CREDITI 1

ALLACCI LEONE: Figlio di Nicola nacque a Chio (Grecia) nel 1586 e si trasferì giovanissimo a Roma ove studiò nel Collegio di S. Anastasio per discepoli greci cattolici: conseguì quindi i titoli di doctor e magister sia in filosofia che in teologia.
Rimpatriò per un breve periodo ma subito tornò in Italia per laurearsi nel 1616. Si impiegò quindi come SCRITTORE DI GRECO alla BIBLIOTECA VATICANA.
Ricevette quindi l'incarico di trasferire in questa BIBLIOTECA la BIBLIOTECA PALATINA DI HEIDELBERG che Massimiliano I duca di baviera aveva donato alla Santa Sede.
Successivamente svolse il ruolo di BIBLIOTECARIO per Francesco Barberini e finalmente successe a Luca Holstenio nella prestigiosa carica di Bibliotecario della VATICANA.
Coltissimo e dal talento multiforme intrattenne fruttuosi contatti con eruditi del calibro di Antonio Magliabechi ed Angelico Aprosio o con politici quali il Cardinale Mazzarino e Colbert.
Pubblicò oltre 60 opere a stampa e moltissime ne lasciò manoscritte: si occupò di teologia come si vede da questo volume della Biblioteca Durante di Ventimiglia, scrisse di antichità classica, di bizantinistica, patristica e architettura sacra: nel campo delle sue numerose opere di italianistica si ricorda la celebre Drammaturgia divisa in sette indici (Roma, per il Mascardi, 1666) bibliografia delle opere italiane edite e non dal 1654 al 1666 successivamente ristampata con le aggiunte di G. Cendoni, Apostolo Zeno ed altri ancora (Venezia, per il Pasquali, 1755).


Le Antichità di Ventimiglia> in linea ufficiale perduta è estremamente probabile che l’operetta sia invece fluita parte nello Scudo di Rinaldo II (cap.XI dall’incipit “Mentre un giorno tutto ansioso” , dedicato al patrizio siciliano Giovanni Ventimiglia, del casato dei conti di Gerace ed Isola Maggiore e poi Ventimiglia di Sicilia, supposto discendente del ramo siciliano dei dispersi conti di Ventimiglia, corrispondente di Aprosio e storico di Ventimiglia di Liguria> B.DURANTE-M.DE APOLLONIA, Albintimilium antico municipio romano, Gribaudo, Cavallermaggiore, 1988, Sez.II, cap.I e note) e parte nella Biblioteca Aprosiana edita da p.29 a p.68, con inserimenti documentari in ulteriori parti del lavoro: del resto, confrontando bene la descrizione aprosiana col Discorso dell’antichità di Ventimiglia di Girolamo Lanteri, si ha l’impressione di un confronto storiografico tra i due eruditi ventimigliesi e l’idea di un riflesso di vecchie discussioni sulla topografia di Ventimiglia Romana: che per Aprosio, a ragione, era stata in Nervia di Ventimiglia (al suo tempo ancora da disseppellire con scavi organici) mentre per Lanteri era sul Cavo di Ventimiglia alta o medievale, in verità sede d’un insediamento romano suburbano volutosi in città in epoca tarda e di totale decadenza.


ANTIFEMMINISMO> da “femminismo” ed “anti” nel senso di tutto ciò che è contro il movimento internazionale che rivendica alle DONNE il diritto di parità nei confronti degli uomini in campo economico, giuridico, politico ed uguali diritti civili, di voto e di eleggibilità [vedi comunque qui i casi specifici delle DONNE INTELLETTUALI E/O LIBERTINE e della DONNA LIGURE (E DI GENOVA)].
In senso stretto il termine (dalla forte valenza ideologica moderna e contemporanea) sarebbe improprio applicato al passato, al cui riguardo sarebbe più competente parlare di misoginia: ma attualmente, anche in letteratura oltre che in politica militante, antifemminismo ha finito per essere usato, data anche la sua lampante chiarezza, in sostituzione dell’altro termine che è un grecismo dalla grafia non sempre chiara: Così in tutta la discussione del presente “Quaderno” antifemminismo e misoginia son da ritenere sinonimi: di maniera che misogino ed antifemminista era l’erudito ventimigliese del ‘600 Angelico Aprosio nelle sue opere moralistiche, in vero più nello Scudo di Rinaldo o nella Maschera Scoperta che nella Grillaia. Nel ‘600 l’antifemminismo si espresse principalmente in atteggiamenti polemici contro il lusso femminile: critiche alla moda, allo spreco economico, alla donna vanitosa. Un pilastro di siffatta postazione può esser ritenuta (senza che fosse nelle intenzioni dell’autore) la Satira Menippea di Francesco Buoninsegni (primi del 600-?: vedi MAZZUCCHELLI, Scrittori d’Italia, II, parte IV, p.2399) che dapprima studiò filosofia a Roma, divenendo poi membro delle Accademie degli Umoristi e degli Incogniti e quindi fu segretario del Principe Leopoldo di Toscana e poi del fratello Mattias, lasciando -oltre alla citata “Satira contro il lusso donnesco”- varie poesie d’amore, una celebrazione del suo casato e un Trionfo delle Stimmate di S.Caterina da Siena (Siena, 1640). La sua Satira svolgeva un tema di vecchia tradizione destinata ad avere in realtà maggior risonanza nelle opere di Benedetto Manzini, Lodovico Adimari e Dario Varotari. Il Buoninsegni in effetti non suscitava, nei suoi interlocutori e neppure nel contenuto della sua “Satira”, l’idea che alla radice delle sue considerazioni satiriche sussistesse davvero quella potente tradizione predicatoria antidonnesca che aveva costituito dal ‘200 il troncone su cui si sarebbe innestata tutta una tradizione culturale di misoginia e antifemminismo: in effetti lui stesso aveva mirato a prender posizione distante da ogni forma d’eccesso limitandosi ad alimentare una sorta di gioco in burla delle donne. Però il caso volle che la sua opera si spostasse al centro d’un dibattito non privo di toni aspri: e tutto accadde dopo che spedì ad Aprosio in Treviso la sua operetta. Al frate questa non dispiacque e la mandò al Loredano in forma di copia perché si stampasse come Satira Menippea contr’l Lusso donnesco: il lavoro fu quindi editato presso il tipografo veneziano Sarzina assieme ad una “scrittura modestissima” di Giovan Battista Torretti (vedi: Biblioteca Aprosiana edita, pp. 167-168> il Torretti fu Accademico Incognito, lettore di Teologia a Fuligo e S.Miniato e “lesse la morale” in Roma) intitolata la Controsatira: si era nel 1638. Inaspettatamente da Venezia nel 1644 la suora Arcangela Tarabotti rispose al Buoninsegni, travalicando la debole portata delle sue considerazioni e sviluppando piuttosto un argomento alternativo, molto pungente, sostanzialmente ruotante entro la più vasta problematica epocale del conflitto “storico” tra uomo e donna. La competenza della Tarabotti si rivelò più che bastante a fronte della fragilità dell’operetta del Buoninsegni ma in un primo momento, anche in funzione di precedenti contatti, l’Aprosio (Francesco Buoninsegni assunse presto una funzione di II piano nella questione!) mantenne con la donna contatti epistolari di notevole cortesia: il frate meditò tuttavia di rispondere all’Antisatira con uno scritto più adeguato, all’altezza di certe acutezze della Tarabotti, cui, facendosi paladino del Buoninsegni (che, sotto sotto, finiva per sembrare la parte debole in causa!), in qualche modo finiva per riconoscere, almeno in questo caso, la superiorità di una donna, diventata colta col sudore di mille fatiche intellettuali al chiuso d’un convento, a fronte d’un erudito d’una certa fama come pur sempre era ritenuto F.Buoninsegni. Aprosio redasse così, dedicandola al bolognese Andrea Barbazza/-i, la Maschera Scoperta di Filofilo Misoponero in Risposta all’Antisatira di D[onna] A[rcangela] T[arabotti] scritta contro la Satira Menippea del signor Francesco Buoninsegni. Secondo Aprosio la Tarabotti, grazie alle sue importanti conoscenze ed a vari sotterfugi, sarebbe poi riuscita a vanificare la pubblicazione dell’opera scritta contro di lei ed il suo sesso: sulla base di questo fallimento maturò egli, contro le donne e la Tarabotti in particolare, un’avversione cocente che si stemperò col tempo anche se nel 1646 fece fluire parte delle sue considerazioni antidonnesche entro lo Scudo di Rinaldo I e se, ancora negli anni ’70 del secolo, s’adoprò, senza esito però, affinché l’opera, per cura del Cinelli Calvoli e sotto il patrocinio di Antonio Magliabechi, la Maschera Scoperta venisse ristampata seppur in forma lievemente modificata e con un nuovo dedicatario, il suo mecenate genovese Gio.Nicolò Cavana [opera poi decifrata da Emilia Biga> l’avversione aprosiana contro le donne, in verità più formale e iridescente che sostanziale, si stemperò verso gli ultimi anni di vita dell’Aprosio, grazie anche all’incontro con la colta letterata Camilla Bertelli Martini vedi B.DURANTE, Ventimiglia nel ‘600: “Madre dei saggi” III (nella Biblioteca Aprosiana: gli inizi di un dibattito internazionale su femminismo e antifemminismo) in “Riviera dei Fiori”, n.1(1992), pp.39-48].


BARBAZZA, ANDREA> nato a Bologna nel 1582, morto nel 1656, amico e corrispondente di Aprosio. Nel 1607 fu eletto tra gli Anziani della città di Bologna, poi nel 1611 entrò a servizio del cardinale Ferdinando Gonzaga a Mantova. Nel 1646 fu quindi eletto Senatore a Bologna e poi nel 1651 ricoprì la carica di Gonfaloniere della stessa città. Come letterato raggiunse discreto prestigio componendo la favola tragicomica l’Amorosa Costanza (Bologna, 1646) e per una serie di opere sceniche per musica andate purtroppo perdute. La sua fama, specie nella I metà del XVII se., fu legata alle Strigliate a Tomaso Stigliani [Spira (Napoli?), 1629] stampato sotto lo pseudonimo di Roberto Pogomega e, forse ancor più, al fatto d’aver fatto scarcerare G.B.Marino, episodio che gli valse un’incondizionata stima da parte dell’Aprosio.


Il Batto> Ms. E.II.38: dopo il titolo, al fronte, nell’incipitario, sotto “Capitolo I”, si legge: “Le parole dette da me nel capitolo ventiduesimo del nostro Occhiale che sono le seguenti;
La quinta conditione della sentenza, che è la novità, si è quando il concetto non è involato di fuori, ma nasce dalle stesse viscere della cosa. Puossi questa violare per ladroneccio, e così fà perpetuamente l’Adone, carpendo i concetti da questi scrittori, ma più spesso dalle mie Rime, e dal Mondo Nuovo, come pur si vedrà nella seconda censura ove apparisse che se gli altri sono stati rubati, io sono (per così dire) stato assassinato ancorché siano state ribattute nella mia Sferza Poetica, nel mio Veratro, m’hanno nientedimeno forgiata occasione di compilare la presente operetta...”>
Aprosio, che scrive sempre sotto pseudonimo, intende tornare sulla polemica Marino-Stigliani riprendendo temi della Sferza Poetica e soprattutto del Veratro I e del Veratro II ma non conclude né edita l’opera sia perché la questione letteraria è ormai superata sia perché, comunque, finirebbe per far stampare un doppione ridotto del Veratro cui Il Batto assomiglia in particolare per l’andamento espositivo e i meccanismi difensivi dell’Adone (come nel Veratro anche nel brano riportato del Batto l’opposizione dello Stigliani non è solo citata ma ritrascritta: la sottolinatura è dell’Aprosio e, secondo le convenzioni tipografiche del suo tempo poi non assolutamente dissimili dalle attuali, tale espediente d’evidenziazione del testo manoscritto serviva per avvertire il tipografo di variare carattere, passando dal tondo al corsivo: è un’ulteriore testimonianza che, in prima istanza, Aprosio non aveva mai dubitato di poter pubblicare questa opera abbastanza tarda sulla polemica letteraria di marinismo ortodosso e marinismo moderato e che andava comunque preparando il suo manoscritto con tutti i segni diacritici e gli avvertimenti neccessari per un procedimento di stampa.


