Referenze foto antiquaria
come nel caso della ligure IULIA AUGUSTA valicavano corsi d'acqua mediamente con PONTI [ ma le DEVASTAZIONI DEI BARBARI (con peculiare riferimento alle imprese di ALARICO ed ATAULFO [Secondo il Formentini (Genova nel Basso Impero e nell' Alto Medioevo in Storia di Genova dalle origini al tempo nostro, Milano, 1941, I , p. 68) il re ALARICO I nel 400, a capo dei VISIGOTI o GOTI VALOROSI, distrutta Aquileia e cercato invano di occupare Milano, avrebbe devastata l'Italia fino alla terra dei Tusci. Poi, minacciato dal condottiero imperiale Stilicone, si sarebbe mosso verso le Gallie, passando per la Liguria di cui sarebbero state distrutte vie e città, sin alla sconfitta patita a Pollenzo per opera dello stesso Stilicone nel 402.
A parere del Barocelli, ALARICO avrebbe invece posto a sacco le città liguri e del Basso Piemonte, poi durante la II invasione, del 408-410 (quella che portò alla presa ed al sacco di Roma da parte dello stesso Alarico), una seconda armata di VISIGOTI, guidati da ATAULFO, alla ricerca di un'uscita verso le Gallie, avrebbe devastato anche il municipio di Albintimilium (il poeta latino Claudiano, nel De sexto cons. Honor. Aug. pp. 440-4, scrisse che Alarico aveva mosso le armate profittando dell' inverno contro le trepidanti città liguri]. Sono noti i RESTAURI APPORTATI DAL ROMANO FLAVIO COSTANZO POI COSTANZO III di cui purtroppo le lacune del testo del DE REDITU SUO DI RUTILIO NAMAZIANO CI RAGGUAGLIANO SUL TERRITORIO DI ALBENGA MA NON SU QUELLO DI VENTIMIGLIA) ed il tempo hanno cancellato ogni notizia sui ponti dell'LIGURIA PONENTINA, AI CONFINI TRA ITALIA E FRANCIA, mentre è noto che si salvarono e vennero anche restaurati ad opera del citato Flavio Costanzo i ponti romani nell'INGAUNIA e nell'AGRO SAVONESE OVE TUTTORA SI RICONOSCONO SEI PONTI ROMANI DI CUI DUE ANCORA TRANSITABILI]
ed ancora per via di
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= uno di questi fino a non tanti decenni or sono
BEN INDIVIDUABILE E QUI PROPOSTO DA FOTOGRAFIE SCATTATE PRIMA DELLA SUA DISTRUZIONE SITO NELL'ALVEO DEL TORRENTE CROSA O VERVONE/VERBONE AI PIANI DI VALLECROSIA
Pur sussistendo varie ipotesi non sussistono dati sui grandi corsi d'acqua del Nervia e del Roia in merito ai quali si può far riferimento solo a ponti eretti nel medioevo.
Nel medioevo si ricorse a strutture in legno che solo dal XVI sec.cominciarono a venir sostituite da complessi parzialmente realizzati in muratura.
Nell'età di mezzo, dimenticata la grande tecnologia viaria romana, si introdusse un grande uso di GUADI A PEDATE, rozzi percorsi di pietroni disposti nei siti fluviali di minor profondità in linea con qualche percorso d'accesso al paese o borgo da raggiungere: a confronto del guado romano, sopra citato, dei Piani di Vallecrosia era un'opera rudimentale davvero il guado a pedate che permetteva di valicare il rio Crosa o Verbone e raggiungere l'abitato di Vallecrosia alta o medievale e così pure il
guado a pedate identificato presso la chiesa di S.GiorgioDOLCEACQUA tuttora vero e proprio LABORATORIO A CIELO APERTO SUL MEDIOEVO
di cui grazie ai ROGITI DEL DUECENTESCO NOTAIO GENOVESE DI AMANDOLESIO SI PUO' DELINEARE LA TOPOGRAFIA STORICA DEL BORGO .
La salvaguardia dei guadi fu a lunga soggetta a controlli assidui con pene severissime per i danneggiatori eppure il fenomeno era diffuso sì che non mancavano personaggi senza scrupoli ancora nel XIX secolo che per farsi pagare il traghetto, specie di merci, non esitavano a distruggere, come qui si vede per Vallecrosia, i guadi a pedate.
