L'area del Tabia Fluvius , nel II sec. a. C., dai romani fu assegnata agli Ingauni per ragioni diplomatiche e strategiche che ne rendevano importante il controllo, specie per i programmi politici, militari e commerciale che essi maturavano nei confronti delle "Gallie".
Nel giro del Don o Capo S. Siro sarebbe stata potenziata la stazione militare di Costa Beleni (anche Costa Balena ).
Col tempo (e dopo la realizzazione della via Julia Augusta) la Mansio di Costa Beleni divenne più importante che un luogo di ristoro per funzionari statali, assumendo i connotati di un nodo viario cui, oltre la strada imperiale, facevano capo molti itinerari preromani.
Essa, disponendo di un PORTO-CANALE ( Tabia Fluvius ), fungeva anche da scalo marittimo, risultando punto di riferimento per tutto il commercio delle aree circonvicine.
I Romani, sensibili al controllo capillare del loro dominio, potenziarono le mulattiere liguri, che garantivano la penetrazione verso l'interno, collegando la costa con Briga e l'oltregiogo.
Roma controllava così in Liguria 2 percorsi, verso l'area dei Bagienni , di Augusta Bagiennorum e di Pedo : le
mulattiere di COL DI NAVA e VALLE ARGENTINA.
Era quest'ultima un tragitto ligure preromano, proveniente dall'attuale sito
di ARMA, prossimo a Costa Beleni (Balenae) , destinata a diventare una diramazione della JULIA AUGUSTA, la STRADA IMPERIALE di cui per l'area tra Cipressa e Sanremo si è peraltro ridisegnato il TRAGITTO in modo plausibile.
La via di penetrazione o VIA DELLA VALLE ARGENTINA invece risaliva fino a Taggia donde, proseguendo ad O. del Tabia Fluvius, giungeva a Campomarzio (sulla cui rocca si riconoscono i resti di un forte bizantino costruito su strutture murarie più antiche), passando sotto un ponticello corrispondente alla linea di crinale.
Oltre Campomarzio, sulla rotabile verso Baiardo, sono le tracce di una trasversale per l'alta Val Nervia (Apricale).
Questa consentiva di entrare nell'area di Albintimilium , aggirando la via costiera: essa, oltre a permettere l'accesso all'oltregiogo, offriva un itinerario alternativo per raggiungere il territorio intemelio, penetrando da settentrione sull'oppidum, sito all'inizio della Val Nervia, nell'odierna località Cantin, presso il Rio Seborrino.
Esisteva poi un itinerario di sublitorale, parallelo al percorso della Julia Augusta , che collegava le aree di TERZORIO, POMPEIANA, Castellaro, Taggia, Ceriana, Bussana vecchia: era un tragitto romano su una mulattiera, che, dopo l'abbandono della Julia Augusta , ai tempi delle invasioni barbariche, divenne via primaria di comunicazione.
Questo complesso di comunicazioni aveva la sua ragion d'essere in funzione dell'originaria via consolare ( Aemilia Scauria rozza "matrice" della Julia Augusta").
La JULIA AUGUSTA quasi sicuramente procedeva dal territorio di CIPRESSA verso il mare aggirando poi la zona degli AREGAI nella valle del MONTE COLMA.
Giungeva quindi nel Fundus Porcianus" (S.Stefano, grossomodo) località nella quale è son stati identificati i resti di un PONTE ROMANO.
Secondo le rilevazioni del De Pasquale (cui sono debitrici le più moderne considerazioni sull'argomento) il PONTE doveva esser largo circa 5 metri: attualmente se ne vedono solo parte delle due pile in pietra squadrata.
La mancanza di tracce di strutture dell'arcata ha indotto lo studioso a pensare che l'arcata (un pò alla maniera che si sarebbe poi riscontrata per vari ponti medievali e rinascimentali, come QUELLO SUL ROIA) risultasse sostituita da un passaggio in legno.
La strada continuava poi il suo percorso sul lato destro del vallone in direzione dell'area della chiesa di S. Maurizio di Riva Ligure donde continuava a snodarsi si a raggiungere il sito di Capo Don per inserirsi sul percorso di Valle Argentina attraversando l'omonimo torrente all'altezza di Taggia.
