o di farsi intendere per cenni e gesti (11) - i ciechi (12) - i servi o gli schiavi perchè in teoria condizionabili dal padrone (sempre che ad altre informazioni non si possa attingere sì da doversi valere eccezionalmente di loro (14-15) e quindi i testimoni corrotti(16) - gli infami di fatto(18) (anche se possono esser ascoltati in alcuni casi di cause criminali e civili(1-4) e quindi gli infami di diritto (20) che tuttavia possono testimoniare in crimini stabiliti per eccezione come quelli di eresia, lesa maestà e simili (20).
Tutti gli infami poi sono da ascoltare non sussistendo altra fonte od accettandosi la loro testimonianza dalla parte in causa ecc.: nelle cause criminali non possono poi prestar testimonianza i criminali (24) mentre, se han scontato il fio, possono prestar testimonianza nelle cause civili.
Tuttavia i criminali emendatisi(28) si possono sentire qual testi in certe specificate cause criminali come in merito agli infami per infamia di diritto o quando non sussista altro mezzo per far emergere la verità.
Non possono testimoniare gli spergiuri in cause criminali né civili (29 - 30): la loro testimonianza tuttavia vale in cause peculiari come quella di eresia purché resti provato che essi non facciano ciò per superficialità od odio ma per zelo di fede: anche gli scomunicati, equiparati agli infami non possono testimoniare (32) tranne che in procedimenti speciali, per eresia ad esempio, o concorrendo qual testi degli infami.
I poveri e gli uomini di vilissima condizione non sono da accettare qual testi nelle cause criminali sia perchè potrebbero esser corrotti sia perchè la loro umile condizione potrebbe far sollevare varie eccezioni; e parimenti I poveri e gli uomini di vile condizione non debbono testimoniare in occasione di importanti cause civili: cosa invece loro consentita, fatta salva però l'estrema prudenza dei giusdicenti, in occasione di cause civili dallo scarso rilievo. Tuttavia in alcune cause civili trattandosi di poveri ma di limpida e comprovata onestà la loro testimonianza sarà da accettarsi.
Le donne possono esser testimoni sia nelle cause civili che in quelle di diritto canonico(41): e ciò vale anche in merito alle cause matrimoniali: però le donne non possono prestar testimonianza nelle cause feudali fatta però eccezione per le donne di alto lignaggio (44) e magari titolari di un feudo: è però da precisare che le donne non possono testimoniare in cause civili di estrema gravità (45). In merito alle stesse la possibilità di essere o non testimoni è complessa: per esempio non possono esser testimoni in occasione della stesura di testamenti (47) ma al contrario possono esserlo trattandosi di testamenti destinati ad opere pie(48) e v'è poi da dire che siccome le donne sono creature per indole mutevoli ed incostanti [cio' anche in forza di alcune scuole ed interpretazioni mediche] non si debbon accettare, fatte salve alcune eccezioni, a prestare testimonianza in occasione di cause criminali che possano comportare pregiudizio estremo al reo (49): le donne ancora possono fungere da testimoni in alcune cause di diritto canonico ed in occasione di crimini di eresia, lesa maestà, simonia (51 - 53): finalmente esse possono prestar testimonianza anche in cause criminali quando non vi siano altre possibilità di testimoni oppure quando si procede alla difesa di qualcuno od a provarne l'innocenza e più estesamente in tutte quelle cause di diritto canonico in cui tra i testimoni compaino persone dichiarate infami (52-53).
In merito al Diritto civile poi le donne possono esser testimoni, se oneste, in occasione di cause criminali non di estrema gravità quelle cioè in cui può comminarsi la pena di morte: in tali casi, quelli cioè comportanti la possibile sanzione del supplizio estremo, nemmeno tre donne contesti possono valere contro un reo, perchè le femmine per la loro natura son troppo mutabili, fragili ed incostanti.
I fanciulli e gli impuberi non sono da ascoltare qual testimoni (58-59) nè in cause civili nè criminali: tuttavia in alcuni casi li si può ascoltare e precisamente nell'occasione di contrarre matrimonio: gli impuberi prossimi alla pubertà possono però esser sentiti come testimoni in caso dell'uccisione del loro padrone (61) ed ancora in cause di eresia, lesa maestà e simili (62) e pure quando altrimenti non si possano aver testimonianze o tra i testi compaiano degli infami (63 - 64).
Coloro che hanno raggiunto la pubertà ma hanno un'età inferiore ai venti anni non possono esser convocati da testimoni (65) in cause criminali.