Al riguardo dell'ESISTENZA MEDIEVALE DI PONTI SUL ROIA ED UNO SUL NERVIA (corsi d'acqua quando possibile utilizzati per un trasporto fluviale in sinergia con il complesso delle oasi alluvionali: fluitazione) e del loro rapporto con "OSPIZI - OSPEDALI - STRUTTURE DI RICOVERO PER VIANDANTI - PELLEGRINI - CAVALIERI - CROCIATI" può convenire lo studio di un testamento, del 29-XII-1258, fatto redigere al di Amandolesio per volere di un certo Ugo Botario.
Questo lasciò vari beni a pro di strutture diverse proprie del territorio di Ventimiglia: 10 soldi genovini all'ospedale de Clusa ed a quello de Rota strutture assistenziali religiose: tali somme sarebbero servite per comprar "sacconi", cioè giacigli per il riposo degli stanchi pellegrini. Il Botario lasciò pure 10 soldi all' "opera della chiesa di San Michele" (presso il cui chiostro voleva esser sepolto) ed altrettanto donò alla cattedrale di S.Maria. All' OPERA DELLA CHIESA DI SAN FRANCESCO DEI FRATI MINORI il testatore stabilì invece che spettassero 20 soldi genovini: intendeva egli che con quei danari si vestissero dieci poveri con tuniche, un pari numero con camicie ed altrettanti ancora con pantaloni. Anche il Botario, pur senza dimenticarsi degli altri ORDINI RELIGIOSI, aveva quindi risentito del messaggio francescano: sì da lasciare a questo Convento il doppio di quanto aveva stabilito per le altre chiese.
Il Botario, contestualmente, col suo duecentesco testamento, lasciò 10 soldi oltre che all' OPERA DEL PONTE DEL ROIA all' OPERA DEL PONTE SUL NERVIA [a differenza del ROIA questo secondo fiume o, come altri preferiscono, grande torrente sino a META' DEL XIX SECOLO QUANDO FU REALIZZATO UN PONTE IN MURATURA fu superato sempre IN VARI MODI DA UN PRECARIO PONTE LIGNEO, SFRUTTANDO QUALCHE GUADO, QUALCHE STRUTTURA PROVVISORIA DI GUERRA, PERFINO AVVALENDOSI DELLA "BARCHETTA DI UN REMUNERATO TRAGHETTATORE" =
in merito al complesso tema dei PONTI SUL NERVIA vale comunque la pena di aggiungere siffatta e preziosa integrazione = DA QUESTA CARTA DI ANONIMO DEL '700 SI DEDUCE CHE -ANCHE PER GLI EFFETTI DELLA GUERRA DI SUCCESSIONE AL TRONO IMPERIALE DI META' '700-
NON LONTANO DALLA RIVA DEL MARE IL NERVIA ERA SUPERATO PER VIA D'UN PONTE VEROSIMILMENTE IN LEGNO MA SI NOTA CHE UNA DIRAMAZIONE VIARIA DETTA "STRADA DI CAMPOROSSO" CONDUCEVA
ATTRAVERSO "LE BRAIE" LUNGO LA RIVA ORIENTALE DEL NERVIA SIN AD UN PONTE AD UNA SOLA ARCATA CHE IMMETTEVA AL BORGO DI CAMPOROSSO E QUINDI ALLA VAL NERVIA COME HA LASCIATO SCRITTO IL BERTOLOTTI
IN QUESTA PAGINA DEL SUO MAI ABBASTANZA STUDIATO VIAGGIO NELLA LIGURIA MARITTIMA DEL 1834 (ENTRO CUI NATURALMENTE, OLTRE A QUESTO PONTE DI CAMPOROSSO, NON MANCA DI CITARE IL MONUMENTALE PONTE DI DOLCEACQUA)
: i secoli passano oggi veloci ma nel passato lo "stato del presente replicava spesso soluzioni utilizzate da tempi immemori" e comunque -a titolo di approfondimento giova ribadire che mutatis mutandis dal noto tattico sulla via Romea del Nervia la varia tipologia di viaggiatori (pellegrini, crociati e cavalieri ecc) che intendeva raggiungere
il mare e quindi le sue varie stazioni od ospizi il tragitto del Nervia poteva -sulla linea di quanto detto e senza dubbio possibilistico se non plausibile in assoluto- fruire sin dal medioevo di varie opzioni proprio dal nodo strategico ed anche "segnato" pei pellegrini dal lato iconografico della chiesa di S. Pietro di Camporosso ove si era soliti stipulare contratti tra i viandanti della Fede e nel caso i loro emissari nel caso non si volesse o si potesse operare di persona e delegare altri più pratici od audaci ai fini dei sempre perigliosi viaggi della Fede = da quella di