Il percorso viario raggiungeva quindi il luogo segnato dal toponimo LEVA' che secondo alcune riflessioni linguistiche sarebbe stato elaborato per indicare un terrapieno (o "levata") costruito allo scopo di bonificare il terreno evitando il formarsi di paludi.
Secondo il citato De Pasquale la via, da questo punto, avrebbe avuto un andamento simile a quello dell'ottocentesca Strada della Cornice, superando quindi il Castello dell'Arma e raggiungendo la Valle Armea.
La strada romana per un breve tratto avrebbe risalito il torrente per poi superarlo, tramite un ponte, in prossimità del frantoio detto dei Peri.
Superato Capo Verde, di nuovo seguendo la linea della costa, la via entrava nella località S.Martino di Sanremo nella quale, in base ad atti scritti nel medioevo, si parla di una "strada romana".
Questa giungeva quindi nel sito attuale di Rondo' Garibaldi, nel lato a settentrione di Piazza Colombo ed ancora seguiva il percorso oggi tracciato da via Palazzo (ancora in età medievale detta strata romana) e quindi parte di quello di via Corradi per uscire alla fine dal territorio di Sanremo.
Davanti all'"Hotel de Paris" è stato trovato un tratto della via romana col relativo strato della massicciata sì che si può dedurre che da questo punto il percorso romano si può identificare con quello dell'odierna statale "Aurelia".
Procedendo poi da Capo Nero la strada imperiale doveva invece seguire il tracciato oggi coperto dalla linea ferroviaria e raggiungere quindi l'area di Ospedaletti procedendo attraverso l'attuale corso Regina Margherita.
Si cita anche un ramo alternativo, che, originandosi poco oltre il fondo "Mori", avrebbe proseguito verso Pompeiana, innestandosi sulla direttrice di sublitorale.
FONDI RURALI DELL'ARGENTINA: "COLONIZZAZIONE" DEL SITO DI TAGGIA: LA "SENTINELLA" DI CAMPOMARZIO
Nel circondario di Costa Beleni, sono interessanti i toponimi Pompeiana, Bussana, Ceriana, Matuziana e Porciana (in effetti si è anche parlato dal Lamboglia di altre ville, prossime a queste o disposte più a levante come la Buriana o Periana e la Luvisiana , ma su di esse esistono davvero ben poche tracce toponamastiche e nessuna di ordine archeologico: v.G.MOLLE, Oneglia nella sua storia , I, Milano, 1972, p.32). Vista la finale in -ana (od -anum ) tali nomi tradiscono la natura di fondi rustici, probabilmente nominati da gentes ("famiglie") romane. Secondo i testi agronomici, influenzati dal De agri cultura di Catone, un elemento base per un fondo rustico era di sorgere presso una strada e uno scalo marittimo. Vista, per l'area in questione, la presenza di un porto facente capo a Costa Beleni ed assodato che la Julia Augusta attraversava i fondi costieri Matutianus (ovest di Sanremo) e Porcianus (S. Stefano) rimarrebbero isolati altri fundi , se non si ipotizzasse quel collegamento viario di sublitorale cui si è fatto cenno. Tali itinerari avrebbero collegato i fondi agricoli fra loro e con l'importante direttrice di fondovalle, che, a sua volta, era in collegamento col Piemonte e il mare di Costa Beleni.
I fondi non sembrano disposti in maniera casuale ma organizzati secondo un disegno geopolitico. I toponimi derivano tutti da nomi di buona latinità : questi possedimenti, data l'epoca di romanizzazione del Ponente ligure (90-49 a.C.), potrebbero essersi sviluppati dopo vaste modificazioni socio-economiche, collegate all'insediamento di veterani su territori confiscati (donativi di terre e poderi furono, con probabilità , il prezzo dovuto a Roma dagli Ingauni per antichi privilegi e, soprattutto, una contropartita per la conquista della piena cittadinanza romana).
