Dopo l'apogeo e gli splendori di Roma che condussero la Liguria ad un avanzato stato di civilizzazione e ad un generale benessere, sopravvennero i tempi della decadenza, delle lotte tra tanti usurpatori ed infine ad una sempre maggior presenza di elementi barbarici e germanici, spesso poco civilizzati, tra le fila dell'esercito e spesso di stanza a stretto contatto con una popolazione italica inerme e da secoli disabituata all'uso delle armi. Col tempo coloro che erano stati vassalli di Roma presero il sopravvento e finirono per spartirsi, fra troppe guerre, che immiserirono gran parte d'Europa, il territorio dell'Impero Romano d'Occidente ( quello d'Oriente, con capitale Bisanzio, difeso da alture e fortificazioni tra Balcani e Carpazi, da una flotta quasi invincibile per il fuoco sacro e protetto da eserciti agguerriti, in genere ben condotti da generali di "scuola romana", quasi sempre fedeli ed efficienti ad onta di qualche debole imperatore e degli ambiziosi eunuchi che cercavano di spadroneggiare a Palazzo, sarebbe invece sopravvissuto per ancora mille anni pur attraverso ombre e luci).
Non è possibile affermare se dal IV sec., come in altre aree del Nord Italia in crisi socio-economica e poi anche demografica, si siano costituiti dei latifondi nel territorio ingauno ed intemelio: al riguardo mancano troppi dati. E' più facile sostenere che dal V sec. la Chiesa (uscita con Costantino dall'illegalità) ormai sempre più collaboratrice di uno Stato sempre meno forte, abbia assimilato alcune di queste proprietà e che ciò si sia verificato in occasione di crisi belliche o di carestie, quando molti fedeli donavano parte dei beni (spesso fondiari) alla Chiesa, ricevendone "tuitio" o patronato (cioè protezione).
Nel V sec. le popolazioni della costa ligure presero poi a migrare verso l'interno, terrorizzate delle devastazioni dei Visigoti di Alarico (410) e dei Vandali di Genserico (429-435).
Nel 476 la LIGURIA MARITIMA venne incorporata nel regno di Odoacre; funzionari barbari amministravano le città, mentre gli antichi possedimenti erano depauperati di un terzo, assegnato agli "hospites" cioè a famiglie di barbari invasori.
Tutte le aree agricole tra Ventimiglia ed Albenga patirono questa sorte, in particolare quando si trattava di terre favorevoli a buoni insediamenti stabili.
Non sussistono molti dati archeologici su queste trasformazioni (per quanto tracce di parecchi fondi rurali - "visitati" dalla buona età dell'Impero all'epoca medievale - siano stati rintracciati dalle ricerche di A. Eremita nella valle del Nervia) comunque sia in media ed alta val Nervia (al pari che in quella dell' Argentina) si individuano (dai documenti più antichi reperibili sino ad oggi) cognomi provenienti dalla buona latinità o dalla grecità bizantina (come Balbo, Basso, Ceriani da una gente Coelia, Maccario/Macario, Filippi e via dicendo) posti a confronto (in un clima tuttavia ormai pienamente pacifico per quanto riportato dai più antichi atti scritti reperibili) con genti dai cognomi di derivazione germanica, che fanno riferimento a gruppi di invasori stanziatisi su territori rurali, trasformandosi spesso da guerrieri in agricoltori e pastori (si ricordino cognomi come "Arnaldi, Airaldi, Garibaldi, Lanteri, Lombardi" ecc.).
Qualche considerazione si può fare per le grosse VILLE RURALI (o "pseudourbane") della bassa valle Argentina e site tra Sanremo, Riva Ligure e Bussana (della I e della III sopravvivono tracce archeologiche, sotto forma di ruderi di complessi residenziali e rurali).
Ma se abbiamo queste referenze della villa "Matuciana" (in qualche modo matrice di Sanremo) e di quella di Bussana (forse nominata da una famiglia "Vibia"), altrettanto rilevanti dovevano essere le "ville imperiali", circondate da fertili ed ampi territori (forse frutto di donativi terrieri a legionari), denominate "POMPEIANA" (donde poi si staccò il peculiare complesso di "TERZORIO"), "Porciana" (S.Stefano al mare), "Ceriana" (poco o nulla si può dire delle ville "Periana" e "Luvisiana" su cui N. Lamboglia dette vaghe supposizioni e, verisimilmente, di altre proprietà ruotanti intorno a la romana, la "STAZIONE STRADALE" sulla via Giulia Augusta - oggi l'Aurelia, grossomodo - nominata nelle carte imperiali "COSTA BELENI" o "BALENA" centro ingauno ai confini dell'area intemelia, sede di un certo inurbamento e di un interessante attivismo commerciale, per la presenza di un porto e la prossimità sia alla via di costa che a quella di penetrazione, per la valle Argentina, in Padania, oppure, con una deviazione da Baiardo, nel territorio di Ventimiglia romana).