Le Bellezze della Belisa> è il commento celebrativo d’Aprosio accorpato nella stampa alla citata tragedia dell’erudito napoletano Antonio Muscettola: a questo è dedicato l’interessante capitolo XVI dello Scudo di Rinaldo II intitolato “Delle Veglie, e de’ Balli” ora editato e commentato in “Quaderno dell’Aprosiana - numero 1(1993), N.S”, numero unico” in B.DURANTE, Angelico Aprosio il “Ventimiglia”: le “carte parlanti d’erudite librarie” pp.78-82. E’ interessante notare che nella Biblioteca di Ventimiglia nella pagina finale bianca di un altro libro donato ad Angelico dal Muscettola (“Prose di D.A.M. dedicate all’Em. e Rev. Sign. Carlo Decio Azzolini, in Piacenza, per il Bazachi, 1665" dove forse non a caso da p. 186 si legge un “Discorso degli eccessi della vera amicizia” dedicato all’Aprosio) mano della seconda metà del XVII sec. abbia disegnato il progetto di uno stemma od icona della Biblioteca Aprosiana: argomento discusso in “Quaderno dell’Aprosiana - numero 2 (1994), N.S., Miscellanea di Studi” in B.DURANTE, Il ritratto aprosiano di Carlo Ridolfi conservato nella Biblioteca intemelia (note in calce all’evoluzione della “Libraria” ed alle sue valenze iconografiche), contributo cui si rimanda per ulteriori approfondimenti.


Biblioteca Aprosiana edita [volume peraltro arricchito da una suggestiva Antiporta]> è una colossale rassegna dei sostenitori (Fautori) dell’Aprosiana (disposti in ordine alfabetico, seguendo però la disposizione dei nomi e non come oggi s’usa dei cognomi) con relativo elenco dei libri da questi donati: per ogni donatore (che spesso era anche autore o comunque erudito militante: in chiave forse previsionale o statistica, magari per agevolare questo possibile lavoro, Aprosio aveva disposto nella sua biblioteca una “Philoteca”, un volume nel quale i visitatori scrivessero quelle annotazioni di encomio che poi egli stesso riprodusse in quest’opera parlando degli stessi, specie se illustri o donatori di libri) vengono altresì inserite utili note biografiche e bibliografiche> in sostanza si tratta di un commentatissimo elenco dei libri ingressati da Aprosio nella sua biblioteca. L’autore risulta “Cornelio Aspasio Antivigilmi”, un giovane amico e collaboratore dell’Aprosio, ormai vecchio e stanco, che ne narra l’immane impresa biblioteconomica e le tante avventure letterarie. In effetti l’autore è Aprosio stesso che usa questo ennesimo pseudonimo (che è anagramma puro del suo nome legale con indicazione della città di nascita) che, temendo di trascurare qualche “Fautore” sì da suscitarne il dispiacere, o comunque d’esprimere qualche giudizio a rischio o perlomeno “sopra le righe” (magari trascinato dalla mole stessa della lavoro e da una revisione molto faticosa) tanto da alimentare qualche inutile polemica o qualche imprevista rimostranza. Da p.74 a p.261 dell’opera è collocata la biografia aprosiana corredata da una miriade di utili notizie sui fermenti letterari, italiani e non, del XVII sec. [con svariati riferimenti di archeoletteratura e bibliografia che permettono di studiare altri fondi librari oltre, naturalmente, quello dell’Aprosiana sulla cui evoluzione, sviluppo e disposizione architettonica si forniscono tante notizie che hanno permesso la ricostruzione della struttura seicentesca e la primigenia disposizione delle sale, coi libri, i quadri della pinacoteca aprosiana, le raccolte antiquarie e di monete> B.DURANTE, Il ritratto aprosiano di Carlo Ridolfi conservato nella biblioteca intemelia (note in calce all’evoluzione della libraria ed alle sue valenze iconografiche in “Quaderni dell’Aprosiana”, N.S. n.2, 1994, passim)]. Forse neppure Aprosio, iniziando questa impresa editoriale, ne aveva presente la dimensione, esasperata dalla sua tendenza alla dispersione: fatto sta che (visti anche i costi di stampa) egli potè pubblicare solo la I parte dell’opera, fermandosi alla lettera “C”. I “Fautori” con nomi inizianti colle lettere successive furono trattati (fino alla “M” però) in manoscritto, già predisposto per la stampa ed ora conservato in Genova. Molto utile e documentatissimo, soprattutto sulla parte biografica dell’Aprosiana, è il lavoro di QUINTO MARINI (Angelico Aprosio da Ventimiglia, “tromba per far conoscere molti”) in “Quaderni Franzoniani-Semestrale di bibliografia e cultura ligure- 1995”.


Biblioteca Aprosiana inedita [D.Puncuh (a cura di), I manoscritti della raccolta Durazzo, Genova, Sagep, 1979: si evidenzia come, assieme a questo autografo aprosiano, nella raccolta genovese fluirono, tramite regolare acquisto a fine ‘700/primi ‘800 diversi altri manoscritti dell’Aprosiana].
A - Della biblioteca aprosiana, parte II, lettere D-G, Copia autografa dell’Aprosio completata entro il 1674 come si evince da p.638.
B - Della biblioteca aprosiana, parte II, lettere D-G, Autografo aprosiano destinato alla stampa. E’ meno completo del precedente ma ha in più da p.341 la Threnodia...in obitu Iohannis Nicolai Cavana. Questo II manoscritto (Ms.A.III.7) è frutto di svariati rimaneggiamenti del I (Ms.A.IIII.4) dovuti anche a suggerimenti di altri eruditi e di amici vari> dalla lettura del II manoscritto si apprende che Aprosio aveva fatto passare per mano di alcuni “Fautori” il suo manoscritto (precisamente per quanto concerne il gruppo di lettere D-F) ma che poi, temendo che potesse andare smarrito, si decise a ricopiarlo. Appunto nel volume II, 1, p.43 espresse la sua preoccupazione per qualche sfortunata perdita alludendo allo smarrimento di un manoscritto di Domenico Chiesa: “...Accidente che mi ha fatto accorto di non avventurare questa seconda parte, come feci la prima, che sebbene non son solito di copiare, mi par minor briga il far questo, che l’havessi di bel nuovo a ricomporre”
C - Della biblioteca aprosiana, parte III, lettere H-K. Autografo aprosiano datato come risulta da p.1 “A dì 22 febraro 1674”
. D - Della biblioteca aprosiana, parte IV, lettere L-M> Autografo aprosiano dedicato al Sig. Lorenzo Legati (erudito di Piacenza ed intimo dell’Aprosio oltre che del bolognese Ovidio Montalbani, Accademico Gelato e studioso di scienze naturali -tra i massimi corrispondenti dell’Aprosio - di cui alla biblioteca intemelia si conserva in pratica tutta la produzione).


Buratto>"Buratto”, come referente extralinguistico, rimanda ad una macchina che, per via di setacci di varia finezza, separa la farina dalla crusa (strumento simbolo od icona dell’Accademia della Crusca). L’allusione è programmatica: vagliando il Mondo Nuovo stiglianeo si individuerebbero cacofonie, licenze poetiche improprie, perversione di leggi naturali, metafore prive di misura e decoro (“mare”/”Foresta umida”) e altri errori invece inindividuabili nell’Adone di Marino.


CASSINI, GIO. DOMENICO> (Perinaldo 1625 - Parigi 1712). Angelico Aprosio nella parte inedita de La Biblioteca Aprosiana (Genova, Biblioteca Durazzo, parte II, lettere D-G, Ms. A.III.4) lasciò scritto: “Gio. Domenico Cassini il cui ritratto è quello che tenendo in mano un telescopio per iscoprire gli arcani [del cielo] è quegli che si rimira primo in ordine nella facciata orientale della Libraria. Nacque in Perinaldo, Castello del Marchesato di Dolceacqua, Diocesi di Ventimiglia, Feudo del marchese Doria.
Ancorché l’Abbate Giustiniano non manchi d’usare ogni grande diligenza nelle sue scritture non m’arrischierei di dire che nelli suoi Scrittori Liguri non habbia commesso qualche erroruccio. Dice che egli fusse nato nel MDCXXIIII li IIX giugno: ed io ho dal libro de’ Battezzati di quella Chiesa, se non m’ha ingannato Capitan Giuseppe Cassini un figliuolo del quale ha preso in consorte una sorella del medesimo Cassini li giorni a dietro, che sia nato il MDCXXV il primo di Giugno (sic!, in realtà il 10 Giugno come si legge tuttora nel suddetto libro conservato nell’Archivio Parrocchiale di Perinaldo) alle H(ore) XV. Dice oltracciò che ‘l Padre fusse Jacopo Cassini, e camminiamo d’accordo: ma che la madre si chiamasse Tullia Lovresi non è vero. Si chiama Tulla sì, che vive ancora la buona vecchia, ma Crovesia...”. Il giovinetto, prima di recarsi a studiare a Genova presso il moderno collegio dei Gesuiti, come scrisse ancora l’Aprosio nel citato manoscritto de la Biblioteca Aprosiana inedita, fu inviato a studiare lettere presso il Rettore della Parrocchia del vicino borgo di Vallebona: “Gio.Francesco Aprosio, di Vallecrosa, già Rettore della Parochiale di Vallebuona, da cui il Dottore Astronomo Gio. Domenico Cassini succhiò il latte de’ primi rudimenti Grammaticali, Dottore nell’una e l’altra legge, di cui si vede il ritratto alla sinistra di Monsig. Vescovo Promontorio, ed hora frate tra Minori Conventuali, prima di mutar habito donò [alla biblioteca di Ventimiglia] nell’anno MDCLXVI F. Marini Mersenni Ord. Minimorum S.Francisci dePaula Quaestiones Celebrerimae in Genesim...”. Grazie al suo genio precoce percorse le tappe di una rapida carriera accademica diventando docente di astronomia nell’Università di Bologna ove realizzò la meridiana di S.Petronio per calcolare l’esattezza dell’equinozio. Divenne quindi direttore dell’osservatorio di Parigi nel 1669, legando il suo nome a grandi scoperte tra cui in campo astronomico il moto di rotazione di Marte e Giove, i quattro satelliti di Saturno (Giapeto scoperto nel 1671, Rea nel 1672, Tetide e Dione nel 1684) e la divisione degli anelli di Saturno dal suo nome detta “Divisione di Cassini”. In campo matematico rivelò una particolare famiglia di curve piane poi nota come “Curva di Cassini”.