Così facendo Roma cementava la sua presenza nell'area del Tabia Fluvius , integrando il ruolo dei militari con uno stanziamento di cittadini fedeli, utili per concludere l'acculturazione, cioè l'imposizione della cultura romana ai Liguri del Ponente.
L'area di Costa Beleni era difesa da un insieme di fortificazioni. Ad occidente, antemurale contro il territorio intemelio (poco fidato fino al 49 a.C.) e transalpino, stava qualche EDIFICIO PUBBLICO O MILITARE ROMANO genericamente poi detto TORRE DELL'ARMA dalla struttura armata fatta erigere dalla Repubblica di Genova verso il 1565 ai tempi delle scorrerie turchesche.
Stando alla CRONACA dei lavori fatta da Padre Calvi scavando le fondamenta per realizzare la moderna fortezza si rinvenne "in ruderibus antiquarum ruinarum" (fra "i ruderi di antiche rovine") "tabulam ex marmore albo" ("una bianca tavola marmorea") riportante un'EPIGRAFE LATINA.
Lungo la direttrice di fondovalle, sulla cuspide del promontorio, circondato per tre lati dall'Argentina, si vedono tuttora i ruderi della rocca di CAMPOMARZIO o di "S. Giorgio".
N. Lamboglia, sotto i ruderi medievali, eretti su una costruzione bizantina, individuò le tracce megalitiche di un castello ligure preromano.
La difficoltà di accedere al sito non ha permesso di identificare tracce di edilizia militare romana: però la tradizione locale parla del ritrovamento di monete ed utensili di epoca romana, sì da far pensare ad un insediamento: buone motivazioni rafforzano in particolare l'impressione che si trattasse di una fortificazione con uno stanziamento militare. Date le dimensioni ridotte dell'area e la disposizione del complesso, avrebbe potuto trattarsi di un burgus , cioè di un edificio situato in un punto chiave, a guardia di passi obbligati (strade, valli, approdi fluviali), atto a contenere una cinquantina di
uomini, ed a garantire la tranquillità dei trasporti.
L'indagine sul campo fa pensare che i Romani, teorici dell'edilizia militare e della politica di difesa preventiva, abbiano colto la potenzialità strategica della Rocca di Campomarzio. Esaminando il quadro geofisico della valle Argentina e delle zone viciniori pare evidente che Campomarzio dovesse altresì risultare, sia per la dislocazione strategica di
controllo viario che per la collocazione protetta e d'altura, il più solido punto di controllo e delimitazione del territorio dei
Montani (i Liguri più "selvaggi" ed a lungo ribelli di Roma) da quello degli Ingauni ( seguendo questi parametri che, molto dopo, gli ingegneri di Bisanzio intervennero sulla struttura, modificandola sì da farne un avamposto del loro "limite" o limes difensivo contro invasioni barbariche da settentrione).
SVILUPPO DI COSTA BELENI E DEI FONDI RUSTICI: "MATRICI" DIVERSE DEI SITI DI SANREMO, TAGGIA, ARMA, POMPEIANA, CASTELLARO, TERZORIO, SANTO STEFANO AL MARE, RIVA LIGURE, BUSSANA, CERIANA
Quando la necessità di contenere popoli non domati venne meno (49 a.C.), subentrò un programma socio-economico e culturale. Lo sforzo principale fu di assimilare i Liguri occidentali, ed è quindi probabile che lo stanziamento di civili romani in queste contrade sia diventato un fatto consistente e incoraggiato dal potere centrale proprio a partire dal 49 a.C.: è risaputo che scambi costruttivi avvengono meglio con elementi stanziali, quali civili immigrati, che non con individui fluttuanti come i militari. In tal modo si agevolò la diffusione di civili ad elevata romanizzazione in parecchie aree della Liguria ponentina. La presenza di militari non venne meno, ma acquisì un significato diverso per una popolazione indigena, che ormai vedeva lavorare pacificamente antiche proprietà agresti da civili Romani ed Italici, coi quali era più fattibile un rapporto di collaborazione.