I fondi rurali di val Nervia, le ville suburbane che si succedevano da questo torrente, sin al territorio di Bordighera ed Ospedaletti, e le antiche VILLE del Tabia fluvius subirono delle trasformazioni marcate , peraltro accentuate dall'ostrogoto Teodorico, che, di fede ariana procedette ad una spoliazione dei beni della CHIESA TRINITARIA DI ROMA.
Questa finì per dover appoggiare Bisanzio (nonostante l'ambiguo comportamento di imperatori come Costanzo II e Valerio, non estranei - per contrapporre il loro clero fedele a quello "troppo" autonomo di Roma - dal far concessioni a barbari ariani nel IV sec.).
L'ambizioso GIUSTINIANO, che progettava la restaurazione dell'Impero di Roma, in cui anche la Chiesa occidentale fosse dipendente dallo Stato, colse l'occasione di riprendere l'Italia e Roma, che nell'opinione mondiale pur sempre erano ancora il "centro del tutto" : così i generali greci Narsete e Belisario, nel corso della GUERRA GRECO-GOTICA (535-553), riuscirono nell'impresa.
Dopo la vittoria bizantina fu emanata la Prammatica Sanzione per cui Giustiniano restituì agli antichi proprietari le terre confiscate dai Goti.
Fra tali conquiste si annoverò, senza dubbio, con la LIGURIA MARITIMA ITALORUM l'ancora importante base di Ventimiglia.
Pochi fra i vecchi possessores erano superstiti e spesso non si trovavano neppure loro eredi: i Bizantini donarono poi alla Chiesa, nel caso alla Diocesi di Genova, quei territori che risultavano ormai privi di legittimi padroni o pretendenti.
Gli storici hanno visto in tali concessioni una contropartita per l'atteggiamento filobizantino dei Vescovi genovesi durante la GUERRA GRECO-GOTICA, nel corso della quale i re goti Totila e Teia si scontrarono contro formidabili ma feroci truppe greco-bizantine, spesso reclutate tra selvaggi popoli di frontiera, vassalli dell'Impero orientale (tra queste erano particolarmente selvaggi e bellicosi i così detti "Numeri": come un proverbio (riportato da Paolo Diacono) per decenni - viste le angherie fatte da contingenti greci alla popolazione locale, serpeggiò fra gli indigeni la frase che "era meglio esser servi dei Goti che alleati dei Greci".
Per comprendere queste REGALIE BIZANTINE alla Chiesa di Genova bisogna tenere conto delle condizioni socio-politiche e della radicale trasformazione dei contingenti greci in truppe di occupazione più che di liberazione.
All' epoca dello SCISMA TRICAPITOLINO, nel 537 Giustiniano, volendo accentuare il controllo sull' episcopato italiano che cercava di sfuggire al controllo dei suoi ministri e governatori, costrinse Papa Vigilio a condannare i Tre Capitoli (le dottrine di Teodoreto di Ciro, Teodoreto di Mopsuestia, Iba di Edessa) = e il cristianesimo trinitario occidentale sancito definitivamente dal Concilio Calcedonese del 451 (vedi il testo integrale e tradotto) - che sostanzialmente riprendeva i dettami dei tre concili precedenti (vedi)- presuppose poi, tra mille contrasti e come detto uno scisma, la condanna dei "Tre Capitoli" definitivamente sancita dal Concilio di Costantinopoli del 553 (vedi il testo integrale e tradotto).
La Liguria costiera o Maritima Italorum aderì alla condanna dei "Tre Capitoli", anche perchè quasi obbligata dalla dominazione bizantina (gran parte dell'Italia dal 568 passò invece sotto il controllo dei Longobardi).
A Genova dal 569 risiedeva il fuggiasco arcivescovo di Milano, che, allacciati contatti con le filo-greche Roma e Ravenna, condannò quella dottrina dei Tre Capitoli, che gran parte d'Italia, Milano compresa per quanto concerneva la gran parte del clero e specialmente del clero minore, professava.
