Si è generalmente pensato, anche per un'evidente assensa di analisi topografiche e di sperimentazioni condotte sul campo, che sia esistito da sempre un percorso nel Piemonte per la VALLE DEL ROIA sin al COLLE DI TENDA e da qui se ne descrisse una direttrice verso Limonetto (dove si trova un miliarium imperiale), il Mons Cornius e l'attuale cittadina di LIMONE.
Senza negare la possibilità di questo ramo stradale, oltre Tenda sarebbe comunque sorto un problema far procedere merci od animali per l'ASPERRIMA VIA DEL ROIA: da tempo immemorabile simili difficoltà non sarebbero invece emerse seguendo la diramazione che proprio da Tenda avrebbe permesso di raggiungere il terminabile a nord della molto più praticabile VIA DEL NERVIA che, peraltro, nella romanità, conduceva direttamente al sito dalla città romana di Ventimiglia, per innestarsi, senza inutili contorcimenti viari (e quindi in sintonia con il teorema degli agrimensori romani di una stretta equazione fra territorio e sua fruibilità ottimale) sulla Julia Augusta, in particolar modo senza dover affrontare l'area storicamente paludosa che si apriva a fronte dello sbocco della valla del Roia, sulla riva a levante del grosso fiume.
Per quanto concerne la penetrazione dalla LIGURIA MARITTIMA OCCIDENTALE AL PIEMONTE si debbono citare prima di tutto DUE PERCORSI FONDAMENTALI, in origine poco più di due mulattiere, fra loro in collegamento per la via della transumanza, cioè i TRAGITTI (che permettevano di accedere nella Padania sin alle basi commerciali di Augusta Bagiennorum e di Pedo [Borgo S.Dalmazzo]) della
VALLE ARGENTINA
[con una SIGNIFICATIVA E RICOSTRUIBILE DEVIAZIONE verso il MARE DI TAGGIA su una linea viaria il cui NODO PRINCIPALE ERA IL SITO DELL'ATTUALE "TRIORA"] e del
COLLE DI NAVA
[quest'ultima, vera e propria via storica di PASSAGGIO tra Liguria (nell'attuale VASTA AREA DI TRA TRANSIZIONE a settentrione dell'odierno agro imperiese tra i siti viari di ONEGLIA e PORTO MAURIZIO) e Piemonte: si tratta propriamente del passo che separa la valle ligure dell'Arroscia da quella piemontese del Tanaro. Il passo risulta citato in un documento del XIII secolo relativamente ad un guado o VADUM NAVIE praticato dalle mandrie transumanti tra la Val Roia e la piana di Albenga. Il nome -come scrive la Petracco Sicardi- è anche conferito ad una frazione del comune di PORNASSIO citata in altro documento del 1340 per la sua chiesa ECCLESIA S.TI RAPHAELIS DE NAVA: il nome del colle quasi certamente deriva dalla base ligure preromana *NAVA piuttosto frequente tra i nomi di luogo alpini nel significato di CONCA PRATIVA e pare da collegarsi al VICUS NIVALIS menzionato da un'iscrizione votiva di CEMENELUM (CIMIEZ)].
Questa considerazione sembra altresì confermata dall'analisi del COMPLESSO DIFENSIVO BIZANTINO contro le invasioni dei BARBARI dal PIEMONTE verso la LIGURIA COSTIERA: l'analisi storica, topografica e toponomastica pare infatti confermare che in modo analogo i BIZANTINI si siano premuniti nel difendere, con basi strategicamente disposte, sia la VIA DEL NERVIA quanto la STRADA DELL'ARGENTINA quanto l'importante percorso del NAVA con impianti militari e demici tanto nella VALLE DEL PRINO quanto nella congiunzione tra VALLE DI ONEGLIA E VALLE ARROSCIA.
Un complesso stradale di antichissima penetrazione nel Basso Piemonte, quasi simile ai precedenti, si riconosce in
VAL NERVIA
dove esisteva un
BUON PERCORSO
fra la capitale costiera del municipio di ALBINTIMILIUM A NERVIA ed il Piemonte (cosa cui con decisione già accennava da tempo NINO LAMBOGLIA ma che era stata doviziosamente registrata nel '700 dagli INGEGNERI DI GUERRA SABAUDI).
