cultura barocca

[Lo stesso Martin Lutero ebbe occasione d'affermare che " La stampa era l'ultimo e più grande dono di Dio, poiché grazie ad essa il Signore aveva voluto far conoscere la causa della vera religione, ovunque sino alle ultime estremità del mondo e diffonderla in tutte le lingue" = da metà p. 105 del repertorio della Biblioteca Aprosiana... del 1673 si legge quando Aprosio instaurò a Venezia profonda amicizia con lo stampatore Jacopo Sarzina nella cui tipografia imparò l'arte della composizione a piombo: narrando poi nello stesso testo le vicissitudini del Sarzina e della di lui libreria anche dopo l'avvenuta sua morte nel 1639" [contemporaneamente fece sua l'abilità di legatore e restauratore (che esercitò anche in seguito al ritorno a Ventimiglia , non senza il faticoso superamento di opposizioni varie, una volta definitivamente finalizzata la sede della "Biblioteca" (clicca su numero 5 attivo e multimediale = tutti i numeri, per approfondire la conoscenza del complesso, anche dal lato agronomico compreso il "granaio a torre" - n. 8 -, sono parimenti attivi e multimediali), con il sopraelevamento del "braccio orientale" (sempre onerosissima, specie dal punto burocratico, la modificazione di una struttura conventuale - su progetto e guida dei lavori ad opera di Padre Fabiano Fiorato - tanto che la fine dei contenziosi fu soprattutto agevolata dalla morte improvvisa del principale nemico di Aprosio soprannominato sprezzantemente da Angelico "Tragopogono"), entro questa stessa sua "Libraria", in uno spazio eletto a laboratorio per tale servizio di mera attività manuale, di maniera che ancor poco prima della sua morte si dedicò (dopo anni di solitario e duro lavoro non più da solo ma con l'ausilio del discepolo e successore Domenico Antonio Gandolfo del cui arrivo e della cui collaborazione si rallegrò in questa lettera al bibliotecario mediceo Antonio Magliabechi) al restauro di volumi tanto preziosi quanto malandati indice d'un innato amore per i libri, tanto da averne io stesso, per qualche indecifrabile via tanto legato ad Aprosio, come sostenne un celebre critico letterario, sentito il bisogno di narrare una storia, dove si mescolano realtà e fantasia, sulla sua totale dedizione a quelle che per lui era una missione se non un'arte, la biliofilia interagente con la biblioteconomia, racconto intitolato Il dono dei Magi, notte dell'Epifania, 1681 Ventimiglia, Biblioteca Aprosiana che si può leggere qui intieramente digitalizzato voltando le pagine da un comando informatico a fine di ogni pagina ] = altresì Aprosio sviluppò nel contesto dell'arte della stampa rapporti stretti con l'attività di librai, di pittori (specie pittori genovesi) e pure di incisori (intensi furono anche i rapporti culturali e la la corrispondenza tra questi intellettuali ed artisti - usi pur tra loro e i dotti committenti - anche a versificare nell'accompagnare le proprie opere ed anche in dialetto genovese - ed Aprosio) non escluso Giovanni Maria Striglioni, grande incisisore di Badalucco, già accusato di Sodomia, torturato, poi liberato e come parroco assegnato a diverse sedi fino alla Parrocchia del borgo natio ove l'archibugiata di "nessuno", cioè di qualcuno che tutti conoscevano ma di cui nessuno osò parlare, pose fine alla sua vita nel 1685 = ma non erano tempi facili e ne risentiva anche l'arte, comprese le incisioni per i libri spesso sottoposti a censure o per i testi o per le immagini : le nudità e le rappresentazioni rinascimentali un tempo acclamate erano a volte giudicate oscene e perseguibili ). [A titolo integrativo giova comunque ricordare che Aprosio amava la pittura tanto che chiamò la sua Biblioteca molto spesso Museo alla sorta di una Wunderkammer non priva di una Quadreria purtroppo in gran parte dispersa per eventi bellici e non solo come qui si legge e che se anche partecipò al dibattito contro la produzione pittorica di immagini sacre giudicate oscene nella sua Quadreria, che poi era sostanzialmente una vasta raccolta di ritratti di suoi amici e sostenitori, non escluse la rappresentazione di personaggi connessi alla Scienza Nuova da Gian Domenico Cassini a Francesco Redi per esempio, pur se sussistono dubbi, nonostante le promesse fatte dallo scienziato se il ritratto tanto ambito del Redi sia realmente giunto a Ventimiglia atteso un certo disamoramento, poi forse superato, del Redi verso l'Aprosio attesi anche gli interessi rediani in botanica compresa un'interessante opera su quelle Palme che caratterizzavano il paesaggio del Ponente Ligure.
