cultura barocca
CASTELLO DI DOLCEACQUA

CASTELLO DI DOLCEACQUA
(ORIGINE, ASSEDI E DISTRUZIONE)

QUESTO E' UN SETTORE DI APPROFONDIMENTO

Mentre è documentata, per fonti scritte ed archeologiche, l' occupazione greca nella valle Argentina, a proposito del territorio intemelio e del retroterra nervino i dati restano generici. Visto che il limite di Costanzo si stendeva sull'arco ligustico per difenderlo da altre invasioni barbariche bisogna dedurre che un sistema militare fosse stato organizzato a controllo della direttrice della via romea del Nervia.
Se in linea archeologica si può supporre che 2 barriere potessero esistere a Camporosso contro le invasioni montane ed al Porto nervino contro i saccheggi dal mare (a prescindere dall'oscuro significato di un gigantesco monolite rinvenuto a guardia di percorsi nell'alta valle, da sempre detto Bauso di San Giorgio con toponimo di probabile ascendenza greco-bizantina) è ormai quasi certo, alla luce di recenti acquisizioni, che l'originario FORTILIZIO DI DOLCEACQUA fosse stato tenuto da un contingente greco preposto al controllo dei collegamenti.
A tale idea non soccorre solo il parallelismo morfologico con il forte greco di Campomarzio ma ancor più il fatto che le 2 località fossero collegate da percorsi trasversali e che entrambe permettessero di sorvegliare il fondovalle, stando al sicuro sopra uno sperone a strapiombo su un'ansa dei corsi d'acqua: né bisogna dimenticare che a Dolceacqua si concentravano diversi percorsi montani e che da tal luogo la via trasversale proseguiva verso la valle del Roia sin ai forti ventimigliesi. Il castro bizantino sarebbe stato altresì in collegamento con 2 torri militari vicine, una nella località "Praelli" ed un' altra poi conglobata nella chiesa di S.Giorgio ( verisimilmente a guardia del complesso demico, donde per un guado fluviale si accedeva alla roccaforte non lungi dalla riva levantina del Nervia).
L'analisi sistemica del castello di Dolceacqua ha permesso di enucleare almeno quattro fondamentali interventi architettonici, il primo dei quali è stato datato, un pò genericamente, fra i secoli antecedenti il Mille e la II metà del Duecento: vi si riconobbe un piccolo complesso feudale, con MASTIO angolare a pianta quadrata e cinta difensiva turrita con evidenti derivazioni dai fortilizi di guardia altomediovali.
A prescindere dalla peculiarità che il tipo strutturale della torre circolare sia comparso nel settentrione italiano solo nel XV sec. mentre nel Lazio era stato un retaggio della DOMINAZIONE BIZANTINA e del sistema difensivo militare su cui vertevano sia Esarcato sia la Pentapoli: bisogna comunque precisare che la torre cilindrica del forte di Dolceacqua non svolse mai funzione di MASTIO ma appartenne ad una struttura difensiva perimetrale propria del rifacimento della più antica cinta muraria conosciuta.
In base alle ultime ricerche si può affermare che il fortilizio di Dolceacqua, nel XII sec., doveva già essere il risultato di varie stratificazioni murarie: fra i relitti delle costruzioni precedenti risulta significativo il basamento di una più antica torre quadrata mentre vari ambienti per servizi, scoperti a Nord del cortile, fanno ipotizzare l' arcaica esistenza di un piccolo organismo militare che si avvaleva in origine della protezione naturale offerta in gran parte dallo strapiombo a picco del colle.
La genesi morfologica di quanto è ricostruibile su tale struttura rimanda per vari aspetti ai connotati del sito difendibile con pochi uomini purchè provvisto di un meccanismo di approvvigionamenti (ed in questo caso si deve segnalare la cisterna, per il rifornimento idrico, del pi¨ antico cortile): in linea comparativa con la struttura limitanea greca di Campomarzio, è sostenibile che negli strati inferiori del castello di Dolceacqua possa occultarsi una GENESI BIZANTINA, tenendo anche conto del fatto che gli ingegneri imperiali di Costanzo, per ovviare alle carenze di organico militare, progettavano i fortilizi del Limes in modo da sfruttare al massimo le posizioni strategiche e le protezioni naturali del terreno (secondo la tecnica romana delle fortificazioni limitanee nei Balcani, laddove castelli e forti stavano a guardia di inaccessibili passi e gole, rimanendo in contatto fra loro per via di un controllo capillare delle strade montane).
Il castello di Dolceacqua proprio perchè dominava la valle del Nervia, con enormi vantaggi militari per chi lo occupasse, patì DIVERSI ASSEDI con armi specifiche di cui è rimasta menzione in alcuni CODICI DISEGNATI E MANOSCRITTI.
