cultura barocca
Analizza la tematica completa del qui proposto Grillo XIII "Della poca stima, che si ha delle buone lettere, e de letterati e della cagione" = ad integrazione, vedi pure un approfondimento sulla valenza del "Merito" o del "Genio", che sia Letterario o non, argomento dibattuto in una contesa accademica dei "Filomati" di Siena a riguardo del tema del successo a Corte, compreso il ruolo svolto dalla "Fortuna" qui trattato nel contesto di una misconosciuta quanto interessante lirica del nobile e letterato Paolo Giordano II Orsini duca di Bracciano e, di una Fortuna almeno nel caso di Aprosio, ma anche di molti altri letterati, dipendente dalla presenza di un Mecenate (epiteto evolutosi da C. Cilnio Mecenate potente ministro di Augusto il cui cognomen nel sistema onomastico romano dei tria nomina divenne simbolo di Protettore della Arti e in particolare di Poeti e Letterati) nella fattispecie "aprosiana" identificabile in Gio: Nicolò Cavana, gran "Fautore" sia del frate che della sua Biblioteca di Ventimiglia e fra i cui molti altri favori nemmeno è da escludere un qualche ruolo nella presumibile ideazione del reale e dimenticato "stemma" -Impresa e/o Emblema- della "Libraria" [ in effetti al pari di molti altri eruditi A. Aprosio ricorse spesso come qui si vede, seppur con prudenza, all'emblematica, anche provocatoria e addirittura oscena per difendersi dalle offese o avvalorare le sue prediche contro i peccati di uomini e donne (e tra le vicissitudini dei secoli la dispersione per l'Aprosiana fu una costante = a riguardo di tante cose, compresi "Impresa e/o Emblema", anche la vera "Lapide Commemorativa" stesa a livello di testo e stampata su supporto cartaceo ma mai realizzata su marmo ed affissa all'ingresso della "Libraria" (?) e sostituita da una pur lodevole moderna iscrizione all'esterno dell'edificio)]. Cavana qual "Mecenate" garantì ad Aprosio anche la "consolatoria classica, per eccellenza, dei Letterati": il nobile esercizio di classica matrice di "otium letterarium, "ozio letterario", "ozio negozioso" od "ozio faticoso"= il Cavana [nella "Repubblica delle Lettere" noto anche con l' epiteto de L'asilo de' Letterati della Liguria'(creatogli dal conte Valerio Zani optando invece il Magliabechi bibliotecario Mediceo per la nominazione di 'Mecenate')], fu esponente colto della nobiltà della Repubblica di Genova Vai all' Intiero Capitolo: con voci evidenziate in rosso "ONDE FRUIRE DEI COLLEGAMENTI MULTIMEDIALI ATTIVI" della Grillaja del 1668 - Vedi l'enigmatico ANDREA PASCHIULLI o "FORESTIERO IDRONTINO" (e l'edizione dell'"Amadeide" di . Chiabrera)

Nella qui integralmente digitalizzata Grillaia del 1668 (vedine il FRONTESPIZIO) il GRILLO (o capitolo) XIII il cui titolo detta "Della poca stima che si fa della buone lettere e de' letterati, e della cagion" .
Fra tante citazioni biblioteconomiche che da sole potrebbero costituire una spaccato nuovo della cultura barocca merita un cenno particolare la rarissima satira NOS CANIMUS SURDIS atta ad indicare il lavoro improbo quanto spesso inascoltato dalla vacuità umana di letterati, poeti e filosofi = citando l'amico Pier Francesco Minozzi a p. 175 del Grillo Aprosio emblematicamente ne riporta un'esternazione poetica sui "vizi regnanti" nel loro tempo = "...con vili oggetti/ son bassi i Grandi, e'l Principato è Plebe;/ E sol volgono gli affetti/ Ai biondi rai [l'oro] di Messicane glebe;/ E sprezzano, devoti a i lor Tesori,/ con sacrilego core i Sacri Allori./...": in effetti però la "chiave di volta" della lunghissima dissertazione aprosiana non è il Minozzi, dalla cui poesia, emerge solo una verità valifa per ogni Stato e Contrada ma piuttosto l'enigmatica e latina Satira NOS CANIMUS SURDIS. Aprosio ne fa in effetti il "motore concettuale" intorno al quale ruotano tutte le sue asserzioni, sia concordanti che discordanti con la "Satira" stessa. A giudizio del suo autore il poco vantaggio che proviene dal sapere e in particolare dalle Lettere e dalla pratica della Poesia avrebbe il suo acme in Italia. Fatta una celere premessa con la registrazione di detti d'autori classici greci e latini (Aristofane, Partenio, Petronio, Marziale, Caio Plinio il Giovane (da p. 154 a pag. 155) Aprosio analizza però quasi subito la greve situazione dei letterati in Italia prendendo come primo testimone un autore celebre come Girolamo Fontanella di cui emblematicamente propone e riproduce un'Elegia (pag. 154, par. 3) di cui qui, per la significanza, vengono trascritte due strofe rimandando il lettore alla lettura integrale nel testo antico digitalizzato =