L'atteggiamento della Diocesi genovese indusse i Bizantini, bisognosi di alleati, non solo a compensarla ma a potenziarla, in previsione di una sua contrapposizione alla Diocesi milanese. Nell'area fra "Albintimilium" ed "Albingaunum", in particolare nei territori di "COSTA BELENI" le donazioni alla Chiesa genovese furono di rilievo.
A giudizio di alcuni studiosi nel CAPO DON, il centro storico dell'odierna Arma di Taggia, in riva al mare, a levante dell'Argentina, sarebbe da ravvedersi un toponimo o nome di luogo formatosi dal DONUM fatto da Bisanzio all'"Ecclesia" genovese (la donazione fatta per una salda alleanza contro la Diocesi di Milano).
Verso il VI-VII sec., agevolata in VARI MODI oltre a quelli UFFICIALMENTE NOTI o comunque veicolati dalla LEGGENDA (che spesso maschera fondamenti di indiscutibile verità) dalla corte di Bisanzio, in queste contrade aveva preso corpo un'espansione di quell'espressione di Cristianesimo che era da rimandare alla tradizione bizantina e greca dell'esperienza anacoretica ed EREMITICA spesso sospesa fra contrasti politici e lotte dottrinali, spesso fra le Diocesi di Genova e di Milano.
Per la costa ligure di Ponente si ebbero vari insediamenti ascetici che si estendevano dall'ISOLA DELLA GALLINARIA (dove nel 360 si sarebbe riparato S.MARTINO DI TOURS per evitare le persecuzione ariane: G.PENCO, "Il monastero dell'isola della Gallinaria e le sue vicende medievali", in "Riv.Ingauna Intemelia", 1963, pp. 10-21) fin a l'area di Nizza, comprese le "ISOLE DI LERINO (LERINS)" destinate poi a ospitare un monastero di Benedettini (l'espansione d'un monachesimo eremitico, poi assorbito dall'esperienza benedettina, pare confermato da una scoperta di Eugenio Cais de Pierlas ("I Conti di Ventimiglia"..., Torino, 1884, p.121) in una pergamena contenente un atto per cui l'abate di Lerino avrebbe ceduto nel 1177 al conte Otone di Ventimiglia ciò che il suo monastero possedeva nella "Marca di Albenga", dall'Armea a Pietra, in cambio di possedimenti intemeli a Garavano).
I Bizantini, che non avevano bloccata l'avanzata longobarda del 568, protessero la "Liguria Maritima" istituendovi dei loro distretti e installandovi quartieri militari in contatto con questi ORGANISMI EREMITICI, utili per confortare i soldati e vantaggiosi per accattivare al trono imperiale le simpatie degli indigeni agevolando le conversioni di massa dei disertori Longobardi di fede ariana decisi ad entrare nell'esercito greco (non è da trascurare come sulla ROCCA DI CAMPOMARZIO in valle Argentina siano riconoscibili fra i REPERTI DEL CASTELLO BIZANTINO (più visibile nell''800 -cui appartengono queste immagini- che ai giorni odierni benché per una ricostruzione topografica del sito siano stati fondamentali i saggi di scavo dell'Ist.Intern. di Studi Liguri nella prima metà di questo secolo ("Riv. Ing.Intem.",I,1951,p.71)] i resti di una chiesa intitolata ad un "San Giorgio" di tradizione bizantina: non pare un caso che questo ""S.Giorgio"" greco avesse i connotati del protettore dei "milites" o soldati siti nei quartieri del "limes" di Bisanzio, cioè della linea di fortificazioni greca della "Liguria costiera").
La "*BALMA EREMITICA" (che rimanda al significato di "grotta, riparo, luogo protetto e solitario per asceti") come luogo di preghiera e meditazione si era già diffusa per la Liguria con l'esperienza di S.Onorato che, come scritto, nel V sec., traendo spunto dalla tradizione ascetica egiziana, aveva dato prove di vita contemplativa in una grotta a Nord di Tolone, quella detta di ""Santo Baumo d'Agay"". Dal tempo della loro dominazione (VI sec.) i Bizantini si sovrapposero a questa espressione religiosa (non estranea alla loro tradizione) e vi innestarono fidati monaci orientali. Col tempo "*Alma" divenne lo sviluppo morfo-linguistico di "*Balma": questo compare proprio nell'area dell'Argentina, dove la località costiera di "Arma di Taggia" cela nel toponimo il ricordo di insediamenti ascetici che vi trovarono riparo verso il VI sec., sotto la protezione del castello greco di Taggia, sfruttando per la semplice vita degli eremiti piccole grotte e modesti ripari naturali.