Peraltro, analizzando questo TRAGITTO, si evidenzia come nel medioevo i viandanti, superato l'OLTREGIOGO, potessero fruire di ben TRE VARIANTI DI TRAGITTO per raggiungere il mare (calcolando sempre l'importanza che deteneva l'area di COLLA MELOSA per eventuali diversioni e in particolare per i contatti con la VIA DI PENETRAZIONE DEL TORRENTE ARGENTINA).
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Il TRAGITTO procedeva sulla linea di Camporosso, Dolceacqua(importante per l'arcaica positura strategica del castro a guardia del fiume e della via di fondovalle), Portus di Dolceacqua, Veonegi, Marcora-Marcola (siti dai considerevoli rinvenimenti di reperti romani), Passo Muratone, Margheria dei Boschi, Monte Morgi, Passo Saorgio, Briga, Pedo (poi S.Dalmazzo di Tenda) e TENDA (per innestarsi sulla via romana identificata nel tragitto Limone-Limonetto):in relazione a questo percorso si deve comunque valutare sempre la valenza di
un sito assolutamente emblematico cioè del nodo di CIMA MARTA la cui funzionalità di area di transizione deve esser valutata anche in merito ai significati strategici che ha sempre avuto nel corso dei millenni.
L'indagine archeologica è ancora da espletare tuttavia è stato meritorio e soprattutto fondamentale il lavoro di ANDREA EREMITA [peraltro pubblicato nella fondamentale "Guida della Val Nervia e comunque anticipato in "Albintimilium antico municipio..."] che nel corso di decennale, improba fatica ha più volte percorso, alla maniera degli antichi viandanti, tutto questo tragitto leggendone con straordinaria perizia i più reconditi significati.
Fra vari rilevamenti da lui fatti, e puntigliosamente comunicati alla pubblica ragione, sono qui proponibili quelli su due fra i settori, anche di ampio tratto, della VIA ROMEA DEL NERVIA che ha identificato. In questa sua IMMAGINE si vede la direttrice di crinale di CIMA MORGI (nei pressi della "Madonna della Neve" si ha notizia che siano state rinvenute numerose monete romane di un vario arco cronologico): ed ancora in località Morgi Andrea Eremita ha individuato altro TRATTO DI DIRETTRICE che presenta assetto stradale estraneo alla tipologia storica delle mulattiere medievali e che ha un piano viario oscillante in maniera sorprendentemente costante fra i 3 metri e i 3 metri e 10 cm. di larghezza
Per quanto in queste ricostruzioni topografiche esista sempre l'imprevedibilità, anche per via comparativa con quanto si è acquisito studiando altresì dal punto di vista archeologico il significato strategico-viario di CIMA MARTA, si è stati in grado di ricostruire che questo complesso viario era probabilmente l'unico sfruttabile (in base alla relazione da lui stesso fornita), ai tempi dell'ultima Repubblica Romana, dal generale romano CELIO RUFO in marcia dal Basso Piemonte, per sedare tumulti a Ventimiglia.
Stando alla lettera che scrisse all'amico Marco Tullio Cicerone sembra realmente che Celio abbia condotto le sue coorti per questo ITINERARIO di VALLE: partendo da PEDO e superate le giogaie del TENDA, verisimilmente piombò su Ventimiglia Romana per pacificare gli scontri di fazione sorti tra i sostenitori di CESARE e quelli di POMPEO MAGNO.
In epoca preromana il territorio dei Liguri includeva il Piemonte a Sud del Po od
Eridano, confinando a ponente col Varo, a levante con Trebbia e Magra, a sud col mare.
Per quanto concerneva il suo occidente o "Ponente ligustico", la regione denotava la presenza di vari insediamenti umani, talvolta anche parecchio differenziati tra di loro sotto il profilo socio-culturale ed economico.
Nella Liguria storica occidentale da ponente comparivano (da settentrione) gli ECTINI, i NERUSII, soprattutto i forti DECIATES e gli OXUBII, disposti intorno ad Antipolis e nel massiccio dell'Esterel, oltre che presso Aegitna : Ligauni, Camatullici ed Anatelli erano localizzati presso il
Rodano, i Salii occupavano il territorio circostante Marsiglia, e v'erano poi i VESUBIANI ed i VEDIANTII con capitale Cemenelum (Cimiéz).