"Che mi giova di Lira armar la mano,
E con musico stral ferir la morte,
Se de l'orba tiranna esposto in mano,
Di me trionfa ingiuriosa sorte?

Io la bella armonia negletta sento,
Il poetico honore miro schernito,
Veggio, ch'avido il Mondo a l'oro intento
A la cetera mia chiude l'udito
".

A questa chiara quanto esemplare esternazione Aprosio fa quindi seguire quelle di Girolamo Preti e Claudio Achillini quindi quelle di Giuseppe Battista e di Francesco della Valle anche se sottolinea un'esternazione lirica assai pertinente di Francesco Baldacci che giudica "...degno di miglior fortuna per il suo letterario valore..." e che scrisse sul tema discusso "Che val penna d'ingegno alzarsi a volo/ Fin sovra il Ciel, se quindi avaro Nume/ Tarpata e vil la risospinge al suolo ? ".
Aprosio al par. 10 di pag. 160 scrive quindi "Non mancò chi si dasse à credere, esser questo un male della nostra Italia: e tale fù l'Anonimo scrittore della Satira Nos Canimus Surdis" di cui anche riproduce una sarcina narrativa salvo poi, come da sua consuetudine e Mutatis mutandis (ma non senza motivazione nè prove documentarie) finisce con il sostenere, come suol dirsi che "...tutto il Mondo è Paese..." alla fine di pagina 161 (par. 11) esplicitamente annotando "Parmi con tutto ciò, che' l Mondo camini per una medesima strada. Gli Italiani sospirano, e gli altri non si stanno e cita in merito un verso emblematico latino (cui segue tutta la composizione) del poeta tedesco Lampert Alard che tradotto efficacemente suona "Miserevole è oggi l'onore conferito agli studi" = Aprosio fa seguire a questo autore un ( da pagina 162 a pagina 174) buon numero di letterati stranieri in ambascie varie per i loro scritti e per le risultanze mai o quasi proporziali alle aspettative: sarebbe troppo lungo citarli tutti, specie con l'aggiunta dei brani poetici loro ripresi dal frate agostiniano, ma giova forse rammentare quanto scrisse Daniel Stolcius de Stolcenberg di cui alla VI riga dal basso di pagina 174 leggesi l' epigramma 73 della III Centuria delle sue opere e qui tradotto "Raro è l'onore che si conferisce alle Muse, poco Amore/ si manifesta per l'Arte, sparsi qua e là nell'abbandono son i bei dogmi/ Febo vien spregiato e così le Grazie assieme a Pallade/ a mano Mercurio concede i suoi miseri doni ": è a questo punto che "il Ventimiglia" riporta l'acuto sonetto del Minozzi sopra proposto e quindi si lascia andare ad altre e diverse considerazioni, come, e lo si ripete, gli capita sovente non avendo più materiale su cui discutere od intendendo porre un argine al fluire delle citazioni : ma l'Aprosio ha in essere lo sviluppo di un suo giudizio personale che lo porta a Ventimiglia od almeno a quella Ventimiglia che gli garantisce i piaceri dell' otium litterarium, otium negotiosum, ozio negozioso, ozio faticoso ecc. = o più pertinentemente ancora dell'ozio intellettuale in un ambiente salubre, e di qui la rivalutazione ambientale della città contro opinioni avverse, ma in un suo sito lontano dalle congestioni del mondo e quindi anche dalle problematiche della vita quotidiana a fronte, come in tanti altri luoghi del tempo, di guerre e calamità naturali e per acclarare la scelta della residenza nella città natale, con l'erezione della sua splendida "Libraria", l'autore con la valorizzazione dell'habitat esistenziale procede in maniera consequenziale alla enfatizzazione dell'otium negotiosum proponendo tre modi diversi utilizzati da tre poeti per avvalorare la consolazione che può dare anche senza remunerazioni economiche, onori e fama la nobiltà della poesia coltivata in un ambiente ideale.
Il primo e meno famoso tra i poeti da "il Ventimiglia" menzionati risulta esser Federigo della Valle di cui egli riporta a p. 177 questo Sonetto indirizzato a Monsignor Diego Sersale Arcivescovo di Bari in cui si legge =

