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Domenico Antonio Gandolfo grande successore di Aprosio alla guida della Biblioteca Aprosiana (di cui si può qui leggere una bibliografia essenziale) fu ascritto con questo diploma dell'illustre Crescimbeni alla prestigiosa romana Accademia di Arcadia = purtroppo Girolamo Rossi nella sua Storia di Ventimiglia, dimostrando scarso interesse per la cultura barocca e poi arcadica (come del resto altri autori del suo tempo) sul Gandolfo, ancor più che sull'Aprosio, fornisce notizie fuorvianti addirittura sul nome pastorale arcadico del celebre agostiniano oltre che su altre sue mai avvenute iniziative accademiche al contrario tralasciando brani dell'Arcadia redatta dal Crescimbeni specificatamente trattanti il Gandolfo sì da rendere rende arduo approfondire la figura del secondo bibliotecario dell'Aprosiana
"Benedetto Menzini (Firenze, 29 marzo 1646 – Roma, 7 settembre 1704) è stato un poeta italiano.
Disagiato economicamente, fu aiutato per gli studi dal marchese Gianvincenzo Salviati. Fu professore di eloquenza a Firenze, ma non ebbe, come sperava, la cattedra nell'Università di Pisa, così nel 1685 si recò a Roma presso la regina Cristina di Svezia, che gli offrì protezione e sostegno. Attorno a questa regina si formò un circolo di poeti che dettero vita all'Accademia dell'Arcadia. Benedetto Menzini usò in Arcadia lo pseudonimo di Euganio Libade.
Dopo la morte della regina, il Menzini si ritrovò nell'indigenza, fino a che non ebbe l'aiuto del cardinale Gianfrancesco Albani, che lo collocò tra i familiari di Innocenzo XI, gli dette un canonicato e l'incarico di coadiutore alla cattedra di eloquenza alla Sapienza di Roma.
Molte sue opere furono scritte quando era sotto la protezione della regina di Svezia: le Poesie liriche; tre libri di un poema epico dal titolo Paradiso terrestre; un'imitazione dell'Arcadia di Jacopo Sannazzaro intitolata Accademia Tusculana; Poetica e Satire in terza rima.["testo tratto da Wikipedia"]
In merito alle diverse opere che fiorirono sulla scia della celebre Accademia romana è da precisare che il Gandolfo data la morte non fu in grado (atteso anche il fatto che al tempo della stampa di questa opera sarebbe stato invero se ancora vivo di età estremamente avanzata) di leggere, qui digitalizzate, Le Tre Arcadie ovvero Accademie Pastorali di Messer Jacopo Sannazzaro, del canonico Benedetto Menzini,
del Signor Signor Abate Michel Giuseppe Morei, in Venetia, 1746, presso Andrea Poletti od almeno se certamente lesse in uno dei tanti volumi già stampati l'Arcadia(qui digitalizzata dall'esemplare delle Tre Arcadie) del Sannazzaro
di sicuro non ebbe modo di studiare l' Autunno Tiburtino del Morei molto più giovane di lui = in compenso lesse e conobbe l'Accademia Tusculana (pubblicata postuma In Roma : per Antonio de' Rossi alla piazza di Ceri, 1705) di Benedetto Menzini morto prima di lui (ma che Gandolfo conobbe e stimò al tempo del suo soggiorno in Arcadia) e che fu opera pubblicata postuma. Opera in cui già nel "Proemio" si evidenzia una delle passioni storiche di Aprosio
ove l'incipit dice = "Ebbero da principio gli Uomini per città
le aperte campagne, e per albergo le selve.
Il rottame d'una rupe era la loro superba loggia, ed una capanna
intessuta di giunchi, e di canne palustri, il loro palagio. Nulladimeno l'animo quieto, e tranquillo, e di niuna altra cosa curante, che di quel, che dava loro la Sorte, faceva a' medesimi, parere un Regno,
quel che ne' tempi nostri, ad altri ben agiato delle cose el mondo, parrebbe oltraggio, d'una dispettosa fortuna. Ma la Cetra edificatrice delle muraglie di Tebe,togliendogli poi all'orrore taciturno delle boscaglie, ed in forte, e ben guardato recinto chiudendogli,
, ed in magnifici abituri locandogli: non so se si facesse loro più beneficio, che danno. Perché con le delizie congiunse la fatica del mantenerle, e co' vilj officj diè luogo amplissimo alla sollecitudine, alla molestia, al travaglio. Onde è che, che molto della vita si ususurpano le cure domestiche; e molto anche le pubbliche amministrazioni di maniera che gli uomini, i quali in prima erano di se stessi, poscia appoco appoco la libertà prendendo, cominciarono ad essere in gran parte d'altrui.
Ma la mente umana a quello volentieri ritorna, che da principio le piacque: appunto come il corpo, nell'avanzar dell'età, più volentieri gode, e meglio si rinfranca con quei medesimi cibi, che ne' teneri anni gli furono di gran nudrimento, e salubre.
Torna, dico, l'animo alle selve e tralasciando di quando in quando le brighe cittadinesche, cerca di riscattarsi dalla servitù delle Inquietudini, nè tovare spera miglior riposo, che lì dove lo ebbe, fin quando da prima il gran Padre, e propagatore dell'umana famiglia, virò signorile lo sguardo
d'intorno a questo sì mirabil teatro dell'universo. Va dalle radunanze alla solitudine; da' popolari tumulti alle romite foreste, per vivere a se stesso e quivi fabbricarsi un novello Regno di pace. Regno invero bramato da tutti, ma più da coloro, che negli studj di scienze, e di lettere, trassero per lungo tempo le loro ostinate vigilie. Nell'ameno diporto delle Ville quivi ristoransi, quivi di vigor nuovo riempionsi, per poi ritornare con lena più robusta alla faticosa incude de' loro leterarj esercizj. E qual luogo più a proposito del Tusculano ritiro? La vicinanza a Roma, l'aria salubre, le apriche colline, e quando altri il voglia, le ombrose selve, e su le spalle de' monti le annose boscaglie, non fanno elleno alla libertà ed al genio un gentilissimo invito?... " = lunga dissertazione accademica quella del Menzini che si propone come una elegante descrizione del
luogo solitario ed ameno ideale per l'otium negotiosum fatto di studi e colloqui in piena serenità ed armonia che Aprosio credette di conquistarsi come autentica isola di quiete votata agli intrattenimenti culturali erigendo in Ventimiglia la sua Biblioteca ma che trovò, e non senza affanni, solo dopo che cessarono le contestazioni alimentate da alcuni suoi detrattori cosa che invece non accadde a Benedetto Menzini che celebrò il sito "Tusculano" da lui scelto come perfetto surrogato delle campagne toscane della sua fanciullezza nel quale dal Menzini denominato "Villeggiatura Tusculana" in una prima dotta conversazione funse da "Duce, e Padre di tutti noi" certo Aristeo nome pastorale del fiorentino dottore Antonmaria Salvini che invitò i presenti all'adunanza ad iniziare la propria attività letteraria non con poesie eroiche ma con liriche consone all'uso pastorale sì che con il nome pastorale di Euganio il Menzini come primo declamò la Canzone iniziante con i versi Per queste amene Ville / ond'è famoso il Tusculano suolo / Credei temprar mio duolo, / E d'Amor l'aspre addormentar faville / Ma il pampinoso onore/ Delle dilette a Bacco apriche piagge / E le care al mio genio ombre selvagge / Mal dan conforto al core, / Che non ha pace in sè