Nel 1181 il castro dolceacquino venne ricordato, assieme a quello di Balbaira (Rocchetta), dal conte Oberto di Ventimiglia che, essendo in guerra coi suoi cittadini, espresse pubblica lagnanza pei danni arrecatigli dai ribelli in questa parte del contado: è interessante notare che suo figlio, quasi avesse seguito un percorso strategico, per sfuggire ai nemici aveva abbandonato al saccheggio il castello di Dolceacqua onde rifugiarsi coi suoi in quello di Rocchetta : dopo una nuova sconfitta, sceso in val Roia, s'era trincerato nel forte comitale di Sancta Agneta (S.Agnes) ove fu ancora sconfitto dai ribelli, che tra l'altro uccisero il castellano del luogo, 3 uomini ed una donna.
Nell'agosto 1454 e nell'aprile 1458 il Castrum Dulcisaquae patì 2 altri assedi, ad opera dei Guelfi, appoggiati dai Signori di Monaco: in occasione dell'ultimo, come si evince da un atto del notaio Giraudus, gli Ufficiali di Guerra intemeli, che (oltre alle solite BALISTAE ed ONAGRI) avevan portate alcune BOMBARDE o rudimentali bocche da fuoco, allo scopo di prendere il castro fecero scavare un fosso che correva sulla sponda sinistra del Nervia dalla barbacana (terrapieno difensivo della cinta muraria) in direzione Sud.
Delle prime BOMBARDE si ha notizia già nel XIII sec. ed erano fatte di verghe di ferro disposte come le doghe delle botti e saldate e rinforzate esternamente da cerchi di ferro> in tempi successivi vennero fuse in ferro, bronzo od altre leghe metalliche (erano costituite di due parti: la tromba in cui si metteva la palla in pietra , od anche vario materiale contundente, e la posteriore -detta gola o coda- dove stava la carica di lancio. Vista la data dell'assedio è fattibile che si trattasse di un'arma già più evoluta -con il termine bombarda si indicò generalmente l'artiglieria fino all'avvento del cannone a fine '400- e, tenendo conto che ci si riferisce a truppe assedianti è fattibile che le nominate bombarde corrispondessero alla tipologia del mortaro o trabocco tipico delle forze di terra impegnate in un assedio: non è da escludere invece che il castello avesso una dotazione di spingarde a mascolo: il nome spingarda dapprima indicava artiglierie sottili e ad anima lunga e quindi passò ad indicare armi da fuoco portatili a canna più lunga dell'ordinario, quasi sempre a mascolo cioè incavalcate su affusti a ruote.
Dal documento notarile emerge quello che sarà un difetto costituzionale del Castro, ideato in tempi antichi per ben altre armi: se nel XV sec. già preoccupavano le Bombarde che scagliavano per breve tratto ed imprecisamente i proiettili di pietra, è evidente che il fortilizio sarebbe stato inerme difronte alla buona artiglieria con cui i Gallo-Ispani avrebbero poi tormentata Dolceacqua nel XVIII sec. (Storia del Marchesato...cit., cap. I e Doc. II).
La DISTRUZIONE DEL CASTELLO di Dolceacqua, nonostante i diversi assedi patiti nei secoli, risale al periodo della guerra di successione al trono imperiale austriaco di metà '700 quando, nell'ambito di questo conflitto europeo e coloniale, il fronte occidentale assunse un rilevo straordinario nella contesa tra le armate congiunte di Francesi e Spagnoli, [per cui Ventimiglia medievale divenne in vari momenti una sorta di fronte avanzato e fortificato] protette sulla costa ligure dalla flotta inglese, e gli eserciti di Austria e Piemonte (Regno di Sardegna) i quali, dopo varie difficoltà, avrebbero realizzato e controllato un vasto sistema di fortificazioni che procedeva dal pignasco, si potenziava sulle alture di Dolceacqua e si estendeva verso la foce del Nervia [entro cui eressero postazioni di batterie, realizzandovi anche un "bastione militare detto di S.Pietro" e le cui sponde collegarono per via di un ponte ligneo, disposto sfruttando certe isole nel torrente, che permetteva loro di stare in contatto con la ridotta Guibert, l'agro dei Piani di Vallecrosia ed i quartieri militari di Bordighera] il Campo di Nervia ove [a causa di tonnellate di sabbia trasportata per secoli dal vento e poi per i ripascimenti di un vasto terreno agricolo divenuto verso metà del XIII sec. Prebenda del Capitolo della Chiesa Cattedrale di Ventimiglia medievale] stavano sepolti i resti della Ventimiglia romana.
Dal piano del Campo le fortificazioni austro-sarde giungevano sin alla loro testa di ponte ricavata nel fortificato (tra 1746-'47) Convento di S. Agostino nell'attuale sito di Ventimiglia moderna mentre altre fortificazioni, nel pieno della guerra e dopo le grandi opere di edilizia militare portate avanti dagli austriaci, si ramificarono ovunque provenendo dall'area del Convento di Dolceacqua e seguendo antichi tragitti, provvisti di complessi bellici di difesa o di attacco snodantisi fin al sistema montuoso minacciosamente gravitante su Ventimiglia di Maure/Siestro/S.Giacomo e già usato ai tempi della conquista genovese della città.
