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UNA CELLA DEL PALAZZO DUCALE DI GENOVA: NEL 1833 IN UNA DI QUESTE DOVE SI SONO SUCCEDUTI GENERAZIONI DI IMPRIGIONATI SI SUICIDO' JACOPO RUFFINI IL FRATELLO DI GIOVANNI RUFFINI PROBABILMENTE PER NON CONFESSARE SOTTO TORTURA IL NOME DI ALTRI AFFILIATI ALLA "GIOVINE ITALIA"

Ma non si trattò dell'unico DETENUTO IMPORTANTE del CARCERE DELLA GRIMALDINA:
Tra i detenuti più "celebri" rinchiusi fra le mura della Torre Grimaldina ricordiamo, oltre al citato Jacopo Ruffini, anche Domenico Della Chiesa e Giulio Cesare Antonio Vachero. Il nobile Domenico Della Chiesa fu incarcerato nella Torre senza processo per compiacere il fratello senatore.
Nel 1612, come emerge dagli atti dell'inchiesta sulla sua rocambolesca fuga, evase, dopo una serie di ingegnosi stratagemmi, salendo nella cella campanaria, e da qui, servendosi della bandiera della Torre, si calò sul terrazzo del Cortile Maggiore e quindi attraverso l'atrio e la piazza, uscì dal palazzo.
Giulio Cesare Antonio Vachero fu il cospiratore di una delle più gravi congiure, avvenuta nel 1628 e appoggiata da mano straniera. La sommossa fu preparata a Torino da Giovanni Antonio Ansaldi, genovese ma agente di Carlo Emanuele I di Savoia, che l'aveva fatto conte, e a Genova da Vachero.
Il progetto era di far leva sul malcontento popolare per scatenare una rivolta all'interno della città, durante la quale la cavalleria sabauda avrebbe mosso da Acqui verso Genova.
Nella congiura organizzata dall'Ansaldo e dal Vachero erano coinvolti mercanti, medici, militari appartenenti a diversi ceti, dal popolo grasso, agli artigiani, ai poveri.
Questa azione rivelò quello che era in sostanza il doppio gioco che conduceva la Spagna nei confronti di Genova e contribuì non poco ad attivare quei meccanismi di revisione dell'alleanza ormai secolare fra la Repubblica e la Spagna.
Essa fu certamente il segno più vistoso delle trame sabaude per annettersi Genova, ma fu soprattutto l'espressione di un malcontento popolare che criticava i sistemi scarsamente democratici dei nobili al potere e la loro alleanza con la Spagna.
Divo Gori, Dario G. Martini, La Liguria e la sua anima, 4a edizione, Sabatelli, Savona, 1967 in merito alla Congiura del Vachero hanno scritto =
" Nel 1627 la morte di Vincenzo Gonzaga suscitò una nuova guerra di successione per il dominio del Monferrato e di Mantova. La Francia sostenne Con Richelieu i diritti dei Gonzaga - Nevers e si trovò di fronte la Spagna e l'Impero, disposti questa volta a favorire le pretese di Carlo Emanuele che divenne automaticamente loro alleato. In vista del conflitto il governatore spagnolo a Milano, don Gonzalo di Cordova, fece il possibile per tentare una mediazione tra il duca di Savoia e Genova, ottenendo, nel marzo del 1628, che tra le due potenze venisse stipulata una tregua. Il 31 dello stesso mese, però, si capi che Carlo Emanuele non avrebbe mai accettato un pacifico accordo: quel giorno infatti si scoprì, ispirato dai Savoia, il complotto più temibile che sia mai stato ordito ai danni della Repubblica di San Giorgio.