Tra le genti liguri che sarebbero rientrate nella IX regio augustea (una delle grandi regioni in cui l'imperatore Ottaviano Augusto avrebbe poi diviso l'Italia, centro del suo Dominio)
sono da collocare gli INTEMELII o INTIMILII con capitale nell'oppidum di Nervia (attuale frazione levantina di Ventimiglia, sede degli scavi archeologici), gli INGAUNI di Albingaunum (vasto municipio con omonima capitale che inglobava Costa Beleni o Balena, "Stazione stradale" sulla via Julia Augusta - ove si son recuperate tracce di edifici medievali eretti in prossimità della "stazione" - sita al terminale, sul mare, della valle Argentina), gli EPANTERII e quindi le genti di Vada Sabatia (matrice dei futuri centri di Vado e Savona).
Dalle prime alture delle Alpi Marittime, in direzione della Padania, le tribù guerriere e primitive dei Liguri erano invece denominate in senso lato con l'appellativo di MONTANI.
Sotto il profilo etnografico gli antichi Liguri facevano parte di uno strato di popolazione di stirpe mediterranea preindoeuropea, su cui oltre che testimonianze letterarie, restano dati antropologici ed archeologici.
Gelose della loro autonomia, tali genti furono parsimoniose nei contatti colle popolazioni limitrofe e ciò fu in qualche modo di pregiudizio per la loro evoluzione culturale e politica.
Ancora in epoca storica esse mantenevano infatti caratteri abbastanza primitivi, se molti scrittori greci e latini (pur esagerando le "tinte", come era nei loro costumi) ne parlavano in termini di meraviglia e quasi di timore.
La loro semplice società, per quanto influenzata da una buona conoscenza della metallurgia, conservava diversi caratteri propri del cuprolitico e del neolitico, come le rustiche abitazioni, costituite da capanne o caverne, l'alimentazione connessa ai prodotti della pastorizia e di un'agricoltura piuttosto elementare.
Tali popolazioni, a lungo estranee agli sconvolgimenti politici del Mediterraneo, in seguito alla fondazione di Massalia (Marsiglia), colonia greca di Focea, avvenuta intorno al 660 a.C. sul vicino Golfo del Leone, presero però a migliorare rapidamente le loro condizioni di vita e i popoli liguri di costa, decisamente, si staccarono dai costumi antichi dei Montani, assai meno favoriti, vista la logistica dei loro disagevoli territori, dall'influsso greco-marsigliese (CLUVERIUS, It. Ant., p. 49, che riprende Marcianus Heraclaensis).
Oltre ai Vediantii, esposti ai progetti espansionistici di Massalia, dalla vicinanza commerciale
dei Greci trassero profitto oltre agli Ingauni ed ai Sabatii anche gli Intemelii.
La genesi di quest'ultimo popolo, e del suo centro più importante a Nervia di Ventimiglia, si perde nel passato.
Esso in verità non si distingueva culturalmente nè politicamente dagli altri gruppi liguri: la sua terra, più selvaggia di quella degli Ingauni, influenzò semmai il quadro ecologico che ne fecero gli eruditi greci Diodoro Siculo e Strabone.
Gli Intemelii, appartenenti al ceppo dei Liguri costieri, ben noto ai marinai greci e cartaginesi anche per una certa attitudine ad imprese "piratesche", avevano doti di robustezza, agilità e sobrietà, tali da stupire gli stranieri.
Non è semplice indicare con sicurezza le loro originarie caratteristiche etniche, viste le infiltrazioni greche, romane e celtiche: tuttavia, sulla base di parecchi autori classici che ne hanno sottolineata la complessione asciutta e nervosa, la resistenza alla fatica e l'agilità, oltre che un'innata bellicosità, si può credere che fossero dei normotipi, con una discreta presenza di longilinei ipertiroidei ed iposurrenalici.
