Nel 364 a.C., durante i Ludi Romani fu introdotta per la prima volta nel programma della festa una forma di teatro originale, costituita da una successione di scenette farsesche, contrasti, parodie, canti e danze, chiamati fescennina licentia. Durante i fescennini si svolgevano canti travestimenti e danze buffonesche. Il genere, di derivazione etrusca, non ebbe mai una vera e propria evoluzione teatrale, ma contribuì alla nascita di una drammaturgia latina.
Tito Livio, in Ab Urbe condita, VII, 2, 4 (il solo autore ad usare la forma ludio per indicare il mimo e il saltimbanco da collegare ai Ludi o giuochi = Cicerone usa come altri la forma ludius comunque di analogo significato per questi personaggi) racconta come in quell'anno i Romani, non riuscendo a debellare una pestilenza, decisero di inserire, per placare l'ira divina, anche Ludi Scenici, per i quali fecero venire appositamente dei ludiones (cioè artisti e danzatori), dall'Etruria. Queste manifestazioni, per lo più considerate come bassi divertimenti popolari, subirono la severità dei legislatori dell'epoca: il carattere licenzioso e gli attacchi a personalità di spicco dell'epoca incorsero nello sfavore delle autorità, che misero dei limiti a queste rappresentazioni, con leggi austere a difesa dei costumi romani e persino la proibizione di posti a sedere nei teatri
(a questo proposito una chiosa risulta opportuna = può oggi sembrare strano ma nel contesto delle varie forme di spettacolo dell'antica Roma il Teatro sarebbe divenuto ad opera del Cristianesimo originario oggetto di riprovazione inferiore solo ai giochi gladiatori quasi a recuperare per casualità più che per scelta questo vetero-giudizio romano però superato con l'evoluzione delle rappresentazioni sceniche
sì che mentre le corse dei carri erano sarebbero risultate quantomeno tollerate e comunque praticate a riguardo delle manifestazioni sceniche sarebbero divenute oggetto di estrema riprovazione e celere soppressione soprattutto quelle meno impegnate dai mimi ai pantomimi, in pratica l'avanspattacolo del tempo, in cui accanto agli attori agivano personaggi bizzari se non mostruosi, ma atti a suscitare riso e non paura, e soprattutto le donne che, spesso discinte, sarebbero state giudicate sin dal Cristianesimo delle origini provocatrici di libidine al segno di far definire il Teatro "Sentina di Impurità".
Ritornando a Tito Livio egli scrisse in merito: " ...si dice che tra i tanti tentativi fatti per placare l'ira dei celesti vennero anche istituiti degli spettacoli teatrali, fatto del tutto nuovo per un popolo di guerrieri i cui unici intrattenimenti erano stati fino ad allora i giochi del circo. Ma a dir la verità si trattò anche di una cosa modesta, come per lo più accade all'inizio di ogni attività, e per giunta importata dall'esterno. Senza parti in poesia, senza gesti che riproducessero i canti, degli istrioni fatti venire dall'Etruria danzavano al ritmo del flauto, con movenze non scomposte e caratteristiche del mondo etrusco. In séguito i giovani cominciarono a imitarli, lanciandosi nel contempo delle battute reciproche con versi rozzi e muovendosi in accordo con le parole. Quel divertimento entrò così nell'uso, e fu praticato sempre più frequentemente. Agli attori professionisti nati a Roma venne dato il nome di istrioni, da ister che in lingua etrusca vuol dire attore. Essi non si scambiavano più, come un tempo, versi rozzi e improvvisati simili al Fescennino, ma rappresentavano satire ricche di vari metri, eseguendo melodie scritte ora per l'accompagnamento del flauto e compiendo gesti appropriati.
(Tito Livio, Ab Urbe condita, VII, 2)
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