NERVIA

INDICE

-Nervia: caratteristiche generali di uno "storico torrente"
-l'enigma degli antichissimi ponti sul torrente Nervia
-Fra le ISOLE della foce, ove era il PORTO CANALE, si è formata un'OASI ove è ricomparso il Cigno, uccello-dio per i Liguri antichissimi.
-"Un viaggio nei secoli dal mare, ai gioghi, fin a Tenda e al Basso Piemonte: la STRADA ROMEA del Nervia
-Spostamenti dell'alveo, alluvioni, cedimento degli argini tra XVI e XVII secolo
-Tratto terminale del Nervia tra XVI e XIX secolo
-Strutture belliche costruite a metà XVIII sec. nel Nervia studiate sulla base delle "carte Guibert" e "Notari".
-"Progetto Notari" sul rifacimento degli argini: le drammatiche alluvioni delle Braie e di Camporosso Mare
-La terribile alluvione degli "Angeli Custodi": una marea d'acqua travolge Camporosso e l'area di Nervia a fine XVIII secolo
-Alluvioni e tracimazioni del Nervia studiate nel tempo.

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Il NERVIA costituisce uno dei due grossi corsi d'acqua del territorio di Ventimiglia, quello che per la precisione dà nome alla valle sino a Pigna: verso il IV-III sec. a.C. dalla Gallia Belgica gruppi di NERVII si sarebbero poi qui insediati senza contrasti colle genti autoctone ed avrebbero trasmesso al sito, al suo torrente e ad un pagus o villaggio sul tratto terminale di questo il loro etnico sotto forma di idronimo ( P.W.R.E., su Nervii - Holder, 726).
La Petracco Sicardi, scandagliando scientificamente il territorio, si è inoltre imbattuta in diversi voci galliche (celtiche) che testimoniano, contro le vecchie ipotesi su conflitti secolari, di ulteriori pacifiche infiltrazioni in siti agricoli e pastorali della val Nervia (cfr. Toponomastica di Pigna in Dizionario di Toponomastica Ligure, Bordighera, 1962, p. 105, n. 319).
In tempi recenti si è supposto che la via Julia Augusta nella romanità non superasse con ponti i fiumi e torrenti della Liguria Occidentale, ritenendo che questi fossero sempre stati di portata modesta rendendo inutili tali accorgimenti.(L.A.GERVASINI, I resti della viabilità romana nella Liguria occidentale in "Rivista Ingauna e Intemelia", XXXI-XXXIII, 1976-8, nn. 1-4 passim).
L'autrice di tale ipotesi era stata condizionata dall'opinione corrente, dall'esclusiva dipendenza da fonti archeologiche sostanzialmente vaghe ed da una mancata ricerca sui dati topografici ed archivistici.
Le documentazioni, addotte da tali scienze, l'avrebbero guidata diversamente visto che tombe e strutture romane, da non molto, si sono scoperte in luoghi giudicati paludosi da sempre, come la sponda sinistra del Nervia e l'insalubre limo (o *burdiga) donde prese nome nel Medioevo la villa di Bordighera (Albintimilium ..., cit.,cap II, 8).
Ai tempi di tale indagine già si sapeva che gli impaludamenti eran sempre dipesi dalla tracimazione di quei corsi fluviali, che fra I secolo avanti e IV dopo Cristo la loro buona arginatura ( purtroppo mai rifatta, dopo le invasioni gotiche del V secolo, se non nel tardo '700 e in pieno '800) era valsa all'amministrazione imperiale per bonificare le terre basse altrimenti ricettacolo di miasmi pestilenziali, per mantenere sicuri ed efficienti i vicini attracchi dei porti-canale ed allo scopo di impiantarvi alcuni edifici, del tipo a villa suburbana, con piccole necropoli qualche volta del genere a tombe monumentali (la scarsa attuale portata del Nervia è connessa a cause ignote ad un passato anche recente: la realizzazione di dighe a monte, il formidabile sfruttamento per scopi irrigui e per trarne acqua potabile, la lunga tradizione del sistema medievale "a grangia", per cui i muri a secco, costruiti per ricavare fasce di terreno coltivabile, trattengono l'acqua piovana impedendo un'alimentazione pluviale adeguata del fiume/torrente.