Oltre che la comparazione dei pochi reperti archeologici e letterari con gli odierni biotipi, conforta questa ipotesi l'ecologia del loro antico "habitat", molto compresso su una striscia di costa, con vegetazione mediterranea o di macchia sempre più abbondante procedendo verso il montuoso interno, con fauna numerosa ma di piccola taglia, clima temperato tendente al secco, con escursione termica fra le punte estreme di -2 e +32 gradi centigradi.
Come tutti i Liguri antichi, anche gli INTEMELII conobbero l'INSEDIAMENTO PAGENSE.
Col "pago" si indicava un'unità territoriale che ebbe nel Castelum il presidio difensivo più antico; il raggruppamento etnico tradizionale era invece la "tribù", mentre l'oppidum costituiva il complesso fortificato di più tribù tra loro confederate: in media veniva eretto in alture, a volte persino vicine alla costa sì da sorvegliare il mare.
I Castela erano rudimentali fortificazioni megalitiche, costituite da cinte murarie anulari disposte sulla cima di qualche colle: questi complessi, in cui l'idea del riparo dagli invasori si fondeva spesso coll'idea prioritaria dell'insediamento umano stabile, furono definiti castellieri o, con vocabolo tardo romano linguisticamente più adeguato alla tradizione ligure, castellari.
Tali strutture risultavano dislocate secondo un certo ordine strategico ed erano costruite sì da essere abbastanza fruibili dalla popolazione indigena che abitava nei pressi, anche in modeste capanne, e da sorgere, nell'ambito del possibile, in funzione di particolari emergenze socio-politiche ed economiche: un ricco, seppur elementare, insieme di percorsi poneva peraltro in relazione tra loro questi siti, agevolando spostamenti rapidi lungo direttrici ardue e talora non praticabili per degli stranieri.
I tragitti più semplici, quelli di crinale, si svilupparono in una originaria epoca di nomadismo ed avevano le caratteristiche di sentieri legati ai movimenti della selvaggina, snodantisi di conseguenza in altura e lontano dai corsi d'acqua. Ad essi successero percorsi di media altura sui crinali secondari, aventi in genere la forma di piste senza insediamenti dato il perdurante stato di nomadismo.
Durante la civiltà "pagense" si sviluppò sui crinali secondari una fitta ragnatela di sistemi di collegamento: ed in ultimo, poco prima dell'occupazione romana, si ebbe il momento dei percorsi di fondovalle che permettevano un controllo capillare del territorio; con tale sistema di itinerari migliorarono alquanto le comunicazioni delle popolazioni "montane", ancora di cultura guerriera e pastorale, con quelle di mezza costa e fondovalle già dedite all'agricoltura ed al commercio.
Benchè forniti di buone capacità di adattamento all'ambiente ed alle più disparate situazioni, gli "Intemeli", al pari degli "Ingauni" e di altri Liguri costieri, possedevano una struttura politica elementare ancora nel III secolo, quando cominciarono ad incontrarsi coi Romani: gli antichi scrittori parlavano genericamente di tribù liguri, di "genti" od al limite di principes vale a dire "capi" o "Principi" che, in collaborazione con una sorta di assemblea o "conciliabulum", prendevano direttive militari in caso di necessità.
In ambienti sociali tanto modesti la guerra, quasi sempre difensiva, costituiva per eccellenza un caso di necessità e in siffatta circostanza i centri della Liguria occidentale, normalmente autonomi, costituivano una federazione di guerra (molto alla larga paragonabile a quella antipersiana dei Greci), operante sotto la guida dei "principes", i cui membri si radunavano con probabilità nella più potente città ligure occidentale, cioè Albingaunum.
Al riguardo giunge significativo il foedus (o "patto") che, nel 180 a.C., il condottiero romano Lucio Emilio Paolo stipulò apparentemente coi soli "Ingauni" ma che, in effetti, essendo stato accettato o forse è meglio dire "subito" dal conciliabulum di tutti i "capi" liguri ponentini convenuti ad "Albenga", contribuì a pacificare l'intiera Liguria occidentale.
A livello spirituale gli INTEMELII, come tutti i Liguri d'Occidente, coltivavano una religione ricca di significati naturalistici i cui cardini si stendevano su un territorio illimitato, dall'intero complesso della val Nervia, col centro basilare nell'agro della futura Dolceacqua avendo naturalmente gli assi portanti dell'intero sistema spirituale nei veri e propri olimpi montani dell'Abeglio, del monte Toraggio, della Valle delle meraviglie, della drammatica Vetta del Bego.