La congiura ebbe tra i suoi più accesi animatori Giulio Cesare Vachero. A esecrarne il ricordo venne alzata la colonna infame che si erge ancora presso via Pre nella piazzetta ove sorgeva la casa abitata dal traditore" [Federico Donaver, Storia di Genova, Nuova Editrice Genovese, Genova, 1990 scrive sulle trame ordite = "Viveva in Torino nelle grazie di Carlo Emanuele certo Giovanni Antonio Ansaldo figlio di un oste di Voltri, divenuto mercante ed ora innalzato alla dignità di Conte; uomo scialacquatore e vizioso, il quale venne incaricato dal duca di trovargli partigiani in Genova che gli dessero in suo potere la città. L'Ansaldo recatosi in Genova s'abboccò con taluni ricchi borghesi, facinorosi ambiziosi di nobiltà, tra quali principalissimo Giulio Cesare Vacchero nato in Sospello in quel di Nizza, di padre malvagio, il quale nella sua giovinezza era stato relegato in Corsica per reati commessi, e un giovane Fornari, vano ed impetuoso che si credeva invidiato dai nobili per le ricchezze che aveva e a sua volta li odiava per non essere loro pari, e il medico Martignone, e si tennero conciliaboli in casa del Vacchero, nei quali l'Ansaldo prometteva larghi aiuti del duca di Savoia, di cui si spacciava incaricato d'affari. Il Vacchero insieme all'Ansaldo si condusse segretamente in Torino a concretare gli accordi col duca, e questi gli fornì denari per assoldare qualche centinaio di soldati, coi quali impadronirsi del palazzo ducale, gli promise che al primo avviso, suo figlio sarebbe accorso alle porte di Genova colla cavalleria, e intanto gli consegnò i diplomi di colonnello per lui e pel Fornari. Tornato in città il Vacchero, cogli altri congiurati cominciò l'assoldamento di quanti individui poté, scegliendo i capitani fra coloro che più erano abili nelle armi, e già era fissato il giorno e le modalità della rivolta (il tutto vanificato da uno dei congiurati tal Gianfrancesco Rodino fattosi delatore presso il dal doge Gian Luigi Chiavari e compensato con una cospicua somma di denaro)] " .
Ritornando a quanto redatto dai sopra citati Divo Gori e Dario G. Martini leggesi "Di una famiglia originaria di Sospello, località del Nizzardo già soggetta ai Savoia, Giulio Cesare Vachero era stato arrestato, nel 1626, per sospetta complicità filosabauda con Vincenzo De Marini, venendo tuttavia rilasciato per mancanza di prove.
Raffaele Della Torre, uno dei giudici che istruirono il processo a suo carico, lo descrive d'inclinazione mala e perversa, altiero oltre ogni credenza, dissimulatore e sanguinario; cupidissimo degli abbracciamenti più illeciti e, per sigillo di ogni scelleratezza, bugiardo e senza fede; pronto dove il pungesse desiderio di sangue o di vendetta o allettamento di sensualità più vietate....
Questo ritratto a fosche tinte è certo esagerato, anche se è probabile che il Vachero fosse davvero un pessimo soggetto. Indotto all'azione da un certo Giovanni Ansaldi, nato a Voltri, ma residente abitualmente a Torino ed agente diplomatico di Carlo Emanuele lo scelleratissimo uomo, d'intesa con il medico chirurgo Nicolò Zignago e altri oppositori del regime oligarchico, avrebbe dovuto scatenare una insurrezione culminante con l'uccisione dei capi del governo e con lo sterminio totale di tutti i nobili. Non appena scoppiata la rivolta, il principe Vittorio Amedeo sarebbe accorso con le sue truppe da Acqui e da Alba per dare man forte agli insorti. Costoro, invece, vennero arrestati alla vigilia del progettato rivolgimento per le rivelazioni di uno dei complici.
Nella fase istruttoria del processo che ne seguì, Giulio Cesare Vachero fu sottoposto a orribili torture.
Dopo avergli fatto subire molti tratti di corda, gli inquisitori lo fecero legare alla macchina detta della sveglia: un tormento che di quello della corda altro non è meno atroce, se non che là dove in quello sta il paziente totalmente sospeso per le braccia storte alle spalle, in questo nel fermare le piante nel suolo, e alternare innanzi e indietro e dai lati un piccolo passo li si consente; ed ivi perseverando fino a tanto e per lo spazio di trentasei ore che perdette le forze di più reggersi in piedi, caduto boccone e pendolo dalla corda senza sentimenti ne fu levato con più segni vicini ad uomo che passasse, che a uomo vivente " [nel testo compare sveglia ma sembra trattarsi della veglia peraltro già comminata a Francesca Borelli (e non solo), durante il procedimento avverso le "streghe di Triora". come si evince da una Lagnanza degli Anziani di Triora al Senato genovese]
Durante la tortura Giulio Cesare Vachero non parlò mai. Non fece nomi. Non volle ammettere di essere al servizio del duca di Savoia. Ebbe ancora la forza di esplodere in escandescenze quando lo condannarono a morire di capestro: voleva essere ucciso con la scure. E fu accontentato. Stella nera ha rievocato nobilmente la dignità del congiurato: ...La plebe pullulante nelle processioni e alle porte dei conventi, i trafficanti indaffarati nei loro fondachi gretti, i lanzi tedeschi intenti a rubar la paga giocando alla morra nei corpi di guardia, i patrizi a spassarsela nelle loro belle ville nuove, i procuratori e i senatori a soffiarsi delle malignità un dietro l'altro, nelle anticamere, il Serenissimo Doge chiuso nel suo Palazzo, e lì accanto Vachero; il quale sta alla sveglia trentasei ore e non parla; il quale costringe l'inquisitore a fargli ristringere tre volte il canape ai polsi e non cede; il quale neppure una volta appare aver implorato l'intervento di un santo o la mediazione di Domineddio e condannato a morire di capestro dà in smanie tali che quegli altri si spaventano, perché egli vuole e comanda di essere ammazzato con la scure, e quegli altri lo ammazzano con la scure....