CAVANA, GIO NICOLO’> appartenente ad una nobile famiglia genovese originaria di Novi fu nipote dell’ambasciatore genovese presso la corte di Spagna e figlio di un Senatore della Repubblica: a sua volta eletto Senatore ricoprì il ruolo di governatore della Rocca di Pietra Ligure. Tra il 1665 ed il 1675, anno in cui morì per una gravissima serie di disturbi intestinali come apprendiamo dalle drammatiche lettere all’Aprosio in Ms.40 della Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia, fu tra i più assidui e tenaci sostenitori della “Libraria intemelia”. Antonio Magliabechi accennando al suo ruolo di mecenate e protettore dei letterati liguri lo definì: “L’asilo dei letterati della Liguria”.
Nel suo celebre repertorio bibliografico edito a Bologna dai Manolessi nel 1673 (La Biblioteca Aprosiana..., cit., parte I, p. 630) l'Aprosio scrisse che il comun denominatore, per l'insorgere di una crescente amicizia intellettuale fra lui ed il Cavana, fu "Don Andrea Rossotto di Mondovì Monaco della Congregatione di S. Bernardo riformata" cordiale frequentatore di entrambi; nonostante la loro corrispondenza epistolare, susseguente a questo indiretto ma fortunato contatto, datasse a diversi anni prima, il Cavana ebbe però modo di conoscere personalmente l'Aprosio nella casa del ventimigliese Agostino Porro, cugino di Aprosio, solo quando tempo dopo, come Supremo Sindicatore della Repubblica di Genova (incaricato cioè come revisore dell'operato degli amministratori del Dominio), dovette soggiornarvi per un discreto periodo onde espletare il suo incarico pubblico a riguardo del territorio, non certo piccolo da ispezionare, del "Capitanato di Ventimiglia".
Fu precisamente in questa occasione -di cui è arduo ricostruire la data esatta ma comunque da collocare fra la II metà degli anni '50 e i primi anni '60 del secolo- che il Cavana ebbe modo di visitare per la prima volta il convento agostiniano di Ventimiglia in compagnia dell'Aprosio che, subito dopo, lo portò a visitare la "Libraria" di cui il Cavana immediatamente si "innamorò", impegnandosi apertamente al suo "accrescimento" (Ibidem, p.631).
Per giudizio di Angelico Giovanni Nicolò Cavana fu il principale mecenate della sua biblioteca ed ai suoi meriti di protettore e fautore (donò, tra stampate e manoscritte, 50 opere di grande rarità) il ventimigliese, nel repertorio "Della Biblioteca Aprosiana", dedicò ben 36 pagine encomiastiche (Ibidem, pp. 630 - 666).
Nell'"Appendice poetica" fece inoltre "costruire" all'amico Minozzi un bizzarro canzoniere celebrativo dell'Aprosiana, dove il Cavana finì per essere assimilato ad "un Libro vivente, dove la Gloria stessa si rappresentò".
Nonostante certe iperboliche esasperazioni formali bisogna riconoscere che non si trattò da parte dell'agostiniano di mera convenzionalità encomiastica e partigiana, ossequiente ai costumi dell'epoca: una vera amicizia legò i due personaggi, Cavana non fu letterato ma amò l'arte più di molti pedanti professionisti sino ai suoi ultimi giorni.
Come si evince dall'albero genealogico della famiglia Cavana (Archivi di Stato di Genova, Ms. 496, "Alberi genealogici", foglio 83) Giovanni Nicolò era figlio di Giovanni Maria e Margherita Scaglia, figlia di Giovanni Scaglia Senatore della Repubblica di Genova cd Ambasciatore presso il Re di Spagna.
Il nonno paterno Gaspare Cavanna nel 1572 si era sposato a Siviglia con Leonora figlia di Giovanni Boccanegra y Guzman e come altri membri della famiglia Cavana svolse incarichi diversi in Spagna intrattenendo rapporti con eruditi iberici.
La famiglia Cavana si segnalò sempre per la protezione degli artisti e letterati: nel 1675 l'amico e mecenate fu compianto come una grandissima perdita (per lui certamente, ma soprattutto per la protezione delle arti tutte) dall'Aprosio in una malinconica ed affettuosa lettera al Magliabechi (in Biblioteca Naz. di Firenze, Magliab. VIII, 141).
Il Cavana personalmente fece, come scritto, dono all'Aprosio di parecchi volumi di pregio e non molto prima della sua fine di un'opera di assoluta rarità che costituisce il Ms. 2 della Biblioteca intemelia, cart., sec. XVII (1615), mm. 142 X 110, cc. 4 n. n. di cui bianche le cc. 1 e 4 più cc. 33 di cui numerate la 1, la 25 e la 32 (erroneamente al posto della 33) più cc. 2 n.n..
La scrittura è corsiva, di una sola mano ed il volume ha legatura in pelle, con fregi dorati: si tratta di un esemplare unico in lingua spagnola, precisamente la "Consolatoria al senor Juan Maria Cavana en la muerte de su padre attribuito al poeta Martir Rizo".
Da una lettera di Giovanni Nicolò Cavana all'Aprosio" (Biblioteca Universitaria di Genova, "Lettere di vari all'Aprosio", Ms. E. V. 27, cc. 4r - 5v.) datata Genova 28-X-1673 si evince che l'opera fu scritta dal Rizo in occasione della scomparsa di Gaspare Cavana, il nonno di Giovanni Nicolò.
Si tratta di un esemplare già ignoto alla bibliografia iberica scoperto dagli illustri ispanisti Mario Damonte e Anna Maria Mignone nel corso di una ricognizione sul vasto fondo di testi spagnoli dell'Aprosiana: con grande competenza critica la Mignone lo editò scientificamente nel "Quaderno dell'Aprosiana", V.S., I (1984), pp. 41 - 62 sotto il titolo di Un inedito del Seicento della Civica Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia: la Consolatoria al senor Juan Maria Cavana en la muerte de su padre di Juan Pablo Martir Rizo.
Per tutta questa serie di doveri, nati comunque da un senso di gratitudine sincera, Aprosio ritenne, tra l'altro, doveroso occuparsi, sempre nella "Biblioteca Aprosiana" edita (pp.645-663) di un argomento che stava molto a cuore al suo protettore cioè la restituzione alla di lui famiglia di alcuni diritti feudali di cui era stata depauperata.
Alla morte del Cavana inoltre, Angelico chiese ed ottenne dal comune amico, l'erudito di Piacenza Lorenzo Legati, la stesura di un elogio funebre, tuttora conservato nella parte rimasta inedita della Biblioteca Aprosiana (II- Raccolta Durazzo, Ms.A.III.5, p.341) cioè la Threnodia, horti Musarum cultorum, in obitu Johannis Nicolai Cavana, patricii Genuensis, collectore domino Laurentio Legato dall’ incipit: “...Tyndarides fratres proles...”.


CINELLI CALVOLI, GIOVANNI (Firenze 1625 - Loreto [Ancona] 1706). Laureatosi in medicina a Pisa nel 1650, esercitò la professione medica in varie località. Stabilitosi a Firenze si legò in stretta amicizia con Antonio Magliabechi, con primi interessi di ordine storico, specie in merito alla Toscana: scrisse così l’Istoria degli scrittori toscani (proseguita da Anton Maria Biscioni ed ora custodita presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, in “Fondo Magliabechiano IX, 69-86”). Ebbe quindi uno scontro con Giovanni Andrea Moniglia (Firenze 1624-ivi 1700: medico e docente all’Università di Pisa, membro dell’Accademia della Crusca, autore di drammi civili e musicali) e per questo fu arrestato e condannato al carcere: quindi venne obbligato a lasciare Firenze in modo definitivo nel 1683. Tra i suoi tanti corrispondenti ed amici ascrisse Aprosio anche se fra i due i rapporti col tempo si raffreddarono, specie perché Cinelli Calvoli non mantenne fede (o non potè mantener fede) alla sua promessa, forse un pò azzardata, di far pubblicare quanto prima la Maschera Scoperta : le querele finali di Aprosio per una certa indifferenza di Cinelli Calvoli si riassumono in una lettera al Magliabechi (in “Biblioteca Nazionale di Firenze, Ms.141” del gennaio 1681, solo un mese quindi prima di morire) ove si legge “...E la Maschera Scoperta quanti anni sono che me la cavò [il Cinelli] dalle mani? V.S. Illustrissima ben lo sa...” (ma per onestà verso il Cinelli Calvoli v’è da precisare che il Magliabechi il quale custodiva il manoscritto aprosiano -per esempio già in una lettera del 5 marzo 1674 in “Fondo Aprosiano della Biblioteca Universitaria di Genova”- informava spesso Aprosio che Cinelli Calvoli non riusciva a pubblicare per malavoglia ma “per mancanza di danaro”). A Cinelli Calvoli spetta inoltre il merito d’aver tentato per primo la realizzazione di un periodico bibliografico (La Biblioteca Volante) di cui nel 1677 furono pubblicate le prime due “Scanzie”: Cinelli Calvoli seguì questo suo lavoro per ben 18 volumi (l’opera fu poi continuata da A.Dionigi Sancassani e Mariano Ruele) entrando in dimestichezza (per ragioni bibliografico-documentarie) pure con Domenico Antonio Gandolfo, succeduto ad Angelico nel 1681 quale bibliotecario della “Libraria” ventimigliese: come s’evince da una lettera del Cinelli Calvoli conservata all’Aprosiana nel Ms.40.


Epistolario>“Fondo Aprosio” in Biblioteca Universitaria di Genova: raccolta di volumi delle migliaia di lettere ricevute da Aprosio dalle maggiori celebrità letterarie del suo tempo, italiane e non, opera sondata solo in parte e di straordinaria importanza per una più esauriente conoscenza della cultura del XVII secolo (la raccolta fu trasferita in Genova a fine ‘700 su delibera napoleonica da Prospero Semino/-i nell’ipotesi d’un’istituenda biblioteca centrale ligure): vedi alla Biblioteca Univ. di Genova i Ms.E.II.38; E.II.4 bis; E.V.25; E.V.26; E.V.27; E.V.28; E.VI.4; E.VI.5; E.VI.6; E.VI.7; E.VI.8; E.VI.9; E.VI.10; E.VI.11; E.VI.11 bis; E.VI.16; E.VI.17; E.VI.18; E.VI.19; E.VI.20; E.VI.22: è fondamentale, per orientarsi in siffatta congerie di nomi e di documenti, il regesto di A.I.FONTANA, Epistolario e indice dei corrispondenti del Padre A. Aprosio, in "Accademie e Biblioteche d’Italia", XLII (1974), n.45 (di straordinaria utilità per il ricercatore sono soprattutto gli ordinati e curatissimi indici). Alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze si conservano nel fondo Magliabechi-diverse scritture” diverse lettere dell’Aprosio al bibliotecario mediceo (purtroppo pochi contemporanei d’Angelico Aprosio con Antonio Magliabechi, Università degli Studi di Genova-Facoltà di Lettere e Filosofia, Tesi di Laurea, dattiloscritto, anno accademico 1972-’73: una copia già in Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia.


FORMAZIONE> La formazione culturale aprosiana ha seguito un percorso variegato, traendo energia in funzione della straordinaria capacità del frate di assimilare ogni esperienza culturale, pur restando ancorato, sostanzialmente, ad una visione marinista e controriformista di esistenza, cultura ed ideologia (con atteggiamenti di estremismo nel periodo iniziale, specie in merito alla sua postazione polemica avverso lo Stigliani critico nei riguardi delle stanze dell’Adone del suo prediletto Marino). I contributi critico-letterari e divulgativi sul personaggio vanno aumentando in maniera considerevole, sì che proporre qui una bibliografia da ritenere del tutto completa può essere azzardato. Ferma restando la citazione, nel testo vero e proprio di questo ultimo “Quaderno dell’Aprosiana”, di contributi settoriali o scientificamente utili volta per volta, qui si forniscono i dati bibliografici generali utili, se non essenziali, per un approccio di base all’erudito intemelio. Per un inquadramento della vita di Ludovico (nome al secolo di Angelico, che poi scrisse le sue opere quasi sempre sotto svariati pseudonimi) Aprosio detto ora il Ventimiglia ora il Vintimiglia (per soprannome coniato dalla città d’origine: ma spesso anche nominato con caduta della -g- il Ventimilia/ Vintimilia), a parte naturalmente le pagine autobiografiche che corrono per molte pagine iniziali della Biblioteca Aprosiana edita, vedasi: B.DURANTE, Vita e avventure letterarie di Angelico Aprosio in AA.VV., Il Gran Secolo di A. Aprosio, Sanremo, 1981, pp. 9-28 (con appendice sulla produzione letteraria). Per quanto concerne la sua vera e propria formazione culturale e quindi le sue attività di polemista barocco ortodosso e di moralista vedasi: B.DURANTE, Aprosio Critico e Morale, in “II Quaderno dell’Aprosiana”, Vecchia Serie, Ventimiglia-Pinerolo, 1985. Per un inquadramento bibliografico assolutamente esauriente fino al 1981, con una suddivisione delle opere per secoli e per tematiche, vedasi sempre di B.DURANTE, Bibliografia Aprosiana, in AA.VV., Una Biblioteca Pubblica del seicento: l’Aprosiana di Ventimiglia, Ventimiglia-Pinerolo, 1984, pp.93-101. Sul suo ruolo di agitatore culturale, specie nel Ponente di Liguria, e sulla sua opera di bibliotecario della “Libraria” intemelia vedi B.DURANTE, Vita e opere di Domenico Antonio Gandolfo l”Epigono” (per un riconoscimento del secondo bibliotecario dell’Aprosiana) in “Il Quaderno dell’Aprosiana-Miscellanea di Studi”, Ventimiglia-Pinerolo, 1984, pp.63-90. Per un inquadramento globale è ora utile consultare (oltre le grandi sillogi e in particolare la vasta Letteratura Italiana diretta da A.Asor Rosa edita da Einaudi e in fine di stampa) AA.VV., La letteratura ligure. La Repubblica aristocratica, 1528-1797, 2 voll., Genova, Costa & Nolan, 1994> al fine di destreggiarsi fra i molti nomi di personaggi liguri illustri del ‘600, oltre che per dati sullo stesso erudito, può convenire l’analisi del Dizionario biografico dei liguri dalle origini al 1990, a cura di W.Piastra, I [Abate-Blancardi], II [Bo-Carpaneto], Genova, Consulta Ligure, 1992, 1994 (il terzo volume è in via di pubblicazione).