Sia pur pianta infeconda hoggi l'Alloro,
Sia lo stuolo de' Cigni anco negletto,
Solo perche non fassi ultimo obbietto
Con la turba volgar, la gola, e l'oro.

Io pur, Sersale, infra l'Aonio Choro
Ne l'otio faticoso haverò diletto,
Ne turberanno il mio tranquillo petto
Le Corti insidiose, e'l rauco Foro.

Qual più degna esser puote opra, e quiete,
Che con sincera man, che nulla teme,
Toglier se stesso, e gli altri nomi a Lete?

Altri gli heroi servir colmo di speme
Si vanti, a me saran glorie più liete,
Sciolto cantar dov'altri piange, e geme.

A questa lirica estremamente completa sia nel celebrare l'otium negotiosum quanto la sua valenza principale quella, peraltro estremamente sentita da Aprosio, di emancipare l'autore da quell'oblio che in un modo o nell'altro molti se non tutti travolge con lo scorrere del tempo Aprosio ne fa seguire una consimile di un autore certo assai più noto vale a dire il lirico marinista Giuseppe Battista ultima riga della stessa pagina; la lirica, che verrà ripresa da Aprosio anche nella II e già inedita parte dello Scudo di Rinaldo, a sua volta canta =

Sembra la vita, che da noi sen'fugge,
Onda del Nilo in su l'Egizia rena.
Sembra fiore Sabeo, che nato appena
Turbo lo schianta, o fulmine l'adugge.

Lieve vapor, ch'avidamente fugge
Il Pianeta gentil, che'l dì rimena:
Vampa, che per lo Ciel striscia, e balena,
Nube, che sù'l Pirene Euro distrugge.

Ma sol pagine verghi, e sparga inchiostro
Chi brama l'eternità. Così deride
Il velen della Morte il viver nostro.

More colui, che le lusinghe infide
Siegue de l'Ozio, e dell'Idalio Mostro.
Una Punta di Penna il Tempo uccide
.

Questa terzina finale ed in particolare l'ultimo verso resteranno a lungo fissi nella memoria aprosiana sin a farne un motto per se stesso e per la sua Libraria, anche di fronte ad un graduale incupimento del religioso di rimpetto alle tante calamità epocali e quale unica fuga plausibile dall'oblio: quindi, dopo una lirica dell'amico Muscettola qui digitalizzata ma non trascritta, quasi a chiudere con una vena scherzosa ed ottimistica la lunga dissertazione sul "destino dei poeti" l'eruditissimo agostiniano intemelio propone di Ludovico Luporeo questo -come scrive- leggiadrissimo Leporeambo che argutamente dice =

La passo in Roma à spasso passeggiando
Ne in Dataria, cosa che sia pretendo,
E non so stocchi, e i miei baiocchi spendo,
Vesto modesto, e vado vivacchiando.

Urto in Parnaso, e do di naso in Pindo,
E di Canzoni, non dobloni abondo
Pur bevo freso, e da tedesco brindo.

Lodo Dio: content'io contento il Mondo,
Che non ho moglie, o doglie, e sto sì lindo
Che ancor per bell'hmor fo un salto tondo
.
[Aprosio tralascia la II quartina che detta: Per dar conforto ai morti vo trottando/ a S. Gregorio, il Purgatorio aprendo/ con la messa, e con essa vo schermendo/ con un pavolo il diavolo scornando./].

