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Sotto Leone XIII si avviò un processo di modernizzazione della grande BIBLIOTECA VATICANA che ebbe quale autentico protagonista il prefetto (poi Cardinale bibliotecario) Franz Ehrle, S.I.: per quanto concerne gli interessi aprosiani giova qui rammentare che proprio sotto questo pontefice venne acquistata ed assimilata nella Biblioteca Vaticana la celeberrima Biblioteca Barberiniana anche detta Barberina istituita dal potente cardinale Francesco Barberini (Firenze 1597 - Roma 1679), nipote di Maffeo Barberini poi papa Urbano VIII, e ricchissima di codici greci, latini ed orientali (Aprosio fu in particolare in ottimi rapporti con il forse più grande bibliotecario della "Barberiniana", cioè Carlo Moroni con cui "il Ventimiglia" iniziò l'amicizia durante il pranzo, offerto dal grande Allacci (Allatius) nel dicembre del 1651 (pag. 580 in fine: testo latino): Carlo Moroni fu anche scritto da Aprosio tra i Fautori cioè i sostenitori della sua Biblioteca, vedi p. XXXII ma atteso, a dire di Aprosio, che per "errore o dimenticanza" Moroni non fu citato nella Grillaia (1668) del "Ventimiglia" a guisa di scusante nel "Repertorio Biblioteconomico" intitolato Biblioteca Aprosiana...(1673) venne inserita questa lettera di Aprosio al Moroni, destinata ad innescare una lunga riflessione filologia e metrica in merito alla lingua latina ).
Per un approfondimento sulla BIBLIOTECA BARBERINA si legga il seguente
CAPITOLO
tratto da un seicentesco volume sulle istituzioni romane di
Carlo Bartolomeo Piazza
ove a prescindere dai libri preziosi si cita un vero e proprio
Museo di antichità romane con statue, medaglie, monete, iscrizioni ecc. ecc.
che il Piazza definì particamente un autentico tesoro sacro utilizzando il termine
GAZOFILACIO.
tramite cui Aprosio fece per suo conto integrò una serie di importanti osservazioni sull'
ORATORIA SACRA NEI SUI TEMPI (QUI STUDIABILE CON L'AUSILIO DI TESTI ANTICHI DIGITALIZZATI)
ove la una discussione in merito ai Religiosi e specie ai Predicatori da lui giudicati enfatici quanto sostanzialmente ignoranti si coniuga con una serie di esternazioni aprosiane di varia portata e non sempre gradite ai correligionari, come in merito a tema diverso, allorché "il Ventimiglia" pubblicò "parole di fuoco" avverso i "Galli di Esopo" in cui identificò molti correligionari a riguardo della conservazione del patrimonio antiquario ed epigrafico in Italia e in campo specifico nella sua citttà natia ove eresse la "Libraria" ed al contrario esaltò l'opera nello stesso campo di investigatori stranieri, soprattutto tedeschi.
Per quanto concerne il tema sull'oratoria sacra è certo utile e non privo di cedimenti a spunti di letteratura escrologica quanto si legge in uno scritto al napoletano Predicatore Padre Teatino Lodovico Antinori (da pagina 93, ultima riga, del repertorio biblioteconomico aprosiano del 1673), ascritto come qui si legge tra i "Fautori" dell'Aprosiana (e cui Aprosio dedicò, non casualmente, il Capitolo XLIV dello Scudo di Rinaldo I ovvero Del Predicare alla Moda )
citandosi il caso di un "predicatore moderno" che nell'esprimersi dal pulpito trasformò il Gazophilacium (p. 334, righe 11-12 dal basso) ovvero il "Gazofilacio" cioè la cassa già nel tempio di Gerusalemme per le offerte dei fedeli in "Caz[z]ofilàcio".
