cultura barocca
Chiesa di S. Giacomo Da S. Cristoforo a S. Giacomo: la nuova nominazione anche dell'areale = Analizza in siffatto contesto anche = Uno dei temi meno noti dell'archeologia dei viaggi di fede, ferma restando la sostanziale differenza tra il concetto di Pellegrinaggio Cristiano e Pellegrinaggio Pagano, è senza dubbio connesso al "Concetto di sovrapposizioni cultuali pagane e cristiane tra Divinità Pagane e Sante Figure della Cristianità" [IL TUTTO ENTRO UNO STRAORDINARIO CONTESTO TERRITORIALE E VIARIO PURTROPPO NEI SECOLI ALTERATO DA EVENTI BELLICI E COSTRUZIONI MILITARI COME QUI SI LEGGE]

Nel sito della Cumpagnia d’i Ventemigliusi leggesi ad integrazione di quanto qui riportato = "SAN CRISTOFORO [significativo il fatto che Angelico Aprosio abbia poi segnalato secondo un uso proprio dei pellegrinaggi della fede un gigantesco San Cristoforo dipinto sulla facciata della casa di un suo "avolo"]. Santo già già considerato protettore dei viandanti, oltre che dei Cavalieri Templari (oltre che con la sua effigie sulle vie della Fede reputato seppur tra idee anche contrastanti come qui sotto si legge alla stregua pure di un
SEGNACOLO VIARIO DEI PERCORSI DA SEGUIRE VERSO I LUOGHI SANTI).
Il culto per S. Cristoforo è stato poi sostituito con quello per San Giacomo, il quale, fin dal 1200, diventava sempre più popolare tra i numerosi pellegrini che si recavano a Compostela [giova precisare che Aprosio sulla scia del teologo cattolico Vermeulen, Jan (latinizzato in Giovanni Molanus) = Molanus, o Molani, conosciuto anche come Molano (pag. 54) che fra gli argomenti di cui scrisse figura in particolare uno studio sul sulle immagini con contenuti religiosi (di cui si danno qui alcuni rendiconti) qui ripresa dal testo originale del Molano e dall' opera del "Ventimiglia", senza, nel caso d'entrambi, la citazione tramite questa funzione di segnalare, con tali immagini, i percorsi da seguire per raggiungere i "Luoghi Sacri", ritenendosi invece "vana credenza" cioè colpevole "superstizione" la credenza che la visione di S. Cristoforo effigiato variamente fungesse qual protezione di pellegrini e viaggiatori, specie in Germania)
. Dagli atti rogati nell’anno 1260, dal notaio Amandolesio, apprendiamo come, sulle nostre strade, fosse diffusa la pratica del pellegrinaggio verso la Galizia: a riguardo dell'esistenza medievale di ponti sul Roia e sul Nervia può convenire lo studio di un testamento, del 29-XII-1258, fatto redigere al di Amandolesio per volere di un certo Ugo Botario in merito a lasciti, anche, per la manutenzione di queste opere.
Anche Anche Domenico Cambiaso ci fornisce notizia di come transitasse uno degli itinerari di pellegrinaggio ( = voci attive nella mappa) sulle Maure" [precisamente il I tragitto dell' ad Visitandum = voci attive nella mappa]". Con suo testamento del 1260 Anfosso Rainerio ottenne che altri si recasse per lui in Galizia al Santuario di Compostela e del pari, sempre nell’anno 1260, Ascherio Marengo si ammalò in Ventimiglia mentre era diretto a Santiago, volle che fosse dato del denaro a chi avesse proseguito il viaggio per lui. La presenza della località detta Martinazzi, alle falde della collina di Siestro, segnala un insediamento dedicato a San Martino, sul tratto del più importante tra i percorsi dal crinale al mare ed alla viabilità romana. Anche San Martino era considerato protettore dei pellegrini, proprio di quelli che si recavano in Galizia, avendo sovrapposto la sua figura alla divinità celtica Lug, che in epoca precristiana conduceva già i pellegrini a Compostela, segnalandosi con la figura della zampa dell’oca, sacra a Lug ed attributo di Martino; figura che verrà sostituita dalla similare conchiglia pecten, meno deteriorabile, più facile da ritrovare, a Finisterre; molto utile nel prelevare l‘acqua per bere, lungo il cammino".
[in un bel saggio sempre entro il sito della Cumpagnia d’i Ventemigliusi editato sotto la Categoria: TRADIZIONI INTEMELIE C (Pubblicato on line: 24 Novembre 2016) con la specificazione bibliografica "a partire da Intemelion n. 13 - 2007 - Archivio della memoria p. 157") fa questa considerazione assai utile:

" Nelle usanze celtiche accennate [non mancano nel lavoro allusioni alle
sovrapposizioni ma anche ben orchestrate assimilazioni cultuali elaborate dal Cristianesimo a scapito del Paganesimo specie sotto il magistero di Gregorio Magno e delle quali per completezza scientifica qui si dà maggior contezza] " i riti per il capodanno invernale duravano due fasi lunari; da quel bagaglio calendariale ci è pervenuta la conclusione del periodo che conserviamo con la ricorrenza di San Martino, vescovo di Tours, la quale indubbiamente mantiene la funzionalità del capodanno dato che, un tempo era considerata festa di precetto e veniva celebrata con fiere e banchetti innaffiati dal vino nuovo pronto proprio in questi giorni.5
Tra i menù dei banchetti era sempre presente l’oca, giacché quest’animale è attributo del Santo. La popolarità del vescovo di Tours è derivata dal collegamento con le antiche tradizioni celtiche e dai rituali druidici che egli contribuì ad estirpare.
Il fatto che fosse stato un soldato ed un cavaliere ed avesse deciso di tenere per sé una corta mantella, dividendola col povero infreddolito, aveva contribuito a renderlo erede del culto verso una divinità celtica che era considerato cavaliere del mondo infero, patrono della vegetazione che potrà sbocciare soltanto attraverso la morte “invernale”, nella semina.6
E appunto l’oca, sempre presente nell’iconografia del Santo di Tours, è attribuita al culto degli inferi.
Le oche, migranti in questo periodo dell’anno, da nord a sud, erano considerate dai Celti come messaggere dell’Altro Mondo; e anche per questo motivo oche sacre accompagnavano i pellegrini verso i loro santuari nei boschi.7
La zampa dell’oca sarebbe stata dipinta sul petto degli artigiani nomadi dell’Ançien Régime, stilizzandosi via via in conchiglia e diventando anche il simbolo dei pellegrini che si recavano a Santiago de Compostela, in origine santuario celtico. Il segno della palma d’oca fu così sostituito con le bianche conchiglie a pettine come quelle che i viandanti medievali raccoglievano sulle spiagge di Finisterre, a memoria dell’avvenuto pellegrinaggio.8
Una delle “vie franchigene” transita proprio sul nostro territorio
[in merito anche al percorso per il Santuario di Santiago di Compostela]; è d’importanza minore di quella che scavalca le Alpi Cozie tra il Piemonte e il Delfinato, ma è stata pur sempre uno dei percorsi più graditi dai pellegrini medievali, che compivano il viaggio verso Compostela.9
Era tradizione accogliere [
si legge ancora nel citato saggio], con benevolenza, tutti i pellegrini; sia si recassero a Roma, sia ai Luoghi Santi, tanto che nei nostri paesi si sono accasati molti “Palmero” (portatori di palme) e persino dei “Romeo”(pellegrini diretti a Roma), mentre trovarono qualche difficoltà, almeno fino al secolo XII, i pellegrini diretti a Compostela, i quali dovevano evitare la città scegliendo percorsi alternativi lungo i crinali.10

Nel contesto sono molto significative le note, qui riportate, e specificatamente

NOTE

" 5) In molte parti d’Italia, come la Lombardia ed il Piemonte, per San Martino cominciava l’attività dei tribunali e delle scuole, ma soprattutto si pagavano fittanze ed erano rinnovati i contratti agrari, quindi sovente si traslocava; evenienza che da noi era spostata a San Michele.

6) Taranis (Thor) “dio buono”, detentore del tuono. Divinità druidica con funzioni sul sacerdozio. Riconoscibile per l’attributo della ruota. La ruota, assieme alla sua mantella corta e l’oca sono attributi, poi ereditati da San Martino.

7) Come il cigno, l’oca è un animale benigno associato alla Grande Madre ed alla “discesa verso gli inferi”. Appare spesso nei racconti folclorici ed è collegata col destino, com’è dimostrato dal “gioco dell’oca”, che è una derivazione profana, spaziale e temporale del simbolo, rappresentando i pericoli e le fortune dell’esistenza, prima del ritorno al seno materno. Si credeva che la carne d’oca aumentasse il desiderio amoroso e la sua bile era considerata un mezzo per aumentare la potenza virile.

8) Che cosa può essere la conchiglia, del tipo pecten, che oggi è simbolo del pellegrinaggio verso la Galizia, se non una stilizzazione della palma dell’oca, affermato segnale rituale celtico...? San Martino, così intransigente nell’evangelizzazione dei Celti, si è trovato a recuperare molti degli adattamenti, a volte inconsci, concessi ai convertiti per non sradicarli dalla tradizione.

9) Dai documenti pubblicati da Laura Balletto, sui cartolari notarili dell’Amandolesio, rogati a Ventimiglia tra il 1256 ed il 1264, apprendiamo che: quando per un qualsiasi motivo, un pellegrino non avesse potuto proseguire il suo viaggio verso Compostela, con atto notarile, pagava un volontario che finisse il viaggio per lui, assolvendo dal voto, riportando le insegne del pellegrinaggio al titolare, che lo attendeva nella nostra città.