[ in qualche maniera la continuazione di queste osservazioni si trova entro il Capitolo o "Grillo" XXXXIII "Se per conseguire la gratia del Principe habbia maggior forza o'l Merito o'l Genio che in pratica costituisce un altro trattatello laddove alla costumanza epocale della senese Accademia dei Filomati fiorita sotto il Principe Mattias di Toscana (e quindi operante in sinergia assoluta con quella degli Intronati) viene proposto in rapporto al tema proposto dal titolo del "Grillo" un dibattito tra Francesco Buoninsegni e Giovanni Battista Andriani. Nel contesto della contesa accademica che come il titolo del "Grillo Aprosiano" detta "Se per conseguire la gratia del Principe habbia maggior forza o'l Merito o'l Genio (pag. 486) il Buoninsegni fa sua la seguente opinione: "Il Genio solo è la Ruota Segreta, che nella Scena della Corte muove in un'istante la machina del Favore. La ragione è evidente. La Natura nel conseguimento del proprio fine è più potente, che non è l'Arte. Dunque è più potente il Genio, che non è il Merito...il Genio dunque incontrato felicemente da chi che sia, è la Pietra Filosofica, che fissa in Oro il fuggitivo Mercurio della Gratia del Principe. Giasone nella conquista del Vello d'Oro, riconosciuto dagli Alchimisti per Antesignano nell'arte loro, è non meno fra' Cortigiani di felicissimo Favorito l'Idea. Fu egli il primo, che per acquistare il Tesoro della Gratia de' Grndi, fidò nel Mare della Corte, cioè nelle mani dell'Instabilità, le sue speranze. Rimaneva nientedimeno lo sforzo di quel prmiero ardimento, non meno nel mare scherzo dell'onde, e de' venti, che'n terra preda di Dragoni, e di Tori, se incontrandosi egli in Medea (nella quale il Genio del Principe il simolacro ravviso) non havesse prima l'affetto di lei signoreggiato" (pag. 487) mentre, conclusa la sua orazione, l'Andriani che sostiene l'interpretazione opposta dice "...La moneta degli artifitij, coniata per lo più nella Zecca dell'Adulatione, rado riscontra spaccio in quelle Reggie, dove l'occhio dell'accorto Principe, Giudice, che non travede, à prima vista scorge la lega del metallo, che corre. L'Oro solo del Merito, al paragone de' più saggi provato, è la moneta, ed il talento, che n'impossessa (pag. 493)"
In ossequio al suo costume in questi trattati a sfondo moralistico Aprosio cerca spesso, con molta affettazione, di prendere una sua personale posizione ma, nel caso in oggetto, trattandosi di due amici di pari levatura non osa contraddire nessuno dei due limitandosi a sottolineare solo la distinta postazione donde hanno intrapreso a dissertare sul tema = preferisce quindi non esporsi ai favori dell'uno quanto nemmeno alle opposizioni dell'altro preferendo tirare in ballo, per così dire, un terzo personaggio vale a dire il nobile e letterato Paolo Giordano II duca di Bracciano facendolo "Padrino di questo Duello" in forza di una sua Satira indirizzata a Mario Stellanteposto che in definitiva non dando ragione nè all'uno quanto all'altro dei contendenti forse riassume un principio aprosiano che la Fortuna non il "Genio" od il "Merito" costituisce non di rado la vera chiave per il successo nelle Corti: composizione che essendo, con altre, custodita all'Aprosiana, si riproduce qui integralmente (in grafia conservativa) precisando che nel testo antico -da qui accessibile- in linea rossa si evidenziano però i collegamenti multimediali =
Vorrei di Corte uscire, o indugio à entrare
Temendo lei; pur per uscirne entrarvi,
E per finir bisogna incominciare.
Cosa lunga sarebbe il raccontarvi
L'invenzioni, e le trame ad una, ad una
Di molti per poggiare in alto, e starvi.
Ma se no vi concorre Sorte, alcuna
Non ne riesce mai di tante, e tante,
Perche qui non può altro, che Fortuna,
Non l'opre di valor, non l'opre sante,
Non la chiarezza di sangue, ò d'ingegno,
Ne'l servir più fedele, o più costante.
Non l'oro protettor d'gni disegno;
E che spesso, se vuol Sorte aiutarlo,
Ma non già senza lei, arriva al segno.
Del sangue sparso de gli avi non parlo
E' muffo
(N.d.R. = amuffito, stantio, inutile): roba nuova si richiede:
Questo è ridicoloso à ricordarlo.
Poi è servizio publico. Mercede
D'hoggi pretende chi servizi rese
Privato, c'hora al publico precede.
Chi dimostrò coraggio in alto ascese.
Altri il fece, e non hebbe un gran mercè.
Impiega un'altro in van gli anni, e le spese,
Un, perche non si seppe un certo chè
Gli havria nociuto, si condusse in porto.
E un'altro poi, che non si sà perchè.
Esce altri in luce à guisa d'un'aborto.
V'è chi l'impegno altrui porta à la cima.
Potrebbe un'altro ringraziare un morto.
L'Ostinazion de' Grandi altri sublima:
Altrui non basta; la tema, e la speme
Privata, e non la publica si stima.
E l'interesse, che ben spesso insieme
Esalta turba inaspettata, e nuova,
Laonde il Vecchio, e'l Degno ondeggia e freme.
In somma fà, e rifà; prova e riprova,
Io ti rimiro grande, se tu hai
Fortuna; e se non l'hai, nulla ti giova
]