Uno scelleratissimo uomo, certo, ma un uomo forte, non privo di una sua cupa grandezza [non si direbbe che il Vachero abbia protestato a caso onde ottenere la decapitazione piuttosto che l'impiccagione = si può anche affermare che le sue proteste fossero ispirate ad un supposto desiderio di riconoscimento di nobiltà come ancor più che la scelta fosse dovuta all'opzione per la morte più rapida e meno umiliante]
E grandi (approvazione delle torture a parte) furono in quell'occasione anche i Serenissimi Signori della Repubblica. Carlo Emanuele, quando seppe dell'arresto dei congiurati, chiese che fossero posti immediatamente in libertà, minacciando, in caso di rifiuto, di far mettere a morte alcuni prigionieri di guerra genovesi, detenuti nelle carceri di Torino. Due di quei prigionieri, Giovanni Girolamo Doria e Pier Maria Gentile, furono costretti dal duca a scrivere una lettera che chiedeva pietà per la loro sorte.
Chiamato a pronunciarsi, il Minor Consiglio decise di respingere sdegnosamente l'ultimatum di Carlo Emanuele. Tra chi deliberò c'era anche Stefano Doria, zio di uno dei prigionieri destinati ad essere vittime dell'eventuale rappresaglia. Benché adorasse il nipote e benché il voto fosse segreto, Stefano Doria fu concorde con i colleghi e la risposta a Carlo Emanuele ebbe il crisma dell'assoluta unanimità: Giulio Cesare Vachero avrà la sorte che merita. Non ci arrenderemo dinanzi ad alcuna minaccia.
Il duca di Savoia, che nel frattempo aveva ottenuto successi militari invadendo parte del Monferrato, mentre gli spagnoli assediavano vanamente Casale, pose allora come condizione al proseguimento della sua lotta antifrancese a fianco degli iberici, un intervento spagnolo a favore dei congiurati.
Genova non si arrese neppure alle intimazioni del governatore di Milano, don Gonzalo di Cordova. I responsabili del piano insurrezionale vennero condannati a morte e nella notte tra il 30 e il 31 maggio 1628 Giulio Cesare Vachero fu giustiziato con i complici Zignago, Silvano e Fornari ".


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[NOTA INTEGRATIVA = l' influenza pedemontana e sabauda sulla Liguria e specialmente su quell'area strategica di grande importanza che da sempre fu l'estremo Ponente Ligure risale a tempi remoti e-senza poter elencare tutte le circostanze- si può già citare a titolo proemiale l'influsso che le grandi case monastiche pedemontane ebbero in forza della loro espansione e su un tragitto di pellegrinaggi della fede dal Cenisio al mare di Ventimiglia dopo la sconfitta dei Saraceni del Frassineto = le ragioni fideistiche si coniugarono presto con motivazioni temporali e commerciali legate come qui si vede al controllo di tratti importanti per le diramazioni delle vie dell'allume, delle spezie e soprattutto del sale. Tra gli obbiettivi pedemontani e quindi sabaudi rientrava il controllo della via del Nervia (nella carta multimediale le frecce permettono la discesa dall'Oltregiogo al mare) attesa l'asperrima Valle del Roia al cui terminale dopo l'esperienza certosina fungeva da guardia -con altre località- il centro di Airole di cui Ventimiglia si definiva "Consignora".
Lo Stato Sabaudo si trovò con il tempo nella condizione di controllare la base navale di Nizza e quindi quello che sarebbe divenuto il Principato di Oneglia. Più lenta e graduale fu la penetrazione sabauda verso il mare di ventimiglia di maniera che un punto cardine può esser giudicata l'assimilazione di Pigna di rimpetto alla quale stava la forte, genovese base di Castelfranco poi Castelvittorio.