10) Un nodo viario forse quasi antico come il tempo, certo, fra varie trasformazioni, antico come il tempo degli uomini =[Procedendo per la strata antiqua dalla chiesetta di S. Rocco ai Piani di Vallecrosia e poi per la strada per Camporosso, attraversando le "Braie", giungere al borgo di val Nervia, superando gli antichi quartieri militari austriaci per arrivare ad altra chiesetta quella di San Giacomo], sul crinale di Ciaixe, le rovine della grangia sottostante i Martinazzi, lo stesso Santuario delle Virtù, San Rocco presso Bevera [VISUALIZZA ENTRO ENTRO QUESTA CARTA SETTECENTESCA IL PERCORSO DAI PIANI DI VALLECROSIA A CAMPOROSSO>E L'ASCESA IN ALTURA PER POI DALLE MAURE (APPUNTO L'ALTURA) DISCENDERE A VENTIMIGLIA E QUINDI PROSEGUIRE VERSO LA FRANCIA ALLA MANIERCHE FECE VEROSIMILMENTE UGO FOSCOLO OPPURE PROCEDERE, ALLA GUISA DEI VIANDANTI PER SANTIAGO DI COMPOSTELA, SUL PERCORSO DI MONTE TRAMONTINA NELLA PRECEDENTE MAPPA VISIBILE, AGGIRARE IL COMPLRSSO DEMICO INTEMELIO E DISCENDERE A BEVERA PER PROSEGUIRE DEL PARI VERSO LA FRANCIA = ( un sorprendente tracciante di questo percorso nella marcia del vittorioso Carlo Emanuele III di Savoia sulla scia del fuggiasco condottiero nemico l'Infante di Spagna -che pure orgogliosamente presa Ventimiglia, ai tempi delle sorti a lui favorevoli, aveva passeggiato sul ponte del Roia- durante la guerra di successione al Trono Imperiale del XVIII secolo = Occupata Bordighera il 29 settembre 1746 Carlo Emanuele III con la Guardia e le truppe si unì alle forze del Leutrum e del Gurani e a quelle di De la Roque quindi il 10 ottobre parte delle truppe austro-sarde, guidate dal Re, si mosse da Nervia per Camporosso e Dolceacqua e da lì per Bevera sì da raggiungere, tramite la strada di S. Antonio, Mentone: visualizza quindi la possibile reazione del Sovrano nell'osservare i resti del castello di Dolceacqua distrutto dall'artiglieria nemica non senza nel 1748 dare ulteriori indicazioni per la realizzazione, come qui si legge da un manoscritto coevo, di un più adeguato e moderno sistema di fortificazioni non solo a Dolceacqua ma soprattutto nell'areale e conseguentemente considera gli stessi eventi tratti dalla trascrizione moderna degli eventi 1745-1748 del "Manoscritto" coevo del Magnifico Don Vincenzo Orengo: - 1 - la vittoriosa avanzata di Carlo Emanuele III di Savoia - 2 - poi da parte sua la conquista di Bordighera - 3 - ed ancora la sua partenza da Bordighera per raggiungere i quartieri austriaci di Camporosso, ascendere a Dolceacqua e poi per le alture proseguire alla volta di Bevera in direzione di Mentone ). Analizza quindi: danni della guerra di successione al Trono Imperiale di metà '700 notevoli per tutto lo scacchiere bellico = ancora molti anni dopo per esempio un viaggiatore d'eccezione -che seguì il percorso di Carlo Emanuele III senza giungere a Dolceacqua ma risalendo per la strada, superati i resti dei vecchi quartieri austriaci, per questi luoghi, come fu Ugo Foscolo, potè osservare le rovine guerresche in tanti siti ancora , non esclusi quelli nel luogo di Bevera già sede di fortificazioni e combattimenti (dato questo percorso per quanto si sia proposto da Cultura-Barocca un cippo confinario dell'areale di Seborga è verosimile, valutanndo questo presumibile tragitto, che Ugo Foscolo abbia visto le Croci o Cippi Confinari -su cui costruì poi la letteratura protoromatica delle Ultime Lettere di Jacopo Ortis- visualizzando quelle apposte nel '600 " Capo d'Orino, Case Bonsignore, luogo le Rollande, Collina delli Alessandrei, in altro sito delli Alessandrei, in Collina, li abrighi (leggi dal dialetto = alberi) di Magauda, Bauso dove si dice il Terrogliato, Collina alta chiamata li Balzi, altra parte delli Bausi, proprietà Padri di S. Agostino, Collina contigua tra proprietà Agostino Sperone, Eredi Giulio Gibelli di Camporosso, da Siestro o Silvestro per la costa in confine del bosco del Magnifico Giovanni Francesco Orengo alla scoperta del Vallone di S.Martino ")], quindi Sant’Antonio sul crinale della valle di Latte e la perduta chiesuola di San Gaetano, sulla Spiaggia di Latte...."

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