Aprosio ne La Biblioteca Aprosiana, Passatempo Autunnale di Cornesio Aspasio Antivigilmi... - suo noto repertorio biblioteconomico - sotto pseudonimo, anagramma puro - edito nel 1673 per li Manolessi a Bologna - scrisse emblematicamente Lo stampare libri con Maestà di carta, e di caratteri, è cosa da Rè. Col danaro, che egli consumò nello stampare la metà del libro, io l'haverei stampato intero. Con poco panno non posson farsi grandi le vestimenta (metà. pag. 584 Aprosio si riferisce agli GLI SCRITTORI LIGURI di Michele Giustiniano(-i) di cui si stampò solo il primo volume con la sequenza del nome proprio degli autori, per nome proprio fermantesi alla settima lettera la G ove l'ultimo autore citato risulta Guglielmo Redoano di Vernazza "celebregiureconsulto" = questa considerazione può essere alla radice della considerazione aprosiana di pag.584 = un'affermazione confermante che Aprosio divenuto collaboratore del Giustiniano(-i) non ne avesse condiviso le spese per una stampa troppo costosa del primo e unico volumede de Gli Scrittori Liguri in qualche modo presagendo il suo destino di scrittore cioè l'incompiutezza della stampa del suo repertorio biblioteconomico (anche lui dispose i "fautori" dell'Aprosiana nel proprio repertorio biblioteconomico per nome proprio citati limitatamente alle lettere A, B, C: pur se, più o meno apertamente nello stesso giudizio sul Giustiniano(-i), confrontò colle disponibilità di questo i pochi suoi mezzi economici per non aver potuto stampare compiutamente il proprio repertorio , scomparso il Cavana, non aspirando a carta pregiata e caratteri neclatanti).
Parlando delle postume Vite dei pittori genovesi del Soprani, Aprosio annota, a prova del suo citato amore per i libri belli con splendide incisioni, La Pittura non è stata derelitta così nel particolare, come nell'universale. De' Pittori Genovesi, e dello stato prese a scrivere con grandissima diligenza il candidissimo Soprani, e il libro adorno di molti ritratti in Rame de' più principali Artefici, delineati dall'impareggiabil mano di Domenico Piola, novello Apelle, stà apparecchiato, havendolo io per qualche mesi havuto nelle mani (pag. 585, XII riga dall'alto: tutte le voci evidenziate da sottolineatura in rosso sono attive e multimediali = siffatto amore per i libri graficamente ornati da eccellenti incisori su disegni di pittori noti era sì una passione aprosiana (come il "Genio Ligure Risvegliato" di G. B. Veneroso) ma spesso causa di affannose e lunghe se non vane ricerche: il mecenate dell'Aprosiana Gio Nicolò Cavana in una delle poche lettere dell'epistolario aprosiano rimaste a Ventimiglia dopo l'asportazione napoleonica dell'operazione Semini scrisse poi ad un soddisfattissimo Aprosio di esser entrato in possesso di un libro dal frate tanto vanamente cercato cioè la Ferrara d'Oro dell'Abate Antonio Libanori cui il frate ventimigliese dedica un breve quanto intenso stralcio, sempre nel repertorio biblioteconomico del 1673 del quale da fine pagina 584 ad inizio pagina 585, parlando estesamente qual fautore della sua biblioteca del pittore vicentino Carlo Ridolfi (p. 583, n. X) e autore di libri di storia dell'arte tra cui Le Meraviglie dell'Arte...: ma se l'opera del Libanori gli pervenne poi grazie ai servigi della famiglia Cavana, altri tomi ambiti non ebbe la fortuna assimilarli ed in particolare il Fato negò ad Aprosio d'accostarsi ad un libro che il frate sapeva in corso di ideazione e preparazione, e che più di tutti, avrebbe voluto se non possedere almeno vedere specie per le splendide incisioni, atteso che per sua "sventura" ciò gli fu inibito dalla morte a differenza di quanto accadde al suo discepolo Domenico Antonio Gandolfo ovvero "Il libro