VETTOVAGLIE (UFFICIO DELLE) > Ufficio che dal XIV sec. fino al 1564 in caso di carestia e penuria aveva compito di far incetta di grano sul mercato internazionale>COSTANTINI, VI,3.

VISITAZIONE ( dal latino visitatio -onis)> Ricognizione sul luogo del delitto da parte dei magistrati inquirenti: costituiva uno dei punti cardine del diritto intermedio, vedi gli Statuti Genovesi del '56 al libro I, capitolo 4

BARGELLO (dal lat. tardo barigildus - nel Capitolare di Lotario - 825 - dal longobardo e dal francone, nel significato di "capo della polizia")> BATTAGLIA, II, s.v., 1> "Funzionario a capo della polizia...capo di birri" (per estensione, gendarmi e militi della pubblica sicurezza).

CANCELLIERE (dal latino cancellarius = usciere "che stava oltre il cancello che separava la gente dal giudice", poi Secretarius e dal lat.tardo cancellatio -onis = "il chiudere con un cancello")>Cancelliere (e suo deriv. Cancellare)> il funzionario incaricato di redigere gli atti di un' amministrazione e/o di una magistratura; nella giustizia si tratta più precisamente dell'ausiliare di un giudice, con la funzione di registrarne le operazioni, certificare l'autenticità degli atti, tenere i registri degli affari penali e civili, iscrivere le cause a ruolo, rilasciare copie ed estratti di atti giudiziali,far le comunicazioni di legge (negli "Stat. genovesi" a Cancelliere si sovrappone spesso il nome di Notaio dei Malefici).

COLLABORATORE DI GIUSTIZIA per quanto questa figura non vi compaia nè vi si citi quella, oggi parallela, del Pentito, per lo spazio del II libro degli Statuti Criminali genovesi si indicano i vantaggi di chi, catturato, agevoli il compito dei giudici, sin ad essere compensato con denaro e cancellazione del crimine ascrittogli> Stat." lib.II, cap.11 - cap.42 - cap.70 - cap.74 - cap.84.

VIOLENZA CONTADINA > Fenomeno tipico, non solo in Liguria, tra XVI -XVII sec. per il generale e mediterraneo "dramma della fame" che comportò rivolte contadine, contro Genova e il potere dello Stato, più crude fra le genti della "Riviera di Levante" rispetto a quelle del Ponente: A. SPINOLA, Dizionario filosofico, ms. B.VIII, 25-29, s.v. "Fattioni" (v. Banditismo, Fazioni, Magistrato contro Banditi, Parentelle). Per evidenziare con un documento d'epoca questa situazione si possono proporre le riflessioni fatte con un suo scritto al Senato genovese da un giusdicente di Chiavari (in "Arch. di Stato di Genova", Senato, Lettere al Senato, f.1010, datato 20/XI/1511) in merito ad una condanna a morte da lui comminata in relazione ad un delitto particolarmente crudele. Dopo aver premesso che le genti del Levante ligure, quasi a sostenere un'antica considerazione del poeta latino Virgilio, andavano dando prove ripetute di crudeltà e falsità, egli fece cenno al grave fatto di violenza contadina che aveva giudicato con un certo raccapriccio: "Ho processato doi fratelli di parentella di Fontanabona li quali al tre di ottobre di notte antigiorno amazzorno un loro cugino carnale de XVII o XVIII anni per VII leze di feno...Conosco che questo assassinamento traditore fra in el suo sangue...meriterebbe acerba et aspra morte, ma per salvamento delle anime e per non dare spesa a questa terra, ho promesso de farli impiccare" (è difficile dire a quale alternativa, terribile esecuzione capitale lo "schifato" giudice avesse pensato visto che, come si intuisce dagli "Statuti Criminali del '56, libro II, capo 20", le pene ufficiali di morte, al 1511, dovevano essere tre, le due storiche, all'impiccagione e alla decapitazione, e la "nuova per eretici" al rogo, mediamente dopo impiccagione: avrà forse pensato a quest'ultima, ma "da vivi" come intendevano gli assertori più intransigenti della temutissima condanna al rogo? vedi anche Rapimento per riscatto, Vendetta privata, Violenza locale).