Basti per questo consultare il mappale Notari, di fine '800 a p. 208 nel volume: B.DURANTE-F.POGGI-E.TRIPODI, I graffiti della storia: "Vallecrosia e il suo retroterra", Vallecrosia-Pinerolo, 1984).


Tratto terminale del Nervia fra XVI e XIX secolo:
Sovrapponendo, pei 3 secoli che precedono l'attuale, le proiezioni topografiche si evincono situazioni di base: che poco più di 150 anni fa la portata del torrente era vigorosa, che il suo alveo non era costante, che, tutte le volte in cui fosse stato possibile, come peraltro accadeva nel Medioevo, si era sempre realizzato un ponte ligneo, espressione indiretta che il guado fra le "isole", cioé i depositi alluvionali emergenti dalle acque, non era cosa affatto semplice.
Il Nervia, nella media e bassa valle, da sempre ha le peculiarità di un letto estremamente vasto e sgusciante: nel corso della sua vicenda millenaria il torrente, abbandonando a più riprese l'alveo precedente, si era aperto altri percorsi sul mare disegnando altri alvei , magari destinati ad essere, in seguito, a loro volta abbandonati.
Nel XVII sec., come narra Angelico Aprosio esso scorreva più a ponente rispetto ad oggi e, impropriamente arginato nell'area della foce, aveva finito per erodere molti spazi, anche agricoli, della prebenda episcopale, sita immediatamente ad ovest rispetto ad esso.
Data la caratteristica di torrente, e quindi di una portata e di un regime connessi ad eventi atmosferici peculiari, il corso d'acqua aveva risentito delle stagioni alquanto piovose che caratterizzarono il Ponente ligure in quel secolo.
L'erosione della riva destra sottrasse terreno alle colture ma rese possibile l'individuazione dei primi reperti archeologici della città e del porto di Albintimilium (la conformazione geologica dei siti determinò spesso imponenti fenomeni alluvionali: nel II sec. d.C. l'Imperatore Adriano fu indotto a restaurare la Giulia Augusta dopo un lungo periodo piovoso, come evinse il Rossi da una pietra miliare scoperta nel secolo scorso a Garquier presso la Turbia; nel medievale Necrologium ecclesiae cathedralis vigintimiliensis si legge "1338 giorno XXI di settembre, vi fu un tal grande diluvio che devastò la città di Ventimiglia sin al porto...trascinò via il ponte e tutti i mulini così che fra tali luoghi restò solo il nulla...; 1340..giorno XVIII del mese di febbraio cadde tanta neve che...": all' Archivio di Stato di Milano - Potenze estere, Monaco si conserva quindi una carta del 19-II-1477 scritta dal Commissario Matteo de Arcimbaldi ai Duchi milanesi, Bianca e Galeazzo Maria Sforza Signori di Ventimiglia, ove si legge "In questa notte passata, per el maltempo qui occorso de terribili venti cum grandi acque è cascato un poco di muro de la Roca de questa citate di verso al mare al quale è contiguo, cum quello de la porta, de che bisogneria fosse reparato acciò non pesasse più oltre il rovinamento et similiter esser recoperta la torre porta di verso dicta cittade altramente vegnirà al basso la volta de dicta torre per lo continuo marcire che fa l'acqua..":vedi Storia della città di Ventimiglia..., cit., p. 308 e 403)

Dopo che si procedette ad una migliore arginatura della sponda occidentale del torrente e in dipendenza di alcuni processi geo-morfologici, il Nervia abbandonò questo alveo e se ne aprì nel XVIII secolo uno alternativo, che deviava in modo brusco, per il tramite di un braccio ad ansa, verso l'area delle BRAIE DI CAMPOROSSO (probabilmente la più importante ma non certo l'unico conformazione rurale col toponimo BRAIA nel Ponente ligure) per poi avvolgere, con due punti di impatto, la vecchia strada che attraverso tale località portava dall'area costiera a Camporosso Mare (oggi identificabile con la via comunale che congiunge questa grossa frazione, per il tramite del ponte dell'Amicizia e poi della provinciale, al borgo antico).