Ricostruire nei dettagli i contenuti di siffatta religione politeistica oggi sembra davvero arduo: comunque al pari di molte genti settentrionali, gli Intemelii davano grande rilievo alle foreste, i cosidetti LUCI: uno per es. ravvisato nel grande bosco, oggi scomparso, al cui centro - in Vallecrosia - sarebbe poi sorta la chiesa romanica di S.Rocco, forse eretta su un tempietto ad "Apollo protettore dei viandanti" ed un altro [probabile continuum del precedente che, ancora stando ai dati del '200, si estendeva forse sin qui dai passando per l'area di Borghetto S.Nicolò e Vallebona], attestato nella REGIONE LUCO di Bordighera (descritta in una carta della Guida d'Italia del Toring Club Italiano, I, II ed., Milano, 1924).
Le Foreste sacre, i Luci (il Nemeton come anche si diceva) erano sedi di arcane cerimonie votive per varie manifestazioni naturali curate e venerate da SACERDOTI che detenevano il sapere e conoscenze su cui lo scorrere dei secoli ha sparso polvere ed incolmabili lacune.
Fra tante espressioni dell'ambiente naturale che erano oggetto di culto per i Liguri primigeni individuate di frequente nelle più disparate espressioni atmosferiche e biologiche non si possono certo dimenticare le grandi manifestazioni che essi potevano scorgere in cielo: tra queste assumevano un ruolo importantissimo le eclissi e l'apparizione di stelle cadenti o di comete (del resto tutte le culture hanno ereditato dagli antichissimi popoli una sorta di timorosa venerazione per i fenomeni astrali, caricandoli di interpretazioni fauste o pessimistiche (ancora nel XVII secolo, assieme alle eclissi, l'apparire di COMETE spalancava la strada ad interpretazioni contrastanti ma emotivamente fortissime, non dissimili nonostante i secoli di distanza, dallo stupore provato dai Liguri antichi di fronte a simili "prodigi".
tipico, in particolare, della religiosità degli Intemelii e degli Ingauni era il LUCUS o foresta sacra (come il LUCUS BORMANI) sede di riti religiosi di cui sembrano essere state individuate preziose testimonianze.
A tali divinità naturalistiche e all'ambiente spirituale dei Luci, si accompagnarono altresì vari nomi di dei, tra cui fa spicco BELEN, venerato in ambiente gallo-ligure che, forse, per orgoglio cittadino fu assorbito nella mitologia del fondatore della città, INTEMELION, alla stregua di un "(semi)dio protettore" cui far sacrifici (per poi riproporlo, ai tempi della romanità, quale un corrispondente locale di ciò che Romolo rappresentava per la capitale).
Divinità molto antiche per "Intemeli" ed "Ingauni" erano poi quelle collegate alla vita pastorale, come l'oracolo di Bekko e la dea Futri, che sovraintendeva alla riproduzione di greggi ed armenti.
A queste ed altre divinità consimili erano dedicate molte cerimonie praticate degli Intemelii (e da altri popoli liguri) con processioni ai luoghi sacri del monte Bego e sin a quelli altrettanto "magici" della Rocca e del Valle delle Meraviglie, ora in territorio francese, vero santuario degli antichi pastori protoliguri che vi incisero innumerevoli graffiti ed incisioni di matrice misterico-spirituale.
Un discorso a parte è costituito dall'INFLUENZA CELTICA sull'estremo ponente ligure.
Gli Intemeli erano refrattari ad infiltrazioni nel loro territorio: tuttavia non furono in grado di porre argine ad alcune incursioni di Galli o Celti (Il primo nome è romano, il secondo, di più antica accezione greca: I Galli d'Italia, Roma, 1978, De Luca edit.). In concordia con i classici (LIV.,XL,28,7 e PLUT.,Aem., 6), oltre che con ricognizioni moderne, è da ritenere che Celti provenienti dai territori del Rodano si siano mescolati coi "Liguri storici" (sin all'estremo ponente italico, in particolare) come anche sembrerebbero testimoniare alcune tracce archeologiche di Arles, Entremont e del "comune santuario" celto-ligure di Roqueperteuse. Del resto il culto per BELENOS su cui si è discusso ne I Celti edito in Milano da Bompiani nel marzo 1991 [v. LUDWIG PAULI, I passi alpini e le migrazioni celtiche, pp. 215-219 - e D. VITALI, I Celti in Italia, pp.220-235].