VIOLENZA LOCALE > Difesa individuale dei diritti, sancita negli Statuti Criminali, per assenza o deficienza del sistema giudiziario: nel XVI - XVII secolo si prese tuttavia ad abusare di questa eccezionale concessione (COSTANTINI, p.190). Nelle controversie per le più disparate ragioni (controllo delle "terre comuni", "riparto delle imposte", "controllo degli uffici" ed altro ancora) per rurro il '500, e ben oltre, continuò a funzionare il sistema delle parentelle che si esprimeva nel meccanismo delle fazioni le quali finivano per diventare espressione di potere per alcuni e falsa ragione di speranze per i più. Appunto le fazioni stavano in un rapporto quasi osmotico col banditismo di cui si valevano per scontri di potere, specie nelle campagne, ormai superati dalla realtà storica: anche per questo gli Statuti Criminali (i quali per altro verso usavano a propri fini anche di una certa violenza locale) comminavano (e continueranno a comminare nelle successive "Riforme periodiche") pesanti sanzioni avverso il banditismo (libro II capi 28, 29, 71. 72, 73, 74, 81). Ma ciò dovette serviere sempre poco se Andrea Spinola, nel luogo prima citato della sua opera, ancora nel Seicento scrisse: "Non è cosa che nel nostro Paese mantenga più la peste de' banditi di quel che fanno le fattioni. Imperoché i partigiani (delle diverse fazioni) danno lor denari, portan loro provvigione da vivere, li avisano delle diligenze che la giustizia fa contro di loro e li tengono nascosti nelle case, nelle cassine et in altre nascondaglie"> in termini solo più letterari, ma a distanza di anni, ciò che vanamente avevano tentato di combattere gli Statuti Criminali del '56. E d'altronde è singolare come a distanza di 50 anni dalla "Riforma doriana del 1528" (che aveva risolto storiche contrapposizioni faziose ) e neppure a venti anni dalle "Leggi Criminali del '56" nelle campagne o comunque fuori città le violenze delle fazioni interagissero col banditismo al punto che la val Polcevera e "la villa di Sestri Ponente", ed anche tutta la valle del Bisagno sino a Chiavari, per ragioni diverse, ma sempre connesse a rivalità faziose coniugate col banditismo, fossero praticamente avulse dal contesto del Dominio ed occupate, tra il '56 ed il '57, da bande armate di centinaia di ribelli che scorrazzavano a fronte di una tangibile incapacità d'intervento statale (v. Banditismo, Rapimenti per riscatto, Vendetta privata, Violenza contadina).

FAZIONE > Risultanza del sistema delle Parentelle, la Fazione era potenza per alcuni e speranza per altri>SPINOLA sui "capifazione" in Dizionario Filosofico (B.U.G., ms.B.VIII. 25-29,s.v."Fattioni") scrisse: "Ho conosciuto alcuni i quali professando di dar moto in questa bassezza e miseria di fattione, io non dirò amici fra loro, perché l'amicizia non è se non fra buoni, ma molto domestici, ridendosi della semplicità e balordaggine de lor partiggiani, attendevano d'aiutarsi l'un l'altro in tener ingannati quei meschini, et a spolparli di capretti, di ricotta e di formaggio, giocandone alla palla sotto manto di favorirli" ed aggiunse "...non è cosa che nel nostro Paese mantenga più la peste de' banditi di quel che fanno le fattioni. Imperoché i partigiani danno lor denari, portan lor provvigioni da vivere, li avisano delle diligenze che la giustizia fa contro di loro e li tengono nascosti nelle case, nelle cassine et in altre nascondaglie">Stat. Crimin.: Ribelli,lib.II,cap.71,74,81.