I fondi stessi, oltre tale funzione acculturante, continuarono a svolgere una funzione strategica di controllo dell'area di Costa Beleni, anzi integravano quella delle rocche militari della Torre dell'Arma e di Campomarzio, che rimasero attive, pur essendovi stati probabilmente ridimensionati i contingenti.
In tale ottica era significativa la funzione del fondo Porciano, strutturato secondo alcuni su 2 aree divise dal Tabia Fluvius : quella relativa all'odierna S. Stefano era forse meno vasta ed importante di quella compresa tra l'Armea e l'Argentina, e successivamente nota come domocolta di Pozana o Porzana. Fu però il fondo Matutianus ad esercitare verso ponente una operazione di osmosi tra territorio ingauno, cui apparteneva, e intemelio; i fondi Pompeianus e Coelianus, disposti nell'interno, ad est ed ovest del Tabia , completavano la funzione degli altri nuclei agricoli, integrandoli con la pressione acculturante esplicata sui "Montani".
Nel circondario di Costa Beleni, tra territorio ingauno ed intemelio, si era costituito un ambiente ad elevato tasso di romanizzazione: da un lato era così salvaguardato il controllo su una'area tattica, dall'altro risultava accelerata la civilizzazione di genti notoriamente infide e ribelli, quali gli Intemeli e i Montani.
A proposito della maggior parte dei fondi agricoli si è sempre lamentata la scarsezza dei ritrovamenti archeologici, e questo fatto ha maturato delle perplessità sulla loro esistenza, anche perchè nei loro riguardi si è mediamente usata la medievale denominazione di villae.
In particolare per POMPEIANA la mancanza di tracce d'edilizia romana sembra contraddire l'eventualità ch vi fosse stanziata una villa secondo i crismi dell'edilizia, ancor poco chiara in verità di simili EDIFICI-AZIENDE: anche se lo studio di fotografie aeree permette tuttoggi di identificare la peculiarità del sito, spazioso, vicino al mare ed alle sorgenti, parimenti prossimo alle vie di comunicazione e ad un centro di sufficiente importanza coma COSTA BALENA - BELENI, una di quelle peculiarità che da Catone a Columella si ritennero basilari per la scelta di un terreno su cui impiantare un'azienda agricola anche di tipo residenziale del ceppo padronale.
Pompeiana, come i centri vicini prescindendo dalle attuali lacune di documentazione archeologia, doveva quindi esser stata un "praedium" , cioè un "fundus rusticus" , il cui centro residenziale era la "villa rustica" , ben diversa dalle "villae urbanae" , che, come quelle di Cicerone a Formia e di Plinio il Giovane a Laurento, avevano così splendida conformazione architettonica da poterne vedere tuttora gli opulenti resti.
La struttura della "villa rustica" , delineatasi in modo definitivo solo dal I sec. a.C., rispondeva ad esigenze pratiche, essendo destinata alla residenza della "familia rustica" , cioè l'insieme di quanti svolgevano i lavori agrico-pastorali ed a capo dei quali era il "villicus" .
Di tali "villae" i ritrovamenti archeologici sono poco evidenti: i contadini abitavano capanne di una sola stanza, che quasi mai si evolsero in struttura più complesse .
E' possibile che presto gli antichi proprietari o i loro eredi si fossero trasferiti (inizi I sec. d.C.) nei centri di costa ove l'esistenza era più confortevole: Catone, prodigo di consigli per gli agricoltori, invitò i titolari di poderi agricoli di amministrarli attraverso l'opera di un villicus fidato, uno sorta di servo amministratore e sovraintendente.
L'argomento è forse irrisolvibile alla luce delle attuali conoscenze; peraltro esistono dei problemi non da poco connessi alla toponomastica dei fondi (specie per il Porcianus, che a seconda delle interpretazioni si può giudicare più o meno esteso di quanto fosse in realtà ). A proposito del fundus Pompeianus si può comunque ritenere che i suoi assegnatari si fossero trasferiti nei centri di Costa Beleni se non di Albingaunum ed Albintimilium già alla fine del I sec. a.C.: in questa seconda città, in virtù delle epigrafi recuperate dalla necropoli romana, abbiamo testimonianza di nomi di individui della gens Pompeia.