Le ultime invasioni di queste masse di popoli (verso la Gallia meridionale, la Spagna, l'Italia e la Grecia) si verificarono tardi, verso il III sec. a.C., e risultarono costituite da Belgi o, con maggior precisione, dai bellicosi Nervii della Belgica. Supponendo che alcune di queste genti siano penetrate nell'agro intemelio e vi si siano stanziate senza grossi problemi colle popolazioni indigene, Nino Lamboglia, cercando di spiegare un idronimo o nome di fiume altrimenti difficile da giustificare (quello del "Nervia"), ipotizzò con lucidità che in tale idronimo fosse celata la denominazione di un pagus Nerviensis" (cioè di un "villaggio di Nervii") denominato quindi Nervinus dopo il veloce processo di romanizzazione. Secondo Giulia Petracco Sicardi Nervii sarebbe invece l'etnico o "nome di popolo" della gente preromana che abitava la valle in simbiosi con gli Intemelii: a suo parere si sarebbe trattato di elementi gallici provenienti appunto dalla Belgica (P.W.R.E. voce Nervii curata da Holder, 726) che, penetrati durante il periodo preromano nell'agro intemelio, avrebbero conferito il proprio nome etnico ad un villaggio e a tutta l'area (eminentemente costiera) che fu posta sotto il loro controllo (peraltro nella valle del Nervia, a testimonianza di una non sporadica penetrazione gallica, non mancano relitti toponomastici: cfr. G.Petracco Sicardi, Toponomastica di Pigna in "Diz. di Toponomastica Ligure", Bordighera, 1962, p.105, n. 319: la stessa studiosa lascia invece un pò perplessi quando, a distanza di un ventennio - probabilmente per uniformarsi ad una linea interpretativa comune [nel volume miscellaneo a cura di C.Campanile, I Celti in Italia, Pisa, Giardini edit., 1981, nota 4 del suo contributo "Liguri e Celti nell'Italia settentrionale"] - abbia in apparenza rivisitato queste sue affermazioni - pur senza rigettarle direttamente - negando infiltrazioni celtiche nella Liguria marittima sulla base, abbastanza fragile, che "i toponimi gallici in -ako (vi) mancano completamente").
Con<(a> tutto il rispetto per l'illustre glottologa sembrano, queste ultime, considerazioni che, supervalutando l'assenza di toponimi di derivazione celtica, mancano "assolutamente" di una diversa e necessaria indagine sul campo, indagine ormai portata avanti con successo da più ricercatori proprio nella vallata del Nervia, specchio ancor mal studiato di arcaici riflessi storici ed evolutivi.
A proposito del priorato di Dolceacqua sorge tuttora nel circondario agricolo del piccolo convento una cappella o chiesetta di S.Bernardo nei cui pressi le testimonianze religiose celto-liguri abbondano e per giunta concentrate in un'area ristretta, una presumibile base sacrale.
Peraltro, vista una certa mancanza di interessi, nel passato non si è neppure analizzata abbastanza un'altra importante caratteristica della primordiale religiosità ligure (o meglio ancora o forse è più esatto dire per una volta ancora di matrice celto-ligure), tanto tenace da sopravvivere al processo di romanizzazione e persino da opporre formidabile resistenza all'affermazione del Cristianesimo, religione divenuta presto diffusissima per i forti connotati sociali e popolari.
Si allude qui ai culti, di ascendenza celto-ligure, delle "MADRI" o "MATRONAE" che sarebbero state custodi delle molte sorgenti terapeutiche esistenti in parecchie valli liguri (non ultima quella del Nervia): per estirpare il culto delle acque che curavano i malati (specie di malattie della pelle) e di conseguenza estinguere antichissime, seppur innocue credenze popolari nella potenza dei sacerdoti Druidi, i benedettini (tra IX ed XI sec.) dovettero impegnarsi non poco.