Nei primi anni della guerra, ai tempi dell'avanzata dei Francesi e degli Spagnoli, che facilmente conquistarono Ventimiglia [a scapito delle forze nemiche ma anche della repubblica di Genova, ambiguamente neutrale quanto strategicamente importante, soprattutto indifesa e con un Dominio destinato ad esser percorso più volte da eserciti stranieri in guerra da loro e causa di danni gravissimi] il GENERALE SPAGNOLO MARCHESE LAS MINAS fu il vero "DISTRUGGITORE" del CASTELLO di DOLCEACQUA che costituiva ormai un sistema fortificato del tutto superato e rispondente piuttosto ai criteri bellici del rinascimento.
Esso era difeso mirando infatti soprattutto alla protezione del ponte sul fiume e non delle colline circostanti. Sui bastioni si potevano contare tre cannoni in bronzo, due "sagri" o "colubrine" (armi tipiche del XVI secolo che sparavano palle in ferro del peso di 12 libbre), un mortaio, quattro spingarde calibro 15.
Gli uditori generali sabaudi prevedendo degli attacchi a questa principale difesa del Marchesato avevano fatto dotare il castello di artiglieria pesande provvedendo pure all'eliminazione dei loggioni rinascimentali sì che il bel maniero era di fatto divenuto una fortificazione in cui avevano sede anche le aule del tribunale, delle carceri e dell'autorità sabauda come è annotato alla nota 23 di p. 67 del volume MARCIANDO PER LE ALPI....
Forte del suo ruolo di comandante dell'armata spagnola, per dare ai nemici in ritirata una prova d'efficienza bellica (mentre si dava con 3670 soldati iberici al loro inseguimento sin alla sabauda ONEGLIA che prese ma dove però gli Austro-Sardi lo fermarono tenendo ben saldo il controllo dell'entroterra) il Las Minas il 7-V-1744 ordinò ad una colonna di 800 uomini (forniti di una moderna ARTIGLIERIA DA CAMPAGNA), proveniente da Sospeil, di calare su Dolceacqua e prenderne, anche distruggendolo, il castello a guardia della via del Nervia e difeso da una guarnigione di piemontesi al servizio del Sabaudo Conte Rivara [il Marchesato di Dolceacqua abbandonata una politica ambigua che lo collocava tra Genova, cui per tradizione appartenevano i Doria, ed il forte Stato Piemontese dei Savoia in espansione verso la costa ligure ponentina] oltre che potenziato da una postazione d'artiglieria, purtroppo fissa e non quindi in grado di spostare il tiro su eventuali bersagli in movimento o siti fuori del suo raggio d'intervento.
Tre MODERNE BATTERIE DI CANNONI SPAGNOLI DA CAMPAGNA, per un giorno e quasi indisturbate, bombardarono DOLCEACQUA e il CASTELLO: le batterie erano state ben disposte, in modo da sviluppare un micidiale fuoco incrociato.
Esse sparavano dal sito del Convento dolceacquino, ove la colonna era giunta subito, e dalle postazioni, successivamente raggiunte, del monte Bottone e della chiesa di S. Giorgio.
I danni si rivelarono presto ingenti e lo stesso giorno dell'attacco (17 maggio 1744) il Conte Rivara ritenne conveniente arrendersi, visto anche che non solo il forte ma anche molte case venivano colpite e mutilate con perdite umane.
Franco-Spagnoli ed Austro-Sardi si sarebbero poi ripetutamente contesa la base militare del castello di Dolceacqua, in un alternarsi di avanzate e fughe più o meno ragionate in funzione dell'importanza strategica degli itinerari che ad esso conducevano.
Di questo percorso che collegava VENTIMIGLIA con AIROLE QUASI A GUARDIA DELLA VAL ROIA/ROJA E DI CUI VENTIMIGLIA ERA DETTA "CONSIGNORA" e quindi, naturalmente, con DOLCEACQUA E LA VALLE DEL NERVIA per immettersi sulla DIRETTRICE NERVINA VERSO L'OLTREGIOGO si valse, seppur a ritroso, durante la guerra di successione al trono imperiale il re piemontese CARLO EMANULELE III.
Passando per Dolceacqua [momentaneamente ripresa] con 2000 soldati il 10 ottobre 1746, osservando i ruderi del castello dal sito del Convento di Nostra Signora della Muta (Mota), mentre appunto prendeva la diramazione per Ventimiglia e la strada del Roia, si rese conto della sua inefficienza (e quindi dell'inutilità di un possibile restauro) contro i moderni cannoni e decise di farlo smantellare come baluardo militare.
Sapeva bene il condottiero piemontese che per la strategia del suo tempo erano necessarie, in quei siti, fortificazioni d'altura, certo meno pittoresche ma più efficienti e che egli fece lestamente realizzare dagli ingegneri di guerra Guibert e Rombò e che furono poi abilmente gestite dal condottiero germanico al servizio dei Savoia barone di Leutrum.