Grillaia> per comodità distinta qui in:
Grillaia I> opera edita dopo l’espurgazione di “Grilli” o “Capitoli” condannati dalla censura ecclesiastica> è composta di XX “Grilli” di vario argomento moralistico, di matrice quasi sempre controriformista e ogni volta dedicati a personaggi diversi cui
Aprosio si rivolge sotto forma di monologo epistolare. L’opera è stata ritenuta a lungo un manifesto della misoginia e dell’antifemminismo che effettivamente vi hanno notevole spazio. Nel polittico dedicato al tema dell’adulterio (Grilli XIX, XX, XXI, XXII) Aprosio, pur non negando colpe e responsabilità gravi agli uomini libidinosi, s’uniforma alla morale egemonica sul lusso e sulla vanità donnesche che interagiscono con quella loro naturale cedevolezza alle lusinghe ed ai Scudo di Rinaldo I e in altri “Grilli” si trattano temi di diverso interesse: dal moderatissimo biasimo per la consuetudine d’evirare fanciulli per le cantorie ecclesiastiche onde evitar l’uso di donne tentatrici (Grillo XXIV: “Della barbarie di castrar gli uomini”), ad una certa riprovazione per gli eccessi nelle vanità mondane degli uomini (Grillo IV: “Dei Titoli e della loro esorbitanza”), alla lotta contro gli autori di plagi letterari ed artistici (Grillo VII: “Dei plagiari ossia degli usurpatori degli altrui componimenti”), ad intrusioni nel mondo della scienza, specie entro il dibattito dei “Massimi Sistemi cosmologici” naturalmente (seppur senza le esasperazioni di tanti altri) nel rispetto dell’ottica cattolica, geocentrica ed aristotelico-tolemaica (Grillo XLV: “Se la terra sia mobile o stabile”), a stizzose ma anche coraggiose accuse mosse all’avidità ed alla vuota arte oratoria di tanti predicatori sacri del tempo (Grillo L: “Dei predicatori. Onde procede che essendo questi in maggior numero che non sono i pulpiti il mondo vada di male in peggio”
Grillaia II>Ms.E.VIII.15: redazione originale ed autografa, con varianti rispetto a quella edita e censurata. Quattro Grilli o Capitoli, già inediti e tra le cause prime della censura ecclesiastica, sono stati poi editi da Antonia Ida Fontana in “Quaderni dell’Aprosiana”, Vecchia Serie, n.1, Miscellanea di Studi sotto titolo de Il P.Aprosio e la morale del ‘600-note in margine a 4 grilli inediti: i titoli dei “Grilli” (poi surrogati, sostituiti o modificati) possono già di per sè offrire una motivazione per la censura dell’Ufficio inquisitoriale:
Grillo XVIII: “Se sia più libidinoso il Maschile o’l sesso Donnesco?”;
Grillo XIX:”Se dalle Vergini, o dalle Vedove gli abbracciamenti virili...”;
Grillo XXVII “Se alcuno ascritto nel rolo degli agami inciampasse (il che Dio non voglia) in qualche errore intorno al sesto precetto del Decalogo, qual rimedio per ovviare a gli scandali, e per salvare la reputazione”;
Grillo XXX “Del nome Bekko o Cornuto, che si suole attribuire a coloro che hanno le mogli adultere, e del rimedio per non esserlo”.


LANTERI, GIOVANNI GIROLAMO ventimigliese, contemporaneo d’Aprosio, religioso regolare. Di lui parlarono in modo generico il Soprani (Li scrittori della Liguria..., Genova, per Pietro Calenzani, 1667, p,163) che lo giudicò autore di “Sonetti nell’idioma della patria” cioè qual autore di composizioni dialettali, Michele Giustiniani (Gli Scrittori liguri, Roma, per il Tinassi, 1667, p.384), Agostino Oldoini (Ateneum ligusticum, Perusiae, ex typographia episcopali, 1680, p.351): il Giustiniani affermò che nel 1667 Lanteri aveva circa 72 anni (di 12 quindi più anziano d’Aprosio), che molto aveva viaggiato e corrisposto con numerosi eruditi italiani, che soprattutto era gran conoscitore dello spagnolo, del portoghese e del francese. Sempre il Giustiniani tuttavia aggiunse di seguito sul Lanteri: “...Egli insomma è un uomo raro, ma freddo non meno delle nevi del Caucaso e più che irresoluto nelle proprie operazioni. E se col mezzo della sua penna averebbe potuto rischiarare le tenebre oscurissime delle antichità della patria segno non è stato poco il poterne cavare un Discorso dell’Antichità di Ventimiglia (Discorso o Relazione delle patrie antichità secondo l’Oldoini). L’operetta godette d’eccellente divulgazione sotto forma di copie manoscritte e anche d’una certa rinomanza pur se in seguito Aprosio ne corresse la ricostruzione topografica della Ventimiglia Romana a p.74 della sua Biblioteca Aprosiana edita. Del lavoro del Lanteri (che fu referente ed informatore per il Ponente ligure dell’Ughelli a pro della stesura della sua monumentale Italia Sacra) B.Durante ha individuato una copia nella “Biblioteca Girolamo Rossi VI, Miscellanea storica ligure, 83, a” ove si legge sul fronte di un confusionario ma non inutile resoconto storico su Ventimiglia dalle origini a gran parte del ‘600: “...sono le memorie copiate da Geronimo Lanteri nel XVII secolo...”(mano del Rossi; testo secentesco senza utili testimoni ed indicatori). Del Lanteri storico, dei suoi contrasti con l’Aprosio, del suo carisma culturale nella Ventimiglia del ‘600 B.Durante parlò dettagliatamente in una conferenza a Ventimiglia (aula magna, Scuola Media Biancheri) 19/II/1984 nel quadro delle iniziative culturali promosse dalla “Cumpagnia d’i Ventimigliusi” (associazione culturale locale in relazione con la “Consulta Ligure”)> della conferenza fu pubblicata ampia sintesi, sotto titolo di Fermenti letterari nella Ventimiglia barocca di fine diciassettesimo secolo, nel periodico della “Cumpagnia”, “La Voce Intemelia”, 1984, 23/II/1984.


LEGATI, LORENZO> originario di Cremona fu lettore di greco nello Studio di Bologna, città in cui risiedette prima di trasferirsi a Novellara. Fu curatore della Biblioteca Aprosiana edita come si evince dalla corrispondenza aprosiana (lettere del Legati in Biblioteca Universitaria di Genova, “Fondo Aprosio”, Ms.E.VI.9>edite in B.DURANTE, “Il Quaderno dell’Aprosiana - Nuova Serie”, pp.103-111. Sul Legati vedi: F.ARISI, Cremona Literata..., Cremona, Ricchini, 1741, tomo III, pp.213-215> assurse ad una certa fama per una sua opera in latino (Agriomeleis, aut in silvestre pomorum genus methamorphoses, Bologna, Monti, 1667) sin al punto che l’Accademico Gelato Pietro Andrea Trichieri o Trincheri, originario di Nizza ma residente a Monaco e frequentatore dell’Aprosiana, gli dedicò un carme latino encomiastico che Aprosio registrò a p.2 della parte inedita della sua Biblioteca Aprosiana, parimenti affidata, seppur con molta minor fortuna, alle cure editoriali, per una pronta stampa, sempre dell’erudito di Cremona. Dall’analisi delle lettere del Magliabechi e di Agostino Coltellini all’Aprosio si apprende che il Legati tra il 1670 ed il 1672 fu ospite dell’Aprosio e frequentatore della “Libraria” intemelia per più volte e per periodi oscillanti da un minimo di due giorni (trovandosi “di passo per il Delfinato”) ad un massimo di 14 o 15 recandovisi “per l’Aprosiana e intratenersi con gli amici di Ventimiglia (DURANTE, cit. p.22>Idem, Ventimiglia nel ‘600, in “Riviera dei Fiori”, XLV, 1991, n.6, p.27)> in tali circostanze portò a mano propria in dono all’Aprosio due suoi rari volumi (quasi tutta la sua smisurata produzione è tuttora reperibile alla biblioteca di Ventimiglia) conservati ora nella Miscellanea segnata M.6.39.30 dell’Aprosiana.


Lezioni Sacre sopra Giona> impegni di prediche quaresimali tenute da Aprosio nella Diocesi di Genova a metà secolo circa: costituirebbero uno dei rari attestati della sua qualità oratoria> un punto di contatto può sussistere col brogliaccio d’appunti per oratoria Opistographa .


MAGLIABECHI, ANTONIO (Firenze 1633-ivi 1714) Dedicatosi all’attività di orefice dopo la morte del padre nel 1640, M. riprese gli studi interrotti sotto il magistero di Michele Ermini, bibliotecario di Leopoldo de’ Medici. Acquisì presto grande competenza nel greco, nel latino e nell’ebraico, anche in virtù della sua straordinaria memoria: in forza d’una fama crescente fu alla fine chiamato da Cosimo III a reggere quale bibliotecario la Palatina. La poliedricità delle sue investigazioni, sostenute da una potente cultura erudita, gli suscitarono contro i sospetti dell’Inquisizione che lo chiamò a scagionarsi di sospetti d’interessi ereticali o comunque di ingiustificata predisposizione a raccogliere e leggere libri proibiti. Verso la fine della vita si ritirò fra i Domenicani di S.Maria Novella, dove morì e fu sepolto. La sua grande biblioteca, resa pubblica nel 1747, rappresentò il nucleo primigenio dell’odierna Biblioteca Nazionale di Firenze. Si´ grande bibliotecario non godette invece pari fama come scrittore: anzi è difficile individuare con certezza libri od opuscoli da attribuirgli. La critica propende a riconoscergli, in collaborazione con A.F.Marmi, le Notizie letterarie ed istoriche intorno agli uomini illustri dell’Accademia fiorentina (Firenze, per il Matini, 1700).


MARINO, GIOVANBATTISTA (Napoli 1659-ivi 1625). A lungo ritenuto massimo lirico del ‘600, fu poeta girovago, dai molti soggiorni presso corti spesso prestigiose. Resta celebre il caso dei difficili soggiorni presso quella sabauda dove era amato per il genio poetico e temuto per la lingua mordace; giunse qui ad autentici scontri col Murtola, segretario del duca di Savoia Carlo Emanuele I ma anche poeta colla sua Creazione del mondo: le simpatie del duca, alcuni giudizi invero pesanti sul poema del Murtola, la stesura d’una presa in giro letteraria di quest’ultimo (le “fischiate” della Murtoleide) scatenarono gelosie ed odio del segretario-poeta che, non soddisfatto delle “risate” della sua Marineide, tentò d’uccidere il rivale in un agguato [dopo un soggiorno a Ravenna, Marino rientrò al servizio del duca di Savoia ma, questa volta, i guai gli derivarono dallo stesso Signore forse per la sua condotta troppo disinvolta a corte sì che finì in carcere donde potè uscire grazie all’intercessione di potenti amici tra cui il cardinale F.Gonzaga: non lasciò però il ducato, continuando il suo “lavoro” di poeta cortigiano ma se ne staccò, per libera scelta e col consenso ducale, nel 1615 per andare alla corte di Parigi ove era stato chiamato dalla regina madre (di Luigi XIII) sua ammiratrice e mecenate che gli concesse un proficuo periodo di produttività artistica].
Godette sempre di grandissima fama e di numerosissimi “Fautori” risultando un vero e proprio caso letterario (tanto da suscitare annose e violente polemiche cui non mancò di partecipare
Aprosio per quanto dispiaciuto dall’esser nato troppo tardi onde conoscere di persona il Marino) per la rivoluzione estetica (la poesia che -per contenuti ed iridescenze espressive garantite da un uso sapiente del gioco metaforico- suscita la meraviglia e fa inarcar le ciglia dello stupefatto lettore) ed anche contenutistica (l’uomo -Adone- passivo di fronte ad una femmina dominante -Venere- che è dea sì ma soprattutto donna nuova, “dea-regina” per sensualità e lascivia) del suo smisurato e controverso poema Adone. Comunque tutta la sua produzione (come la sua influenza sulla cultura contemporanea) fu enorme: non si dimentichino -tra tante opere- La Lira (Venezia, per il Ciotti, 1614), le Dicerie Sacre (Torino, per il Pizzamiglio, 1614), La Sampogna (Parigi, per il Pacardo, 1620) La Galeria (Ciotti, Venezia, 1619 ediz. scorrettissima di cui l’autore pretese e ottenne una ristampa nel 1620), il poema religioso La strage degli innocenti che, per quanto concepito sin dai primi anni del ‘600, fu editato solo dopo la morte del Marino con partizioni diverse a seconda delle scelte di tipografi e stampatori (in 2 libri a Napoli, per il Beltrano, 1632;
in 6 canti a Roma, per il Mascardi, 1633;
in 4 libri a Venezia per lo Scaglia, l’edizione forse migliore e comunque accolta dagli editori moderni)