La tradizione attribuisce a Pompeo Magno la fondazione della villa, ma si tratta di leggenda senza prove. Pompeo avrebbe infatti dovuto attuare questo progetto agli inizi del 71 a.C., mentre procedeva dalla Spagna, dove aveva sconfitto Sertorio, contro l'esercito servile di Spartaco, ribelle a Roma e incalzato dall'armata di Crasso. L'intervento di Pompeo, come quello di Crasso, venne ordinato tramite un senatus consultum ultinum: la gravità della situazione richiedeva un' azione rapida, senza dispersione di uomini, tantomeno in una regione non ancora coinvolta dalla sommossa servile come la Liguria.
In linea teorica Pompeiana avrebbe potuto prendere corpo e nome da Pompeo Strabone, padre del precedente: fu questi che avviò le trasformazioni della Gallia Cisalpina, attraverso la concessione dello Jus Latii e d'altri benefici. In Piemonte le città di Alba Pompeia e Laus Pompeia presero il nome proprio da questo benefattore; si trattava, però , di località di importanza strategica, commerciale e demografica. Pompeiana antica presentava invece il suffisso -ana o -anus , sempre in funzione attributiva del termine villa o locus : per quanto si ricava dai più arcaici documenti. Tali suffissi sono esclusivi di toponimi prediali, servivano cioè a nominare, dalla gente o famiglia proprietaria, poderi agricoli, anche vasti ma sempre indegni di essere nominati da qualche illustre personaggio pubblico. In ultima analisi sarebbe più accettabile se Costa Beleni , centro di un certo rilievo, fosse stato nominato Costa Pompeia per celebrare tale glorioso generale di Roma.
Non si trascuri, altresì, il fatto che, se si ammettesse per Pompeiana un sì celebre fondatore, non si giustificherebbero i toponimi abbastanza anonimi delle altre ville, a meno che per l'eventuale VILLA DI CERIANA, con molta fantasia, non si supponga un intervento di M. Celio Rufo, corrispondente di Cicerone; tenendo poi conto che i toponimi si originarono simultaneamente, si dovrebbe ipotizzare che parecchie celebrità di Roma, quasi nello stesso tempo, si fossero adoprate popolare il territorio del Tabia con ville di proprietà, gestite da loro seguaci: evento che pare difficile da accettare visto pure il ruolo ancora marginale che
la Liguria aveva nel giudizio dei Romani.
La villa Pompeiana (o fundus Pompeianus ) non ebbe alcun illustre fondatore; l'identificazione di questo con Pompeo Magno o Strabone avvenne in quanto di frequente gli eruditi del passato onde spiegare un toponimo ricorrevano ad un eponimo (cioè ad un fondatore che avrebbe dato il suo nome al luogo) quasi sempre illustre, ricavato sulla scia delle favole e della mitologia, come nel caso di Romolo per Roma o, più modestamente, dell'eroe antiromano Intemelio per Ventimiglia.
Pare più plausibile che il fondo Pompeiano, coi limitrofi, sia stato costituito nel corso od alla fine della contesa tra Cesare e Pompeo; il primo in particolare godette di appoggi in Liguria e nella Cisalpina, dove reclutò armati e largheggiò nella concessione della cittadinanza romana.
Tuttavia in queste zone non gli mancarono focolai di opposizione pompeiana, e questo si verificò proprio nella delicata area intemelia, prossima a Costa Beleni ed all'insicura Gallia Transalpina.
Anche per questo Cesare, mentre da un lato con la Lex Julia municipalis sanciva le strutture amministrative dei centri maggiori, dall'altro proponeva distribuzioni di terre ai suoi veterani, specie con prole numerosa.
In cambio della concessione della cittadinanza romana gli sarebbe stato semplice confiscare territori agli Ingauni per poi distribuirli ai suoi legionari, che, divenuti agricoltori, avrebbero popolato le zone rurali presso Costa Beleni ed avrebbero svolto a suo vantaggio la citata funzione strategica, economica ed acculturante: ed in tal caso la realizzazione dei fondi rustici sarebbe da datare entro un periodo compreso tra il 46 e il 44 avanti Cristo.