Nei periodi di piena e di alluvione, le proprietà agricole della contrada, subirono gravi danni sino al punto che parve inderogabile un grosso intervento di arginatura onde ricomporre il torrente entro un alveo più rettilineo e meno suscettibile di deflagrazioni alluvionali sulle proprietà.
Il programma correttivo venne ideato nei primi decenni del 1800 dopo che una serie di disastri climatici e di anormali perturbazioni atmosferiche aveva contribuito a trasformare il Nervia in un "proiettile idrico" capace di produrre ovunque reiterati disastri.
Questa politica venne promossa da tutte le comunità interessate al Nervia, che difronte a tale emergenza misero, provvisoriamente, da parte i reciproci campanilismi.
I lavori di progettazione furono affidati a due professionisti ventimigliesi, gli architetti STEFANO e PIETRO NOTARI, che il 19-V-1820 presentarono alle autorità municipali di Vallecrosia una dettagliata proposta tecnica (Carta e relaz. Notari in Arch. Comunale di Camporosso).
Dalla RELAZIONE SCRITTOGRAFICA degli architetti Notari (tuttora estremamente utile per visionare le caratteristiche del torrente nel XVIII secolo) furono chiariti sia i fattori incidenti che le eventuali soluzioni.
Essi evidenziarono in primo luogo come l'antico Bastione di S.Pietro (un'opera muraria che non qualficarono, sita nell'alveo quasi all'altezza dell'attuale campo sportivo "R.Zaccari": un probabile retaggio delle fortificazioni austro-sarde di metà '700) fosse da demolire immediatamente poiché tagliava il corso d'acqua in due settori: "un braccio maestro che scorre con forte declivo e pendio" e un "braccio minore".
Quest'ultimo si ricongiungeva col "maestro" dopo circa 260 metri di percorso autonomo, con un punto massimo di divergenza rispetto a quello di 70 metri in direzione Est.
Dopo che, per 50 metri scorreva nuovamente per il tramite di un unico braccio, il Nervia si imbatteva in una vasta conformazione di "Grava e Terra supperiore in livello ai terreni opposti" , uno di quei depositi alluvionali che, sotto il nome di Isole, nel medioevo erano state sedi di impianti rurali o di ricetto; dal punto di impatto si originava quindi, con direzione Sud-Est, un ulteriore braccio minore che si ricongiungeva solo dopo 750 metri col tronco "maestro".
Questo, a sua volta, frenato da una nuova conformazione di "Grava e Terra supperiore in livello ai terreni opposti una volta letto antico del fiume" aveva piegato lentamente in direzione Sud-Est.
Il punto di impatto dei due "bracci" era un'area che per 40 m. superava la "Strada da Camporosso in Bordighera" che quindi risultava coperta dal corso d'acqua.
Nel frattempo il "braccio minore", filiforme (massima larghezza = 10 metri), da cui a sua volta si ramificava un braccio minimo della larghezza di 4 metri, si ricongiungeva e si diversificava a più riprese in rapporto a questo ultimo creando sacche paludose o di ristagno e soprattutto, sfondata la strada citata, ne trasformava in acquitrino un tratto di 110 metri, sì da allagare le proprietà "Fratelli Biancheri fu Michele","Eredi del Sig. Augusto Bernardino Aprosio","Cauvin".
Ritornato unico, il Nervia, giunto ad una divergenza massima di 220 metri dalla linea (ben evidenziata dagli autori) del "letto antico", investiva le proprietà "Eredi Carlo Lanfredi","Gio.Battista Squarciafichi","Signor Sebastiano Biamonti Giudice di Bordighera","Pietro Paolo Rebaudo","Eredi del Sig, G.C.Rossi", sino al punto di minacciare con una grande ansa la strada già in questione e la "strada antica" (strada romana proveniente da S. Rocco) da cui tutte le proprietà sono genericamente nominate mel progetto "Terreni di prima qualità appartenenti a differenti particolari di Vallecrosia minacciati dal fiume".