dei Trionfi di Caio Giulio Cesare" il condottiero per cui coloro, i cui discendenti dovettero un giorno dire dall'alba dei secoli di ferro Fuimus Troes cioè "Dispersi come i Troiani", molto prima si conquistarono la cittadinanza romana ed edificarono una "grande città" ovvero Ventimiglia romana ricordata, in forza della fazione cesariana per cui si sollevarono, nella forma Civitas Ad Arma Iit rimasta poi nello stesso stemma civico. E' comunque indubbio che nell'ideologia aprosiana, a pro delle arti figurative anche sotto forma di incisioni entro i volumi doveva aver avuto influsso il pensiero del Cardinale Sforza Pallavicino, che si sublimò in quella sua monumentale opera che è il Del Bene ( edita per la I volta nel 1644, dialogo in 4 libri, uno dei maggiori trattati di estetica del Seicento: qui integralmente proposto in versione digitalizzata da volume del 1685) e che tanta influenza ebbe sulle arti assolutamente, come qui si vede, non esclusa quella oratoria e che in più parti del lavoro affrontò il tema dell' imitazione poetica e pittorica e, pur biasimando la rappresentazione gratuita di oscenità, propose nel contesto del libro II, parte I, capitolo XXIX la qui digitalizzata riflessione "Si prende opportunità di sciorre un'opposizione di Platone contra la Pittura"]. Ritornando specificatamente alla stampa nella sua primaria caratteristica di riproduzione scrittografica di parole e facendo un passo avanti nel tempo che prescinda per un momento dalle critiche prima espresse avverso alcuni errori di questo autore ottocentesco, cioè Luigi Ricca, di cui si è tanto scritto come di altri ancora a lui ben precedenti (e come sempre fu, è e probabilmente sarà), occorre rammentare che, se è vero come ...non esista alcun libro che per brutto che sia non contenga qualche cosa di utile... al modo che scrisse Angelico Aprosio recuperando un aforisma di Plinio il Giovane, altrettanto è vero che non esiste il libro perfetto del tutto esente da lacune od errori sia dell'autore che del tipografo come ancora Aprosio [ intitolando un suo avvertimento "L'autore a chi cortese, e non totalmente Amuso" (disus. dal lat. e a suo volta dal greco ="nemico delle Muse" nel senso di ignorante e rozzo ) "leggerà questa Sconciatura"] scrisse a causa dei numerosi refusi della sua Biblioteca Aprosiana del 1673 riversando magari le responsabilità maggiori sul tipografo o meglio sulla scarsa diligenza di "Compositori, Correttori e Proti", ma non esentandosi però di assumere anche delle proprie colpe in merito a parecchie sviste rammentando che per haver mandato il libro quale m'uscì tumultuariamente dalla penna senza rileggerlo, sono scorsi gli errori, che si veggono appresso da correggersi in conformità [ eppure nell'opera del correttore, specie se autore, qualche refuso compare, nonostante ogni buona volontà: e, anche se Aprosio si riferisce all'errata-corrige del repertorio vero e proprio, nell'ampia e importante parte introduttiva resta, con altri, un refuso davvero grave, specie in forza dell'epoca, ove ognuno voleva esattamente esser indicato e spesso con i titoli propri, specie se omaggiatore di qualche "complimento poetico" = ed è qui il caso di quanto si trova a pagina XXVIII ove, tuttora, compare un inesistente Giulio Anonio Fracnhi in luogo del reale Giulio Antonio Franchi ]
informat. B. Durante CLICCA E VEDI ALTRA IMMAGINE

Lo stesso Martin Lutero ebbe occasione d'affermare che
" La stampa era l'ultimo e più grande dono di Dio, poiché grazie ad essa il Signore aveva voluto far conoscere la causa della vera religione, ovunque sino alle ultime estremità del mondo e diffonderla in tutte le lingue "
(vedi = Mario Infelise, I libri proibiti, Bari, Laterza, 2001, p. 4).