Da un lato i Benedettini si limitarono ad alimentare dicerie paurose, per esempio di demoni crudeli celati nell'ombra (da qui derivarono molti toponimi del genere "il buco del diavolo" - ad esempio sopra la località "Portu" di Dolceacqua - alludendo ad una grotta con una sorgente, da non frequentare in ossequio alle antiche tradizioni pagane; con simili paure si "debellò" l' arcaica fede in una SORGENTE che sgorga tuttora sotto la cima del TORAGGIO, un monte dai contorni TERRIBILI quanto AFFASCINANTI, nel cui toponimo romano - IN TURRABULIS - si è intravisto il nome d'una divinità preromana, custode delle vette, il sacro TOREVAIUS : l'alpestre e scomoda sorgente DRAGURIGNA finì quindi coll'essere abbandonata dai suoi fedeli, anche per questo nuovo larvato timore, diffuso dai monaci, di un diabolico DRAGO celato tra acque ed anfratti cui di volta in volta venivano attribuiti caratteri di DEMONE o , per meglio uniformarsi alla visione orrorifica precristiana e concordarla con certi aspetti folklorici della GIOVANNEA APOCALISSE) di DIAVOLO DAI CONNOTATI VAMPIRESCHI ed in altri casi invece assorbendo una lotta improba contro la credenza nelle divinità delle acque il sistema della religiosità cristiana, tramite ad es. il culto dell'acqua benedetta di Maria per le fonti del "Convento" di Dolceacqua od il ciclo dell'Assunta a riguardo della "frequentatissima" base termale di Pigna.
E tutti questi segnali culturali ed etnografici -di per se stessi estremamente importanti- si CARICANO di infiniti messaggi allusivi se non vengono rinchiusi nel loro ristretto sistema geopolitico ma sono piuttosto esaminati su una scala infinitamente più estesa quella che per la VIA DEL NERVIA portava dal mare a Tenda e quindi oltre, attraverso la Padania sin a NOVALESA dove in maniera quasi speculare si enfatizzavano quegli stessi fenomeni religiosi che, sulla costa ligure, caratterizzavano molti siti della Valle nervina (e non solo di questa!).
-Alternativamente a questa postazione demolitrice delle vecchie tradizioni grazie allo strumento della paura del mostro ed alla postazione alternativa e compromissoria dell'innesto di un culto pagano difficilmente sradicabile entro un ciclo cristiano si evolse la leggenda di non semplice decifrazione su S. GIORGIO che avrebbe distrutto il demone-drago delle acque e quella -tipica di area francese ma nemmeno rara nel contesto di una diocesi di transizione come quella ventimigliese- di S.MARTINO parimenti meritevole di simile gesto per aver ucciso un DRAGO DEMONIACO annidato, stando alle parole di S.ELDRADO abate di NOVALESA nell'ORRIDO DI FORESTO, borgo relativamente prossimo all'abbazia e vinto dopo una cruenta battaglia di cui si mostrano ai visitatori le vestigia caratterizzate da lunghe striature biancastre nelle ripide pareti rocciose che la leggende definisce esser le tracce delle artigliate del mostro in agonia: sul peso specifico sempre maggiore della figura di S.MARTINO, secondo una certa scuola letteraria, rientra il fatto che si trattava di un SANTO GUERRIERO particolarmente gradito ai BARBARI adoratori in antico di divinità guerriere e (con S.VITALE) utilizzato, già dai tempi della dominazione bizantina in Liguria, per CONVERTIRE, COMUNICARE E NOMINARE in massa i barbari, specie LONGOBARDI disertori dai loro popoli e accosatisi all'universalità della CHIESA CATTOLICA ROMANA.
Per molto tempo inoltre, a mascherare certe peculiarità di questa "storica" influenza gallicana (se non si vuol proprio dire celtica o gallica), sull'area intemelia (e molto meno su quella ingauna), in qualche modo è stata mistificata la caratteristica principale, di zona di TRANSIZIONE POLITICA e RELIGIOSA tra Provenza e Italia, del municipio romano (poi contea carolingia e comune) di Ventimiglia e quindi della sua struttura diocesana ed in particolare del reale, antico CONFINE DIOCESANO.