BERTELLI MARTINI, CAMILLA> Aprosio, in varie occasioni fu tacciato di antifemminismo e misoginia, ma in effetti la sua postazione antidonnesca, specie negli ultimi anni, risultò piuttosto mitigata. Negli ultimi anni della sua vita trovò anzi conforto proprio in una donna letterata, la poetessa Camilla Bertelli Martini che, nata a Roma, aveva poi sposato un Martini appartenente ad una fra le più nobili famiglie di Nizza, città in cui prese a risiedere, recandosi poi frequentemente a visitare la biblioteca Aprosiana sia per consultarne i rari volumi sia per contattare direttamente Angelico da lei ammirato come nome illustre della cultura italiana del tempo. Peraltro la casata Martini di Nizza aveva parecchi interessi economici in Ventimiglia: la Bertelli Martini, dapprima da sola e poi insieme al dotto figlio Giovanni Francesco, ebbe occasione di conoscere la “Libraria intemelia” ed il suo prestigioso custode in occasione dei soggiorni estive che faceva nella sua “villeggiatura di Latte”, dove cioè la sua nobile famiglia possedeva una residenza agreste idonea per le vacanze e per sfruttare la quiete e l’ottimo clima del luogo. Proprio nella prebenda o proprietà episcopale di Latte la colta signora ebbe occasione di contattare l’Aprosio, ivi convocato (forse su sua richiesta) dal vescovo di Ventimiglia Mauro Promontorio (1654-1685). Non è però da escludere che lo stesso Aprosio abbia caldeggiato l’incontro indotto dalla fama di letterata della donna già citata in modo lodevole da Prospero Mandosio nella sua Biblioteca Romana (p.139) in cui viene definita autrice di una raccolta di poesie dal titolo Italicorum Carminum Volumen, posseduto e letto da Angelico. Aprosio, col tempo, acquisì tanta stima per la Camilla Bertelli che in una lettera ufficialmente senza data (ma in realtà del 29 marzo 1672), rispondendo ad una missiva del 29-III-1672, scrisse ad Antonio Magliabechi : "...A proposito della Machera Scoperta, supplico V.S. di farmi gratia di levare la Schurmans e di mettere in suo luogo Camilla Bretelli (sic! per Bertelli) nè Martini di Nizza” (in Biblioteca Nazionale di Firenze. Ms. VIII 141): era certamente un elogio notevole per la letterata romana, residente a Nizza, essere sostituita nel catalogo aprosiano delle donne letterate ad Anna Maria Schurmans da Utrecht (1606-1678), dottissima in arabo, ebraico, greco, latino, francese ed italiano “...li cui caratteri veduti da me nella Filoteca di Gio. Friderico Gronovio (già professore nell’Accademia di Daventria, ed al presente di Leyda) fanno vergogna alle stampe de’ Plantini, de Blaew, degli Haelij, e degli Elzeviri...”(MS VI 29, in Biblioteca Nazionale di Firenze in Maschera Scoperta > la soppressione del nominativo dal manoscritto fiorentino, gestito per la stampa dal Cinelli Calvoli ma in consegna presso Antonio Magliabechi , oltre che ad un’effettiva ammirazione da parte dell’Aprosio per la Bertelli Martini poteva però esser stato pesantemente suggerito dallo stesso Magliabechi irritato ufficialmente dal fatto che la Schurmans, definita la “Saffo di Colonia” , si era nel frattempo fatta seguace di Jean Labadie che aveva fondata una setta ereticale di “quietisti”,, detti anche “labadisti” (Magliabechi -Biblioteca Naz. di Firenze, lettera del 23 marzo 1672- aveva scritto ad Angelico “....Nelle altre cose mi rimetto alla prudenza di Vostra Paternità Reverendissima, poiché poco importa che la Schurmans fosse tale quando ella scrisse poiché...si ha da presupporre [cioè adattare le proprie poesie all’evoluzione delle sue idee religiose] che corregga l’opere nel tempo che le stampa, secondo lo stato...”. Aprosio nonostante una sincera ammirazione per la Schurmans -non sarebbe stato impossibile mantenere il suo nome nel catalogo anziché cancellarlo ed accostarvi quello della Bertelli Martini?- nella lettera sopra citata -di poco posteriore a questa ambigua richiesta del Magliabechi- dà in effetti l’impressione (nulla aveva lasciato trapelare, dalle sue lettere, una qualsiasi sua damnatio memoriae della Schurmans) d’essersi piuttosto piegato per convenienza (da Antonio Magliabechi lui e Cinelli Calvoli, in defintiva, si attendevano l’aiuto essenziale per la stampa della Maschera Scoperta) alla preghiera del grande bibliotecario mediceo la cui richiesta, data anche l’importanza del personaggio, aveva in fondo i toni di un ordine: valutando tali opportunità e siffatto “consiglio” forse Aprosio -ed è difficile dire quanto volentieri- accettò di inserire al posto di quello della letterata straniera il nome della Bertelli Martini> nell’edizione genovese del 1644 della Maschera Scoperta non compare comunque menzione di “Camilla Bertelli né Martini” che invece risulta citata ben due volte nell’edizione fiorentina del 1671 della Maschera Scoperta e sempre in termini elogiativi che lasciano intendere una conoscenza profonda ed una buona stima da parte dell’erudito bibliotecario di Ventimiglia).
Non è peraltro da sottacere come la Camilla Bertelli Martini (in due sue lettere ad Angelico conservate in Biblioteca Universitaria di Genova, “Fondo Aprosio”, Ms. E.V.27, una del 1676 ed una senza data ma posteriore alla precedente dagli indicatori del contesto) avesse espresso il desiderio d’esser menzionata nelle sue raccolte bibliografiche da Angelico. Quest’ultimo, del resto, in una lettera al Magliabechi (Bibl.Naz. di Firenze, Ms. VII 141), datata “Ventimiglia 27-VI-1678”) dimostrò notevole apprezzamento “per un di Lei galantissimo capitolo in terza rima” e sottolineò come Giacomo Maria di Sanremo, autore molto stimato dalla “Signora”, fosse stato dalla medesima pregato di recarsi all’Aprosiana, in particolare per la fama raggiunta in quanto autore dell’Oceano imboschito, libro in cui si narrava del naufragio del portoghese Emanuele Sosa e che era stato pubblicato a Milano nel 1672 presso la Stamperia Archiepiscopoale. L’antifemminismo aprosiano, a rigor dell’esattezza scientifica, fu più umorale che istituzionale e certamente assai collegato all’umiliazione in qualche modo patita dalla Tarabotti: in effetti gli interessi per le “donne colte” non gli mancarono, pur sempre a patto -ben s’intende- che operassero nel campo ristretto della cultura donnesca e religiosa, delle istruzioni della buona madre e della spiritualità in auge (limiti certo ma che, in qualche modo -ad onta di limiti strutturali connaturati e connessi alla temperie socio culturale di appartenenza- dimensionano in termini più moderati -a fronte d’altre, ben più intransigenti postazioni- la misoginia e l’antifemminismo di Angelico). Aprosio, peraltro non mancando di far cenno a quelle “pie donne” che fecero lasciti -secondo l’uso del tempo- per i bene della collettività ed il potenziamento delle pubbliche scuole, si impegnò sempre molto nell’identificare le “donne letterate” antiche della sua Ventimiglia: grazie al Legati riuscì ad individuare in particolare dei versi di una certa “Signora Silvia Ventimiglia” intesa come “di Ventimiglia” a cui proposito il Legati (lettera ad Angelico del 1676 in Ms.E.VI.9 della Biblioteca Universitaria di Genova) annotò: "...della Signora Silvia Ventimiglia di cui sono questi versi stampati in Roma della gloriosa Vergine del Rosario...Tu sola sei la via del ben commune/ Per i nostri affanni sei giusto consiglio/ Tanto si levi il sol, quante si pone/ S’io dormo te contemplo...s’io veglio/ Con questo contemplar l’intenzione/ Teco mi salverà dal gran periglio..., Per lo qual stile mi pare assai antica. la seconda parte delle di Lei Rime sciolte vien citata nell’Indice del Rosario di 500 Poeti...”.


La Maschera Scoperta> MS. E.II.39, redazione del 1644: una copia microfilmata in Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia -fondo “Michelangelo Durante”: una redazione del 1671 si trova alla Biblioteca Nazionale di Firenze in Codice VI 29, già affidata da Aprosio (per una stampa mai avvenuta) all’erudito Giovanni Cinelli Calvoli (in stretto rapporto col bibliotecari fiorentino Antonio Magliabechi )> di recente Emilia Biga, che ha individuato questa II redazione, l’ha trascritta ed editata nel IV (1989) dei “Quaderni dell’Aprosiana”, Vecchia Serie, sotto titolo di: Una polemica antifemminista del ‘600. L’esemplare genovese era stato dedicato all’erudito bolognese Andrea Barbazza (1582-1656) mentre quello fiorentino, cui Aprosio apportò migliorie e qualche modifica, venne dedicato a Gio.Nicolò Cavana, patrizio genovese, gran amico e mecenate d’Aprosio che gli dedicò molte pagine apologetiche in fine della sua Biblioteca Aprosiana.


MISOGINIA> “chi odia le donne”, alla luce dell’indagine psicologica e psichiatrica con cenni a una possibilità di avversione patologica, con toni di diprezzo, ripugnanza, avversione fisica: nel contesto del presente “Quaderno” il termine è però usato in senso non medico ma comportamentale e sociale come positura, a scapito delle donne, del gruppo egemone maschile e maschilista derivato dalla storica organizzazione della famiglia piramidale e patriarcale: così l’erudito del ‘600 Angelico Aprosio (nello Scudo di Rinaldo, nella Maschera Scoperta e nella Grillaia) nei presenti studi è definito “misogino” (nel senso di seguace di misoginia quale antifemminismo ) senza coimplicazioni mediche o psichiatriche ma semplicemente quale esponente di punta di una cultura e d’un sistema sociale strutturati per la conservazioni dei previlegi maschili>. Forse la misoginia aprosiana è stata anche amplificata, un pò dalla sua scrittura, molto dalla congerie culturale di appartenenza, senza dubbio dallo scontro polemico con Arcangela Tarabotti : negli ultimi decenni della sua vita il frate intemelio andò mitigando la propria misogina, più formale che in definitiva sostanziale, in particolare visti i suoi ottimi rapporti con la colta letterata d’origine romana Camilla Bertelli Martini di Nizza.


ANTONIO MUSCETTOLA> (Napoli 1628-ivi 1679). Membro della potente famiglia dei duchi di Spezzano fu amantissimo delle lettere ispirandosi sia al modello erotico-encomiastico sia alla produzione chiabreresca. Editò un volume di Prose (Piacenza, per il Bazachi, 1665), diverse tragedie tra cui La Belisa [cui più o meno direttamente collaborarono i liguri Aprosio (di cui fu corrispondente e “Fautore”), Piola e Striglioni), La Rosmunda, La Rosalinda, La Rosaura .
Merita soprattutto di esser ricordato per le Poesie edite in tre parti (Napoli, Eredi del Cavallo, 1659: Venezia, Baba, 1661; Venezia, Conzatti, 1669> una quarta parte vide la luce postuma a Napoli a cura del figlio Francesco presso lo stampatore Raillard nel 1691.


Note varie per le Athenae Italicae> brogliaccio (Ms.VIII.15) non predisposto per la stampa ma preparato in funzione di un’opera molto ambiziosa sulle glorie letterarie italiane, corredata da annotazioni storico-antiquarie, appunto le Athenae Italicae: per studiosi di storia locale (ed anche per qualche informazione bibliografica di più ampio respiro) sono interessanti gli appunti su Gubbio, Piacenza, Cremona, Bologna, Lodi, Viterbo> questo interesse per la stesura di una geografia letteraria d’Italia -opera immane ma apprezzabile nell’ideazione- fu ripreso dal discepolo d’Aprosio Domenico Antonio Gandolfo che, per esempio, raccolse da Francesco Baldelli molte notizie letterarie e storiche sulla città di Cortona e cercò da Carlo Maria Sartorio dati sull’antichità di Fermo, città e borghi d’appartenenza dei due menzionati eruditi: come si legge nel Ms.40 dell’Aprosiana> v. B.DURANTE, Domenico Antonio Gandolfo..., in Miscellanea di Studi in “Quaderni dell’Aprosiana - Vecchia Serie”, Numeri 1, p.74 e 90, nota 37.