Una certa macchinosità di queste riflessioni, la celerità degli avvenimenti che coinvolsero Cesare, il poco tempo che avrebbe comunque avuto per curarsi della realtà socio-economica del Ponente di Liguria, rendono l'ipotesi, per quanto suggestiva e plausibile, di non equilibrata solidità.
INTERFERENZE DELLA "PACE AUGUSTEA" SUL COMPLESSO DELL'AREA DI SANREMO-TAGGIA E DELLE VILLE RUSTICHE
A ragion veduta è da previlegiare l'opinione che la realizzazione di tante iniziative nel Ponente ligure sia piuttosto da collegare con l'operato di Augusto, che, sconfitto Antonio, procedette alla sistemazione dell'Italia e dell'Impero.
Albintimilium ed Albingaunum , ascritte alla IX REGIONE AUGUSTEA (Liguria e Piemonte subpadano), risentirono di questo programma di trasformazione nel settore pubblico.
Il potenziamento della via costiera, che le attraversava, divenne il fiore all'occhiello dell'Imperatore.
Le opere di ristrutturazione della Julia Augusta raggiunsero l'apice nel 13 a.C.; nello stesso tempo si procedette alla risistemazione delle Stazioni stradali, tra cui la Mansio di Costa Beleni , per trasformarle in luoghi di ricovero per funzionari pubblici, e poi per viaggiatori privati.
Resta fuori di dubbio che la Mansione stradale di Costa Beleni (a prescindere da un recente, pallido e dilettantistico tentativo di distorsione storiografica) fosse sita nel giro del Don o Capo S. Siro.
Ancora nel 1985-86 si sono avuti ritrovamenti che comprovano una lunga visitazione del luogo, dalla romanità al Medioevo (un buon sunto delle vicende del luogo si trova in N. CALVINI - A. SARCHI, Il Principato di Villaregia, 1977, pp. 24-29).
Una notevole quantità di monete e medaglie romane, individuate nel secolo scorso dal canonico Lotti archeologo dilettante, sull'area di Costa Beleni , porta a riconoscere l'importanza di quella Mansio stradale sulla Julia Augusta e del porto-canale del Tabia Fluvius: è presumibile che i fondi si siano venuti a disporre intorno a questo complesso socio-economico, magari rientrando nel disegno augusteo di natura morale ed economica.
OTTAVIANO AUGUSTO pensava che, ai fini di una ORGANIZZAZIONE DUREVOLE E PACIFICA del DOMINIO DI ROMA, il suo ruolo di GUBERNATOR ITALIAE richiedesse 4 virtù ( virtus - clementia - iustitia - pietas = Res Gestae, 34).
Dietro tale giudizio stava la convinzione che la Pax e l' Italia Felix dipendessero da una celere romanizzazione.
Questa era a sua volta realizzabile con un processo di urbanizzazione dell'Italia, basato sulla costituzione di un tessuto demografico, in cui l'elemento romano finisse col prevalere su quello indigeno, assimilandone i residui di cultura autoctona.
Inoltre la crisi morale del tempo era, a giudizio dell'imperatore, conseguenza della perdita degli antichi valori che avevano reso grande Roma.
Tali valori erano poi quelli di una civiltà agreste e guerriera, semplice ma dignitosa, l'unica capace di evitare "il suicidio della razza" e di divenire esempio perenne di vita (DIONE, LI, 1).
Da ciò derivarono le leggi moralizzatrici e, nell'ambito della riorganizzazione economico-fiscale, l'impulso all'agricoltura.
Specie in Italia l'imperatore investì 600 milioni di sesterzi in acquisti di terre da distribuire ai veterani ( Res Gestae , VIII, 16), col proposito di sistemarli quali proprietari contadini e ridare impulso all' agricoltura (E. GABBA, Ricerche sull'esercito professionale romano da Mario ad Augusto, "Athenaeum", 39, 1951, p. 245).
Per Albingaunum ed Albintimilium è facile ipotizzare tale fenomeno, senza escludere che le assegnazioni si siano affiancate (a livello catastale) a fondi più antichi, conseguenza di precedenti assegnazioni ai veterani, magari fin dai tempi di Silla.