PARENTELLA (anche Banditismo)> Consorterie di famiglie con stesso cognome e che si riconoscono discendenti da un nucleo originariamente investito> COSTANTINI, p. 534.: le Parentelle erano protagoniste, in senso non solo giuridico, delle controversie per uso o possesso di terre comuni, riparto di imposte, controllo di uffici e servitù. Esse si traducevano in svariati campi di vita sociale in strutture di solidarietà verticale dette Fazioni> BECCARIA, XXVI, Dello spirito di famiglia > vi si legge un' allusione ai difetti di molte Repubbliche dell'età intermedia, di cui Genova fu esempio, intese come associazioni di famiglie più che di uomini, con la prevalenza, su quelli di Stato ed individuo, degli interessi di quelle piccole monarchie che erano le famiglie.

Col termine di IUS PRIMAE NOCTIS si intende un privilegio molto discusso ritenuto, da una certa letteratura più polemistica che giuridica, proprio del diritto feudale e peculiare della così detta SIGNORIA BANNALE.
Su ciò un linguista di varia erudizione come il Panzini ha scritto: "Ius primae noctis o jus cunnatici: 'diritto della prima notte': leggendario diritto feudale di saggiare ciò che uno dei dieci comandamenti non concede né pur di desiderare. Usasi la locuzione in vario senso, spesso faceto. Se l'uso ('droit de cuissage' da 'cuisse'. coscia) è con ogni probabilità leggendario, è ben sicura l'esistenza di tasse che i vassalli dovevano pagare al signore per ottenere il permesso di prender moglie (questa tassa si diceva 'maritagium').
Su questa parte finale del discorso del Panzini non è palesemente in accordo un documentato studioso dell'argomento come Guido Astuti che alla voce IUS PRIMAE NOCTIS del GDE - Grande Dizionario Enciclopedico, UTET, Torino, vol. XI, p.375, col.I, sotto voce ha scritto: "Con questa espressione suole comunemente indicarsi un preteso diritto dei signori feudali di cogliere le primizie degli sposi dei propri vassalli o dipendenti nella notte nuziale. Dell'esistenza di un siffatto diritto o abuso feudale, ammessa già senza alcun vaglio critico dagli enciclopedisti del sec. XVIII, si è molto discusso fra gli storici moderni: ma di un Ius primae noctis non ricorre traccia nelle consuetudini feudali del Medioevo, che pur offrono una precisa disciplina dei rapporti fra signore e vassallo, elencando tutti i diritti e gli obblighi corrispettivi; e appare egualmente erronea la pretesa di spiegare come residui, o come forme di riscatto, di un antico Ius le prestazioni di vario carattere, in denaro o in natura, a cui i vassalli o i dipendenti non feudali erano tenuti in occasione delle loro nozze, vere e proprie tasse per la la licenza di contrarre matrimonio, specie con persona dipendente da altro signore (maritagium, forsi maritagium). Non mancano per vero testimonianze sopra pretese e abusi di questo genere esercitate in vari tempi e luoghi da feudatari e signorotti sopra le plebi rurali dipendenti, ridotte a condizioni di servaggio e prive di tutela giuridica; ma l'argomento, che ha tanti riflessi nel campo delle leggende e tradizioni popolari, e ha offerto lo spunto a una ricca letteratura romantica e boccaccesca, esorbita dal campo della storia giuridica, e la 'dotta superstizione' degli illuministi, così facili a costruire e combattere gli abusi feudali di un Medioevo di fantasia, si fonda probabilmente solo su favole fiorite verso la fine del sec.XV e il principio del XVI".