Sia nella valle del Nervia che in quella dell'Argentina [come del resto in altre convalli e siti del circondario e forse nella genesi primordiale o comunque nella ristrutturazione bisantina del castello di Dolceacqua era stata strutturata una base monastica orientale intitolata ad un S. Giorgio greco successivamente replicato ell'erezione della romanica chiesa di S. Giorgio)] si scoprono testimonianze toponomastiche (e qualche volta archeologiche) di un presumibile complesso di insediamenti religiosi anacoretici lungo un sistema di Grotte e/o antichi ripari naturali, già utilizzati da uomini di un passato remoto.
Per la VALLE del Nervia [oltre grandi cavità di notevole interesse speleologico, come l'Abisso del Pietravecchia, la Tana di Badalucco, la Tana Giacheira, la Grotta grande di Buggio, la Tana degli Strassasacchi ecc.] si ricorda il Vallone delle Arme di Buggio, ove sono cavernette, grotte e ripari.
Sulla sponda destra del Nervia troviamo i reperti di ulteriori "*Balme" : in modo da fronteggiare la Cima della Crovairola (fra Vallecrosia e S.Biagio, che fu un castelliere ligure" e forse sede d'un'azienda estrattiva romana) si individua l'altura originaria della città di Nervia dove, ai tempi dell'espansione urbanistica dell'Impero, furono edificate abitazioni su parche residenze liguri o d'età repubblicana.
Per ampio spazio, da questo luogo (Colla Sgarba) fino ai limiti del Rio Seborrino (che alimentava gli acquedotti della città romana) ed oltre ancora, giungendo ai siti di Siestro, S.Giacomo e Maule-Maure, sorgevano parecchi ripari nella roccia, adatti alla frugale esistenza ascetica (a fine'800 a "Colla Sgarba" si ricordava l'esistenza di una caverna frequentata da eremiti nominata u sgarbu du preive, cioè "il buco, antro o meglio ancora il riparo del prete", oggi trasformata in magazzino agricolo).
Sempre in Val Nervia a Camporosso si scopre il toponimo Almablanca cui, per breve tratto oltre il Nervia, in qualche modo corrisponde in maniera speculare il nome di Almantiqua (ARMANTICA): ed in tutti e due i casi si allude all'idea del ricovero a costruzione o forse, in modo ancora più corretto, della "grotta scavata" (il termine Barma, da cui è derivato Arma-Alma indica una "grotta artificiale chiusa con un muro" e, per quanto si deduce dai documenti del XIII sec., si comprende che l'Almantiqua era distinta da ripari artificiali ormai diruti.
Nell' area di Camporosso nel '200 era significativo il toponimo Almablanca in cui, secondo un documento del 30-IV-1261 dal notaio di Amandolesio (doc.376) si trovavano beni del latifondista Oberto Intraversati: il nome blanca era dovuto al fatto che il riparo era collegato al complesso delle "Terre Bianche" (ad Terram Blancam=doc.14) dove verso il 1260 stavano colture ad alberi, gerbidi di una o diverse famiglie Alamano e Macarius ("Alamano" è un etimo germanico, nel senso di "abitante dell'Alemagna" e dal III sec. all'epoca medievale il nome ebbe lo scopo geopolitico di segnalare "uomini di varie stirpi nell'insieme" disposti, secondo relazioni di parentela, su una determinata area geografica.
Maccario-Macario è invece il risultato d'una elaborazione della voce greco-bizantina Makarios nel senso di "beato, felice" e pare da collegare ai processi di evangelizzazione, con cognominizzazioni di massa, ad opera degli eremiti orientali su gruppi di barbari od indigeni (i Greci col termine "macarismo" indicavano anche la "Beatitudine Evangelica" sì che in alcuni casi la diffusione del gruppo onomastico "Macario-Maccario" potrebbe essere da connettere con l'influsso in queste zone di San Macario l'Egiziano, uno fra i più significativi rappresentanti del monachesimo egiziano e dell'ascetismo cristiano).