La stampa portava e diffondeva le nuove idee e postulava rinnovate valutazioni sia in materia religiosa che politica ed altro ancora: sia per questi che per altri motivi ancora il Mondo cattolico rispose con vari mezzi tra cui la Censura sia Laica che Ecclesiastica alle opere che non fossero in sintonia con i valori da lui riconosciuti. Le aree maggiormente temute e quindi tenute sotto peculiare vigilanza erano quella di
Frontiera e tra queste quelle delle Diocesi di Frontiera o "Diocesi Usbergo"
dove il controllo avverso i libri proibiti era o doveva essere più vigile che ovunque essendo i luoghi per cui filtravano solitamente i testi sospetti.
I controlli concernevano tanto la
Censura Ecclesiastica che quella degli Stati
e del resto se prevaleva una specifica
vigilanza avverso i testi teologici di supposto contenuto ereticale
quasi alla stessa stregua preoccupavano libelli anticattolici di altro e vario ed anche sorprendente argomento
(citiamo a guisa d'esempio i presunti testi di pubblicistica riformata a pro di cortigiane e meretrici)
oltre a testi del pari anticattolici oltre che sotto il profilo religioso e teologico in merito ai contenuti di ordine politico.
Da qui derivò un controllo severo di cui si può prendere ad esempio quanto scrisse in un libro datato ma sempre valido Paul Grendler, L'Inquisizione romana e l'editoria a Venezia 1540 - 1605, Roma, Il Veltro Editrice, 1983 ="...la legge prevedeva che un funzionario dell'Inquisizione esaminasse i libri in arrivo e stilasse un inventario dettagliato. Comprensibile che, di fronte alle migliaia di volumi provenienti da tutta Europa all dogana di Venezia, gli ispettori tendessero ad abbreviare le procedure e a divenire più corrivi. Si poteva anche tentare di corrompere un funzionario della dogana, o per quanto difficile, lo stesso ispettore del Sant'Uffizio...." .
Certo non doveva affrontare questa situazione, propria di una grande piazza come Venezia notoriamente tra le capitali della cultura e dell'editoria, un
Vicario dell'Inquisizione come Angelico Aprosio
ma, in assenza di adeguato supporto di personale, i suoi problemi li aveva anche in una piccola città come
Ventimiglia che però era sempre sede di una Diocesi di Frontiera.
Come spesso accade con i "frutti proibiti" e nell'epoca tra questi, per molti bibliofili, erano da ascrivere i "Libri Proibiti" si ricorreva a tanti espedienti pur di leggere quanto era istituzionalmente negato.
Alla maniera con cui scrive lo
spesso qui citato Luca Tosin
il
"...contrabbando dei libri proibiti (che viaggiavano non solo con falsi e innocui frontespizi, ma dentro balle di tessuti o all'interno di botti)...
(provenendo mediamente dal Nord d'Europa, specie l'Inghilterra e i Paesi Bassi od ancora gli Stati della Germania)
era un fatto abbastanza comune.
Ma Aprosio, oltre che Vicario dell'Inquisizione, era principalmente un accanito bibliofilo e per lui i Libri Proibiti erano un "frutto proibito" su cui indagare ma anche da leggere e se possibile possedere.
Da qui il ricorso a vari espedienti per aver quantomeno notizia di ciò che magari non avrebbe mai potuto avere o soltanto sbirciare! E una testimonianza di ciò la recuperiamo proprio dal contesto dei suoi rapporti e soprattutto della sua corrispondenza col patrizio genovese vero mecenate dell'a Biblioteca Aprosiana
Giovanni Nicolò Cavana

RIPR. B. DURANTE DA ORIGINALE




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p align=center>GIUSTINIANI, Michele, saggio di Maria Carla Italia - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 57 (2001).