LEGATUM = "donativo fatto nel TESTAMENTO, detto così perché veniva concepito nella forma come un ORDINE del TESTATORE agli EREDI (onde dicesi legare, per ordinare, e sopratutto poi nei testamenti per disporre), mentre il FIDEI COMMISSUM si esprimeva solo in FORMA DI PREGHIERA: ed appunto col termine fidei commissum si indicava la preghiera, dal testatore volta agli eredi nel testamento, di consegnare una parte dell'eredità a certe persone, che conforme al severo diritto non avrebbero poruto ereditar nulla o assai poco, come i peregrini, le donne ecc.
Fino ad Augusto il FIDEI COMMISSUM dipendeva assolutamente dalla fides e dalla pietas dell'erede l'adempire questa preghiera; ma da Augusto in poi i fidei commissa vennero dalla legge riconosciuti, ed infine tenuti affatto uguali ai legati [si veda in merito il
DIGESTO GIUSTINIANEO: LIBRO XXX.0 - LIBRO XXXI.0 - LIBRO XXXII.0].
Anche per la stesura testamentaria di un LEGATUM il testatore doveva comunque valersi della lingua latina e di formule solenni: e se un erede doveva ottenere qualche parte dell'eredità di preferenza a' suoi coeredi, dicevasi questo legatum per praeceptionem (praecipium; Plin. Ep. 5,7).
Il numero dei LEGATI era in origine illimitato; ma poiché le eredità dai troppi LEGATI si trovavano sovraccariche e talora affatto rovinate, furono dallo Stato prescritte certe limitazioni, e da prima con la Lex Furia del 183 a.C., onde un LEGATO non poteva oltrepassare la somma di 1000 assi.
La Lex Voconia del 169 a. C. stabilì che nessun LEGATARIO potesse ottenere una parte maggiore di quella dell'EREDE o degli EREDI presi insieme (Cic. Verr., I, 41 seg.).
Finalmente la Lex Falcidia del 40 a. C. ordinò che il "LEGATO NON POTESSE SUPERARE I TRE QUARTI DELL'EREDITA'": questa legge regolò per secoli il diritto civile romano in tale delicata materia e non a caso la si ritrova citata con solennità nel DIGESTO GIUSTINIANEO precisamente nel LIBRO XXXV, II e III [prescindendo dalle aggiunte inserite entro parentesi quadra e da una certa correzione grafica per evidenziare informaticamente le parole chiave il testo è tratto dal Lessico ragionato dell'antichità classica di Federico Lubker, pagine 490-491 e 669-670].