In effetti Aprosio aveva già discusso con il Minozzi il tema della Fortuna e della mutevolezza dei destini umani in senso esteso e quindi nel contesto di queste riflessioni, poi autonomamente meditate e ripensate, un ruolo epocale e simbolico aveva per lui finito per raggiungere - anche nel complesso di quelle riflessioni aprosiane maturate abbastanza perigliosamente in merito all'astrologia, disciplina vista con crescente sospetto dalla Chiesa, specie in merito alla preconizione del futuro - Jacopo Gaufrido, un letterato francese di poco conto verosimilmente al servizio del cardinale Richelieu, che si infiltrò alla corte dell'ambizioso Odoardo Farnese duca di Parma e Piacenza ottenendo vari favori sin al punto di rivestire la carica di "segretario ducale", cosa che gli permise in un primo momento di avere una parte di rilievo nelle scelte militari e diplomatiche del ducato = celebrando nella sua Biblioteca Aprosiana edita nel 1673 il romanziere Bernardo Morando e i doni dai lui fatti alla "Libraria di Ventimiglia" e tra questi una composizione del Morando o Venere Celeste (vedi qui p. 550, n. 3) l'erudito ventimiliese parla diffusamente di Jacopo Gaufrido (anche Giacomo Gaufrido) (alle cui sfarzose nozze appunto era stata dedicata la composizione del Morando) e dà prova di quanto la sua ricerca bibliografica non proceda staccata dalla cronaca e dalla storia: avendo anche occasione di soffermarsi a trattare del tema da lui sempre più colto attraverso gli anni della
caducità delle cose anche in merito a quei potenti come il Gaufrido che al culmine della gloria s'eran giudicati erroneamente intoccabili
Nel caso di Aprosio, visti i suoi interessi e le continue esigenze sia di pubblicare che, soprattutto, di provvedere alla Biblioteca Aprosiana in uno dei suoi ruoli fondamentali, vale a dire l'aggiornamento costante ricorrendo ad ogni mezzo pur di aggirare la censura sia statale che ecclesiastica (cosa che si evince già da una lettera qui trascritta all'Aprosio dello Schoppe vale a dire dell'uomo oltre che dotto poligrafo il quale -corrispondente di Angelico- udì prima dell'esecuzione capitale le ultime parole di Giordano Bruno) la Fortuna più semplicisticamente si identificava in una serie di fattori, quello di fruire di Corrispondenti, necessari per la costanza nell'esser informato sulle novità editoriali, quanto di Fautori, basilari coi loro donativi per rfornire la "Libraria" di Ventimiglia continuativamente e gratuitamente o per scambio di possibili doppioni di volumi attese le effettive scarse risorse economiche aprosiane per un compito tanto oneroso. Tuttavia l'estremo della FORTUNA nel caso dell'agostiniano intemelio era poter fruire di un MECENATE in grado non solo di concentrare in se stesso siffatti tuoli ma soprattutto capace con la sua disponiblità economiche di sovvenire ad eventuali problemi insorti avverso la vita della grande struttura sapienziale eretta da Aprosio.
Il coltissimo patrizio genovese Gio. Nicolò Cavana [peraltro non impropriamente definito dal dotto conte Zani L'asilo dei letterati della Liguria"] fu il vero e proprio mecenate di Aprosio e qui si leggono molte ulteriori note sulla loro lunga relazione culturale anche se a titolo di ulteriori integrazioni si può dire che "il Ventimiglia" ebbe la Fortuna di contattarlo attraverso il comun denominatore, per l'insorgere di una eclatante crescente amicizia intellettuale, di
"Don Andrea Rossotto di Mondovì Monaco della Congregatione di S. Bernardo riformata"