accedere direttamente agli ospedali di Nervia e Ventimiglia quanto di fruire -anche a secondo delle mete scelte dei Luoghi Santi (vedi cartografia)- di più diramazioni
dal percorso più arduo per raggiungere l' importante Ospedale di N. S. della Ruota tra Bordighera e Ospedaletti (nemmeno escludendo la possibile variante di attraversare il Principato Monastico di Seborga per accedere al Montenero) alla diramazione di cui qui sopra si parla e detta
strada di Camporosso che immetteva sul tragitto per Bordighera-Ospedaletti sin ancora -sempre volendo accedere a questa meta orientale del Capitanato di Ventimiglia- al valicamento diretto del Nervia quando provvisto di ponti o guadabile non troppo rischiosamente anche in presenza di tracimazioni ma grazie alla fruizione di efficienti traghettatori [ Ugo Foscolo militante nell'armata francese d' Italia ai tempi napoleonici, fuggendo, con frotte di vinti commilitoni, da Genova ripresa a fine '700 dagli Austriaci nel descrivere (su una direzione quindi opposta e comunque diversa da quella citata ma grossomodo speculare, cioè da Ovest ad Est) nella sua "Lettera da Ventimiglia" del romanzo epistolare Jacopo Ortis- può davvero risultare l'ultimo viandante e descrittore di questi tragitti di cui il
NERVIA (VEDI), fiume-torrente imprevedibile seconda del flusso delle acque rendeva alternativamente necessario avvalersi a seconda delle sue condizioni e della sua portata, anche rinunciando ai percorsi più semplici per sfruttare quelli decisamente ardui, come qui si legge pur di raggiungere Ventimiglia e da lì la Francia e tuttavia, pur realizzando e/o finalizzando i Savoia -ma con lentezza eccessiva- la "Strada della Cornice" ideata da Napoleone, ancora
nel 1826 Giacomo Navone erudito diretto a Ventimiglia provenendo da Bordighera, per unirsi ai suoi amici sulla sponda opposta del Nervia, dalla costruenda "Strada della Cornice" dovette guadare il fiume con l'aiuto magari di un traghettatore ed altresì oltre un decennio dopo pur dichiarandosi per pubblicistica di Stato finita la "Strada" seppur con l'onere di terminare alcune infrastrutture si sminuiva ad arte -anche per non inasprire ulteriormente i Liguri giustamente rabbiosi per l'annessione coatta e inaspettata al Piemonte dopo la Restaurazione di Vienna- l'entità reale dei lavori da concludere perché tra queste "infrastrutture" date come di poco conto stavano molti ponti di modo che al tempo del Bertolotti, quindi nel 1834, non esisteva ancora un ponte sul Nervia visto che effimera era stata la vita del ponte in legno costruito dagli Austriaci durante la settecentesca guerra di successione al trono imperiale ed infatti solo dopo la metà del XIX secolo fu REALIZZATO UN VERO PONTE SUL NERVIA GRAZIE SOPRATTUTTO ALLA COSTANZA DEL PARLAMENTARE SABAUDO FRUTTUOSO BIANCHERI AVVOCATO DI CAMPOROSSO CHE CON RIPETUTE ED APPASSIONATE INTERPELLANZE RIUSCI' A FAR REALIZZARE CON ALTRI INTERVENTI DI MIGLIORIE PER LA STRADA DELLA CORNICE OGGI L'AURELIA ANCHE, COME APPENA SCRITTO, UN SOLIDO PONTE IN MURATURA SUL TORRENTE NERVIA].
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Per "OPERA" si intendeva una sorta di CONFRATERNITA preposta alla manutenzione dei ponti; è impossibile dire se si trattasse di una sola OPERA preposta alla cura dei ponti in legno su entrambi i corsi d'acqua o due OPERE = queste donazioni alle opere dei ponti rientraVano comunque nel XIII secolo in una finalità assistenziale ma anche devozionale legata ai grandi fermenti duecenteschi dei
Pellegrinaggi della Fede, attraverso una diramazione della Via Francigena, come ben si evince anche dall'irrinunciabile analisi di questo TESTAMENTO DUECENTESCO DI ANFOSSO RAINERIO DI CAMPOROSSO IN VAL NERVIA).