L’Occhiale Stritolato> Aprosio tenta di demolire criticamente l’opera quasi omonima dello Stigliani (Dell’occhiale...,Venezia, Carampello, 1627) scritta appunto contro l’Adone del Marino: in questo lavoro, provocatorio ma prolisso e privo di spessore, Angelico sostanzialmente vuole teorizzare il principio per cui come poeta (nei versi del suo Mondo Nuovo) lo Stigliani sarebbe incapace di dare competenza alle sue ideazioni di critico (quelle dell’Occhiale soprattutto ma anche d’altri contributi avverso il Marino)> sistema fin troppo elementare per negare allo Stigliani tanto la qualità letteraria di sostanziare nei suoi lavori poetici il proprio “credo” estetico sia la valenza di critico onesto nei confronti d’altrui opere. Interessante, in pratica, risulta solo l’Introduzione in cui compare una disanima su varie polemiche letterarie e soprattutto l’asserzione ben motivata che proprio dalle discussioni e dal dibattito culturale si generi spesso occasione di buona poesia: “Le opposizioni sono quelle che danno vita ai componimenti”(p.162).


Opistographa> Fogli legati e scritti su recto e verso (mm.220 X 155) numerati sino al 16, prima facciata segnata con lettera “A”. A destra del titolo leggesi “Genova 1649”. Testo ordinato graficamente, a lettere minutissime, con glosse ai margini: 31 righe per foglio con una costante di 8 lessemi per riga. Stato di discreta conservazione: in Ms.40. Trattasi di un elenco di citazioni erudite, perlopù di argomento religioso, che sembrerebbe da collegarsi alle Lezioni Sacre sopra Giona . Non sottoscritta dall’Aprosio presenta però indicatori calligrafici che, per comparazione con altri autografi aprosiani, la fanno giudicare di mano del frate.


Le Ore Pomeridiane> già scritta prima del 1664 come s’evince dal frontespizio del Della Patria di Aulo Persio Flacco che risulta “opera cavata dal Libro I delle Hore Pomeridiane” che si sarebbero dovute pubblicare -caso raro- sotto il nome di Ludovico Aprosio.


Gli Ozi estivi> in effetti la p.136 del manoscritto, conservata alla Biblioteca di Ventimiglia ed ora perduta, a firma di “Ludovico Aprosio Ventimiglia” compare trascritta alle pp.551-553 della Biblioteca Aprosiana edita.


Della patria di Aulo Persio Flacco> è operetta fragile, di erudizione filologica mirante ad ipotizzare, su sottili linee pseudostoriche e linguistiche, una lontana origine ligure di Persio il poeta latino nativo di Volterra (34 d.C.) morto a Roma nel 62 d.C. ed autore di Satire destinate a grande fortuna, specie in epoca barocca o comunque in ogni periodo di sperimentalismi linguistici, visto il suo continuo sforzo d’originalità ottenuto per via d’accostamenti sorprendenti fra parole diverse, col gioco di frasi ed antifrasi, colla restituzione del significato letterale delle metafore, con la compresenza di livelli linguistici eterogenei.


PINACOTECA: la pinacoteca della Biblioteca Aprosiana fu l'espressione dei tanti contatti culturali che Angelico Aprosio ebbe con artisti e letterati di vario ambiente, LIGURE in particolare ma non soltanto come si evince, a titolo d'esempio, dagli stretti rapporti del frate agostiniano col vicentino Cesare Ridolfi ed il bolognese Negri
Al riguardo del CONTESTO ARTISTICO FIGURATIVO LIGURE si possono poi menzionare quei PITTORI ED INCISORI GENOVESI con cui il frate ebbe corrispondenza letteraria ed anche RAPPORTI DI LAVORO [ricordando altresì le curiosità del frate per i FERMENTI ARTISTICI in atto nel Ponente ligure].
Della RACCOLTA DI RITRATTI [in ciò soprattutto consisteva la PINACOTECA dell’Aprosiana] imponente nel ‘600 e ai primi del ‘700 (varie diecine di esemplari di ritratti dei “Fautori” dell’Aprosiana - in gran parte distrutti dai mercenari austriaci di quartiere al convento agostiniano a metà XVIII sec. durante la “guerra di successione al Trono imperiale austriaco"” fra Anglo-Franco-Spagnoli e Austro-Piemontesi)], si conserva ormai ben poco: oltre al grande dipinto centrale nella SALA I del “Fondo storico” detto quadro dell’Aprosio che fu opera del pittore vicentino Carlo Ridolfi esistono oggi alla Biblioteca di Ventimiglia altri 9 ritratti, in parte restaurati, non del tutto identificati:
n.1 “Ritratto di Placido Reina (di autore imprecisabile del XVII sec.);
n.2 “Ritratto di Gio.Nicolò Cavana all’età di 47 anni”;
n.3 “Ritratto del conte Bernardo Morando;
n.4 “Ritratto del patrizio genovese Tommaso Spinola figlio di Giuliano Spinola” (di autore non identificabile);
n.5 “Ritratto di Giovanni Ventimiglia all’età di anni 38" (autore non identificato ma di scuola siciliana del ‘600, prima metà del secolo);
n.6 “Padre Fabiano Fiorato” (agostiniano, architetto, ideatore dell’ampliamento della “Libraria intemelia ” opera di anonimo, di bottega locale verisimilmente);
n.7 “ritratto di Anonimo” (opera di autore non identificato);
n.8 “Ritratto di Gian Domenico Cassini (astronomo massimo dopo Galileo, definito anche “Astronomo dei Re” perchè chiamato espressamente all’osservatorio di Parigi da Luigi XIV>autore ignoto);
n. 9 “Ritratto di Padre Paoletti (Agostino Paoletti di Montalcino, erudito e predicatore agostiniano> per un approfondimento si veda “II Quaderno dell’Aprosiana-Miscellanea di Studi”> B.DURANTE, Il ritratto aprosiano di Carlo Ridolfi conservato nella Bibioteca intemelia...., passim.


RIDOLFI, CARLO (anche scritto RIDOLFO nei repertori del ‘600: Lonigo-Vicenza 1595/ Venezia 1658)> Pittore, letterato ed incisore venne spesso citato dall’Aprosio nelle sue opere. Per 18 anni allievo a Venezia dell’Aliense fu un continuatore della tradizione veneta di imitazione veronesiana e tintorettiana, dipingendo molti quadri di argomento religioso di cui però rimangono solo le due “Adorazioni dei Magi” (in S.Giacomo di Rialto e in S.Giovanni Elemosinario) e la “Visitazione di Ognissanti” tutti nella città lagunare (ove pure si conservano uan “Sacra Famiglia” e “Venere e Amore”). Aprosio lo conobbe a Venezia verso gli anni ’40 del XVII sec.ed oltre che i risultati pittorici ne apprezzò (come si legge ne La Biblioteca Aprosiana , Bologna, pei Manolessi, 1673, pp.583-589) la qualità di storico d’arte espletata nell’opera Le Meraviglie dell’Arte overo gl’Illustri Pittori Veneti e dello stato, ove sono raccolte le opere insigni, i Costumi, ed i Ritratti loro. Con la narrazione della Historie, delle Favole e delle Moralità da quelli dipinte (edizione in II volumi, stampati rispettivamente nel 1646 e nel 1648: Aprosio ricevette in dono il tomo II, pubblicato in 4° in Venezia ad opera di G.B.Sgava). Sempre dal “Catalogo” aprosiano del 1673 (p. 586) si apprende che Carlo Ridolfi avrebbe fatto il ritratto d’Aprosio tra gennaio e marzo del 1648 per celebrare la loro amicizia in previsione della partenza d’Angelico da Venezia per la Liguria. Stando però all’iscrizione in alto nel dipinto, sul lato sinistro del frate il quadro sarebbe però stato terminato nel 1647 (non si tratta di una svista: il quadro era stato concepito per commemorare Aprosio ai suoi 40 anni -forse in realtà un dono di compleanno?- come detta un’altra scritta: la conclusione tardiva dell’opera nel 1648 avrebbe stonato con l’evento e con la datazione della scritta). L’allusione iconografica dell’insieme (con il cartiglio “nec non mors”) vorrebbe alludere alla sopravvivenza dell’Aprosio nel dipinto e quindi nella grande opera della sua “Libraria”, capace per la sua importanza di astrarre il suo creatore dall’oblio del tempo. (Del Ridolfi, oltre a questo lavoro, Aprosio deteneva anche due altre tele [una “Crucifissione” ed un “Cristo coronato di spine e la Vergine dolente”, poi conservate nella “Sagrestia” del convento e quindi giudicate perdute]: La Biblioteca Aprosiana, cit. p.587-588> B.DURANTE , Il ritratto aprosiano di Carlo Ridolfi cit., in “II Quaderno dell’Aprosiana-Miscellanea di Studi”, Nuova Serie, II, 1994, pp. 24 - 25)


Scudo di Rinaldo> per comodità qui distinto in:
Lo Scudo di Rinaldo I> (alla “Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze”, con segnatura “Magli.3.8.591, si conserva una ristampa di questa prima parte dell’opera, sempre editata dallo Hertz nel 1654): Come il “terso adamantino scudo” che il paladino Ubaldo pone davanti a Rinaldo rivela all’amante disertore del Tasso (Gerusalemme Liberata, XX, st.29-30) così lo Scudo aprosiano dovrebbe provare ai contemporanei la loro decadenza morale. E’un’operetta vispa e pungente con forti toni di
misoginia ed antifemminismo oltre che dai guzzi lubrichi in cui, molto parzialmente, si colloca qualche passo dell’antidonnesca Maschera Scoperta di Filofilo Misoponero. All’antifemminismo è senza dubbio riservata una bella sequela di capitoli (tutti variamente dedicati a diversi amici e corrispondenti dell’Aprosio): sunteggiando la massa delle osservazioni antidonnesche si può evidenziare che per l’Aprosio giovane (ed ancora non disilluso da certe prepotenze maschili, travestite di giustificazioni politiche, estetiche od ideologiche) la donna è vanitosa (cap.II, IV, VII, XIX, XXIV, XXV), peccaminosa (cap. VI, XXIX), avida (cap.IX, X), crudele verso gli uomini (cap.XXIX, XL, XLI) e per conformazione naturale adultera e traditrice (cap.XLIV): per questo Aprosio -ma poi si ricrederà, almeno in parte!- la volubile donna sostanzialmente è definibile dal titolo del cap. XXXVII (“Che cosa siano le donne. Un mazzo di Carte”).
Lo Scudo di Rinaldo II, qui registrato tra i manoscritti della Biblioteca Universitaria di Genova (Ms.E.II.37), non fu pubblicato, ufficialmente per gli eccessi di argomenti erotici: a rigor del vero si direbbe invece che la censura ecclesiastica abbia condizionato la stampa del lavoro (sempre che, data la vastità, ogni ipotesi di stampa fosse già caduta per ragioni economiche) per il sorprendente emergere di toni anticlericali, specie avverso le monacazioni forzate e l’avarizia di tanti religiosi nei cap. XIV e cap.XV per esempio: questo lavoro, adesso, è in gran parte edito ne Il “Quaderno” N.S.(1993) dell’Aprosiana.


La Sferza poetica> opera complessa, polipotente, distinta in 27 capitoli dedicati ad altrettanti personaggi. Ha finalità “difensive” dell’Adone e mira, con una certa spregiudicatezza, a codificarlo quale opera rispettosa del regolismo aristotelico e tardocinquecentesco, contro le ipotesi dello Stigliani, abbastanza frainteso da Aprosio (si veda anche sulla questione: F.CROCE, Tre momenti del Barocco Letterario Italiano, Firenze, 1966, p.96, 99, 112, 116, 195): I capitolo I (dedicato al Michièl) è metodologico: nei cap. III (al conte bolognese Andrea Barbazza/-i, p.13-18), IV (al marinista messinese Scipione Errico, p.19-44), XII (a Severino di Giovanni Benizonio, p.95-100) collazionando, rivisitando poemi e, con un’occhiata distratta alla Poetica aristotelica, sfruttando i lampi d’un’ostentata erudizione, Aprosio intende teorizzare che la favola d’Adone è “una, compiuta, linguisticamente corretta”. Gli altri capitoli ruotano attorno a questi nuclei ideologici e svolgono funzione completiva.