cordiale frequentatore di entrambi; nonostante la loro corrispondenza epistolare, susseguente a questo indiretto ma fortunato contatto, datò comunque a diversi anni prima rispetto a quando
il Cavana ebbe però modo di conoscere personalmente l'Aprosio nella casa del ventimigliese Atanasio Porro, cugino dell'erudito agostiniano,
allorché come Supremo Sindicatore della Repubblica di Genova il nobile di Genova dovette soggiornare a Ventimiglia per un discreto periodo onde espletare il suo incarico pubblico a riguardo del territorio, non certo piccolo da ispezionare, del "Capitanato di Ventimiglia". Anna Maria Mignone nel contesto di una serie di studi assia importanti e rivelatori sul fondo spagnolo della Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia ha scoperto un manoscritto inedito, qui trascritto dal suo lavoro, opera di Juan Pablo Martir Rizzo dal titolo Consolatoria al Senor Juan Maria Cavana en la Morte de su Padre donde si ricavano altresì alcune importanti notizie sulla casata Cavana ed in particolare sui rapporti di questa con il mondo iberico cui si legò anche per via di matrimoni. Temendo di morire prima di concludere la II parte del repertorio biblioteconomico Aprosio, venendo meno -sempre parlando in terza persona sotto lo pseudonimo di Cornelio Aspasio Antivigilmi- allo stesso ordine da lui prefissato per citare i Fautori e le opere da loro donate procedendo nella citazione " dal nome anteposto al cognome ", decide di citare il Cavana (vedi riga X dal basso di p. 429) e nella seguente pagina 430 inizia a dissertare del Cavana e quindi delle tante opere da lui donate = tutto ciò fino a pagina 644 quindi dopo un sonetto dedicato ancora al Cavana a p. 645 "il Ventimiglia" inizia la trattazione di un problema per lui inconsueto e specifico della casata Cavana di rimpetto alla supposta perdita di alcuni Feudi nel territorio di Novi, diocesi di Tortona, a causa anche della lunga permanenza in Spagna dei membri più eminenti della famiglia (la questione principale riguardava il controllo del medievale Castello di Gazzo in Novi Ligure) quasi a testimoniare come tal nobilissimo Casato giammai avesse lasciato il suo lodevole modus operandi
" FORTUNA IN QUESTO CASO NEMICA ".
Dopo la minuziosa riproduzione di una serie di atti del XIII secolo accennanti (p. 646) alla complessa questione la sostanza del tutto è ben espressa proprio da Gio. N. Cavana ai Governatori della Serenissima Repubblica di Genova l'essenza del tutto si intende dalla petizione di p.650 dettante: Nell'Archivio di VV.SS. si trovano alcune investiture, & altre Scritture concernenti al Castello di Gazzo, che è stato posseduto per centinaia d'anni dalla Famiglia Cavana. Il Magnifico Giovanni Niccolò Cavana supplica humilmente VV. SS. Serenissime degnarsi comandare, che li sia data copia di sudette Scritture, che così sperando, &c./ di VV. SS. Seressime/ Divotissimo Sercitore/ Il detto Supplicante". Aprosio, a conclusione di tutto questo contenzioso incredibilmente complicato dall'iter burocratico e sostanzialmente fallimentare per la Casata dei Cavana, mira a sottolineare come i
CAVANA PUR SE NON SORRETTI DA BUONA SORTE MAI SIANO VENUTI MENO ALLE CARATTERISTICHE DELLA FAMIGLIA DI SOVVENIRE ALTRI NELLA FORTUNA, SPECIE SE COLLEGATA AL CULTO DELL'ARTE E DELLE LETTERE.