E' nel XVI secolo che in valle del Nervia gli equilibri assunsero una piega che si rivelò -specie col tempo- favorevole allo Stato Sabaudo = lo scontro successivo all' omicidio del Signore di Monaco perpetrato da Bartolomeo Doria dell'omonima Signoria di Dolceacqua e Val Nervia si evolse con la reazione di Agostino Grimaldi che conquistò il territorio del nemico al punto che, attesa la generale condanna dei vari Potentati, al fuggiasco Bartolomeo Doria non rimase altra soluzione che cedere i suoi possessi con atto di vassallaggio ai Savoia per esserne contesualmente investito. Tramite simile evento, nonostante la sostanziale autonomia della Signoria dei Doria, il loro possedimento, di indubbia valenza strategica, diviene un punto chiave nella valle per i rapporti tra la Repubblica di genova e lo Stato Sabaudo che, dato l'atto di vassallaggio dei Doria, poteva comunque partire da una posizione vantaggiosa.
Ed è proprio nel secolo dell'Aprosio il XVII che prendono corpo quei conflitti aperti tra Genova ed il Ducato Sabaudo che coinvolgono espressamente il Ponente di Liguria.
Il primo conflitto è databile al 1625 (e le difficoltà di Genova non sono solo di rimpetto ad un nemico oggettivamente più interno ma nel contesto del Ponente stesso già contrastato da varie problematiche tra cui lo stato di perenne tensione tra ville e città nel contesto del Capitanato di Ventimiglia aggravato da una rivolta popolare avverso la nobiltà locale ma anche l'inerzia di Genova e dei suoi comandanti militari a fronte di un nemico vincente) = ed è in siffatto clima
****************che si predispone la congiura filosabauda che prende nome da Giulio Cesare Vachero****************.
Il secondo conflitto del 1672 è del pari connesso alle mire espansionisiche sabaude e del pari ad una congiura antigenovese capeggiata da Raffaello della Torre al fine d'organizzare una rivolta in grado di abbattere il governo repubblicano genovese o quantomeno creare nel Dominio ligure un disordine bastante a poter conquistare l'importante piazza di Savona.
I provvedimenti presi da Genova per rinforzare Savona concorrono a capovolgere la situazione sin al punto che le forze sabaude entrano in aperta crisi e necessitano di un pronto intervento di ulteriori contingenti per riconquistare la perduta base di Oneglia.
A questo punto interviene la diplomazia ma nel suo contesto a testimonianza degli intrighi esistenti in seno alla Repubblica emerge anche l' ambigua posizione del pubblicista genovese Francesco Fulvio Frugoni -assunto per attestare le responsabilità dello Stato Sabaudo connivente con il della Torre- sul cui ondivago comportamento filosabaudo alcune cose si sanno anche in funzione di quattro sue lettere all'Aprosio.
La soluzione da parte della Serenissima Repubblica di Genova dei contrasti seicenteschi con il Piemonte Sabaudo (che tuttavia continua più o meno occultamente a covare ambizioni di espansionismo in Liguria = la persistenza di contenziosi, più diplomatici che guerreschi tra Genova e Piemonte Sabaudo in effetti si manifestò sempre, seppur in forme men eclatanti, sui limiti di un contrastato confine: a titolo esemplificativo si può qui citare il caso nell'estremo Ponente dell'antichissimo possedimento monastico di Seborga detto anche "Feudo della Seborga" alla fine, nell'ambito di una questione tuttora assai controversa, assimilato dai Savoia -fra le opposizioni genovesi- per acquisto dalla Casa Madre) sancisce però l'avvento di destini diversi fra le due Potenze (anche se non sempre intercorsero rapporti competitivi: Genova anzi accettò di ospitare la Corte Sabauda che portava con sé la Sacra Sindone lasciando Torino sotto assedio durante la "Guerra di Successione al trono di Spagna).
In effetti si stanno oramai aprendo nuovi percorsi al tempo e purtroppo alle guerre con l'insorgere di quei conflitti continentali e non solo destinati a fare del Piemonte una Potenza di rilievo, evolutosi al segno di pianificare l'Unità d'Italia grazie anche ad un'industria bellica avanzata e di rilievo esperita già dal '700.
Al contrario si assiste alla graduale relegazione di Genova e del Dominio in un posizione geopoliticamente subordinata e di difficile neutralità, nonostante atti di valore come la rivolta -nominata dal "Balilla"- contro le vessazioni austriache: del resto nell' arco temporale in cui si decidono i destini d'Europa, e in parte del Mondo, la Repubblica si trova obbligata a risolvere con dispendio di energie gravi problemi interni come l'annosa questione del conteso Marchesato di Finale ma anche -tra altre cose- a domare a Sanremo una rivoluzione popolare, duramente piegata con le armi e presupposto dell'erezione di un Forte alla Marina come si legge qui nel "Manoscritto Borea" che indica anche le truppe scelte per controllare la popolazione della città.