Comunque è da menzionare che si doveva trattare di un tipo di organizzazione piuttosto importante, e in continua attività, come si deduce da ulteriori testamenti o lasciti che fecero altri benestanti del luogo: dal documento traspare una moderna consapevolezza di tutelare il vecchio persorso di costa, non solo per i pellegrinaggi religiosi ma pure per le relazioni commerciali.
I porti e approdi di Ventimiglia, gli Ospedali, le vie costiere, le antiche direttrici parallele, i percorsi di questa e quella valle con le relative diramazioni, soprattutto i ponti lignei da restaurare in continuazione su quei due ribelli corsi fluviali, costituivano ai tempi del Botario un arabesco di porte spalancatesi da poco sul resto del mondo.
Un discorso particolare vale per il PONTE SUL ROIA o per essere precisi per l'edificazione di un ponte parzialmente in muratura per certi versi erede tanto dell'edilizia medievale che della riscoperta tecnologia romana.
su questo esistono alcuni dati fermi:
-nel 1564 UN TERREMOTO (o magari i suoi effetti secondari) ed uno straripamento del Roia (gli atti parlano di una grave rujna) determinano la distruzione del vecchio ponte in legno che quasi annualmente doveva essere restaurato (B. DURANTE - F. POGGI, Storia della Magnifica Comunita' degli otto luoghi, Bordighera, 1986, pp. 149-155 con riferimenti archivistici).
-nel 1582, su petizione dei Parlamentari intemeli e dei Sindaci delle Ville, esisteva una autorizzazione alla realizzazione di un ponte in muratura usufruendo di peculiari vantaggi fiscali.
-nel 1585 da una petizione del Sindaco Michele Aprosio si apprende che era prevista per la primavera l'inizio della costosa opera.
-nel 1587 la richiesta di ulteriori esenzioni a Genova lascia intendere che l'opera del ponte ( come quella di una fortezza alla marina, verisimilmente il Torrione) procedeva a rilento.
-L'opera procedette comunque e venne alla fine conclusa.
E' interessante notare che l' 11-VIII-1782 la lunga impresa fu data per compiuta e che, come si può in qualche modo vedere dalle riproduzioni ottocentesche il PONTE (poi gravemente danneggiato da una piena del fiume del 1866 e di cui restano solo i BASAMENTI DEGLI ANTICHI PILONI poco a sud dell'attuale ponte stradale vecchio) sarebbe stato costruito (previo accordo fra i Sindaci della Comunità degli Otto Luoghi e quelli della Comunità di Ventimiglia) con 2 ARCATE APERTE per rendere possibile l'accesso dei bastimenti al ricovero portuale che si trovava all'altezza dell'attuale frazione di Roverino (Sez. Archivio di Stato di Ventimiglia, Notaio Pietro Antonio Aprosio, filza n.37, 1778-1783, atto n. 353).
Nell'immagine il "ponte antico" si vede ancora in piedi, seppur danneggiato, a fianco, poco più a meridione, del PONTE NUOVO.
La curiosità dell'immagine permette di evidenziare come, ancora nel 1870, quando si andava ultimando, il ponte nuovo sul Roia era attivo, per quanto malconcio ma viste le esigenze della città, il ponte vecchio: seppur a stento, anche in questa immagine si nota il particolare delle arcate mobili in legno per il passaggio delle barche ed il loro ancoraggio all'interno del fiume: il ponte nuovo (quello che attualmente serve il traffico stradale e pedonale fra la città moderna e quella medievale, oltre che -seppur non più da solo- il traffico verso la Francia) si vede nella sua compiutezza, dalle linee architettoniche compatte e, naturalmente, non provvisto di arcate mobili vista l'irrilevanza, da parecchio tempo, del fiume sia come porto canale che come attracco.
Un' altra preziosità di questa immagine sta nel fatto che è una inconfutabile prova fotografica -fra le ultime prove esistenti- di FORTE S. PAOLO ancora notevole, rispetto al centro abitato nella sua considerevole mole.
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