Per comprendere l'enorme importanza del Cavana per la Biblioteca di Ventimiglia oltre che per l'Aprosio (sia a riguardo di finanziamenti, libri ed altro ancora) una cosa sarebbe assai interessante quanto non compiutamente realizzabile vale a dire la stesura completa di quanto, anche oggi oggi si usa per i frequentatori di Biblioteche e Musei, vale a dire il registro allestito da Aprosio e nominato da lui stesso
FILOTHECA / FILOTECA.
In effetti Aprosio stesso la menziona più volte, specie nel repertorio economico, e come si vede in questo foglio manoscritto dello Scudo di Rinaldo II ne parla espressamente in merito a quanto vi scrisse il Cardinale Giovanni Bona. Io per esempio credo che la lettura della FILOTHECA associata ad altre analisi critiche COME QUESTA possa valere a glorificare vieppiù la figura del CAVANA -per gli indubbi e molteplici meriti da questo acquisiti di rimpetto ad Angelico Aprosio- (Mecenate, sovvenzionatore per pubblicazioni e "Libraria" ma anche vitale se non essenziale quale informatore nel settore della MESSAGGISTICA SEGRETA come dei CODICI DI COMUNICAZIONE specie in merito alla realtà di una BIBLIOTECA NON SOLO FRATESCA COME L'APROSIANA QANTO UFFICIALMENTE "PUBBLICA" al modo che si evince già da questo esempio ben esplicativo per venire documentati e aggiornati -in un'epoca certo non facile in merito alla libertà di stampa- su testi a rischio, tollerati se non proibiti sia dalla Censura dello Stato che da quella della Chiesa) ed a provare come il CANZONIERE ENCOMIASTICO DEL CAVANA composto dal comune amico MINOZZI E GIA' OGGETTO DI VECCHI STUDI -QUI PROPOSTI- PUR STRUTTURATI SUL NON SEMPRE ESAUSTIVO STRUTTURALISMO portino alla DECRITTAZIONE LINGUISTICA DI QUELL'EMBLEMA/IMPRESA DELL'APROSIANA che "il Ventimiglia" NOTORIAMENTE AMBI' MA INVANO, sin ad essere, forse e chissà mai da chi realizzato comunque entro un volume di ANTONIO MUSCETTOLA [N. d. R. = per un approfondimento su testo ed immagine vedi qui Antonio Muscettola, Prose di D.A.M. dedicate all'Em. e Rev. Sign. Carlo Decio Azzolini in Piacenza, per il Bazachi, 1665 in 12° ove a pag. 186 si legge un Discorso degli eccessi della vera amicizia dedicato all'Aprosio], in più versioni COME QUI SI VEDE (quasi a lasciar presupporre l'idea di una proposta in merito a cui scegliere) e finalmente
RICOSTRUITO PER VIA GRAFICA E MODERNA MA CON UNA TIPOLOGIA ASSAI PROSSIMA, COME CONFERITOGLI IN NUCE, AGLI EMBLEMI, IMPRESE ED ALL' ICONOGRAFIA SEICENTESCHE
(e comunque certamente più in sintonia con l'essenza della "Libraria" rispetto al TIMBRO attualmente in uso di evidente più tarda ideazione e confezione).
A chiosa di queste riflessioni ode provare di quanto il CAVANA avesse significato per Aprosio, non solo qual benefattore della Biblioteca di Ventimiglia ma anche come promotore editoriale e puntuale informatore oltre che nodo instancabile di contatti con altri eruditi, basta analizzare quanto, magari lentamente sia mutata -tra speranze ed illusioni anche previo personaggi celebri come il Magliabechi od il Cinelli Calvoli- l'attività dell'erudito agostiniano, stante il fatto che mai nessun altro si sarebbe dimostrato verso di lui tanto disponibile quanto il CAVANA,
la cui morte nel 1675 gradualmente determinò la riduzione del flusso dei contatti ma soprattutto un definitivo quanto doloroso arresto all'attività di Aprosio quale scrittore e quindi produttore di cultura nonostante le potenzialità che il frate deteneva non solo in relazione a suoi prodotti letterari ma anche a rarità vere e proprie d'altri eruditi.


INFORMATIZZAZIONE B. E. DURANTE

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