La Spugna> Ms.E.II.32- Opera tarda, mai editata forse perché sostanziale doppione della Sferza Poetica e comunque testo di critica letteraria o meglio di intervento polemico ormai superfluo sulla spenta diatriba Marino-Stigliani.


STIGLIANI, TOMMASO (Matera 1573-Roma 1651). Di nobile famiglia Stigliani si recò presto a Napoli, conoscendovi certo il Marino e forse anche T.Tasso. Ancora giovane editò il Polifemo (Milano, per il Ciotti, 1600), un poemetto pastorale, ed appena un anno dopo (sempre per lo stesso stampatore ma nella tipografia di Venezia) la raccolta poetica Delle rime. Per breve tempo cortigiano di Carlo Emanuele I di Savoia, si sistemò quindi (1603) presso Ranuccio Farnese duca di Parma come gentiluomo di corte e segretario. Fece allora pubblicare il suo Canzoniere (ancora a Venezia, per il Ciotti, 1606), raccolta che, per alcuni Indovinelli erotici ma secondo Tommaso soprattutto per colpa del Davila (che sfidò a duello rimanendone però ferito) fu messa all'Indice dei libri proibiti”. Riparato a Napoli potè rientrare a Parma solo per intercessione del cardinale Cinzio Aldobrandini: di nuovo al sicuro ed eletto principe dell’Accademia degli Innominati si diede alla stesura dei primi 20 canti del suo poema Il mondo nuovo (Piacenza, per il Bazachi, 1617) in cui si lasciò andare ad alcune allusioni pesantemente critiche contro l’allora trionfante G.B.Marino, sì che finì per accendersi contro l’ira dei suoi tanti partigiani ascritti all’Accademia degli Invidiosi. Fuggì ancora da Parma, quindi, nel 1621 e prese dimora a Roma, ove, sotto la protezione di Virginio Cesarini, riuscì nell’intento d’entrare al servigio prima del cardinale Scipione Borghese e quindi di Pompeo Colonna. La sua attività letteraria crebbe di intensità: curò (a Roma, per il Mascardi, 1623) l’edizione del Saggiatore, fece quindi stampare una nuova edizione del Canzoniere che, privata dei carmi “osceni”, superò l’investigazione del Santo Ufficio (Roma, Manelfi, 1623) e poi ancora editò l’opera critica (Dell’occhiale, Venezia, per il Carampello, 1627) che da un lato lo rese celebre ma dall’altro gli suscitò addirittura l’odio dei più fanatici seguaci del Marino contro il quale mosse severe osservazioni in nome di un più controllato modo di poetare, per cui l’esperienza barocca, rifuggendo dagli sperimentalismi più estremi, si inquadrasse entro gli schematismi della tradizione tardorinascimentale e della grande esperienza tassesca: a conclusione di questa fervida attività realizzò l’edizione definitiva del Mondo Nuovo per il Manelfi, a Roma, nel 1651 (il rimario Arte del verso italiano, opera cui si dedicò con grande cura, vide al contrario, la luce dopo la sua morte nel 1658).


VAGABONDI, ACCADEMIA DEI V. di TAGGIA (TABIA)> A Taggia, quindi nell’Imperiese, il 19 agosto 1668 nell’abitazione del facoltoso Giovanni Stefano Asdente (in cui si tennero mediamente le adunanze degli ascritti) fu istituita l'Accademia dei Vagabondi il cui stemma era un sole raggiante: Angelico Aprosio vi venne ascritto col nome de “L’Accademico Aggirato”. Dell’eventuale produzione letteraria non sono sopravvissute tracce significative. Qualche cosa, a livello manoscritto come alcuni sonetti raccolti nel secolo scorso dall’erudito locale canonico Lotti, è rimasta soltanto del “Principe” dell’Accademia, poligrafo instancabile ma solo d’interesse locale, tal avvocato Giovanni Lombardi.


Il Vaglio Critico> Aprosio si nasconde sotto lo pseudonimo di “Masoto Galistoni da Terama”, che è anagramma di “Tommaso Stigliani da Teramo”, e si vuol presentare come l’anti-Stigliani, lo Stigliani rovesciato. E’ un commento programmaticamente scientifico, ma in vero carico di faziosità, al poema il Mondo Nuovo di T. Stigliani, poeta e teorico notoriamente antimarinista in nome soprattutto di un certo rigore formale ispirato alla potente tradizione classica di derivazione tardo rinascimentale: le accuse aprosiane all’opera stiglianea mancano ancora dell’affettazione delle opere più tarde, sono spesso grevi e non di rado “volgarotte” e “personali”, in più d’un caso risultano speciose e poche volte, al contrario, ben strutturate (incongruenze concettuali e formali, cacofonie, aggettivazione incoerente od estranea all’uso sarebbero i principali limiti del Mondo Nuovo). La genesi tipografica del lavoretto risulta curiosa: ritenendo Treviso piazza culturale mediocre e Righettini uno stampatore di “cartacce da vendersi a risma”, Aprosio falsifica indicatori e testimoni bibliografici allo scopo di conferire sia intrigante esotismo che maggior prestigio formale alla sua fatica critico-letteraria: anche la tiratura è limitata (di 500 copie) però il libro, spedito in gran parte in omaggio ad illustri personalità sostenitrici del Marino contro lo Stigliani, acquista ad Angelico molte amicizie in Venezia, tra cui quelle del Loredano e del Michiele che gli “spalancano” le porte dell’Accademia degli Incogniti (v. Biblioteca Aprosiana, p.113).


Le Vigilie del Capricorno> operetta critico-erudita ma soprattutto apologetica delle Epistole Eroiche del colto avvocato napoletano Lorenzo Crasso: più che per il valore intrinseco il lavore è importante come testimone critico degli straordinari contatti che Aprosio ebbe con l’ambiente culturale napoletano e meridionale in senso più generico: per un’ulteriore conferma di questo assunto si segnala la lettura di CLIZIA CARMINATI, Lettere di Federigo Meninni al Padre Angelico Aprosio in “Studi Secenteschi”, 1995, pp.185-222.


VILLANI, NICCOLO’ o NICCOLA ma spesso scritto Nicola (Pistoia 1590 - Roma 1636). Aristocratico, dagli ottimi studi umanistici, si impiegò al servizio del cardinale Tiberio Muti, soggiornando dapprima a Roma. Si spostò quindi in Grecia e poi a Venezia per tornare, molto dopo, a Roma sotto la protezione del cardinale Francesco Barberini. Compose versi satirici e scherzosi sia in italiano che in latino, redasse l’incompiuto poema eroico in ottave Della Fiorenza difesa (Roma, per il Landini, 1641), scritti di varia erudizione e commenti su opere del Mussato e del Loschi. La sua fama si deve però ascrivere alla partecipazione al dibattito sull’Adone del Marino, in cui intervenne più volte con vari pseudonimi: L’uccellatura di Vincenzo Foresi all’Occhiale del cavalier T. Stigliani (Venezia, per il Pinelli, 1630), le Considerationi di messer Fagiano sopra la seconda parte dell’Occhiale del Cavalier Stigliano (ibid. 1631), il Ragionamento dello Academico Aldeano sopra la poesia giocosa de’ Greci, de’ Latini e de’ Toscani. Con alcune poesie piacevoli del medesimo autore (ibid. 1634).


Visiera Alzata> catalogo in ordine alfabetico per “nomi disvelati” degli pseudonimi utilizzati da vari autori, ad altri critici e bibliofili sfuggiti, onde segretamente redigere opere di varia natura: si rivela un utile contributo per spiegare gli autori con pseudonimi (a volte di buon livello) d’opere altrimenti di non chiara decifrazione> fu lungo lavoro quello d’Aprosio (condotto prima che in quest’opera per via di lettere, relazioni, parziali scritti su altre sue opere) al fine di indagare tra pseudonimi ed autori di plagi, lavoro che peraltro non mancò di procurargli apprezzamenti ma anche stizzite rimostranze. L’operetta non fu pubblicata dall’Aprosio ma uscì postuma solo grazie all’intervento di Antonio Magliabechi e di D.A.Gandolfo che la editarono con qualche utile aggiustamento: ad essa, rispettando la titolatura data a queste sue opere nei manoscritti da Aprosio, fu fatta seguire nello stesso volume l’omologa Pentecoste) Segue: Pentecoste di altri scrittori che andando in maschera fuor del tempo di Carnevale son scoperti da Gio.Pietro Giacomo Villani senese, accademico Ansioso e Infecondo... (Pentecoste> continuazione della Viziera Alzata, opura postuma curata ed aggiornata su un cannovaccio aprosiano da A. Magliabechi, bibliotecario mediceo di Firenze, quasi certamente in cooperazione con D.A.Gandolfo successore d’Aprosio alla direzione della biblioteca di Ventimiglia.


Angelico Aprosio fu amante, oltre che delle lettere, anche dell'arte in genere e specificatamente delle arti figurative e pittoriche come peraltro attestano varie sue osservazioni su artisti liguri del suo e del secolo precedente come il Cambiaso, il Paggi, Bernardo Castello, G. B. Carlone, Giovanni Andrea de' Ferrari.
A prova di ciò, presso il Fondo Aprosio della B.U.G. (Biblioteca Universitaria di Genova) si trovano anche , nel vasto epistolario dei corrispondenti dell'erudito frate agostiniano, varie lettere dei più affermati pittori, liguri e non a lui contemporanei.
Fra quelli di ambito genovese meritano di essere segnalati il Fiasella, detto il Sarzana, Luciano Borzone e Gio. Battista Casoni.
Ad una lettera di quest' ultimo sono allegati due componimenti in dialetto genovese, con i quali il F. Fulgenzio Baldani si rivolge al Fiasella che tarda a terminare il suo ritratto:
A ro Segnò Domenego Fiaxella Ecc.mo Depentò
Me moere a fame comenzè in un dì
e puescia m noeve meixi a me finì.
Voi, quanto vorei stà
a finime, FIAXELLA, de retrà?
Sento che respondei:
In pochi meixi te finì to moere
perche' a te fa morta come to poere:
Ma mi che t 'ho da dà con l'arte mé
Vera immortalité
D'havei poco ciù tempo e ro d'havei.
Voi me di ben: ma pù haverei piaxei
De presto vaghezame in questa teira
Prima che me s'amorte ra candeira

("Al sagnor Domenico Fiasella eccellentissamo pittore. / Mia madre cominciò a farmi un certo giorno / ed in seguito mi compì dopo nove mesi. / Voi Fiasella, quanto tempo volete / impiegare per ritrarmi completamente? / Sento che rispondete: / Tua madre ti finì in pochi mesi / perché ti fece mortale come tuo padre. / Ma io che ho da darti con la mia arte / l'immortalità / ho ben diritto d'aver un po' più di tempo. / Voi parlate bene, ma avrei più piacere / se presto potessi contemplarmi in questa tela / prima che si spenga la candela).
Altro:
0 ti, che miri, attendi:
Questo è un quadro composto da tre grandi:
Domenego FIAXELLA è ro pittò,
Fre Fulgentio dri versi è l'inventò;
E Francesco PISAN
O ra trascritti de so propria man,
Se te digo boxia
Non me mira mae ciù, vatene via

(Fai attenzione tu che guardi: / questo èun, quadro composto da tre grandi: / Domenico Fiasella è il pittore, / Fra Fulgenzio dei versi è l'inventore: / e Francesco Pasano / li ha trascritti di sua mano. / Se ti dico una bugia / non guardarmi mai più, / vattene via).
[Le due liriche sono custodite nella parte inedita (IV) del repertorio La Biblioteca Aprosiana]