Di questi ultimi vengono citati, poichè i loro terreni non sono solo minacciati ma ormai in parte letto del torrente impazzito, gli "Eredi del S. Angelo Benedetto Aprosio, Giuseppe Porro, Fenoglio Angelo".
Vengono altresì registrati, a circa 110 metri (direzione Sud-Est) dalla "Strada aperta dal Governo Francese" (verosimilmente costruita secondo le contingenze del Nervia), una "Batteria costrutta dagli Austriaci nel 1800 (di disegno quadrangolare, lato di 40 metri) ormai intaccata nell'angolo Sud-Ovest" e poi il "prato dei Sig.ri fratelli Aprosio fu Bartolomeo", sempre possidenti di Vallecrosia.
Prima di entrare nel "Mare Mediterraneo", il Nervia formava una falsa foce ad estuario della larghezza massima di 160 metri, da cui si staccava un braccio (larghezza massima 40 metri-minima 10) lungo 240 metri in linea d'aria (dir. Sud-Est) dal falso estuario.
Dall'oculatissima diagnosi si evidenziarono i gravissimi danni patiti dal territorio di Vallecrosia in parte stabilmente occupato dal fiume anche in periodo di normale regime.
La mancanza di qualsiasi difesa rendeva fattibile l'alluvione quasi sino all'area di S.Rocco, con l'investimento delle case "Amalberti, Biamonti, Aprosio, Curti" (oltre, è naturale, della "strada antica e di quella Aperta dal Governo Francese").
Ma anche prima del Bastione di S.Pietro il Nervia, pur scorrendo ad Est del "letto del fiume antico" originava diversi "bracci minimi" che potevano investire, ingrossati da eventuali piene, la "casa di Bartolomeo Rondelli", la "casa dello scarello", la "Casa di Luca Andrea Garzo" e soprattutto il "predio di Paulo Biancheri".
Procedendo sempre in direzione Sud-Est paiono relativamente esposte le proprietà in gran parte ad Est della strada "Camporosso-Bordighera" del "Conte Lingueglia" (con 3 case di cui 2 "distrutte"), di "L.Andrea Garzo", di tal "Ferreri", di una "Vedova Biamonti", di "Saverio Gibelli fu Sebastiano": molto esposti dovevano essere invece "l'orbasco I e II".


Oltre questa non si è trovata altra relazione scrittografica sul Nervia, a parte qualche cenno, (Fondo Bono Ms. 1 della Civica Biblioteca di Ventimiglia , atti vari del XVI secolo), sulle paludi malsane che andavano formandosi sempre più sulle sue rive.
Nel '600, come detto, si trovano solo rade notizie aprosiane, secondo cui il torrente avrebbe invaso una terra episcopale, dove ora sorgono le officine dell'Italgas e l'Ospedale intemelio. In tal luogo, sotto metri di sabbia, giacevano le fondamenta del foro romano, delle terme e di case popolari dell'Impero, in parte riesumate: se nel '600 il torrente era stato in grado di portare alla luce qualche vano di tali edifici se ne evince che non solo tracimava oltre le vecchie arginature ma che la sua portata era considerevole.
La rettificazione di queste arginature fu compiuta nei primi decenni del '700 sotto il Vescovo Clavarini ma, poichè venne realizzato il ripascimento della sola riva occidentale dopo non molto tempo il torrente, sfuggito ancora al suo alveo naturale, avrebbe preso ad erodere la riva orientale, coi disastri enunciati nel progetto Notari.
L' intervento del Clavarini non sembra tuttavia responsabile più di tanto: son piuttosto complicati invece i motivi per cui il torrente sfuggì una volta ancora all' alveo originario.
Le ragioni paiono da collegare in parte all' intensa piovosità del secolo, per cui il fiume raggiunse una portata anormale e in parte alle modificazioni geomorfologiche dipese dalle opere di fortificazione della guerra di Successione austriaca.