E' tuttavia evidente che Costa Beleni , verisimilmente sistemata nel 13 a.C. con la Julia Augusta , più che in qualche altro tempo si presentasse, proprio ai tempi di Augusto Ottaviano, come un'area eccellente per la qualità dei servizi pubblici, le positive caratteristiche del terreno, soprattutto per la possibilità dei commerci con la Transalpina.
Sembra abbastanza naturale che le concessioni di fondi in questo sito sianno risultate ben appetibili per veterani fedeli, che vi si sarebbero potuti sistemare in modo fruttuoso, garantendo peraltro all'Imperatore la continuità di quel processo di romanizzazione cui egli tanto teneva, ma anche offrendo, su luoghi di rilevanza strategica, la presenza di cittadini romani di provata fedeltà (un segno utile per questa teoria è rappresentato dal fatto che nell'area di Costa Beleni il Lotti abbia recuperato parecchie monete imperiali ma solo una d'epoca repubblicana: quasi a documentare che solo dai tempi d'Augusto si verificò un consistente incremento socio-economico di Costa Beleni, che pure era già stata utile per quelle finalità strategiche ed acculturanti, cui si è fatta menzione).
In loco, relativamente ai fondi, non si sono scoperte tracce di lapidi; tuttavia la gens Porcia del fundus Porcianus , oggi Pursai, presso Santo Stefano, è testimoniata epigraficamente ad Albintimilium (G. ROSSI, I Liguri Intemeli , XLIX); la Pompeia del fundus Pompeianus (che si può giudicare più esteso, coinvolgente le aree attuali di Castellaro e Terzorio) è parimenti documentata ad Albintimilium ( C.I.L., V, 7816); la Coelia del fundus Coelianus (Ceriana) è pure documentata dalle epigrafi scoperte in
Ventimiglia (C.I.L. , V, 7824), la Matucia del fundus Matucianus (area di Sanremo) risulta attestata a Cemenelum dal C.I.L. , V, 7907 e 7923.
Si nomina anche un fundus Tabianus (area di Taggia) ma non si sono ottenuti riscontri epigrafici: per Bussana si ipotizza un fondo particolare e si nomina spesso una gens Vibia , di cui si ha traccia in territorio ingauno (C.I.L., V, 7783 - N. CALVINI, Storia di Bussana , Arma di Taggia, 1978).
L'ampiezza dei fondi liguri romani (e certamente ne esistevano in maggior numero di quanto vaghe tracce ci abbiano lasciato, seguendo N. Lamboglia citiamo al riguardo una misconosciuta villa Periana ) i rispettivi confini, la produttività agricola sono irricostruibili: anche perchè il ligure si abituò in seguito, e tuttora forse, a riflettere in termini di "pezze di terra" per la ristrettezza dei siti coltivabili, mentre i Romani, per cui la vastità dei possedimenti e delle terre mai costituì un
problema, ragionavano semmai sulla misura di spazi assai più estesi di quelli con ci si possa ora, dal toponimo, identificare un qualsiasi fondo rurale: così che l'area del fundus Pompeianus era quasi di sicuro più estesa dell'attuale area comunale e quasi certamente coinvolgeva il sito di Terzorio (M. DE APOLLONIA - B. DURANTE, Terzorio , in "Riviera dei Fiori", XXVI [1982], 9-12, pp. 3-13).
Come si è già accennato non è improbabile che i discendenti di tutti questi antichi fondi (con l'ipotizzabile eccezione di quelli del Matucianus , del Porcianus e del GRANDE PODERE DI BUSSANA, in posizione più agevole rispetto all' arteria di costa e che avrebbero potuto avere la conformazione di veri e propri EDIFICI COMPLESSI) si siano abbastanza presto spostati a trattare i loro affari nelle città di costa, lasciando i loro fondi alla manutenzione dell'opera servile e poi magari, in epoca ancora posteriore, sminuzzandoli in vari appezzamenti di terreno da affittare a coloni semiliberi.