GIUSTINIANI, Michele. - Nacque a Chio il 10 apr. 1612 da Pietro e Maria Costa. Il padre discendeva dal ramo Reccanelli della nobile famiglia genovese che dal 1346 (anno della riconquista di Chio da parte di Genova) aveva ottenuto il privilegio di fondarvi e gestirvi una compagnia di commercio - la Maona di Chio -, che si mantenne fino alla metà del XVI secolo. Si trasferì giovanissimo ad Avellino, presso il cugino, Bartolomeo Giustiniani, vescovo della città dal 1626. Ad Avellino, dove in seguito fu titolare di tre abbazie e di diversi benefici ecclesiastici, il G. entrò in seminario all'età di tredici anni. Compiuti gli studi umanistici sotto la direzione del cugino vescovo, nel 1633 si trasferì a Roma, dove nel 1642 si laureò in utroque iure. Dopo aver ottenuto (15 dic. 1636) l'ascrizione alla nobiltà genovese insieme con i fratelli Gabriele, Francesco e Pantaleo, nel 1638 il G. si trasferì da Roma a Genova, per conoscere la parentela e i membri dell'aristocrazia cittadina. Questa conoscenza, supportata dal suo interesse a documentarsi sulla storia e i personaggi principali della Repubblica di Genova, fu l'occasione per la composizione di un'opera, presumibilmente non ultimata, sulle famiglie dell'aristocrazia genovese; di essa, rimasta manoscritta, non si conosce il luogo di conservazione. Nello stesso 1638 iniziò la stesura de Gli scrittori liguri. Poco dopo il ritorno a Roma si recò nuovamente ad Avellino, per curare le rendite delle abbazie suddette, in parte conferitegli dal cugino Bartolomeo e in parte assegnategli per volontà di Urbano VIII. Negli anni Quaranta fu in Corsica in qualità di vicario della diocesi di Aleria, dove era vescovo un altro cugino, Decio Giustiniani, e successivamente altre due volte a Genova e, per diporto, in Sicilia. Nel 1652, morto Decio, andò nuovamente ad Aleria, inviatovi da Innocenzo X in qualità di vicario apostolico, poi ad Avellino. Nel 1654 era di nuovo a Roma. Qui nel 1656 il G. dette alle stampe la sua prima opera: Dell'origine della Madonna di Costantinopoli, o sia d'Istria, e delle di lei pretese traslationi libri due. Subito dopo si ritirò ancora ad Avellino per quattro anni, favorito dal principe Francesco Marino Caracciolo e dal vescovo Lorenzo Pallavicino nonché oggetto della benevolenza di altri numerosi personaggi che gli furono confidenti e protettori (tra loro Nicolò Ludovisi, principe di Piombino, al quale lo legò una devozione ventennale). Il G. fece trasportare da Napoli ad Avellino, a proprie spese, una tipografia con la quale nell'arco di tre anni poté dare alle stampe altre sei opere: Sonetti di m. Bartolomeo Giustiniani, vescovo d'Avellino,con la di lui vita (1656); Operette spirituali del v.p. Giorgio Giustiniani gesuita, cioè Giornata, passatempo e ricordi spirituali,con la di lui vita scritta (1656); La gloriosa morte di diciotto fanciulli Giustiniani, patrizi genovesi de' signori di Scio (1656); Caroli Poggij de nobilitate liber disceptatorius, et Leonardi Chiensis de vera nobilitate contra Poggium tractatus apologeticus,cum eorumvita et annotationibus (1657); Constitutioni Giustiniane ecclesiastiche instruttive eprecettive (1658); La Scio sacra del rito latino (1658).
.
GIUSTINIANI nel 1659 tornò a Roma, dove frequentò assiduamente la biblioteca del cardinale B. Spada per consultarvi manoscritti e opere a stampa, attingendo spunti e materiale per i suoi numerosi lavori. Frutto di copiose, eruditissime ricerche, essi si valsero anche della frequentazione delle più importanti biblioteche italiane, in particolare a Roma e Napoli, nonché di fitti scambi epistolari con spiriti tra i più raffinati e sensibili del suo tempo, che gli dettero concreta collaborazione. Tra questi l'agostiniano Angelico Aprosio, anch'egli umanista ed erudito, bibliofilo e bibliotecario, fondatore della prima biblioteca pubblica ligure, la Aprosiana di Ventimiglia. Nel 1660 il G. fu ancora ad Avellino, presumibilmente dopo un nuovo soggiorno a Genova, e nel 1661 a Napoli. Nel 1662 pubblicò a Roma la Historia delcontagio d'Avellino; pure a Roma pubblicò nel 1665 De' vescovi e de' governatori di Tivoli libri due (in appendice a F. Marzi, Historia ampliata di