La lettura di una CARTA VERISIMILMENTE REDATTA NEL 1747 dall'area delle Maure/Maule ad opera di un agente rimasto anonimo (Piano dei trinceramenti fatti su la montagna in vista del castello di Ventimiglia 1747, Arch. Priv.) pare utile ad intendere sia la causa dello scivolamento del corso verso Est che il significato degli interventi umani sul torrente.
A metà del XVIII sec. esso scorreva ancora nell'alveo vecchio; il fortilizio austriaco della ridotta armata Guibert o Fortezza S.Ignazio, sulla sponda sinistra del Nervia, grossomodo all' altezza della località Piazza d'Armi ai Piani di Vallecrosia, risulta nella carta ancora ben lontano dalle acque: a lato Nord della fortificazione correva la Strada alla Bordighera che passava il torrente per un guado su un' isola naturale.
All' altezza della fortificazione procedevano in linea Nord Ovest una via al Ponte su la Nervia ed una strada a Camporosso che giungeva al borgo grazie al guado su un'altra isola.
Il ponte ligneo potrebbe essere un manufatto militare, specie pei carriaggi, che collegava il forte Guibert alla grossa fortificazione della CASSINA ORENGO (PALASSO), identificabile non solo col sito dell' attuale chiesa nervina di Cristo Re ma coll' area dove eran stati il castello delle acque romano e poi il forte medioevale di Portiloria (le tecniche ottiche di esaltazione e sublimazione reticolare della carta ha evidenziato che il Bastione di S. Pietro venne eretto non tanto per formare un' isola, onde sistemarvi pezzi d'artiglieria, ma in particolare, deprimendo l'energia della massa idrica, al fine di convogliarla entro argini rinforzati sì che un'eventuale piena non spazzasse via il ponte).
In una carta sempre del 1747, con meno dettagli ma più precisa, la strada da Bordighera porta ancora al ponte ma dopo aver raggiunto per un guado l' isola della foce, donde quello avrebbe poi varcato le acque profonde e condotto alla fortezza Orengo (GUIBERT, Carta dei trinceramenti fatti sopra le altezze di Dolceacqua e Camporosso l'anno 1747, disegno a penna acquarellato mm. 485 x 350. Torino, Archivio di Stato, carte topografiche segrete, 9 A II Rosso, in Carte e Cartografi in Liguria, a cura di M.QUAINI, Genova, 1991, p. 113: in questa carta è ben riconoscibile il COMPLESSO DEI FORTI eretti dagli Austro-Piemontesi. A dimostrazione del ruolo strategico del CASTELLO DI DOLCEACQUA si ricava dallo studio di questo documento che, per aggirare la foce del Nervia, si poteva ascendere sin ad esso dai Piani di Vallecrosia raggiungendo Camporosso tramite le "isole" nel torrente oppure raggiungendolo direttamente da Bordighera o da prima ancora dalla CHIESA DI NOSTRA SIGNORA DELLA ROTA tra Bordighera e Ospedaletti. Nella CARTA DI ANONIMO prima citata è ben registrato il tragitto di sublitorale che da tempi immemorabili aveva costituito un' alternativa alla via costiera. Per mezzo di questo si poteva giungere in Dolceacqua dalla valle del Crosa, seguendo la deviazione già descritta in una pubblica relazione genovese del 1629: poi, superato facilmente per il robusto ponte il Nervia, si raggiungeva il BORGONUOVO di Dolceacqua (a ponente dell'attuale provinciale), quindi salire al CONVENTO DELLA MUTA/ MOTA e da qui, inerpicandosi per una mulattiera (peraltro indicata nella cartina), immettersi sulla STRADA DI ALTURA lungo la quale fu realizzato appunto nel XVIII sec., durante la Guerra di Successione -pure restaurando e potenziando antichi fortilizi medievali- un SISTEMA DI FORTIFICAZIONI procedenti, a forma di strumento d'offesa contro Ventimiglia, da CIMA TRAMONTINA, ARCAGNA (area del Convento), FORTE AURINO (Cima d' Aurin), FORTE LEUTRUM (quartiere generale, sede di concentramento di truppe), TESTA DE MAGAUDI, FORTE MONTE PATINO, FORTIFICAZIONI DI SIESTRO, SAN SECONDO DI VENTIMIGLIA, CONVENTO DI S.AGOSTINO: quest'ultimo sito era la testa di ponte che controllava quindi la STRADA PER VENTIMIGLIA e la ROTONDA SUL PONTE DEL ROIA fino alle PORTE DI VENTIMIGLIA MEDIEVALE. E' da notare che molti di questi luoghi risultano già citati nella relazione di DIVISIONE tra Ventimiglia e Otto Luoghi come SITI DI NOTEVOLE IMPORTANZA STRATEGICA E VIARIA).