Aprosio usava sia il termine Gazofilacio per indicare raccolte di oggetti e reperti antiquari come quelli del Barberini, avvalendosi dell'espressione Zibaldone per le raccolte di documenti scritti sparsi e inediti: avvalendosi piuttosto dell'espressione Museo o Libraria in alternativa a quella di Biblioteca per quanto non senza scandalo avrebbe potuto utilizzare anche le espressioni Wunderkammer come pure Gazofilacio = il giudizio che Aprosio fosse "espertissimo sia di reperti sacri che profani" venne già utilizzato a riguardo delle raccolte aprosiane che il danese T. Bartholin citò in questo suo volume qui digitalizzato sull'Unicorno (interessanti le considerazioni dello scienziato danese sulla moneta di Didone posseduta dall'Aprosio = nel suo rarissimo, ormai, volume sull'Unicorno T. Bartholin non collegò tuttavia la moneta o medaglia effigiante Didone alla tradizione, da lui esposta, sugli monocorni, di cui ampiamente trattò come dei bicorni, tra cui citò casi celebri come quelli di Alessandro ed Attila ma la coniugò piuttosto ad una antica, ma conservatasi, tradizione di cosmesi dei capelli ereditata dai Veneti (propria specie delle neospose) e in particolare di Padovani ritenuti -come da mitologia- discendenti dei Troiani e successivamente ripresa dai Romani a cui riguardo oltre che trattazione T. Bartholin inserisce effigi di monete da lui raccolte o studiate)
Sul tema, per una più estesa considerazione in merito al fatto che Aprosio trattasse e raccogliesse antichi reperti si può leggere in questa lettera in merito a un oggetto fatto giudicare da un grande antiquario (anche per soddisfare una vecchia promessa fattagli che diventa testimonianza delle relazioni intrattenute, ma non senza cautela, dal "Ventimiglia" con questo ed altri collezionisti) vale a dire, nella fattispecie, il rapallese Fortunio Liceti [ e la cosa che più stupisce sulla provenienza (oltre che sulla significanza del reperto, cosa che davvero interessava al "Ventimiglia") dell'
oggetto o meglio una bellissima lucerna romana in qualche modo connessa a quella vecchia promessa di cui si è detto sopra
( ferme restando certo altre alternative come la Bologna in cui, provenendo dall'area veneta, soggiornò un mese dopo un viaggio abbastanza spericolato, parzialmente fatto non in carrozza ma a cavallo, accompagnato da un servitore assunto a Lubiana (vedi): nella città felsinea si procurò molte amicizie e in particolare approfondì quella con il Montalbani che investigava sui resti della romana Bononia )
è che Aprosio - il quale pressoché mai indicava la provenienza dei reperti giudicati in suo possesso - avesse scritto che di certo "con quattro righe di inchiostro ben governato dal suo talento" il Liceti sarebbe riuscito ad esplicare la significanza dell'oggetto sì da permettere di adornare la nomea di questa "Sparta" (vagliando il fatto, certamente curioso, che Aprosio come si legge in questa lettera a Giovanni Ventimiglia ricercatore dei resti di Ventimiglia Romana per la propria città natia il frate abbia usato sia l'espressione di "Troia" quanto di "Sparta" a testimoniare una grande città antica scomparsa o quasi) = ed in qualche modo colpisce anche il fatto che Liceti il quale spesso indicò le lucerne secondo la provenienza (vedi De Lucernis Bononiensis ed altro ancora) intitolò il capitolo De Lucerna Vulcani Vintimilia - ma sulla scia del Bartholin e d'altri rimane sempre forte il dubbio d'una citazione dello pseudonimo aprosiano e non della provenienza- di cui sotto la dicitura segue la lettera aprosiana che, scritta a Bologna, risale al 26 maggio 1647: ed ancora non lascia indifferenti la chiusa della risposta -pag. 752 in fine- del Liceti "Queste sono le cose che, Chiarissimo Aprosio, vennero da scrivere alla mia penna per trovare una qualche spiegazione della tua antica Lucerna non meno bella che misteriosa "].

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