Tivoli) e, nel 1667, le prime parti delle Lettere memorabili dell'abbate Michele Giustiniani, patritio genovese… e de Gli scrittori liguri. Quest'ultima opera, repertorio completo degli autori liguri di scritti editi o inediti, è certamente una delle sue più note; insieme con quella coeva di Raffaello Soprani, essa servì ad Agostino Oldoini per compilare l'Athenaeum Ligusticum, stampato a Perugia nel 1680. Progettata in due volumi, di cui il secondo rimasto manoscritto, si proponeva di esaltare il valore dei Liguri nelle lettere - che il G. riteneva eccessivamente sottovalutato, se non addirittura misconosciuto - ed era dedicata alla Repubblica di Genova. Per la redazione del secondo volume, in particolare, egli sollecitò la collaborazione dell'Aprosio (ligure di Ventimiglia), direttamente con la redazione di parti del testo e indirettamente con la segnalazione di fonti documentarie. La collaborazione tra i due potrebbe forse dirsi una redazione a quattro mani, dato che lo stesso G. dichiarò, in una lettera all'Aprosio, di essere "pronto a inserire le stesse parole delle relationi o la suostanza di esse nella maniera che ella più inclina". La collaborazione si sarebbe anche estesa a integrazioni e correzioni dell'intero testo, nonché alla redazione dell'errata corrige del primo volume: in questo contesto resta significativa l'affermazione aprosiana sui costi eccessivi dell'opera che non Andò oltre la metà cioè il primo volume Dopo il 1667 il G. tornò saltuariamente a Genova, dove lo attendevano la tenace opposizione dei parenti alla divulgazione di notizie riguardanti la famiglia e le loro costanti interferenze volte a ritardare la stampa delle opere che ritenevano non opportune: particolarmente avversata fu, in questo senso, la pubblicazione de La gloriosa morte di diciotto fanciulli Giustiniani. Nel 1673 pubblicò a Roma il Sacrosanctum concilium Tridentinum, eiusque patres coadiutores et interpretes, in trigintaquinque indices dispositi, cui nel 1675 e 1677 seguirono, ancora a Roma, la continuazione delle Lettere memorabili e delle annotazioni che G.A. Novari allegò ai suoi Summae bullarum, sive apostolicarum constitutionum usu frequentiorum commentaria.
uttavia le opere inedite del G. furono più numerose di quelle edite: un elenco, che egli pose in margine all'introduzione a Gli scrittori liguri, ne indica 49 già completate; la Biblioteca napoletana di Nicolò Toppi - di undici anni successiva - ne indica invece 43, di cui tre sole ultimate.
Il G. morì a Roma nel 1680.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Ar-chiviosegreto, filza 2834, c. 132; Coll. Lagomarsino, 446, cc. 166-167; 495, cc. 203, 296; Genova, Biblioteca universitaria, Mss., E.VI.5: Corrispondenti di padre Angelico Aprosio (lettera del G. all'Aprosio, s.d.); N. Toppi, Biblioteca napoletana et apparato a gli huomini illustri in lettere di Napoli e del Regno, dalleloro origini, per tutto l'anno 1678, Napoli 1678, I, pp. 214-216; G.B. Spotorno, Storia letteraria della Liguria, Genova 1824-58, V, pp. 1-4; K. Hopf, Storia dei Giustiniani di Genova, Genova 1881; Id., Les Giustiniani, Paris 1888 (entrambe sulla famiglia e il ruolo del G. in essa).













Tuttavia le opere inedite del G. furono più numerose di quelle edite: un elenco, che egli pose in margine all'introduzione a Gli scrittori liguri, ne indica 49 già completate; la Biblioteca napoletana di Nicolò Toppi - di undici anni successiva - ne indica invece 43, di cui tre sole ultimate.
Il G. morì a Roma nel 1680.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Ar-chiviosegreto, filza 2834, c. 132; Coll. Lagomarsino, 446, cc. 166-167; 495, cc. 203, 296; Genova, Biblioteca universitaria, Mss., E.VI.5: Corrispondenti di padre Angelico Aprosio (lettera del G. all'Aprosio, s.d.); N. Toppi, Biblioteca napoletana et apparato a gli huomini illustri in lettere di Napoli e del Regno, dalleloro origini, per tutto l'anno 1678, Napoli 1678, I, pp. 214-216; G.B. Spotorno, Storia letteraria della Liguria, Genova 1824-58, V, pp. 1-4; K. Hopf, Storia dei Giustiniani di Genova, Genova 1881; Id., Les Giustiniani, Paris 1888 (entrambe sulla famiglia e il ruolo del G. in essa).