Poiché i Notari parlano di parecchio materiale da scarico utilizzato verso la foce è giusto pensare che gli interventi dell' architettura militare abbiano contribuito in modo massiccio a favorire lo scivolamento ulteriore dell' alveo torrentizio verso Est. Benché oculatissimi gli architetti intemeli non indicarono alcun ponte sul torrente: atteso lo stravolgimento geomorfologico questo sarebbe comunque stato a tal punto fuori sede naturale da doverglisi preferirsi comunque un qualsiasi guado. Intesa l'enorme alterazione del corso d'acqua fra la metà del XVIII secolo ed i primi decenni dell' '800 si deduce che nel breve periodo intercorso si verificò un grave fenomeno naturale che travolse gli argini, il ponte militare e fece deviare verso levante corso e letto torrentizio.


Una terribile piena alluvionale del Nervia va sotto il nome di Fiumara degli Angeli custodi (2-IX-1777): un diluvio inondò le terre causando alluvioni, frane e vittime. Il Nervia come altri torrenti fu ingrossato dalle piogge : trascinando detriti e ghiaia dagli argini spazzò via molte proprietà e, tra numerosi gravi danni, nel territorio di Camporosso abbatté una domus signorile appoggiata ad una vecchia torre in località le Braje e l'antica chiesuola di S.Pietro d'Alcantara. Da Camporosso s'avventò poi verso il mare trascinando i ruderi delle canalizzazioni dei mulini: purtroppo non son riportate notizie per l'ultimo tratto del fiume ma pare evidente che, assieme al ponte militare, abbia travolto i fortilizi ricavati nel suo letto. La descrizione del Rossi, desunta dai libri parrocchiali, accenna più volte all'enorme massa di detriti portata al mare: non è irragionevole pensare che la massa d'acqua, fermata dai buoni argini della sponda Ovest, si sia aperta una via sin alla foce, che era sì ampia ma presso cui il letto si solleva tuttoggi pei detriti depositati dalle acque marine che vi penetrano. L' accumulo del materiale trasportato venne a formare una diga naturale, facilmente "saltata" dalla gran piena ma destinata a diventare invalicabile appena fosse scemata la portata idrica: le acque furono quindi deviate così da scavare gli argini sabbiosi della riva Est ed aprire al Nervia uno pseudoalveo sin quasi al Torrione vallecrosino, mentre il Bastione di S, Pietro, dividendo a monte le acque, aveva spinto un ramo del torrente, oltre la sponda Est, suii bassi terreni della Braia orientale ove stavan poderi e case, oltre alla strada per Camporosso che risultava interrotta ancora ai tempi della Relazione Notari (l'ipotesi è convalidata da un confronto con le grosse alluvioni del 1910-1 e del 1966. entrambe documentate fotograficamente).


Durante l'alluvione del 1910-'11 le acque sfondarono ancora gli argini orientali per inondare tutta l' area costiera da Camporosso Mare alla Stazione ferroviaria di Vallecrosia sita davanti all' area dove nel '700 stavano alcune strutture, che appena si vedono di scorcio nella cartografia militare coeva, dipendenti dalla ridotta Guibert e adibite ad esercitazioni delle forze austro-sarde impegnate nella Guerra di successione al trono imperiale (da cui il tardivo nome locale di Piazza d'armi) e che tanto ebbero a che fare col territorio della Magnifica Comunità degli Otto Luoghi.