Del resto già dai tempi dell'imperatore Tiberio la concorrenza dell'agricoltura gallica e spagnola aveva cominciato a rivelarsi deleteria per i prodotti dell'Italia settentrionale e, col tempo, la pressione fiscale sulle proprietà divenne così asfissiante che non furono pochi quanti alienarono i loro beni.
Col tempo, nell'evoluzione medievale, si venne a costituire il BORGO MEDIEVALE destinato (come si vede nell'IMMAGINE di poco posteriore alla calamità) alla terribile devastazione del TERREMOTO DEL FEBBRAIO 1887 e quindi abbandonato dalla sgomenta popolazione,che, in anni di febbrile ricostruzione, ricostruì BUSSANA in un'area diversa, prossima alla costa ed alla via litoranea dove ben presto prese a fiorire mentre il borgo antico rimase desolato, sede in parte di artisti e pittori, scenario terrificante della potenza naturale: ed alla stessa maniera, abbandonata e deserta per sempre rimase la sconsacrata chiesa di N.S. delle Grazie e di S. Egizio, drammatica e "sventrata" testimonianza di sì grande sciagura.
A Bussana oltre Sanremo, a lato dell'attuale Aurelia, che ricalca la Giulia
Augusta, scavi regolari misero in luce i resti di un
insediamento romano dai connotati della VILLA RUSTICA PADRONALE.
I linguisti non si sono mai veramente accordati sul gentilizio romano dei proprietari, ma sia che il toponimo abbia avuto origine da una
gens Vibia che da una gens Vippia, il ceppo padronale, per quanto dimostrabile, non procedette ad una sistemazione della tenuta
sotto la veste della villa signorile pseudourbana: le genti di buona condizione socio-economica non erano solo attratte dalla vita cittadina e dai privilegi, esistenziali o commerciali, che offriva, ma erano ancor più coinvolti
dalla particolarità dei centri litoranei e del loro rapporto col Sud della Gallia e coi nuclei di Monaco, Nizza, Cemenelum, autentico "ponte viario" del traffico commerciale transalpino verso i mercati
italici, Marsiglia e Arelate.
Nell'area municipale di Albingaunum si rinvenne nel secolo scorso la
lapide di un sacerdote "Quintus Vibius Egnatius, pontifex consularis" e "flamen Divi Severi, curator aquarum": un personaggio relativamente
importante preposto oltre che al culto dell'Imperatore a funzioni di ordine
pubblico e religioso (C.I.L., V, 7783): la gens "Vippia" è attestata ancora
nelle Alpi Marittime (C.I.L., V, 7961 e 7962).
Il De Pasquale, oggi forse il più attento ricercatore su questi argomenti, però preferisce rifarsi ad un gentilizio "Burius" pur non motivandone l'evoluzione linguistica dal latino sino alla dizione dialettale a differenza di quanto fecero il Calvini e la Petracco Sicardi.
Lo studioso è comunque molto preciso nel descrivere il complesso di questa VILLA DI BUSSANA .
La costruzione, sita in località Marine di Bussana, risulta al momento attuale strutturata su una pianta con sei vani di cui tre rettandolari e i restanti, di forma quadrata, eretti al loro fianco.
La pavimentazione fu realizzata su una base di ciottoli e calce quindi ricoperta con laterizi frantumati.
Di lato all'edificio si riconosce una sorta di edicola, forse di natura funeraria, con una nicchia nella parte summitale in cui si vedono tracce di intonaco e che doveva contenere una statua.
A ponente si son riconosciuti gli avanzi di una officina laterizia con la presenza di un "praefurnium" con basamento in pietra: nell'anticamera del "furnus" si sono poi visti due canali.
Verisimilmente vi si realizzava ceramica d'uso locale: l'attività della villa (è difficile dire se fosse una struttura padronale o solo un complesso aziendale retto da libertini e personale servile) dovette perdurare visto che la tecnica edile usatavi è del II sec. d. C. mentre vi si è poi rinvenuto un bollo laterizio ["L(ucius) H(erennius) Opt(atus)"] che viene datato a metà del III secolo.