Nella valle Argentina prescindendo dalla "Grotta dell'Arma" luogo tipico del paleolitico medio (il sito forse più caratteristico per insediamenti eremitici d'epoca greco-bizantina), dalla piccola grotta sepolcrale eneolitica sovrastante Badalucco denominata "Tana Bertrand" ed ancora da una stazione epipaleolitica di cacciatori individuata presso "Monte Ceppo" è opportuno precisare che le restanti conosciute località preistoriche son state tutte scoperte nell'alta valle.
questa affermazione proemiale non esclude certo l'eventualità di altri ritrovamenti, anche in media e bassa vallE, e soprattutto la definizione di "stazioni preistoriche", attesa anche la caratteristica del toponimo *Arma-Alma, non può escludere che diversi fra questi ripari siano stati occupati da anacoreti.
Intanto è da precisare che tra epipaleolitico e neolitico l'uomo nomade e cacciatore della valle Argentina prese a sistemarsi in ripari naturali progressivamente migliorati dalla sua operosità.
Il sito più antico (visitato forse per un millennio e quindi da escludere dall'esperienza "balmitica" degli anacoreti) è da ravvedere nel Riparo di Loreto in cui son stati trovati reperti di industrie ceramiche e litiche datate dal medio neolitico alla prima età del bronzo. Qui (v. G.P.LAJOLO, Triora, in "Riviera dei Fiori, 1992, n.4,pp.7-10) si son trovati frammenti di un'olla e di un orciolo, forse da attribuire ai manifatti ceramici della "civiltà di Chassey" come parrebbero confermare altri indizi, fra cui un coltello in selce bionda ed un "frammento di ascia levigata verde" proveniente con una certa probabilità dal complesso del Meracantour (contadini e pastori erano questi uomini di Loreto, anche se la difficoltà di oculate indagini stratigrafiche impedisce di regolamentare in senso causale e cronologico tutti i reperti, tra cui un vaso camapaniforme scoperto isolato fra altre espressioni manifatturiere).
Poi è da menzionare la "Tana della volpe" ove si son trovate tracce di un'utilizzazione abbastanza lunga come sito di sepoltura dal neolitico medio all'epoca dei castellari liguri all'alba della dominazione romana (qui fu importante il ritrovamento di frammenti ceramici di tipo Rossiglione).
Si ricorda poi l'"Arma della Gastea" o "Arma Mamela" in cui sono stati scoperti frammenti di un baso a bocca quadrata e conchiglie marine databili al bronzo medio (si è data l'interpretazione scientifica che tutto ciò rappresenti il corredo funerario di varie sepolture databili con continuità fra cinquemila e tremila anni). Col contributo critico di E.Azaretti (Storia dei nomi *Balma/*Alma, in "Riv. Ingauna Intemelia", N.S.,1984, 3-4, p.74) è però opportuno ricordare che in questo caso "...il 'gastea' derivi dal ted. medio 'Kasto' (REW 4682) che ha dato in altri dialetti 'gastu' o angolo della stalla limitato da una staccionata in cui si tenevano agnelli e capretti da allattare", questo spiega anche mamela o "capezzolo di animali": l'arma era dunque una stalla per pecore o capre...".
Residui ossei di tracce di inumazione e combustioni (oltre che residui di corredi sepolcrali della cultura megalitica provenzale, i quali avvicinati ai materiali scoperti dalla Crowfort nella "Tana Bertrand" attesterebbero l'esistenza di simile cultura in valle Argentina) sono state individuate nell'Arma della Gra' dI Marmo che, ancora secondo l'Azaretti (p.74), risulterebbe formato da una contaminazione del lat. med. *CRO(T)IA ("grata") che dà in dialetto "°gra"; "marna" "roccia calcarea argillosa" sembra quindi voce aggiunta tardi da cartografi od archeologi, alterata poi, da quanti non conoscono la parola, in "gra de Marmu" ("di Marmo").
Sono poi da ricordare varie altri esiti Arma su cui v'è ancora da studiare ma che, per la conformazione ed il toponimo, possono benissimo rimandare ad insediamenti eremitici, pur provvisori, di cui si son perdute tracce significative.
Citiamo l'"Arma Serrata" cioè "chiusa" di Triora, l'"Arma Pisciusa" cioè "con scolo d'acqua" presso Realdo, l'"Arma del Pertuso" o "del buco" (valle del Capriolo in alta valle Argentina) l'"Arma del Bogiàs" o "Bogiàs", cioè del "grosso rospo" presso "Borniga di Triora".