Nel II caso, in modo quasi identico a quanto accadde nel 1777, l'acqua del Nervia in piena travolse diverse strutture costruite sugli argini di tutto il suo corso vallivo, quindi, respinta dai grossi terrapieni alla foce, che proteggono il locale Deposito Ferroviario costrutto su un terrapieno, essa balzò entro il mare scaricando sulla linea ghiaiosa della foce detriti di ogni natura. Allorché dopo una settimana il fenomeno alluvionale regredì, si vide che una diga naturale bloccava la foce e che il torrente si era già aperto un subalveo verso l'area Camping della riva Est, coprendovi tutta la proprietà Rossi: gli immediati lavori di ripristino impedirono che si verificasse quanto, quasi sicuramente, era accaduto nel 1777. Il fiume peraltro, come evidenziato dalla Relazione Notari, all' altezza degli accumuli individuabili all'altezza del Bastione di S.Pietro si era ancora diviso ed un ramo impetuoso aveva allagata la zona delle BRAIE e la strada per Camporosso; in questa gli interventi furono tempestivi eppure per tre giorni la popolazione venne allertata nel caso di una evacuazione.

In effetti quando il Nervia supera una certa portata, come riferiscono tuttora operai e muratori, l'acqua filtra sotterranee dagli argini della riva orientale fin entro alcuni scantinati di palazzi antistanti la stazione Ferroviaria di Vallecrosia, dove a metà '700 i soldati austro-sardi del forte Guibert dovettero spesso guardarsi dai pericoli di laghi salmastri di ristagno [n. 3 della carta], siti istituzionali di contagio malarico, ma contestualmente si valsero della loro presenza incanalandoli in maniera di approvvigionarsi dell'acqua necessaria per la realizzazione dei nuovi fortilizi.







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Parlando dal lato topografico come scrive il Du Cange (I, 733) la definizione del termine è Braida [Brayda] Campus vel ager suburbanus: nella sua specificazione per Campus si intende un' "area pianeggiante" e per ager il relativo "terreno posto a coltura".
Nilo Calvini (75) annotò quindi:"-Brayda* si usava in significato di greto del torrente...che per il sedimento lasciatovi dalle alluvioni...si va trasformando in prato e orto.
Ubi dicitur in Braidis (Di Amandolesio 309) ha dato il toponimo ad una vasta area geografica di collegamento tra il borgo vero e proprio di Camporosso e la sua porzione marittima nota come Camporosso mare: l'area (che comunque ha conservato l'antico toponimo int'e Braie) è oggi attraversata da una strada che ne ricalca l'esito come via Braie).
Nell'agro intemelio tuttavia sono state registrate da Renzo Villa altri toponimi BRAYA: precisamente la BRAYA DE LA CONCHA (localizzata nel territorio di Bordighera - toponimo non più utilizzato), la BRAYA DELLI ORTI (come il precedente), la BRAYA DE LO GRAI (senza indicazione di areale - inattivo), la BRAYA DE LO POSSO (dove il dial. possu indica un "pozzo": inidentificabile), la BRAYA DE SANPIERO (si tratta della vaste area rurale presso S. Pietro di Camporosso: vedi anche N. Calvini, p. 367), la BRAYA DE SANTO AMPEGLO (il toponimo non è più usato, indicava l'area prativa a lato della chiesa abbaziale di S.Ampelio a Bordighera), la BRAYASSA (nell'agro di Camporosso: assa intensifica la portata semantica = "grande Braia"; si legga Calvini, p. 356), le BRAYE RONDE (nel Catasto intemelio di metà '500 [VC 373] queste BRAIE, di forma evidentemente circolare [ronde dialettale per "rotonde"] non risultano identificabili e il toponimo non è attivo), la BRAYETA nel quartiere Platea secondo il Catasto, p. 271, col. I (il toponimo non risulta più vitale: una "villa Braietta" è citata a Bordighera in via Roberto).








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