GIOVANNI FRANCESCO NEGRI (Bologna 1593 - 1659) architetto (fu autore della pianta della chiesa dei Gesuiti in Bologna) e pittore bolognese, figlio di Giovanni Battista e Caterina Cipolli, conosciuto nel secolo anche come letterato e fondatore nel 1640 dell'Accademia petroniana degli Indomiti che tenne in casa sua le prime adunanze: raggiunse discreta fama per la traduzione in dialetto bolognese della Gerusalemme Liberata, con il titolo La Gerusalemme Liberata/ del Signor Torquato Tasso/ tradotta in lingua popolare antica/ di Bologna per Gio. Francesco Negri/ pittore con l'originale a canto per comodità/ di chi legge e le annotazioni a ciaschedun/ canto di Fabritio Alodnarim./ All'Eminentissimo e Reverendissimo Signore/ Cardinale Spada, mai stampata (ma fatta circolare in copie fra gli eruditi italiani) e conservata in diversi esemplari presso la Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio di Bologna ed in quella Universitaria (Denise ARICO’, Il Patetico grottesco - "La Gerusalemme Liberata" Bolognese di Gio. Francesco Negri in "Studi Secenteschi", XXVI - 1985: parte di pubblicazione, interrotta alle ottave del canto XIII, "in folio" avvenne per l'Orlandi a Bologna nel 1628) Allievo per due anni in Venezia del più celebre Odoardo Fialetti, autore degli inediti Annali delle Storia di Bologna e delle Crociate, il Negri fu considerato un eccellente ritrattista meritandosi il nome di Negri de' ritratti (Carlo Cesare MALVASIA, La Felsina Pittrice. Vite de' pittori bolognesi per l'edizione bolognese -1841- del Guidi all'Ancora, parte II, pp. 236 - 237 = Le Glorie de gli Incogniti o vero gli huomini Illustri de' Signori Incogniti di Venetia, in Venetia, appresso Francesco Valvasense, 1647, pp.163 - 164): per il suo "museo pittorico" fece un ritratto di Angelico Aprosio poco prima di metà XVII secolo. Come si evince dalla lettura del capitolo XXXII della Grillaia, Aprosio, cui il Negri - presso il quale il frate anche soggiornò essendo in viaggio per Roma aveva donato alcuni suoi sonetti in dialetto bolognese e suggerito nel 1651 il titolo del "Grillo" ovvero Serie degli Imperatori Romani, chiede al figlio Bianco Negri che gli spedisca come promesso dal padre il di lui ritratto e copia di un'opera in poesia, la “Guerra Sacra”, da Francesco fatta stampare poco prima della morte. Peraltro, alle sollecitazioni in merito dell'Aprosio, lo stesso Francesco Negri aveva risposto con una lettera scritta da Bologna il 10-III-1659 poco tempo prima di morire ove si legge: m'hanno fatto indugiare la dovuta risposta alla gentilissima lettera di V.S. le Chiragre [intendi “chiragra” = grecismo medico per indicare una forma di gotta che colpisce le mani], cha tutto questo Inverno m'hanno tenuto in letto, e le molte occupationi dopo cessate. Hora che posso, rispondo, rendendole infinite gratie della memoria, che tiene d'un suo servitore. E quanto alla sodisfatione di mandarle il mio ritratto, procurarò di servirla: che quando potrò levarmi di letto, dove sono dal giorno di S. Luca in qua, ne farò uno nell'età che mi trovo e gliene invierò un transunto, sì come ancora accoppiarò la Guerra Sacra che già cantai grezzamente, con la Historia di essa, che ho raccolta e fatta stampare ma non ancora publicata, e fin tanto che la Dedicatoria non sarà presentata al Papa non si publicarà [allude alla Prima Crociata, overo lega di militie christiane segnalate di Croce Liberatrice del Sacro Sepolcro di GIESU' Christo, e del regno di Terra Santa, stampata a Bologna dal 1658 dal Ferroni]. Che è quanto m'occorre dirle con angustia di tempo, mentre per fine la riverisco./ Bologna li 10 Marzo 1659/ Di V.S.& Humilissimo divotissimo e cordialissimo servitore/ Gio. Francesco Negri (B. U. G., Manoscritti Aprosiani: lettera, sotto data, di Francesco Negri): Bianco Negri, verisimilmente verso la fine del 1668, mandò poi un ritratto paterno da mettersi nella Pinacoteca aprosiana in Ventimiglia assieme al libro richiesto, appunto la Prima Crociata, overo Lega di Militie Christiane, segnalate di Croce, Liberatrice del Sacro Sepolcro di Giesù Christo e del Regno di Terrasanta. Raccolta da Gio. Francesco Negri Bolognese. In Bologna, presso G.B.Ferroni, 1658 (in folio). L'altro figlio Alessandro, Protonotaro apostolico e Canonico della Collegiata di S.Petronio in Bologna, fautore dell'Aprosiana e studioso di monumenti antichi donò inoltre al Ventimiglia Maniliani Bononionsi Monumenti Historico Mystica Lectio, Interprete Alexandro Nigro, lo. Francisci Filio l.V.D. Perinsignis Collegiatae Ecclesiae Bonon. Canonico, Protonotaro Apostolico, Bononiae, Typis HH. de Ducijs, 1661, in 4° (Alessandro aveva anche fatto fare un suo ritratto da donare alla Biblioteca dell'Aprosio per risultar effigiato a fianco del padre ma dopo la sua precoce morte nel 1661 -registrata in Bibliot.Apros., cit., p.315- la trascuratezza del fratello Bianco fece sì che l'opera, mai giungesse in mano del bibliotecario intemelio).



Il medico di Messina PLACIDO REINA fu amico e corrispondente di Aprosio (oltre che FAUTORE cioè pubblico sostenitore con donativi della "Libraria intemelia": non bisogna peraltro mai dimenticare le intime relazioni del frate agostiniano di Ventimiglia con l'ambiente culturale centro-meridionale e siciliano (in particolare con l'"Accademia della Fucina" di Messina cui apparteneva il Reina) e specificatamente con singoli letterati tra cui, oltre il citato REINA (talora scritto anche REJNA, che omaggiò il frate intemelio di un suo RITRATTO tuttora presente nella pinacoteca della biblioteca della città ligure) Scipione Errico, Giovanni Ventimiglia, Antonino Merello Mora.
Del Reina si sa che morì nel 1671 e che pubblicò soprattutto opere di contenuto storico anche se con Angelico Aprosio aveva in comune la perizia della lingua spagnola sì che si affermò anche come valido traduttore.
L'opera da cui ebbe fama fu però il Delle notizie istoriche della citta di Messina / di Placido Reina , in Messina, 1658 [che ebbe un'apprezzata ristampa nel 1743].
Utilizzò comunque anche lo pseudonimo di ANDREA POCILI (propriamente pseudonimo anagramma di PLACIDO REINA, alla maniera peraltro che CORNELIO ASPASIO ANTIVIGILMI risulta pseudonimo anagramma puro di ANGELICO APROSIO VENTIMIGLIA): su ciò si veda G. Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime, Milano 1848-1859 v. II, p. 351 e British Library, Catalogue of seventeenth century Italian books, v.II, p. 693.
Sotto lo PSEUDONIMO di ANDREA POCILI egli editò la monografia Delle riuolutioni della città di Palermo auuenute l'anno 1647. Racconto d'Andrea Pocili, in Verona, per Francesco Rossi, 1648 (che ebbe una riedizione, con relative aggiunte l'anno successivo: Delle riuolutioni della città di Palermo auuenute l'anno 1647. Racconto d'Andrea Pocili. Co'l racconto delle cose successe nell'anno 1648, in Verona, per Francesco Rossi, 1649.


Il CONTE BERNARDO MORANDO (anche scritto MORANDI) è effigiato in un RITRATTO tuttora custodito alla ventimigliese Biblioteca Aprosiana: l'autore è nel suo secolo, una figura letteraria e sociale di un certo rilievo. Di origini mercantili(Sestri Ponente 1589 - Piacenza 1656) si trasferisce a Piacenza nel 1612 per sbrigare alcuni oneri commerciali della famiglia; il soggiorno diviene col tempo stabile residenza nella città che, con Parma, costituisce il ducato dei Farnese. l meriti mercantili, politici e soprattutto letterari lo rendono gradito ai duchi Odoardo (1622-1646) e Ranuccio II (1646-1694) che lo gratificano nel '49 dell'ascrizione alla nobiltà locale, investendolo nel 1652 del feudo di Montechiaro [D. BIANCHI, B. Morando prosatore. B. Morando verseggiatore, in Atti dell' Accademia Ligure di Scienze e Lettere, 1959, pp. 110-22 - E. CREMONA, Bernardo Morando, poeta lirico drammatico e romanziere del Seicento, Piacenza, 1960 - D. CONRIERI, Il romanzo ligure dell' età barocca, in Annali di Sc. Norm. Sup. di Pisa, IV, 3, 1974, pp. 1074-88 - Romanzieri del Seicento, a. c. di M. CAPUCCI Torino, 1974, pp. 44-48, 529-572].
Il RITRATTO DEL CONTE BERNARDO MORANDO non risultava comunque ingressato nella PINACOTECA dell'APROSIANA all'anno 1673: altrimenti ciò sarebbe stato menzionato da Angelico Aprosio, come fatto in tutti gli altri casi, nelle glosse a stampa riportate nell'Indice de' Fautori dell'Aprosiana che va da p.XXIX a p.L del repertorio a stampa del 1673 (Bologna, per li Manolessi) intitolato La Biblioteca Aprosiana.
Il QUADRO in questione fu fatto pervenire all'Aprosio dagli EREDI DI BERNARDO MORANDO coi quali egli tenne una certa corrispondenza (vedi alla B.U.G. le "lettere dei corrispondeti di A. Aprosio" in "fondo Aprosio"): nello Scudo di Rinaldo - parte II Aprosio rammenta i figli di Bernardo cioè il CONTE GIOVANNI FRANCESCO MORANDO ed il CONTE GIOVANNI CARLO precisando però che essi ricevettero notevole collaborazione per salvaguardare la memoria del padre dai nipoti di BERNARDO MORANDO e precisamente OTTAVIO, GIOVANNI MARIA e GIOVANNI BERNARDO (non a caso dalle sinergie intercorse tra fratelli e cugini ebbe origine la stampa dell'OPERA OMNIA del romanziere: i 4 volumi delle sue Opere edite a Piacenza per i tipi del Bazachi nel 1662).
Stando alle informazioni reperibili Angelico Aprosio ebbe in particolare eccellenti rapporti col figlio del romanziere GIOVANNI CARLO e con OTTAVIO MORANDO figlio del fratello di Bernardo di nome G. BATTISTA MORANDO: proprio ad OTTAVIO il frate ventimigliese dedicò il capitolo XVIII dello Scudo di Rinaldo - parte II (per tutte queste notizie vedi di B. Durante il numero monografico Angelico Aprosio il "Ventimiglia": le "carte parlanti d'erudite librarie" in "Quaderno dell'Aprosiana", Nuova Serie, I, 1993, pp.11-12 e p.83).
Aprosio non potè fruire a lungo dell'amicizia, comunque sincera di Bernardo Morando (che tra l'altro lo inserì come coprotagonista in un suo romanzo La Rosalinda) vista la morte nel 1662 del romanziere: egli peraltro conobbe Bernardo in modo relativamente fortuito nell'ottobre del 1643 grazie all'intermediazione del pittore LUCIANO BORZONE amico di entrambi.
Ad elogio di LUCIANO BORZONE, che gli aveva fatto un RITRATTO, il Morando pubblicò nelle sue Fantasie varie il seguente sonetto (ripubblicato da Aprosio nel suo Catalogo del 1673): "Al Sig. Luciano Borzone Pittore, e Poeta/ Borzon, che con la Penna, e col Pennello/ Agguagli la Natura, e vinci l'Arte,/ Poca lode in te sia, mentre in lodar te;/ Sol gran Poeta, e gran Pittor t'appello.// L'uno i color di questo volto, o quello/ Ritrar non può con vivi inchiostri in carte,/ L'altro non sà dell'incorporea parte/ Co' i color morti, effigiar il bello.// Mà tu, con doppio honor che pingi, e scrivi,/ L'Alma, e il sembiante altrui li manifesti,/ Ch'il Volto in tele, il Nome in carte avvivi.// D'Alessandro, e d'Achille in un potresti/ Ritrar con tinte morte, e inchiostri vivi,/ Più d'Apelle, e d'Omero, il volto, e i gesti".
LUCIANO BORZONE (nato a Genova nel 1590) potè ancor meno partecipare della triplice amicizia che aveva instaurata visto che scomparve nel 1645 mentre realizzava la sua ultima opera ovvero l'Adorazione dei pastori dell' Annziata del Vastato (morì infatti per una devastante caduta dal palco su cui lavorava alla tela, che fu condotta a termine dei figli): autore dal talento discontinuo a volte il Borzone dovette accontentarsi di "sopravvivere" realizzando ritratti come quello dedicato al MORANDO che si ritiene poi trasmesso dagli EREDI DEL ROMANZIERE alla PINACOTECA eretta da Angelico Aprosio ad ornamento della sua grande BIBLIOTECA = sul BORZONE vedi AA.VV., La Pittura in Italia, Il Seicento, tomo II, Electa, Milano, 1989, pp. 648 sgg.