E' arduo dire se tutte queste difficoltà intestine, senza dubbio centrifughe e destabilizzanti, dell'antichissima e gloriosa Repubblica abbiano condizionato le scelte future in merito al suo destino: fatto sta che non venne più restaurata
-dopo
tante illusioni ai tempi della Repubblica Democratica Ligure susseguente alla Rivoluzione Francese e alle gesta napoleoniche per cui caddero gli Stati del Vecchio Regime -
quale "secolare libero Stato"
-una volta finita l'esperienza napoleonica innovatrice certo ma nemmeno priva di responsabilità, come qui si vede, a riguardo della gestione di quella che fu una Grande e Possente Repubblica-
ma, piuttosto, in forza dei
Deliberati del Congresso di Vienna fu, tra lo sgomento di molti, assimilata quale possedimento del Regno di Savoia
e quindi organizzata entro la
"Grande Liguria delle Otto Province"

destinata abbastanza presto adessere ridimensionata per la
cessione di Nizza (con la Savoia) allo scopo di ottenere
a fianco di Vittorio Emanuele II l'intervento di Napoleone III Imperatore dei Francesi
nella II Guerra di Indipendenza presupposto basilare per l'Unità d'Italia
(consulta inoltre qui testi antiquari sull'argomento, digitalizzati e con indici moderni)



































L'esplorazione condotta nella prigione superiore, ove si trova la volta della cella campanaria trecentesca, ha permesso di ritrovare il muro medievale, ancora polveroso e sporco, e di constatare che fu coperto da uno strato di intonaco più volte ridipinto.
Su questo intonaco abbiamo scoperto nuove date: 1656, 1718 e 1725 fra vari stemmi, disegni di navi, una veduta di Genova, eseguita dallo stesso prigioniero che dipinse la veduta del porto nella cella inferiore... i dipinti che abbiamo trovato nelle due celle dimostrano che varie generazioni di carcerati, con attitudini artistiche, vi soggiornarono... Nel secolo XVII abbiamo pittori di stemmi e di battagle navali (muro divisorio della cella superiore); nel 1718 altri carcerati dipinsero sul muro perimetrale sud, adunate di vascelli e di galee, adornando di uno stemma la composizione, vasta quanto la parete; nello stesso secolo sul muro divisorio della stessa cella un altro carcerato ha dipinto un palazzo con balaustrate: nei primi anni dell'800 un detenuto ha disegnato alcune navi, una gustosa caricatura, un profilo femminile, nello stile caro ai romantici. Questi ultimi disegni a matita si trovano sulla volta della cella inferiore sopra la porta interna della prigione. Affiorano, fra i vari dipinti, iscrizioni di pentimento, affermazioni di innocenza, invocazioni supreme alla giustizia di Dio. I prigionieri erano preoccupati di dire le loro pene, i loro tormenti, rivelare la loro anima o ricordare gli avvenimenti processuali, e dovevano appartenere ad una classe colta, perchè non abbiamo mai incontrato scritti o disegni osceni.
così ha lasciato scritto Orlando Grosso (Genova, febbraio 1932)
A ciò ha aggiunto:
Ho pure illustrato i dipinti dei prigionieri, alcuni dei quali furono copiati dal pittore Bifoli, come la curiosa composizione del bacio delle dame ai cavalieri partecipanti al torneo, la figura di una Parca che fanno così degno riscontro alle decorazioni pittoriche del bosco con la scimmia. Queste pitture, compiute con polveri colorate ed acqua senza alcuna sostanza per fissarle, sono di un valente maestro genovese e si possono datare dal 1618 al 1628. In quegli anni furono imprigionati Sinibaldo Scorza (1625 per lesa maestà), Domenico Fiasella (1626 per ferimento), Luciano Borzone (1628 per ferimento) e nello stesso tempo e per la stessa ragione A.G. Ansaldo. Questa decorazione che si estende a tutte le pareti della cella campanaria fu eseguita prima che fosse stata dimezzata dalla sistemazione a prigione con relative scale, copriva anche le bifore cinquecentesche murate. Passiamo quindi a datare i lavori di sistemazione interna della torre dopo il 1630. Difficile è l'attribuzione, ma se per il soggetto delle pareti con gli alberi e gli animali può far venir in mente lo Scorza, la composizione del torneo ricorda molto il Borzone e l'Ansaldo



IMMAGINE INFORMATIZZATA DAL PERIODICO A FASCICOLI "MILLE ANNI DI LIGURIA" EDITO DAL "SECOLO XIX" QUOTIDIANO DI GENOVA E DELLA LIGURIA