Devoluzione dei beni della persona giuridica: assegnazione secondo l'atto costitutivo o lo statuto dei beni della società liquidata.
Devoluzione del fondo enfiteutico :restituzione del fondo al concedente qualora l'enfiteuta deteriori il fondo, non lo migliori o sia in mora nel pagamento del canone.
Devoluzione ereditaria: passaggio del diritto ereditario per rifiuto del primo chiamato all'eredità.
Diritto di devoluzione: diritto del proprietario di un fondo enfiteutico di far cessare l'enfiteusi e di riottenere il dominio utile.
Enfiteusi: dal lat. tardo emphyteusi(m), dal gr. emphuteusis, der. di emphuteuo "io impianto, io innesto"] diritto di godere per almeno vent'anni di un fondo altrui, con l'obbligo di apportarvi migliorie e di pagare un canone periodico.
[Enfiteuta: chi gode del diritto di enfiteusi]
Canone enfiteutico: corrispettivo annuo dovuto all'enfiteuta per il godimento del fondo.
Affrancazione da enfiteusi: l'acquisto della proprietà del fondo da parte dell'enfiteuta con il pagamento della somma che corrisponde alla capitalizzazione del canone.
Enfiteusi pazionata: nel Medioevo, enfiteusi concessa solo per tre generazioni.
Ricognizione dell'enfiteusi: nei contratti agrari, accertamento del diritto di chi concede un fondo, effettuato su sua richiesta da chi ne ha il possesso prima della scadenza del contratto di concessione ventennale, per evitare l'usucapione del fondo da parte del nuovo possessore.
Enfiteusi medievale: in essa si distinguevano due tipi di dominio sul fondo.
L'enfiteuta aveva la proprietà dei miglioramenti da lui apportati al fondo, un dominio cioè sull'utile, conservando chi concedeva l'enfiteusi (o "concedente") il diritto di proprietà, detto diretto.
Il dominio sull'utile si trasmetteva agli eredi ed era alienabile a terzi; il concedente però aveva il diritto di prelazione in occasione di vendita e poteva consolidare l'utile col suo diretto, quindi riavere il fondo libero dall'enfiteusi allorché per un biennio non fosse avvenuto il pagamento del canone enfiteutico da parte dell'enfiteuta od in occasione ancora che fosse sopravvenuta l'estinzione di linee, ovvero di eredi discendenti legittimi dell'enfiteuta oppure anche nell'occasione del verificarsi di specifiche clausole dichiarate nel contratto.
In epoca medievale contratto più comune di concessione dell'usufrutto di un fondo era il livello che si dava a tempo od in perpetuo previo corrispettivo di un censo (canone) e l'obbligo di miglioramento del fondo.
Il contratto di livello si distingueva dall'
enfiteusi in quanto il livellario poteva sì trasmettere agli eredi legittimi il suo suo diritto ma non poteva alienarlo a terzi a meno che che ciò non fosse stato previsto nel contratto sottoscritto.
In questo contratto di livello non si aveva per il proprietario diritto di prelazione o di consolidazione.
Inoltre si poteva avere la concessione a censo che comportava solo il pagamento di un tenuissimo censo, mirante alla ricognizione del diritto di proprietà piuttosto che ad un qualche vantaggio economico.
Esso aveva tratto le sue origini dalla consuetudine di proprietari che, per sfuggire alle minacce di qualche estraneo, rinunziavano al diritto di proprietà a vantaggio di qualche signore laico o più di frequente ecclesiastico, custodendone tuttavia il godimento tramite la concessione in feudo od a livello od ancora a censo.
Il contratto a censo aveva dei punti di contatto con il contratto a livello: per esempio anche il censuale aveva la possibilità di trasmettere il fondo soltanto ai discendenti legittimi e non di alienarlo a pro di terzi.
Col tempo però gli istituti del livello e del censo andarono verso una massiccia trasformazione per consuetudine.
In un primo momento si pensò che tanto il livellario che il censuale possedessero un dominio dell'utile e lungo questa via entrambi finirono per configurarsi sulla tipologia dell'enfiteusi con la facoltà di consolidazione ad opera del proprietario.
Col passar del tempo si pensò che livellario e censuale godessero anche di un dominio sul diretto di maniera che la natura del negozio veniva trasmutata rispetto a quella originaria.
Il censuale finiva così per esser reputato come il proprietario di un fondo gravato di onere reale ed il livellario qualche cosa di assimilabile.
Di regola comunque il livellario giunse ad acquisire la possibilità di riscatto del fondo, libero da oneri di livello, specie nella circostanza in cui il concedente fosse un ecclesiastico.

-EREDITA' - ASSE EREDITARIO - TESTAMENTI - TESTAMENTO: VEDI LIBRO V DEL DIG. GIUSTINIANEO
-EREDITA' - TESTAMENTO NEL DIRITTO ROMANO = TITOLO: DE CONDICIONIBUS ET DEMONSTRATIONIBUS ET CAUSIS ET MODIS EORUM, QUAE IN TESTAMENTO SCRIBUNTUR (VEDI DIG., XXXV.1.0.R.)
-EREDI PRIMI - EREDI SECONDI NEI TESTAMENTI: VEDI QUI LIBRO XXVIII DEL DIG. GIUSTINIANEO
-EREDI IN TESTAMENTO REDATTO DA UN SOLDATO DI QUALSIASI CORPO DELLE ARMATE ROMANE IMPERIALI: VEDI LIBRO XXIX.1.0.R.(TITOLO: DE TESTAMENTO MILITIS) NEL DIG. GIUSTINIANEO
-EREDI IN TESTAMENTO = CAUTELE DI STESURA (I CODICILLI): VEDI LIBRO XXIX NEL DIG. GIUSTINIANEO